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OTTAVA SERIE

AVVERTENZA

l. Questo volume, quarto della serie ottava, copre un periodo breve --meno di quattro mesi, dal 10 maggio al 31 agosto 1936 -ma ricco di avvenimenti importanti per la politica estera dell'Italia e, più in generale, per la politica europea.

Gli aspetti di maggior rilievo, e ai quali, come è naturale, è stato dato più ampio spazio, sono tre.

Innanzitutto, vi è l'azione che il governo italiano avvia subito dopo la proclamazione dell'Impero allo scopo di superare alcune tra le conseguenze della crisi etiopica. Obiettivo immediato è l'abrogazione delle sanzioni che, è la tesi italiana, avendo per scopo di bloccare un'aggressione, non hanno più motivo di essere dopo la conclusione vittoriosa delle operazioni in Africa. Orientale. Fondata o meno sul piano giuridico, la richiesta dell'Italia si scontra, sul piano politico, con le resistenze di quei governi che esitano ad adottare una misura destinata ad avere riflessi pes~ntemente negativi su la Società delle Nazioni, al punto da far dubitare delle sue possibilità di sopravvivenza. Peraltro, giuocano potentemente in favore dell'Italia i contraccolpi della crisi renana del marzo precedente che inducono a considerare prioritari il reinserimento dell'Italia nella politica europea con funzione stabilizzatrice ed una ripresa della collaborazione con Roma che consenta di fronteggiare con efficacia la crescente potenza della Germania.

Palazzo Chigi si muove, per raggiungere il suo scopo, su tutti gli scacchieri considerati di qualche utilità -notevole a tale proposito l'importanza attribuita alla posizione deg1i Stati latino-americani -ma l'epicentro dell'azione italiana è a Londra dove l'ambasciatore Grandi -la documentazione in proposito è particolarmente ampia -sfrutta a fondo le sue relazioni con alcuni ambienti conservatori. Ed il 18 giugno, l'annuncio dato da Eden ai Comuni che il governo britannico è favorevole all'abolizione delle sanzioni segna una svolta nella vicenda, anche se la decisione della Società delle Nazioni si avrà più tardi, il 6 luglio, come conseguenza non prevista dell'iniziativa argentina di sottoporre nuovamente la questione etiopica al Consiglio.

Subito dopo, il governo italiano pone sul tappeto una seconda questione, quella della sopravvivenza delle garanzie che la Gran Bretagna ha dato a Jugoslavia, Grecia e Turchia durante la fase più acuta della crisi etiopica. Anche in questo caso la richiesta viene presentata da Roma come un diritto a vedere cancellata un'ingiustizia compiuta ai suoi danni e quindi come una richiesta che deve essere soddisfatta senza contropartita. Di nuovo vi sono delle resistenze, soprattutto da parte della Turchia -con la quale i rapporti sono decisamente cattivi -che tenta di trasformare in permanente un legame con la Gran Bretagna nato da una situazione contingente e di nuovo l'azione italiana raggiunge il suo obiettivo in un lasso di tempo brevissimo.

Alla fine di luglio, il governo fascista ha ottenuto, così, due successi e, fatto notevole, li ha ottenuti nonostante l'ostacolo rappresentato dalla soluzione totalitaria adottata con il decreto di annessione dell'Etiopia e nonostante abbia rifiutato di assumere impegni circa la sua disponibilità a riprendere posto in un sistema di sicurezza europeo.

Il secondo aspetto di particolare rilevanza che si incanti-a in questo periodo è dato dall'accordo austro-tedesco dell'll luglio, importante sul piano europeo e ancor più importante dal punto di vista della posizione dell'Italia. È questo un altro punto su cui la documentazione risulta molto ricca perché, oltre alla corrispondenza ufficiale con la legazione a Vienna, comprende il carteggio di alcuni canali ufficiosi ciascuno dei quali teneva contatto con ambienti e personalità austriache di orientamento diverso. Il più interessante· è certo quello costituito dall'allora direttore dell'Istituto Italiano di Cultura a Vienna, senatore Salata, le cui carte, dato.· il rapporto che esisteva tra lui e il cancelliere Schuschnigg, risultano preziose per accertare la parte avuta da Roma nella vicenda e anche come fonte per la ricostruzione del negoziato austro-tedesco.

Lo scoppio della guerra civile spagnola è il terzo -in ordine di tempo tra i temi principali di questo volume e, considerata l'importanza che l'avvenimento riveste per la politica dell'Italia fascista, ad esso è f:ltato lasciato il maggiore spazio possibile. In pratica, è stato pubblicato tutto il materiale di qualche interesse rinvenuto nell'Archivio del Ministero degli Esteri e inoltre un certo numero di documenti tratti dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. Il complesso di questa documentazione non induce a modificare le grandi linee della ricostruzione che la sto'l'iografia più recente ha fatto dell'atteggiamento italiano durante la fase iniziale della guerra civile spagnola ma certo consente di meglio motivare alcune conclusioni e di chiarire diversi particolari di rilievo. Ad esempio, risulta ora documentata la posizione negativa assunta dal S.l.M. (Servizio Informazioni Militare) di fronte alle prime richieste di aiuti avanzate da Franco e si ha la conferma di quanto precise fossero le informazioni che in quei giorni giungevano a Roma circa le mosse del governo francese. È infine da rilevare che l'invio dei primi aiuti a Franco fu deciso senza consultazione con il governo tedesco: Roma e Berlino si mossero in modo del tutto indipendente, un fatto che appare indicativo dei limiti che allora esistevano nell'avvenuto riavvicinamento italatedesco.

2. Per quanto concerne la scelta del materiale, va ricordato che, seguendo un criterio già adottato in precedenza, non sono stati qui inseriti quei documenti che si trovano in altre raccolte o in pubblicazioni ufficiose dell'epoca largamente note, in modo da non appesantire eccessivamente il volume.

A tali pubblicazioni --di cui si dà l'elenco in calce a questa avvertènza si rinvia di volta in volta nelle note apposte ai documenti.

Si è, invece, ritenuto opportuno reintrodurre -distaccandosi in ciò da quanto è stato fatto nei precedenti volumi di questa serie -l'indicazione delle sottolineature esistenti nei documenti che portano il visto di Mussolini. È sembrato storicamente importante far conoscere quei punti che più avevano attirato l'attenzione di Mussolini, dato che anche dopo la nomina di Ciano a Palazzo Chigi egli continuò ad esercitare un'influenza determinante su gli orientamenti di fondo della politica estera che poi seguiva nel suo svolgimento, non di rado, anche nelle questioni di minor conto. Le sottolineature sono indicate nel volume da una riga al di sotto delle parole, esattamente come neil'originale.

3. I documenti pubblicati provengono dall'Archivio Storico del Ministero degli Esteri e più precisamente dai seguenti fondi: l) Archivio di Gabinetto 1923-1943 serie ordinaria (comprendente le carte Gabinetto Segreto) e serie Ufficio Spagna; 2) Archivio degli Affari Politici 1931-1945, nel quale è compreso il fondo Guerra d'Etiopia (quest'ultimo contiene del materiale sul periodo suc

cessivo alla proclamazione dell'Impero); 3) Archivio Corrispondenza Telegrafica, serie R. (compres'i i telegrammi con la qualifica «segreto») e P.R. (Piccola Raccolta).

Risulta peraltro inconsultabile perché fortemente deteriorato il registro generale dei telegrammi in arrivo dal 16 luglio al 10 agosto. Per questo periodo, i telegrammi vanno perciò ricercati nei registri per Paese e nei pacchi delle carte di Gabinetto o della serie Affari Politici, tenendo tuttavia presente: a) che manca il registro dei telegrammi in anivo dalla Cecoslovaechia; b) che i registri dei telegrammi in arrivo dall'ambasciata a Parigi e dalla legazione a Vienna

sono così deteriorati da essere in molte parti non consultabili. Mancano, inoltre, i pacchi delle carte di Gabinetto serie ordinaria relativi alla Gran Bretagna per tutto il 1936 e alla Germania, per il periodo concernente questo volume.

Da rilevare, inf·ine, la scarsezza del materiale concernente la Santa Sede sia nelle carte di Gabinetto sia nella serie Affari Politici. A questa carenza non è stato possibile ovviare ricorrendo al fondo dell'ambasciata, anch'esso molto povero di documenti significativi.

La lacuna più grave è data, però, dalla mancanza dei verbali di molti colloqui di Mussolini. Non si tratta in questo caso di lacune d'archivio ma del fatto che Mussolini aveva perso da tempo l'abitudine di prendere appunti dei suoi colloqui e le verbalizzazioni venivano fatte dal sottosegretario agli esteri,

Suvich, il quale, peraltro, non sempre era presente. Con la nomina di Ciano a ministro degli esteri, il 9 giugno, le verbalizzazioni diventano, poi, pochissime e viene così a mancare quasi totalmente una fonte del più grande interesse.

Una situazione analoga si ha per i colloqui di Ciano. È accertato che Ciano non ha redatto altri verbali dei suoi colloqui oltre quelli che sono stati pubblicati nel notissimo volume L'Europa verso la catastrofe apparso nel 1948 ma, dai riferimenti che offre la documentazione, non solo italiana, risulta che quei verbali coprono soltanto una parte molto ridotta dei colloqui avuti da Ciano nella sua veste di ministro degli Esteri .

Le ricerche sono state estese agli archivi militari. In primo luogo, all'Archivio del Ministero dell'Aeronautica che in partenza si presentava interessante su tre punti: il viaggio effettuato dal generale Valle in Germania nel giugno che allora suscitò sensazione perché considerato un sintomo del riavvicinamento italatedesco; i contatti tenuti dalla segreteria di Valle con elementi spagnoli ostili al ~averno di Fronte Popolare; infine, i rapporti degli addetti aeronautici, che

sono assai poco numerosi nell'Archivio del Ministero degli E5.teri. La r'icerca non ha dato, però, risultati apprezzabili. Sul viaggio di Valle o,ono stati trovati soltanto pochi documenti, pressoché insignificanti. Quanto ai contatti con gli spagnoli non è stato trovato niente oltre a quel pochissimo materiale già noto. Infine, mancano del tutto, per questo periodo, le relazioni degli addetti aeronautici.

Più fruttuosa è stata, come si è già avuto occasione di notare, la ricerca effettuata presso l'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esertito. Anche qui, nel fondo addetti militari, assai frammentario per questo periodo, non è stato trovato altro materiale utile da aggiungere a quello con-· tenuto nell'Archivio del Ministero degli Esteri ma un contributo di rilievo è venuto dalla corrispondenza com l'ufficiale addetto al consolato a Tangeri, maggiore Luccardi, che ebbe una parte importante nel tenere i primi contatti con il generale Franco dopo l'insurrezione. Altri documenti di rilievo concernono le mosse iniziali avvenute tra Roma e Berlino per realizzare una azione coordinata in Spagna (l'iniziativa fu dei tedeschi) che si svolsero attraverso i servizi informazioni dei due Paesi.

Non ha avuto esito positivo, invece, la ricerca effettuata presso l'Archivio Storico della Marina Militare per rintracciare altri rapporti degli addetti navali che fossero utili ai fini del presente volume.

4. La ricerca archivistica di base sui fondi del Ministero degli Esteri è stata effettuata dal dott. Andrea Edoardo Visone che ha anche redatto l'indice-sommario e la tavola metodica. La dotlt. Antonella Grossi ha condotto la ricerca nell'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. La dott. Francesca Grispo ha ,effettuato le ricerche pressi() l'Archivio Storico della Marina Militare, l'Archivio del Ministero dell'Aeronautica e l'Archivio Centrale dello Stato ed ha inoltre preparato i documenti per la stampa, riordinato l'apparato delle note e redatto le appendici. La signora Fiorella Giordano ha curato l'indice dei nomi. La dott. Marina Tomaselli e la signora Livia Piaggesi hanno effettuato la correzione delle bozze. A tutti mi è grado esprimere il più vivo apprezzamento per l'intelligente competenza con cui hanno portato a termine il lavoro e ringraziarli per la preziosa collaborazione che mi hanno dato.

GIANLUCA ANDRÉ

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

BD = Documents on British Foreign Policy 1919-1939, London, Her Majesty's Stationery Office, 1946 e segg.

Il conflitto itala-etiopico = Il conflitto itala-etiopico, Documenti, vol. II, Dal 3 ottobre 1935 al 15 luglio 1936, Milano, ISPI, 1936.

DDF = Documents diplomatiques français (1932-1939), Paris, Imprimerie Nationale, 1963-1986.

DDT = Akten zur Deutschen Auswartigen Politik 1918-1945, Gottingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1950 e segg.

Documenti di politica internazionale --= Documenti di politica internazionale 1936, Milano, ISPI, 1936.

DP = Dez anos de politica externa (1936-1947). A Naçao portuguesa e a segunda guerra mundial, Lisboa, Imprensa Nacional, 1964 e segg.

L'Europa verso la catastrofe = L'Europa verso la catastrofe, 184 colloqui ... verbalizzati da Galeazzo Ciano, Verona, Mondadori, 1948.

MARTENS, Nouveau Recueil Général de Traités = MARTENS, Recueil Général de Traités, Gottingen, Jean Chretien Dieterich, 1791 e segg.

B. MussoLINI, Opera omnia = B. MussoLINI, Opera omnia, Firenze, La Fenice, 1951-1963, voli. 36.

Trattati e convenzioni = Trattati e convenzioni fra l'Italia e gli altri Stati,

Roma, Ministero degli Affari Esteri, 1872 e segg.

~a Provt"nienza

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l Roma 10 maggio 1936

2 Roma 10 maggio

3 Ginevra 10 tnaggio

4 Santia~o

10 maggio

5 Roma 10 maggio

6 Ginevra 11 maggio

7 Quito 11 rnaggio

8 Gedda 11 n1aggio

9 Osio 11 rnng;gin

IO Mosca 11 maggio

Vienna 11 rnaggio

12 Berna 12 rnaggio

13 Ginevra 12 maggio

14 Ginevra 12 maggio


DOCUMENTI
1

1

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE ALL'ESTERO (l)

T. 2062/c. R. Roma, 10 maggio 1936, ore 2.

Prego V. E. (V. S.) voler portare a conoscenza di codesto Governo il decreto (2) che le viene telegrafato a parte in chiaro.

All'atto della comunicazione V. E. (V. S.) vorrà verbalrrtente far presente a codesto Governo che di fronte alla totale cessazione dello Stato etiopico, ana anarchia che minacciava il pa·ese e che infuriava nella capitale e alla manifesta volontà delle popolazioni Hberate dal giogo scioano, il Governo d'ItaUa che aveva dovuto ricorrere alle armi per la propria difesa e per la propria sicurezza avvenire, ha posto tutti i territori e le genti dell'ex Impero, sotto la sovranità italiana, l'Etiopia divenuta .italiana di diritto e di fatto, godrà d'ora •innanzi dei vantaggi di un civile progresso.

(Per Londra e Parigi) Ove nel fare detta comunicazione Le si facesse cenno costì fin d'ora a diritti od interessi francesi/inglesi esistenti in Etiopia, V. E. potrà rispondere che, come ha dichiarato più volte S. E. H Capo del Governo l'Italia è pronta ad esaminare con codesto Governo la situazione nell'intento di non apportare pregiudizio agli interessi francesi/inglesi.

2

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. 2063/106 R. Roma, 10 maggio 1936, ore 2,15.

Nel fare a codesto Governo (e possibilmente direttamente a Imam) comunicazione di cui al telegramma di questo R. Ministero n. 2062 (3), V. S. potrà, ove lo ritenga opportuno, aggiungere, sempre verbalmente, assicurazione nostri immutabili sentimenti amicizia per Yemen e f·are osservare come aumentato prestigio Italia in A. O. e Mar Rosso gioverà anche ana sicurezza dello Yemen nostro vicino e amico, la cui indipendenza e sovranità noi intend,i:amo sia da tutti rispettata.

(l) -Il telegramma era Indirizzato anche al consolati generali a Dublino, Ottawa, Sldney e Wellington e al dottor Dubbiosi, a Sanaa. (2) -SI tratta del decreto legge del 9 maggio, n. 754, che dichiarava la sovranità piena e Intera del Regno d'Italia sull'Etiopia e l'assunzione da parte del Re d'Italia del titolo di Imperatore di Etiopia. (3) -Vedi D. l.
3

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FONOGRAMMA 4395/482 R. Ginevra, 10 maggio 1936, ore 13,35.

Ho fatto stamane ad Avenol la comunicazione prescrittami (1). L'ho trovato di umore nerissimo, e ciò è comprensibUe. Mi ha detto subito che prendeva atto della comunicazione e che l'avrebbe portata a conoscenza dei membri del Consiglio.

Gli ho precisato che la comunicazione era solo per lui e a titolo dii informazione e non per i membri del Consiglio. Mi ha dd.chiarato allora che nel prendere atto di quanto gli dicevo teneva a precisarmi che faceva «le più ampie riserve su quello che sarebbe stato l'atteggiamento del Consiglio ». La situaz,ione gli sembrava « grav.issima ». Il Governo italiano aveva creduto opportuno precipitare le cose malg.rado gli :avvertimenti amichevoli e le riserve espresse dalla Francia.

Gli ho chiarito che il Governo italiano aveva giudicato urgente di legalizzare uno stato di fatto di fronte ad un Paese abbandonato in massa dai suoi governanti e nel quale non esisteva più nessuna autorità costituita.

Avenol ha detto allora che l'occupazione militare è una cos:a e l'annessione è un'altra. Anche la Francia e il Belgio emno stati occupati militarmente dalla Germania ma quest'ultima non aveva pensato a procedere a delle annessioni.

Ho risposto seccamente che questi parallelismi erano assurdi e che nessuna analogia era possibile. Francia e Belgio avevano conservato i loro Governi costituiti, parole queste che in entrambi i Paesi civili e organizzati avevano il senso di una realtà immortale. L'Etiopia aveva rinunziato da sé a governarsi e a difendersi; le popolazioni affluivano in forma plebiscita11ia a fare atto di sottomissione; l'Imperatore e il suo Governo eclissandosi e rinunziando perfino a nominare un Governo provvisorio avevano reso legale l'annessione e giustificato davanti la sto·ria l'azione italiana.

Avenol ha ribattuto che l'Etiopia per la S.d.N. «è tuttora un membro di essa » e il Consiglio dovrà agire in conseguenza. Domani si presenterà a Ginevra un delegato etiopico e il Consiglio «non potrà non 11iconoscerlo ».

Ho risposto che Ginevra dovrà decidersi: scegliere tra un sedic·ente rappresentante di uno Stato che non esiste più e che deriva i poteri da nessun Governo e il delegato italiano (2). La scelta potrà avere una portata stol1ica.

Avenol ha insistito sulla gravità della situazione. Mi ha detto che non sapeva esattamente «cos:a il Consiglio avrebbe dec·iso domani», ma gli sembrava <inevitabile che non potesse considerare il trionfo della forza sul diritto.

Ho risposto che non era più ora di inutili ideologie e di pericolosi sofismi. Il popolo italiano era deciso a salvaguardare l'Impero che aveva creato, con una volontà che nessuno sforzo umano avrebbe spezzato. Queste ·erano le realtà che si imponevano e occorreva prenderne. atto.

Avenol ha scosso le brawia con un gesto sconsolato. Ho compreso che non voleva e non poteva darmene atto. Così come non vorrà darsene atto domani in Consiglio. Ma la storia d'Italia non ha bisogno di con&acrazioni immediate da parte di quella istituzione che, come trincea e succursale del Fronte Popolare e del Grande Oriente, non vuole riconoscere il trionfo dell'Italia fascista.

Forse domani assisteremo a un torneo oratorio di prot8ste e di deplorazioni. I riconoscimnti non verranno. Le minacce e le critiche riempiranno le aule socteta;rie. Ma sul rancore velenoso e sull'invidia mascherata Ginevra sarà fatalmente costretta a riconoscere la sua incompetenza. E fra qualche tempo se vuole sopravvivere riconoscere l'Impero.

(l) -Con T. 2061/59 R. del 10 maggio, ore 2, Mussolini aveva ritrasmesso a Ginevra t; D. l con l'aggiunta delle seguenti istruzioni: «Del decreto Ella dovrà dare comunicazione per informazione a codesto Segretariato. Ella vorrà pure informarlo verbalmente c'e\ contenuto del telegramma surriportato ». (2) -L'S maggio, durante la sua permanenza a Roma, 11 barone Aloisi aveva ricevuto istru?ione da Mussolini d! non tollerare la presenza del delegato etiopico alle sedute del Consiglio della S.d.N. (cfr. P. ALnrsr, Journal (25 juil!et 1932-14 juin 1936), Paris, 1957, p. 382).
4

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, MARCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 4432/42 R. Santiago, 10 maggio 1936, ore 23,51 (per. ore 7 dell'11).

Seguito 41 (1).

Presidente Alessandri mi ha chiamato stasera urgenza per dirmi che ambasciatore del CHe Londra gli aveva oggi comunicato Eden avergli f:atto conoscere che non vedrebbe d!i malocchio una iniziativa Cile per abolizione sanzioni. Eden stesso ha detto ad Edwards che si sarebbe abboccato personalmente con Rivas in Ginevra.

Dopo ciò, presidente Alessandri mi ha soggiunto aver telegrafato di sua iniziativa, senza avvertirne questo ministro degli Affari Esteri, delegato cileno

S.d.N. impartendogli istruzioni precise prendere senz'altro iniziativa proposta abolizione sanzioni. Dato carattere, a volte impressionabile, del Rivas, mi ha pregato avvertire subito telegraficamente Aloisi perché prema in tal senso sul delegato cileno, al quale potrà far presente che presidente Alssandri ha già comunicato questa sua precisa volontà a Marchi per farla conoscere velocemente Duce (2).

5

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. PERSONALE 2088/63 R. Roma, 10 maggio 1936, ore 24.

Da informazioni R. ministro Belgrado risulta che tentativo impostare tema abolizione sanzioni in occasione recente riunione Stati Intesa Balcanica (3) sarebbe fallito in seguito obiezioni sollevate da ministro Affari Esteri turco.

Veda di far sapere ad Aras che abbiamo passato in conto anche questa nuova non necessaria manifestazione della sua immutabile natura di versipene (1).

(l) -Vedi serie ottava, vol. III, D. 863. (2) -Per !l seguito della questione si veda il D. 45. (3) -Sessione del Consiglio permanente dell'Intesa Balcanica tenutasl a Belgrado dal 4 al 6 maggio.
6

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FONOGRAMMA 4460/485 R. Ginevra, 11 maggio 1936, ore 20.

Ini2'liato colloquio con Paul-Boncour dicendogli essere corrente sua conversazione con Cerruti (2).

Avendomi ripetuto ragioni per cui, secondo lui, era per noi conveniente non urtare suscettibilità futuro Governo sinistra, ho confermato che Italia ha fiducia comprensione e spirito realista sinistre. Del resto opinione itaUana ha costantemente ritenuto che un eventuale perfezionamento accordo fra i due Paesi sarebbe stato facilitato dalle sinistre. Comunque ogni possibilità nostra collaborazione oggi è condizionata dal loro riconosCJimento realtà dei fatti. In questo solo caso delegazione italiana disposta rinunziare alle molte possibili iniz•iative capaci ostacolare tentativo che farà Società delle Nazioni per salvare salva bile.

Circa questione presenza ex delegato etiopico seduta del Consiglio, PaulBoncour appostami recisa resistenza, proclamando impossibile S.d.N. ammettere unilawrale decisione soppressione membro Lega. Ho risentito nel suo atteggiamento effetto suo precedente colloquio con Eden il quale, a sua volta, iersera ha pranzato con Avenol.

Ho richiamato tutta sua attenzione su tre argomenti:

l) semplice fatto ammissione presenza ex delegato etiopico tavolo Consiglio costituisce implicitamente per Stati presenti rifiuto riconoscimento nostra notificazione ai vari governi della proclamazione 9 maggio; 2) recentemente governo britannico rifiutatosi ammettere ex ministro Etiopia Londra a presentare credenziali al Sovrano; 3) delegazione italiana non avrebbe potuto fare a meno rispondere sollevando questione rottura neutralità da parte FranCia ed Inghilterra per mancato internamento... (3).

Malgrado che tutti gH argomenti e specialmente ultimi abbiano impressionato Paul-Boncour egli ribad>itomi impossibilità transigere. Replicatog1i mia intransigenza essere più perentoria della sua.

Circa sanzioni parlatomi in modo vago. Ev•identemente attuale Governo transitorio non osa azzardare gesto deciso. Avendogli posto domanda quale atteggiamento avrebbe assunto Francia in caso di iniziat1va altrui, rispostomi che .in tale caso egli avrebbe chiesto !istruzioni Parigi.

Forma colloquio stata amichevole ed tnframmezzata da fr·equenti espressioni ammirazione per incomparabile impresa V. E., popolo, esercito italiano. Certo è però che nei riguardi questione presenza ex delegato etiopico tavolo Consiglio situazione va divenendo più tesa.

(l) -Per la risposta vedi D. 19. (2) -Vedi serie ottava, vol. III, D. 864. (3) -Nota dell'Ufficio Cifra: «Manca l).
7

L'INCARICATO D'AFFARI A QUITO, GAETANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4497/48 R. Quito, 11 maggio 1936, ore 20,50 (per. ore 8 del 12).

Telegramma di V. E. n. 34 (l).

Presidente della Repubblica, che ho visto stamane, mi ha promesso che avrebbe subito inV'iato istruzioni suo deleg.ato S.d.N. invitandoLo assumere ini2i1ativa, compatibile con dignità Equatore, che rappresentante italiano ritenesse opportuna. Egli raccomanda vivamente a V. E. benevolo accoglimento sue richieste (vedi miei telegrammi precedenti) (2) dalle quali dipende, secondo una sua affermazione, l'avvenire dell'Equatore.

Non so fino a che punto azione Zaldumbide possa anc.o.ra giovarci; ad ogni modo, a mio subordinato parere, ciò che conta è atteggLamento già ·assunto dal Governo Locale. Pertanto, dato che una nostra azione diplomatica in favore Equatore per il conflitto Perù non ha attualmente che valore di promessa indeterminata in confronto con l'attività realmente esplicata a nostro vantaggio da questo Paese, mi permetto pregare V. E. voler esercitare pressioni presso ministeri competenti perché vengano concesse tutte le facilitazioni richieste da Governo equatoriano, anche se ciò dovesse costare qualche sacrificio.

Verremmo così a dare a questo popolo una prova tangibile e meritata della nostra amicizia, il che ritengo g.ioverebbe anche al nostro prestigio presso gli altri Stati latino-ame•ricani.

8

L'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PERSICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. UU. 4514/74 R. Gedda, 11 maggio 1936, ore 22 (per. ore 12,40 del 12).

Ibn Saud mi ha ricevuto in speciale udienza ieri domenica nell'accampamento reale di Ascera sulla strada di Riad. Accolto con tutti gli onori ho avuto con Sovrano lungo colloquio che riassumo:

l) Ibn Saud ha ricordato prova d'amicizia data a V. E. respingendo proposte concludere trattative con Etiopia e rifiutando invito Lega delle Nazioni di applicare sanziont Ha ass•icurato mante.rrà anche in avvenire attitudine di amicizia.

2) Circa trattato con Irak Ibn Saud mi ha confermato dichiarazioni che mi fece fare dal sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri ad interim (confrontare telespresso n. 87 del 27 ap11ile) (l) r,ibattendo motivi sostanziaH pei quali aveva dovuto concludere trattato e necessità accettare articoLi 4° e 9°, data posizione dell'Irak.

Fatto presente a Ibn Saud voci pubblicate da certa stampa che trattato era stato fatto sotto influenza inglese e sotto la preoccupazione forze militari italiane ,in AbisslÌnia, egli mi ha risposto: «Ho piena fiducia in Dio, ritengo suffiolente amicizia tra me e Italia ed ho visto quanto ha g.iovato all'Etiopia l'appoggio britannico... ».

3) Ibn Saud ringrazia caldamente V. E. per dono apparecchi dicendomi che avrebbe ricorso in avvenire alla nostra assistenza aeronautica.

Colloquio improntato grande cordialità. Ibn Saud già conosciuto dalla radio notizia decreto per Etiopia ma non ha ,espresso alcun commento. Molto espansivo è stato invece Principe Ereditario Emiro Saud, che mi ha pregato far conoscere a V. E. che egli ha sempre fatto voti per successo nostre armi ed ha accolto con grandissima soddisfazione la notizia decreto.

(l) -T. 2055/34 R. del 9 maggio, ore 24. con il quale Suvich aveva comunicato che se il delegato dell'Ecuador avesse assunto un atteggiamento di collaborazione con l'Italia nell'imminente sessione del Consiglio della S.d.N. il governo italiano non avrebbe mancato di tenere nella più alta considerazione tale gesto. (2) -Non pubblicati nel volume precedente. Il ministro degli Esteri dell'Ecuador aveva a più riprese chiesto l'appoggio del governo italiano nel conflitto con il Perù e forniture eH materiale bellico.
9

IL MINISTRO A OSLO, RODDOLO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4506/115 R. Oslo, 11 maggio 1936, ore 22,38 (per. ore 5 del 12).

In assenza del ministro degli Affari Esteri ho comunicato per iscritto a questo segretario generale decreto annessione Impero etiopico svolgendogli verbalmente in una lunga conversazione i temi di cui al telegramma di V. E.

n. 2062 (2).

Nel corso della conversazione il signor Aubert mi ha detto confidenzLalmente quanto gli aveva telefonato ieri sera il ministro degli Affari Esteri da Ginevra per informazione di questo Governo: nelle riunioni. deUe piccole Potenze soltanto Norvegia e Svizzera avrebbero sostenuto necessità sospendere sanzioni. Di fronte alle argomentazioni della maggtomnza si era finito per decidere di attendere che si chiarisse atteggiamento grandi Potenze e di continuare in una linea di politica societaria.

Il signor Aubert, che è un convinto antisanzionista, rilevò che, come la Svizzera, la Norvegia aveva interesse ad una rapida ripresa dei rapporti commerciali normali con l'Italia. Mostrò qualche preoccupazione per l'atteggiamento fil.'ancese. Ha tenuto infine a ripetermi che, malgrado la migliore buona volontà, era impossibile per la Norvegia dissociarsi dal gruppo nordico ,e f:are una politica a se.

(l) -Non pubblicato, ma vedi serie ottava, vol. III, D. 713. (2) -Vedi D. l.
10

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4495/105 R. Mosca, 11 maggio 1936, ore 22,43 (per. ore 24).

Nel colloquio avuto oggi con Krestinskij l'esame dell'attuale situazione politica ha portato la conversazione sulla questione austriaca. Krestinskij si domandava se lo scacco subito in Abissinia non poteva spingere l'Inghilte<rra a qualche intesa con la Germania diretta a crearci seri imbar·azzi dn Austria.

Gli ho chiesto se egli avesse elementi precis•i che gli permettessero di formulare tale .ipotesi. Egli mi ha risposto di non averne ma che la cosa gli sembrava logi-ca visto che l'Inghilterra non si sarebbe così facilmente adattata ai nostri successi.

Ho fatto rilevare a Krestinskij che certamente niente era da escludere ma che però si era parlato recentemente di un eventuale progetto inglese per la riforma della S.d.N. basato su patti regionali di cui uno contemplava precisamente l'Austria. Se ciò era esatto sembrava doversi ritenere improbabile che l'Inghilte.rra lasciasse alla Germania mani libere in Austri-a.

Krestinskij mi ha poi domandato se la nostra posizione nella questione austriaca f.osse ancora quella del 1934.

Sulle mte aff.ermative egli ha affermato che non intendeva parlare del problema politico ma di quello militare. In altri termini Krestinskij giudicava la situazione militare odierna tedesca molto più forte di quella che non fosse anora mentre egli credeva che la situazLone italiana fosse stata indebolita dalla guer·ra in Afr,ica.

Ho detto a Krestinskij che egli poteva avere ragione per quanto si riferiva alla Germania ma che si sbagliava completamente nei l'iguardi dell'Italia. La guerm 1>n Africa sotto la minaccia europea ci av•eva obbLigato a portare i nostri armamenti nel Regno al massimo di efficienza per essere pronti ·a fronteggiare qualunque sorpresa dall'esterno. Oggi ntaHa è più forte che mai.

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IL MINl!STRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4571/059 R. Vienna, 11 maggio 1936 (per. il 18).

Al Ballplatz sono giunti due telegrammi del ministro d'Austria a Belgrado, rispettivamente •in data del 9 e del 10 corr.

In quello del 9 il predetto diplomatico ha riferito avere saputo dal segretario generale del ministero degli Esteri jugoslavo che i rappresentanti della Piccola Intesa av·evano dec,iso di compiere un nuovo passo diplomatico a Vienna «onde .ristabilire !'.eguaglianza nella questione del l'iarmo »; -che non era invece stato deciso alcunché circa la forma, H contenuto e l'•epoca di tal passo,

6 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

essendo rimasti d'accordo di convenire tali dettagli con l'ordinario tramite diplomatico -ma che ad ogni modo, qualora detto passo fosse rimasto infruttuoso, la Piccola Intesa si sarebbe rivolta alla S.d.N., e ciò anche nel caso in cui essa avesse motivo per ~itenere di non potere contare sull'unanimità del Consiglio ginevrino.

Il diplomatico austriaco riferiva inoltre di avere appreso Jn seguito, da buona fonte, che i·l suindicato passo della Piccola Intesa av.rà per •iscopo d'invdtare il Governo Fede.ra1e a mettersi d'accordo con essa prima di intrapr•endere qualsiasi misura di natura «militare », in dipendenza di quanto è stabilito dalla nuova legge sul serv•izio obbligatorio di Stato.

Nel telegramma datato del 10 il ministro d'Austria a Belgrado ha riferito avere Titulescu detto al ministro di Francia a Belgrado che la Piccola Intesa farà un passo a Londra ed a Parig•i per pregare i detti due Governi di far pesare la loro autorità sul governo austriaco affinché questo si metta senz'altro in dire•tti rapporti con la Piccola Intesa.

Berger si riserva inform3ire del contenuto del primo dei surriferiti telegrammi ·i Governi di Roma, Londra e Parigi., aggiungendo che il Governo Federale ritiene assolutamente superflua qualunque conversa:t'lione con gli Stati delLa Piccola Intesa, avendo esso minutamente spiegato il suo punto di vista nella questione del riarmo col noto recente suo memorandum (1). Quest'ultima dichiarazione sarà fatta fare dal Berger anche a Belgrado, Praga e Bucarest.

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IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4499-4501-4510/35-36-37 R. Berna, 12 maggio 1936, ore 0,20 (per. ore 6).

Ho consegnato a Motta nota verbale contenente comunricaztone decreto di cui al telegramma di V. E. n. 2062 circolare (2) aggiungendo dichiarazione verbale conforme alle istruz,ioni ricevute. Motta ha ·l'ingmziwto della comunicazione che trasmette.rà domani Consiglio Federale.

Cogliendo l'occasjone sue parole e come da •istruzioni ricevute S. E. Aloisi, ho parlato della posizione della Svizzera rispetto sanzioni dicendogH che, dopo mia comunicazione, Governo Federale doveva ritenere finita guerra e quindi cessare ogni possibile esistenza sanzioni che diventano o vessazione o punizione, comunque atto ostile ingiustificato verso l'Italia. Se Svizzel"a continuava parteciparvi, mancava e all'amiciz•ia e alla neutralità.

Egli ha riconosciuto che il continuare sanzioni non può avere giustif,icazione giuridica ed ha carattere da me denunziato, ma non può accettare conse

lO

guenza tutta, che trova ingiusta. La Svizzera, ripete come anche altra volta, non può prende11e iniziativa, non può staccarsi dalla solidarietà societar,ia, né prescindere effetto che sua inizialliva avrebbe in Francia e Inghilterra.

Ho replicato Svizzem non dovrà assumere iniziativa bensi compiere atto politico individuale tenuto conto situazione reale fondamentalmente mutata e suoi rappo!rti con ItaUa, e che riteng-o molto strano che, pre-occupata tanto per riflessi ~anglo-franc,esi di un gesto eventuale, non c-onsiderasse ~nvece molto più giusto e più utile preoccuparsi dei penosi triflessi che il suo ~attuaLe atteggiamento poteva avere in Italia. Ho aggiunto che, se amicizia Svizzera doveva consister~e soltanto in ruchiarazioni v~erbali e non prendere forma concreta, H Governo italiano poteva arrivare anche a giudicare inutile Trattato di amicizia (1).

Motta ha protestato e 'insistito nell'affermare impossibilità di un distacco dal konte sanzionista esprimendo speranza che nostro Governo vorrà comprendere delicata situazione del Paese.

Chiestogli perché, essendo contrario alla continuazione delle sanzioni, essendo contrario tutto H Consiglio Federale e la grande maggioranza opinione pubbHca, egl:i non volesse tradurne in atto questa conv,inzi,one, ha risp-osto ripetendo le suallegate ragioni aggiung.endo che credeva fare g,ià opera utile all'Italia sostenendo concretamente antisanzionisti neg~~ ambienti societari, come aveva fatto nella conferenza piccoli Stati.

Ho -opposto che esprimere un pensiero non vuole dire ~ancora compiere azione concreta, come s~arebbe stata una proposta antisanzionista, e che s~e Consiglio Federale riteneva imposs'ibi,le agire risolutamente, poteva trovare il modo di fare intendere suo pensiero in proposito.

Poiché Motta faceva altre diffìicoltà, ho concluso esprimendo mta f,iducia che sua 'esperienza politica saprà suggerire ConsigHo atto capace dimostrare che s~ tiene conto della si,tuaz,ione, si intende realizzare in Patria amici2'1ia della Sv,izzera per l'Italia.

Motta mi ha detto che riunione degli Stati ex neutri (2) è stata voluta da Madariaga. Essa, ,anzitutto, ha discusso -neHe due sedute cui Motta ha partecipato -delle sanzioni. Motta mi assicura di avere fatto una car~ca a fondo contro di queste perché sistema inapplicabile alle grandi Potenze e, riguardo situazione creata dalla vittoria italiana, dich~arandosi contrario alla loro conttnuazione non giustificabile giul'idicamente in base al Patto socdetario che non prevede applicazione sanzioni per punire un aggressore ma soLo per impedire o fare finire la gue11m.

Motta dice che soltanto ministro degli Affari Esteri della Norvegia ha fatto dichillirazioni analoghe alle sue; gli ,altri, e più specialmente quello della Dandmarca, sa.rebbero stati favorevo1i alla conllinuazione delle s,anzioni. Munch avrebbe insistito sulla nec~ess'ità che aggressore sia punito.

Dopo ciò hanno trattato della S.d.N. in rapporto alla nostra vittor.ia. Motta asserisce che, dnvano, ha cercato di portare <i. suo.i collegh'i ad una considera

·(l) Trattato di conciliazione e arbitrato tra Italia e Svizzera del 20 settembre 1924, prorogato per dieci anni il 20 settembre 1934. Vedi Trattati e convenzioni, vol. XXXIII, pp. 383-389.

zione •realista degli avvenimenti: tutti si sono mostrati contrari all'acc·etta:llione del fatto compiuto; tutti, però, hanno dichiarato che la collaborazione dell'Italia è necessaria per Ia sicurezza della pace dn Europa.

Terzo argomento della inconcludente discussione è stato la .ruforma delLa

S.d.N. Unanime è apparso il parere che, malgrado le sue insufficienze, questa si debba difendere e mantenere e che principio della sicurezza collettiva sia indispensabile al1a protezione dei piccoli Stati: sono s.tate ventilate molte proposte (tra cui una di Motta per l'abolizione totale dell'a.rt. 16) ma senza alcun Ilisultato positivo.

Motta ha detto che è stato ripetutamente interrogato sulle condizioni dell'ItaLia ed egli ha dichtarato che le sanzioni sono state un beneficio politico ed economico per noi e che le statistiche pubblicate dànno un quadro falso della situazione.

(l) -Memoriale del 2 maggio 1936 inviato dal governo austriaco al governi dei dodici Paesi europei allo scopo di rispondere alle obiezioni provocate dalla legge sul servizio militare obbligatorio. (2) -Vedi D. l.

(2) Si riferisce agli Stati rimasti neutrali durante la prima guerra mondiale.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FONOGRAMMA 4492/488 biS R. Ginevra, 12 maggio 1936, ore 1,40.

All'iniz-io della seduta di oggi, d:iscut·endo adozione ordine del giorno, Eden, quando si è trattato di rinviare questa.oni Shatt-el-Amb Assiri dell'Irak e divergenza Irak-Iran si è ·affrettato a invitare il rappresentante dell'Imk a sedere alla taV1ola del Consiglio. Quando do ho chiesto la parola sul n. 18 relativo confiUto itala-etiopico, Eden ha •analogamente invitato Wolde Mariam sedere alLa tavola del Consiglio. Ho al1ora dichiarato quanto segue: «Ho l'onore di dichiara;re che la delegazione italiana non può ammettere 1a presenza alla tavola del Oons•iglio del sedicente delegato etiopico. Non esiste, di f:att>o, nessuna parvenza d'organizzazione di uno Stato etiopico. La sola sovmnità che esiste in Etiopia è quella dell'ItaJ.ia. Ogni discussione relativa al conflitto italo-·etiopico sarebbe, per conseguenza, senza oggetto. Mi vedo dunque obbligato non parteciparvi ~.

Dopo di che sono uscito dalla sala.

Eden ha quindi dato la parola a Wolde Mar•iam il quale ha detto: «L'Etiopia, membro della S.d.N., non è agg.ressore, ma vittima dell'aggressione. Essa è attaccata oggi da uno degU Stati membri. Non ha violato nessuna legge dnternazionale e resta fedele alla S.d.N. ~

Eden ha allora detto che si stava discutendo su una questione di procedura. Tutti i. membri sa;rebbero stati l·iberi di espr.imere la lo.ro opinione, quando l'argomento fosse venuto in discussione in seduta pubblica. Ora si trattava di vedere se era conveniente che la questione del conflitto itala-etiopico venisse discussa nel corso della presente sessione. Per parte sua egH riteneva che ciò fosse necessario, ma voleva conoscere parere suod coUeghi. Madariaga è intervenuto dicendo brevemente che egli era d'accordo che la questione restasse iscritta. Il danese Munch ha appoggiato per parte sua opinione di Eden e di Madariaga. Eden ha allor·a chiesto se vi era qualcuno che fosse di avviso contrario. Nessuno, nemmeno Paul-Boncour, ha eccepito nulla. Di guisa che la questione è rimasta iscritta all'ordine del g1io<rno, come pure la questione renana nella quale nessuno è intervenuto. Dopo la seduta privata ho assistito alla seduta pubblica. SuHe 1mpressioni e sulla situazione generale riferisco con telegramma a parte (1).

Circola la voce che nella seduta ,in cui verrà :all'ordine del ~g~orno questione etiopica si avrebbe una proposta di rinvio della questione al 15 giugno (2).

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER TELEFONO 4473/489 R. Ginevra,, 12 maggio 1936 (3).

Litvinov espressemi sua opinione che sanz>ioni, imposte nella illusione evitare ovvero arrestare guer11a, qualora fossero prolungate, ·oggi che si rivelano inefficienti e che d'altra parte ostilità essendo cessate, non potrebbero produrre altro effetto che inaspràmento dissidio suscitando germi guerra. Pertanto egM è favorevole Imo abo1izlone.

Secondo lui, non essendo più possibile salvare Etiopia, non resta che cercare comporre diss'id~o fra l'Italia e S.d.N. Ormai tentativo mobilitazione della

S.d.N. contro aggresso,re ha concluso suo ciclo. Ogg,i c'è inizio nuovo.

Perché si dimentichi passa.to e si riprenda collaborazione fra Italia e S.d.N., secondo lui è necessario che l'Italia fornisca seguenti garanzie: l) di essere disposta a cooperare al !Vafforzamento e all'efficiente funzLonamento della S.d.N.; 2) di essere disposta a coHaborar~e al sistema s~icurezza collettiva; 3) essere pronta ad intervenire ~attivamente in Austria, anche in caso colpo di Stato nazista, sotto qualsiasi forma; 4) accettare assumere parte nello stabilimento sistema sicurezza per Oriente.

Ho ascoltato dando chiaramente ad intender~e quanto poco opportuno mi apparisse questo enunciato di condizioni da presentare all'Italia, limitandomi a dire che su quasi tutti questi punti, e specialmente su quello dell'Austria, il Capo del Governo si ena espresso 'in modo inequivocabile che .rendeva superfluo ogni ulterriore chiarimento.

Litvinov ha riconosciuto giustezza tale ~osservazione però ha insistito dicendo che, dopo parentesi ultimo anno, apparivagli desiderabile una viconferma.

Passando all'abolizione delle sanzioni ha risposto al mio quesito dicendo che appoggerebbe una eventuale iniziativa altrui rel<ativa lor~o abolizione. Ho l'impressione che egli voglia però connetterla ad un sistema di sicurezza collettiva limitato all'Europa che consenta una dignitosa liquidazione questione etiopica.

Concludendo ho esplorato suo atteggiamento mantenendomi, per mio conto, su linea di assoluto riserbo.

(l) -Non pubblicato. (2) -Nella seduta del 12 maggio, n Consiglio della S.d.N. deliberò di mantenere in vigorele sanzioni e d! rinviare al 16 giugno ogni altra deliberazione circa la controversia italo-et!op!ca. (3) -Manca l'!nd!caz!one dell'ora di partenza.
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L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4528/85 R. Tokio, 12 maggio 1936, ore 7,45 (per. ore 14,30).

Telegrammi circolare di V. E. n. 2062 (l) e 2089 (2).

In assenza ministro degli Affari Esteri ho fatto comunicazione vice ministro aggiungendovi prescrittimi chiarimenti a nome R. Governo.

Vice ministro mi ha spontaneamente detto che, data sua importanza, questione eventuale riconoscimento è oggetto di studio del Governo giapponese. EgH mi ha chiesto se dirUto e interessi giapponesi in Etiopia sarebbero stati da noi rispettati.

Ho risposto ignorare idee R. Governo.

Vice ministro mi ha confermato odierna partenza del signor Asada il quale si reca Addis Abeba per sostituirvi quell'incaricato d'affari non lievemente ammalato.

Avendogli fatto rileva;re che H Governo etiopico non esisteva più e che quindi nuovo funZiionario non av.rebbe potuto ·essere accreditato, mi ha risposto che ciò aveva scarsa importanza essendo stato inviato per tutelare esistenti interessi giapponesi.

Signor Osada, finora segretario Direzione economica ministero Affari Esteri appartiene ruolo amministrativo e sembra abbia particolarmente studiato questione espansione commerciale mercato africano.

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L'INCARICATO D'AFFARI A CITTA DEL CAPO, LO JUCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4564/35 R. Città del Capo, 12 maggio 1936, ore 16,09 (per. ore 18,25).

Telegramma di V. E. n. 2062 (3). Ho ieri consegnato questo Segretario Affari Esteri nota con testo decreto relativo Etiopia. Nel far presente quanto telegrafato dall'E. V., egli mi disse che atteggiamento questo Governo al r.iguardo doveva intendersi quale era stato dichiarato dal primo ministro in Parlamento, discorso indicato con mio telegramma n. 28 (2). Supreme esigenze vita e difesa obbligano questo Paese mantenere forte linea di condotta assunta non per politica contro

l'Italia ma per propria sicurezza e timore impresa contro Etiopia avesse un giorno ad essere ripetuta da qualche altra grande Potenza contro se stesso.

Spiegai essere situazione completamente dliversa ma sentii in tutto suo ragionamento incubo preoccupazione questo Paese che bramoso indipendenza sentesi incapace tenere testa eventuale minaccia esterna. Confermo doversi per tale ragione questo Governo opporsi in ogni modo fatto compiuto, con mantenimento quLndd sanzioni.

Avendogli domandato se questo Paese che era stato pr.imo raccomandare sanzioni s·arebbe ultimo rinnovarle, rispose dipendere ciò da piega che medesime prenderanno deliberazioni Ginevra.

Governo Sud-Africa che ha fede S . .d.N. non mollerà; per questo non ha neppure per adesso considerato linea che esso dovrebbe assumere qualora S.d.N. dichiarasse uniformarsi fatto compiuto e tagliare oorto con provvedimenti adottati. Ciò vorrebbe dire morte S.d.N. con incalcolabile danno e pericolo per piccoli Stati, che si vedrebbero in balia mire imperialistiche grandi Potenze. In tal caso Unione Sudafricana dovrebbe esaminare e decidere come premunirsi e garantire propria sicurezza.

Gli ho fatto osservare che tale sicurezza piccoli Stati quale Sudafrica dichiarasi, meglio di ogni altro modo risulta ed è garantita da equilibrio che nuova posizione imper.iale ItaHa 1n Africa viene a creare; ma egH mi rispose che ciò vorrebbe dire ritornare epoca anteriore Grande Guerra.

A parte dipendenza dia influenza 1inglese deve tenersi presente speciale situazione carattere locale di cui politica Unione Sud-Africana, Paese africano, risente. Suo atteggiamento prima linea in questrone etiopica, di fronte altri Domini, lo prova.

Macchina S.d.N. lanciata ciecamente dall'Inghilterra troverà per le considerazioni esposte qui maggiori difficoltà ad essere allestita. Non sarebbe d'altra parte da escludere che, mentre linea di condotta questo Governo fu assunta e svolta sotto influenza politica inglese, ora possa finire per influenzare, sia pure per via traversa e senza importanti risultati pratici, stesso Governo Imperiale. Recente sopra accennato discorso generale Hertzog potrebbe forse sotto quest'ultima consideraz.ione trovare spieg,azione.

(l) -Vedi D. l. (2) -Con T. 2089/C. R. dell'H maggio, ore 9,30, Suvich aveva Inviato Istruzioni agli ambasciatori a Berlino, Rio de Janeiro. Washington e Tokio di sondare il governo presso il quale eranò accreditati circa la questione dell'eventuale riconoscimento della sovranità italiana sull'Etiopia, sottolineando che tale riconoscimento si sarebbe potuto considerare come una naturale conseguenza dell'atteggiamento assunto nel confronti del conflitto itala-etiopico. (3) -Non pubblicato.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. u. 2122/74 R. (1). Roma, 12 maggio 1936, ore 17.

La informo che sono a conoscenza della dichiarazione che H delegato ·argentino dovrebbe fare a Ginevra. Essa è nettamente ostile all'Italia (2).

(l) -Minuta autografa. (2) -Per la risposta vedi D. 25.
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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4543/493 R. Ginevra, 12 maggio 1936, ore 20 (per. ore 20,30).

Aras espoS'tomi proposta turca c-irca questione demilitarizzazione Stretti. l) Soppressione articoli Convenzione Stretti relativi demilitarizzazione; 2) Manteillimento ·in vigore articolo relativo tmff.ici commerci·ali; 3) Gonvocaz·Lone di una Conferenza, preferibilmente a Montreux, nella seconda metà giugno per giungere f~ssazione di nuove no·rme che regolino passaggio navi da guerra. Tali norme dovranno essere basate sul principio deila sicurezza del Mar Nerro, del Mediterraneo e delle coste turche. Aras spera che i. Governi vogliano dare una pl'ova di friducia alla Turchia dando già frin da orra consenso alla demilitarizzazione.

Ho •risposto avrei trasmesso proposta a V. E., ma che a titolo pe.rsonale gli facevo osservare che era necessaria una consultazione fra i firmatari e che comunque sembravami molto ardito che fosse proprio lui. a chiedere prova di Hducia.

Aras ha detto che Inghilterra e U.R.S.S. hanno già dato il consenso alla convocazione conferenza. Dopo ottenuto quello degli altri firmatari europei, chiederà quello del Giappone.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER TELEFONO 4544/494 R. Ginevra, 12 maggio 1936, ore 20,30.

Ho portato a conoscenza Aras contenuto telegramma di V. E. n. 63 (l) ottenendo da lui categorica smentita. Inutile dire che ho sensazione che, come sempre, egli abbia mentito.

Profittato per biasimare politica da lui seguita nei nostri riguardi nel Mediterraneo adducendo note rag·ioni cui egli risposto come già a R. Ambasciatore Angora. Gli ho aggiunto che condotta Turchia aveva intacc·ato nostro Trattato di amicizia (2). Al che Aras ha replicato che Francia, pur essendo nostra alleata, ha seguito stessa politica.

Gli ho fatto allora osservare che a suo tempo avevamo fatto conoscere nostra riprovazione per po1itica seguita nel Mediterraneo anche alla Francia, La quale, per altro, non e·ra nostra alleata come egli pretendeva.

Aras ha replicato che manteneva l'espressione alleata in quanto era perfettamente al corrente degli accordi militari itala-francesi (1).

Cl siamo lasciati discordando in pieno su tutti gli argomenti esaminati.

(l) -Vedi D. 5. (2) -Trattato tra Italia e Turchia di neutralità, concil!azione e regolamento giudiziario del 30 maggio 1928 (vedi Trattati e convenzioni, vol. XXXVIII, pp. 111-118). Il trattato era stato prorogato di tre anni con protocollo del 25 maggio 1932 (ibid., vol. XLIV, pp. 335-336) ed ulteriormente prorogato sino al 29 aprile 1942 con scambio d! note in data 31 maggio 1934 (ibid., vol. XLVIII, pp. 150-151).
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L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 4582/186 R. Rio de Janeiro, 12 maggio 1936, ore 21,20 (per. ore 3,45 del 13).

Telegramma di S. E. il Capo del Governo n. 2089 di ieri (2). Avanti di sondare questo Governo, descrivo a V. E. situazione quale ogg,i si presenta nei riguardi eventuale riconoscimento da parte del Brasile.

l -Seguito a pacificazione partiti intorno Vargas, questi ha predisposto movimento ministeriale per cui Macedo Soares lascierebbe ministero Affari Esteri e assumerebbe Portafoglio Scambi Economici con Estero.

Macedo Soares è concorrente per futura presidenza della Repubblica troppo presto scopertasi. Egli tenta ·rimanere, ma si constdera quasi inev·itabile suo allontanamento con var,ie conseguenz.e per nostri interessL

2 -Massimo ostacolo sarà prevedibilmente costituito datr.art. 4 della Costituzione che condanna «guerre di conquista » e Vlieta quind[ riconosc·imento dei risultati. Su questo baluardo aggruppasi la massoneria per imped.ire al Governo concludere log<ica sua politica •antisanzionista. Parlamento potrà ess•ere chiamato in causa con consuete complica2lioni opinione pubblica.

3 -Sopradetto articolo della CostituZ'ione è stato recentemente •ribadito da questo ministero Affari Esteri nella conferenza pacificazione Chaco e nel conflitto Letizia nonchè e sopratut.to nel noto Patto antibel1ico detto SaavedraLamas del 1933 (3). Esso reca firma del Brasile e anche la nostra.

United Press segnala da Ginevra che Avenol ho orientato rappresentanti del Sud America nel senso che essi debbano negare riconoscimento nostra sovil"anità in oss·equio alla clausol·a sopra indicata del Patto Saavedra-Lamas. In proposito vorrei permette•rmi richiamare la memoria, a semplice titolo documentario, sui miei teleg.rammi 457 del 28 novembre 1933 e particolarmente sul 458 (4) medesima data, con i quali informavo che Brasile non era entusiasta del Patto stesso e mi mostravo rUuttante nel consigliare adesione. Infine medesima dichiarazione oontrar,ia al r'iconoscimento frutto «guerra conquista » sarà quasi certo compresa nel programma prossima conferenza panamericana con approvazione tutti d. partecipanti. Ciò prov'a quanto sia fondata mia preoccupa

zione ribadita con miei aerei 159 del 25 aprile (1), 277 del 27 aprile u.s. (2), 299 del 6 maggio (3) ultimi per qualsiasi organizzazione collettiva degli Stati latini d'America.

Anche dal mio telegramma n. 458 del 28 novembre 1933 risulta che Patto di non aggress•ione Saavedra-Lamas fu voluto dal Foreign Office.

4 -Superfluo 11icordare che decisione di Washington circa riconoscimento dell'Etiopia avrà influenza grandissima sulla condotta del Brasile. Oggi ho dovuto spiegare che l'ambasciatore Stati Uniti presso il Quirinale non partecipava ricevimento Duce Palazzo Venezia dopo decreto dell'annessione, perchè in c.ongedo in patria. Prego telegrafarmi ogni informazione che specie Rosso e poi Attolico e Auriti forniranno circa decisione di quei tre Governi.

Questa è situazione di fatto nella quale compirò sondaggi ordinatimi. Frattanto prego fornLrmi urgenza elementi persuasiv<i non ta.nto politi·oi o morali in favore riconoscimento, quanto giuridici. Infatti consiglieri governativi domandano se non sarebbe per esempio poss·ibile trovare nell'accordo tripartito per Abissinia 1925 ( 4) materia per dimostrare che non si tratta « guerra conquista », ma invece di applicazione di fatti della preesistente o predisposta situazione griuridica internazionale accettata da Inghilterra e Francia. Detta argomentazione sarebbe più interessante se l'accordo ti'ipartito 1925 fosse stato registr·ato.

Resto in attesa.

(l) -Vedi serie ottava, vol. l, D. 480. (2) -Vedi p. 14, nota 2. (3) -Patto di non aggressione e conciliazione del 10 ottobre 1933 sottoscritto da Argentina, Brasile, Cile, Messico, Paraguay e Uruguay a Rio de Janeiro (in MARTENS, Nouveau Recueil Général de Traités, vol. XXXII, ,pp. 655-664) Al patto avevano aderito successivamente numerosi altri Stati. L'Italia vi aveva aderito, con alcune riserve, il 14 marzo 1934 (Trattati e convenzioni, vol. XLVI, p. 329. nota 1). (4) -Non pubblicati.
21

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BERNA, TAMARO

T. 2126/52 R. (5) Roma, 12 maggio 1936, ore 22.

Ringrazi l'On. Motta per la premura colla quale ha fatto sapere dopo la riunione dei cosidetti neutri che la Svizzera si era ben guardata dal chiede·re la fine delle sanzioni (6).

Metto anche questo episodio insieme agli altri che saranno ricordati a suo

tempo.

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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4688/050 R. Belgrado, 12 maggio 1936 (per. il 15).

La comunicazione del decreto d'annessione dell'Impero etiopico è stata accolta da questo Governo e dagli ambienti uffic,iaii senza alcuna sorpresa ed è

interpretata e definita come soluzione unica e ineluttabile. Ciò non togHe che impressione sia profonda e che spettacolo d.i potenza offer.to dall'Italia abbia risvegliato un diffuso senso di preoccupazione al cui fondo si cela un sentimento di ostilità .invidiosa e impotente.

Il pensiero uffic.iale è •rappresentato da un articolo del Samouprava giornale di Stojadinov,ic apparso il giorno 9, qualche ora prima della nostra adunata, e riportato, non a caso, nella sua parte essen21iale, nell'edizione speciale dell'agenzia ufficiale: «La guerra .italo-etiopica è finita colla partenza dell'Imperatore Hailé Selassié e coll'entrata delle truppe italiane in Addis Abeba. La partenza de1l'impe.ratore significa in pavi tempo la capitolazione d·ell'Etiopia e molti la considerano come la fine stessa dell'Etiopia quale St;ato sovrano; all'odierno stato dell<e cose qualsiasi altm previsione non potrebbe essere che sentimentale e romantica... ».

Opinione pubb1ica serba è invece meglio rispecchiata dalla r-imanente stampa che con commenti propri e In gran pa·rte riportando opinioni più malevole della stampa inglese e francese cerca sminuire con puerili tendenziosi argomenti la portata della nostra vittoria e rifiuta rassegnarsi all'irreparabile facendo assegnamento su riserve e opposizioni ang.1o-francesi e societarie, specialmente insistendo sulla tesi f·ranoose degli impegni derivanti dalla .convenzione tripartita sull'Etiopia, tesi il cui valore dovrebbe essere rtnforzato dalla v<ittori,a del Fronte Popolare in Francia e dalla imminente assunzione al potere dei socialisti.

Circa questione abolizione sanZ<ioni confermo essa non poté essere trattata in riunione Intesa Balcanica (l) per opposizione di Aras, mentre questione fu discussa in riunione Piccola Intesa (2) dando luogo ad aperte dichiarazioni di Krofta a favore abolizione. Decisione però -in seguito .a;i sopravvenuti avvenimenti -fu rinviata <a nuovo esame in occasione r·iunione Ginev.ra. In odie<rna conversazione questo ministro aggiunto Esteri, Martinatz, dandomi conferma di questi particolari, mi ha rif.erito che secondo sue notizie da Ginevra problema sanzioni non sarà discusso che a giugno « per riguardo alla S.d.N. e sopratutto all'Inghilterra ». Immediata lev.ata san21ioni dopo proclama?Jione ·annessione rappresenterebbe riconoscimento fatto compiuto e troppo aperta confessione fallimento Lega nonché politica britannica. Mi ha tradotto il pensiero uff!iciale jugoslavo in proposito, colla speranza che, fr·attanto, le sanzioni cadano g.radualmente di fatto per successive diserzioni.

(l) -Vedi serle ottava, vol. III, D. 762. (2) -Ibid., D. 775. (3) -Non pubblicato. (4) -Slc. SI tratta presumibilmente del tratato fra Italia, Francia e Gran Bretagna del 13 dicembre 1906. (5) -Minuta auotgrafa. (6) -Tali dichiarazioni erano state rllasciate da Motta all'Agenzia telegrafica svizzera.
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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA S. 2006/816. Belgrado, 12 maggio 1936 (per. il 18).

Mi onoro comunicare all'E. V. il seguente rapporto con cui questo R. addetto militare risponde a una richiesta di accertamenti pervenutagli dal R. ministero

della Guerra, c,i.rca un patto di amicizia e collaborazione tedesco-jugoslavo, che sarebbe stato proposto al Governo di Belgrado dal signor von Papen, in occasione del recente viagg1i,o di quest'ultimo in Dalmazia:

«DaLle informazioni raccolte da questa R. Legazione, non appare che il viaggio compiuto in Dalmazia -durante lo scorso aprile -dal ministro del Reich a ~ienna Von Papen, abbia avuto scopi politici determinati. Sembra che von Papen abbia incontrato una sola personalità politica jugoslava, il ministro delle Foreste e Miniere, Djura Jankovic, che è però persona assai legata al Pre:>idente StojacHnovic.

Occorre, invece, seguire l'abile azione politica svolta dal ministro del Reich a Belgrado, Vietar von Heeren. Risulta che le trattative commerciali tedescojugoslave, intervenute a Zagabria ai primi di aprile, hanno avuto una certa ampiezza; è ben noto, del resto, che la Jugoslavia è creditrice di circa 500 milioni di dinari dalla Germania, e che il Reich -per assicurarsi il mercato -è disposto a pagare i suoi debiti in prestazioni, ma non in valuta. L'influenza finanziaria germanica si è rivelata, recentemente, anche con l'intervento della casa Krupp nel garantire lo sviluppo delle Ferriere di Zenica (l'argomento è largamente considerato nel mio notiziario di fine aprile, a pag. 40).

Se al Governo jugoslavo sono state fatte offerte di un patto di amicizia e di collaborazione con la Germa.nia, le proposte dovrebbero certo partire dalla rappresentanza diplomatica del Reich. Nulla risulta, finora, di positivo al r-iguardo; nessun indizio di impegni tedesco-jugoslavri è trapelato in occasione delle conferenze dell'Intesa Balcanica e della Piccola Intesa, che si sono svolte tra il 4 e il 7 corrente.

A titolo confidenziale avverto che il conte Dampierre, ministro di Francia a Belgrado, ha rinterpellato il R. Ministro sul preteso patto di amic·izia: S. E. Suvich avrebbe accennato all'argomento in una conversazione con l'ambasciatore de Chambrun, e l'oggellto della conversazione è stato comuntcato da Parigi al rappresentante della Repubblica in Belgrado. Anche il ministro di Francia, pur ammettendo le buone relazioni esistenti tra Germania e Jugoslav[a, dubita che tra i due Governi possa essere raggiunto un patto, che .impegnerebbe la politica estera della Jugoslavia, legata all'indirizzo collettivo della Piccola Intesa.

In sostanza si deve -per ora -ammettere che il Reich ha ripreso il lavoro di penetrazione nei Balcani, già svolto dall'Impero germanico. I risultati commerciali e finanziari potrebbero portare, se non a patti bilaterali, per lo meno a intese nel campo politico; buone ·relazioni dovrebbero manifestarsi anche nel campo militare, a traverso forniture di materiali, scambi culturaloi, ecc.

Non appaiono atti, o manifestazioni, nel senso ora detto; l'argomento sarà da me attentamente seguito).

Le conclusioni di questo R. addetto militare in merito al preteso patto, concordano con le risulta;nze degli accertamenti eseguiti da questa R. Legazione in relazione al viaggio pasquale del signo•r von Papen rin Dalmazia e all'eventuale attività da lui sv.olta, nonché colle notizie e opinioni riferitemi dai colleghi di Francia, Austria e Ungheria, circa la possibilità che il ministro del Reich a Vienna sia stato qui latore di proposte concrete. Si osserva che, a parte quale possa essere oggi la personale autorità di von P·apen di fronte al suo Govemo, e astraendo da un possibile suo desiderio di mettersi in eV'idenza attraverso iniziative di Jarga portata, non pare verosimile che U Governo tedesco abbia potuto servirsi de.! signor von Papen per fare delle concrete e dettagliate proposte a Belgrado mettendo in disparte il suo ministro in Jugoslavia, signor von Heeren, persona attivissima, che gode di molta influenza negli ~mbienti governativi jugoslavi, ·e legata da stre·tti e cordialissimi rapporti person~1i con Sto}ad1novic. Il sìgnor von Heeren, f,ra l'altro, è stato eirca due mesi or sono a Berlino a prendere istruzioni dirette dal Fuhrer e dopo il suo ritorno sono stati iniziati e conclusi i noti accordi commerciali di Zagabria e il contratto con la casa Krupp per il rinnovo degli impianti degli stabilimenti metallurgici di Zenica.

La .collaborazione economica jugoslavo-tedesca che sarebbe prevtista nelle pretese proposte di von Papen, è già in atto e in pieno sviluppo e porterà senza dubbio ana fomitura di importanti e continuati contingenti di materiale bellico alla Jugoslav,ia.

Quanto •al contenuto politico delle predette proposte, non è possibile un preciso accertamento circa la misura e la forma di eventuali impegni esistenti tra Berlino e Belgrado, dei quali si parla già da qualche tempo. Sta però di fatto che, per vari segni esteriori, di volta in volta registrati e segnalati da questa

R. Legazione, .la politica di Belgrado sembra ormai or.ientata verso BerHno circa

i principali problemi seguenti: Disinteresse del problema austriaco e dell'indipendenza aus,trliaca. Non opposizione all'Anschluss. Disposizioni a un riavvictnamento con l'Ungheria sotto gli auspici di

Berlino. Riavv,icinamento jugoslavo-bulgaro in funzione di un appoggio tedesco alla Jugoslavia per lo sviluppo della sua influenza nei Balcani. Resistenza contro il ,riconoscimento dei sovieti.

(l) -Vedi p. 5, nota 3. (2) -Conferenza della Piccola Intesa a Belgrado, 7 maggio 1936.
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IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 628/419. Praga, 12 maggio 1936 (1).

Il rapido formidabile successo delle armi italiane in Af,rlica ed H trionfo dell'Italia fascista hanno, come dovunque, destato vivissima impressione anche in questo Paese. A parte i soliti estremismi, l'ammirazione è stata generale in tutte Ie sfere della popolazione se pure i commenti ufficiosi e non ufficiosi siano stati misurati. Due sentimenti hanno predominato: uno di soHievo in quanto la f1ine della guerra africana dovrebbe portare alla cessazione di una anormale e dannosa situazione economica, un altro di rassicurazione in quanto la vittoria e conseguente potenziamento dell'Italia nelle sue forze mate,r.iali. e nel suo

prestigio internazionale dovrebbe signif1care un più strenuo baluardo contro il

germanesimo invadente, incubo perenne della Cecoslovacchia.

Le sfere uffìcLali sono rimaste uffoicialmente riservate, privatamente f,anno buon viso alla nostra Vlittoria. Benes già qualche g-iorno fa .irrideva ,ai « maestri » m Parigi e di Londra ed ai loro errati calcoli sulla durata e le vicende della guerra. Hodza mi chiedeva se non erav,amo abbastanza soddisfatti del senso di quasi compunzione di tutti coloro che si erano sbagliati. Krofta, taciturno, nel ricevere .ieri la nota verbale relativa all'annessione dell'Etiopia all'ItaUa aveva l'ania :di voler dire: va bene purchè non se ne parli più e torniate qui ad occuparvi dell'Europa centrale, ma si limitò a dirmi che la piccola Cecoslovacchia non poteva che seguire quello che av,rebbero fatto i grandi.. Gli chiesi cosa ne era stato delle sanzioni a Belgrado (l); mi accennò che ne avevano parlato ma· aveva;no finito per decidere di non prendere alcuna iniziativa e di seguire, anche in questo, l:e dire,ttive di Parig'i e di Londra.

Alcuni colleghi, fra cui il nunzio apostolico, il ministro di Germania, l'incaricato d'affari del Giappone, i ministri di Bulgaria, d'Austria, di Ungheria, mi hanno espresso il loro compiacimento, alcuni altri si sono contentati di f,arlo sottovoce, 11 collega dell'U.R.S.S., di solito impassibile, si è felicitato richiamando la mia attenzione sul noto articolo del Journal de Moscou.

La collettività italiana, si capisce, ha esultato di soddisfazione e di gioia (2).

(l) Manca l'indicazione della data di arrivo.

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L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4577/119 R. Buenos Aires, 13 maggio 1936, ore 0,23 (per. ore 8).

Telegramma di V. E. n. 74 (3) mi è giunto contemporaneamente al resoconto delle agenzie telegrafiche, cLrca odierna seduta Ginevra.

Mi sono "immediatamente recato da Saavedra Lamas e gli ho fat,to fermamente notare che l'atteggiamento del delegato argentino (4), paragonato a quello marcatamente amichevole del Cile, ed in spiccato contrasto col sentimento chiaramente manifestato proprio in questi g,iorni dalla opinione pubblica argéntina, si prestava ad una interpretazione sostanzialmente ostile all'Italia. Attiravo quindi tutta la sua attenzione sulla responsabilità. delle ripercussioni pr,esenti ed avvenire che potrebbe derivarne.

Pur difendendosi energicamente da ogni intendimento di voluta ostilità contro di noi ed anzi nuovamente invocando a riprova il solito motivo della nullità pratica delle sanzioni in Argentina, mi ha, in sostanza, fatto chiaramente

comprendere che di fronte alla situazione insostenibile in cui è venuta imprevedibilmente ad esse,re tratta l'Argentina contro ogni suo interess·e a causa della propria malaugurata presenza nella Lega ·e di fronte al risentimento sempre più generale che qui ne è derivato, aveva ritenuto indispensabile fare senza indugio ~ievoc!l!re a Ginevra i principi basici de1la sua politica territo,riale in modo da giustificare agli occhi del Paese e del mondo e particolarmente nei riguardi della preparazione della prossima conferenz,a panamericana di Buenos Aires, la utilità della partecipazione di un Paese americano al consesso pacifista europeo.

Ho obiettato, senza esitazione, che, malgrado ogni possibile invocazione di utopistic'i pr,incipi, atteggiamento tenuto a Ginev,ra dimostrava difettare senso comprensione realtà, né teneva conto obblighi morali e materiali verso ntalia, nonché verso stessa popolazione dell'Argentina. Ho concluso per ora osservando che, mentre mi riservavo riferire quanto sopra, ero certo che questa opinione pubblica non avrebbe giudicato tale atteggiamento come conforme ai veri e legittimi interessi di questo Paese.

(l) -Vedi p. 19, nota 2. (2) -Il presente documento reèa Il visto di Mussolinl. (3) -Vedi D. 17. (4) -Nella seduta del Consiglio del 12 maggio, il delegato dell'Argentina Ruiz Guifiazu si era dichiarato favorevole al mantenimento delle sanzioni contro l'Italia come misura necessaria per salvaguardare i principi fondamentali del Patto.
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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SOOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER TELEFONO 45·63/502 R. Ginevra, 13 maggio 1936, ore 11,24.

L'impressione di questi ambienti per quanto concerne la partenza della delegazione italiana (l) è ancora di grande disorientamento. Ho fatto il possibile nella serata di ieri per mantenere tale stato d'animo evitando di rispondere alle numerose persone che me lo chiedevano, se il gesto del barone Aloisi dovesse essere considerato ,come un distacco definitivo o come un temporaneo allontanamento. Ho risposto che solo H Duce sapeva quali decisioni sarebbero state pmse in seguito.

Naturalmente le interpretazioni sulla partenza della delegazione sono numerose e contraddittorie. Alcuni sono convinti che tale partenza è il preludio di un distacco definitivo, ciò che sembra ad essi logico in quanto non sanno in quale modo la S.d.N. potrà uscire dall'imbroglio in cui essa stessa si è posta, fingendo di ignorare quanto è successo in Etiopia e ammettendo di nuovo alla tavola del Consiglio il cittadino itaLilllno Wolde Mariam, rappresentante dell'ex Imperatore.

Naturalmente gli antifascisti sostengono accanitamente la tesi che S.d.N. non deve lasciarsi distruggere dall'Italia e che essa deve batterla sul tempo applicando senz'altro l'alinea 4 dell'art. 16 e procedendo alla sua espulsione dalla Lega.

A quanto mi ha detto un delegato, membro del Consiglio, nella riunione di lunedì sera a casa del signor Avenol, alcuni delegati hanno parlato anche di questa eventualità sostenendo che la S.d.N. non dovrebbe permettere che, con un ultimo gesto di sdegno e di sfida, l'Italia riuscisse nell'Intento di liquidare di fatto l'organismo ginevrino. La stessa tesi sostenuta a Londra dal News Chronicle è ripresa qui stamane dal Journal des Nations.

La verità è che quasi tutti ,i membri del Consiglio si trovano nella situazione di chi, essendo sconfitto ignominiosamente e pubblicamente, sente un certo rancore nel dover confessare e ammettere apertis verbis la propria disfatta.

«Era impossibile -mi diceva ieri sera l'ambasciatore Lopez Olivan che il Consiglio, all'indomani della fine dell'Etiopia e della proclamazione dell'Impero in barba alla Lega, reg·istrasse l'atto di morte dell'una e l'atto di nascita dell'·altro, come voi forse av.reste desiderato! Io sono convinto -ha soggiunto l'ambasciatore -che la vostra posizione lunedì sera era ottima. In sostanza tutti sapevano che il rinvio al 15 giugno era un modo elegante per seppellire la cosa. Con la partenza della delegazione gli animi si sono inaspriti e alcuni delegati mostrano di voler reagire alla imposizione che con tale gesto volete fare e cioè pretendere che la Lega non solo accetti la sua sconfitta, ma addirittura a 48 ore di distanza la legalizzi ),

Ho risposto a Olivan che l'Italia non chiedeva che l'eroismo della Lega si spingesse fino ad acclamare il nuovo Imperatore d'Etiopia. Noi volevamo che si agisse col dovuto tatto per non mettere il delegato italiano nella necessità di assumere l'atteggiamento che aveva assunto. La soddisfazione che Ll Consiglio S'i era presa facendo sedere Wolde Mariam alla sua tavola era ben magra. Eden avrebbe potuto lui stesso trovare il modo di evitarlo proponendo direttamente, come presidente del Consiglio, il rinvio puro e semplice della questione. Viceversa il modo con cui si era affrettato ad interrompere il barone Aloisi per invitare Wolde Mariam a sedere alla tavola del Consiglio era già un sintomo di uno stato d'animo al quale non era possibile non reagire.

Fouques Dupare, capo Gabinetto di Paul-Boncour, mi ha de·tto a sua volta che il suo ministro era rimasto molto male per la nostra partenza. Egli trovava che il nostro modo di procedere era brusco e voleva mettere tutta l'Europa davanti al fatto compiuto non tenendo neppure nessun conto degli interessi della Francia in Etiopia. Il mio interlocutore aveva l'aria .eccitata e preoccupata.

Gli ho risposto che il suo ministro s'ingannava. Il Governo italiano aveva numerose volte fatto conoscere a Par,igi la sua buona volontà di rispettare gli interessi f·rancesi. Ma l'Europa, ed anche la Francia, sembravano dimenticare che l'Etiopia era stata debellata e conquistata dall'Italia, attraverso sacrifici formidabili. È anche strano che si pretendesse, dopo tante osti.Iità che ci erano state fatte, di dividere i benefici di una conquista che rEuvopa aveva sabotato e ostacolato con tutti i suoi mezzi.

In conclusione la situazione a Ginevra resta confusa tra coloro che predicono l'espulsione -minoranZ!e e fanatici -e coloro che capiscono la gravità della situazione fra cui tutti i funzionari del segretariato che temono come l'eventuale uscita dell'Italia da Ginevra significhi la morte dell'istituzione. Sopratutto preoccupati sono, come è facile comprendere, i circoli f·rancesi.

(l) Vedi D. 13.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4585-4601/504-505 R. Ginevra, 13 maggio 1936, ore 19 (per. ore 21,50).

S. E. PHotti comunica quanto segue: «I soli commenti che si sono avuti sino ·ad ora a proposito partenza delegazione italiana sono quelli dei francesi, dei rumeni e dei cecoslovacchi.

I francesi si dichiamno apertamente costernati e non fanno mistero dell'indirizzo che, a parere loro, gli avvenimenti prenderanno e che consisterà in uno str·etto riavvicinamento fra Inghilter.ra e Germania. Ce·coslovacchi e romeni si mostrano estremamente preoccupati, i primi addirittura atterriti.

Litvinov ha detto ai rappresentanti Piccola Intesa che il nemico sicuro è la Germania e che è assurdo tenere in vita .le sanzioni per permettere all'Inghilterra di negoziare Ia tutela dei propri interessi .riguardo derivazione delle acque del Lago Tana essendo questo il solo scopo prattco che le sanzioni possono avere.

Avenol mi ha parlato della situazione e mi ha espresso anche egli l'opinione che è evidentemente comune agli elementi ufficiali francesi, che ormai vi è da attendersi il riavvicinamento totale dell'Inghilterra e della Germania. Gli sforzi della Germania per ottenere questo risultato (sforzi sinceri in quanto Hitler ha sempre sostenuto che l'e.rrore della Germania prima della guerra mondiale fu di guastarsi con l'Inghilterra) saranno senza dubbio intensificati. D'altra parte gli inglesi, che si sentono ogg·i profondamente umiliati, saranno naturalmente attratti verso .la Germania. Mi ha aggiunto che la questione etiopica è ormai liquidata ·e che anche il nuoV'o Governo francese lo ri.conoscerà.

Circa la personalità del futuro ministro degli Esteri mi ha detto di non sapere nulla, ma mi ha confermato quanto si dice in questi ambienti e cioè che Paul-Boncour non ha probabilità di essere prescelto perché considerato troppo indipendente dai socialisti dai quali si separò.

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 4592/86 R. Vienna, 13 maggio 1936, ore 20 (per. ore 21,50).

Tutti i giornali, meno Reichspost, hanno stamane riprodotto telegramma diretto da Starhemberg a S. E. il Capo del Governo (1). Te.legramma ha fatto

7 -Documenti àtplomatlci -Serle VIII -Vol. IV

sensazione essendo stato interpretato ,come una replica al1e manifestazioni democratiche del Cancelliere di domenica scorsa (mio telegramma n. 81) (l) nonché prodromo di una netta reazione heimweherista. Mi consta inoltre che anche alcuni miei colleghi ne sono rimasti impressionati e che ministro di Francia, essendov,i oggi ricevimento diplomati·co, ha fatto al.cuni rilievi circa passaggio relativo alla vittoria del Fascismo sulla democrazia.

Mi risulta che Cancelliere ne è allarmatissimo e più ancora presidente federale, di cui sono note le connivenze con democratici ed animosità contro Heimwehren. Ad ogni modo Cancelliere ha chiesto allontanamento dal Governo di Starhemberg e Berger-Valdenegg.

Starhemberg vedrà stasera Cancelliere. Sosterrà che telegramma è stato da lui inviato nell'esclusiva sua qualità di capo del fascismo austriaco e conta poter avvalorare suo asserto con testo risposta.

Qualora dissidi non abbiano a comporsi, confermo le mie gravissime previsioni. Conflitto, come ho riferito, verte essenzialmente su caposa.ldo programma politica interna ed «estera » del Paese.

(l) Il 13 maggio, il principe Starhemberg aveva inviato a Mussolini un telegramma in cui si felicitava «per la gloriosa e superba vittoria delle armate fasciste italiane sulla barbarie, per la vittoria dello spirito fascista sulla slealtà e l'ipocrisia democratiche, perla vittoria del vigore fascista gioiosamente pronto al sacrificio e alla disciplina su lo spirito d! menzogna demagogico». Mussolin! aveva risposto, lo stesso giorno, ringraziando il principe Starhemberg per lo spirito di solidarietà che, come capo delle Heimwehren austriache, egli dimostrava al fascismo italiano in quell'ora storica (Mussolini a Starhemberg, telegramma s.n. 4965 P. R. del 13 maggio, ore 24).

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. 2163/80 R. (2). Roma, 13 maggio 1936, ore 24.

Il noto organo antifascista e anti-italiano Journal des Nations di Ginevra esalta l'atteggiamento tenuto dal delegato argentino di piena solidar·ietà con Eden (3).

È ·ormai tempo di chiarire questa situazione la quale fmirà col compromet

tere irreparabilmente l'amicizia italo-arg·entina.

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IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4683/024 R. Atene, 13 maggio 1936 (per. il 15).

In occasione della riunione dei capi-partito politici che ha avuto luogo ieri

per discutere la questione dei debiti della Grecia, il presidente Metaxas ha

fatto una esauriente esposizione delle discussioni e dei risultati della recente

Conferenza di Belgrado (4). Alla fine della riunione è stato pubblicato il seguente

comunicato:

« Il presidente del Consiglio ha fatto una lunga esposizione delle sue

conversazioni di Belgrado relativamente al Patto Balcanico e all'accordo Lnter

venuto con gli altr'i membri deLl'Intesa balcanica per quanto concerne gli obblighi che derivano alla Grecia dal Patto. I capi-partito sono stati d'accordo,

Nel riprodurre ta,le ·Comunicato i giornali di stamane mettono ancor una volta in evidenza la portata esclusivamente balcanica degli obblighi assunti dalla Grecia e polemizzano con alcuni gi·ornali francesi che ad essi avevano dato differente interpretazione.

L'Estia scrive: «L'interpretazione che il Temps di Parigi nel suo numero dell'8 maggio si sforza di dare alle dedsioni prese a Belgrado drul Consiglio dell'Intesa Balcanica non ,risponde in alcuna maniera alla realtà. Come è stato scritto a varie riprese, a Belgrado è stato riconosciuto, all'unanimità assoluta di tutti i membri, il carattere puramente baLcanico del Patto. Non vi può dunque essere neanche ill più piccolo dubbio che dal Patto derivi alcun obbligo extrabalcanico. .Per conseguenza non na alcun fondamento quanto sostiene l'autore dell'arttcolo: che cioè il Patto balcanico nella sua nuova interpretazione non fa alcuna distinzione, nei casi d'aggressione contro le frontiere di uno dei contraenti, tra l'aggressore balcanico e l'aggressore extra-balcantco. Inoltre è egualmente arbitraria la conclusione del Temps che -nel caso che l'aggressore sia uno Stato extrabalcanico -la politica di sicurezza dell'Intesa Balcantca si confonde con quella della Piccola Intesa :~>.

La Katntmertnt r1t1ene cne « gn scritti del Temps del Petit Parisien e del Journal des Débats sul Patto balcanico che contengono informazioni inesatte, non devono né provo.care inquietudini né dare origine 1a del1e nuove discussiOni. Le dlchtarazloni di Metaxas e ai StoJadinovic fissano esattamente la portata del Patto conformemente alla nota «dichiarazione interpretativa '>. Non si deve quindi attribuire soverchia importanza a scritti di giornali esteri, sia pure autorevoli, a meno che essi non servano a smentire ancora una volta la notizia secondo la quale in passato erano stati assunti obblighi extra-balcanici:~>.

Tralascio .di riportare i commenti degLi altri periodici. Tutti -anche se appa,rtenenti al gruppo Tsaldaris Ma~imos (come la già citata Kathimerini, la Praia ed altri) che nel passato aveva cer.cato di annullare il contenuto della nota dichiarazione interpr.etativa -si sforzano di far rilevare che, a Belgrado, è stato ribadito il concetto che la Grecia non ha assunto impegni che possono farla trova.re coinvolta in un conflitto extrabalcanìco. L'uniformità di tono -assai :rara in Grecia -adottata dai commenti della stampa, messa in relaziOne eone atcnlaraztom a me ratte ctal presidente del Consiglio e dal segretario generale del ministero degli Affari Esteri (miei telegrammi nn. 83 e 88 (l) e colle conversazioni avute con vari uomini politici ed alcuni colleghi, m'inducono pe.rtanto a ritenere che, alla conferenza di Belgrado la Grecia non soLo ha r'ibadito le restrizioni che essa aveva imposto alla sua partecipazione al Patto Balcanico ma le ha aggravate.

Tale nuovo e più cauto orientamento greco è da a·ttribuirsi non tanto al cambiamento degU uomini che oggi dirigono la politica estera el1eni·ca quanto all'effettiva preoccupazione di questo Governo di potersi trovare coinvolto in un conflitto contro l'Italia. I recenti nostri accordi con l'Albania ed, in ogni

caso, la rinnovata cordiaUtà dei rapporti itala-albanesi non sono estranei a questa risipiscenza g.reca. La Grecia teme di potersi in Albania trovare di fronte all'Italia.

Il fatto poi che due degli alleati balcanici fanno parte della Piccola Intesa ed hanno nei loro programmi politici postulati che -oggi più che mai possono coinvolgerli in un conflitto centro-europeo giustifica l'altra preoccupazione greca di marcare la separazione tra la politica della Piccola Intesa e della Intesa Balcanica. D che spiegherebbe altresì quanto è stato da alcuni affermato che nelle a1scuss1on1 della conrerenza di Belgrado si sarebbe verificato una specie di fronte turco-ellenico contro il fronte romeno-jugosJ.avo.

(l) -T.rr. 4503/81 R. dell'll maggio, ore 21,30: riferiva circa la partecipazione di Schuschnigg ad una manifestazione degli operai cattolici. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi p. 22, nota 4. (4) -Vedi p. 5, nota 3.

(l) Vedi serie ottava, vol. III, DD. 829 e 865.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTEHI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4686/0131 R. Parigi, 13 maggio 1936 (per. il 15).

La disposizione deHa cost1tuzwne fran~P.se secondo cui la Camera dei deputati non viene sciolta prima delle nuove elezioni ma rimane in vita pe·r un mese dopo l'elezione di brullottaggio può dar luogo alle situazioni più strane. Presentemente se ne ha un esempio: il Paese si è pronunciato in favore del Fronte Popolare ed il partito più numeroso di Francia è ora quello socialista, cosicchè il Gabinetto radical-moderato che detiene il potere non può più ritenere di rappresentare la volontà degli elettori. Per di più quattro dei ministri sono caduti nelle elezioni; essi rimangono ciò nonostante al loro posto sdno al l" giugno dato che sino a quel giorno essi sono deputati in carica. L'assurdità della dispos'izione suddetta è una delle molte che fanno pensare alla necessità urgente di riformar.e la costituzione francese.

Il Gabinetto Sarraut ha deciso di dimettersi prima della convocazione della Camera dei deputati che avrà luogo il 4 giugno. Il ministro Mandel, considerato l'eminenza grigia del Gabinetto, aveva sostenuto in Consi:glio che sarebbe stato preferibile che il ministero si presentasse alla Camera, facesse una esposizione del proprio ·operato e chiedesse un voto espUcito. La sua proposta trovò scarsi consensi da parte degli altri ministri, cosicché prevalse l'idea caldeggiata da Sarraut di lasciare libero il campo a Léon Blum stno dal l" giugno.

Blum sta intanto lavorando a tutt'uomo ed ~n mezz;o, pare, a non poche difficoltà per formare il proprio Gabinetto. I comunisti molto caldamente interessati a partecipare al Governo, hanno risposto con un diniego categorico, giusta istruzioni ricevute da Mosca. Blum formerà dunque il Gabinetto contando sulla partecipazione dei gruppi socialisti dissidenti e dei radical!i.. È prematuro dare per sicura quella o questa lista. Cosicché mi limito a trasmettere di tanto in tanto a V. E. quelle che appaiono sui giornali. Il ministero che interessa maggiormente 11 mondo è naturalmente quello degli Affari Este.rl, per il quaie fu offìciato in primo luogo Herriot che av.rebbe rifiutato sentendosi offeso nell'amor proprio per la propria rielezione tutt'altro che plebiscitaria. Si attribuisce a Blum medesimo l'intenzione di tener,e per sé gli Affari Esteri, insieme alla presidenza, ancorché Paul-Boncour si ritenga sicuro di essere chiamato al Qual d'Orsay.

Altro nome .che fu quotato sopratutto un paio di giorni fa è quello di Chruutemps. L'andata di quest'ultimo al Quai d'Orsay darebbe origine a moUi commenti, sapendosi che e·ra intervenuto un accordo fra Chautemps e Lavai per la costituzione di un ministero forte il giorno in cui i radicali, abbandonando il Fronte Popolare, consentissero a collaborare col Fronte Nazionale. Vi è chi considerer·ebbe la collaborazione di Chautemps con Blum ,come un tradimento verso Lav:al. Ma non mancano coloro i quali ["itengono che Chautemps si installe·rebbe al Quai d'Orsay con lo scopo ben determinato di segui.re attentamente la situazione e profdttare della prima occasione propizia per dare lo sgambetto ai socialisti rimanendo al potere egli stesso con l'appoggio del Fronte Nazionale e sopratutto di Lavai.

Mi è stato detto testé da fonte bene informata che le trattative tra Blum ed Her.riot sono state riprese e che quest'ultimo, che muore dal desiderio di tornare ad essere ministro degli Affari Esteri, lusingato dalle insistenze del capo dei socialisti ufficiali, avrebbe lasciato intendere che sarebbe propenso ad accettare il Quai d'Orsay.

È intanto pieno di interesse seguire giornalmente il mutamento d'opinione che si sta producendo. Si manifestano tuttora, ancorché in sordina, timori per la politica finanziaria ed economica estremista che Blum potrebbe instaurare e ciò nonostante Ie pubbliche assicurazioni del futuro Presidente del Consiglio di volere mantenere intatto iJ valore del f,ranco e di difendere il diritto di proprietà. Così agendo Blum difende del resto se stesso, perchè è capitalista, ha recentemente, per ogni buon f1ne, inv·estito dei capitali in Svizzera nell'acquisto di una proprietà ed inviato in Olanda, per maggiore sicurezza, Ja bellissima collezione di argenteria antica alla quale si dedica con grande passione e competenza da parecchi anni. Dall'altro lato si sentono persone che fino ad un mese fa parlavano di Blum paragonando1o al demonio, menzionare oggi sopratutto Ia coltura profonda di quest'uomo politico, la sua delicatezza di sentimento che si è manifestata in una sua opera ,letteraria di ·esaltazione della donna, la sua competenza come ·Critico di arte scenica che lo fece per vari anni apprezzato collaboratore di un grande giornale quotidiano, la sua conoscenza giurid1ca ed amministrativa acquistate nel lungo tirodnio fatto al Consiglio di Stato, come referendario prima e consigliere poi. Fra pochi giorni udrò certamente dalla bocca dei più fanatLci ex-avversari di Blum la confessione che essi lo conoscono da molto tempo e che conservano sempre, ancorché in segreto, relazioni con lui. Del resto si sente già ·dichiarare che non vi è motivo di escludere che Blum non possa fare una conversione verso destra. Si rievoca in proposito il precedente di Millerand che andato al potere come uomo completamente rosso è o11a uno dei massimi esponenti della moderazione. E quest'ultima considerazione non è certo priva di fondamento.

In conclusione, quando Blum assumerà il Governo (la cosa sembra oggidì sicura ancorché vi sia qualcuno che ritiene ehe all'ultimo momento possa prevalere in lui il timore per le responsabilità) egli non sarà probabilmente accolto dalla grande massa dei francesi diversamente di quanto non 1o siano stati i vari capi di Governo precedenti, cioè con scarsa fiducia, ma con una certa ansiosa aspettativa.

Mi vengono viceversa segnalati seri timori nei riguardi di Blum da parte delle Croix de Feu che egli sarebbe deciso a sciogliere sin dal primo momento. Questa potente organizzazione che ha veduto iJ numero dei suoi adepti accrescersi di molte mig1iaia dopo le re.centi elezioni, non ha alcuna intenzione di subire le violenze del governo di Fronte Popolare, resisterà quindi ed anche se dovesse cedere alla forza continuerà ad esistere clandestinamente.

Si nutrirebbero inoltre preoccupazioni assai serie, ancorché coperte dal massimo riservo, negli ambienti delle Forze Armate dello Stato dove si crede che Blum possa voler realizzare una politica di partito, proclamare la necessità del disarmo ed a.rrestare, come primo gesto, il compimento del programma di riarmamento dell'esercito, della marina e dell'ae.ronautica francesi, ritornando al servizio militare di un anno.

Più di due settimane ci separano dalla data del presumibile avvento al potere di Léon Blum. MoJte cose possono avvenire in questo tempo. Seguiterò ad indagare e rifer.Lrò a V. E.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, [13] maggio 1936 (1).

Nell'ultima fase di questa sessione ginevrina si parlava con insistenza nei giornali di un conoquio che avrebbe dovuto aver luogo prima della .fine della sessione tra Eden e me.

Eden mi ha avvicinato infatti prima dell'ultima seduta di chiusura e mi ha pregato di accordargli un breve colloquio, che si è svolto nella sala di riunione, essendoci appartati, ed ha destato molta attenzione. Eden mi ha detto: «Sono io che ho telefonato due volte a Baldwin pregandolo di dichiarare nel suo discorso che noi non avevamo nessuna animosità contro l'Italia né personale contro il Capo del Governo italiano, e che il Governo britannico assolutamente non doveva distaccarsi dall'azione collettiva ».

Eden ha tenuto a « giurare » che tali sono i sentimenti del Governo inglese e suoi personali. « So perfettamente che io passo per essere un antitaliano, ma Dio sa se sono di sentimenti compLetamente contrari ed ho ragioni per esserlo. Vi prego, appena tornato a Roma, di dire quanto sopra al Capo del Governo».

Avvicinandomi una seconda volta ha aggiunto: «Le prossime settimane saranno difficili e forse pericolose. Bisogna, giacché abbiamo lavorato insieme durante diversi anni, che io vi domandi di aiutarmi a smussare gli angoli. Io ogg.i ho dovuto fare qui un discorso di occasione, ma non ho appesantito ciò

che ho dovuto dichiarare, né circa le sanzioni né circa altre cose appunto a1lo scopo di incominciare a render più leggera l'atmosfera.

«Vi prego di dire al Capo del Governo personalmente (non per telegrafo) di esaminare se si può cominciare ad alleviare il tono delJa stampa dalle due parti».

Ho risposto coi soliti argomenti, pa.rticolarmente osservando .che per quel che ri~uarda la stampa noi non abbiamo fatto che reagire. Quanto all'opera di conciliazione, mi era impossibile fare qualche cosa nelle condizioni attuali.

Ne è seguita una discussione sulla possibilità di risolvere H dissidio italoing1ese. Eden è di opinione che esso finirà per sgonfiarsi a poco a poco. Mai come in questa occasione è apparsa in piena luce la grandiosa certezza della visione politica di V. E.

Permetta ·Che con legittimo orgoglio di esecutore ass1curi V. E. che mai come ora gli organi diplomatici hanno funzionato in perfetta armonia con gli ordini dall'alto. 'l1ecnica, collegamenti e prontezza di esecuzione sono stati all'altezza della situazione.

(l) Fu probabilmente consegnato a Mussollni in occasione del colloquio che Alo!sl ebbe con il capo del governo la sera del 13 maggio.

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L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4619/88 R. Tokio, 14 maggio 1936, ore 5,45 (per. ore 13,45).

Mio telegramma n. 85 (l).

È probabile che U Governo giapponese non prenda per ora alcuna decisione circa riconoscimento annessione, si limiti considerare piega degli avvenimenti e specialmente contegno degli altri Stati non sanzionisti. È altresì probabile che, quando in seguito sia disposto al riconoscimento, voglia negoziarlo in ca:mbio di qualche concessione per i suoi tanto asseriti diritti e interessi in Etiopia.

Campagna contro l'Italia, estate scorsa, è stata menata da estremisti di destra in nome interessi sentimentali di razza e di quem materiali del commerda. Per i primi il Governo non ha •potuto far altro eh~ lasciare consolarsi, se possibile, fautori, non tutti disinteressati, del Negus, con qualche parola di rimpianto giornalistico sulla fine dell'indipendenza dell'Etiopia. Ma appunto per ciò se •esso riuscisse, con qualche accordo, ad assicurarsi vantaggi economici, ciò gli servirebbe fra l'altro a giustifi.care in qualche modo, anche di fronte •a quella parte dell'opinione pubblica, il fatale riconoscimento della fine dell'Impem del Negus e la vittoria dei bianchi.

Intanto, possibilità di una poHtica alquanto più intima fra .l'Italia e il Giappone va apparendo più chiaramente in alcuni militari e dirigenti. Qualche cenno, sia pure vago, se ne trova talvolta a;nche in questa stampa che, durante tutto il ·conflitto, non ci si è mai mostrata amica, .collegata con l'idea dei vantaggi che il Giappone potrebbe trarre da un permanere del contrasto fra l'Italia. e l'Inghilterra.

3i

(l) Vedi D. 15.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4677/514 R. Ginevra, 14 maggio 1936 (per. il 15).

Ho avuto un lungo coLloquio oggi con Madariaga che si trattiene per qualche giorno ancora a Ginevra dovendo fare aui delle conferenze.

Mi ha fatto un lungo esposto sulla situazione. Sfrondando il colloquio, che è durato oLtre un'ora, da tutti i consueti luoghi comuni sull'azione unilaterale dell'Italia, suLla necessità per la Lega di non suicidarsi, cosciente della propria rovina e con le proprie mani, restano i seguenti elementi .essenziali nel discorso di Madariaga che cercherò qui di seguito di riassumere, trascurando le obiezioni numerose che gli ho fatto e che naturalmente hanno un'importanza secondaria.

l) Madariaga che ha avuto lunghi e frequenti contatti in questi giorni con Eden conferma che quest'ultimo è ancora disorientato sullo sviluppo ulteriore della politica inglese nei riguardi del problema etiopico.

2) Madariaga è convinto che Ie sanzioni non saranno tolte a gtugno e che le correnti per mantenede resisteranno fintanto che l'Italia non si sarà decisa a fare qualche cosa perché la S.d.N. possa accettare la soluzione totalitaria del problema etiopico come Roma l'ha voluto. Madariaga, da buon societario, afferma che dall'inizio del .confEtto è .1a Lega che ha sempre ·Ceduto di fronte al Duce. «Il Duce -precisa Madariaga -non è un Improvvisatore. Il suo realismo è una delle più grandi forze dell'Europa, quindi ·i suoi piani politici sono tracciati dopo maturo studio ed esame. Ora, .come vuole egli conciliare il destderio di diventare un futuro sostenitore dell'organizzazione della sicurezza e della pace europea, se non vuole fare assolutamente nulla perché la S.d.N. -che è costituita da tanti Paesi che hanno anche opinioni pubbliche sensibili salvi almeno il pudore in questa terrJbile impasse»?

Obietto a Madariaga che in questo suo quesito vi è un errore d'impostazione. Il Duce, appunto perchè .realista e appunto perchè non improvvisa t suoi piani politici, ha v.isto quale è il problema fondamentale dell'Europa e vuole che la Lega delle Nazioni si sbarazzi il più rapidamente possi:bile del peso morto d'un conflitto che è ormai classé davanti alla storia, per affrontare la sua vera funzione che è quella di salvaguardare la pace d'Europa. È la Lega che finora ha impedito che quest'opera venisse iniziata.

3) Madariaga che si vanta di essere un profondo ·conoscitore dell'Inghilterra afferma che per il Gabinetto britannico -sia per l'attuale come per un successivo -il problema va esaminato sotto due aspetti: a) ·la questione della pace d'Europa e degli interessi diretti britannici in Etiopia; b) la sensibilità dell'opinione pubblica britannica, di quella parte precisamente che Madariaga chiama « vegetariana », filantropica, quacchera e idealista che forse l'Italia ha sottovalutato ma ·Che costituisce una forza immensa nell'azione della Gran Bretagna. Secondo Madariaga se dal conf.litto non usciranno salvi la pace d'Europa e gU interessi diretti dell'Inghilterra in Etiopia esso non si potrà dire ultimato. Il Duce -afferma Madariaga -deve chiudere la partita con !':opinione pubblica britannica altrimenti il conflitto itala-britannico non sarà terminato e fra pochi anni divamperà nel Mediterraneo perchè è precisamente quel pericoloso «vegetarianismo » che non perdonerà. EgU, Madariaga, è convinto che se il Duce non farà un gesto per appianare questo secondo aspetto del conflitto -che per JJui è il più grave -l'Inghilterra farà di tutto per accordarsi con la Germania e vedremo presto Hitler a Vienna.

Chiedo a Madariaga 1n che ·Cosa dovrebbe •consistere, secondo lui, il gesto del Duce ·cui egH si riferisce. Mi risponde che dopo avere lungamente meditato sulla situazione, pur senza darsi l'aria di voler suggerire nuLla al Duce, egli è convinto che la sola via d'uscita per comporre il conflitto italo-ingle;;e è la seguente:

l) L'Italia dovrebbe presentarsi a Ginevra e, con una dichiarazione che non è stata ancora fatta in sede societaria, affermare che di fronte alla situazione che si era venuta creando in Etiopia essa è stata costretta dalla forza degli eventi a tagliare il nodo gordiano che si era formato e a procedere nella maniera ·Che è nota. L'Italia dovrebbe riconoscere che la procedura che essa ha seguito non era perfettamente ortodossa con lo spirito del Patto (e questo per dare una certa soddisfazione -magra, ho osservato io -ai membri .della Lega che dovranno accettare il fatto compiuto) ma che essa è pr·onta a sostenere la Lega e a contribuire con le sue forze al principio della sicurezza collettiva. Secondo Madariaga una dichiarazione aperta e franca che contenesse un minimo di riconoscimenti che la procedura da noi seg~uita non può e non deve nel pensiero italiano costituire un precedente calmerebbe le apprensioni e le ansie che si sono venute creando in seguito all'atto di forza del Duce e costituirebbe un salutare monito per Hitler. La Lega non potrebbe ·che accogliere con soddisfazione e sanare rapidamente la situazione riconoscendo i fatti compiuti.

2) Contemporaneamente -e qui mi è parso di sentire che Madariaga facesse il portavoce di Eden e delle piccole Pitenze -il Duce dovrebbe farsi iniziatore di un patto mediterraneo. Tale patto dovrebbe comportare a) una dichiarazione da parte di tutte le Potenze interessate che nessun cambiamento nello statu quo del Mediterraneo avrà luogo mediante la forza; b) un «me.ccanismo di evoluzione » che egli aveva esaminato con Politis ed Eden perché gli eventuali cambiamenti possano aver luogo egualmente conformemente .aLl'art. 19 del Patto. Tale meccanismo sarebbe costituito da una « commissione di concil>iazione » composta di un membro per ogni parte interessata e presieduto da neutro, che dovrebbe studiare i problemi che venissero sollevati da qualche Potenza mediterranea. Qualora la Commissione di conciliazione non arrivasse all'accordo essa pubblicherebbe un rapporto e deferirebbe la questione al Consiglio per ulteriore esame.

3) Balance ot powers navale tra le Potenze mediterranee. Secondo Madariaga, qualora il Duce compisse un simile gesto ,}'atmosfera si rischiarerebbe immediatamente. L'opinione pubblica britannica allarmata per la minaccia che pesa sul Mediterraneo, le piccole Potenze allarmate per l'improvviso aumento di potenza dell'Italia fascista, comprenderebbero che il Duce è animato sinceramente da propositi di pace e accetterebbero il fatto comptuto in Etiopia, pur di avere la garanzia che la pace nel Mediterraneo non sarà turbata. Madariaga si è diffuso in particolari su questo patto mediterraneo e U calore con cui mi ha patrocinato l'idea mi ha fatto comprendere che egli aveva dovuto diiscutere lungamente della cosa con gli Stati neutri e con Eden.

Ho capi,to soprattutto che oggi non è tanto la preoccupazione di salvare lo spirito del Patto quella che domina in questi ambienti quanto la preoccupazione che suscita nei piccoli Stati lo straordinario accrescersi della potenza militare e politica del fascismo 'consoHdato nel piano mondia,le dopo ,la guerra etiopi-ca.

Indipendentemente dal fondamento che possono avere. le idee manifestatemi dll Madariaga che lascio all'alto apprezzamento d.i V. E. di giudicare, mi se.nbra che l'elemento d!i maggiore importanza del colloquio sia precisamente quello a cui ho fatto cenno e cioè il prevalere, sulla soluzione più o meno societaria della questione etiopica, del problema che la creazione e la potenza de1l',impero italiano pongono di fronte alla vita e all'avvenire di molte nazioni, a cominciare dalla Gran Bretagna.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 4718/0135 R. Parigi, 14 maggio 1936 (per. il16).

Giusta le istruzioni personalmente impartitemi da S. E. Capo del Governo nel corso dell'udienza accordatami il 29 aprile scorso e con riferimento al telegramma per corriere Gabinetto n. 4251 P. R. del 2 corrente (1), informo V. E. che è stata mia cura, nel corso delle conversazioni avute re,centemente sia con il signor Flandin che con il signor Léger, di trattare l'argomento dei nostro rapporti con la Jugoslavia.

Mi sono espresso nel senso che, contrariamente a quanto ritiene il Governo di Belgrado, le disposizioni del R. Governo rimangono tuttora quelle che furono manifestate in occasione della presentazione delle credenziali dal conte Viola. Ho posto in evidenza che Pavelic e Kvaternik, ancorché scarcerati, non sono in libertà, cosicché sono destituite di fondamento le apprensioni che si nutrono in Jugoslavia circa eventuali azioni terroristiche croate da essi organizzate in Alban1a, come è falso che essi siano stati muniti di passaporti Nansen per recarsi all'estero. Quanto al non essere stati Pavelic e Kvaternik sottoposti a procedimento penale in Italia, ne ho esposto le rag~ioni comunicatemi da V. E. ed ho attirato la speciale attenzione dei miei interlocmtori sulla circostanza che un mmile processo mentre non avrebbe con ogni probabilità potuto condurre alla condanna degli indiziati, sarebbe stato una requisitoria certo non desLderabile per il Governo jugoslavo. Ho posto in evidenza la necessità che ci sarebbe di

un gesto positivo da parte del Governo jugoslavo che dimostrasse il suo des~derio di mostrarsi animato di sentimenti amichevoli per l'Italia. Ed ho infine confidenzialmente accennato alla possibilità che, di fronte a prove manifeste di amLcizia jugoslava verso l'Italia, il R. Governo si inducesse a rinunciare a giocare in caso Idi necessità la carta .croata.

Il signor Flandin, trovandosi alla vigilia di abbandonare la direzione della polit1ca estera francese, mi ha ascoltato col più vivo interesse ma non ha reagito in alcun modo. Assai diverso fu invece l'atteggiamento del signor Léger che prese appunti deUa nostra conversazione e che 1si espresse poi meco nei termini seguenti:

l) gli jugoslavi osservano che dal discorso pronunciato dal conte Viola, all'atto di presentare le credenziali, sino ad oggi non è intervenuto, da parte dell'Italia alcun atto positivo il quale denoti mutamento di sentimenti nei loro riguardi;

2) essi non hanno riscontrato alcun sintomo dii abbandono da parte dell'Italia dell'appoggio accordato ai croati affinché essi possano svolgere la loro propaganda secessionista;

3) in tale stato di cose riuscirebbe molto difficile agU jug.oslavi di compiere qualche gesto che provasse la loro amicizia verso l'Ita1ia. Essi viceversa ne attenderebbero uno da parte dell'Italia, anche perché ritengono che non costerebbe molto all'amor proprio di una grande Nazione di mostrarsi benevola per uno Stato di minor :importanza;

4) a Belgrado si constata che le dichiarazioni amichevoli fatte dal conte Vtola, rispondevano ad una necessità del momento, dato che ·l'Italli.a stava per iniziare l'impresa etiopica ed aveva quindi bisogno di poter contare sopra una Jugoslavia tranquilla in quanto fosse persuasa che l'ItaUa non aveva mire aggressive. Oggidì si nutrono invece inquietudini serie perché si ritiene che, dopo la completa vittoria riportata dalle armi ,italiane in Africa Orientale, il fascismo potrebbe pensare a soddisfare altre sue aspirazioni. Si scorgono anzi sintomi inquietanti nella maggiore attività itaLiana in Albania, dove la recente cessazione della freddezza che aveva caratterizzato i rapporrti italo-albanesi neg1i ultimi due anni viene considerata foriera di una poliUca di penetrazione politica nei Balcani.

Ho fatto osservare al signor Léger che se a Belgrado si vogliono mettere per la strada da lui indicatami non vi poteva essere speranza di miglioramento effettivo nei rapporti itala-jugoslavi. Non mi stupiva quanto egli mi av,eva detto, perché ci sono note 1e lagnanze del tutto balcaniche dei nost.ri vicini s.lavi. Se io ne avevo intrattenuto tanto il ministro degli Affari Esteri francese che lui medesimo ciò era avvenuto perché avevo avuto il modo di constatare a più riprese le inquietudini del Quai d'Orsay nei riguardi della politica jugosLava, la sensazione che qui si aveva che il Governo di Belgrado si andasse or·ientando sempre più verso Berlino e la conseguenza .che se ne traeva che un giorno più

o meno prossimo dovesse portare seco la spiacevole ·constata:z!i:one che il Reich, compiuto l'Anschluss, avesse la strada libera per giungere sino a Costantinopoli ed oltre. Era questo un problema. in cui era in gioco un interesse altrettanto italiano che francese, tanto è vero che la Francia fa sforzi immani per continuare ad attrarre a sé la Piccola Intesa. Noi eravamo più reaListi, facevamo un .conto relativo per non dire minimo della Ptccola Intesa, ma riconoocevamo l'immenso valore ·Che la Jugoslavia aVTrebbe avuto come barriera al dilagare del pangermanesimo nel Vicino Oriente. E pertanto avevamo ritenuto utile di intrattenere dei nostro rapporti ·con Belgrado il Governo :francese affinché esso giudicasse se fosse il caso di esplicare un'azione presso il Governo jugoslavo per indurlo a compiere qualche gesto che facilitasse il riavvicinamento da noi sinceramente desiderato.

Il signor Léger ha risposto che la Francia era sempre lieta di poter chiarire equivoci e far opera di conciliazione, sopratutto poi quando si trattava dd due Stati amici e che, in determinate circostanze, avrebbero nuovamente avuto interessi identici a quelli propri. Egli avrebbe quindi informato il ministro di Francia a Belgrado della conversazione avuta meco perché ne avesse norma di linguaggio. Doveva però rLpetermi che, a suo avviso, era da par.te nostra che sarebbe stato necessario qualche fatto positivo il ·quale provasse il nostro desiderio di purif1care l'atmosfera dei nostl'i rapporti con Belgrado e ciò .per•ché le parole pronunciate dal conte Viola erano state molto belle e bene accette in Jugoslavia, ma non erano state seguite, almeno fino al momento presente, da parte italiana, da alcun provvedimento che ne provasse il valore reale.

(l) Vedi serie ottava, vol. III, D. 806, nota 2.

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COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI TURCHIA A ROMA, BAYDUR, E CON L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

VERBALE (1). Roma, 14 maggio 1936.

S. E. il Capo del Governo ha ricevuto Husein Baydur ambasciatore di Turchia, il 12 :corrente. Ne ha impressione come di uomo estremamente falso. In ogni caso malaccorto poiché nella prima v•isita fattagli nel dicembre 1934 gli parlò subito non solo di disarmo del Dodecanneso, ma addirittura di cessione: di poi non lo aveva più veduto che un'altra volta.

Husein Baydur gli ha esposto i punti che interessano la Turchia per la prossima r·iunione delle Potenze firmatarie della Convenzione degU Stretti (libertà commerciale, riarmo delle zone, regolamentazione per le navi da guerra) ed ha chiesto attitudine amichevole dell'Italia, dolendosi del riserbo .assoluto indicato nella nota italiana di risposta a quella turca.

S. E. il Capo del Governo ha ne•ttamente fatto presente che la Turchia era il Paese che avrebbe più e primo di ogni altro dovuto rifiutarsi di applicare le sanzioni, al che doveva essere sospinta dal Patto di amicizia che per dare netta indiscutibile prova dei sentimenti da lui nutriti aveva consentito a prorogare

fino al 1942 (1). Inoltre l'applicazione delle sanzioni era atto delle Potenze, non obbligo societario. Della sua amtcizia e del suo assoluto disinteresse verso qualsiasi aspirazione in Anatolia, il Capo del Governo aveva fatto oggetto di ripetute solenni dichiarazioni. Il compito -immenso che ci attendeva adesso in Abissinia era poi un fatto storico geografico il quale ci terrebbe avvinti colà per 'lunghissimi anni distogliendoci da ,qualsiasi altro obiettivo, anche ,cervellotico come da quello temuto dai turchi.

Tutto ciò non era servito a nulla. La Turchia aveva preso una via sostanzialmente ostile all'Italia e dimentica dei legami ,che ad essa la vincolavano. 11 Capo del Governo darebbe schietta, franca e sicura ami'Cizia a chi gliene desse prova. Facesse la Turchia un preciso gesto di amiC'izia col togliere le sanzioni, ed egli terrebbe attitudine amichevole per la Turchia per il riarmo della zona degli Stretti.

S. E. il Capo del Governo ha poi aggiunto a S. E. Suvich, presente l'ambasciatore Galli, che la Turchia doveva decidere la sua via e scegliere. Eg.U era deciso a mantenersi nella attitudine negativa anche a costo di essere solo finché la Turchia non avesse compiuto un preciso gesto di amicizia. Avrebbe potuto andare anche alla denuncia del Patto in vigore.

Accennato alla questione jugoslav,a, rtcordato che la situazione croata appariva in questo momento più grave che ma;i, il Capo del Govetrno ha indicato il suo proposito di addivenire ad un riavvicinamento con Belgrado.

Galli ha rammentato il suo costante pensiero sul1a Jugoslavia, ed ha affermato che a suo avviso tutta la situazione balcanica-Vicino Oriente, si impernia su Belgrado. Se siavi accordo fra Roma e Belgrado la Turchia è impossibilitata a qualsiasi movimento contro l'Italia, come tutta la Piccola Intesa g,raviterebbetro su Roma, e vi sarebbe solo antigermanico all'Austria ed Ungheria (2). Egli stima che, malgrado la peggiore situazione in Croazia, ciò non comprometta la unità jugoslava, poiché in estrema ipotesi la Jugoslavia ha due vie di uscUa che la salvano: federalismo od elezioni generali libere.

Ad ogni modo, salvo che per la questione degli Stretti che ha vitale •impoJ:tanza per noi, la politica turca è del tutto secondaJ:ia ed inoperante nel quadro generale della nostra azione europea, meno che peir quel relativo apporto strategico che potrebbe dare all'Inghilterra in caso di conflitto itala-britannico.

(l) Al colloqui era presente Suvlch che ha redatto Il verbale.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 14 maggio 1936.

Il promemoria de.l CancellieJ:e Federale Schuschnigg per S. E. M Capo del Governo sulla situazione interna e inteJ:nazionale dell'Austria (consegnato al senatore Salata martedì 12 corrente con preghiera di consegnarlo personalmente

a Sua Eccellenza il Capo) esamina anzitutto le cause di una certa depressione verincatasi nell'ultimo mese nella situazione interna dell'Austria con particolare riguardo:

a) alle conseguenze dell'aHare della Phoenix;

b) alle preoccupazioni economiche generali;

c) alla rafforzata propaganda specialmente da parte nazionalsocialista.

Venendo a par.lare dei vari provvedimenti adottati per controbattere questa depressione, il Cancelliere mette in particolare rilievo .l'importanza ~anche economlca dell'<introduzione del servizio obbligatorio federale, annunziando che il 1° ottobre saranno chiamati sotto le armi 15.000 uomini della classe 1915, così da portare l'esewito federale sotto le armi da 35.000 a 50.000 uomini.

Il Cancelliere assicura che, contrariamente a tutte le vod messe in giro, l'esercito è assolutamente fidato e in ~condizioni morali eccellenti, tanto per ciò che rigua,rda gli uUiciali quanto la truppa. Qualche infiltrazione di carattere nazista o sncialista è stata repressa inesorabilmente.

Non è da negarsi una certa rivaHtà fra esercito e organizzazioni militari volontarie specialmente col Heimatschutz; ma anche queste tensioni vanno progressivamente eliminandosi e non costituiscono alcun pe,rico.lo.

Tanto l'esercito federale quanto la polizia e la genda,rmeria sono !fermamente e completamente nella mano del Governo. Vanno smentite le voci secondo le quali si tenderebbe in Austria ad una dittatura militare. Generali politicanti non esistono in Austria e quelli che stanno a capo della organizzaz,ione militare si sentono esclusivamente militari senza alcuna tendenza potiitica. Sarebbe grottesca l'accusa che il capo dello Stato Maggiore generale Jansa abbia delle simpatie segrete per lo Stato Maggiore germanico. Va notato anche il segretario di Stato Zehner, tutti e due uomini di fiducia del Cancelliere.

È necessaria e urgente .la concentrazione delle varie milizie volontarie, già deliberata in massima d'accordo col Vice CancellLere nell'ottobre 1935.

Il memoriale accenna quindi ad alcune differenze entro al Gabine~tto, da attribuirsi specialmente: a) ~alla politica di bilancio troppo rigorosa dell'attuale ministro delle Finanze che pregiudica lo sviluppo delle opere pubbliche e alcune esigenze essenziali dell'economia; b) ad alcune posizioni troppo teoriche del ministro per l'Amministrazione Sociale, che hanno dato luogo a controversie tra industriali e operai e ritardata l'attuazione dell'organizzazione coTporativa.

Il Capo del Governo d'ac~cordo col Vice CanceUiere tende a risolvere gradualmente tutte queste difficoltà. Pur verificandosi qua e là qualche differenza d'opinione, l'intesa fra il Capo del Governo e il Vice Cancelliere, capo della Vaterliindische Front, è in generale buona.

Gli spostamenti di persone ritenuti necessari dal Cancelliere Federaie non riguardano in alcun modo il sistema politico e sono stati differiti appunto per evitare l'impressione di cedere ad agttazioni di pa~rte nazìsta.

Riguardo alla Vaterliindische Front il Cancelliere ritiene indispensabile di dare un'espressione più precisa e più forte all'aceordo necessario alla direzione politica nello Stato e nella Vaterliindische Front, ovviando agli inconvenienti che finora si sono verificati per differenze di atteggiamenti, reali o supposte, fra i due supremi Capi del Regime. Ai più precisi poteri assicurati al Capo del governo nelle deliberazioni politiche della Vaterliindische Front corrisponderà la necessità di una intesa del Capo del Governo col Capo della Vaterliindische Front nelle più importanti deliberazioni politiche del Governo, sicché siano eliminati in prati-ca gli inconvenienti del sistema dualisti-co che per ragoni contingenti si è stabilito dopo la morte di Dollfuss.

Il Cancelliere smentisce che ci sia un cosidetto pericolo nero rilevando che il clero non partecipa direttamente alla politica, mentre la chdesa cattolica appoggia fortemente i principi fondamentali della nuova compagine statale.

Il Cancelliere r1duce a proporzioni modeste le correnti e simpatie ·Cosidette democratiche che sarebbero sopravvissute nei circoli del cessa;to partito socialdemocratico. Nessuno osa ormai in Austria porsi contro il principio dello Stato corporativo e se il processo di assimilazione delle varie forz·e richiederà ancora qual-che tempo, esso porterà .indubbiamente al risultato desiderato.

L'inserzione degH elementi ·cosiddetti nazionali nel Governo incontra ancora grandi difHcoltà perché quegli elementi si trovano ancor sempre sotto l'influenza di emissari del nazionalsocialismo, mentre la formula politica austriaca deve rimanere questa: «Il nazionalsocialismo è un affare del Reich germanico col quale gli austriaci non possono venire a patti, ma che, raggiungendosi un modus vivendi ragionevole, potrà essere r-ispettato in Germania».

Il promemoria dichiara che un movimento socialista serio non esiste in Austria e che la propa:ganda che qua e là si tenta, non presenta alcun pericolo.

Più seria è la questione degli ebrei, !.imitata a Vienna, ma che per le successive infiltrazioni di elementi non desiderabili specialmente tra gli intellettuali prima dalla Polonia e ultimamente dalla Germania, porta qua e là a situazioni delicate. Ogni provvedimento troppo reciso va evitato per non suscitare difficoltà nei paesi di Occidente e in America donde ùa circoli ebraici si risponderebbe con rappresaglie finanziarie ed economiche ·che uno Stato debole deve evitare. Ad ogni modo nell'amministrazione pubblica gli ebrei sono ridotti a zero e vanno scemando a poco a pnco anche i favori e le influenze che la lunga dominazione socialista a Vienna aveva per ragionì politiche assicurato agli immigrati israeliti.

Uno degli elementi fondamentali del consolidamento del Regime in Austria è, secondo il Cancelliere, l'assoluta imparzialità nei rapporti fra imprenditori ed operai, e una politica sociale che non sminuisca i benefizi delle leggi e degli isituti preesistenti. Si tratta di guadagnare all'idea dell'indipendenza politica dell'Austria le grandi masse di contadini e operai evitando anche solo l'impressione di una politica al servizio del grande capitalismo. Su questo punto il Cancelliere è in perfetto accordo col Vice Cancelliere, ed essi cercano di volta in volta la via più a;datta.

Per la politica estera il Cancelliere assicura che nei circoli responsabili in Austria, di ogni tendenza, non c'è diversità di vedute e che se anche qua e là si fa sentire talvolta qualche risentimento per il passato di guerra, la politica del Governo austriaco verso l'Italia è ormai diventata un canone permanente che viene ritenuto, senza distinzione, come naturale ed è rafforzato dal leale riconoscimento dei preziosi aiuti che l'Italia ha concesso all'Austria. Ogni favo

revole risultato nel trattamento dei territori di nuova annessione all'Italia nel

riguardi della lingua viene registrato dall'opinione pubblica con la massima

soddisfazione. I successi del Fascismo in generale e quelli in particolare del

Capo dei Governo incontrano illimitata ammirazione nell'opinione pubblica

austriaca ben pensante, e se ne è veduto un segno nel modo ,con cui sono stati

seguiti e sottolineati in Austria i trionf,i dell'Italia in Africa.

I rapporti con l'Ungheria sono buoni, favoriti anche da personali amicizie tra uomini di Governo, se anche, naturalmente, la tendenza talvolta troppo germanofHa del Governo ungherese è il revisionismo troppo accentuato suscitino in Austria qualche dissenso.

Le relazioni con la Cecoslovacchia si sono migliorate essenzialmente da... (l) in poi; il nuovo Capo del Governo ceco gode in Austria larghe simpatie. Ogni ulteriore miglioramento di tali rapporti si presenta desiderabile anche con riguardo alle relazioni poco amichevoli con la Jugoslavia, dove l'atteggiamento addirittura isterico rispetto alla questione degli Asburgo, si fa risalire ad evidenti influenze berlinesi.

Un modus vivendi con la Germania incontrerebbe da parte austriaca grande interesse, premesso però che fosse assicurata anche dall'altra parte l'applicazione leale degli impegni da assumersi.

La situazione finanziaria e valutaria dello Stato è in generale favorevole. pur pel'durando una seria depressione economica. Molto si attende dagli armamenti che stanno per iniziarsi su larga scala, e dal traUico dei forestieri molto promettente. La propaganda nazista sul campo economico agisce ancor sempre sfavorevolmente; ma i tentativi di panico inscenati contro Istituti di credito austriac,i sono sempre falliti, ciò che dimostra un rafforzamento della fiducia del.le popolazioni nel proprio Stato (2).

(l) -Vedi p. 16, nota 2. (2) -Sic.
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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

PROMEMORIA (3). Roma, 14 maggio 1936.

Tenuto presente quanto S. E. il Capo del Governo ha detto all'ambasciatore di Turchia il 12 corrente, ed espresso nella udienza concessami ieri (4), poiché il nostro interesse al traffico col Mar Nero è di essenziale importanza, che la nostra posizione negativa attuale per avere eUicacia (ed in attesa di quegli sviluppi internaz.ionali che permetteranno o consiglieranno di modificar la), credo dovere insistere nel senso già telegrafato da Ankara (5) quando indicai che, a

mio avviso, la pos1z10ne già genericamente amichevole assunta in passato in confronto delle note aspirazioni turche, doveva a seguito dell'attitudine assunta dal Governo turco, dal novembre in poi, essere riveduta.

Osservo quindi: a) sembra cioè in primo luogo necessario approfondire ancor meglio quale potrà essere l'atteggiamento francese tenendo presente il legame strategico Soviet-Francia attraverso gli Stretti e ricordando quanto pericolo che l'attuale premente influenza economico-tecnico-culturale germanica possa mutarsi in politica e perciò ripetere a dato momento il giuoco del '14. Cercare quindi una linea comune di azione itala-francese, quanto meno allo scopo di ritardare la riunione della Conferenza. b) Si era aperto un dissidio turco-rumeno. Lo scambio delle note avve

nuto in proposito è un accomodamento soltanto formale o dì sostanza? Se sia soltanto formale, sembra il caso di adoperarsi per approfondire il dissidio. c) Il Giappone non voleva partecipare ad una riunione che avesse anche

soltanto un indiretto sapore ginevrino. Quella di Montreux può essere rappresentata come tale a Tokio. d) È altresì evidente che la nostra attitudine dovrà essere determinata oltrechè da persone ·convinte di amicizia turca, anche dalla direzione che prenderanno i nostri rapporti con l'Inghilterra.

Perciò in ordine a questi accertamenti e possibilità ritengo:

l) doversi cercare un r·invio della riunione.

2) Cercare nelle capitali interessate quali punti di concorde interesse possano consentire un'azione ostacolatrice alle pretese turche. 3) È pure da richiedersi se, posto che la Turchia fa del riarmo questione essenziale di si'curezza, possa essere ricercato da me ad Ankara se e fino a quale punto la Turchia sarebbe disposta a prendere ·concreti impegni con noi nel senso di non entrare mai sotto nessuna specie in una coalizione militare a noi ostile. Ciò è anche per noi questione di sicurezza. Pur non avendone la prova credo che tali impegni sussistano fra Turchia e Sovieti. 4) Ciò non esclude un nostro atteggiamento favorevole ai turchi, se essi s1 impegnino e decidano di togliere 1e sanzioni.

(l) -Parola Illeggibile. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Il documento presenta alcuni punti di significato non chiaro. (4) -Vedi D. 36. (5) -Vedi serie ottava, vol. III, D. 633.
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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1526/606. Mosca, 14 maggio 1936 (per. il 18).

Col telegramma n. 104 (l) ho informato l'E. V. della consegna da me fatta 1'11 corrente a Krestinskij del decreto di annessione dell'Etiopia. Nel cordiale colloquio avuto con lui, il reggente del Narkomindiel non ha mosso alcuna

8 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

obiezione o rilievo alla mia comunicazione, pur riservando la posizione che avrebbe assunto il governo dell'URSS.

Avevo già precedentemente segnalato (mio telegramma n. 101) (l) le previsioni che si facevano al commissariato degli Esteri circa l'atteggiamento «di secondo piano » che Litvinov avrebbe probabilmente mantenuto al Consiglio della S.d.N. in sede di discussione della faccenda abissina. Dette previsioni non sarebbero state errate, a stare almeno alle notizie da Ginevra pubblicate sinoggi dalla stampa moscovita. Queste accennano soltanto a conversazioni avute da Litvinov, extra moenia, con Aloisi, Beck, Titulescu, Aras, Eden ed altri personaggi minori, tacendo completamente di ogni attività svolta dal delegato sovietico al Consiglio ginevrino. Non è stata neanche riportata da questi giornali l'informazione pubblicata dal News Chronicle (che pure viene qui in genere largamente citato) -e che ho visto invece riprodotta da agenzie tedesche circa un preteso atteggiamento «sanzionista » di Litvinov.

L'interesse germanico a diffondere una notizia del genere è evidente. Ma è superfluo osservare che, a quanto è dato qui conoscere, gli ultimi eventi non parrebbero giustificare una siffatta supposizione tanto in contrasto colla posizione assunta da Litvinov nell'intervista concessa a questo corrispondente del Temps (mio rapporto n. 1284/527 del 23 aprile u.s.) (2). Come è noto, questa intervista, un po' attenuata ed in forma impersonale, venne pubblicata da detto giornale nel suo numero del 29 aprile scorso e formò anche oggetto dell'editoriale dello stesso Temps del l o maggio corrente.

A prescindere dalla considerazione essenziale che i motivi addotti da Litvinov contro le sanzioni antitaliane sussistono sempre (necessità che l'Italia partecipi all'opera della sicurezza collettiva europea, per sbarrare alla Germania la via di Vienna e dei Balcani), vi sono vari indizi circa il persistere di tale direttiva sovietica. Così, si manifesta qui il desiderio di vedere presto sgomberato il terreno della faccenda abissina, mentre la stampa ha riportato, puramente e semplicemente, senza commenti, il decreto di annessione dell'Abissinia da parte dell'Italia e l'assunzione da parte di Sua Maestà del titolo di Imperatore d'Etiopia.. Più concretamente, poi, il competente direttore del commissariato del Commercio Estero, in una conversazione avuta col reggente dell'ufficio commerciale di questa ambasciata, gli ha annunziato che i vari Trusts sovietici avevano già preparato numerose ordinazioni da piazzare in Italia, in previsione di una prossima fine delle sanzioni.

Ed ancora converrà ricordare le di·Chiarazioni fatte il 7 corrente ai rappresentanti della Stampa dal deputato comunista francese Duclos, il quale « a reconnu qu'on ne pouvait pas rejeter l'ltalie du bloc des nations qui veulent collaborer au mantien de la paix en Europe » (Temps dell'8 corrente). Si vede anche qui l'ispirazione moscovita, specie ove si confronti tale atteggiamento comunista con quello dei socialisti di Blum...

Se, a quanto dovrebbe dedursi, questi indizi rivelano le reali disposizioni che sembrano sinoggi prevalenti a Mosca nei riguardi delle sanzioni, occorre peraltro tener conto di varie considerazioni politiche che esercitano evidente

(2} Non pubblicato.

mente un freno ed impediscono che l'URSS possa prendere una iniziativa antlsanzionista. E cioè:

l) L'incertezza moscovita sul tuturo dei rapporti itala-sovietici.

Mentre le dichiarazioni fatte dal Duce a Stein, nel colloquio accordatogli alcune settimane fa (1), avevano certamente calmato le note apprensioni moscovite, oggi queste sembrano nuovamente riacutizzarsi. Nel richiamare in proposito il mio rapporto n. 1285/528 del 23 aprile u.s. (2), debbo ancora segnalare come al Narkomindiel si sarebbe stati alquanto impressionati da un brano di una intervista concessa dal Capo del Governo ad un corrispondente romano del giornale giapponese Asahi (3) (e riprodotta dal Temps del 6 corrente), secondo le quali l'atteggiamento italiano nei confronti dell'URSS era identico a quello verso l'Inghilterra. Il noto signor Weinberg, nel farne parola, osservava come il Narkomindiel ne dovesse dedurre che non erano state adeguatamente apprezzate a Roma le, a suo dire, replicate iniziative favorevoli all'Italia prese dall'URSS e cioè: la riserva sovietica per l'applicazione dell'embargo del petrolio che avrebbe impedito, per vari mesi, la messa in vigore della sanzione petrolifera; il discorso di Litvinov a Londra; l'articolo «Due fronti» del Journal de Moscou e le dichiarazioni di Potemkin al Comitato dei Tredici, che stabilivano una necessaria indispensabile correlazione tra il trattamento fatto all'Italia e quello non fatto alla Germania, risolvendosi pertanto a vantaggio italiano, ecc.

Weinberg aggiungeva poi che sarebbe stato troppo chiedere all'URSS di fare «parte a solo» senza trovare una giusta eco da parte nostra. A queste osservazioni del signor Weinberg non si è mancato di rispondere adeguatamente.

2) Dubbi sovietici su tendenze italiane al rafforzamento dei rapporti colla Germania e sull'atteggiamento dell'Italia nei riguardi della «sicurezza collettiva europea ».

L'attuale politica sovietica in Europa ha, come è noto, un presupposto essenziale: l'irriducibile ostilità contro la Germania hitleriana. Questa pregiudiziale fa sì che a Mosca si ritenga che la salvaguardia dei rapporti itala-sovietici sia incompatibile con un reale rafforzamento delle relazioni itala-germaniche. Ogni miglioramento, sia pur lieve, nei rapporti tra Roma e Berlino, come anche in quelli tra Roma e Tokio, ha pertanto un inevitabile contraccolpo moscovita. Qui si teme sempre che la politica italiana miri ad un compromesso colla Germania nella questione austriaca e che raggiunto tale scopo l'Italia si disinteressi completamente, a favore del Reich, della cosidetta «sicurezza collettiva» nell'Europa orientale. Sono sintomatiche al riguardo le insh;tenti domande rivoltemi da Krestinski circa l'atteggiamento dell'Italia nei riguardi dell'indipendenza austriaca (mio telegramma n. 105) (4).

Da queste preoc-cupazioni sovietiche deriva poi la apprensione che un atteggiamento decisamente favorevole all'Italia nella questione abissina rimanga, in ultima analisi, priva di qualsiasi contropartita per l'URSS.

3) Timore sovietico di compromettere le relazioni coll'Inghilterra.

L'atteggiamento assunto dall'URSS nella questione abissina avrebbe già provocato una reazione inglese. Ora, nello stesso modo come si. desidera a Mosca di impedire un riavvicinamento itala-tedesco e si fa leva a tal fine sul pericolo dell'Anschluss. così uure si vorrebbe evitare di offrire appigli all'Inghilterra per un più deciso accostamento a Berlino, e per conseguente disinteresse britannico dall'Europa Orientale ed in particolar·e dalla sicurezza sovietica.

Le speranze, che l'URSS aveva evidentemente riposto, prima della denunzia di Locarno, nella possibilità di una effettiva collaborazione coll'Inghilterra sul terreno societario della sicurezza collettiva e sulla tesi di Litvinov della «indivisibilità della pace», sono amaramente svanite alle riunioni di Londra. Già una parte di questi circoli dirigenti non nutre più illusioni al riguardo. Un'altra corrente sembra però lusingarsi ancora che un atteggiamento intransigente della Germania nei riguardi delle questioni sollevate dal.l'ultimo documento britannico (1), come anche la ripresa dell'intimità franco-inglese, auspice il nuovo governo del «Fronte popolare» possano allontanare Londra dal Terzo Reich. Questa corrente vorrebbe quindi che la politica sovietica si mantenesse per ora più riservata nell'affare etiopico sì da evitare un irreparabile raffreddamento dei rapporti anglo-sovietici, a vantaggio e rafforzamento della Germania.

4) La «sicurezza collettiva e S.d.N. ».

La posizione dell'URSS al riguardo è troppo nota perché occoma soffermarvicisi. Occorre, peraltro rilevare come l'atteggiamento assunto nelle scorse settimane dall'URSS nella questione abissina, abbia offerto il destro all'Inghilterra di tentare di affibbiare ad altri, ed in primo luogo ai Soviet, il grave scacco inflitto dall'Italia alla S.d.N. ed a essa stessa. Si è già segnalato come Eden, a sottolineare questa responsabilità attribuita all'URSS abbia fatto distribuire a Ginevra numerosi esemplari dell'articolo «Due fronti» del Journal de Moscou.

Litvinov ha reagito con altri articoli dello stesso ufficioso moscovita rigettando sull'Inghilterra e sulla sua politica di «due pesi e due misure» la colpa dell'attuale situazione ginevrina. Ma questo palleggiamento reciproco di responsabilità che sottolinea tutta l'importanza della magnifica vittoria italiana, ha evidentemente il suo contraccolpo sulle posizioni dell'URSS, che ne è resa più guardinga.

5) L'URSS e gli annunziati progetti di riforma della S.d.N.

I progetti di riforma del Covenant attribuiti all'Inghilter·ra, che si vorrebbero basati sulla stipulazione di patti regionali di assistenza mutua, .costituiscono

anch'essi una remora per un più deciso atteggiamento sovietico nella questione abissina. Le ragioni ne sono ovvie. Qualora rea}mente l'Inghilterra caldeggiasse la conclusione di un patto per l'Europa orientale e di un altro patto per l'Estremo Oriente, ne sarebbero evidentemente esauditi i più cari desideri moscoviti.

Gli atteggiamenti recentemente assunti da varie personalità britanniche escluderebbero, però, che il governo inglese intenda realmente impegnarsi in un siffatto imbroglio. Peraltro, sinché la posizione inglese al riguardo non sarà chiarita, evidentemente l'URSS cercherà di lasciarsi aperte tutte le strade.

Mi è sembrato opportuno sottolineare i punti salienti dell'attuale posizione sovietica, in modo da poter rendere, per quanto possibile, chiare le ragioni di certi attuali atteggiamenti dell'URSS (1).

(l) T. 4470/104 R dell'H maggio, ore 20,57, non pubblicato.

(l) Vedi serie ottava, vol. III, D. 866. (l) -Non si è rinvenuto il verbale di tale colloquio. (2) -Vedi serie ottava, vol. III, D. 740. (3) -Nell'intervista, rilasciata il 5 maggio, Mussolinl aveva dichiarato che l'Italia non Intendeva attuare, nei confronti delle popolazioni dell'Africa orientale, una politica analoga a quella seguita dalla Gran Bretagna in India ed aveva poi assicurato che il governo italiano avrebbe preso in considerazione gli interessi commerciali degli altri Paesi in Etiopia. Queste dichiarazioni erano state riportate da diversi giornal europei. (4) -Vedi D. 10.

(l) Si tratta della richiesta di chiarimento al memorandum tedesco del 31 marzo (concernente la zona smilltarizzata della Renania e le proposte per una pace durevole) che il governo britannico aveva presentato il 7 maggio e reso pubblica il giorno successivo sotto forma di «Libro Bianco» (testo in Documenti di politica internazionale, pp. 203-207).

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 1524/330. Roma, 14 maggio 1936 (2).

Telespresso ministeriale del 6 corr. n. 601294/124 (3).

Ho preso conoscenza del punto di vista ministeriale e constato che differisce dal mio. Farò il possibile per adempiere al mio compito con il materiale che potrà essermi fornito da codesto R. ministero e con quello che mi sarà dato di raccogliere direttamente.

È mio desiderio tuttavia di chiarire il mto pensiero su di un punto toccato dal telespresso ministeriale, là dove è scritto che del nuovo clima determinatosi in seguito ai Patti lateranensi «si sono avute anche recentemente prove tangibili». Mi permetto di osservare che da parte della Chiesa i Patti lateranensi sono stati e sono bene sfruttati. Questa R. Ambasciata, la quale vede tutto quello che é trattato dai differenti uffici e dai diversi ministeri, può attestare che non passa giorno che la Santa Sede mieta con proprio profitto in un campo o nell'altro. Dico questo come constatazione di fatto e non per.chè abbia da sollevare obiezioni.

Per quel che riguarda le « recenti prove tangibili », mi sembra oppo.rtuno di fare conoscere il mio pensiero al quale mi sono inspirato nelle numerose conversazioni politiche avute nei mesi scorsi in Segreteria di Stato, e con i capi del maggiori Ordini religtosi.

Il R. ministero con la locuzione succitata ha voluto certamente riferirsi all'atteggiamento tenuto dalla Santa Sede, dall'episcopato e dal ·Clero italiani durante il conflitto etiopico. È fuori di dubbio che la condotta delle alte gerarchie della Chiesa e di tutto il clero italiano, quasi senza eccezione, è stata lodevole. Però non bisogna dimentic!l!re che, in dipendenza del conflitto itala-etiopico, il papato si è trovato di fronte a una coalizione ebraico-massonico-bolscevica,

coalizione fortemente appoggiata, nei suoi fini ultimi, dal clero anglicano e dal protestantesimo. Sono fatti di ieri che non ho bisogno di illustrare.

Abbiamo combattuto in Africa Orientale la nostra battaglia e grazie a Dio l'abbiamo vinta. La Santa Sede, nel nome della Chiesa Cattolica Universale, ha combattuto la sua propria battaglia contro il clero anglicano e le forze occulte che hanno per un momento creduto possibile di mettere in cattiva posizione il Papato di fronte al mondo cattolico.

La posta era grossa e la battaglia è stata ed è pure oggi dura assai. Solo così si spiega l'atteggiamento favorevole all'Italia dei cattolici irlandesi del nord America e di molte altre parti del mondo. Il cattolicesimo universale si è levato per ordine del Papa e, lo si noti bene, del generale dei Gesuiti, perchè la sconfitta dell'Italia avrebbe segnato il trionfo dei peggiori e più accaniti nemici della Chiesa Cattolica. Due battaglie, dunque, ben distinte, l'italiana in Etiopia, la cattolica contro i nemici della Chiesa Apostolica Romana. Nemico comune se si vuole. Ma ciascuno dei combattenti, Italia e Santa Sede, in difesa di posizioni sue proprie.

Questo è il linguaggio che ho tenuto in Santa Sede senza trovare contradditori. Il mio atteggiamento mi ha consentito per di più dì non fare mai ringraziamenti a nessuno (1).

(l) -n presente documento reca il visto d! Mussolin!. (2) -Manca l'indicazione della data di arrivo. (3) -Non rinvenuto.
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IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 5538/568. Budapest, 14 maggio 1936 (per. il 23).

Questo ministro degli Affari Esteri mi ha chiesto confidenzialmente stasera se ero informato del progetto di una visita a Roma dell'ammiraglio de Horthy di cui il generale Goemboes avrebbe intrattenuto V. E. in occasione della recente riunione di Roma.

Ho risposto che me ne era stato parlato qui vagamente a titolo strettamente

personale me ne aveva infatti fatto cenno giorni or sono il capo del Gabinetto

civile del Reggente.

Il signor de Kanya ha soggiunto che il progetto sembrava concretarsi per

una data prossima. Il Reggente, che da diciassette anni non è uscito dall'Unghe

ria, si rallegrava molto di effettuare in Italia il suo primo viaggio all'estero.

Anche la signora de Horthy, egli riteneva, avrebbe assai gradito di accompa

gnare eventualmente il consorte...

Il signor de Kanya ha accennato infine con qualche preoccupazione alla

possibilità che il Reggente «il quale vede tutte le cose da un punto di vista

esclusivamente militare e non si intende di politica» faccia nel corso delle sue

conversazioni a Roma « qualche dichiarazione inesatta o inopportuna, che non

dovrebbe esser presa troppo alla lettera ». Egli, Kanya, pensava in ogni caso di

incaricare confidenzialmente il barone Villani di intrattenerne l'E. V. (2).

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussollnl. (2) -Successivamente il ministro di Ungheria a Roma comunicava che il viaggio del Reggente Horthy era stato rinviato a causa della malattia di Gombos (appunto di Suvich del 23 maggio).
42

L'INCARICATO D'AFFARI A L'AJA, MONACO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 998/263. L'Aja, 14 maggio 1936 (per. il 18).

V. E. avrà visto negli estratti stampa che ho avuto l'onore d'inviarLe con l'ultimo corriere, la conferma di quanto il R. Ministro Le comunicava con telegramma n. 28 del 4 corr. (1).

La tendenza dei principali fra i giornali olandesi (fra essi in prima fila l'importante e serio De Telegraaf) a chiedere l'abba.ndono delle sanzioni, persiste anche in questa settimana che ha visto la partecipazione olandese alla conferenza degli Stati scandinavi e la riunione del Consiglio della Lega a Ginevra.

Fanno eccezione, naturalmente, i fogli socialisti e contmuano a portare una nota discordante nel coro di quelli che trovano sia venuta l'ora di farla finita, i giornali cattolici. Si tratta qui sopratutto di obbedienza alle direttive del partito che, per erronea visione di cose, per deformata maniera di considerare l'analogia di movimenti che portano nomi simili e insegnano ai loro iscritti la stessa forma di saluto, è puramente e semplicemente antifascista.

Vi è, diffuso, un senso di scoramento e di disgusto. Mentre la vittoria italiana viene valutata a un dipresso nella sua giusta misura, non manca il risentimento di avere constatato che la Lega è stata incapace d1 frenare la nostra espansione.

L'Olanda, nella sua qualità di piccola Potenza, aveva riposto nella S.d.N. grandi speranze. Ginevra era forse l'unico centro di contatto delle varie ideologie politiche, l'unico punto di fusione di tutti i partiti. La Lega è stata offesa, e con tutta sincerità l'olandese medio avrebbe voluto vedere che l'« aggressore~ venisse punito, perchè quest'idea di castigo è molto nell'istinto olandese.

Oggi la possibilità di questo castigo viene messa seriamente in dubbio, ed essa viene a trovarsi in contrasto con un altro sentimento pure fortemente radicato in questo Paese ricco, quello degli affari, del lucro. Che per un certo tempo il disappunto per gli affari perduti fosse passato in seconda linea, dimostra quanto l'Olanda avesse preso a cuore il dissidio fra l'Italia e la Lega. L'ostilità che ci è stata dimostrata in tutti questi mesi dalla stampa, non era certo del tutto disinteressata, ma vi sono piccoli indizi che mostrano come essa fosse in molti sincera: so ad esempio di scuole olandesi in cui bimbi di dieci anni sono stati educati in questi ultimi tempi a esecrare il nome del Duce, e esortati a non comprare arance italiane.

Per parte mia credo sia difficile rendersi conto del punto fino al quale il popolo olandese ci è stato veramente ostile. Abbiamo certo avuto alcuni amici sinceri anche nel tempo del conflitto. Pochi ma buoni, che hanno preso le nostre parti dopo aver compreso il punto di vista italiano, le nostre necessità, i nostri diritti. Sono stati pochi. Altri hanno per così dire «sospeso » la loro amic1zia, salvo a riprenderla ora o in avvenire, come quella egregia famiglia

che ha temporaneamente fatto sparire dal suo salotto il ritratto autografato del Duce. C'erano gli uomini d'affari danneggiati dalle sanzioni e quelli erano antisanzionisti. C'erano i nazionalsocialisti, ma quelli non contano ancora abbastanza, ed è possibile che taluni (i cattolici e altri) ci siano stati ostili solo per ostilità al partito N.S.B. (1).

Tutti gli altri, quando parlavano con noi, deploravano cortesemente le sanzioni, accettavano a parole le nostre ragioni, le spiegazioni dei nostri amici. A parole, perché l'olandese è generalmente pavido, esita a dichiarare le proprie idee, si stanca nelle discussioni e rimane della propria opinione.

In realtà era fra essi che si reclutava la massa dei nostri nemici.

Hanno avuto la fortuna di trovarsi a avere un ministro degli Affari Esteri che, per formazione mentale, per una speciale mancanza di elasticità, si è buttato interamente dalla parte di Ginevra.

Non sta a me giudicare quanto abbia potuto influire sul corso del conflitto la presenza a Roma d'un ambasciatore di Sua Maestà Britannica, formato da lunghi anni di vita ginevrina. Ma non posso dubitare che l'unilateralità di vedute del signor de Graeff sia stata dovuta al lungo periodo durante il quale egli ha occupato la carica di Governatore Generale delle Indie Neerlandesi. Egli si è abituato in quegli anni al terrore della minaccia e dell'espansione giapponese, all'idea consolante ·Che c'era un Nume che potesse salvare le Indie, uno solo, e che questo Nume abitava Londra.

Finché egli non sarà autorizzato da Londra, egli lotterà testardamente per

sostenere il punto di vista inglese. Se a Londra non si rinunzierà alle sanzioni

contro l'Italia, non ci rinuncerà neppure lui, anche contro l'opinione sostenuta

dai ministeri economici e, occorrendo, dall'intero Gabinetto olandese, anche

contro un plebiscito. Che se invece Londra lo lasciasse libero, lo assicurasse che

si disinteressa della cosa, egli mollerebbe tranquillamente perchè, in fondo, la

cosa in sè non lo interessa.

Si tratta per la condotta della politica olandese di un'azione che ormai è

puramente personale, dettata solo dai timori e dai dubbi di una sola persona.

Cattiva politica dunque, che per noi ha l'inconveniente di non essere modifica

bile nella persona che la dirige.

In fondo, tutti ne hanno abbastanza. Ci sono contro i cattolici perchè non

capiscono, ci sono contro i socialisti perché è il loro mestiere. E sono masse

fortissime come partiti politici. Ma, individualmente, l'olandese si rende conto

oramai che se la S.d.N. ha fatto fiasco questa volta, essa potrà essere riformata,

perchè il Patto della Lega non consiste del solo articolo 16.

Verso questa riforma della Lega si appuntano oggi le speranze della grande

massa del popolo intelligente, contro la quale il Governo naviga democratica

mente contro corrente (2).

(l) Non pubblicato.

(l) -Nationaal Sociallstische Beweging (Movimento Nazionalsocial!sta). (2) -Il presente documento reca il visto di Mussol!ni.
43

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1680/875. Vienna, 14 maggio 1936 (1).

Com'è naturale, l'improvviso precipitare di una crisi che da tempo si andava trascinando ha causato la più forte sensazione. Come motivi e come cause profonde dello stato di cose che ha condotto alla crisi il Cancelliere ha indicato e fatto indicare i seguenti:

Anzitutto la inopportunità di continuare Ln un dualismo di Governo che se era necessario per parare alla grave situazione ereatasi nel luglio '34 rischiava di paralizzare ogni utile lavoro e di allargare pericolose scissì:oni fra i movimenti aderenti al regime nonchè di ripercuotersi nell'opinione pubblica del Paese. Inoltre, la circostanza che, a dire del Cancelliere, la eccessiva indipendenza del carattere dello Starhemberg e la sua impossibilità a sottostare ad una collaborazione metodica rendevano difficile qualunque discussione e trattazione di affari in comune. Infine, la tensione creata in questi ultimissimi tempi culminata nelle note frase antidemocratiche contenute nel telegramma al Duce (2), che non potevano non prestarsi a venir sfruttate all'interno ed all'estero in senso dannoso per il Paese.

Circa, poi, la maniera con cui si è svolta la preparazione del nuovo Gabinetto, è da osservare che in un primo tempo, il Berger venne incaricato di condurre le discussioni tra il Cancelliere ed il Vice-Cancelliere, il primo volendo giungere ad un Gabinetto in cui il Vice-Cancellierato venisse assegnato al nazionale Glaise-Horstenau o a Srbik le Finanze e gli Interni conservati al Draxler ed al Baar, l'Agricoltura al Mansdorf e la Giustizia conservata al Winterstein. Come capo della Milizia avrebbe dovuto essere nominato il Baar mentre lo Starhemberg avrebbe conservato il Fronte Patriottico. Tale combinazione non fu possibile a seguito delle pressioni che per conto dello Starhemberg esercitava Berger onde conservare il Vice-Cancellierato alle Heimwehren nella persona del Baar. I nazionali allo,ra esclusi da tale carica e non contentandosi di ministeri senza portafogli, rifiutarono di aderire alla combinazione, la quale venne quindi sostituita dalla definitiva, che è la seguente:

Schuschnigg: Cancelliere, ministro degli Esteri e della Difesa Nazionale;

Eduard Baar-Baarenfels: Vice-Cancelliere, incaricato del Dipartimento del-

l'Interno e Pubblica Sicurezza;

Hans Hammerstein-Equord: ministro della Giustizia;

Dr. Hans Pernter: ministro dell'Istruzione;

Dr. Ludwig Draxler: ministro delle Finanze;

Fritz Stockinger: ministro del Commercio;

Generale Zehner: segretario di Stato per la Difesa Naz.;

Guido Zernatto: segretario di Stato alla Cancelleria Fed..

Ulteriori cambiamenti intervennero nella direzione del Fronte Patriottico e nel comando della Milizia. La presidenza del primo -contrariamente alle disposizioni del defunto Cancelliere e per quanto un'apposita legge occorresse per modificarle -è stata infatti assunta dal Cancelliere il quale~ allontanato l'Adam lo ha sostituito con l'heimwehrista Zernatto, al contempo immesso nel governo quale sottosegretario alla Cancelleria.

Tale piano non venne affatto ostacolato dallo Starhemberg essendo suo segreto intendimento di ottenere che poco a poco le Heimwehren abbandonino il Fronte stesso, al fine di riassumere la loro speciale fisionomia e le loro caratteristiche, in maniera da ritrovare la antica individualità e combattività, nonchè di riprendere la funzione e la struttura di un vero e proprio partito.

Quanto alla Milizia, il Baar ne è stato nominato comandante. Tale nomina, secondo il pensiero di Starhemberg, permette di aver a tal posto una delle personalità a lui più fide, pronta a controllare lo spirito e l'impiego della Milizia, se l'esistenza di essa sarà giudicata utile in avvenire, o a sminuirla, o addirittura a dissolverla, se l'ulteriore svolgimento delle cose ne dimostrasse la opportunità.

Comunque, le discussioni e le trattative sono state delle più laboriose tanto che solo alle prime ore del mattino la crisi poteva dirs1 realmente risolta. L'annuncio al pubblico ne è stato dato da un comunicato governativo diffuso da edizioni speciali dei giornali, comunicato che chiama la nuova formazione di «unione patriottica », specificando che la partenza dello Starhemberg è dovuta ad «effettive divergenze di vedute col Cancelliere», e che la collaborazione delle Heimwehren persiste, e terminando col testo dei due telegrammi inviati dal Cancelliere al Duce ed al presidente Gombéis, riassunti sotto il titolo « Manifestazioni di amicizia ai firmatari dei Patti di Roma».

Accludo un esemplare di tale edizione speciale.

Per quanto conce·rne l'impressione sollevata in questi ambienti diplomatici osservo che i commenti sono, in complesso, orientati nel senso di voler riconoscere che Starhemberg ha facilitato la risoluzione della crisi consentendo ad esponenti di partecipare al nuovo Gabinetto.

Viene anche espressa la speranza che l'ex Vice-Cancelliere non vorrà esplicare azioni tendenti ad ostacolare l'esperimento dell'attuale Governo.

I commenti poi della stampa tutti uguali ed ispirati agli stessi concetti dimostrano con evidenza la sua acquiescenza alla trama impostale dall'ufficio Stampa della Cancelleria Federale.

Si afferma in essi commenti che l'orientamento dato al Governo da Dol

lfuss sarà mantenuto e che il dualismo, giustificato forse in un primo tempo,

aveva portato ad attriti che ostacolavano la ricostruzione dello Stato e che

perciò col provvedimento attuale si è raggiunto il concentramento completo

di tutte le forze patriottiche.

Si insiste sul fatto che il Cancelliere, riservandosi il portafoglio degli Esteri,

potrà assicurare la necessaria concordanza tra politica estera ed interna

in momenti come questi di tensione internazionale in cm si devono prendere

spesse rapide decisioni.

La stampa inoltre è unanime nell'affermare che i telegrammi inviati dal Cancelliere a Mussolini ed a Gombos stanno a dimostrare che nella politica estera austriaca nulla è mutato e che gli accordi romani rimangono la base per la ricostruzione economica del bacino danubiano, mentre amichevoli relazioni con L'~talia e l'Ungheria continuano come per l'avanti.

Tutti i giornali infine riconoscono in modo unanime i meriti e le qualità dimostrate da Starhemberg durante il suo Vice-Cancellierato (1).

(l) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (2) -Vedi p. 25, nota l.
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IL PROFESSOR MANACORDA AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Berlino, 14 maggio 1936.

Data urgenza situazione austriaca, affrettami inviare E. V. due brevi limpide relazioni scritte, su mio desiderio, rispettivamente da Eugenio Morreale segretario del fascio viennese e Domenico Angelini docente nell'Università di Vienna (2).

ALLEGATO I

APPUNTI SULLA SITUAZIONE DELL'AUSTRIA (3)

L'enorme squilibrio di potenza territoriale, demografica ed economica tra la Germania e l'Austria renderebbe inevitabile l'assorbimento dell'Austria, ove non si cercasse di ristabilire il bilancio con elementi di compenso interni ed esterni.

ELEMENTI INTERNI.

Il fattore storico. L'Austria sa che l'ingrandimento della Prussia è avvenuto quasi esclusivamente a proprie spese. Essa può nutr.ire la speranza che un capovolgimento delle sorti, o comunque un ·rivolgimento internazionale, possa andare a proprio vantaggio ed a danno non solo della Germania, ma anche di Stati formati od ingranditi troppo ,affrettatamente alla fine della guerra mondiale. Da qui la necessità <Li ridare alla popolazione il senso della propria storia, di parlare di una «missione» dell'Austria e di creare un sentimento patriottico ignoto ai tedeschi della monarchia austroungarica. Tale sforzo può essere armonizzato con una politica di amicizia italaaustriaca, insistendo sul fatto che la «nuova Austria» si trova di fronte ad una «nuova Italia» e creando un'ideologia che ha le seguenti basi concrete: L'Italia, pur avendo assestato all'Austria i colpi più duri, è la nazione che alla fine deila guerra le ha tolto un territorio che per l'austriaco ha soltanto un valore sentimentale; l'Alto Adige; l'Italia è interessata non solo a1l'indipendenza dell'Austria, ma anche al rifiorire economico di essa, in quanto tale prosperità non le è di danno (lo è invece per la Cecoslovacchia) e serve al consolidamento delr.indipendenza.

Il fattore geografico. L'Austria ha la coscienza deHa propria posizione geografica, il cui valore diminuirebbe notevolmente o cesserebbe del tutto ave essa diventasse

l'appendice di un altro Stato come la Germania. L'Austria sa che diverrebbe il campo di battaglia di numerosi eserciti il giorno in cui si tentasse la sua soppressione: resiste quindi all'annessione anche per non passare attraverso a un così duro esperimento.

Il fattore economico. L'economia austriaca e la tedesca sono parallele e non complementari; perdersi nel mare magno dell'economia tedesca significherebbe per l'Austria rinunciare ai vantaggi che Te derivano dall'attenzione che le dedicano le grandi Potenze interessate alla sua esistenza.

Il fattore religioso. Questo è una conseguenza del fatto che il territorio dell'Austria attuale si trova al di qua del « limes » romano; è una causa -tra le più immediate ed efficienti -dell'avversione al protestantesimo, effetto ed indizio a sua volta di una ben diversa mentalità.

Il fattore politico. L'avversione all'annessione è stata determinata in Austria il giorno in cui il governo di Berlino, per provvedere all'unificazione del Reich, aboliva le autonomie dei Lander germanici, che riduceva a provincie. L'Austria, che fino a quel giorno poteva anche prendere in considerazione la inclusione di uno Stato autonomo austriaco nella federazione degli Stati tedeschi e nutrire la speranza dei benefici della somma politica dell'Austria alla Baviera, ha compreso che annessione significherebbe trasformazione in una provincia subordinata alla Prussia accanto ad una Baviera già esautorata.

Il valore di questi elementi interni positivi è attenuato da alcuni elementi negativi. La coscienza tedesca del popolo austriaco, il quale, nel suo profondo sentimentalismo, male accetta una lotta aperta coi fratelli del Reich;

le incertezze della politica interna, le quali tengono costantemente all'erta la massa amorfa ed oscillante, sempre pronta a gettare il ponte dalla parte che di volta in volta dà i maggiori affidamenti di successo;

la persistenza della mentalità demo-parlamentare, che si oppone ad un esperimento corporativo, il quale (enciclica Quadragesimo anno e guildismo) ha o carattere astratto o di ritorno all'antico.

Questi elementi negativi fanno sì che l'opposizione al governo sia piuttosto forte e più forte ancora lo stato di malessere; erroneo sarebbe, però, dedurne che l'opposizione sia costituita da un nazismo efficiente e combattivo. Se così fosse, se ne sarebbero viste le conseguenze all'atto dell'assassinio di Dollfuss. Lo stato di malessere, invece, offre un buon terreno alla nuova tattica germanica della kalte Gleichschaltung.

Elementi esterni. L'appoggio deciso di Potenze straniere che, come l'Italia, hanno anche un interesse al consolidamento economico dell'Austria.

ALLEGATO II

PROMEMORIA

La situazione generale del Paese non presenta possibilità di realizzazioni costruttive. Il Governo dispone di un limitatissimo seguito. La popolazione deil'Austria, infatti, può dividersi in tre gruppi: l) socialcomunisti, 2) nazionalsocialisti, 3) fronte patriottico.

I primi due gruppi raccolgono più dei 2/3 della popolazione.

I socialcomunisti riescono a mantenere le file del disciolto partito. La vicinanza di Vienna alla frontiera cecoslovacca factlita l'azione degli emissari, tra quali l'elemento femminile si distingue.

In massima parte reclutano aderenti fra: gli operai, i piccoli impiegati {per lo più privati), gli ebrei, determinati ambienti intellettuali per lo più giovanili.

I nazionalsocialisti austriaci, che comprendono nelle loro file in grande maggioranza .i vecchi elementi del partito pangermanista, guardano alla Germania -fatta eccezione di una piccolissima minoranza -più per considerazioni di carattere economico, che per considerazioni di carattere ideologico. I nazionalsocialisti austriaci mancano, come per il passato, di oapi. In massima parte reclutano aderenti fra: gli impiegati statali, la gioventù .intellettuale, i professori universitari e medi, la magistratura, i liberi professionisti, i contadini in alcune regioni (per esempio: Tirolo, Carinzia, ecc.).

Essendo il passato austriaco un capitolo definitivamente chiuso sia dal punto di vista storico sia da quello politico, i nazionalsocialisti austr·iaci guardavano con sincera simpatia l'Italia fascista.

Il fronte patriottico raccoglie gli elementi, che, per i loro presupposti ideologici, non possono certamente guardare l'Italia con sincera simpatia. Il «fronte » manca di unità di comando, perché gl.i interessi di troppe persone cozzano violentemente gli uni contro gli altri. Il dissidio Schuschnigg-Starhemberg è profondo e noto. L'elemento cattolico (leggi: cristiano sociale) cerca di liquidare le formazioni delle Heimwehr. L'atteggiamento dell'Italia suscita serie diffidenze negli elementi non heimwehristi (i più seri) del «fronte» verso il nostro Paese. Gli elenchi nominativi del «fronte» non hanno nessun valore, perché a tutti i dipendenti delle amministrazioni stat:l!li, provinciali, comunicali è fatto obbligo di iscriversi. Il «fronte» è sostenuto dagli ebrei per puro interesse di difesa materiale.

L'amicizia dell'Italia per Starhemberg compromette in Austria seriamente il nostro Paese. Nella valutazione generale Starhemberg è considerato come un volgarissimo uomo, che si vende al migliore offerente. Intellettualmente è v>alutato zero. Nella vita privata è persona tutt'altro che seria. La sua presenza nuoce al «fronte». Schuschnigg lo ha evidentemente capito; ed è per questo che cerca di liquidarlo.

La politica del «fronte», se questo si consolidasse, sarebbe certo la cosa migliore per l'Italia; purché si impedisca il ritorno degli Asburgo.

Trattando con l'Austria non bisogna dimenticare che per nessun austriaco -oggi nazionalsocialisti compresi -il problema dell'Alto Adige è considerato questione chiusa. A questo proposito ricorderò che le formazioni di Starhemberg si sono sempre distinte per «l'azione per il Sud Tirol», in parte ignorate dalle nostre autorità diplomatiche. Fu per esempio una nov,ità quando documentai l'azione della Heimwehr nelle università austriache per il Sud Tirol.

La nostra campagna abissina è stata assolutamente impopolare in Austria. Nessuna importanza possono avere certi commenti e certe corrispondem:e, largamente riportate dai nostri giornali, perché pubblicate su fogli o di scarsa o di nessuna importanza.

Per l'attività culturale non deve sfuggire l'importanza che ancora oggi conserva l'Università di Vienna, che richiama numerosi studenti stranieri. I balcani sono largamente rappresentati. Per questa attività culturale nel campo universitario i mezzi messi a disposizione sono irrisori; ed è doloroso dover dire che si è nella assoluta impossibilità di fare tutto quello che si potrebbe e si saprebbe fare per l'affermazione culturale dell'Italia fascista.

AHa fine dell'anno scolastico mi riprometto di presentare alle competenti autorità centrali una dettagliata relazione.

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolini. (2) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolini, che vi annotò a margine: «Importante». (3) -L'appunto è datato 9 maggio 1936.
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IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4674/57 R. Budapest, 15 maggio 1936, ore 14,40 (per. ore 17).

Ministro degli Affari Esteri mi ha manifestato qualche preoccupazione per profondi mutamenti subentrati Governo austriaco, dei quali mi ha detto non

vedere ancora con tutta chiarezza motivi, carattere e portata. Spera recarsi quanto prima Vienna per rendersi conto direttamente situazione.

Ministro d'Austria ha confidato a me ed altri non escludere che recente telegramma Starhemberg al Duce (1), telegramma che è spiaciuto a Ginevra, Londra e Parigi, abbia potuto avere effettiva influenza sulla crisi.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A SANTIAGO, MARCHI

T. RR. 2176/47 R. Roma, 15 maggio 1936, ore 24.

Esprima al presidente Alessandri il mio cordiale plauso per l'iniziativa da lui presa per l'abolizione delle sanzioni (2).

Con l'occasione V. E. potrà far rilevare al presidente Alessandri che il Cile per la sua autorità di grande Stato e membro del Consiglio della S.d.N., non dovrebbe tollerare che sua coraggiosa iniziativa, rispondendo a sentimenti unanimi dei Paesi che hanno oramai giudicato doversi abolire sanzioni, venga sabotata dagli organi del Segretariato e dal Comitato presieduto da Vasconcellos.

Unica logica risposta del Governo cileno dovrebbe essere immediata abolizione delle misure legislative emanate come sanzioni, per i motivi addotti dal suo delegato.

L'Italia attende dalla grande Repubblica americana questa manifestazione di solidarietà latina e l'Italia non la dimenticherà.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PER CORRIERE 2185· R. Roma, 15 maggio 1936, ore 21.

Telegramma di V. E. n. 295 (3).

Non dubito che V. E. avrà replicato a Bargeton nel senso che il Governo italiano non potrebbe neppure discutere circa la permanenza di forze francesi a difesa della ferrovia. Il mantenimento dell'ordine pubblico come la vita e i beni degli stranieri vengono già assicurati dalle nostre truppe nella zona della ferrovia, come in tutto il territorio etiopico che è già stato posto sotto la sovranità italiana.

L'atteggiamento equivoco di codesto Governo, che si deduce dalla risposta di Bargeton, è confermato dal seguente telegramma in data 9 corr. pervenuto a questo ministero dal capo di Gabinetto del Viceré d'Ttiopia:

«Giusta le istruzioni impartite dall'E. V. ho invitato questo ministro di Francia a rinviare a Gibuti la compagnia di senegalesi, attualmente di guardia alla Legazione di Francia. Il signor Bodard, pure assicurandomi di essere personalmente disposto a far partire detta compagnia dato che le truppe italiane garantiscono ormai la sicurezza della colonia francese in Addis Abeba, mi ha fatto leggere in via confidenziale un telegramma ricevuto in questi giorni dal Governo di Parigi, con cui gli si ordina di mantenere la guardia della Legazione. Bodard mi ha pregato di interessare V. E. dì. volere ottenere da Parigi la revoca di detto ordine. S. E. l'Alto Commissario mi incarica comunicare quanto precede a V. E. per il seguito che riterrà del caso».

Come è noto a V. E., abbiamo preferito non chiedere esplicitamente al Quai d'Orsay il ritiro del presidio francese da Dire Daua (nonché analogamente quello della compagnia di senegalesi che risulta ora essere stata mandata ad Addis Abeba per garantire la sicurezza di quella colonia francese) in quanto ritenevano che codesto Governo avrebbe provveduto esso stesso al ritiro come conseguenza della dichiarazione che da parte nostra avremmo garantito il mantenimento dell'ordine pubblico e la vita e ì beni degli stranieri.

È ovvio che la situazione attuale non potrebbe durare a lungo senza far nascere incidenti, che ritengo sia desiderio del Governo francese, come è desiderio nostro, di evitare. Lascio quindi a V. E. di scegliere il modo migliore per far comprendere a codesto Governo l'opportunità di ordinare spontaneamente il ritiro dei presidii francesi da Dire Daua e da Addis Abeba (1).

(l) -Vedi p. 25, nota l. (2) -Il 12 maggio, il delegato del Cile alla S.d.N. aveva inviato al segretario generale una nota nella quale comunicava che il suo governo, essendo terminata la guerra in Etiopia, riteneva che dovessero essere abrogate le misure prese nei confronti dell'Italia. Si veda anche il D. 4. (3) -Vedi serie ottava, volume III, D. 798, nota 3.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERl'JO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. uu. 4707/212 R. Berlino, 15 maggio 1936, ore 21,19 (per. ore 24).

Ho ragione di ritenere che riserbo da me usato nella notifica decreto annessione Abissinia (di cui non ho neanche dato notizia ai giornalisti italiani) è stato qui apprezzato.

Avrò tutto da guadagnare a mantenermi su quella linea. Da una ulteriore conservazione, puramente amichevole e personale, avuta con von Biilow a casa mia ho infatti tratto impressione che, in sostanza, Germania non ha alcuna difficoltà giungere al riconoscimento ma non ritiene giunto momento per farlo. Questa impressione mi viene anche confermata -e persino in senso più ottimistico -da persona che ha avvicinato Hitler proprio oggi.

Intanto è bene tener conto di taluni armeggi che sì. vanno già delineando.

I primi a precipitarsi al ministero degli Affari Esteri per sapere se e cosa io

avessi «domandato» sono stati ministro Romania e ambasciatore Turchia (quello di Francia e ministri Austria e Lituania lo chiesero direttamente a me). Ma oggi, a mezzogiorno, si è presentato al ministro degli Affari Esteri ambasciatore del Giappone, il quale, dopo aver anche egli chiesto «informazioni » del caso, si è affrettato aggiungere che Germania doveva nell'occasione ricordarsi del Manciukuo «il quale aveva, in materia di riconoscimento, un diritto di precedenza cui non poteva rinunziare ».

Segnalo questa mossa Giappone, esegulta o non per mcanco e m1z1at1va Tokio non potrei indicare, ma che potrebbe in più Paesi creare imbarazzi. Comunque, a von Biilow, che mi informava amichevolmente di tutto questo, ho specialmente raccomandato di non scoraggiare, ove ne fosse eventualmente interrogato, il Brasile.

Continuo sorvegliare e non mancherò segnalare, quando si presenteranno, possibilità di più sicuro e deciso intervento.

(l) Per la risposta vedi D. 75.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4706/213 R. Berlino, 15 maggio 1936, ore 21,06 (per. ore 22,20).

Avvenimenti austriaci (l} hanno preso Berlino alla sprovvista. Anche la stampa osserva in materia prudente riserbo. Prime impressioni circoli ufficiali sono tuttavia che, se effettivamente evento potesse esser assunto a manifestazione di forza da parte del Cancelliere Schuschnigg, situazione austriaca potrebbe essere migliorata, dualismo finora esistente costituendo un evidente elemento debolezza e pericolo. Si dubita peraltro molto che Starhemberg, si adatti così facilmente a lasciarsi sopraffare malgrado tutto (2).

Ministro d'Austria affetta grande ottimismo. Fattomi comprendere che, anche secondo lui, Starhemberg non meritava la grande considerazione di cui era oggetto. Gradirò a mia volta maggiori possibili informazioni.

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L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4768/125 R. Buenos Aires, 15 maggio 1936, ore 21,29 (per. ore 6 del 16).

In riscontro alla mia nota del 10 maggio concernente decreto annessione Etiopia, da me subito consegnata a Saavedra Lamas in conformità delle istruzioni e con aggiunta di tutte le considerazioni verbali di cui al telegramma

di V. E. n. 2062 (1), mi è stata iersera portata all'ambasciata una nota, del Ministro argentino, nella quale dopo aver accusato ricevuta nelle consuete forme, si dice letteralmente quanto segue:

« In proposito mi pregio manifestare a V. E. che il Governo argentino, presa conoscenza degli estremi del citato decreto i cui termini sono collegati alle deliberazioni che si realizzano nel Consiglio della S.d.N. con la partecipazione dei propri delegati, si vede nel caso di formulare la riserva che ne deriva e che è imposta dalla circostanza di cui sopra e dai principi della sua tradizione giuridica internazionale».

Invio domani per corriere aereo il testo dell'ora detta nota.

Questa procedura mostra ormai indiscutibilmente essere Saavedra Lamas deciso a non derogare dalla sua personale politica di aHermazione ultrasocietaria nonostante tutta la continua fermissima argomentazione espostagli nel senso chiaramente riassunto per ultimo col telegramma 80 dell'E. V. (2) e nonostante tutti i pas,si effettuati sia direttamente sia indirettamente per tramite di influenti personalità come pure per mezzo della stampa e delle esplicite grandi manifestazioni di opinione pubblica, allo scopo di cercare di convincerlo dell'assurdità del suo atteggiamento in contrasto con positive disposizioni dell' Argentina nei riguardi dell'Italia.

Fermo restando quanto precede, credo doveroso ancora ad ogni buon fine porre incidentalmente in rilievo il dato di fatto che anche più del consueto nell'attuale compagine del Gabinetto argentino (rimasta assai scossa dopo il successo dell'opposizione nelle ultime elezioni e le successive dimissioni del ministro dell'Interno Melo) la politica estera dello stesso va considerata in pratica come esclusivamente maneggiata personalisticamente da Saavedra Lamas. Riferisco d'altra parte a titolo informativo che avendo io poi stanotte manifestato nettamente di persona a quest'ultimo tutto il nostro legittimo risentimento per la sua assoluta incomprensione, egli mi ha ancora ostinatamente voluto affermare di essere mosso unicamente da pretesa ineluttabile necessità di congruenza di linea politica. Saavedra Lamas ha infine aggiunto che non (ripeto non) intende per ora rendere di pubblica ragione l'anzidetta nota di risposta se ciò non avvenga da parte nostra. Praticamente afferma che in ogni caso ce ne darebbe preavviso.

(l) -Vedi D. 43. (2) -Sic.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A GUATEMALA, CORTESE

T. 2188/34 R. (3). Roma, 15 maggio 1936, ore 24.

Presenti le mie felicitazioni al ministro degli Esteri per il suo gesto nei confronti di Ginevra (4) e gli chieda a titolo di cortesia copia della nota mandata a Ginevra.

9 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

(l) -Vedi D. l. (2) -Vedi D. 29. (3) -Minuta autografa. (4) -Con T. 4629/49 R. del 14 maggio, ore 14,11, Cortese aveva riferito che il governo del Guatemala aveva notificato telegraficamente al segretario generale della S.d.N. il suo ritiro da Ginevra.
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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. S. PER CORRIERE 4800/052 R. Belgrado, 15 maggio 1936 (per. il 18).

Telegramma di V. E. n. 4252 P.R. Gab. Segreto del 2 maggio c. a. (1).

Ho esposto oggi Stojadinovic, punto per punto, le ragioni e circostanze nelle quali è stata disposta la messa in libertà di Pavelic e Kvaternik. Ho decisamente smentito quanto di fantastico gli era stato riferito dal signor Ducic e gli ho dichiarato -come da dirette istruzioni di V. E. -che le disposizioni del R. Governo a riguardo della Jugoslavia si mantenevano immutabilmente le stesse.

Stojadinovic mi ha dichiarato essere rimasto molto tranquillizzato dalle assicurazioni dategli e mi prega di ringraziare vivamente V. E. Ha aggiunto che la questione del fuoruscitismo croato in Italia potrebbe considerarsi definitivamente sepolta, agli effetti delle relazioni itala-jugoslave, se il R. Governo consentisse a considerare la possibilità di un gesto o dichiarazione, anche occasionali, da parte sua, aventi il significato di sconfessione dell'agitazione croata nel Regno.

Ho risposto che avrei segnalato, tale e quale, il suo desiderio, ma che non bisognava dimenticare che oggi la Jugoslavia è pur sempre uno degli Stati assedianti e come tale è considerata dall'opinione pubblica italiana.

53.

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4795/053 R. Belgrado, 15 maggio 1936 (per. il 18).

Ho chiesto oggi a questo presidente del Consiglio come Governo jugoslavo si sarebbe regolato circa risposta alla nostra notificazione per annessione Impero etiopico. Stojadinovic considerava che una risposta era dovuta: stava concertandosi con Gabinetti delle due Intese circa forma per accusare ricevuta. Ho osservato -a titolo personale -che se si trattava di semplice accuso di ricevuta non impegnativo sulla sostanza non vedevo la ne·cessità di prendere accordi; se poi la risposta si fosse portata sul merito della nostra comunicazione mi pareva questa occasione propizia per il governo jugoslavo di fare un gesto amichevole, tanto più apprezzato quanto più individuale e sollecito.

Stojadinovic mi sembra non aver lasciato cadere nel vuoto le mie parole e mì ha fatto le solite obiezioni relative agli impegni societari prestandosi però a discutere sulla possibilità di rispondere con un riconoscimento di principio,

accompagnato da eventuali formali riserve per gli impegni predetti. Egli è persuaso che non ci sia che da accettare il fatto compiuto, e tanto più presto si farà, meglio sarà. Le sanzioni non possono mutare nulla, e poichè non si può ammettere che abbiano lo scopo puerile di una rappresaglia dispettosa, non rimane che l'ipotesi che Inghilterra tenti servirsi di esse per ricattare Italia a profitto suoi interessi, nel qual caso Jugoslavia, già abbastanza danneggiata, non intenderebbe più oltre prestarsi al giuoco.

Ho ascoltato con evidente soddisfazione queste parole di Stojadinovic non senza rammentargli che la situazione oggi verificatasi gli era stata da me prospettata nell'ottobre scol\So quando -alla vigilia dell'offensiva societaria -lo avvertivo che la incondizionata adesione della Jugoslavia alle sanzioni non avrebbe avuto altro risultato che di recarle danni ingenti e di compromettere il riavvicina:mento coll'Italia senza corrispettivo beneficio della sua politica generale.

Passati a parlare delle relazioni italo-jugoslave ho detto francamente a Stojadinovic che non ignoravo i malumori provocati nel Governo jugoslavo dagli accordi italo-albanesi (l) e dagli accordi italo-austro-ungheresi di Roma (2); poiché egli non aveva mai creduto di parlarmene, preferivo parlargliene io, e dimostrargli come essi fossero ingiustificati. Mi sono valso all'uopo degli elementi a suo tempo favoritimi dall'E. V. al riguardo, e ho concluso dicendogli che, da persona pratica e realistica com'egli era -doveva ammettere che l'Italia, mentre conduceva aspra e grandiosa impresa di guerra in Africa ed era stretta dall'iniquo assedio economico di 52 Stati -aveva bene il diritto di rafforzare le sue intese politiche ed economiche coi pochi Paesi che le si erano mostrati amici, e verso i quali essa era anche tenuta da riconoscenza. Del resto detti accordi non erano diretti contro nessuno ed aveva torto la Jugoslavia di istituire -come mi risultava-un necessario contrapposto fra il «blocco di Roma» e le costellazioni danubio-balcaniche, chè anzi nelle conversazioni di Roma (e gliene avevo a suo tempo data notizia per ordine di V. E.) si era considerata la possibilità di collaborazione colla Piccola Intesa e, in prìmis, colla Jugoslavia. Che dire allora degli impegni mediterranei della Jugoslavia e dei recenti rafforzati accordi fra gli Stati della Piccola Intesa e della Intesa Balcanica, motivati non da pericoli attuali come quelli nei quali era venuta a trovarsi l'Italia, ma da pericoli ipotetici?

Proseguendo in quest'ordine di argomento ho creduto di mettere in guardia Stojadinovic contro le manovre di quanti -nell'odierna situazione -cercano di dar consistenza a presunte intenzioni espansionistiche italiane in altri settori: tali manovre troppo evidentemente dirette a impedire lo sgretolamento del fronte ginevrino, si appuntano di preferenza sulla politica mediterranea dell'Italia e sulle pretese sue aspirazioni in Adriatico. Il noto Pertinax ha ripreso da qualche tempo (era da sperarsi per suo conto e non per ispirazione) il sistema di mettere zizzania fra Italia e Jugoslavia con tendenziose allusioni all'Albania, al rilascio di Pavelic, ecc. Mi constava d'altra parte (per confidenze fattemi

dallo stesso Martinatz) che Riistu Aras, costantemente ossessionato dalle pretese nostre mire in Asia Minore, non tralascia occasione per parlare a Belgrado della minaccia italiana e recentemente ha attribuito all'Italia la paternità dei vari movimenti verificatisi in Egitto, in Palestina, in Grecia.

Stojad1novic non ha potuto smentire le mie informazioni ma ha colto l'occasione per dichiararmi che « pur apprezzando molto i suoi amici Aras e Titulescu, ha imparato a far la tara su quanto essi dicono ». Titulescu -secondo quanto mi riferisce Stojadinovic -rimane, in fondo, sempre contrario al riarmo degli Stretti; egli assicura che si tratta di una mossa sovietica a cui la Turchia si è prestata.

Si attende a Belgrado per fine maggio il colonnello Beck. Circa questa visita Stojadinovic mi riferisce avere avute molte difficoltà, specie da parte di Benes che gli avrebbe fatto sapere che, se riceve Beck, egli non metterà più piede i:n Jugoslavia. Comunque, Stojadinovic desidera incontrarlo e sentirlo anche se le conversazioni si ridurranno a « un giro d'orizzonte ». Il presidente mi domanda quanto vi sia di vero circa la possibilità di un'accessione della Polonia al «triangolo romano». Gli rispondo che non so nulla di più di quanto è stato detto da certa stampa. A mia volta gli chiedo se la visita di Beck avrà effetti sui rapporti magiaro-jugoslavi: Stojadinovic non saprebbe dirlo, ma non esclude che se ne parli: del resto, la Jugoslavia tende a fare una politica di buon vicinato con tutti, perché ha il «piacere» di avere sette vicini. Mentre ero in attesa di essere introdotto nel Gabinetto del presidente, ne è uscito il ministro di Gran Bretagna; il signor Campbell, persona fredda e riservatissima, che d'altronde ho visto poco per essere egli giunto qui dopo prodottasi la tensione dei rapporti itala-inglesi, mi si è fatto incontro stendendomi la mano con effusione e si è intTattenuto meco per interessarsi della mia salute e di quella dei miei famigliari, esprimendo la speranza di incontrarmi più spesso nel corso dell'estate. Riferisco la circostanza a titolo di cronaca. Successivamente il presidente Stojadinovic mi ha confidato che sir Ronald Campbell era stato da lui a protestare per i vari commenti di stampa, apparsi in questi giorni, nei quali si insiste sullo scacco subito dall'Inghilterra.

(l) Vedi serie ottava, vol. III, D. 806.

(l) -Trattato tra Italia e Albania del 19 marzo 1936 (vedi Trattati e convenzioni, vol. L, pp. 25-73). (2) -Protocolli del 17 marzo 1934, vedi serle settima, vol. XIV, D. 811.
54

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 15 maggio 1936.

Il Cancelliere federale dottor Schuschnigg ha fatto pervenire ieri nelle ore pomeridiane al ministro d'Austria Vollgruber un messaggio telefonico destinato ad essere in parte comunicato ufficialmente dallo stesso ministro d'Austria a

s. E. il Capo del Governo e in parte da comunicare in via privata a me perchè ne riferissi a S. E. il Capo.

Il Cancelliere si richiama al memorandum da lui consegnatomi a Vienna martedì 12 conente (1), nel quale, nell'accennare alle eventuali modificazioni oggettive e personali nell'organizzazione del Governo e della Vaterlandische Front da lui previste imminenti, assicurava il pieno accordo tra lui e il Vice Cancelliere principe Starhemberg. A questa persuasione lo autorizzava un ampio colloquio avuto la sera innanzi con Starhemberg, nel corso del quale le proposte presentate dal Cancelliere avevano conseguito l'approvazione del principe, il quale aveva solo messo innanzi alcuni emendamenti che il Cancelltere aveva accettato. Il principe Starhemberg aveva solo desiderato di poter ponderare ancora sulla situazione per dare una risposta definitiva nel giorno successivo. Contrariamente alla previsione, il Vice Cancelliere aveva sollevato nel colloquio di mercoledì 13 varie essenziali obiezioni ed av.eva insistito perchè la soluzione della crisi fosse ritardata almeno di una settimana.

Il Cancelliere non aveva creduto di aderire a tale destderio perchè anzitutto gli incidenti avvenuti domenica durante la rivista degli operai del Fronte cattolico minacciavano di degenerare in più seri conflitti, e d'altra parte la situazione generale di incertezza e di malcontento esigeva pronti provvedimenti che senza le riforme prog.ettate non sarebbero stati possibili. Per una immediata ricomposizione del Gabinetto insistettero nello stesso giorno presso il Cancelliere tanto il presidente della Banca Nazionale quanto lo stesso ministro delle Finanze che è un fedele hei:mwehrista, accennando a pericoli di turbamenti nel campo finanziario ed economico.

Si presentava l'assoluta necessità di eliminare il dualismo costituito tra Governo e VaterHi.nd~sche Front, riunendo in un'unica persona la direzione dei due organismi per dare così maggiore riliev·o e consistenza al principio autoritario e alla unica volontà politica del Regime.

È stata affacciata allora anche la questione di affidare il potere ad una terza persona del tutto nuova, ma si è preferito di evitare che con un tale provvedimento potesse essere messa in dubbio la continuità della linea politica interna ed internazionale, mentre era proprio in tale momento anche più necessario di sottolineare in modo non dubbio l'a:ss·oluta stabilità della politica estera e della politica interna. Per queste considerazioni il Cancelliere Schuschnigg ha accettato di ricomporre il Gabinetto, assumendo anche la direzione della Vaterliindische Front. Si sarebbe così evitato per l'avvenire che il Capo del Gov·erno ignori azioni o manifestazioni di carattere politico compiute senza l'accordo con lui e delle quali poi egli stesso avrebbe dovuto costituzionalmente assumere le responsabilità.

I rapporti di personale amtcizia tanto col cessante Vice Cancelliere quanto con altri elementi direttivi delle Heimvehren, faciliteranno al dottor Schuschnigg il compito che egli si prefigge di mantenere la più stretta collaborazione col Heimatsschutz, i cui rappresentanti, con l'espresso consenso del principe

Starhemberg, sono rimasti in pos1zwne importante nel nuovo Gabinetto. Uno degli scopi del Cancelliere sarebbe di tentare un allargamento della base della Vaterlandische Front verso circoli che sono profondamente fedeli all'idea dello Stato austriaco indipendente, ma professano idee nazionalmente più precise. A!d ogni modo egli perseguirà con tutti i mezzi e con la massima sollecitudine l'attuazione dei pmvvedimenti già deliberati per ottenere l'unificazione degli organismi politici (Milizia un~ca, organizzazione giovanile, ecc.). Egli non riconoscerà mai tendenze divergenti che sono inconciliabili con l'idea deHo Stato autoritario, mentre le varie organizzazioni patriottiche, e in modo particolare le Heimatsschutz, troveranno sul terreno della Vaterlandische Front la possibilità del pieno svolgimento della loro attività. Egli, fedele ai suoi princiPi fondamentali, non tollererà assolutamente una politica che possa ricondurre alla formazione dei precedenti partiti. Saranno impediti anche eccessi di parola o di ogni altra manifestazione che possano pregiudicare la posizione interna e internaziona1e dell'Austria.

Come organismi armati saranno riconosciuti soltanto l'esercito, gli organi di polizia e la Milizia volontaria della Vaterlii.ndische Front. Quest'ultima sarebbe chiamata ad assumere la tradizione del Heimatsschutz: tale concetto avrà espressione anche nella composizione della suprema direzi:one della Milizia.

II Cancelliere si propone, come suo compito supremo, di ristabilire e mantenere in via assoluta la completa armonia tra tutti i corpi armati in Austria.

(l) Si tratta di un promemoria per Mussollni che Schuschnigg aveva affidato al senatore Salata in partenza per Roma, nel quale si annunciavano imminenti mutamenti di persone nel Gabinetto austriaco «senza importanza politica ». A Roma, Salata era stato raggiunto da un messaggio telefonico di Schuschnigg con cui si avvertiva che ora la situazione era mutata e che si rendevano necessari dei mutamenti di persona «essenziali » (appunto per S. E. 11 Capo del Governo del 14 maggio 1936, non firmato). Il promemoria di Schuschnigg del 12 maggio non è stato rintracciato ma si veda 11 D. 37.

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COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA

APPUNTO (1). Roma, 15 maggio 1936.

S. E. il Capo del Governo, dopo aver preso atto, in presenza di S. E. Suvich, della relazione fattagli dal senatore Salata (2) sui colloqui avuti a Vienna con il Cancelliere Schuschnigg e sulle comunicazioni da questo fattegli pervenire ieri e stamane attraverso la legazione d'Austria sullo svolgimento della recente crisi austriaca, ha fatto conoscere il suo giudizio e le sue istruzioni nei termini seguenti:

l) Non conviene drammatizzare la situazione, la quale, per quanto possa dispiacere l'uscita del principe Starhemberg dal Gabinetto e dalla direzione della Vaterlii.ndische Front, risulta piuttosto chiarita con rafforzamento-dell'unità di azione, assolutamente indispensabile ad una rapida e concreta realiz

zazione dello stato autoritario, come codificato nella nuova costituzione dello Stato Federale.

2) S. E. il Capo ha piena fiducia nella persona di Schuschnigg, la cui stessa «forma mentis », per l'educazione religiosa, i principi politici e la fedeltà alla memoria di Dollfuss, offre piena garanzia. Il Cancelliere ha dato, non solo nel telegramma di saluto rivolto a S. E. il Duce, ma anche attraverso le dichiarazioni fatte per vie ufficiali e ufficiose, le più precise assicurazioni sui suòi propositi tanto nei rapporti con l'Italia quanto nei riguardi della politica interna.

Conviene prendere atto di queste assicurazioni. Naturalmente, l'atteggiamento di fiducia può e deve essere controllato e riveduto alla stregua dei fatti e perciò l'opera di Schuschrrigg va seguita da vicino, con simpatia ma insieme con attenzione.

3) Conviene sopratutto che il regime di autorità sia più concretamente realizzato. Sbarazzato il terreno dal dualismo tra Cancelliere e capo del Fronte Patriottico, deve attendersi che si proceda rapidamente all'unificazione della Milizia che deve dipendere direttamente, attraverso il Fronte Patriottico, dal regime e dal capo del governo. La Milizia unica deve naturalmente escludere ogni altra formazione militare e deve essere coordinata con severa disciplina alle altre forze armate dello Stato (esercito e polizia).

4) Sull'organizzazione della Milizia volontaria il Capo del Governo ha già esposto alcune sue vedute all'addetto militare d'Austria (specialmente per la organizzazione delle Milizie specializzate ecc.). Per dare una soddisfazione morale alle formazioni volontarie e stabilire rapporti di disciplina e di intimo cameratismo tra Milizia ed Esercito, sarebbe constgliabile che un battaglione di Milizia fosse organicamente inquadrato in ognuna delle Divisioni dell'Esercito regola,re esistenti o da costituire.

5) Va approvata la politica sociale di Schuschnigg che tende ad attrarre nell'orbita del Fronte Patriottico le grandi masse di operai, senza riguardo ai loro precedenti politici, purchè accettino le basi dell'ìnd1pedenza statale dell'Austria e il programma generale della VaterUindische Front. Ha ragione il Cancelliere di evitare e reprimere ogni abuso commesso cosi da parte operaia come specialmente da parte di singoli elementi della plutocrazia e della grande industria.

6) Il principe Starhemberg, i cui meriti sono incontestabili e del resto sono stati ampiamente riconosciuti anche in questo momento dallo stesso Schuschnigg, deve dopo questo episodio che forse era inevitabile, mantenersi nella linea della disciplina, evitare ogni manifestazione di risentimento e ogni agitazione che volesse tentarsi a suo favore in opposizione al Governo di Schuschnigg.

Starhemberg è giovane e può costituire una riserva per la vita politica austriaca, non deve perciò prestarsi a movimenti che sarebbero dannosi al Paese e a lui stesso e verrebbero sfruttati dagli avversari, specialmente nazisti, e dagli stessi fautori tiepidi dell'indipendenza dell'Austria in Inghilterra e in Francia nel senso di indurii a disinteressarsi anche più che nel passato delle sorti dell'Austria indipendente.

7) Le Heimwehren hanno anche nel nuovo Gabinetto Schuschnigg una rappresentanza corrispondente, attraverso la quale, come sul terreno della Vaterllinische Front, esse potranno esercitare la loro influenza. II fatto stesso che a Vice Cancelliere è stato chiamato Baar, fedele heimwehrista e già vice capo della Milizia con Starhemberg, e che è rimasto nel Gabinetto il Ministro delle Finanze Draxler, pure egli fedele heimwehrista, esclude ogni intenzione e o.gni possibilità di menomare l'importanza del movimento heimwehrista nell'ambito della Vaterliinische Front. Lo stesso Schuschnigg dicMara che la nuova Milizia unica dovrebbe assumere le idealità e le tradizioni delle Heimwehren.

8) Il Capo del Governo, ricevendo il ministro d'Austria e prendendo atto delle dichiarazioni e assicurazioni recateGli in nome di Schuschnigg, gli ha risposto che segue con la maggiore simpatia personale e con la maggiore fiducia la sua azione a capo del Gabinetto ricostituito e che Schuschnigg può fare assegnamento, in quanto la sua azione si svolgerà secondo le direttive enunciate, sul più largo appoggio dell'Italia e suo personale.

9) Il senatore Salata dovrà continuare i suoi personali contatti confidenziali con Schuschnigg che si sono dimostrati di grande utilità, ad integrazione dell'opera ufficiale della R. Legazione in Vienna.

(l) -Questo appunto sul colloquio con Mussolini è stato redatto per sua memoria da Salata. (2) -Vedi D. 54.
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L'INCARICATO D'AFFARI A CITTA DEL CAPO, LO JUCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1326/184. Città del Capo, 15 maggio 1936 (per. il 1° giugno).

Uno dei principali argomenti usati dalla stampa inglese del Sud Africa per fomentare i sentimenti di ostilità contro la nostra occupazione dell'Etiopia è fondato su l'avvertimento che l'Italia organizzerà in Abissinia una forte armata nera.

È noto il punto di vista boero a tal riguardo. Le recenti leggi di segregazione fra neri e bianchi riaffermano, in fondo, le direttive tracciate già dai primi governatori olandesi della Colonia del Capo. L'idea dell'uso di truppe nere o di oolore è ad essi estremamente odiosa, mentre per la popolazione inglese la formazione di una forte armata nera in Abissinia o altrove rappresenta soltanto un pericolo per la propria sicurezza e niente altro.

Di questi sentimenti profittano largamente i giornali inglesi suda,fricani e certi giornali anglofili editi in boero per mantenere viva la preoccupaz1one che l'Italia possa creare una poderosa armata nera in Abissinia in guisa da minacciare in seguito tutto il sistema governativo dell'Unione.

In un'intervista concessa poco prima della sua partenza per l'Inghilterra, il noto anglofilo Sir Abe Bailey, dichiarava che egli non aveva alcun timore di ripetere che l'Italia aveva delle mire sul Sudan e sull'Egitto. Ma, egli aggiungeva, il pericolo massimo è costituito dalla organizzazione di grandi armate nere che in fondo risulterebbe in un danno maggiore della stessa schiavitù, per l'Africa e per il mondo in genere, poichè il processo una volta incominciato non sarebbe facile arrestarlo.

In data 4 corrente il Cape Times riportava che il corrispondente dell'Intransigeant di Parigi aveva comunicato da Roma, che il Maresciallo Badoglio aveva già reclutato 200.000 abissini per mandarli in Libia, e che il numero stesso avrebbe potuto venire portato più tardi a 800.000.

Lo stesso giornale, tre giorni dopo, faceva intravedere che anche in Francia esistono delle preoccupazioni circa la possibilità di forti reclutamenti in Abissinia.

Nell'allegato interessante articolo (l) di fondo del 9 corrente, l'anglofilo quotidiano di Pretoria, scritto in boero, Die Volkstem commentava la dichiarazione del nostro Governo di astenersi dal reclutamento di truppe in Etiopi·a. Egli rilevava fra l'altro che l'espressione « numerosa armata » è di per se stessa molto relativa e ·che non vi è ragione di fidarsi delle dichiarazioni dell'Italia dopo che essa ha infranto gli obblighi della Lega delle Nazioni.

Lo stesso ministro della Difesa Nazionale signor O. Pirow, ha definito a suo tempo il punto di vista dell'Unione ·al riguardo di truppe nere in un banchetto offerto ai giornalisti dell'Impero britannico qui convenuti nel febbraio dell'anno scorso. Egli disse allora che la questione dei neri non era una questione di stupido pregiudizio di colore ma che essa andava invece considerata da molti Iati. Così doveva spiegarsi che nell'Unione soltanto i bianchi ricevono istruzione militare. In caso di guerra, egli aggiungeva, i colorati potrebbero essere impiegati nei battaglioni di trasporto, meccanizzati o a trazione animale, e i neri potrebbero venire impiegati come portatori, ma la truppa di linea sarebbe sempre bianca. Ammettendo infine che in altri possedimenti britannici in Africa non si era dello stesso parere, egli esprimeva la speranza che le truppe nere fossero ivi addestrate al solo uso del moschetto e della baionetta riservando le armi automatiche, l'aviazione e eventualmente i gas alle truppe bianche.

Anche recentemente il ministro Pirow ha fatto simili dichiarazioni in Parlamento, giustificando le misure di armamenti proposte. Egli pose il quesito in questa forma: «Cosa succederebbe se una grande armata nera venisse creata al Nord? I recenti sviluppi hanno portato questo pericolo più vicino di almeno un quarto di secolo ».

Certo è che oltre a questioni di principio vi sono sopratutto ragioni di elementare sicurezza a sconsigliare l'Unione dall'uso di truppe nere in Africa. Basta considerare la proporzione locale fra neri e bianchi. La presenza di un esercito di indigeni armati con una popolazione bianca di un quinto di quella nera porrebbe ben presto fine a quel predominio assoluto dei bianchi tanto auspicato dai boeri e anche da gran parte degli ing1esi qui stabiliti.

Soltanto gli elementi nazionalisti e relativi giornali s1 mantengono passivi di fronte a tale campagna con un senso di riserva che significa forse più una tattica che non professione di indifferenza.

(l) Non pubblicato.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN EUROPA E NELL'AMERICA LATINA (l)

T. RR. 2186/C. R. Roma, 16 maggio 1936, ore 1,15.

In taluni paesi nordici e neutrali si è già manifestato qualche dubbio circa reali obiettivi che Inghilterra Francia si propongono 'Con mantenimento sanzioni. In giornali Daily Telegraph, Times, e Temps si accenna apertamente che non sarebbe prudente privarsi dell'arma delle sanzioni quando vi sono da discutere molti interessi francesi ed inglesi inerenti alla questione abissina.

Conviene da parte nostra diffondere il dubbio sul preteso disinteresse del persistente atteggiamento sanzionista francese e inglese. Non è infatti un mistero per nessuno che tanto in Francia che in Inghilterra esistono correnti di opinione che vorrebbero approfittare della situazione creata dall'Italia in Abissinia a proprio vantaggio al di là di ogni legittimo diritto.

Per norma anche di linguaggio con codesti uomini di Governo e in ,codesti circoli, tenga presente che, essendo cessato lo stato di guerra, sanzioni acquistano il significato di misura punitiva contro l'Italia, che nessuna disposizione del Patto prevede, assumendo cosi un carattere diverso da quello loro attribuito quando furono concertate. Loro portata ostile verso di noi ne risulta accentuata.

Inoltre Paesi nordici, neutrali o che comunque non hanno interessi in Etiopia, aderendo mantenimento sanzioni voluto da Londra e da Parigi allo scopo di usare verso l'Italia tale mezzo di pressione a vantaggio proprio, si prestano al giuoco inglese e francese. Ma tale linea politica non può condurli in definitiva che a constatare in modo sempre più palese il passivo politico ed economico -tanto più grave quanto più sarà prolungato -dell'atteggiamento ostile da essi mantenuto verso di noi, e il fallimento della loro politica societaria.

Nel 1far vaLere le suddette argomentazioni d'ordine generale, sarà da tenere presente l'atteggiamento che codesto Governo ha assunto con la sua risposta alla nostra nota 11 novembre 1935 (2).

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L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 4763/193 R. Rio de Janeiro, 16 maggio 1936, ore 13,11 (per. ore 18,42).

Mio telegramma n. 186 del 12 maggio (3).

Ho iniziato sondaggi ed ecco risultanze di tre giorni.

l) Macedo Soares, per cui permanenza al ministero degli Esteri mi adopero quanto posso, è disposto nel senso migliore verso Italia circa sovranità su Etiopia. Suo stato d'animo personale non può coincidere subito con sua azione ufficiale a causa degli ostacoli, specialmente giuridici, da me segnalati col mio sopra citato. Tuttavia suo fratello, senatore, direttore El Diario Carioca, ha pubblicato articolo affermante sovranità italiana e necessità che tutti riconoscano annessione. Articolo, che ha prodotto ottima impressione era stato approvato dal ministro degli Affari Esteri.

2) Tutte le difficoltà a riconoscimento Brasile da me segnalate con mio telegramma sopra citato esistono e non ancora furono oggetto di esame. Vargas non ha nemmeno delibato problema. Pimental Brandao fornisce studio degli ostacoli giuridici.

3) Ambasciatore dell'Argentina ha visitato ieri Macedo Soares per sondare disposizioni brasiliane circa riconoscimento nostra ,sovranità e ha mostrato disposizioni a noi ostili invocando ostacoli principalmente patto anti-bellico Saavedra Lamas (l) che vieta riconoscere frutti guerra conquista. Ambasciatore predetto vorrebbe ottenere comunque impegno brasiliano per decisione simul

tanea di almeno quattro grandi Paesi sud americani ed eventualmente di tutti. Questo ministro degli Affari Esteri ha reagito con abilità sottraendosi a discussioni intrinseche, evitando impegnarsi per decisione simultanea.

Macedo Soares mi ha confidato che qualsiasi cosa Brasile decida si limiterà farla conoscere agli Stati Uniti e procedere isolatamente. Questo ministero degli Af,fari Esteri ritiene che Argentina per compiacere Londra e Ginevra stia creandoci nel continente ostacoli al riconoscimento.

4) Iersera incaricato di affari Colombia presentava a questo ministero degli Esteri nota verbale che qui si ritiene inspirata da Saavedra l.iamas, con cui vengono enumerati tutti gli argomenti giuridici elencruti nel mio telegramma sopra citato che dovrebbero impedire a Paesi americani riconoscere sovranità italiana e con cui si propone dichiarazione collettiva di tutti i Paesi americani contro annessione Etiopia.

Questo ministero Esteri ha reagito rifiutandosi discutere problema. Inoltre ha mostrato quali argomenti storici morali sociali militano in favore appartenenza Etiopia all'Italia e mettendo perfino in evidenza impossibilità da parte Paese poco importante come Colombia di prendere iniziative contro grandi Potenze latine. Occorre ora agire a Quito perché qui le porte alla Colombia sono chiuse.

5) Tutte le sopra riferite confidenze mi vengono fornite sotto vincolo segreto. Inoltre noi ll!bbiamo interesse a non rendere subito note altrove buone disposizioni del Brasile.

6) Prego fornirmi argomenti giuridici tali da poter aiutare Brasile a liberarsi da vincoli costituzionali che gli vietano finora rì.conoscere nostra sovranità. Tuttociò riferisco e chiedo a V. E. sempre restando nell'ambito dei sondaggi e senza minimamente voler sperare in risultati. positivi.

7) Prego confermarmi già annunziata presenza Duce seduta inaugurale Associazione amici Brasile.

Prego raccomandare a dicasteri economici, finanziari non sottoporre in questo momento, sopratutto Banco do Brazil, alle note torture cinesi e evitare singolari impressioni ironiche irritanti nei carteggi ufficiali. Queste forme sono per lo meno contrastanti con azione persuasiva ehe qui svolgo.

(l) -Il telegramma era indirizzato alle ambasciate ad Ankara, Bruxelles, Buenos Aires, Madrid, Mosca, Sant!ago, Varsavia, alle legazioni ad Atene, Belgrado, Berna, Bucarest, Copenaghen, Helsinki, Kaunas, L'Aja, Lima, Montevldeo, Oslo, Praga, Riga, Sofia, Stoccolma, Tallinn, e al consolati generali a Dublino, Ottawa e Sldney. (2) -Vedi serle ottava, vol. II, p. 583, nota 2. (3) -Vedi D. 20.

(l) Vedi p. 17, nota 3.

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L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, DE ASTIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4756/117 R. Ankara, 16 maggio 1936, ore 15,20 (per. ore 18,42).

Questo ministro d'Ungheria mi ha detto confidenzialmente che ambienti turchi sono preoccupati per riavvicinamento itala-tedesco. Alla sua obiezione per «disgrazia» tale azione non era neanche agli inizi, è stato opposto che si tratta invece di fatto compiuto.

Anche da altre fonti ho raccolto indizi di tale stato di animo, prodotto principalmente da notizie che ufficiosa Agenzia Anatolia diffonde, come provenienti da Roma, in data 13 corr. circa recente viaggio On. Rossoni a Berlino ed eventuale partecipazione tedesca a sfruttamento risorse Etiopia. In sostanza Turchia si preoccupa di qualunque intesa che, intervenendo fra nostro Paese ed altra grande Potenza europea, ·potrebbe ancora più consacrare nostro predominio in Mediterraneo (mi riferisco in proposito agli elementi forniti con telespresso n. 363 del 27 aprile) (l).

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. R. 4729/214 R. Berlino, 16 maggio 1936, ore 15,40 (per. ore 17,30).

Professar Manacorda ha avuto ieri conversazione con Cancelliere in materia politico-religiosa. A mia richiesta ed essendosi presentata occasione, ha però anche eseguito alcuni sondaggi proposito intenzioni Cancelliere nei riguardi accettazione eventuali piani inglesi di politica « triangolare » contro l'Italia e possibilità, anche soltanto di principio, di un riconoscimento della nuova situazione abissina. Sondaggi hanno avuto esi-to positivo e favorevole sopra entrambi punti. Da registrare anche una mia conversazione assai cordiale, e anche politicamente soddisfacente, con von Blomberg (2).

(l) -Non pubbllcato. (2) -Non è stato rintracciato alcun documento relativo a tale colloquio.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 2209/127 R. (l) Roma, 16 maggio 1936, ore 24.

La stampa tedesca ci può essere utile consigliando alla Gran Bretagna di accettare il fatto compiuto e di realizzare una distensione nei rapporti italainglesi (2).

62

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 2210/128 R. (1). Roma, 16 magrfio 1936, ore 24.

Rapporto n. 684, del 9 corrente (3).

A proposito della conversazione di V. E. con Goering, gli dica, rivedendolo, che in una prossima occasione saranno dati i chiarimenti che egli ritiene desiderabili ai fini dei rapporti itala-germanici.

63

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 2212/249 R. (1). Roma, 16 maggio 1936, ore 24.

Fai sapere ai nostri amici della Camera dei Lords che i loro discorsi hanno determinato l'inizio di una distensione nello stato d'animo degli ambienti italiani ed esortali a continuare.

64

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ES':DERI, SUVICH, AL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI

T. 2225/74 R. Roma, 16 maggio 1936, ore 24.

Capo del Governo ha ricevuto oggi principe Starhemberg col quale ha avuto conversazione su argomenti politica austriaca (4). Nel colloquio è stata rico

nosciuta necessità favorire sforzo Schuschnigg per attuare Stato autoritario secondo programma Cancelliere Dollfuss e Starhemberg al quale capo del governo da parte sua ha dato consigli moderazione, ha dimostrato migliore volontà.

V. E. vorrà ragguagliare di quanto sopra Cancelliere (1).

(l) -Minuta autografa. (2) -Attolico rispose con T. 4817/219 R. del 18 maggio, ore 20,30, quanto segue: «Ho agito e continuerò ad agire nel senso voluto. Intanto sono lieto segnalare articolo Frankturter Zeitung, che è perfettamente in linea con direttive V. E. ». (3) -Non pubblicato. (4) -Non si è rinvenuto il verbale di tale colloquio.
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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4792/522 R. Ginevra, 16 maggio 1936 (per. il 18).

Questo delegato permanente di Polonia ha tenuto a me.ttermi in risalto «per la storia degli avvenimenti» che, nella seduta segreta di lunedì scorso presso il signor Avenol, fu il suo ministro degli Esteri, Beck, che ottenne di far inserire nel progetto di risoluzione approvato poi dal Consiglio le parole « en attendant » per quanto concerne il mantenimento delle sanzioni.

In tale azione Beck fu caldamente appoggiato da Litvinov. Questa improvvisata collaborazione sovietico-polacca sembra al mio interlocutore di ottimo auspicio per l'avvenire tanto più che essa fu in un successivo tempo confermata nel corso d'un colloquio che Litvinov e Beck ebbero qui a Ginevra. I due ministri convennero sull'opportunità di liquidare al più presto possibile la questione etiopica che pesa gravemente sulla situazione politica dell'Europa e di agire di concerto in proposito.

Komarnicki mi ha detto che, d'accordo col suo ministro degli Esteri, prevede: l) che le sanzioni saranno abrogate in giugno; 2) che la questione etiopica non sarà risolta da un punto di vista societario che in settembre alla prossima Assemblea; 3) che anche la questione renana non potrà essere affrontata prima di settembre.

Komarnicki mi ha pregato di dire a V. E. che egli resta a nostra disposizione pel caso che a Roma ci si voglia servire di lui per eventuali suggerimenti e proposte nel campo societario. L'ho ringraziato dicendogli che Roma ora aspettava che fosse Ginevra a prendere delle iniziative per la liquidazione definitiva del problema, se voleva contare sul concorso italiano all'opera di pacificazione e di ricostruzione dell'Europa.

Avendogli infine accennato che salvo il Cile nessuno Stato europeo aveva avuto il coraggio di dichiarare apertamente che la IS.d.N. non poteva nè doveva continuare in una assurda azione penale mantenendo le sanzioni, Komarnicki mi ha detto di non escludere che il 16 giugno possano essere U.R.S.S. e Polonia a dichiarare, di comune accordo, che le sanzioni non hanno più ragione di essere.

(l) Per la risposta vedi D. 77.

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IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4962/05 R. Stoccolma, 16 maggio 1936 (per. il 23).

Come, credo, ovunque la pubblica opinione qui (ad onta di qualche tentativo di stampa) non si fa alcuna illusione circa il contenuto ed il significato delle sedute del Consiglio dell'H e 12 corrente. Il prestigio della S.d.N. ne esce altrettanto scosso che se essa avesse francamente capitolato davanti alla situazione di fatto.

Di fronte al problema delle sanzioni, l'opinione ha assunto un contegno passivo e fatalista. Nessuno dubita che non finiscano più o meno rapidamente e, data la disistima in cui è caduto l'ente ginevrino, poco la gente si cura se ciò avverrà per accordi dietro le quinte delle grandi Potenze coll'Italia, o per il moltiplicarsi delle defezioni, o per deliberazione regolare della S.d.N.. Però, inavvertite essendo qui le ripercussioni economiche delle sanzioni, scarsamente sensibile (sebbene non inconscio) il pubblico dei pericoli particolari al prolungarsi di questa situazione paradossale, e persuasi del resto tutti che la sicurezza collettiva è un mito e che siamo ricaduti senz'altro nell'età del ferro, il Governo non è sottoposto ad alcuna pressione effettiva perchè collabori in un senso o nell'altro alla soluzione, o perchè ne affretti o ritardi i tempi. Al contrasto italo-britannico, alle possibilità che l'Italia si butti dalla parte tedesca, all'eventualità dell'uscita dell'Italia dalla S.d.N., il pubblico si interessa ma quasi da spettatore, pur colle più spiccate antipatie per la parte nostra; sembra, in sostanza ritornare spontaneamente a quel senso di astensione e di neutralità che fu retaggio di centoventi anni di assenza dalla vita politica internazionale. Lo pervade, è vero, una nuova diffusa inquietudine per la propria sicurezza ma non sa ormai scernere, nel groviglio dei contrasti in corso, gli indirizzi che potrebbero favorirla o danneggiarla maggiormente. Solo domina l'idea che il pericolo viene dalla dittatura: rossa, bruna e -per il momento -specialmente dalla nera.

Il Governo, a quanto posso comprendere -perché io sono ancora considerato una specie di avversario naturale a cui non si rivelano segreti pensieri è parimenti persuaso che la questione etiopica è fini:ta e che le sanzioni volgono al loro termine. I dirigenti sono anzi d'avviso che le sanzioni debbono finire al più presto, non avendo più scopo a guerra conchiusa. Ma considerazioni svariate di politica di partito e di politica estera li distolgono dal manifestare pubblicamente tal principio; nè, chi è in caso di esimersene, come la Svezia, può avere volontà, dopo essersi tanto compromesso nel senso contrario, di farsi parte diligente nella sgradita bisogna della liquidazione..

Tanto più che1 questo Governo constata la completa carenza delle Potenze direttrici, Francia e specialmente Gran Bretagna. La prima non ha Governo, e sulle vere intenzioni del futuro non si conoscono qui che frasi generiche; per la seconda, l'abulia e l'indecisione del Gabinetto Baldwin sono l'unica cosa di cui questo Governo, con risentito rammarico, può dirsi sicuro. Sandler è tornato dalla S.d.N. scandalizzato dai suoi contatti con Eden: costui giunse a Ginevra, ha raccontato Sandler, senza prospettive, senza piani, senza intenzioni, nè per il momento, nè per l'immediato avvenire.

In tali condizioni, il Governo svedese per ora attende, e, senza prendere iniziative in alcun senso, si schiererà dove vedrà essere la maggioranza del numero e delle forze.

Una certa attenzione viene dedicata alla questione della riforma della S.d.N., ritenuta un ottimo diversivo per coprire la triste fine del contrasto coll'Italia; ma, siccome non se ne potrà cominciare a parlare seriamente che dopo vista la conclusione di questo, non pare argomento di immediatissimo interesse. Confermo tuttavia che si stima assolutamente impossibile trovare una maggioranza, in un parlamento svedese, presente o futuro, che sottoscriva ad obblighi di assistenza militare a terzi; mentre è comprovata la pericolosa inutilità delle sanzioni economiche.

Sicchè l'apporto svedese alla riforma sarebbe nel senso di ridurre Ginevra ad un grande Istituto di conciliazione e di attività civili internazionali, il che solo potrebbe arrestare le defezioni che si disegnano già in certi orizzonti, p.es. l'America Latina, e restituirle l'universalità perduta.

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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 16 maggio 1936.

L'Ambasciatore Chambrun si informa sulla venuta di Starhemberg (l) e sul significato del cambiamento di Governo in Austria.

Gli rispondo che la visita di Starhemberg è determinata dalla partita Italia-Austria, e che il cambiamento di Governo a Vienna non porta nessuna modificazione, né nella linea di politica interna, né in quella di politica estera seguita dall'Austria.

L'Ambasciatore mi parla poi della questione etiopica. Mi espone la sua idea che sarebbe quella di liquidare le sanzioni e permettere per tal modo di riprendere la collaborazione italiana nella 'S.d.N. e per la sistemazione dei nuovi problemi della politica internazionale.

Devo avvertire l'Ambasciatore che perchè noi possiamo riprendere la nostra collaborazione alla S.d.N. occorre che sia prima liquidata definitivamente anche la questione di diritto relativo all'Abissinia. Non è possibile cioè che noi partecipiamo ai lavori della Lega fino a che vi compare come Stato membro l'Abissinia.

L'Ambasciatore rimane molto colpito da queste affermazioni e ritiene che quando si saprà questo a Parigi, ne avranno una impressione molto penosa, perchè non si vede una via di uscita dalla presente difficoltà. Non si può

pretendere, continua l'Ambascia,tore, che gli Stati membri riconoscano senz'altro la scomparsa dell'Abissinia dalla carta geografica. Ci sono degli impegni presi ai quali non si può venir meno.

Per l'Ambasciatore -parla a titolo del tutto personale -tutta la nostra azione è stata molto brillante, sia dal Iato poUtico che dal lato militare, ma avremmo commesso due errori: uno nella partenza per cui ci, siamo fatti dichiarare aggressori e l'altro nell'arrivo, per cui avendo la possibilità di un grandissimo successo con tutto il mondo ai nostri piedi, siamo andati a scegliere una soluzione che non può non provocare la reazione degli altri Paesi, e che se anche in definitiva noi otterremo quello che vogliamo, lascerà degli strascichi che non potranno non ripercuotersi sulla situazione politica generale.

L'Ambasciatore assicura che quanto mi dice è dettato dal suo interesse per l'Italia e per il mantenimento dell'amicizia italo-·francese.

Rispondo all'Ambasciatore che non posso evidentemente .condividere le sue critiche: la nostra posizione tanto nella partenza quanto nell'arrivo è stata obbligata. Io sono sempre dell'opinione che gli Stati membri della S.d.N. debbano rendersi conto della realtà e riconoscere che la soluzione data dall'Italia era l'unica possibile nelle condizioni in cui si trovava l'Abissinia e l'unica atta a impedire l'anarchia che sarebbe scoppiata nel Paese con pregiudizio degli interessi di tute le Nazioni coloniali (l).

(l) Vedi D. 64.

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 1643/865. Vienna, 16 maggio 1936 (2).

Mi richiamo ai miei telegrammi 86 (3), 87 e 88 (4), nonchè alle comunicazioni telefoniche intercorse relativamente alla crisi del Gabinetto austriaco.

Com'è noto, essa giunse al suo punto culminante neì pomeriggio di ieri allorché le Heimwehren, e particolarmente il capo di esse, Starhemberg, dovettero prendere una definitiva decisione circa il corso da darsi al precipitare degli avvenimenti. La crisi, latente ormai da qualche mese, si era acutizzata in seguito al cozzo delle opposte tendenze in seno al Gabinetto, ed in ispecie al dualismo determinatosi fra Schuschnigg e Starhemberg, ed era precipitata a causa, o meglio, a pretesto della nota frase contenuta nel telegramma di saluto inviato dal Vice-Cancelliere a S. E. il Capo del Governo (5).

Tre strade si aprivano di fronte a Starhemberg. Una, che venne cons1derata con ogni attenzione ma per breve momento, era quella che avrebbe con

10 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

dotto alla immediata soluzione totalitaria, consistente in un appello generale a tutte le forze heimwehriste del Paese, ed in una mobilitazione di esse ai fini di una «Marcia su Vienna ». Questo piano venne scartato, non solo in considerazione dei rischi, anche esterni, che esso comportava, ma sovratutto a motivo delle scarse probabilità di riuscita, a causa sia del noto lento processo di disgregazione cui le Heimwehren erano andate incontro in questi ultimi tempi, sia, in special modo, dell'atteggiamento delle forze armate dello Stato, che presumibilmente avrebbero opposto una resistenza insormontabile.

La seconda via era quella di decidere il ritiro in blocco di tutti i ministri heimwehristi dal Gabinetto nonchè di tutte le Autorità heimwehriste dai posti centrali e periferici, col conseguente passaggio di tutto il Movimento all'opposizione. Anche questa strada venne scartata alla luce di varie considerazioni. Anzitutto poichè il costituendo Gabinetto, completamente composto di cristiano-sociali, sarebbe assai facilmente corso ai ripari, impedendo con i numerosi mezzi in mano all'autorità legale ogni qualsiasi opera di propaganda nonché di agitazione che le Heimwehren avessero voluto di poi effettuare, giungendo quindi ad eventuali provvedimenti estremi (disarmo delle formazioni militarizzate, scioglimento delle Heimwehren stesse, ecc.); il che avrebbe paralizzato e reso illegale qualunque tentativo di resistenza, nonché di riscossa.

Inoltre, i posti lasciati liberi nel Gabinetto avrebbero potuto venir assunti da esponenti del gruppo nazionale, con il risultato di privare Starhemberg anche di una tal carta dall'eventuale suo giuoco, e di rafforzare, allargandole, le basi del nuovo Gabinetto. E come ciò fosse possibile, lo dimostrano i rei,terati tentativi fatti dal Cancelliere con le personalità più in vista del movimento nazionale, tentativi naufragati soltanto in seguito al rifiuto degli interpellati, miranti ad assicurare al movimento almeno la carica di Vice-Cancelliere.

La terza via -di poi in effetti prescelta -era quella di assicurare la continuità della collaborazione in sè stessa, con la permanenza nel nuovo Gabinetto, nei posti principali, quali quelli delle Finanze e della Sicurezza, di elementi fidati allo scopo precipuo di poter a questo modo assicurarsi una «garanzia » di libertà di movimento, nell'opera di propaganda e di propulsione che Starhemberg si propone di svolgere dal di fuori.

A conforto della soluzione prescelta, stanno alcune considerazioni che la nuova formazione del Gabinetto suggerisce.

Anzitutto, come ho accennato nel mio telegramma n. 87, l'eliminazione dal nuovo Gabinetto di elementi dell'ala estremista cristiano-sociale, tutti fortemente antiheimwehristi ed abituati ormai ad agire, in tale loro opera, come un blocco solidale (e cioè i Ministri per la Previdenza Sociale Dobretsberger, per la Giustizia Winterstein, per l'Agricoltura Strobl e il Sottosegretario di Sta,to alla Previdenza); nonchè la sostituzione parziale di essi con altri appartenenti a gruppi dell'ex partito cristiano-sociale più moderati ed i meno compromessi nella lotta antiautoritaria ed anticorporativa.

Inoltre, la stessa composizione del nuovo Governo. In questa, infatti, a

prescindere ben s'intende dalla perdita che di per sé stessa rappresenta l'uscita

del Bundesfilhrer, gli elementi heimwehristi risultano rafforzati. È infatti

uscito, oltre lo Starhemberg, il Berger-Waldenegg, mentre sono ora occupate da heimwehristi le seguenti cariche: Vice-Cancellierato, unitamente all'Interni ed alla Sicurezza, dal Baar von Baarenfels, persona fidatissima allo Starhemberg, che per la sua energia disgiunta da eccessive ambizioni e pretese, potrà risultare della maggiore utilità nel corso dell'ulteriore opera che le Heimwehren intenderanno svolgere; Finanze, dal Draxler, persona di indubbia capacità ed intelligenza, chiamato sia per le sue doti che per l'importanza del suo Dicastero ad esercitare nel Gabinetto una influenza di primissimo piano; sottosegretariato alla Cancelleria e segretariato generale del Fronte Patriottico, dallo Zernatto. Tale innovazione (del Segretario del F. P. assunto al governo con una carica analoga a quella di Segretario della Presidenza del Consiglio) è poi di particolare rilievo se ,posta in relazione all'allontanamento dell'Adam, noto anch'egli per i suoi sensi antiheimwehristi e per le sue collusioni con ambe le estreme ali del gruppo cristiano-sociale.

Sono inoltre da considerarsi come heimwehristi, sia per l'opera che in effetti intendono svolgere nel nuovo Gabinetto, sia per notl e provati sensi di simpatia sinora seguiti anche nei rispetti della politica filo-italiana e filo-fascista del regime austriaco, i seguenti membri del governo: Hammerstein Equord (che fu di recente segretario di Stato alla Sicurezza, e viene ora nominato ministro della Giustlzia), persona equilibrata e colta che nutre viva simpatia per l'Italia e per le Heimwehren; Josef Resch (già aUra volta ministro ed oggi nominato all'Assistenza Sociale); persona che «per speciali e riservatissimi motivi » dà garanzia di uniformarsi, nella politica sociale, ad idee strettamente corporative; Stockinger (riconfermato ministro del Commercio), anch'egli ottimo amico nostro ed elemento moderato e filo-heimwehrista.

(Aggiungo per completare la nuova formazione del Gabinetto, che il segretario all'Istruzione Pernter è nominato titolare di detto dicastero, che il generale Zehner è confermato segretario di Stato alla Difesa, che il Cancelliere riunisce attualmente il Dipartimento degli Esteri con il ministero della Difesa e con la presidenza del Fronte Patriottico, e che rimangono tuttora da nominare il ministro dell'Agricoltura e taluni sottosegretari).

Come ho detto nel mio precitato telegramma l'unica carica conservata « espressamente » dallo Starhemberg, oltre naturalmente quella di Bundesfilhrer, è la carica di capo del Fronte Sportivo. Tale circostanza, unita con altre -di aver egli insistito per la nomina di Baar al Vice-Cancellierato conseguendo così ~ndirettamente l'esclusione dei « nazionali » dall'intero Gabinetto; di aver ottenuto la nomina dello stesso Baar a capo della Milizia, il che permetterà di avere su di essa sia un'azione positiva che una azione negativa qualora il Cancelliere insistesse perchè essa prestasse giuramento al Capo dello Stato; di avere espressamente voluto un'inserzione nel comunicato contenente la frase «il principe Starhemberg è uscito dal governo per effettive divergenze di vedute con il Cancelliere », frase che dà al futuro operato dello Starhemberg speciali caratteristiche nonchè larghe possibilità -lascia intravvedere quali siano i piani e gli intendimenti del Capo delle Heimwehren in un prossimo avvenire, piani pure da me sommariamente accennati (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (2) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (3) -Vedi D. 28. (4) -TT. 4637/87 R. e 4641/88 R. del 14 maggio, non pubblicati. Riferivano circa le ripercussioni del mutamento ministeriale austriaco su la situazione interna del Paese. (5) -Vedi p. 25, nota l.

(l) n presente documento reca il visto di Mussol!ni.

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4771/91 R. Vienna, 17 maggio 1936, ore 12 (per. ore 16).

Mio telegramma n. 90 (l).

Da buona fonte mi è stato confermato che von Papen avrebbe esposto al Cancelliere progetto accordo analogo a quello che anno scorso formò base sue conversazioni con Berger-Waldenegg.

Cancelliere sarebbe stato evasivo; ma stesso mio informatore dubitava che lo fosse stato veramente, o che potesse perdurare ad esserlo. D'altra par,te mio collega Francia mi ha detto confidenzialmente risultargli che Governo germanico, prima di rispondere noto questionario inglese (2), intenderebbe entrare in dirette conversazioni con questo Governo. Esso vorrebbe che Governo austriaco inviasse uno o due delegati di fiducia a Berlino per discutere. Egli ha lamentato anche attuali estreme difficoltà poter ottenere fondate informazioni.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 2233/263 R. (3). Roma, 18 maggio 1936, ore 1.

Ringrazi codesto Governo per favorevoli istruzioni date a Gibuti circa impiego da parte nostra della ferrovia.

Badoglio chiede e ritiene indispensabile ottenere al più presto passaggio nostre truppe e materiali bellici da Gibuti e creazione settore franco del porto con costruzioni strettamente necessarie. Io vedo molto favorevolmente questa collaborazione franco-italiana a Gibuti, collaborazione utile a Gibuti anche nel futuro.

Quanto sopra ha carattere d'urgenza (4).

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L'INCARICATO D'AFFARI A L'AJA, MONACO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T~ 4818/33 R. L'Aja, 18 maggio 1936, ore 20,33 (per. ore 23).

Mi riferisco al telegramma di V. E. 2186 (5).

(-4) Per la risposta vedi D. 75.

Ho chiesto oggi a questo ministro Affari Esteri, reduce da Ginevra, quale significato possano avere ancora sanzioni dopo partenza ex Negus, mancanza qualsiasi Governo successore indigeno e nostra occupazione di metà del territorio abissino.

Mi ha risposto semplicemente Governo olandese non è d'accordo con italiano che Stato etiopico abbia cessato di esistere. Occupazione territoriale è per esso uno stato di fatto senz'altra rilevanza giuridica.

Ho contestato questo punto e, richiamandomi auguri espressi nella nota olandese di risposta a nostra dell'll novembre scorso (l) per una soluzione pronta e soddisfacente del disastroso conflitto, gli ho fatto osservare che oggi questa soluzione c'è.

Ha ripetuto testardamente sue negazioni accennando che era inutile discutere in materia. Ha aggiunto che questione sarà studiata collettivamente, cosa difficile in questo momento data la non esistenza di un vero Governo francese ma mi ha detto questo con tono piuttosto di chi lascia sperare un inasprimento di sanzioni anzichè la loro soppressione.

Agirò per quanto è possibile sulla stampa sulle tracce indicate da V. E.

(l) -T. 4669/90 R. del 15 maggio, ore 12,30, non pubblicato: vi si comunicava che il Cancelliere austriaco aveva avuto un lungo colloquio con il ministro di Germania. (2) -Vedi p. 44, nota l. (3) -Minuta autografa. (5) -Vedi D. 57.
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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4865/060 R. Vienna, 18 maggio 1936 (per. il 20).

Impressione sul nuovo Gabinetto è alquanto confusa anche in considerazione di alcune circostanze e manifestazioni che si sono in questi ultimi giorni prodotte, e che ha riassunto nell'odierno telespresso 1686 (2) (discorso del Cancelliere ai capi del Fronte patriottico; proclama di Starhemberg alle Heimwehren; ordine del giorno del capo delle Heimwehren dell'Alta Austria; affermazioni dell'organo heimwehrista Der Heimtschiltzer; cessazione dell'impiego dello Schutzkorps nel servizio di sicurezza, ecc.).

I giornali, dopo i più che misurati articoli del primo giorno, tacciono e, meno la Reichspost, nessuno di essi commenta alcuna delle diverse misure di ordine interno circa la milizia, il Fronte patriottico ecc., che sono state adottate. Fra i giornalisti esteri, a maggioranza democratici, passata la prima favorevole impressione .per la caduta di Starhemberg, cominciano ad emettersi dubbi sulla resistenza effettiva dell'attuale compagine ministeriale contro il probabile rafforzamento della propaganda nazista. Negli elementi cristianosociali, si è sorpresi ed in genere poco soddisfatti per la nomina del borgomastro di Vienna, di tendenze accentuatamente clericali, a capo del Fronte

patriottico della Capitale. Negli ambienti heimwehristi, infine, si possono già notare due tendenze: l'una collaborazionista, l'altra di completa riserva. Tuttavia, nell'opinione media notasi una favorevole impressione, basata sull'aspettazione che il programma di Schuschnigg potrà valere a dare allo Stato una direzione unitaria, evitando contraddizioni ed estremismi di ogni genere.

Tra le misure adottate dal nuovo Gabinetto hanno raccolto la maggiore attenzione: l) la su accennata nomina dello Schmitz: essa è sembrata ai più un programma di lotta, o l'asservimento del Governo ad una politica accentuatamente «nera »; 2) gli annunziati «consigli dei capi del Fronte patriottico (Furerate) al centro e nelle provincie, formati anche con la partecipazione di operai. Taluni hanno interpretato tale misura -malgrado le formali dichiarazioni del Cancelliere che se il provvedimento tendeva a non eternamente rinviare il passato, pure nella nuova Austria, da lui concepita secondo il programma di Dollfuss, non vi dovrà essere un posto per ideologie socialiste, né aperte né larvate -come un avviamento verso una coalizione cattolica degli elementi più democratici. Ma al riguardo il nuovo Vice Cancelliere, l'heimwehrista Baar, mi ha detto essere stato già da lui convenuto col Cancelliere che tali consigli dovranno essere firmati con una proporzione del 50 % di heimwehristi; 3) creazione della nuova milizia, mercè lo scioglimento di ogni altra formazione para-militare. Questa misura è stata interpretata come la fine delle Heimwehren, e quindi commentata a seconda del rispettivo sentimento politico. Due articoli (del Weltblatt e dello O.Z. am Abend, riassunti nel mio citato telespresso) tentano peraltro di eliminare eccessive o tendenziose interpretazioni al riguardo.

Aggiungo che il Vice Cancelliere mi ha detto, pur segnalandomi le gravi difficoltà in cui egli viene a trovarsi, che la misura era già stata considerata -ed io ne ho riferito a V. E. -dallo stesso Starhemberg; che egli, Baar, sarà il capo di essa milizia, e che quindi solo a lui spetterà provvedere alla composizione di questa, la quale sarà pertanto prevalentemente, per non dire assolutamente, heimwehrista. Ha fatto buona impressione la dichiarazione di Schuschnigg che le bandiere della milizia saranno quelle stesse della Heimwehren; 4) l'ordine dato dal presidente della polizia, nella sua qualità di direttore per la sicurezza della città di Vienna, signor Skubl, e secondo cui lo Schutzkorps di Vienna ha cessato di prestare la sua opera nell'espletamento delle funzioni della polizia della capitale. Quest'ordine ha destato preoccupazioni nel campo heimwehrista: anzitutto perchè esso è stato emanato da un funzionario e non dalla autorità politica competente, cioè il segretario di Stato per la Sicurezza Baar; ed in secondo luogo perchè è stato considerato come il più duro e diretto annunzio delle limitazioni che si vorrebbero imporre all'attività delle Heimwehren.

Al riguardo il Vice Cancelliere Baar ha tenuto ad osservarmi che l'ordine era stato da lui stesso redatto, e fatto firmare dallo Skubl unicamente perchè riguardante la circoscrizione amministrativa della polizia di Vienna; e che esso non aveva alcun valore politico, la questione delle formazioni para-militari essendo stata risoluta nell'insieme del nuovo ordinamento dello Stato e sovratutto in quello concernente la istituenda milizia.

Il Vice Cancelliere mi ha infine detto che sta occupando con grande impegno della nomina dei capi del Fronte patriottico nei Liinder, e che ha speranze di vedervi preposti, in maggioranza, elementi heìmwehristi. Mi ha confermato del pari che il nuovo Landeshauptmann di Salisburgo sarà un heimwehrista.

(l) -Vedi serle ottava, vol. Il, p. 583, nota 2. (2) -Non pubblicato.
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COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON IL MINISTRO DI SVIZZERA A ROMA, RUEGGER

VERBALE (1). Roma, 18 maggio 1936.

Il Ministro di Svizzera ha l'incarico dal signor Mottr~. di spiegare al Capo del Governo l'atteggiamento tenuto da quest'ultimo nei riguardi delle sanzioni.

Il signor Motta, che partecipa alle riunioni dei cosiddetti neutrali, sta facendo tutti gli sforzi per ottenere la abolizione delle sanzioni. Il signor Motta non crede utile di fare un gesto isolato (d'altra parte la Svizzera non può essere considerata un Paese sanzionista) ma ritiene molto più proficua la sua opera se spiegata nel detto comitato per arrivare ad un'azione collettiva favorevole all'Italia.

Il Capo del Governo pensa che se il signor Motta facesse una dichiarazione esplicita sulla opportunità di abbandonare le sanzioni, ciò avrebbe una grande ripercussione fra tutti i Paesi sanzionisti e la Svizzera sì piazzerebbe in una situazione molto favorevole per i suoi futuri rapporti coll'Italia.

Il Ministro riferirà in questo senso a Berna (2).

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IL CAPO DELL'UFFICIO III DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, GUARNASCHELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 18 maggio 1936.

Il 27 corrente avrà luogo una sessione della Commissione permanente dei mandati. Oltre le questioni dì ordinaria amministrazione, in detta sessione dovrà essere eletto il presidente, e verranno in discussione importanti que

stioni circa la situazione politica in Palestina ed in Siria, e, per nostra iniziativa, la questione delle sanzioni applicate nei Paesi sotto mandato. Sembra opportuno di mantenere la nostra presenza nella Commissione dei mandati per le seguenti ragioni:

l) l'Italia, abbandonando anche temporaneamente la Commissione dei mandati, non avrebbe modo di esercitare, quale unica grande Potenza non mandataria rappresentata nella commissione, quella funzione di controllo e di freno, che ha sinora esercitata, sotto la veste di interpretare i principi del mandato, per propri interessi di carattere politico, specialmente in relazione alla situazione nel bacino del Mediterraneo Orientale.

2) I membri della Commissione permanente dei mandati non rappresentano i rispettivi Governi, dai quali non sono nominati; e non dipendono dal Consiglio perchè inamovibili; essi sono nominati una volta 'per sempre dal Consiglio in relazione alle loro specifiche competenze e posizioni politiche.

3) Si ricorda che il Giappone, pur essendo uscito dalla S.d.N., ha conservato il proprio membro nella Commissione dei mandati~ e che la Germania non fece dare al proprio membro nella C.P.M. le dimissioni immediatamente dopo l'uscita della Germania dalla S.d.N., ma qualche tempo dopo.

4) Se noi non parteciperemo alla prossima sessione della C.P.M., quasi certamente i membri della C.P.M. non rieleggeranno alla presidenza il membro italiano che da 16 anni riveste questa carica. La presenza del membro italiano renderebbe invece sicura la sua rielezione a presidente per la posizione da lui acquisita.

5) La C.P.M., che è l'unica Commissione societaria non costituita dal Consiglio ma derivante dall'art. 22 del Patto, ha sempre tenuto ad affermare la sua indipendenza collettiva e individuale tanto nei riguardi dei rispettivi Governi quanto nei riguardi del Consiglio della S.d.N. (1}.

(l) -Questo verbale, che porta il visto di Mussolini, fu redatto da Suvich, presente al colloquio. (2) -Con T. per corriere 5225/041 R. del 29 maggio, il ministro a Berna, Tamaro, comunicava che, secondo notizie da lui raccolte, l'on. Motta si era dichiarato soddisfatto di questo colloquio perché Mussolinl, pur esprimendo il desiderio che la Svizzera abolisse le sanzioni, non aveva preteso un'azione In quel senso, per cui la questione si poteva considerare chiusa.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 4844-4855/310-311 R. Parigi, 19 maggio 1936, ore 14,50 (per. ore 18).

Telegramma di V. E. n. 263 e telegramma per corriere 2185 R. (2).

Sono stato stamane da Léger che non avevo veduto dopo l'estensione della sovranità italiana all'Etiopia. Gli ho detto che desideravo intrattenerlo in via confidenziale di varie questioni delicate che il R. Governo intende trattare col Governo francese con spirito di assoluta amicizia e conforme all'interesse dei due Paesi di risolverle in piena armonia.

Risposta Léger a questo preambolo fu cortesissima ma sostenuta. Ma allorchè accennai alle questioni da trattare, vale a dire al passaggio da Gibuti delle truppe e del materiale (impiegai questo termine anzichè quello «bellico» per marcare che la guerra era finita), alla difesa della ferrovia in territorio italiano ed alla necessità di prendere in considerazione n ritiro della guardia della legazione di Francia da Addis Abeba e del battaglione francese da Dire Daua, Léger rispose che le richieste del Governo italiano erano premature. Egli non aveva difficoltà a riconoscere che tali questioni dovranno un giorno essere discusse e sembrerebbe presto ma la premessa per fare ciò era il riconoscimento da parte del Governo francese dello stato di cose stabilito col decreto del 9 maggio (1). Presentemente il Governo della Repubblica non soltanto non aveva riconosciuto tale stato di cose, ma non aveva neanche avuto risposta promessagli al riguardo dal R. Governo. La situazione esistente in Etiopia era quella di una occupazione militare del territorio di uno dei belligeranti membri della S.d.N. da parte di un altro belligerante pure membro della S.d.N., dichiarato aggressore. Nessun altro Governo, membro della S.d.N., poteva ignorare tale stato di cose e quindi trattare con lo Stato che occupava militarmente l'Etiopia per facilitargli le proprie operazioni militari. Ciò non aveva impedito al Governo francese, desideroso di dare nuova prova di amicizia all'Italia, di impartire istruzioni alla ferrovia perchè sul tratto etiopico si accordassero tutte le facilitazioni al Comando italiano e perchè le merci destinate corpo di occupazione, potessero passare per Gibuti chiudendo un occhio. Ma non si doveva confonder.e lo stato di fatto con lo stato di diritto e non si poteva pretendere dal Governo francese che esso trattasse presentemente con l'Italia, come potrà e dovrà, anzi, fare il giorno in cui avesse riconosciuto la sua sovranità sull'Etiopia.

Ho ribattuto a Léger che quest'atteggiamento, rigidamente formale e giuridico, avrebbe probabilmente prodotta una impressione penosa ed inattesa a Roma. Gli ho detto che il R. Governo tenendo conto anche di quanto egli mi aveva esposto circa necessità che fossero garantite da parte nostra vita e proprietà degli stranieri in Etiopia, aveva redatto le sue comunicazioni circa le truppe francesi a Dire Daua e la difesa della ferrovia in termrni tali da non urtare suscettibilità della Francia e da metterla in condizioni dì offrire essa stessa spontanea:rnente il ritiro dei suoi contingenti armati non più necessari data sicurezza esistente in seguito all'arrivo delle truppe italiane.

Léger mi ha risposto che una simile offerta sarebbe stata indubbiamente fatta qualora R. Governo avesse concluso con Etiopia una pace sulle linee della nota comunicazione che menzionava mantenimento della distinzione tra il nucleo amarico e quello coloniale. Annessione pura e semplice dell'Etiopia aveva posto tutti gli Stati membri della S.d.N. nell'alternativa di firmare, riconoscendo stato di fatto creato dal R. Governo, sentenza di morte della S.d.N., oppure di mantenerne una, che è venuta meno al suo scopo, eternando stato di cose che esclude l'Italia dalla soluzione dei problemi europei.

Egli mi ha detto che ricerca invano da dieci giorni una formula qualsiasl che permetta alla Francia ed alle altre Nazioni societarie, ben disposte verso l'Italia, di sortire dal suddetto dilemma, che ha chiesto parere dei maggiori giuristi e diplomatici ma che tutti sono incapaci di suggerire una soluzione. Léger ebbe parole molto accorate per decisione presa, dicendo che essa provava come R. Governo non aveva voluto fare conto delle buone disposizioni della Francia e di altri Stati amici, i quali non avrebbero chiesto altro che di poter salvare, comunque, il principio societario che uno Stato membro non può essere puramente e semplicemente cancellato e che quindi sarebbero stati, viceversa, pronti a riconoscere all'Italia ogni diritto sull'Etiopia. Menzionò Marocco dove la Francia aveva creato un nuovo ... (l) ed accennò alla Tunisia dove la Francia aveva avuto cura di salvaguardare diritti dell'Italia.

Ho creduto dire a Léger che così come il Duce lo aveva ripetutamente dichiarato, R. Governo era disposto ad esaminare, qualora la Francia ne esprimesse desiderio, il modo migliore di salvaguardare i suoi diritti in Etiopia. Del resto tenore stesso della mia conversazione odierna ne era una prova manifesta.

Léger ne prese atto e ricordò che ne aveva già parlato a Flandin, ma osservò che estensione della sovranità dell'Italia su tutta l'Etiopia non aveva tenuto alcun conto di quanto spettava alla Francia, sia per l'accordo tripartito (2) che per gli accordi di Roma del gennaio 1935 (3). Le riserve fatte da Flandin, tanto a me che a mezzo dell'ambasciatore Chambrun, sì riferivano pertanto a questi due ordini di cose: impossibilità di condannare a morte S.d.N. e interessi francesi in Etiopia che non potevano essere violati.

Ho detto a Léger che con me Flandin non aveva fatto alcuna «riserva» e che questo termine non era stato pronunciato.

Léger mi lesse telegramma spedito giorno 8 a Chambrun in cui veniva fedelmente riassunto colloquio che Flandin aveva avuto meco e gli venivano impartite istruzioni di fare immediata e formale riserva.

Ho manifestato a Léger il mio rincrescimento nel constatare come i punti di vista italiano e francese fossero agli antipodi, come la Francia non tenesse alcun conto della situazione creata dalla fuga ignominiosa del Negus che l'aveva capovolta. Trovavo poco amichevole ed anche poco logica la preoccupazione di non compiere cosa che potesse riuscire sgradita al Negus, dato che esso non rappresentava proprio nulla, mentre l'Italia per la Francia aveva una importanza immensa.

Léger contestò debolmente che fu errore grave ammettere Etiopia nella

S.d.N. e che ora lo si paga. Ma si è o non si è societari. La Francia lo è, quindi non le si può chiedere di uccidere S.d.N.

Come V. E. vede siamo giunti al punto molto delicato dei nostri rapporti con la Francia, che era stato del resto previsto e che si sarebbe presentato anche nel caso in cui fosse stato proclamato soltanto protettorato. La cosa è aggravata dal fatto che ora non esiste praticamente Governo e che quello che

costituirà Blum sarà probabilmente fino dal primo giorno esposto a difficoltà somme, cosicché sarà debole e cercherà di dare prova di forza solo difendendo strenuamente il Patto societario, appoggiato in questo dal Quai d'Orsay.

(l) -Il documento reca l'annotazione a matita: «Ho detto a Theodoli di non andare a Ginevra. 25 maggio. Suvich ». Questa annotazione è stata cancellata e accanto figura una seconda annotazione: « 25 maggio. Il Capo dispone che Theodoli cl vada. Suvlch ». (2) -Vedi DD. 70 e 47.

(l) Vedi p. 3, nota 2.

(l) -Nota dell'Ufficio Cifra: «Gruppo Indecifrabile». (2) -Trattato di Londra tra Francia, Gran Bretagna e Italia del 13 dicembre 1906 (Trattati e convenzioni, vol. XVIII, pp. 920-926). (3) -Vedi serie settima, vol. XIV, D. 403.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 2272/271 R. (l) Roma, 19 maggio 1936, ore 21.

Faccia sapere a codesti circoli coloniali che le loro preoccupazioni circa la sorte di Gibuti sono infondate. Questo telegramma è in connessione con l'articolo di Ferraus su la Tribune des Nations. Etiopia italiana favorirà Gibuti e i suoi traffici poichè non intendiamo di straippare le rotaie della ferrovia.

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4864/93 R. Vienna, 19 maggio 1936, ore 23,45 (per. ore 4 del 20).

Cancelliere federale ringrazia V. E. per la comunicazione di cui al telegramma di V. E. n. 74 (2). Schuschnigg mi ha poi in succinto dichiarato: l) Che sua ammirazione per l'Italia e per il Duce è così profonda che egli non desidera che mantenere ferma attuale linea politica.

2) Che era necessario giungere all'unificazione delle forze patriottiche, il vero pericolo interno che sovrasta l'Austria non trovandosi nè negli elementi di destra nè in quelli di sinistra ma esclusivamente in una scissione del Fronte Patriottico.

3) Che Starhemberg, di cui ha fatto elogio, potrà probabilmente compiere opera assai più utile al di fuori che al di dentro del Governo. Al riguardo ha rilevato che le Heimwehren devono tener conto dell'opposizione del Fey, che egli ha scagionato di ogni responsabilità per i noti incidenti di due domeniche fa, !asciandomi anzi impressione che possa considerarlo come una carta nel suo giuoco.

4) Che la milizia sarà organizzata dal Vice Cancelliere, facendo comprendere che i desideri delle Heimwehren potranno così trovare soddisfazione.

Cancelliere Federale mi ha poi ripetuto che Austria non può darsi un sisma fascista del tutto analogo al nostro, che egli vuole praticamente un sistema autoritario che si fondi sempre più sulle masse, che egli non è preoccupato dell'attuale attività socialista e comunista, ma del pericolo che confida evitare e consistente in una eventuale unione dei socialisti. con i nazional-socialisti.

Schuschnigg mi ha anche intrattenuto sul pericolo ebraico esprimendo l'avviso che molti elementi divengano nazis~i esclusivamente per il gran numero degli ebrei austriaci. Ha tuttavia rilevato difficoltà di misure restrittive rappresentando essi l'elemento anti nazionalista.

Ha infine accennato all'idea di Starhemberg per una ì.ntesa fra i regimi autoritari, aggiungendo di condividerlo in linea di principio.

(l) -Minuta autografa. (2) -Vedi D. 64.
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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 4860/64 R. Roma, 19 maggio 1936 (per. il 20).

Miei telegrammi del 15 e 16 corr. n. 57 (l) e 62 (2).

Ho intrattenuto nuovamente, iersera, il cardinale Segretario di Stato, conformemente alle istruzioni dall'E. V. impartitemi ed ho parlato subito dopo a mons. Pizzardo il quale spesso si assume il compito di interpretare e chiarire il pensiero del suo capo.

Il cardinale mi ha assicurato di avere avuto colloqui con vari diplomatici sul problema delle sanzioni. Egli ha espresso a tutti il pensiero della Santa Sede, cioé che le sanzioni non hanno più ragione di sussistere e rappresentano un pericolo per la pace. II porporato ha tenuto questo linguaggio anche al ministro britannico il quale gli ha dichiarato di essere contrario alle sanzioni. Ho chiosato che, nella fattispecie, le opinioni personali contava:no poco

o nulla.

Ho portato, in seguito, il discorso sul secondo punto ossia sull'accettazione del fatto compiuto in A. 0., ma il cardinale ha evitato di darmi una risposta concludente, sgusciandomi di mano con quell'abilità che lo caratterizza.

Ho dovuto ricorrere al suo commentatore mons. Pizzardo che è stato più esplicito. Egli mi ha detto che la Santa Sede crede di poter manovrare meglio sul terreno delle sanzioni appunto perchè il mantenimento delle anzidette misure mette in pericolo la pace europea. D'altra parte, ha soggiunto il se

gretario per gli Affari Ecclesiastici Straordinari, liquidato il problema delle sanzioni, l'altro si risolverà da sé con un po' di pazienza. Sorveglierò l'azione della S. Sede anche per poter all'occorrenza indirizzarla, in conformità delle informazioni e direttive del R. Ministero.

(l) -Con T. 4680/57 R. del 15 maggio, ore 17, Pignatti aveva riferito di aver comunicato al cardinale Segretario di Stato, secondo le istruzioni ricevute, che l'Italia aveva proclamato la sua sovranità sull'Etiopia e che il Re d'Italia aveva assunto il titolo di Imperatore d'Etiopia. Il cardinale aveva ascoltato «senza pronunciare verbo». (2) -Con T. per corriere 4734/62 R. del 16 maggio, ore 13, Pignatti aveva riferito che i rappresentanti diplomatici accreditati presso la Santa Sede erano già stati interessati a far presente ai rispettivi governi l'opportunità di togliere le sanzioni.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 3669/1177. Parigi, 19 maggio 1936 (per. il 23).

Onoromi trasmettere, qui unito, a V. E. copia del rapporto n. 250/S che questo R. addetto militare ha inviato, i:n data 16 maggio corrente, al R. Ministero della Guerra circa un colloquio avuto col Maresciallo Pétain.

ALLEGATO

L'ADDETTO MILITARE A PARIGI, BARBASETI'I, AL MINISTERO DELLA GUERRA

R. s. 250/s. Parigi, 16. maggio 1936.

Per incarico di S. E. l'Ambasciatore sono stato ieri 15 a dare conoscenza al Maresciallo Pétain della funzione religiosa che avrà luogo domenica prossima a Bligny in memoria del gen. Albricci.

Il Maresciallo vi sarebbe venuto molto volentieri, ma ha un impegno al quale non può sottrarsi; ~nvierà probabilmente un telegramma di adesione. Mi ha parlato in termini molto lusinghieri del gen. Albricci che fu ai suoi ordini sull'Aisne. Bassando all'argomento della guerra in A.O. il Maresciallo si è compiac,iuto molto caldamente della preparazione, dello sviluppo della campagna, dei risultati ottenuti.

Si è operato in grande « envergure » -egli ha detto -con stile mussoliniano, per far presto e ottenere risultati decisivi, quale la completa disgregazione nemica avvenuta con minime perdite nostre. Concezione, preparazione, sviluppo da grandi capitani. Mi ha ricordato gli episodi della sua lotta con Abd-el-Krim e l'impiego di tre corpi d'armata. Ha concluso con la sua ammirazione anche per n lavoro degli ufficiali di S.M., che ha definito ufficiali di primo «rango».

Ha soggiunto, come mi aveva dichiarato altra volta, che l'esercito francese è tutto con noi. A talune mie discrete e prudenti riserve in proposito, basato su qualche recente ondeggiamento della stampa milttare, ha obiettato che si tratta di voci isolate cui non si deve dare importanza.

Il Maresciallo ha poi parlato della politica estera del suo Paese. Egli non è molto tenero per gli uomini politici di quì e deplora che H pensiero militare non sia tenuto da essi in sufficiente considerazione. Lo si richiede solo nei momenti più gravi, ad ondate, senza continuità di programmi o di linea di condotta; spesso, poi, lo si dimentica e si affoga la politica estera nelle mene della politica interna.

A proposito di questa, il Maresc,iallo si è mostrato chiaramente contrariato per il risultato delle ultime elezioni; ha soggiunto e ripetuto con forza che la tempete si abbatterà prossimamente sulla Francia e che i comitati regionali sono quanto mai funesti.

senza ,alcuna riserva, con quella franca parola di un'automtà che sa di poter dire tutto intero il suo pensiero, ha invidiato la compattezza dell'Italia attorno al Capo del Governo. Ha parlato del Duce con una schietta ed elevatissima ammirazione, senza luoghi comuni o parole ampollose, chè il Maresciallo non ne è capace.

L'ho ringraziato a nome del mio Paese, ed ho colto l'occasione per riconfermare al Maresciallo -se pure ce ne fosse stato bisogno -che la campagna d'Africa ha stretto ancor più i nostri legami interni, ed ha servito a spazzare, in qualche animo ancora ,tacitamente dubbioso, ogni ombra di intima diffidenza.

Dirò che il Maresciallo è bensì vecchio di anni, ma porta bene fisicamente la sua età; e quanto a intelletto, se non può avere più la prontezza e <l'elasticità di un tempo, per lo meno non ha sensibilmente regredito, chè tutta la sua esperienza e l'antica capacità costituiscono ancora una solida base del suo pensiero e del suo ragionamento.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, OERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 3670/1178. Parigi, 19 maggio 1936 (per. il 23).

Onoromi trasmettere, qui unito, a V. E. copia del rapporto n. 248/S che questo R. addetto militare ha inviato al R. ministero della Guerra in data 16 maggio corrente circa il pensiero dello Stato Maggiore francese su vari problemi di politica estera.

ALLEGATO

L'ADDETTO MILITARE A PARIGI, BARBASETTI AL MINISTERO DELLA GUERRA

R. s. 248. Parigi, 16 maggio 1936.

Ho avuto oggi 16 una conversazione col segretario del generale Gamelin; ,persona, come ho comunicato più volte, che conosce perfettamente le idee del suo generale e parla in nome di ,lui.

Riporto le dichiarazioni principali del segretario:

l. -La politica del mantenimento delle sanzioni ha molto deluso l'ambiente militare francese. -Si sperava, dalle ,alte autorità militari, l'abolizione e il conseguente chiarimento delle relazioni militari con J'Italia. H mantenimento delle sanzioni è «ridicolo ».

Si deplora la mancanza di un governo in Francia.

2. --Il recente rimaneggiamento del governo austriaco è accolto con fiducia e costituisce un buon avvenimento nell'ondata di avvenimenti avversi. Si temono tuttavia 1e reazioni interne. Si spera nell'energia di Schuschnigg e nella moderazione di Starhemberg. 3. --Gli accordi con gli Stati Maggiori inglesi hanno soddisfatto, nel senso che lo

S. M. inglese ha dimostrato di voler tener fede agli impegni. Tale soddisfazione francese va sempre considerata, però, d'al semplice punto di vista « simbolico » (La bandiera di un reggimento inglese e un soldato inglese).

Nella scelta tra Inghilterra o Italia si prefenrebbe senza dubbio l'ItaJia; ma contro la Germania anche l'Inghilterra è indispensabile; Italia e Francia non sono troppe.

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L'INCARICATO D'AFFARI A LA PAZ, TONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U.U. 4887/46 R. La Paz, 20 maggio 1936, ore 14,35 (per. ore 21,15).

Stamane questo ministero Affari Esteri ha inviato al delegato boliviano in Ginevra seguente telegramma:

«L'articolo 16 del Patto non costituisce penalità al Paese che ricorre alla guerra. È semplice tentativo evitare conflitti armati ovvero promuovere la loro cessazione. Con tale criterio applicammo le sanzioni all'Italia, nonostante la nostra grande simpatia per quel Paese. Essendo però terminata la guerra coll'Etiopia, l'impiego dello sterile espediente pregiudica l'economia del nostro Paese che in momento di ricostruzione richiede attivare il commercio. Ci proponiamo pertanto di togliere le sanzioni. Attendiamo la Sua opinione ».

Sarebbe indispensabile agire opportunamente su Costa du Rels perchè, come di consueto, non raffreddi le intenzioni di questo Governo ( 1).

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L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, MARCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T.u. 4881/49 R. Santiago, 20 maggio 1936, ore 16,15 (per. ore 23,30).

Presidente Alessandri avvertemi aver ricevuto stamane telegramma suo ambasciatore Londra il quale riferisce essersi incontrato con l!.:aen cne, aopu averlo abbracciato, lo ha calorosamente ringraziato per coraggioso atteggiamento assunto Cile in nostro favore Ginevra, fornendo cosi mezzo agli Stati sanzionisti uscire imbroglio attuale e salvare anche S.d.N.

Alessandri mi ha dato conoscenza quanto sopra in vi.a strettamente confidenziale.

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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4983/062 R. Vienna, 20 maggio 1936 (per. il 23).

Il conte Coudenhove Kalergi è testé tornato da un lungo viaggio a Parigi, Londra e Roma. Circa i colloqui da lui avuti a Parigi, il conte Coudenhove ha

tenuto a dirmi d'aver chiesto in modo netto e preciso a Flandin se e quale appoggio la Francia conti effettivamente dare all'Austria ìn caso di attacco da parte della Germania. Flandin gli aveva replicato che se la Francia si sentisse interamente appoggiata dall'Inghilterra, essa marcerebbe senz'altro: in caso contrario, il suo intervento diverrebbe difficilissimo. Coudenhove ha commentato che il pensiero di Flandin è che la Francia non può che subordinare ogni suo intervento in Austria, nell'ipotesi contemplata, alla condizione d'un previo impegno da parte dell'Inghilterra a concederle ogni aiuto, nel conseguente diretto conflitto franco-tedesco.

Avendogli io allora chiesto che cosa avesse appreso a Londra sulla questione stessa, Coudenhove ha risposto aver colà tratto l'impressione che l'Inghilterra non prenderà in alcun caso un impegno preventivo ma che ciò non esclude tuttavia la possibilità d'un suo intervento, scoppiate che fossero le ostilità in Austria, e che la Francia avesse prestato il suo aiuto militare.

In vista di quanto precede mi permetto ricordare quanto il R. ambasciatore a Parigi ha riferito nel telegramma per corriere n. 1523 R. C., del 7 aprile scorso (1), dall'oggetto: « assicurazioni di reciproca assistenza franco-inglese ». Segnalo sovratutto l'osservazione di S. E. Cerruti che l'Italia, nel caso decidesse confermare alla Francia la garanzia stabilita nel Trattato di Locarno, dovrebbe ottenere a titolo di reciprocità -stante che per noi l'indipendenza dell'Austria è non meno importante di quanto non lo sia quella del Belgio per la Francia e l'Inghilterra -che la Francia le accordi la sua assistenza militare nel caso di aggressione non provocata da parte della Germania non soltanto nel territorio italiano ma anche di quello austriaco.

(l) Ritrasmesso a Parigi con T. 2372/276 R. del 23 maggio, ore 24, con l'aggiunta delle seguenti istruzioni da parte di Suvich: «Poiché risulta che delegato .Solivia travasi attualmente Parigi pregasi v. E. voler d'urgenza opportunamente su di lui >>. Per la risposta di Cerruti vedi D. 108.

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IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5031/030 R. Sofia, 20 maggio 1936 (per. il 25).

-Quanto ho riferito ieri col telegramma filo n. 51 (2) mi era stato detto dal presidente del Consiglio ministro degli Esteri nel corso di una lunghissima conversazione da lui stesso provocata.

Kiosseivanov volle confidenzialmente mettermi al corrente di queste nuove difficoltà per appoggiare la sua tesi che la Bulgaria è talmente sospettata ed ostacolata da tutti che financo una innocente ordinazione di armi alla Germania (ordinazione fatta anche allo scopo di smaltire la gran quantità di marchi di cui è creditrice) basta per metterla di fronte a gravissime diffi

coltà. Come azzardarsi in queste condizioni ad anticipare una iniziativa in nostro favore per abolizione sanzioni, come sarebbe desiderio suo e dell'intero popolo bulgaro? Era questo un pensiero che lo assillava da giorni, ma non sapeva come risolverlo.

Gli ho risposto che volevo profittare della sua iniziativa per dirgli con tutta franchezza che la piatta acquiescenza bulgara alla politica sanzionista aveva completamente capovolto il sentimento italiano ne1 confronti della Bulgaria. Era inutile discutere ancora una volta i vecchi argomenti: la situazione era tale che solo un gesto, una iniziativa felicemente a noi favorevole fatta a tempo e non sulla scia degli altri, poteva mutarla. Se la Bulgaria dovette aderire alle sanzioni per proteggersi dai pericoli che le venivano dal suo isolamento, ora era appunto questo suo isolamento che le dava modo, non essendo legata a nessun altro Stato, di agire liberamente.

Il fatto che ogni Stato membro della S.d.N. era libero di togliere 1e sanzioni come era stato libero di aoplicarle era ormai oacifico dono che si era visto che nessuna obiezione di principio era stata fatta all'Ecuador. In quanto alla solita storia della reazione presso i vicini, perché non profittare delle palesi buone disposizioni a nostro riguardo della Jugoslavia e della Romania e del fatto che la Turchia aveva bisogno dell'annuenza bulgara -promessa del resto spontaneamente e immediatamente -per risolvere la questione degli Stretti? -Abolendo le sanzioni ai nostri danni, la Bulgaria avrebbe potuto facilmente far rilevare al Governo di Ankara che ugual gesto amichevole se non di portata maggiore, essa aveva già fatto nei suoi riguardi.

Che non si facesse illusioni, ho aggiunto, di poter contare su di noi come prima nella questione per loro vitale del riarmo e che riflettesse bene sulle facilitazioni che anche in tale campo la Bulgaria poteva trarre da una ripresa di cordiali rapporti con noi, giacché è proprio di questi giorni un accordo intercorso tra la Banca d'Italia e la Banca Nazionale che ha permesso alla Bulgaria di liquidare un suo debito in lire con marchi tedeschi.

Questo ed altro che ho potuto dire ha lasciato Kiosseivanov nello stesso stato di perplessità in cui l'ho trovato; al momento di prender congedo mi ha ripetuto che si rendeva conto della gravità e della fondatezza di quanto gli avevo detto, ma che aveva bisogno di riflettere ancora malgrado convenisse con me che gli avvenimenti precipitavano e che ogni giorno di attesa era un giorno perduto.

Nello stesso senso mi sono espresso in confidenziali conversazioni che ho avuto col direttore generale degli Affari Economici e col direttore della Banca Nazionale bulgara, ambedue ansiosi di uscire da questo illogico e dannoso stato di cose. Il direttore della Banca Nazionale bulgara (reduce da un soggiorno in Italia dove ha avuto modo di incontrarsi col Governatore della Banca d'Italia), che fin dall'inizio delle sanzioni è stata la personalità bulgara più comprensiva dei reali interessi del suo Paese, mi ha anzi promesso che avrebbe cercato in tutti i modi di influenzare l'animo titubante di Kiosseivanov.

Il -Documentt diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

(l) -E' la ritrasmissione del T. r. per corriere 3024/097 R. del 4 aprile, per il quale vedi serie ottava, vol. III, D. 587. (2) -T. 4848/51 R. ~el 19 maggio, ore 21, con il quale Sapuppo aveva riferito avergli detto il presidente del Consiglio bulgaro che si erano interrotte le trattative con la Francia per la fornitura di armi.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, A TTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1953/733. Berlino, 20 maggio 1936 (per. il 23).

V. E. avrà certo rilevato che da più parti (telecorrieri 15 maggio n. 2181 (l), 16 maggio n. 2215 etc. etc.) (2) si insiste ora sopra un nuovo motivo: quello della necessità per l'Italia -facendo naturalmente delle concessioni di forma e di fondo sull'Abissinia -di riaccostarsi all'Inghilterra e ciò onde impedire: l) che l'Inghilterra si riaccosti alla Germania; 2) che, come conseguenza di questo, la Germania si installi a Vienna. È il vecchio motivo austriaco, che ricompare sotto altra forma.

In merito, mentre richiamo i miei rapporti del 14 e 22 aprile (3), mi permetto far presente:

l) il riavvicinamento dell'Inghilterra alla Germania, mentre rappresenta un fatto tendenzialmente degno del massimo interesse, non è poi così semplice come si crede, oltre che da parte inglese, anche da parte tedesca. Del resto, per parlare della sola Germania, questa, mentre naturalmente tiene moltissimo a non disgustarsi l'Inghilterra, incuneandosi il più possibile fra essa e la Francia, dall'altra non tiene neanche a mettersi contro l'Italia;

2) dato e non concesso che il riavvicinamento anglo-tedesco sia possibile e sopratutto che esso possa essere veramente «intimo », non è detto che, dopo ciò, Hitler debba senz'altro e necessariamente istallarsi a Vienna.

Come ho già detto altra volta, la questione austriaca dipende: internamente, dalla resistenza e dalla vitalità del suo Governo; esteriormente dalla possibilità che la sua soluzione implichi, o meno, una guerra. Nessuno, più dei tedeschi, è convinto che l'Inghilterra non è pronta a fare, nè vuole, una guerra, specie se continentale e terrestre, come quella che la questione austriaca sarebbe capace di scatenare. Tanto meno, poi, la Germania può ritenere che se l'Inghilterra non farebbe una guerra per impedire l'Anschluss la farebbe per permetterla. Non è quindi l'attitudine inglese il fattore determinante nella questione, bensì quella delle potenze continentali: l'Italia in primissimo piano.

Qualunque sia la loro assurdità, queste voci sono peraltro interessanti per la loro origine. Esse provengono, infatti da Paesi che, se effettivamente vi credessero, dovrebbero essere i primi a riavvicinarsi all'Italia sapendola l'unico baluardo -effettivo -della indipendenza austriaca. Questo è vero non solo per la Francia ma specialmente per la Piccola Intesa. E allora perchè questi Paesi, che, particolarmente gli ultimi, la nostra vittoria ha sorpreso e illividito (la stessa Francia ci ha sempre augurato una mezza vittoria, mai una vittoria totalitaria e schiacciante, tale da renderei più forti di prima), non fanno il gesto minimo necessario a normalizzare le loro relazioni con l'Italia, vale a dire non aboliscono le sanzioni? No, è invece perfettamente il contrario...

Per quanto io possa giudicare dal contegno dei rispettivi rappresentanti

berlinesi, sono proprio i Paesi che più clamorosamente denunciano il pericolo

tedesco quelli che più ferocemente si ostinano nell'antisanzìonismo oltranzista.

Dunque, la morale deve essere allora una altra. Forse « il pericolo tedesco » è, sopratutto, una manovra intesa a tenere l'Italia lontana dalla Germania (1).

(l) -Ritrasmetteva a Londra, Parigi, Berlino, Mosca, Varsavia e Bruxelles 11 D. 27. (2) -Ritrasmetteva a Parigi, Londra, Berlino, Mosca, Varsavia, Bruxelles, Ankara, Atene, Cairo, Belgrado e Lisbona il D. 34. (3) -Non pubblicati.
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L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1536/665. Madrid, 20 maggio 1936 (per. il 28).

Il nuovo Gabinetto spagnolo, costituitosi all'indomani (12 maggio) dell'elezione del signor Azafia alla Presidenza della Repubblica e presieduto, secondo quanto avevo segnalato come probabile all'E. V., dal signor Casares Quiroga, si è ieri presentato alle Cortes.

Il Capo del Governo che, per quanto minato nella sua salute fisica, è ben noto e anche temuto per l'energia di cui dette notevoli prove quale ministro dell'Interno nel Governo Azafia del primo biennio repubblicano, ha voluto assumere un atteggiamento di ultrasinistra, assicurando che considera suo principale compito, che attuerà con ferma volontà, la realizzazione del programma elettorale del Fronte Popolare, dichiarando che il Governo si ritiene «belligerante » di fronte e contro il fascismo e rivolgendo ai settori di estrema sinistra un appello affinché collaborino a tale opera e non turbino l'ordine pubblico. L'energia del signor Casares Quiroga è rivolta unicamente contro i partiti di destra mentre si limita, per mantenere l'ordine pubblico di fronte alle iniziative delle organizzazioni proletarie, alla... generosità di queste ultime.

Dopo brevi interventi dei rappresentanti le opposizioni di destra, Gil Robles (cattolico-populista) e Calvo Sotelo (monarchico), il Parlamento ha votato la fiducia al Governo con 217 vbti contro 61.

II Paese nel frattempo continua a dar mostra dì agitazioni e di disordini. Ne ho trasmesso l'elenco all'E. V. con rapporto in data 18 corrente,

n. 1475/639 (2). È da aggiungere lo stato di orgasmo, su cui ho più volte riferito, da parte degli ambienti militari, che è culminato avantieri negli avvenimenti di Alcalà de Henares, dei quali al mio rapporto odierno n. 1535/664 (3). A seguito di tali eventi, si è stamane sparsa la voce di più gravi fatti che starebbero a confermare lo stato d'animo dell'esercito: si dice che sarebbe stata scoperta la esistenza, in seno ad ogni reggimento, di nuclei di soldati e ufficiali affiliati a «Falange Espanola » pronti ad una azione controrivoluzionaria, si assicura che il capo del governo avrebbe disposto severissime inchieste affidate a giudici militari sotto la direzione del generale Caminero.

È certo sintomatico, in proposito, il fatto che il signor Casares Quiroga ha voluto assumere anche il portafoglio della Guerra: ciò venne appunto messo in relazione con i propositi attribuiti a una parte dell'Esercito, propositi che peraltro sembrano per ora destinati a rimanere più nel campo delle sterili recriminazioni anziché in quello delle realizzazioni positive.

Allegate al presente rapporto onoromi trasmettere le schede dei nuovi ministri facenti parte dell'attuale Gabinetto, nonché il resoconto della discussione parlamentare di ieri quale è pubblicato da questa stampa (1).

(l) -n presente documento reca il visto di Mussolinl. (2) -Non pubblicato. (3) -Non rinvenuto. Il 17 maggio, si erano verificati ad Alcalà de Henares degli incidenti fra elementi di sinistra e militari della I brigata di cavalleria che avevano indotto il ministero della Guerra ad ordinare il trasferimento della brigata in altre città. Ne erano seguite le proteste degli ufficiali e l'arresto di 48 di essi.
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IL MINISTRO A PRAGA, DE FA:CENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 705/460. Praga, 20 maggio 1936 (per. il 27).

Mio telespresso n. 645/436 del 14 corrente (2).

Da fonte generalmente bene informata viene riferito che ufficiali dello Stato Maggiore sovietico sarebbero giunti a Praga per trattare con ufficiali romeni la nota questione dell'eventuale passaggio di truppe sovietiche attraverso la Romania.

Tali trattative avrebbero luogo a Praga perchè lo Stato Maggiore cecoslovacco -naturalmente molto interessato alla questione -possa esercitare opera di mediazione per la conclusione di un accordo. Sembrerebbe che la Romania potrebbe decidersi a consentire il passaggio delle truppe sovietiche sul suo territorio a patto che ne fosse poi garantita l'evacuazione dalla Francia.

Prego di comunicare quanto precede al R. ministero della Guerra.

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L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4910/129 R. Madrid, 21 maggio 1936, ore 15 (per. ore 18,30).

Circa agitazioni ambienti militari segnalate anche dal R. Console Tetuan con telegramma n. 39 (3) mi richiamo altresì da ultimo miei rapporti 664 (4) e 665 (5).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Trasmetteva il rapporto 211/s del 12 maggio dell'addetto militare a Praga, ten. colonnello Roda, circa le trattative che, stando a fonti attendibill, erano in atto tra Romania e URSS per il passaggio attraverso il territorio romeno di forze sovietiche da inviarsi in aiuto della Cecoslovacchia. Secondo tale rapporto, il comandante della regione militare di Minsk, generale Ugolovic, si era recato a Praga nel febbraio precedente su invito dello Stato Maggiore romeno e in quella circostanza il capo di S.M. cecoslovacco aveva comunicato che la Romania poteva accondiscendere al passaggio di truppe sovietiche a due condizioni: a) che, in caso di guerra fra Romania e Ungheria o tra Romania e Bulgaria, l'URSS dichiarasse la sua neutralità e ritirasse le sue truppe sulla riva sinistra del fiume Buy; b) che il passaggio dei convogli di truppe sovietiche attraverso il territorio romeno avvenisse soltto la condotta di agenti romeni. (3) -Riferimento errato: si tratta del T. 4892/2 R. del 21 maggio, ore 1,30. n console a Tetuan, Leonini, comunicava che le forze spagnole del Protettorato erano state messe in stato di allerta per fronteggiare una paventata sollevazione della Legione Straniera. (4) -Non rinvenuto. (5) -Vedi D. 86.
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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN EUROPA E NELL'AMERICA LATINA (l)

T. PER CORRIERE 2325/C. R. Roma, 21 maggio 1936.

A seguito del telegramma n. 2186/C (2) comunico le seguenti osservazioni ed argomenti da utilizzare come norma di linguaggio nel sostenere le ragioni che anche nel campo societario militano a favore dell'abolizione delle sanzioni e del buon diritto dell'Italia.

Il Consiglio della S.d.N. nella seduta del 12 corr., in assenza del rappresentante italiano, ha adottato una risoluzione nella quale, decidendo di rinviare al 15 giugno la discussione della questione etiopica, ha aggiunto che « considera non essere luogo frattanto di modificare le misure prese di concerto dai membri della Società ».

Al riguardo osservasi: l) Le sanzioni, che sono state applicate nei riguardi dell'Italia non vennero deliberate dal Consiglio, ma concertate dal Comitato di Coordinamento come provvedimento che i singoli Governi avrebbero ,preso individualmente. Non spettava, quindi, al Consiglio di pronunciarsi sulla convenienza di mantenerle. Ad ogni modo la risoluzione del Consiglio non ha carattere obbligatorio per gli Stati membri della S.d.N. Ciascuno di essi ha il diritto di apprezzare liberamente, nell'esercizio della sua sovranità, le conseguenze che la situazione che si è creata in Etiopia deve avere nei riguardi delle sanzioni. 2) Gli Stati che, attraverso il Comitato di coordinamento, hanno adottato le sanzioni ritenendo applicabile l'art. 16 del Patto hanno concordemente considerato tali provvedimenti solo come misure di pressione per affrettare la fine delle ostilità e non come misure punitive. Essendo finite le ostilità, è venuta a cessare la ragione per la quale le sanzioni erano state adottate. Il Consiglio dichiarandosi per il mantenimento delle sanzioni ne modifica sostanzialmente il carattere senza avere alcuna competenza di farlo. Anche sotto questo riguardo, gli Stati membri non sono in alcuna maniera tenuti a conformarsi alla risoluzione del Consiglio. 3) Nella seduta stessa nella quale è stata sottoposta al Consiglio la sopradetta risoluzione, due membri del Consiglio rappresentanti del Cile ed Equatore, hanno espressamente dichiarato di non poter accettare la parte finale del progetto di risoluzione relativa al mantenimento delle sanzioni. Il Presidente Eden, pur dando atto di queste riserve, ha dichiarato che il progetto di risoluzione era stato approvato dal Consiglio. Ora, la parte della risoluzione relativa al mantenimento delle sanzioni non costituiva, come la decisione di rinvio, una questione suscettibile di essere decisa a maggioranza, ma esigeva

l'unanimità secondo l'art. 5 del Patto. Le dichiarazioni fatte dai rappresentanti del Cile e dell'Equatore sono sostanzialmente voti contrari all'adozione di quella parte della risoluzione.

Ragioni giuridiche sostanziali e formali tolgono, quindi, ogni valore della risoluzione del Consiglio per quanto riguarda il mantenimento delle sanzioni. I Governi che applicano le sanzioni hanno preso questa decisione individualmente senza che vi sia stata alcuna decisione del Consiglio o dell'Assemblea della S.d.N. Ciascuno di essi quindi ha il diritto ed il dovere di riesaminare sovranamente la sua linea di condotta in presenza della nuova situazione.

L'Italia non potrebbe considerare come una valida giustificazione per il mantenimento delle sanzioni il richiamo da parte dei Governi sanzionisti, alla risoluzione 12 maggio del Consiglio. Ogni Governo deve prendere direttamente le sue respon~abilità.

(l) -Il telegramma era indirizzato alle ambasciate ad Ankara, Bruxelles, Buenos Aires, Madrid, Mosca, Santiago, Varsavia, alle legazioni ad Atene. Belgrado, Berna, Bucarest, Copenaghen, Helsinki, Kaunas, L'Aja, Lima, Montevideo, Osio, Praga, Riga, Sofia, Stoccolma, Tallinn, e ai consolati generali a Dublino, Ottawa e Sidney. (2) -Vedi D. 57.
90

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4982/061 R. Vienna, 21 maggio 1936 (per. il 23).

Miei telegrammi n. 90 (1), 91 (2) e 92 (3).

Von Papen ha avuto fin'oggi ben quattro lunghi colloqui col Cancelliere. Circa il loro contenuto, ulteriori informazioni confermano che il ministro di Germania, prendendo a pretesto la proibizione di una riunione in Graz, abbia trovato il modo di prospettare al Cancelliere l'opportunità d'un modus vivendi, sulla base delle note proposte da lui avanzate nello scorso anno.

Schuschnigg avrebbe accettato di trattare, così come del resto fecero anche Starhemberg e Berger. Senonchè, mentre questi ultimi tenevano a mettere al corrente delle loro conversazioni non solo questa R. Legazione ma anche i ministri di Francia e d'Inghilterra, Schuschnigg mostra invece di voler fare il più grande mistero intorno alla sua nuova attività e ciò financo con i principali funzionari del Ballplatz e con lo stesso Vice Cancelliere maggiore Baar. Il che non può non destare preoccupazione.

D'altra parte è sintomatico che Schuschnigg, nel nostro colloquio di avanti ieri, non abbia creduto dire una sola parola delle conversazioni avute col von Papen, sul conto del quale egli pure soleva, nel passato, esprimere frequenti e tutt'altro che lusinghieri giudizi. È anche degna di rilievo la circostanza che egli abbia creduto, avant'ieri, accennarmi di essere al corrente dell'1dea di Starhemberg circa un'eventuale intesa tra i Paesi a regime autoritario, ed anzi di condividerla in linea di principio. Stante l'uomo si potrebbe financo pensare che l'accenno possa nascondere un recondito alibi, pel caso in cui gli riuscisse pervenire ad un qualche modus vivendi con Berlino.

Per mio conto continuo ad essere più che mai d'avviso (mio telegramma per corriere riservatissimo n. 045 delli 16 aprile (l) che l'ambiguo carattere di Schuschnigg rende necessari tempestivi avvertimenti ed esplicite prese di posizione; e ciò più che mai adesso che indubbi riposti piani lo hanno deciso a disfarsi di Starhemberg e sovratutto di Berger, nonchè a respingere financo la candidatura del Vollgruber, quale Segretario di Stato al Ballplatz.

Stante quanto precede, io mi proporrei di chiedere al Cancelliere, nel modo più netto e preciso, di ragguagliarmi circa i suoi colloqui col von Papen opportunamente ricordandogli, in caso di probabili reticenze ed esitazioni, quanto è pur chiaramente stabilito dai Protocolli di Roma in fatto di informazione reciproca. Tuttavia, poichè questo mio passo potrebbe aver ripercussioni a Berlino, io mi asterrò dal farlo senza una previa autorizzazione da parte dell'E. V.

Segnalo per ultimo, riferendomi alla seconda parte del mio telegramma

n. 91, che nuove informazioni ribadiscono che ,la Reichswehr si adopera qui, a mezzo del generale Glaise Horstenau, perchè Schuschnigg invii due suoi emissari di fiducia a Berlino, per opportuni contatti. Ricordo che il Glaise Horstenau fu mandato il mese scorso appunto da Schuschnigg a Berlino, sotto il pretesto di rappresentare l'esercito austriaco a cerimonie colà indette in onore del principe Eugenio di Savoia (2).

(l) -Vedi p. 76, nota l. (2) -Vedi D. 69. (3) -T. 4820/92 R. del 18 maggio, ore 20,10, non pubblicato.
91

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 0340. Londra, 21 maggio 1936 (3).

Riferisco sul colloquio, avuto oggi con Vansittart, dì cui ho testè inviato al Duce per telegrafo sommaria notizia (4), e che giudico di una certa importanza agli effetti di quelli che potrebbero essere gli sviluppi futuri.

A questo mio colloquio Vansittart e il Foreign Office hanno fatto richiamare attraverso i redattori diplomatici e i suoi organi di informazione l'attenzione di questi ambienti politici, rappresentandolo come un primo sostanziale contatto di contenuto politico fra il Governo britannico e il Governo italiano, dopo la proclamazione dell'Impero fascista ne1la notte del 9 di maggio, e dopo la comunicazione formale della proclamazione dell'Impero, da me fatta al Governo britannico il mattino del 12 maggio seguente.

Questo particolare va rilevato perchè denota da parte del Governo britannico o almeno del Foreign Office la volontà di preparare l'opinione ,pubblica britannica, dopo il fatto compiuto della fondazione e della proclamazione dell'Impero fascista a considerare l'opportunità che il Governo britannico e il Governo italiano procedano finalmente -con senso realistico -all'esame del problema dei rapporti politici futuri fra i due Paesi.

Aggiungo che dopo il 9 maggio la posizione personale di Vansittart ha guadagnato notevolmente su quella di Eden, la cui autorità e influenza hanno ricevuto non solo nel Paese ma anche nel Parlamento, specialmente durante queste ultime settimane, un fortissimo coJpo.

La conversazione d'oggi, che Vansittart ed io abbiamo d'accordo dichiarato di considerare come preliminare di incontri successivi, allo scopo di eventualmente approfondire da una parte e dall'altra gli argomenti della nostra discussione, ha avuto come inevitabile introduzione l'episodio delle dichiarazioni fatte da Eden lunedì scorso ai Comuni, in risposta all'interrogaztone del deputato Fletcher, circa la nota italiana a Ginevra sulle forniture di pallottole dumdum (1).

Questo episodio, sul quale Eden e i suoi poco accorti seguaci si sono gettati con l'avidità sadica di inscenare una delle solite montature di opinione pubblica contro l'Italia, è durato tre giorni ed è passato senza lasciare traccia. Il nostro «fermo» a Ginevra ha sgonfiato il pallone, il quale è finito invece con lo scoppiare pmprio nelle mani di Eden. I Comuni hanno accolto con un senso di noia e di palese freddezza la sua dichiarazione di lunedì, la quale è stata unanimemente giudicata un documento più anacronistico ancora della stessa nota italiana a Ginevra, ed ha servito a dimostrare che alla leale volontà del Governo fascista di non dare esca a polemiche corrisponde almeno da parte di Eden la volont~ esattamente contraria.

Con quanti ho avvicinato, della Camera dei Comuni e dei Lords, la sera di lunedì, di martedì e di teri, mi sono espresso duramente, denunciando -senza riguardi e senza mezze parole -la sistematica condotta provocatoria di questo ministro degli Affari Esteri britannico, il quale fa di tutto per alimentare artificiosamente uno stato di agitazione e di irritazione nei rapporti fra Italia e Inghilterra, al solo scopo di servirsene per mantenersi a galla e salvarsi da un naufragio personale inevitabile.

Ieri mattina mercoledì, Vansittart (tornato v,enerdì scorso al Foreign Office) mi ha pregato di andare a trovarlo, facendomi sapere che doveva parlarmi d'urgenza.

Ho ritenuto opportuno di non mostrare alcuna premura, e soltanto oggi alle 16 mi sono recato al Foreign Offioe, portando con me il numero del 6 maggio del Daily Mail con l'intervista del Duce a Ward Price (2) e con una raccolta completa ed accurata di 61 ritagli di giornali, e cioè di tutti gli articoli, trafiletti, corrispondenze, discorsi pubblicati nella stampa britannica durante queste ultime settimane, contenenti ogni sorta di false denuncie circa presunte attività, progetti e intenzioni italiane contro la sicurezza dell'Impero britannico a Malta, a Cipro, in Egitto, in Palestina, in India, nel Sudan, nel Kenia, etc. e asseriti propositi dell'Italia fascista di intraprendere, a conquista

dell'Etiopia ormai avvenuta, una politica di permanente minaccia armata alJo statu quo territoriale dell'Impero britannico.

Vansittart mi ha accolto con cordialità ancora più marcata del solito, e mi ha detto subito come egli era stato particolarmente dolente che la sua malattia non gli abbia permesso nella settimana scorsa, subito dopo il mio ritorno da Roma, di avere un contatto diretto con me. Egli mi ha detto che desiderava vedermi, oltre che per avere uno scambio di idee di carattere generale, anche per togliermi ogni eventuale impressione sgradevole che potesse esser.e rimasta dopo la risposta di Eden all'interrogazione del deputato F1etcher. Vansittart ha continuato, col tono di chi recita una lezione d'obbligo che non era assolutamente nel pensiero di Eden di dire alcuna cosa che potesse esser.e considerata come offensiva per il Governo italiano, che egli era stato costretto a difendere il buon nome britannico e le ditte inglesi da attacchi ingiusti e ingiustificati dell'Italia, ma che questo episodio ormai era chiuso e di esso non si doveva ·parlare più.

Ho replicato a Vansittart che io non avevo attribuito all'episodio alcuna importanza, ma che dopo tutto esso era stato utile perchè era valso a dimostrare all'opinione pubblica inglese ciò di cui l'opinione pubblica italiana è persuasa da lungo tempo e cioè l'incorr,eggibile anti-fascismo di Eden e l'acrimonioso astio personale che egli dimostra al tavolo di Ginevra non meno che alla Camera dei Comuni, in ogni sua manifestazione politica che si riferisce all'Italia e al governo fascista. « È evidente che questo -ho aggiunto -non può essere da parte nostra più a lungo tollerato. È venuto il momento di sapere fin dove la politica britannica intende condividere la sua respons&bilità con la politica personale del signor Eden.

Vansittart ha tentato di nuovo, sebbene senza mostrare alcun entusiasmo, la difesa del suo ministro degli Esteri. Egli ha detto che Eden era stato costr.etto a parlare ai Comuni in seguito alle indiscrezioni che avevano avuto luogo a Ginevra sul documento italiano, che era stato fatto circolare fra 1e delegazioni estere.

Ho ribattuto che ciò non era vero. L'indiscrezione sul contenuto della nota italiana ·era stata fatta dalla delegazione canadese soltanto dopo che 11 Segretariato Generale aveva avuto notifica da parte del Governo italiano della sospensione della nota. La delegazione britannica ha collaborato direttamente a tale indiscrezione, a Ginevra prima e a Londra poi. Mentre il Foreign Office si adoperava a liquidare l'incidente, Eden ed i suoi si adoperavano ad inasprirlo.

Vansittart mi ha fatto osservare che la tentazione da parte dei sanzionisti inglesi era stata troppo forte perchè essi rinunciassero a profittare di un documento italiano che presentava punti intrinseci di debolezza, e che sopratutto era in assoluta contraddizione coi discorsi del Duce del 5 (1), del 9 maggio (2) e coll'intervista al Daily Mail. Il documento italiano porta infatti la data del 30 aprile, quando la guerra non era ancora finita e il Duce non aveva ancora fondato .e proclamato l'Impero. La burocrazia ha evidentemente camminato

più lentamente delle truppe italiane sulla strada di Addis Abeba, ed ha presentato a Ginevra 1'11 maggio il documento preparato fin dal 30 aprile, senza tener conto di quello che era avvenuto nel frattempo. Particolare ancora più anacronistico -ha aggiunto Vansittart -tale documento retrospettivo sulla guerra italo-etiopica, di contenuto essenzialmente polemico anti-inglese, veniva presentato alla S.d.N. proprio nel giorno in cui la delegazione italiana abbandonava la S.d.N. perchè quest'ultima si rifiutava di considerare la guerra italaetiopica come un fatto superato. Il Foreign Office si è reso perfettamente conto di quanto era avvenuto e alla nostra comunicazione confidenziale fatta il 13 maggio e ripetuta il mattino dopo ad OUphant di considerare la nota italiana a Ginevra come non presentata, ha subito sospeso la pubblicazione del documento preparato. Senonchè, di fatto, la nota italiana è stata ritirata dal Governo italiano soltanto tre giorni dopo, e i sanzi·onisti inglesi hanno cercato di profittare di questo ritardo. «Come voi stesso avete visto, di questo episodio non si parla più. Il Governo Italiano ha agito onestamente f·ermando il documento, ed ha fermato con ciò qualsiasi seria speculazione. È augurabile che nulla accada adesso a riaccendere, da una parte o dall'altra queste inutili polemiche retrospettive».

Ho risposto a Vansittart che su questo punto ero d'accordo con lui. Nessuna polemica retrospettiva doveva far perdere di vista le realtà più importanti e i problemi più generali che stanno di fronte ai Governi italiano e britannico.

Si:;..mo quindi passati, Vansittart ed io, ad un esame dei problemi più importanti e generali.

Ho detto a Vansittart che desideravo rimettergli personalmente i documenti dell'azione provocatoria che la stampa britannica, ad eccezione dei giornali di destra, sta compiendo ogni giorno per spostare la polemica itala-britannica dal terreno delle sanzioni, che per confessione degli stessi sanzionisti sono ormai agonizzanti, al te.rreno più delicato dei rapporti diretti itala-britannici. «La stampa britannica, ho continuato, compreso quella liberale e laburista, è sotto l'Influenza diretta e indiretta del Governo britannico. Non crediate -ho detto -che queste manifestazioni tendenti a rappresentare l'esistenza di una minaccia italiana nel Mediterraneo e nei punti più sensibili della vita dell'Impero britannico preoccupino granchè il Governo fascista. Esse costituiscono, in fondo, altrettante prove non richieste della nostra forza e della nostra vittoria. Sette mesi fa il « pericolo italiano >> sarebbe stato considerato in Inghilterra con incredulità. Oggi esso è diventato una realtà di cui nessun Italiano non può prendere atto senza malcelata soddisfazione. Se l'Inghilterra crede di vedere la mano dell'Italia dappertutto faccia pure. Ma io -ho continuato non posso tuttavia fare a meno, come rappresentante del Governo fascista, di richiamare seriamente l'attenzione vostra sopra i pericoli di questa situazione. Ciò all'unico scopo di indicare sin d'ora le precise responsabilità. Se il Governo britannico ha qualche serio motivo di doglianza nei riguardi di presunta attività italiana nei territori dell'Impero, non ha che a dirlo con lealtà al Governo fascista. Poichè ciò esso non fa, il Governo fascista ha tutto il diritto di considerare le manifestazioni della stampa e dell'opinione pubblica britannica di queste ultime settimane nè più nè meno come una artificiosa propaganda

diretta ad inasprire lo spirito popolare britannico contro ntalia fascista e rendere più difficile quel chiarimento effettivo e sostanziale dei rapporti italabritannici che è nel leale desiderio del Duce di raggiungere e di effettuare al più presto ».

Vansitta~t ha scorso attentamente tutti i ritagli stampa che io gli ho consegnati e mi ha detto che egli si sarebbe occupato subito e personalmente di ciò. Egli ha riconosciuto che queste manifestazioni della stampa britannica sono assolutamente inopportune in quanto che tendono a prolungare una situazione artificiale e anormale che deve essere liquidata al più presto. Vansittart mi ha domandato a questo punto se potevo dirgli quali e~ano le intenzioni del Duce, quali i suoi propositi, e come io av.evo trovato il Duce durante 1a mia recente visita a Roma.

Ho risposto a Vansittart che ho avuto il privilegio e la fortuna di rimanere a lungo col Duce, nella notte storica del 9 maggio, mentr.e la moltitudine accalcata in Piazza Venezia rinnovava senza posa, crescendo di numero 'e di entusiasmo indescrivibile man mano che le ore passavano, il suo tributo di delirante devozione e riconoscenza al suo Capo che ha dato al suo popolo un Impero. In 22 anni -ho continuato -non ho mai veduto il mio Capo così soddisfatto, così sereno, così sicuro, così freddo, così semplice. Per quasi due ore, durante le quali Egli era costretto, Suo malgrado, ogni cinque minuti, a lasciare il Suo tavolo di lavoro perchè richiesto dalla febbre inesauribile del Popolo che Lo voleva al balcone di Palazzo Venezia, Egli ha continuato tranquillamente ad esaminare uno dopo l'altro gli essenziali problemi della politica e della pace dell'Europa dandomi nei più minuti dettagli i suoi ordini e le Sue istruzioni per il mio lavoro a Londra. Voi domandate quali sono le intenzioni e i propositi del Duce. Essi sono indicati chiari e precisi, nei suoi discorsi del 5-9 maggio e nelle dichiarazioni che Egli ha fatto al Daily Mail. Questa intervista -ho continuato -non è un documento destinato ai lettori di un giornale. Essa contiene il pensiero, le intenzioni e i propositi di Mussolini.

Ho a questo punto letto a Vansittart uno dopo l'altro gH estratti dell'intervista. «Si tratta adesso di sapere che cosa pensa il Governo britannico. Si tratta cioè di sapere se il Governo britannico lascerà cadere o intenderà di raccogliere quelle che sono 1e leali intenzioni del Duce per un chiarimento definitivo e permanente dei rapporti itala-britannici. Queste sono le mie istruzioni».

Vansittart mi ha ringraziato per la semplice e diritta franchezza con cui gli parlavo. Egli mi ha detto che io conoscevo troppo bene ormai Ja complicata e intricata posizione del Governo britannico di fronte ai problemi della sua politica interna e della sua politica estera per non rendermi conto che la situazione non poteva risolversi, come egli Vansittart da tempo avrebbe voluto, con quella logica e normale rapidità che è nell'interesse dell'Inghilterra, non meno che dell'Italia e dell'Europa. V.ansittart mi ha ricordato le sue dichiarazioni nei nostri colloqui del dicembre circa i motivi che avevano spinto allora lui e Hoare a ricercare una liquidazione la più rapida possibile della questione abissina. Gli avvenimenti del 7 marzo e ~a conquista totalìtaria dell'Etiopia da parte italiana hanno dimostrato, a distanza appena di pochi mesi, come le sue previsioni erano esatte, come la sua politica era la sola che proteggesse effet

tivamente gli interessi britannici, e come grossolani erano stati gli errori della demagogia parlamentare di Westminster, accecata dal fanatismo societario e anti-fascista. «Quelli che erano i motivi della mia azione politica nel dicembre, a maggior ragione sono i motivi della mta azione politica oggi. I fatti mi hanno dato ragione e il Gabinetto britannico si trova oggi nella necessità di considerare con molta attenzione e riflessione, alla luce dell'esperienza, la realtà della situazione. Vi sono dei punti fermi che ormai bisogna accettar~ come una realtà non più modifica bile, e cioè: 1) l'Italia è padrona dell'Etiopia. C'è un Impero Italiano in Africa. 2) La politica delle sanzioni è fallita. Bisogna revocarla al più presto possibile. 3) l'Inghilterm deve in una forma o nell'altra prendere atto del fatto compiuto e procedere oltre, raddrizzando su basi realistiche la sua politica estera mediante un accordo leale e permanente con l'Italia. Questa è la strada nella quale adagio per amore o per forza si sta mettendo il Governo britannico. È nell'interesse di tutti liquidare al più presto questi sette mesi incresciosi e dimenticarli. Ma voi sapete quanto questo Paese è lento e pesante, e come 1a fatica di rielaborazione di una nuova situazione politica presenti in questo Paese delle difficoltà sconosciute in tutti i Paesi, senza eccezione, del Continente. Il Governo ormai, nonostante le opposizioni e Le divisioni fra i suoi membri, una parte dei quali ancora si fa delle illusioni pericolose, è persuaso che bisogna liquidare la situaztone facendo, come fanno gli uomini di aff<ari intelligenti, un coraggioso bilancio delle perdite e procedetre oltre. Occorre tuttavia della pazienza e del tempo. L'Inghilterra è una democrazia con tutti i difetti e gli svantaggi delle democrazie. È l.a prima volta che la democrazia inglese riceve un colpo così improvviso e così duro come quello che Mussolini ci ha dato. Il nostro corpo politico è come pieno di veleni che occorre eliminare a poco a poco. Occorre ci sia lasciato un po' di tempo, e ci sia facilitato il più possibile questa fatica. Le dichiarazioni del Duce al Daily Mail hanno avuto un .effetto curativo e pedagogico grandissimo. Dite al Duce che ogni qualvolta egli troverà modo di fare arrivare alla opinione pubblica inglese parole come quelle date al Daily Mail, ciò faciliterà eno.rmemente l'azione e l'opera di tutti coloro che in Inghilterra vogliono mggiungere al più presto una liquidazione totale del passato. Essi si rendono conto naturalmente della necessità di finirla -in un modo o nell'altro -colle sanzioni ·e di riconoscere il nuovo stato di fatto che la vittoria italiana ha creato in Ettopia. Durante la sessione di Ginevra dell'll maggio, a 48 ore di distanza dalla proclamazione dell'Impero ciò non era ·evidentemente possibile. Dobbiamo impiegare il tempo davanti a noi per cercare di trovare una via di uscita, la quale permetta all'Inghilterra e all'Italia di riprendere una vicino all'altra, il loro posto di pilastri indispensabili della pace e dell'equilibrio in Europa».

Ho detto a Vansittart che prendevo atto di queste sue dìchiamzioni, ma che l'esperienza mi costringeva, prima di trarre delle concl.usioni, di attendere fino a quale punto questa sua diagnosi della situazione internazionale corrispondeva ad una pratica azione del Governo britannico. «Vi è inoltre un punto, ho continuato, sul quale desidero insistere. L'Italia non domanda nulla nè all'Inghilterra nè ad altri Paesi d'Eurnpa. Per quanto riguarda le sanzioni, queste anzichè un'arma contro di noi sono diventate un'arma in mano nostra

contro gli Stati sanzionisti, e noi non intendiamo fare nulla per domandare o contrattare la revoca di uno stato di fatto che l'opinione pubblica mondiale ha già condannato come immorale e dannoso all'economia mondiale, ma che ha permesso all'Italia fascista di consolidare le sue istituzioni corporative e accelerare le fasi della sua autarchia economica. Ma vi è nelle sanzioni un aspetto politico e militare che l'Italia non può trascurare. Le sanzioni sono state e intendevano essere un atto di gue~ra contro l'Italia, e finchè questo stato di guerra permane l'Italia si sente obbligata a vegliare colle armi al piede, pronta al contrattacco e ana difesa in Europa, in Africa e nel Mediterraneo. Fìno a che questa situazione anormale perdura vi è un effettivo pericolo di guerra in Europa. Sull'irrevocabilità di fatto .e di diritto del1a nostra sovranità assoluta in EtiopLa non è neppure il caso di parlare. Da quanto voi mi dite, del resto, appare che non è nelle intenzioni del Foreign Office di sollevare, nè direttamente nè indirettamente, discussioni su questo punto. Circa la posizione generale dell'Italia in Europa deve essere anche chiaro che l'Italia, dopo che il Duce ha esposto nettamente e pubblicamente le sue intenzioni per un chiarimento definitivo dei rapporti itala-britannici, nulla farà per pl'emere

o per accelerare questo chiarimento. L'Italia tira diritto per la sua strada, nè può aspettare a lungo naturalmente che il processo di rielaborazione della politica britannica maturi attraverso le sue fasi lente, lunghe e difficili. Se l'Inghilterra non mostra segni tangibili della sua volontà di venire incontro all'Italia, l'Italia troverà il suo orientamento naturale nella collaborazione con altri popoli in Europa ».

Vansittart mi ha ·risposto dicendo che egli si rende cantu esattamente del1a situazione e che .egli considera il fattore «tempo » non soltanto dal punto di vista della necessità interna della politica britannica, ma anche dial punto di vista dell'interesse che la politica britannica ha di fare presto onde evitare il cristallizzarsi di situazioni internazionali che sono a tutto svantaggio della futura pace e del futuro equilibrio dell'Europa. «Ritengo che la nostra conversazione di .oggi, appunto per il suo carattere generale e preliminare, abbia

una importanza effettiva. Voi mi avete detto molte cose importanti, ma sopratutto avete messo il Governo britannico di fronte al problema concreto di considerare ufficialmente le dichiarazioni pubbliche fatte dial Duce. Da parte mia

vi ho francamente esposto alcun'i punti generali, che ritengo siano ormai acquisiti nella sostanza come direttrici dell'azione politica del Governo. La nostra conversazione di oggi sarà integralmente riportata da me a Baldwin, a Eden e ai membri più influenti del Gabinetto. Voi da parte vostra riferite al Duce quanto vi ho detto. Nei prossimi giorni riprenderemo i nostru scambi di idee. Occorre che dietro le cortine della politica parlamentar.e e della polemica tra i partiti si stabilisca un serio contatto diplomatico fra Roma e Londra, in modo che esso faciliti e prepari una nuova situazione politica generale».

Ho risposto a Vansittart che avrei riferito integralmente al Duce questa nostra conversazione ( 1).

(l) -Vedi serie ottava, vol. III, D. 684. (2) -Suvich rispose con T. 2406/86 R. del 27 maggio, ore l: «Concordo opportunità S. V. solleciti dal Cancelliere Schuschnigg informazioni circa recenti colloqui con !l signor von Papen ». (3) -Manca l'indicazione del numero d! protocollo e della data d'arrivo. (4) -Con T. 4909/747 R. delle ore 20,10, non pubblicato. (l) -L'Il maggio, il governo italiano aveva presentato al segretariato della S.d.N. una nota, datata 30 aprile, in cui si denunciava l'uso di proiettili esplosivi da parte di reparti etiopici e si accusava una ditta britannica di avere fornito quel tipo di munizioni al governodi Addis Abeba. Il 18 maggio, in una lunga dichiarazione ai Comuni Eden aveva rivelato che quelle accuse si basavano su false notizie fornite all'addetto militare italiano da un avventuriero, tale colonnello Lopez, contro i cui maneggi il Foreign Office aveva già messo in guardia l'ambasciata d'Italia. Dopo di ciò, alcuni deputati avevano presentato delle interrogazioni per chiedere l'allontanamento dell'addetto militare italiano. (2) -Vedi B. MussoLINI, Opera ornnta, vol. XXVII, pp. 262-263. (l) -Vedi B. MUSSOLINI, Opera omnia, vol. XXVIII, pp. 265-266. (2) -Ibid., pp. 268-269.

(l) Il presente documento reca il visto di Musso!in!.

92

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 22 maggio 1936.

È venuto da me Stein, di ritorno da Ginevra, ove ha visto Litvinov. Mi ha assicurato che l'ultima volta il Consiglio propendeva a riconfermare la condanna dell'Italia. L'intervento di Litvinov ha fatto sospendere ogni decisione. Mi riconferma che ancora oggi tutta Ginevra è fortemente avversa e irrigidita dalla proclamazione dell'Impero. Moltissimo giuoca anche l'esasperata paura dei piccoli Stati.

Venendo al sodo, Stein assicuna che Litvinov potrebbe farsi iniziatore di qualche manovra in nostro favore, qualora fosse da noi rassicurato su tre punti: l) atteggiamento dell'Italia verso la S.d.N.; 2) idem verso l'AustrLa; 3) idem verso il problema della sicurezza collettiva.

Questa impostazione del discorso di Stein somiglia talmente a quella dell'ultimo colloquio che ebbi con Litvinov a Ginevra -e su cui riferii particolareggiatamente a V. E. (l) -che non ho dubbi che si tratti di un unico passo concertato fra i due. È Litvinov che tiene a conservar.e l'ltlalia ral fronte antitedesco e che comprende la improrogabilità di una decisa iniziativa in nostro favore. Questo, del resto, è confermato dalle notizie che ci pervengono da varie RR. rappresentanze.

A Ginevra risposi a Litvinov tenendomi sulle generali e con grande riserbo per non pregiudicare la libertà di azione della nostra politica in un momento internazionalmente delicato.

Alle nuove insistenze di Stein ho risposto anche oggi. vagamente come ta Ginevra, mostrando indifferenza.

Poichè ho l'impressione che Stein ritornerà alla carica, mi onoro chiedere a V. E. se nei prossimi eventuali colloqui io debba oppur non, abbandonare l'atteggiamento di riserbo tenuto finora (2).

93

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 5810/600. Budapest, 22 maggio 1936 (per. il 27).

Mio telecorriere n. 016 del 17 corrente (3).

Onoromi qui di seguito riassumere a V. E. un'altra e più completa conversazione confidenziale avuta con questo ministro d'Austria, che, da quando Starhemberg ha lasciato il Vice-Cancellierato, mostra particolare premura -non so fino a che punto disinteressata -a intrattenere questa R. Legazione sul1e vicende interne del suo Paese, e con lo stile di chi non ha rinunziato ad avere una parte in esse più che di 11appresentante di,plomatico.

Il barone Neustadter p11emette che visite ricevute negli ultimi giorni gli permettono di completare il quadro della situazione interna austriaca, che egli teme « possa <esser stata dipinta a colori troppo rosei da Starhemberg al Duce~.

La pericolosa posizione in cui è venuto a trovarsi il movimento delle Heimwehren è stata determinata soprattutto -egli pensa -dall'errore commesso da Starhemberg consentendo che alcuni dei suoi (in realtà due soltanto, Baar e D11axler, il primo debole e carrierista, il secondo « uomo d'affari ~) rimanessero al gove,rno mentre egli, il capo, ne veniva sbarcato. Questa soluzione «a metà~ è tipica di Starhemberl.!. ottimo trascinatore dì uomini ma uomo al Stato inesperto. Conseguenza dovrebbe esserne, nell'intenzione de:i cristianosociali, e lo sarà in realtà ave non vi sia posto subito rimedio, il progressivo disfacimento del movimento heimwehrista.

Occorrerebbe una resistenza ostinata, 'intransi:g,ente e disinteressata da parte dei singoli heimwehristi che finora occupano in Austria all'incirca un terzo dei posti di comando; occorrerebbe, in ogni caso, un'accentuata presstone del movimento, tale da dimostrare a Schuschnigg che ,egli non può governare senza 1'appogg1o delle Heimwehren.

Alla domanda se una tale p11essione non minaccerebbe le sorti dell'indipendenza austriaca facendo il gioco dei suoi avverSJari, il barone Neustadter risponde che, tra un pericolo per l'indipendenza dell'Austria e la certezza della sua fine, non si può esitare nella scelta. È infatti sua impressione che, privata della effettiva coUabomzione del movimento heimwehrista, la base politica di Schuschnigg sia troppo debole per governare; e che, rendendosi conto di ciò, Schuschnigg sarà fatalmente indotto ad allargarla versCJ sinistra, avvtandosi sempr,e più, cioè, verso sistemi democratici e fac,endo maggior posto nelle organizzazioni cristiano-sociali e nel Fronte Patriottico agli ex socialisti già troppo numerosi. A Schuschnigg non resterebbe in verità altra alternativa: chè se pensasse di accogliere invece nel Gabinetto personalità « nazionali ~ sbiadite del tipo di Glaise-Horstenau il problema non sarebbe risolto, in qoonto costoro non hanno séguito alcuno; se ricorresse a filonazisti o nazisti, sarebbe liquidato. Il barone Neustadter non criterrebbe infine nè utile nè possibile per Schuschnigg una partecipazione attiva al Governo da parte del legittimismo ufficiale e militante: poichè questo non avrebbe alcun interesse di assumersene l'onere e d'altra parte non potrebbe esercitare influenza sulle masse che nel caso di una restaurazione di Ottone, la quale è da escludersi.

Risulterebbe inoltre al barone Neustadter che cristiano-sociali di sinistra, vicini a Kunschak, vadano diffondendo la voce che «essendo fatale un conflitto itala-britannico, l'Italia, nella necessità di accordarsi con la Germania, finirà con l'abbandonare l'Austria al suo destino: conviene perciò assolutamente all'Austria appoggiarsi piuttosto alla Francia .ed alla Picc·ola Intesa, la quale ultima -appoggiata a sua volta dalla Russia -costituisc,e ormai il solo bastione sicuro contro l'Anschluss ». Inter-essante è pure che in Germania la crisi austriaca, considerata dapprima con soddisfazione, susciti apprensioni ora che si comincia a riconoscerne anche colà «1a vera portata .e le probabili conseguenze ». Neustadter aggiunge che notizi-e di fonte 'attendibile dalla Germania riferiscono circolare attualmente negli ambienti nazionalsocialisti la parola d'ordine: «l'occupazione dell'Austria avverrà al momento opportuno, che sarà indiv;iduato dal Fiihrer. Hit1er •aveva in •origine previsto soltanto per il 1937 l'occupazione della Renania: favorevoli contingenze internazionali gli hanno invece permesso di anticiparla». La legione austriaca sarebbe effettivamente disciolta, ma ,i suoi componenti rapidamente mobilitabili.

Circa 1a questione del disarmo delle Heimwehren, il barone Neustadter dice non nutrire apprensioni. Si sta appunto provvedendo a che 1e ·armi, finora in consegna alle autorità statali, siano poste «in luogo sicuro ». Il conte Revertera, heimwehrista direttore del1a sicurezza dell'Alta Austria, ha per esempio disposto l'altro giorno un'esercitazione per la quale le armi sono state ritimte dai depositi della gendarmeria: alla fine dell'eserc1tazione 1e armi erano scomparse...

Quanto 1alla immi:sstone del1e Heimwehren nella Milizia, il barone Neustadter afferma infine ritenere che lo stesso Schuschnigg ignori ancora quando gli sarà possibile dare esecuzione pratica alle decisioni annunziate (1).

(l) -Vedi D. 14. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. Non è stato rintracciato alcun documento contenente le istruzioni richieste cla Aloisi. Si veda peraltro il colloquio Suvich-Stein di cui al D. 116. (3) -T. per corriere 4867/016 R.: riferiva circa un colloquio con il barone Neustadter-Stlirmer nel corso del quale il ministro d'Austria si era mostrato molto preoccupato per la situazione interna del suo Paese.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 22 maggio 1936.

Accluso alla presente è il resoconto del mi·o colloquio avuto ieri sera con Vansittart (2). È troppo presto per dire se questo colloquio potrà essere veramente il punto di partenza per contatti diplomatici fra Londra e Roma, suscettibili di concreti sviluppi. Ciò dipende da molti fattori, ma speci•almente da due: l) fino a quale punto di profondità e di estensione Tu giudicherai opportuno ·e tempestivo portare questi contatti in questo momento; 2) fino a quale punto il Gabinetto seguirà le idee del Foreign Office .e di Vansittart, che ho trovato ~eri per la prima volta dopo la tempesta del dicembre scorso nuovamente f·orte, sicuro di sè ·e deciso •a giocare la sua rivincita contro Eden ed i suoi.

Dodici giorni esatti sono trascorsi dalla notte storica del 9 maggio, dopo avere annunciato al mondo la Vittoria dell'Itali1a, 1a fine della guerm, Tu hai, Duce, proclamato davanti agli Italiani ed al mondo la Fondazione dell'Impero F1ascista. Ti ringrazio per 'av.ermi cons·entito di essere a Roma la notte del 9 maggio, e Ti ringrazio anc·or più per avermi concesso di rimanere lungo tempo vicino a Te, durante quella notte nella Sala del mappamondo. Nessuna ricom

J)€nsa e nessun premio poteva es,sere più gradito 'al mio cuore di Camicia Ner:a che il Tuo elogio, rivoltomi in quel grande momento per il lavoro fatto in questa trinoea Jondinese.

Riprendendo lunedì 11 mattina, il mio posto, ho trov~ato esattamente quello che nelle settimane prima non mi era stato difficile di prevedere. L'Inghilterra ha incassato il colpo durissimo che Tu Ie hai inferto, rimanendo come tramortita, e senza capacità di immediata reazione. Ne sono rimasti tramortiti un po' tutti, amici e nemici, sebbene dopo il Discorso dell'Adunata, il 5 maggio, gli uni e gli altri attendessero ormai come conseguenza inevitabile e fatale una soluzione totalitaria e radicale della questione etiopica, e cioè la fondazione e la proclamazione dell'Impero.

Durante questi 12 giorni io ho sorvegliato e seguito, ora per or:a, tutti gli elementi apprezzabili della nuova situazione determinatasi dal 9 maggio, dando alla mia azione dì fronte agli avversari e in mezzo agli amici tutto un altro tono, un altro indirizzo e un altro carattere. Il 5 di magg10 significa La fine di un ciclo storico, il 9 di maggio l'inizio di un altro ciclo storico. Le Istruzioni da Te impartitemi la notte del 9 maggio sono il punto di partenza per un nuovo per1odo di azione delicata e complessa, la quale dovrà portare al raggiungimento dei nuovi obiettivi strategici che Tu hai indicati nel Discorso della Vittoria del 5 maggio (1), nel Discorso dell'Impero del 9 maggio (2), e nella storica intervista al Daily Mail (3).

Dopo qualche giorno di perplessità, i nostri amici anti-sanzionisti hanno ripreso la loro attività e la loro azione. Le sedute alla Camera dei Lord del 12 e 14 maggio sono state un fatto di notevole 'importanza sotto questo riguardo. Nelle giornate di lunedì 11, di martedì 12 e di mercoledì 13 io ho conferito a lungo, uno dopo l'altro, con tutti questi nostri amici deUa Camera dei Lords dimostrando loro l'opportunità di vincere qualsiasi stato d'animo, in vista della necessità di procedere oltre il fatto non soltanto compiuto ma irrevocabile della fondazione e procLamazione dell'Impe,ro Fascista. Ancora questa volta chi ha risposto immediatamente all'appello sono stati Lord Mottàstone e Lord Lloyd. (Ti allego una lettera di Lord Lloyd abbastanza interessante) (4). Il loro intervento è stato decisivo. Ma ancora più importante, agli effetti politici è stato l'intervento e il suo attacco aperto eontro Eden, di Lord Stonehaven, che fino a ieri ha coperto 1a carica di Presidente del Consiglio Direttivo del Partito conservatore e la cui autorità nel Partito è soltanto inferiore a quella del Capo ufficiale Baldwin; nonchè l'intervent;o di Lord Ponsonby, laburista antisanzionista sin dal novembre, ma sopratutto di Lord Sanderson, laburista ufficiale, il quale ha dichiarato nel suo discorso di staccarsi definitivamente dalla linea politica sanzionista adottata dai laburisti, facendo seguire a questo suo discorso le sue dimissioni da membro direttivo del Partito laburista. Churchill, Chamber}ain, Amery e Page Croft, per parlare dei ,ìeaders più importanti alla Camera dei Comuni, hanno da parte loro riconfermato pubbLicamente nel corso di quest'ultima settimana le loro precedent'i dichiarazioni

12 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

antisanzioniste. I nostri amici dell'« Imperia! Policy Group » con Lord Mansfrield per la Camera dei Lords e Wise per la Camera dei Comuni, dopo un periodo di perlessità che non ha durato oltre 48 ore, hanno ripreso la loro propaganda e ad essi si sono ufficialmente affiancati proprio in quest'ultima settimana il gruppo dei laburisti nazionali con MacDonald alla testa. In modo che il movimento antisanzionista va oggi da gruppi di estrema destra a gruppi di estrema sinistra, ed ha elementi e propagg,ini in ogni singolo cerchio e piano della vita politica brittannica. Come Tu vedi dalle mie segnalazioni quotidiane, esso sta acquistando ogni giorno qualche importante recluta nuova.

Da parte sua, l'antifascismo sanzionista ha ripreso in questi ultimi giorni, e specialmente dopo il ritorno di Eden da Ginevra, la sua torbida attività, spostando interamente il suo terreno di attacco, cercando cioè, di fare leva non più sul fanatismo societario che è stato in questi giorni pressochè abbandonato, bensì sul diffuso senso di umiLiazione brittannica per la disfatta subita e sul non meno diffuso senso di pericolo che oggi effett1vamente esiste nel popolo inglese di fronte alla violenta ed improvvisa «realizzazione » (come qui si dice) della potenza mtlitare e coloniale italiana. Le quotidiane notizie false che pervengono da Parigi, gli allarmi della stampa francese secondo cui Turchia, Jugoslavia e Grecia esigerebbero dall'Inghilterra e dalla Francta una politica di forza contro l'Italia, le vere o supposte dichiarazioni sanzioniste di Blum, l'inqualificabile articolo anti-italiano di Herriot, e sopratutto la gelosia e il malumore dei colonialisti francesi e del Qua:i d'Orsay, (i quali dimostrano ancora una volta che la definizione di Machiavelli «essere li Francesi per la loro avara natura più taccagni che prudenti» è ve,ra), hanno senza dubbio incoraggiato l'antifascismo s,anzi:onista inglese in quella che esso chi:ama la lotta ad oltranza e la necessità di una politica di rivincita contro il Fascismo e contro l'Italia. È fuori dubbio che in questo momento gli incitamenti che venivano da Parigi all'Inghilterra, perchè esca dal suo stato di cieca e abulica ostinazione e si intenda finalmente coll'Italia, si sono di molto affievoliti. Giungono da Parigi a Londra altre due voci: 1a voce dell'antifascismo francese che aizza i laburisti a continuare nella loro lotta contro l'Italia, e la voce del colonialismo francese che aizza i conservatovi a premunirs1 contro le successive tappe che l'espansione italiana fatalmente avrà nel Mediterraneo. Gli articoli di Pertinax, della Tabouis, nell'Excelsior, ecc. sono riportati a grandi titoli ogni giorno, e questa opera di eccitamento, con cui questi francesi denunciano agli inglesi i pericoli che la conquista dell'Etiopia rappresenta per gli interessi brittannici, fa più presa di quanto si potrebbe rimmagina,re. Si può dire che non passa giorno in cui nel1a stampa antifascista brittannica e nelle manifestazioni pubbliche dei partiti e dei gruppi liberali e laburisti, mentre si esclude unanimemente la possibilità di complicazioni di guerra immediata fra l'Italia e l'Inghilterra, non si cerchi di aizzare l'opinione pubblica tnglese per dimostrrare l'inevitabilità di un conflitto italo-brittannico nel futuro, di abituare il popolo inglese all'idea che fra l'Italia e l'Inghilterra la partita non è chiusa, che tra ì'Italia e l'Inghilterra vi è una situazione storica ormai ~rveparabile, sopratutto dovuta all'odio profondo che il popolo italiano nutrivebbe ormai per il popolo inglese e che la Vittoria italiana avrebbe alimentato anzichè soddisfare. Ogni episodio seconda11io, ogni notizia f:alsa è sfruttata a questo scopo. Ni:ente più inV1ocazioni :agli ~deali del pacifismo internazionalista, ma una campagna diretta a denunciare li pericoli che .l'Italia costituisce nrmai per l'Impero Britannico. Liberali e laburisti hanno adottato H linguaggio dell'estrema destra inglese e rievocano le ombre di Beaconsfield e di Salisbury; denuncia di torbidi sobillazioni italiane in Egitto, in Palestina e a Malta; piani itaìiani di guerra nel Mediterraneo; invasione del Sudan; arruolamento e addestramento di un grande esercito nero; ·ecco quello che i liberali e i Laburisti gettano ogni giorno sul mercato poHtic'O per sfruttare, come dicevo, il sentimento di umiliazione e di pericolo che effettivamente esiste oggi in Iinghilterra di konte all'Italia, e prepél!rave la psicologia popolare brittannica all'idea che colla conquista dell'Ettop~a l'Italta deve essere considemta ormai per gli anni futuri il pubblico nemico n. l. Questo è visib:iLe 'amche nelLe posizioni che il laburismo ha ormai preso di fronte alla Germania e di frolllte all'Italta. La lotta cnntro il Nazismo è passaba in seconda ~inea di fronte alla lotta contro il Fascismo. I laburisti dichiarano che Hitler è un pericolo meno grave di Mussolini. Mussolini ha dimostrato superumane qualità di Rivoluzionario, di Statista e di Condottiero. Dal giorno della caduta di Napoleone l'Inghilterra non si è mai trovata di fronte ad un potenziale nemico così formidabile. Inoltre -dicono gli antifascisti -l'Inghilterra non ha nulla da temere dalla Germania, ma tutto da temere dall'Italia. Il Reno è una linea di sicurezza che per gli inglesi ha un interesse vitale, ma sulla quale non bisogna dimenticare vegHa l'esercito francese; mentre nel Meditenaneo l'Inghilterra è sola, ·e il Mediterraneo è la spina dorsale dell'Impero.

Questo è il punto di incontro, ·o meglio, la cerniera, che lega l'azione di propaganda dell'antif,ascismo sanzionista coll'azione diplomatica di Eden, e l'attività politica di quei gruppi di conservatori di sinistm che sono conosciuti ormai sotto il nome di «Giovani turchi » o seguaci di Eden. La frase di Garvin « ormai dopo la proclamazione e la fondazione dell'Impero non vi è altra possibilità per l'Inghilterra e per l'Italia se non quella di essere o apertamente nemiche o lealmente amiche » è diventata in questi giorni lo «slogan » adottato sia dall'antifascismo sanzionista come dagli antisanzionisti amici dell'Italia, per definire in un modo epigrammatico la situazione.

Non vi è dubbio che la procLamazione e fondazione dell'Impero Fascista ha agito come un reagente chimico improvviso sulla caotica situazione politica brittannica. Da 12 g·iorni a questa parte i partiti, i g.ruppi ·e le opinioni si sta;nno gradatamente polarizzando in due correnbi distinte. Queste si chiamano ancma « sanzionista » ·e «.antisanzionista ». Ma questa nomenclatura non va presa in senso letterale perchè tutti, anche i più acc.esi fanatici del sanzionismo, considerano le sanzioni come praticamente seppelLite e escludono a gran voce la possibilità di qualsiasi complic,azione immediata di guerm derivante dal fatto compiuto della conquista italiana dell'Etiopia. Il contrasto fra le due correnti non si riferisce più al fatto materiale delle sanzioni, bensì all'orientamento futuro della politica estera britannica.

Gli uni (antisanzionisti) sono convinti del fatto che la Germania è il potenziale nemico, e della necessità di una revisione sostanziale della politica estera brittannica che porti ad un accordo leale e permanente coll'Italia 1n Europa, nel Mediterraneo e in Africa. Essi sono coloro che sin dal primo momento hanno proclamato la necessità di dave mano libera all'ItaUa in Etiopia, di dare all'Italia la necessaria soddisfazione alle sue vitali e improrogabili esigenze di espansione coloniale e di vita, di porr·e il problema del Meditea.-raneo come un problema di interesse solidale dell'Inghilterra e dell'Italia. Ieri questi erano una minoranza. Oggi rappresentano ormai una gor.ossa frazione dell'opinione pubblica e del Parlamento, e la loro forza politica aumenta tutti i giorni, anche perchè essi possono tutti i giorni documentare l'esattezza dei loro giudizi e delle loro previsioni avendo essi sempre creduto ad una vittoria italiana in Africa mpida e decisiva.

I secondi (sanzionisti) ritengono che ormai una partita storica è ingaggiata fra l'Inghilterra e l'Italia e, mentre da una parte cercano di persuadere di ciò lo spirito popolare, dall'altra orientano la loro <a:i!ione diplomatica alla realizzazione del piano di riavvicinamento diretto colla Germania e di un'intesa permanente anglo-franco-tedesca più o meno maschevata in una delle solite formule di patto regionale soci:etario. Raggiunta la sicurezza sul Reno, magari a prezzo di qualche rinuncia coloniale ana Germania, e dopo avere immobilizzato la Francia con una intesa permanente anglo-fmncese, costoro pensano che l'Inghilterra potrà, libera da pr·eoccupazionli al nord, affrontare direttamente la minaccia italiana nel Mediterraneo. Questo è il vecchio piano di Eden e dei suoi. Eden è uscito clamorosamente battuto nella sua lotta contro l'Italia. Da un piedestallo di popolarità artificiosa e fittizia, che aveva ad un certo momento fatto di lui il candidato più sicuro alla, successione di Baldwin, egli è caduto oggi molto in basso nella estimazione popolare, e il Partito conservatore nella sua grande maggioranza è ormai apertamente contro di lui e contro la sua politica demagogica e assurda.

Il successo di Eden fu soltanto dovuto all'improvviso manifestarsi di un conflitto itala-britannico. Ove ques·to conflitto cessasse per dar luogo a una intesa permanente fra i due Paesi, la disfatta di Eden sarebbe irrimediabile ed il suo destino politico segnato pe;r sempre. Sollevato alla fine di dicembre dalla demagogia parlamenta_re di Westminster al posto immeritato di Segretario di Stato, egli avrebbe potuto -e per un momento egli ha mostrato La volontà di farlo -disincagliarsi da una posizione fittizra e pericolosa e continuare nella linea politica fissata da Hoare. Ma Eden è un politicante mediocre, fegatoso, privo delle tre qualità indispensabili pe:r qualsiasi uomo politico, ·e cioè prudenza, intelligenza e covaggio. Eden ha bisogno, per continuare ad ave,re qualche influenza nella vita pubblica inglese, d1 mantenersi a galla sulla cresta delle onde di una tempesta, e cioè del prolungarsi, fino allo stato cronico, degli attuali rapporti itala-inglesi. Questo e nient'altro spiega la cura che egli pone sistematicamente nel non tralasciare nulla che possa, nei fatti e nelle parole, irritare la piaga aperta delle relazioni itala-inglesi, e fare di tutto per gettare olio sul fuoco. Dovremo attenderci ancora da questo meschino politicante, il quale ha creduto di g:iocare ad un certo momento contro il Duce il ,ruolo che il giovane Pitt ha giocato contro Napoleone, delle ulteriori manifestazioni del genere di quelle che conosciamo. Egli va oggi dicendo in giro

che la vittoria dell'Italia in EtiopÌ!a non è altro che un episodio come Jo fu la Pace di Amiens. La lotta sarà ripresa e condotta a fonùo contro il Fascismo italiano quando l'Inghilterra, attuato il suo programma gigantesco di armamenti sul mare e nell'ari:a potrà, senza più i limiti impostile dai freni dell'azione collettiva ginevrina, affrontare direttamente l'ItaHa.

Il gioco di Eden e dei suoi seguaci in questo momento è favorito da un altro patente anacronismo della vita brittannica, e cioè il permfllnere al Governo di un uomo ormai sfatto come Baldwin. Il programma accarezzato dal decrepito Baldwin ,e,ra quello di consegnar'e a Eden il suo ufficLo di primo Ministro e la « leadership » futura del Partito conservatore. Egli odia di un odio catilinaria i tre uomini che avevano la maggiore probabUdtà di succedergli e che sono più o meno della sua stessa generazione: Simon, Ho'f!lre e NeV'ille Chamberlain. La maggior parte degli errori politici compiuti da Baldwin durante quest'anno non hanno se non questa spiegazione bassa e meschina, liberarsi dai suoi competitori. Nel giugno scorso ha liquidato Simon. Nel dicembre Hoare. Non gli rimaneva ormai di liquidare che il terzo, Naville Chamberlain, per lasciare a Eden, a suo tempo, il potere. Tutto ciò è ormai un calcolo del passato, Tu, Duce, hai abbattuto Baldwin, ed hai colla Tua schiacciante Vittoria in Africa, nel Mediterraneo, in Europa aperto il varso in Inghilterra ad una crisi di politica interna di cui nessuno può ancora prevedere la profondità e l'estensione.

Il gioco torbido di Eden, nel campo internazJiona1e e ~nterrno, non riuscirà. Un'intesa anglo-francese-tedesca cull'obiettivo di isolare l'Italia politicamente e militarmente non solo dall'Inghiltetr,ra, ma da tutte contemporaneamente 1e altr'e Grandi Potenze europere, è un piano semplicemente grottesco che non è riuscito quando l'Italia fascista era impegna,ta a fondo in una 1otta contro 51 Nazioni, e tanto meno può riuscire oggi con un'Italia Imperirale, vittoriosa, colla sua potenza militare decuplicata negli spiriti e nei mezzi, forrtezza g,igantesca piantata nel cuore dell'Europa, del Mediterraneo e dell'Africa, centro magnetico d',attrazione per tutte le Grandi e Piccole Potenze d'Eu11opa, e, in primo luogo, per 1a Francia e per la Germanta. Tale piano presuppone i:noltre la contemporanea soluzione di problemi finora insolubili, e cioè il raggiungimento di un'intesa effettiva franco-tedesca, ed il raggiungimento di una intesa effettiva anglo-francese che lasci per di più impregiudicati i rapporti attuali tra la Francia e la Russia, tra la FranC'La e g~i Stati della Piccola Intesa. Tuttociò è semplicemente assurdo.

Nel campo della politica interna, giorno per giorno, vi è inolt11e una lenta, graduale, progressiva resipiscenza e confessione di errori da parte dei leaders della politica britannica. L'istinto delle masse popolari, il quale ha « fermato » nell'ultima deClade di ottobre l'azione politic'a di Baldwin e di Eden che portava direttamente il paese alla «guerra societaria » contro l'Italia, sta adagio, lentamente, ma progressivamente ogni giorno costringendo i dirrigenti della politica britannica ad una revisione della 1oro politica estem. !Ja maggioranza degli inglesi, dopo di avere accettato quasi con un senso di sollievo il fatto compiuto ed irrevocabile dell'Impero Italiano in Etiopia (fatto compiuto che pur essendo unanimemente sentito come una minaccia e c'ome un perricolo futuro, allontana tuttavia la minaccia ed n pericolo attuale di una guerra

che il popolo inglese non vuole), non tappare disposto a seguire il torbido p,rogetto di fare dell'Italia una nemica a tutti i costi per l'Impero Britt&nnico. Esaminando, fuori degli episodi e delle manifestazioni particolari che vi sono state e che indubbiamente ancora vi saranno, il diagramma complessivo del1a situazione politica inglese in questi 12 giorni, successivi alla Fondazione dell'Impero Fascista, si avverte una lenta, graduale «decongestione», un senso di stanchezza .ed anche di irritazione contro i postumi blateramenti ctel sanzionismo, la convinzione che solo su un sostanziale riavvieinamento itala-britannico può fondarsi la garanzia vera di pace per l'Inghilte,wa e ·per l'Europa.

Quando, come, e attraverso quali « fasi » il Governo Britannico si deciderà a tradurre in realtà questa esigenza popolare, di giorno in giorno più sicura, è ancora difficile dire. Non vi è dubbio che il discor&o della Vittoria del 5 maggio, il Discorso dell'Impero del 9 maggio e l'intervista che Tu hai dato al Daily Mail sono stati avvenimenti i quali hanno influito in modo decisivo al superamento della crisi interna brittannica nei nostri riguardi, ed hanno aperto definitivamente il varco al1a situazione nuova. Io non esagero, Duce, dicendoTi che Ie Tue parole di volontà, di forza, di volontà di pace, e di leale desiderio di intesa colla Nazione Britannica hanno qui avuto un effetto magnetico, ed invano Eden ed i suoi hanno tentato in questi giorni di troncare questo incanto profondo. Esse hanno «fissato» ht situazione:

l) -L'Italia veglia colle rarmi al piede pronta a reagire duramente contro chiunque tentasse di attentare ai frutti della sua vittoria. Così veglierà sino a che la sua vittoria non sarà riconosciuta in fatto ed i.n diritto, e fino a quel giorno vi sarà pericolo di guerm in Europa.

2) -L'Italia è pronta ad un chiarimento sostanziale dei suoi [1apporti con l'Inghilterra, e ad attuare su basi r~ea.listiche e nuove, un programma comune di cooperazione e di pace.

Nessuna diplomazia, Duce (di diplom·azia che valga questo nome non ve n'è che una: quella che Tu hai fatto e che Tu fai) potrà mai raggiungere in un anno quell'effetto magico che poche Tue parole possono raggiungere in un giorno. Questo popolo è lento, pesante, into.rpidito, La questione abissina è diventata ormai per l'Inghilte,rra come il male della pietra. Solo una lenta opera di corrosione può sciog.liere i calcoli che oggi strozzano la libera circolazione dell'organismo della politica este.ra ed interna britannica. Oggi la sconfitta è ancora troppo vicina. L'umiliazione subita troppo fresca, il rancore troppo radicato.

Ma questo popolo il cui organismo è stato ormai profondamente intaccato

dal veleno pacifista, dopo avere realizzato la minaccia e la potenza dell'Italia,

ctomanda di essere drogato e cloroformizzato per godersi l'illusione di vivere in

un mondo assolutamente tranquillo e pacifico, e chiudere gli occhi e bearsi

di una sicurezza fittizia.

Non vi è che il fascino delle Tue parole della Tua persona e della Tua

opera che può riguadagnare l'Inghilterra e farle trangugiare ancora tutto quello

che Tu vorrai (l).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 91. (l) -Vedi p. 97 nota l. (2) -Vedi p. 97, nota 2. (3) -Vedi p. 96, nota 2. (4) -Non pubblicata.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

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IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. RR. Vienna, 22 maggio 1936.

Rientrato stamane, ho veduto subito Schuschnigg. Della -esauriente conversazione, nella quale mi sono attenuto alle istruzLoni avute nella udienza del 15 corr. a Palazzo Venezia (l) e nei colloqui con te, riferirò con il co.rrLere di lunedì la parte retrospettiva sulla crisi recente e quella sui propositi suoi per il prossimo avvenire.

Per questa via ti rendo conto invece del desiderio manifestatomi da Schuschnigg di avere al più presto un incontro con S. E. il Duce. Egli sente il bisogno non solo di rinnovare anche a voce l'espressione della sua gratitudine per 1a così mpida e benevola compr-ensione della nuova situazione e per la nuova prova di fiducia accordatagli, ma anche e sopra tutto di un diretto scambio di idee con il Oapo sul seguito da dare ad una .rinnovata iniziatiVla di von P:apen per una normalizz.azione dei rapporti tra l'Austria e la Germania.

La cosa si svolse e concretò come segue.

Avendo io chies-to quale fondamento av.ess•ero voci corse a Roma e qui che von Papen sarebbe stato ricevuto da lui due volte, in conversazioni di varie ore, nel corso della rapida crisi ministeriale, Schuschnigg smentì, comunicandomi che von Papen, il quale aveva chiesto di vedere Berger proprio nei giorni della crisi, fu ricevuto da lui, Schuschnigg, una volta sola due giorni dopo resa pubblica la cumposizione del nuovo Gab1netto.

Von Papen gli comunicò che « per espresso incarico del Fiihrer » veniva a chiedere se e a quali condizioni sarebbe stato possibile un modus vivendi con l'Austria; Schuschnigg rispose che, veramente, in relazione a non più tanto recenti conversazioni in argomento, era il Governo aus.triaco ad attendere ancora sempre quelle precisazioni tante volte poste in vista da von Papen. Comunque, e premesse le garanzie assolute dell'indipendenza e all'integrità dell'Au:;tria, Schuschnigg riteneva di dover porre ad ogni concreta trattativa queste tre condizioni pregiudiziali:

l) un accordo con il Partito nazional-socialista come tale era impossibiie;

2) una qualunque forma di riconoscimento o tolleranza del partito nazional-socialista in Austria era esclusa dalle stesse norme fondamentali del Regime austriaco che aveva soppresso ogni partito politico;

3) ogni « Anschlusspolitik » e ogni propaganda, aperta o larvata, per l'Anschluss non sarebbe stata tollerata nè prima nè dopo l'eventuale accordo.

Von Papen prese «ad referendum» tali condizioni, e accennò come a punti dell'eventuale accordo: a) ad una amnistia politica per i cittadini .austriaci puniti o compromessi nell'agitazione nazista (anche se emigrati); b) al togli

mento del divieto di circolazione per i giornali germamc1; c) ad un'ammis

sione dei così detti nazionali nel Fronte Patriottico.

Schuschnigg osservò, tenendosi sulle generali, che con 'alcune limitaziollli e cautele i due primi punti potevano formar oggetto di accordo, mentre per il ten~o si richiamava alle dichiaraz~oni pubbliche da lui fatte per un alla-rgamento della base del Fronte Patriottico anche verso i nazionali, purché si trattasse non di nazisti veri e propri, ma di elementi che potevano lealmente accettare i principi programmatici del Fronte Patriottico.

Schuschnigg mi disse che desiderava incontrarsi col Duce quanto prima appunto per esaminare 'a fondo la opportunità di massima, le modalità e la tempestività di tale modus vivendi con la Germania anche in relazione ai piani politici g,enerali del Capo nel prossimo avvenire immediato. Il Ga:ncemere mi disse di non aver fatto mistero, con von Papen, del suo proposito di informare di tuttociò Roma e di procedere d'accordo con Roma.

Schuschnigg, che deve essere a Graz il 1° giugno, sarebbe volentieri sceso la sera stessa in Italia. Dovrebbe essere di ritorno a Vienna il 6 giugno. Lasciava al Duce la scelta del luogo e del giorno (possibilmente entro la settimana 1-6 giugno) per il convegno. Egli sa;rebbe venuto, naturalmente, molto volentieri a Roma, ma se al Duce, che forse si sarebbe spostato per la Pentecoste, dovesse essere più comodo od apparire più opportuna altra località, egli si metteva a Sua disposizio,ne, g'rato se poteva essere accettata una delle giornate da lui indicate.

Schuschnigg, sentendosi stanco anche per un'insistente tosse che lo tormenta da tempo, vorrebbe trascorrere al mare le giornate libere. Accennò alla rivLem francese, ,anche perchè ero mortificato di dover sempre 1accettare la così generosa ospitalità del Governo Italiano senza aver la possibilità di ricambiarla. Osservai che forse pe,r non sminuire l'effetto delnncontro con n Duce sarebbe stato opportuno (e del resto anche pmtico, data la ris,trettezza del tempo che aveva disponibile) trascorrere in Italia, che ha tanto mare, anche le giornate di riposo dopo o prima dell'incontro. Al che Schuschn:igg acconsentì ben volentieri, chiedendo di essere trattato come un privato, se mai solo gradito.

Il Oancemere mi pregò di far conoscere a Roma, in via confidenziale, questo suo desiderio deM'incontvo con S. E. il Capo. Qualora S. E. il Capo accettasse in massima, si sarebbero poi per via dipiomatica fissate le modalità. Egli rispondeva con tale iniziativa non solo a quanto previsto dai recenti Protocolli Aggiunti di Roma (l) ma anche al suo personale vivo desiderio di tenersi r.el più stretto contatto col Duce.

Ho assicurato Schuschnigg che ti avrei scritto subito e che gli avrei fat:to

conosceve al più presto la risposta.

Non ho bisogno di dirti che anche per la nostra posizione qui dopo la

recente crisi interna, questo convegno si presenterebbe molto utile.

Né Preziosi, né questo Ministero degli Esteri sanno nulla sinora dell'ini

ziativa del Cancelliere che vuole prima essere sicuro che essa sia gradita al

Duce.

Dopo pcresi gli ordini del Duce, potresti teLegrafarmi all'Albergo Imperiale un si o un no. Nel primo caso che credo probabile, come segue: «Ricevuta tua lettera 22 corrente, sta bene Roma Co altro luogo) tre giugno Co altra data) ».

Con lettera riservata da mandarmi con il co-rriere in partenza domenica, potresti scrivermi altre eventuali istruzioni (l).

(l) Vedi D. 55.

(l) Protocolli del 23 marzo 1936 fra Austria, Italia e Ungheria addizionali ai ProtocoLli del 17 marzo 1934 (vedi Trattati e convenzioni, vol. L, pp. 74-76).

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 4975/69 R. Roma, 23 maggio 1936, ore 12,30 (per. ore 16,10).

In Segreteria di Stato mi è stato promesso che il cardinale Capello, arcivescovo di Buenos Aires, sarà incaricato di mettersi in rapporto col presidente della Repubblica signor Justo, allo scopo di calmare i bollori societari del suo ministro degli Esteri Saavedra Lamas.

I nunzi dell'America del Sud riceveranno istruzioni di agire con cautela per smontare l'iniziativa colombia;na, inspirata forse dallo stesso Saavedra Lamas, per un'intesa collettiva degli Stlati Sud ame>ricanì contraria al riconoscimento della sovranità italiana in Etiopia.

97

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4989/49 R. Bucarest, 23 maggio 1936, ore 18,20 (per. ore 23,45).

Sembra confermato che, dopo convegno di Bucarest dal 6 al 9 giugno p. v. dei capi di Stato della Piccola Intesa, signor Titulescu, accogliendo un vecchio invito del signor Litvinov, farà il suo primo viaggio ufficiale a Mosca donde si recherebbe poi diT·ettamente a Ginevra per la riunione del 16 giugno. Ministro degli Affari Esteri di Romania, prima di lasciare Bucarest, mi disse con intenzione che, in occasione del suo viaggio <a Mosca, «non » sarebbe sta.to firmato nessun patto ed io ci credo perché da varie fonti autorevoli traggo la conclusione che i sovieti non abbiamo nessuna intenzione in questo momento di legarsi con nuovi impegni con la Romania. Comunque il viaggio di Titulescu assume il carattere di un rapporto a Mosca dopo i Lavori della Piccola Intesa a Bucarest, ove si farà natuvalmente un tentativo per la distensione dei rapporti f·ra la Jugoslavia ed i Sovieti, tentativo cui Titulescu avrà l':aria di collabomre vivamente. La ve,rità è, peraltro, che ·egli, nelle attuali condizioni, teme, piuttosto che desiderare, un •riavvicinamento fra Belgrado e Mosca e ciò

perchè non è poco preoccupato dai possibili sviluppi della politica fra Belg,rado e SJfia. Insomma questo paladino dell'intervento russo nell'Europa balcanica e danubiana è, d'altra p3!rte, ter.rorizzato dall'accerchiamento slav,o che è conseguenza fatale deHa sua stessa politica.

(l) Questo documento reca il visto di Mussolini.

98

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON HASSELL

VERBALE (1). Roma, 23 maggio 1936.

L'Ambasciatore von Hassell riferisce al Capo del Governo sulla conversazione che ha avuto luogo fra il Fiihrer e l'Ambasciatore di Gran Bretagna dopo la presentazione del questionario inglese (2). Il Fiihrer si è lamentato anzitutto per la pubblicità data alla cosa, ciò che rende evidentemente più difficile un serio negoziato. È parsa anche al GoveJ"no tedesco non oppoTtuna la insistenza inglese nel voler fissare pJ"eventivament3 determinate posizioni tedesche che abbracci,ano tutti i principi della politica generale. Pare anche il questionario inglese non tener conto del profondo mutamento intervenuto nei riguardi della politica germanica dopo la ratifica del Patto franco-sovietico. Va rilevato d'altronde che gli argomenti del questionario inglese sono toccati in forma molto vaga, ciò anche per quanto rigu3!rda l'intervento della S.d.N. La Germania non ha ancora risposto, né risponderà fino a che non sia ricostituito un Governo in Francia.

Il Capo del Governo pensa che sarebbe bene che non. rispondesse Ln gpnere prima della prossima riunione di Ginevra di metà giugno. L'Ambasciatore ritiene che probabilmente la risposta sarà rinviata a dopo quella data. Continuando l'Ambasciatore dice che, pur non avendo risposto, ci sono tuttavia alcuni concetti g'ià fissati indeTogabilmente dal Governo tedesco.

Così, per quanto riguarda il Patto aereo il Governo tedesco non può accettare una limitazione se questa non sì estende anche agli altri Paesi -vedi Russia -fuori delle Potenze di Locarno.

Per quanto riguarda la zona rioccupata in Renanìa, i1 Governo tedesco non accetterà nessuna limitazione di sovranità neanche temporaneamente, il che vuol dire che non accetta di dilaziornare la eventuale costruzione dì fortificazioni.

Per i Patti di non aggressione, la Germania accetta il criterio dei Patti bilaterali, non è favorevole ai Patti regionali. Per i Patti di mutua assistenza 1a Germania, dopo il Patto franco-sovietico, non può più mantenere le dichi&mzioni, favorevoli sotto determinate condizioni a tali Patti, che aveva fatto dopo Stresa.

Infine l'Ambasciatore ·richiama la più seria attenzione del Capo del Governo sulLe difficoltà di carattere commerciale sorte tra i nostri Paesi, difficoltà che possono avere anche una ripercussione sul lato politico.

Il Capo del Governo risponde che è al corn~nte del problema e che ha già pensato ad una possibile so.luzione della quale vuol prima parlare con le Amministrazioni competenti (l).

(l) -Al colloquio era presente Suvlch che ha redatto Il verbale. (2) -Vedi p. 44, nota l.
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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5114/0535 R. Belgrado, 25 maggio 1936 (per. il 28).

Con miei telegrammi per corriere n. 44 del 4 corr. (2) e n. 52 del 15 corr. (3) ho avuto l'onore di riferire a V. E. circa miei successivi colloqui con Stojadinovic sull'oggetto della libe,razione di Pavelic e Kvaternik.

Dopo il secondo di questi colloqui 1a situazione poteva rktssumersi nel modo seguente: il Governo jugoslavo si ri·teneva -se non soddisfatto -tranquillizzato circa le nostre ~ntenzioni: esprimeva tuttavia il deside·rio che un gesto potesse essere fatto da parte nos•tra -quando e come che fosse -il quale avesse significato di sconfessione dell'attività del fuoruscitismo croato nel Regno.

Oggi questo ministro aggiunto per gli Esteri mi ha pregato di passare da lui per farmi una comunicazione a nome di Stojadinovic impegnato col congresso dell'Unione Radicale. Premesse alcune espressioni di rincrescimento per dovermi ancora intrattenere sull'argomento della liberazione di Pavelic e Kvaternik, mi ha detto che era incaricato dal presidente di precisarmi il pensiero del Governo jugoslavo sulla questione.

Gli ho subito espresso La mia memviglia che si ritornasse sull'argomento mentre le conversazioni già da me avute col presidente e con lui erano state molto esaurienti e 1e spieg•azioni e prec.isazioni da me fornite come da espresse istruzioni de·l R. Governo e.rano tali da dissipare ogni malmteso: non mi •rrendev·o conto delle ragioni che potevano aver determinato questa nuoVIa insistenza, a meno che essa non fosse in relazione coi rumnri sollevati da certa stampa erstera into:rno al rilaSC•iO di Pavelic e Kvaternik.

Martinaz si è affrettato a escludere questa circostanza. Ha insisti·to sul sentiment de malaise provocato nel Governo jugoslavo dal nostro provvedimento e che non potrebbe •essc.re dissipato senza una frwnca e •amichevole spiegazione. Si è dilung-ato nella cronistoria della questione: J'1struttoria francese ha srtabilito che Pavelic è stato l'inspiratore e l'organizzato•re del regicidio e Kvaternic ne h•a avuta la direzione per la pa.rte esecutiva: secondo il Governo jugoslavo, la loro estradiz.ione alla Francia doveva essere concessa perchè la nostra nuova legge penale non distingue i delitti politici e il nostro rtmttato di estradizione colla Francia è stato concluso pertanto sotto l'impero di una legge

cbe non è più in vigoo-e; inoltre, di fronte alla Francia, si sarebbe dovuto tener conto dei delitti di natura comune verificatisi a danno di cittadini francesi. Ha .ricordato che il rappresentante italdano a Ginevra ha votato la risoluzione del Consiglio del dicembre 1934 per la punizione di tutti i r·esponsabili dell'attentato di Marsiglia e in genere per una azione solidale degli Stati per la repressione del terr·orismo. Ha insistito sugli affidamenti che il R. Gov.evno avrebbe dato a più riprese circa il processo e la puniZJione dei predetti due fuorusciti. Ha ce·rcato di contestare il nostro :argomento dell'assenza di elementi per is·ti-tuire un procedimento ·e della carenza di iniziativa da parte dell'autor·ità giudiziaria fr·ancese: secondo 'il Governo jugoslavo l'iniziativa spe.ttava a1le nostre autorità, e quelle francesi dovevano ovviamente astenersi dal prenderne, poiché non vi era un procedimento penale intentato nel Regno.

A questo punto ho osservato con tutta franchezza a Martinaz che le sue considerazioni di ordine giuridico emno facilmente controbattibiH ma che mi sembrava ozioso insistere in tale discussione e ·recriminat!'e sul passato: mi dicesse, in sostanza, quale sarebbe oggi il punto di vista del Goveccno jugoslavo e quali i suoi desideri. Allom finalmente Martinaz mi ha esposto che in questi g1orni i corrispondenti esteri a Roma avevano ricevuto la conferma ufficiale della messa in libertà di Pavelic e Kvaternic, al ministero della Stampa e Propaganda, e contemporaneamente alcuni giornali i·talìani commentando la notiz1a avevamo rif.erito che il pmvvedimento era giustificato col motivo che nessun fatto nuovo em venuto a verificarsi a car·ico dei due detenuti dalla data del loro arresto. Ora -ha detto Martinaz -·tali f,a,tti «non possono non far persistere nel Gove~no jugoslav.o una legittima preoccupazione ci·rca l'avvenire delle relazioni amichevoli e di buon vicinato fra i due Paesi, relazioni il cui sviluppo favorevole è stato semp.re vivamente auspicato dal Govemo jugoslavo e, come ques.to ama 1a credere, anche dal Governo italiano». Tale ultima dichiarazione viene rHerita testualmente e mi è .stata letta ùa Martinaz in base ad un appunto rimessogli dal presidente.

Ho dichiamto a Martinaz che non ·avr·ei mancato di portare .a no·tizia della E. V. le preoccupazioni del Governo jugosiavo da lui. espressemi, doveV'o però fargli presente che, se il Governo jugoslavo •intendeva insistere pe1r un procedimento penale contro i due ex detenuti, tale possibilità era ormai da ritenersi allo stato delle cose, •esclusa. Martinaz ha detto che se ne rendeva conto.

In sostanza è mia precisa impressione che al fondo di tutte le preoccupa

zioni jugoslave sia, più che altro, il timore che i due fuorusciti si trovino nella

materiale possibilità di fare la loro comparsa in Croazia se se ne presenti la

pvopizia occasione. Circa poi la rinnovata insistenza con cui v·iene manifestan

dosi, a malgrado delle nostre assicur·azioni, .la ,re;azione jugoslava di fronte a.l1a

misura presa dal R. Governo nei riguardi di Pavelic e Kvaternic, è mia convin

zione che vi contribuisca largamente -la pubblicità data dalla stampa francese

alla misura stessa con l'aggiunta di tendenziosi commenti. Lascio poi all'.alto

apprezzamento di V. E. giudicare se sia il caso di ravvisarvi una del.iberata e

precisa azione francese, proveniente dagli organi responsabili, nell'attuale

momento.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollni. (2) -Vedi serle ottava, vol. III, D. 823. (3) -Vedi D. 52.
100

IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5231/021 R. Tangeri, 25 maggio 1936 (per. il 1° giugno).

Via confidenzialissima vengo informa.to che elementi des,tra spagnoli starebbero preparando colpo stato a mezzo pronunciamento militare. Loro azione av11ebbe .già trovato favorevole esito tra molti ufficiali mentre awebbe dncontrato tndiffNenza f,m truppe e netta ostilità fm sottufficiali già largamente lavorati da propaganda sovversiva. Movimento sarebbe organizzato estero e avrebbe centro importante in Tangerli ove è già pronto materiale propaga:nda che dovrebbe essere distribuito nelle caserme qualora scoppiasse pronunciamento. Ma mi si aggiunge che movimento sarebbe destinato a fallire se partiti destra non trovano modo neutralizzare propaganda sovversiva fra sottufficiali e non trovino maggiore favore fra le truppe.

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L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5560/496/223 R. Rio de Janeiro, 25 maggio 1936 (per. il 1° giugno).

Debbo constatare una ·ripresa di 'attività britannica in Brasile, per controbilanciare azione propagandistica italiana e nostra penetrazione. È superfìuo ricordare che diplomazia inglese si è considerata, ed è stata qui considerata, come bwttuta in Brasile sul terreno delle sanzioni. Non solo per non aver aderdto il Brasile alle sanzioni contro l'Italia, ma anche o sopratutto per linguaggio ufficiale tenuto da questo governo durante periodo sanzionista, per testo della risposta data a Ginevra e per numerose manifestazioni date di simpatia per causa italiana, Brasile è stato per alcuni mesi considerato da questa ambasciata inglese come « perduto »; inglesi si sono trovati davanti a· fatto nuovo, tanto essi erano abituati da oltre mezzo secolo a considerare questo Paese come loro «colonia» finanziaria: potenza della Banca britannica in tutti i rami dell'attività produttiva brasiliana è infatti tale, e così strettamente coUegata ad analoga influenza sugli ambienti politici e giornalistici, da rendere apparentemente inatteso l'improvviso infiltrarsi della opposta influenza italiana, al cui affermarsi hanno contribuito numerosi elementi che V. E. perfettamente conosce.

Alla prima fase della nostra azione -da settembre a dicembre -diplo

mazia e propag,anda inglese hanno risposto con vivace se11mta organica controf

fensiva, condotta evidentemente con molti mezzi; ma essa andò infrangeTsi

contro dichiarazione anti sanzionista del Brasile e susseguenti manifestazioni

italofile.

Si è avuta poi una seconda fase, di passività almeno apparente: mia aZiione ha trovato quasi libero corso in tutti ambienti, e sembra che 1o stesso Gove,rno brasiliano, che in principio era stato fatto seg,no ~ad ~eneii'giche minaccde di rappresaglie economiche inglesi, non sia stato più molestato, almeno in misum preoccupante, sebbene ministro Finanze abbia molto insistito presso Vargas per ottenere attenuazione della politica italofila, che egli ritiene nociva -se eccessiva -ai rapporti finanziari anglo-brasiliani.

Ho ora impressione trovarmi in presenza inizio terza fas~e: ripresa inglese in vari campi, allo scopo di non «punire » il Brasile, poichè ~ritengo che. Foreign Office abbia, 'almeno per ora, a ciò rinunciato, ma al contrario aHo scopo di accattivarrsene nuovamente simpatie e riaggiogar.lo al propr1o carro.

Infatti constato: a) politica dolce degl'i inglesi improvvisamente adottata in materta di pagamenti di debiti, interessi eccetera; b) linguaggio indulgente per il Brasile, tamto improvviso quanto nuovo, nei grandi organi finanziari di Londra, relativamente ai valori brasmani, bilancio del Brasile, titolo moneta eccetera, e panorami improvvisamente ottimisti della situazione economica brasiliana; c) rinnovate contribuzioni di questa potente light Society, formidabile organizzazione canadese alle dipendenze politiche di questa ambasciata d'Inghilterra, ai giornali di Rico e San Paolo, affinchè sostengano la impossibilità da parte del Brasile di riconoscere l'annessione italiana dell'Etiopia; su questa campagna sto riferendo telegraficamente in questi giorni a V. E.; d) rinnov::tti, notori e frequenti arrivi in Brasi1e di :agenti inglesi, i quali sembra stiano conducendo per conto del Foreign Office (è questo il fattore più interessante della presente situazione) una vera e pDopria inchiesta in parte all'insaputa e in parte a danno dello stesso ambasciatore Gurney, per accertare i motivi e le origini dell'avere il Brasile voltato almeno finora Le spalle all'Inghilterra, avvicinandosi invece ostentatamente a1l'Itali<a; un inglese che nel passato ha ,avuto interessi grandi in Brasile, sir Wi:lliam Oarthwa,rte, è qui 'ritornato ultimamente e sembra sia lui stesso il diret,tore e l'orientatore dell'inchiesta in parola; dalla quale inchiesta, condotta in parte anche da un invicato speciale del Daily Telegraph che va già pubblicando articoli molto cordiali per questo Governo, dovrebbero nascere le direttive di Eden per riguadagnare il Brasile.

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IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 25 maggio 1936.

Il Ministro d'Austri:a è venuto a comunicare che S. E. Schuschnigg si propone di passare in forma privatissima, solo od accompagnato da signor Guido

Schmidt, suo amico personale, i giorni 2, 3 e 4 giugno in Riviem in occasione della pentecoste.

S. E. Schuschnigg, prima di rientrare a Vienna, desidererebbe vivamente un incontro privatissimo con il Capo del Gove·rno nella località che il Capo del Governo preferisse. Riterrebbe opportuno che la visita non avesse carattere ufficiale e che rimanesse segreta fino a qtw~ndo essa non abbia avuto luogo.

S. E. Schuschnigg Httende di conoscere le decisioni del Capo del Governo per prendere le misure tre1ati ve al suo viaggio (l).

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IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 25 maggio 1936.

Quistione del servizio obbligatorio in Austria.

Le ultime informazioni pervenute al Governo di Vienna dal suo ministro a Pmga sono state nel senso che Titulescu avrebbe parrato col Governo fmncese. Pare che la Picco1a Intesa sa.rebbe sodcl:isfatba se il Governo austriaco si regolasse più u meno secondo quello che fu fatto nel 1934, quando l'Austria domandò un aumento deLle sue formazioni militari « Schutzkorp ». AlLora la Piccola Intesa fece una comunicazione al Governo austriaco in questi termini:

«La Tchécoslovaqui·e (allnra avev'a la Presidenza della Piccola Intesa), après avoir eu le consentement de la Roumanie et de la Yugosl<avi·e, sans donner san consentement exprès à quoi que ce soit, ferme les yeux en face des intentions du Gouvernement autrichi:en au sujet du soidisant corps auxi1iaire. Cette attitude ne l'engage à rien au point de vue juridique et ne constitue aucun précédent en quoi que ce soit vis-à-vis d'autres Etats t1ers ».

Il ministro d'Austria, nell'lnformarmi di quanto sopra, ha aggiunto che il Governo di Vienna sta esaminando ta1e soluzione. Personalmente egli ritiene che, probabilmente, il Governo austriaco finirà per non opporvisi (2).

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L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1564/673. Madrid, 25 maggio 1936 (per. il 1° giugno).

Mi richiamo a precedente wr·rispondenza in argomento e tn special modo al mio rapporto in data 31 marzo u.s., n. 948/420 (3).

Per quanto rnon sia stata ancora concl'letamente risolta, con La nomina dei rispettivi rappresentanti diplomartic,i, la questtone della :ripresa di mpporti con l'URSS, già in massima decisa, numerosi sono gli elementi dai quali si può dedurre che conUnua ad esseDe 'rivolta vivissima verso 1a Spagna l'attenzione ,e l'attività de11a Comintern e dell'URSS.

Già il R. ambasciatore in Mosca ha segnalato le radiodiffusioni in lingua spagnola curate dalla III Internazionale e 1o speciale saluto rivolto :ai comunisti spagnoh dai «compagni» russi in occasione del 1° maggio (dispaccio di

V. E. in data 16 corrente, n. 216711/C) (1). Da parte mia devo :aggiungere i seguenti elementi:

l) Continua a essere oggetto di :rilievo la :ripresa dì traffici marittimi con l'URSS. Alle visite dei pwoscafi « Newa » (vedasi mio rapporto precitato e rapporto del R. Console in Siviglia del 16 corrente, n. 1153/44 (2) e «Shelon », è da aggiungere quello della « Beresina » accolto, come gh altri, a Valenza da grandi manifes,tazionì di solidarietà « pro1eta,ria ».

2) Con grandi festeggiamenti e dimostrazioni popolari sono stati ricevuti gli spagnoli rifugiatisi ne1l'URSS dopo il fallimento dei moti rivoluzionari dell'ottobre 1934 e ora di ritorno in Spagna. Essi hanno naturalmente magnificato l'ospitalità offerta loro, ed hanno di:re:tto ai «compagni» Stalin e Dimitrov messaggi di commiato in cui promettono di realizzare anche in Spagna, secondo le direttive loro date, la grande ~rivoluzione sociale. Accludo copia della lettera diretta a Dimitrov, con l'indicazione nominativa di tutti i firmatari di essa (2).

3) Merita speciale menzione l'attività pDopagandistica svolta dall'Associazione degli Amici dell'URSS, una cui deleg,azione venne altresì tempo addietro ricevuta da questo ministro degli Affari Esteri (mio rapporto n. 675/293 del 29 febbraio u.s.) (3). Essa ora organizza quasi settimanalmente jestivals gratuiti :o a beneficio del « Soccorso !Vosso », durante i qua-li vengono proiettati fUms ,russi di propaganda, suonaba musica sovi:etica ,e tenute conferenze di volgarizzazione del sistema bolscevico sopcr:atutto da parte dei reduci dall'URSS.

4) Si debbono registmre i frequenti e ben noti scambi di visite tra rappresentanti le organizzazioni estl'lemiste spagnoLe e delegati russi. Ad essi forse si riferisce la segnalazione confidenziale giunta al ministero e di cui al dispaccio di V. E. in data 12 corrente, n. 315212/C (1). Nel rapporto citato almnizio del presente ho ripor,tato ~alcuni nomi di persone che, a quanto si afferma, sarebbero state inviate dalLa III Internazionale ,a fini :organizzativi, informativi e propagandistici. Mandato dalla Isveztia e accolto con grandi manifestazioni, è stato di passaggio in !spagna ~anche il noto scrittore rrusso Ilya Ehrenburg, che, tra l'altro, ha intervistato il signor Azaria. Per le feste del 1° maggio si è rrecata a Mosca una numerosa delegazione di operai spagnoli, eletti dalle varie organiz2'lazioni proletarie, che provvedevano al pagamento cM tutte le spese, e capeggiati dal si!lldacalista cata1ano José Moix ,e dal socialistacomunisteggiante GuiHermo Torrijos, di San Sebastiano.

5) Notevole è infine lo sforzo che si sta compiendo, die·tro ispirazione e auspici moscoviti, per giungere all'unificazione delle forze proletarie i:n vista di futur·e lotte. Se è da .registrare un successo .in tal senso .con l'avvenuta fusione delle g.ioventù socialiste e comuniste, ostacoli ben maggiori incontra anche il solo progetto di più intimi accordi tra l'Union Generai Trabajadores (socialista-communisteggiante) e la Contederacion Nacional Trabajadores (anarchico-sdndacalista).

(l) -n presente documento reca il visto di Mussolini che fissò la data dell'incontro per il 5 giugno, come riferì Suvich a Preziosi con T. 2395/85 R. del 27 maggio, ore l. (2) -li presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Non pubblicato. (l) -Vedi D. 559. (2) -Non pubblicato. (3) -Non pubblicata.
105

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. RR. Vienna, 25 maggio 1936.

Nel col1oquio avuto con il Camcelliere venerdì 22 corr. (l) -oltre alla proposta di un suo incontm con S. E. il Capo del Governo, sulla qua1e ho riferito il giorno stesso --, Schuschnigg mi ha fat.to la cronistoria particolareggicata del1a recente crisi nel Gabinetto nel Fronte patriottico, dopo il martedì 12 maggio, giOITno in cui mi consegnò .il messaggio per il Duce.

Non sono che maggiori precisazioni alle notizie da lui fornite pe•r telefono al ministro d'Austria a Roma ed a me e che formarono oggetto dei miei appunti di quei giorni e delle relazioni orali a S. E. il Capo ne1le udien:?Je di v.enerdi 15 corr.

Eccoti qualche spunto di maggiore interesse.

1

Starhemberg che aveva in massima accettato il lunedì 11 corr. le proposte di Schuschnigg per la nuova sistemazione unitaria del Gabinetto e delLa direzione del Fronte Patriottioo, gli fece sapere martedì sera (dopo la rrna partenza), che non si sentiva di aderire a tutte le proposte e che deside.rava che ogni decisione fosse differita a dopo il di lui ritorno da Roma, cioè di una decina cl:i giorni. Schuschnigg osserva che, non potè accettare J:a dilazione:

l) per impellenti ragioni interne (ripercussioni pericolose degli incidenti della domenica precedente, insistenze di una risoluzione da parte dello stesso Presidente Federale, consigli di immediate decisioni da parte del presidente della Banca Nazionale dello stesso ministro delle Finanze Draxler, heimwehrista, preoccupati di allarmi nel campo economico e della Borsa per effetto delle voci di dissensi nel Gabinetto ecc.);

2) propr.io per riguardo ·all'Italia che con il metodo voluto da Sta;rhemberg sarebbe stata fatta entrare, nell'impressione locale ed internazionale, in tLna crisi di politica interna, contro ogni opportunità ed ogni intenzione del Capo. Era sulle bocche di tutti gli heimwehristi, -mi disse Schuschnigg -in quella sera e nella giornata di merco1edi, che Starhemberg, ritornato da Roma

13 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

con il prestigio ed i consigli del Duce, avrebbe risolto la cdsi contro la coalizione e a favore esclus.ivo o quasi delle He.imwehren. Egli, Schuschnigg sapeva benissimo che così pensando si faceva torto a Mussolini, e forse anche allo stesso Starhemberg, ma egli crede di aver reso un servigio alla causa comune evitando ogni e qualunque anche esterio~ commistione dell'Italia icn una cris.i interna. Del resto, un totalitarismo heimwehrista non solo è materialmente impossibile in Austria, ma era ed è ritenuto tale dallo stesso Starhemberg. Schuschnigg si richiama a quanto mi disse tn proposito a Milano e dopo.

(l) Vedi D. 95.

11

Schuschnigg afferma che ha fatto, sino all'ultimo, ogni sforzo pe.r rendere possibile la permanenza di Starhemberg nel Gabinetto. Ma .lo stesso telegramma del Principe al Duce, spedito senza farne alcun cenno al Cancelliere, era un indice deLla volontà del Principe di riacquistare la sua piena libe,rtà, e insieme una prova della difficoltà di una collaborazione in seno al Governo responsabile.

Schuschnigg nega che quel teleg·ramma sia stato la causa determinante della crisi; ne è stato certo un ultimo elemento, specialmente per la seconda parte. Gli è doluto l'abuso fatto all'estero di quel telegramma nelnnterpretazione delle cause dei mutamenti nel Governo. Il CancelUere ha subito parato con l'inviare immediatamente ·al Duce H telegramma di saluto e di immutata fedeltà alla politica dei Protocolli romani. Eg.li fu, più che grato, c·ommosso della risposta avuta e della comprensione così pronta e fiduciosa del Capo, attestatagli a traverso le dichiarazioni fatte al Ministro d'Austria a Roma e a quanto ho potuto dirgli i.o secondo le .istruzioni avute nell'udienza del 15 corr. a Palazzo Venezia. Tutto ciò -mi ripetè 11 Cancelliere -acc11esce, se mai possibile, la devozione e la ammi•razione sue per il Duce, del quale spe~a di continuare a merita11e la confidenza.

111

Rispondendo anche a mie suggestion1 fondate su notizie e impressioni raccolte rapidamente qui, il Cancelliere mi assicurò che egli aveva ed avrebbe non solo evitato ogni ragione di dissenso sostanziale con il Principe e le Heimwehren, naturalmente nell'orbita delle superiori necessità del Regime autoritarto e dell'unità del comamdo, ma avrebbe dato sempre nuovi riconoscimenti anche pubblici delle benemerenze di Starhemberg e della importanza delle Heimwehren.

La prova maggiore è la nomina di Baar non solo a Vice-Cancelliere, ma a comandamte del1a Milizia unica.

EgH ·avrebbe voluto mantenere anche Berger nel Gabinetto, al caso come ministro senza portafogli per affidargli la segreteria generale del Fronte Patriottico. Fu Starhemberg a pregarlo di destLnare Berger alla Legazione di Roma, ed egli aderì contro convinzione, temendo èhe possa pregiudicare l'interesse del s.ervi)':io la presenza a Roma di un uomo che può essere ritenuto legato più al cessato Vicecancelliere, che al Cancelliere e Minist;ro degli Este,ri in c·arica. Confida che ogni inconveniente, sia delLa Legazione d'Austria a Roma sia della Legaz·ione d'Italia a Vienna, possa assere evitato o rapidamente elimi

nato dai rapporti diretti felicemente stabiliti fra lui, Cancelliere, ·e S. E. il Capo del Governo.

In quanto a Starhemberg, fu il Cancelliere ad offrirgli ,e 1ad insistere che mantenesse la suprema Filhrung delle organizzazioni sportive con tutti gli onori e le necessarie indennità. La stessa presidenza del Mutterschutz, a cui per i fenomeni demografici e morali conseguenti alla cessata dominazione socialista si vuoi annettere la massima importanza e dare il maggiore sviluppo, fu desiderata da Starhemberg e gli fu volentieri mantenuta da Schuschnigg.

:Uo stesso Zernatto nominato a Seg,retario di Stato e Seg,retario generale del Fronte Patriottico, gli è stato presentato e racc.omandato da Starhemberg ed ha fama di he·imwehrista fedele, se pul'e non della prima ma.

NulLa SMà evitato di quanto possa cont'iribuir'e :a disperdere ogni malinteso e ad assicul'are la collaborazione; ma nelle cose essenziali e;onviene tener fermo alla disciplina. Su ciò sarà inf,Iessibile. Confida che Starhemberg segua i consigli datigli dal Duce e si liberi di cattivi consiglieri del tipo Mandel. Le notizie in proposito :avute dia Roma lo tr·anquillizzano.

Per Tiguardo ·a Starhemberg il Cancelliere ha respinto offerte ripetute di Fey di mettersi ufficialmente a sua dispos,izione .con tutte le ,sue ·ancora Jargh:e influenze tra i heimwehristi di Vienna, ti che aVJrebbe c.ostituito una diminuzione dell'autorità del Principe.

Vedo oggi nei giornali che Schuschnigg ha tenuto 1a pl'omessa datami di fare 'alla pr.ossima occasione nuove dichia·mz'ioni lusi:nghie:re per il Pr.incii:pe e rassicuranti per tutto il movimento heimwehrista (vedi discorso di ieri domenica 24 corr. a Ganz,erndorf).

Anche la parola d'ordine « Non più solo coalizione, ma c.onc·entraz'ione » è felice ed ha f·atto qui buona impressione.

IV.

Schuschnigg ha accettato di discutel'e prossimamente cnn me i modi pmtici pe,r eliminare malintesi e diffidenze che sussistono :ancora in larghi settori cristiano-sociali circa i ,rapporti dell'Austria con l'Italia. C.onviene, senza alcun pregiudizio dei nostri rapporti stretti (ma d'ora in poi più prudenti) con le Heimwehren, far cessare la convinzione o l'impressione che le Heimwehr,en abbiano il monopolio di quei mpporti. Bisogna allargare la base del riconoscimento de.U'importanZJa, dell'utilità dell'amicizia con l'Italia in ogni campo, e ciò mettendo magari in sordina i nomi e le parole, accontentandosi dell'identità sostan21ial'e del programma comune, autoritario, cristiano-cattolico e eorpo1ra.tivo.

Schuschnigg mi ricordava che lo stesso Dollfuss, pur tanto fedele e innamorato dell'Italia e di Mussolini, era sempre in cerca di un nome da dare al movimento austriaco che lo avvicinasse nell'essenza ma insieme lo distinguesse esteriormente dal fascismo e aveva pensato al «frontismo >>, che poi fu adottato da un partito in Belgio.

Al di sopra di queste esteriorità, il problema di una azione metodiea, prudente ed efficace nel senso suindicato si impone, e il pl'estigio altissdmo oggi conqui·stato dall'Italia la può facilitrure. Mi riservo ulteriori comunicazioni ed eventuali proposte dopo una nuova conversazione con Schuschnigg. Questo potrebbe essere anche uno degli argomenti per il progettato nuovo incontro del Cancelliere col Duce.

Evidente l'importanza che potrebbe avere all'uopo la personalità del nuovo Nunzio Apostolico in Austria, sulla cui nomina ho richiamato ripetutamente la tua attenzione ·e che ormai deve essere imminente. Cercherò intanto di prendere contatto con il nuovo uditore della nunziatura.

Attendo risposta telegrafica alla mia per posta aerea del 22 corr. (l). Il Cancelliere me ne ha fatto chiedere già stamane (2).

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L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5058/51 R. Varsavia, 26 maggio 1936, ore 2 (per. ore 8,05).

Beck mi ha fatto chiamare allo scopo di far conoscere a V. E., alla vigilia della sua pa·rtenza per Belgrado, lo scopo del suo viaggio.

Confermando quanto ho riferito col mio telespresso 13071457 ( 3) Beck mi ha detto essere suo desiderio prendere contatti con Paese che, in seno alla Piccola Intesa mostra di avere una p.ropria fisionomia politica indipendente in confronto alle pretese degli altri due.

L'ultima riunione della Piccola Intesa a Belgrado (4), nella quale sarebbe apparso desiderio di Praga tenere Polonia lontana dalle questioni danubiane, lo 'aveva obbligato a fare passo a Bucarest chiedendo spiegazioni che gii sono state fornite. Necessità di opporsi a tale manovra cecoslovacca gli consigliava affrettar•e diretta presa di contatti con Belgrado. Essendosi fra Jugoslavia e Ungheria stabilita una considerevole détente, egli non mancherà, col consenso di Budapest, di appoggiarla. Coglierà anche l'occasione nelle sue conversazioni con gli ambienti responsabili jugoslavi per sottolineare che è saggezz;a politica per ogni Paese ad interessi limitati stabilire semplicemente -come ha fatto Polonia con Germania -buon vicinato con confinante Potenza scartando combinazioni che possano compromettere un tale risultato.

Egli teneva informare V. E. sullo scopo sua visita e farLe sapere che, avendo constatato a Ginevra come atteggiamento jugoslavo nella questione etiopica non fosse fortunatamente quale antifascismo avrebbe desiderato, egli si ripromette pa.rlare con Stojadinov1c anche questione sanzioni. A questo proposito riferirà per corriere più largamente (5).

Dopo aver ·ringraziato Beck gli ho riconfermato che da parte nostra si era sempre desiderato e si desidera tuttora partecipazione diretta della Polonia alla wganizzaz.ione danubiana. Suo viaggio a Belgmdo non può disp,~a

(-4) Vedi p. 19, nota 2.

cere a Roma 'essendo noti suoi sentimenti da lui segnalati in questo colloquio. Sulla scorta delle notizie e ,rapporti 1n mio possesso gli ho dato qualche elemento per giudicare attuale stato 'relazioni itala-jugoslave. Ho sottolineato che quanto egli si ripromette di,re a Belgrado a proposito di tali relazioni, comisponde alla linea stabilita da V. E. fin dal 1923 che la Convenzione di Nettuno (l) mostra chiaramente. Italia non ha mai pensato aggredire Jugoslavia, né Grecia, né Turchia, che pure hanno aderito al piano inglese di accerchiamento dell'Italia. Mi pareva opportuno che egli, Beck, sottolineasse a Belgrado nella forma da lui accennata importanza che ha stabilimento buon vicinato con 1a Potenza confinante, tanto più che questa non ha piano di conquista, nè progetto di smembramento da mettere in esecuzione in Jugoslavia.

Circa sanzioni, poiché avrebbero trovato a Belgrado lo stesso stato d'animo dell'opinione pubbLica polacc,a, la quale ne reclama la cess,azione, mi augurerei che la sua visita a Belgrado segnasse un passo avanti verso il ritorno alla ragione.

(l) -Vedi D. 95. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Non pubblicato. (5) -Non è stato rinvenuto alcun documento in proposito.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5052-5055/771-772 R. Londra, 26 maggio 1936, ore 3 (per. ore 8,05).

Mi sono reca,to oggi espressamente da Vansittart per richiamare seria attenzione de,l Governo britannico su vi1aggio ex Imperatore a Londra e per domandarglliene, in modo prec,iso, il significato.

Vans,ittart non mi ha nascosto il suo disappunto ed il suo imbarazzo. Egli mi ha detto che Governo britannico ha fatto di tutto per dissuadere ex Impe,ratore dall'idea venire i:n Inghilterra. Senonchè ex Impe,ratore ha insistito dichiarando che egli è stato invitato da numerose associazioni br,itanniche, e che intend,eva accettare invito. In queste condizioni Governo britannico si è trov;ato costretto a considerare sproporzionate 'ripercussioni che 1avrebbe avuto un rifiuto all'ex Imperatore entrare in Inghilterra. Le opposiz,ioni alla Camera dei Comuni, le correnti sanzioniste e pacifiste avrebbero approfittato per inscenare una montatura contro il Governo, così che quest'ultimo ha ritenuto fosse ancora minore male accedere sia pure a malincuore, al des,ideri,o dell'ex Imperator,e.

Ho repHcato a Vansitta:rt che la circostanza che ex Imper,atme veniva a Gibilterra a bordo di un incrociatore britannico trasformava significato del suo viaggio.

Vansittart mi ha fatto osservare che ex Imperatore viaggia come cittadtno privato, che alla partenza da Gerusalemme e all'imbwrco a Caifa non (dico non) è stato reso a Hailé Selassié alcuno dei consueti onani e mi ha aggiunto che era stata esaminata anche opportunità ,che egli s,i recasse in Inghilterra

per ferrovia. Egli ha dichiarato che le sue condizioni di salute non lo consentiva-no. Circa trasporto su nave da guen·:a, Vansittart mi ha fatto osservare che ques,ta, oltre che essere una piccola nave secondari,a della martna ingLese, depoNà ex Impe1rtore a Gibilte11ra da dove egli proseguirà i:n forma privata con i suoi mezzi. Ciò appunto per mostrare che Governo britannico non intende dare al viagg,io dell'ex Impemtore alcun oarattere ufficiale.

Osservai subito a Vansittart che resta .sempre che ftno Gibilterm ex Imperatore viaggia su nave br-itannica.

Vansittart ha risposto che Governo britannico, dopo aver trasportato Hailé Selassié da Gibuti a Gerusalemme, aveva creduto che prolungamento questo trasporto fino Gibilterra non facesse g.ran differenza. Vansittart ha soggiunto che GabLneUo ha voluto anche evita,re qualsiasi possibilità, sia pure remota

o involontaria, di incidenti nel Mediterraneo tra una nave mercantile inglese, con a borrdo ex imperatore e qualche nave italiana, 1a quale cosa 'avrebbe determinato grave ripe~r.cussi:one in Inghilterra.

Ho replicato a Vansittart che tutto ciò era semplicemente grottesco. Ad ogni modo, ho detto, la questione essenziale sarà il modo con cui. Hallé Selassié sarà ricevuto a Londra. Che l'antifascismo sanzionista profitti della presenza di questo rifugiato politico per eccitare gli spiriti popolari contro l'Italia alla vigi.lia della riunione di Ginevra, questo è da attendersi o questa è la ragione per cui ex Imperatore è stato invitato a venire ,a Londra. Credo che Governo britannico avr·ebbe potuto e avrebbe dovuto evitare ciò, ma non è mio compito discutere questo. Il mio dovere è tuttavia di ·richiamare seriamente attenzione del Governo britannico sulle gravi ripercussioni che non potrebbe mancare di avere sui futuri rrapporti italo-ing1esi qualsiasi gesto o atto di caratte,re ufficiale che f.osse fatto da parte Governo brita;nnico nei riguardi deWex Imperatore. Il Governo fascista ha comunicato formalmente e solennemente al Governo britannico in data 12 corrente che Etiopia è territorio italiano sotto la s:ovramità del Regno d'Italia e che il Re d'Itali!a è l'Imperatore di Etiopia.

Vansittart mL ha risposto dicendo che avr·ebbe riferito testualmente a Baldwin e al Gabinetto il mio passo. Vansittart ha soggiunto che ·egli si ,rende perfettamente conto della cattiva impressione e delle inevitabili spilac,evoli ripercussioni che questa venuta del Negus provocherà in Itlalia. Personalmente egli ha fatto di tutto per evitare questo viaggio, che viene a disturbare e Lntralciare il delicato lavoro di distensione e di ripresa che, nella scorsa settimana, si era dnizi:ato con successo e si sta svolgendo da ambo le parti. L'antifascismo con la venuta dell'ex Imperatore a Londra nella prossima settimana ha indubbiamente guadagnato un punto deLla partita. Ma l'ondata artificiosa e fanatica passerà. Occorre -ha continuato Vansittart -tene,re dalle due parti i nervi a posto, specialmente nei prossimi giorni e non perdere di veduta l'obiettivo essenziale. Il processo di decongestione e di distensione di cui ho parlato nel nostro colloquio di giovedì (1), potré essere forse rallentato, ma non interrotto dagli avvenimenti delle scorse settimane.

Ho replicato a Vansittart che me lo auguro ma che aspetto di vedere.

(l) Convenzione tra Italia e Regno serbo-croato-sloveno del 20 luglio 1925 (per regolarele questioni rimaste in sospeso e la piena esecuzione dell'accordo concernente Fiume sottoscritto il 27 gennaio 1924). Vedi Trattati e eonven:::ioni, vol. XXXIV, pp. 577-579.

(l) Vedi D. 91.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5062/320 R. Parigi, 26 maggio 1936, ore 15,10 (per. ore 15,45).

Telegramma di V. E. n. 276 O).

Ho veduto stama.ille Costa du Rels, che aveva ricevuto telegmmma dal ministro Affari Esteri di Bolivia, al quale aveva risposto facendo presente, nell'interesse del proprio Governo: l) necessità tener presente che Francia, Inghilter,ra e Stati Uniti non hanno ancom riconosciuto attu2<.le Governo di fatto esistente in Bolivia; 2) comunanza di interessi economici anglo-argentini nel Chaco con pa,rticolare riguardo alla ckcostanza che la situazione nella zona contestata è tuttora sub judice e confini tra Bolivia e Paraguay non sono delti.mitati.

D'altra parte egli mi ha detto di avere ricevuto dal suo compatriota signor Arocha, che fu per vari anni funzionario del Segretario Generale S.d.N. e che conserva legami con quell'ambiente, suggerimento che ritiene conforme alle idee del segretario generale S.d.N. stesso, di prendere iniziativa, di conc,erto fra vari Stati dell'America Latina, circa linea di condotta comune per abolizione sanzioni da presentare poi a Ginevra. Egli si proporrebbe di rrecars1 colà qualche giorno prima della convocazione del Consiglio per intavolaìre conversazioni coi rappresentanti del Perù, Oile, Colombia, Uruguay e Venezuela ed indurli a nrmwre e presentare con lui mozione, che desidererebbe concordare con Aloisi o Rocco ed in loro assenza con Bova Scoppa. Riterrebbe che sede adatta per presentazione mozione sarebbe Comitato di coordinamento, del quale dovrebbe essere pe,rtanto ch1esta convocazione.

Ho creduto fare riserve circa Comitato di coordinamento come sede più competente sostenendo tesi che sanzioni furono applicate da ogni Stato secondo proprio giudizio sovrano ed ins~ndacabile, cosi che devono essere abolite da ognuno ed eventualmente da un gruppo di ess'i con semplice notific,azione al Segretariato del1a S.d.N. Ove V. E. condivida questo mto modo di vedere, potrò tornare ad insistere su Costa du Rels (2).

109

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 26 maggio 1936.

L'Ambasciatore Chambrun è preoccupato pe'r il modo come si mettono 1e cose a Ginevra. Egli ritiene che ci vorrebbe un nostro gesto che potrebbe con

sister·e, secondo lui, in dichiarazioni fatte dal Capo del Governo sulLa nostra volontà di collaborare al mantenimento della pace, alla sicurezza collettiva e al sistema degli Stati che vogliono mantenere tale pace e tale sicurezza. È preoccupato anche per le voci di nostri accordi con La Germania, il che .renderebbe inutili suni sforzi pe'r una soluzione delle attuali difficoltà sulla base dell'amicizia itaLo-fmncese.

Rispondo all'ambasciatore che non escludo che il Capo del Governo, che nelle tnterrviste di questi giorni ha ribattuto il concetto deLla necessità deLla pace mondiale, possa fare dell'ulteriori dichiarazioni in forma più solenne.

Riguardo alla questione tedesca, gli ho già detto che non c'è nulla di nuovo, all'infuori di un avvicimamento di carattere più estèriore che altvo, determinato daLla posizione in cui sono venuti a trovars1 i nostri due Paesi.

Insisto coll'Ambasciatore sul fatto che la prima cosa da fare per arrivare ad una soluzione è quella di abolire le sanzioni.

Questo lo possono fare le Potenze di Ginevra senza nessun sac["ificio del loro prestigio perchè le sanzioni non sono più giustificate, poi tutto il resto verrà più facilmente (l).

(l) -Vedi p. 87, nota l. (2) -Per la risposta vedi D. 133.
110

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MANDATI DELLA S.D.N., THEODOLI

L.P. R. 217620/20. Roma, 26 maggio 1936,

Ti unisco un appunto contenente gli argomenti che possono essere sviluppati in seno alla Commissione dei mandati per contestare la legittimità dell'applicazione delle •Sanz;ioni nei Paesi sotto mandato.

La questione è passata del tutto sotto silenzio nei rapporti delle Potenze mandatari-e. Conviene a noi di sollevarla e di spingere ,1a discussione a fondo. Anch'e se dovessi rimanere solo a sostenere la tesi suddetta, .conviene .provocare una esplicita deliberazione della Commissione in argomento, ed eventualmente una relazione di maggio·ranza ed una di minmanza, in modo che 1a questione non sia sepolta, ma rimanga aperta per ulteriori dibattiti in seno ad altri o·rgani societari o no.

ALLEGATO

SANZIONI NEI PAESI SOTTO MANDATO

Per dimostrare la illegalità, anche dal punto di vista giuridico-societario, dell'appLicazione delle sanzioni contro l'Italia nei Paesi sotto mandato, occorre tener presente le seguenti constatazioni ed argomentazioni:

l. -Le sanzioni non possono essere applicate nei Paesi sotto mandato col pretesto che questi fanno parte della I&ga. E' ovvio che detti Paesi non sono membri della S.d.N. e non sono quindi impegnati ad applicare le disposizioni dell'art. 16 del Patto.

2. -E' altresì incontestabile che i Paesi sotto mandato costituiscono entità autonome dagli Stati mandatari, siano essi considerati di già quali Stati indipendenti secondo l'art. 22 del Patto (quali Palestina, Siria e Libano), siano essi considerati come territori che non hanno ancora raggiunto una organizzazione propria statale (mandati tipo B e C). In ogni caso essi non sono né protettorati, né colonie.

In conseguenza lo Stato mandatario non può ritenersi autorizzato ad estendere loro automaticamente disposizioni adottate per il territorio metropolitano. A riprova di ciò si ricorda che, mentre in Gran Bretagna e in Francia le sanzioni sono state deliberate sen:?Ja votare una legge speciale ma in applicazione della legge che dava esecuzione al Trattato di Versailles, speciali disposizioni legislative sono state necessarie per applicare le sanzioni nei Paesi sotto mandato: così per esempio, per la Siria, l'Arrété del 5 novembre 1935 dell'Alto Commissario, e per la Palestina l'Order in Council del 25 ottobre 1935.

3. --Le Potenze mandatarie hanno la rappresentanza internazionale dei Paesi sotto mandato; ma non possono prevalersi che dei diritti e degli obblighi che appartengono a questi Paesi. Ora il diritto, ed H dovere, di applicare le sanzioni deriva dal Patto per gli Stati membri della S.d.N. I Paesi sotto mandato non sono membri della S.d.N. - 4. --L'applicazione delle sanzioni nei Paesi sotto mandato A e B è una misura che viola la precisa disposizione dei testi dei mandati, che obbligano a non imporre « aucun traitement différentiel entre les marchandises originaires ou à destination d'un quelconque des Etats membres de la S.d.N. ». 5. --Nei loro effetti pratici le sanzioni applicate dai Paesi sotto mandato contro 1'Italia si sono tramutate in una perdita economica netta per i Paesi sotto mandato, essendo in generale la bilancia commerciale degli scambi fra detti Paesi e l'Ital,ia sfavorevole a quest'ultima. L'applicazione delle sanzioni è stata quindi una misura contraria agli interessi delle popolazioni sotto mandato, ed è quindi stata presa in violazione di un obbligo fondamentale degli Stati mandatari. 6. --Se si obbiettasse che considerazioni di ordine politico generale hanno consigliato malgrado <l'illegalità della misura e malgrado i danni economici derivantine, di fare ader,ire anche i Paesi sotto mandato all'applic,azione delle sanzioni senza tener conto della loro speciale situazione politico-giuridica, si può obbiettare che tali considerazioni di ordine politico-genera;le non hanno impedito alla Francia e alla Spagna di fare aderire in principio le zone di protettorato francese e spagnuolo del Marocco all'applicazione delle sanzioni, ma di !asciarne in sospeso fino ad oggi l'applicazione pratica, appunto per la speciale situazione del Marocco in connessione con gli obblighi di carattere economico, derivanti dal Trattato di Algeciras (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

111

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1119/485. Ankara, 26 maggio 1936 (2).

Nel primo incontro che ho avuto col signor Ponsot, nuovo ambasciatore di Francia, ho avviato la conversazione sulla questione degJi Stretti. Ho fatto presente al mio inte,rlocuto,re quale fosse l<a posizione effettiva della Germania

in Turchia, come essa da culturale ed economica potesse ,rapidamente tlrasformarsi in politica, ho ricordato gli obiettivi espansionisti germanici in concordamza con quelli polacchi d,iretti al Mar Nero, ed ho concluso come e quanto fosse temibile che la manovra del 1914 potesse ripetersi, faciHtando, con consentite fortificazioni permanenti, la chiusura degli Stretti, da cui impedimento a,i contatti logistici ,e strategici fra Francia e Soviet.

Il signor Ponsot ha riconosciuto senza eccezione il fondamento di quanto gli esponevo, ha però marcato che il favore inglese aLla rirnmtarizZJazione delle z,one entrava in un disegno di accerchiamento dell'ItaUa, e che pertanto noi eravamo i magg1ormente interessati ad ovviare danni che ce ne sarebbero deriv,ati. Dal canto suo la Turchia vnleva la 'rimilitarizzazione e ne aveva accelerato 'i tempi per una ,inquietudine crescente data 1a nostra nuova situazione di fatto in Medite,rraneo, specialmente peli" la minaccia della nostm aviazione, contro la quale soltanto fnrtificazioni permanenti avrebbero potuto opporre un ostacolo, non le semipe,rmanenti e campali.

E>ra comunque, secondo lui, vano credere che, anche con opposizioni, non si 'sarebbe !arrivati ana rimil!itarizzazinne delle zone. Essa s1 farebbe comunque. LI rimedio quindi ai pericoli che gli accennavo per un poss,ibile ripetersi della manovra del 1914 ed alle conseguenze che ne sarebbero derivate, sia per i nostri rifornimenti logistici, sia per i rapporti logistico strategici franco sovietici che egli riconosceva del pari importanti, non si poteva cercare che sul terreno politico. Ha perciò accennato al Patto Mediterraneo che ritorna in pieno sull'orizzonte diplomatico, e che trova sopr.atutto favorevoli i turch'i, i quali medono assicumrsi in tal modo la difesa delle loro coste contro ogni ambizione.

Mi ha poi chiesto quale fosse la nostra att1tudine relativamente ai due problemi.

Premesso che l'interesse francese alla rimilitarizZJazione, non era inferiore al 1nostro, gli. ho risposto che data la esistenza delle sa;nZJioni l'atteggiamento italiano non poteva essere che di piena riserva tanto per un problema come per l'altro. Dovevo però subito respingere qualsiasi fondamento dei timori turchi. E>ra 'inguaribile caso psicopatico. Non sapevasi davvero che fare per calmare le loro apprensioni, che non ;resistevano un minuto a quaisiasi esame logico, sia in rapporto ai compiti che ci attendono ~in Etwpia e che assnrbiranno vari decenni di tutta la nostra attività, sia in rapporto aile possibilità offensive contro l'Anatolia delle nostre basi del Dodecanneso, possibilità offensive che qualsiasi esame di quelle posizioni deve riconoscere strategicamente impossibili.

Gli ho ricordato che Ln ogni caso V'i era un interesse comune a trm>:are, se possibile, una linea di condotta uniforme, non appena noi fossimo usciti dalla attuale nostra posizione di riserva. Già eranvi stati contatti a Pa,rigi fra la nostra ambasciata ed il Quai d'Orsay. Poiché egli si recava a Parigi, poteva informarsene, vedere se e quale azione comune fosse possibile (e Ponsot mi ha detto che tale era infatti uno degli scopi che giustificano la visita che sta per fare a Parigi). Quanto alle voci di Patto Mediterraneo la nostra posizione doveva essere più che mai di riserva. Ma dovevo fargli notare che Patto Medite!'raneo e riarmo delle zone degli Stretti erano argomenti stret

no

tamente connessi, e ·che a mio avviso non s1 potevano trattar:e i due problemi separatamente, ma prima il Mediterraneo, e poi quello degli Stretti che gli è subordinato.

* * *

Più lungo colloquio ho avuto con Karakhan, ambasciatore sovietico.

Questi ha cominciato col rallegrarsi meco per il nostro trionfo abissino. Ha soggiunto subito che la Società delle Nazioni ·recitava ancora la parte più miserabile ed insulsa. Comprendeva che ne fossimo offesi ed irritati. (Già, gli ho detto, la S.d.N. è Bekmess:er che nota sulla lavagna gli errori melodici ed armonici di Walter, ma non impedisce che il gioV1ane Hbero c:~nto di questi ragg<iung:a altezze non prima raggiunte). La S.d.N. od aveva la forza di farci la guer11a per costringerci ad uscixe dall'AbissiniJa, o non aveva tale forza ed in tale caso doveva cessa:re immediatamente dalle samìioni per non perpetuare una si,tuazione europea che ad ·ogni istante poteva divenire tr,~gioa. Egli oome era stato oonvinto (vedi tutte mie precedenti conversazioni con Karakhan) dell'errore iniziale commesso da Ginevra che si poneva ciecamente contro una anche troppo evidente realtà, così era più che mai persuaso adesso della necessità di abo.Ure senza ritardo le sanzioni. Poiché si sarebbe recato fll"a pochi giorni a Mosca, lo direbbe senza ritegno a Litvinov.

Ha poi aggiunto che era importante sapere quale sall"ebbe stata la nostra attitudillle verso la Germania allorchè le s·anzioni sarebbero state tolte, se doè avremmo collabo,rato strettamente in un fronte :anti-germanico.

Gli ho ri!sposto che i Sov·i·et erano forse la sola grande Potenza capace di una politica :indipendente. Avevo la impressione che a Mosca si fosse persuasi dell'erro.re commesso, si poteva quindi colà fare macchina indi'etra indipendentemente da qualsiasi altro avviso. Quanto a congiunge1re levata delle sanzioni e nostra attitudine nettamente antigermanica, non mi pareva posSlibile legare le due situazi!oni. Già non ero competente a dargli alcuna ·ri,sposta in proposito che troppo esorbitava dal ·raggio del mio esame, ma a titolo personale potevo dirgli che era anzitutto lui, spirito realistico, che poteva darsi la 'risposta esaminando la immutabile posiz,ione rispettiva i:talo-germanic:a e le risorse tedesche, le tendenze espansioniste hitleriane, la storia 1recente della nostra politica specie dopo l'assassinio di Dollfuss. Di queste posizioni essenziali nulla era mutato. Rispetto ad una sua seconda domanda corolla.ria se cioè qualunque spinta espansionista germanica in qualsiasi d1rez·ione ci avrebbe egualmente colpito e ci avrebbe quindi fatto trovare pronti alla opposizione, dovevo fargli ·rilevare che, a mio giudizio, fra presenza della Germania sul Brennero e la preminenza politico-economica della Germania nel bacino del Danubio, o sul Mar Nero con !'·associata Polonia, non vedevo sostanziale differenza. Comunque era problema che il Governo fascista avrebbe esaminato con maggiore chiarezza quando una situazione normale fosse ristabilita, anzitutto con il toglimento deHe sanzioni. Ma c1ò mi conduceva a fargli considerare la minaccia che veniva invece ai Soviet dal riarmo degli Stretti. Se 1a nuova politica inglese perseguiva appoggi•ando il riall"mo, una ftna.lità a;ntitaliana, ve ne era anche una netta antisovietica. Ed il pericolo di eventualità

dii una utilizzazione della chiusura degli Stretti in senso ostile a Roma od a Mosca doveva essere tanto più esaminata in quanto la politica turca accennava precise velleità di indipendenza dalla sovietica. Così come eravi un marcato flirt con l'Inghilterra, così la influenza germanica si trovava in quotidiano aumento. Ne potevano derivare sorprese che avrebbero colpito gli impreparati o gli ingenui.

Era mia opinione che i Soviet avessero acceduto con troppa fretta alla domanda turca, cioè senza valutarne tutti i possibili danni. Forse Mosca si era illusa che l'accordo con Londra fosse più durevole di quanto stava accadendo, mentre ftno dal primo momento esso mi era apparso senza esitazione alcuna contingente e di breve dmata.

Karakhan mi ha ·risposto che ero 1n gram parte nel vero. Certamente l'Inghilterra oltre eventuaH non lontanissime finalità antitaliane, ne perseguiva di più remote anti-sovietiche. Così come egli si e,ra sempre preoccupato del costante accrescersi della influenza germanica, così ora di quella britannic,a. Però la forza sovietica alle spalle della Turchia, e tanto militarmente schiacC'iante rispetto alle forze militari turche, garantiva che difficilmente i turchi potessero in ultima analisi seguire politica diversa da quella voluta da Mosca. La crescente influenza inglese era in primo luogo in funzione del timore dell'Italia, diminuirebbe se questo timore diminuisse. Per calmare le apprensiond turche, e distaccrure quindi la Turchia dell'Inghilterra, come poi per ·tenerla in 'rispetto da una possibile maggiore evoluzione verso la Germania, la politica italiana aveva mezzi concomitanti e concordanti con quella sovietica.

Due e1rano tali poss·ibilità: Patto Mediterraneo, nostra attitudine ,ffispetto agli Stretti. Era l'Italia disposta ad entrare in un Patto Mediterraneo di mutua assistenza? Quale l'attitudine italiana nella questione degli Stretti? Non si sarebbe verificato nessun contrasto fra i firmatari della Convenzione del 23 quanto alla rimilitarizzazione delle zone, ma ve ne sarebbe stato invece vivissimo circa il .mgime del passaggio delle navi da guerm. I punti di vista britannico e sovietico eramo per questo punto in aperta opposizione. L'Italia quale appoggerebbe? Ed ha poi lungamente sviluppata la tesi secondo la quale a suo avviso conveniva all'Italia la chiusura degli Stretti alle navi da guerra, e sostenuto poi che se l'Italia aderisse o megl:io ancora si facesse promotrice, di un Patto Mediterraneo generale, la Turchia allenterebbe i suoi legami con Londm. Ha concluso che vi erano molti punti di contatto fra le politiche italiana e

sovietica, si poteva quind:i trovwre una Hnea concordata e comune.

Gli ho risposto che per ogni problema po1itico diplomatico che per un qualsiasi aspetto di una nostra collaborazione eu11opea potesse venire in discussione finchè fossimo sanzionati era ovvio che sarebbe stato difficile adotta,re altra posizione da quella assunta per i nostri obblighi locarniani.

Quando poi tale situazione cessasse non sapevo davvero quale sa•rebbe stato il pensiero di S. E. il Oapo del Governo al riguwrdo. Con la Turchia non avevamo da ·esaminare soltanto la sua posizione di sanzionista ma anche altri punti, poichè non c'era davvero di che rallegmrci dell'attitudine turca verso di noi. E gli ho esposto in dettaglio tutte le nostre ragioni di dogHanza: sanzioni, adesione alla domanda ,inglese per il punto 3 dell'art. l, presenza di ufficiali inglesi, attitudine ostile della stampa e della opinione pubblic,a, nessuna volontà del Gove,rno di modificar,la etc etc. Non ,sapevo quindi che ne sarebbe uscito domani. Doveva se mai spettare alla Turchia, che non aveva mai tenuto conto un istante del Patto di amicizia (l) con noi di mostrare che se ne ricordava. Non potevasi parlare di gesto spettante in primo luogo ad uno Stato forte verso un debole, come egli affermava.

Di Patto del Mediterraneo Orientale si era parlato, come egli ben sapeva, 1o scorso anno. Se non si era concluso, non era colpa nostra, ma della Turchta che aveva di troppo voluto allargare il te11reno del progettato accordo. Da allora la situazione avev,a avuto inattesi sviluppi. La s,ituazione mediterranea era mutata e vi entravano come fattori principali in primo luogo le grandi Potenze. Potevo soltanto riferirmi alla dichiarazione finale fatta da S. E. Grandi a Londra il 25 marzo (vedi mio telespresso n. 687/281 del 31 marzo u.s.) (2)

Ce che aveva allora fatto tanto piacere ad Ismet ed Aras che però se ne erano già dimenticati) ed alla recente intervista di S. E. il Capo del Governo con Ward Price (3).

Per gH Stretti comprendevo che anche con nostra opposizione tacita od espre,ssa, o con semplice posizione di osservatori, le zone s1 sarebbero probabilmente ed egualmente rimilitarizzate. ODrca la questione della comp1erta chiusura degli Stretti al passaggio di navi da guerra (meno cas.t singoli specificati come visite di cortesia, facilitazioni per Romania, Bulgaria ecc.), non avevo ancora un'idea chiara di quale fosse il preciso nostro interesse. Vedevo soltanto che per noi, come per i Soviet, i rispettivi ~rapporti commerciali dovevano essere al s,icuro da qualsiasi colpo di testa dei turchi per influenza e suggestione altrui. Se quindi si fosse venuti alla convinzione che la tesi sovi,etica coincidesse con il nostro interesse avrei voluto sapere, a tìtolo personale e per pura curiosità, se egli rliteneva che i Soviet sarebbero stati disposti ad un accordo che garantisse in ogni caso e con ogni mezzo la nspettiva libertà dei traffici in qualsiasi possibile evenienza e contro ogni poss·ibile coalizione sotto qualsiasi spec·ie potesse essa mai presentarsi, anche se societa.ria. In questo caso, e sempre ripetendo che era semplice mia c.urios,ità, il punto di vista sovietico avrebbe dovuto essere seriamente considerato.

Karakhan mi ha risposto anche egli a titolo personale che un tale accordo non gli sembrava impossibile, avrebbe dovuto però intervenirvi anche la Turchia, per non dare impressione ad Ankara di concludere alcunchè di apparenza antiturca. Anzi, egli ·riteneva, che un accordo di tal genere, porrebbe la Turchia in situazione di avere molta minore nociva libertà di movimento che J,a attuale. E Karakhan vedeva anche un accnrdo più largo su ogni questione di maggiore interesse.

La conversazione con Karakhan è stata franca e cordiale. Nei rapporti che ho con lui sempre più confidenti, egli si .rivela da quel gran rivoluzionario che è, anche 1un politico di un pratico realismo e di una rnpida percezione delle situa~ioni del tutto staccate da ogni pregiudizio teorico.

Concludo:

a) È sensazione generale la rinnovata acuta ·inquietudine turca nei nostri riguardi. In Turchia (e non solo in Turchia) si crede fermamente che alla generazione del fascismo è affidato un formidabile compito storico. La conquista dell'Impero abissino non è che una prima tappa, mentre la imponente forza dimostrata in Mediterraneo di fronte alla insospettata debolezza inglese appare destinata a dare altri effetti ,tn occas•ioni non lontane.

b) Si fa in Tmchia appeLlo alla riscossa inglese e ci si cuna quanto p~ù possibile nella speranza di una .rivincita britannica, deplorandosi rin pM'i tempo la fiacchezza e la tncertezza f11ancese che ha permesso l'àncontrastato trionfo italiano.

c) Un tranquillizzarsi delle apprensioni non potrà verificarsi che allorchè la Turchia si sentirà più sicura e più munita di quello che è ogg.i. Alla sua sicur.ezza man0a 11 .ria·rmo degli Stretti, come la garanzta politica mediterranea.

d) Perciò la affrettata decisione di revisione della Convenzione del 1923 per quanto riguarda il riarmo delle ~one e l'affannoso agita.rsi odie.rno di .AJras (sotto impaziente pressione di Atattirk e di Ismet) per una rapida conclusione di un P·atto Mediterra.neo di garanzia reciproca, nel quale 1a Turchia sia natult'almente compresa.

e) La volontà di .rirurmo degli Stretti come difesa da presunte minaccde itaHane, specie dell'aviazione, coincide nettamente con le finalità britanniche le quali hanno sperato obiettivo di chiudere un giorno all'Italia 1a sua terza via di rifornimenti.

f) Ma la mutata politica britannica per il ·riarmo delle zone male nasconde anche una finalità più remota antisovietica.

g) La quale appal'e chiaramente anche alla vigilanza di Mosca, che .considerando la scarsa vo1ontà antige,rmanica di Londra, unita al costante aumento di influenza germanica, non esclude che ad un determinato momento i due interessi possamo coincidere, ed utiolizzare il riarmo degli Stretti .contro ~ Soviet.

h) Perciò la tempomnea contingente azione comune anglo sovietica sotto specie societ8!ria, contro l'Italia, la quale nel pensiero sovietico doveva creare un precedente antigermanico, è prossima alla fine o già finita. Nè poteva essere differentemente come in ogni possibile occasione ho costantemente affermato.

i) Sicchè può nascere a Mosca il desiderio di cercare una linea comune con noi per la questione degLi Stretti, guardandosi in par•i tempo con favore ad um Patto Mediterraneo, che come ha giustamente osservato Karakhan

diminuirebbe certo in Turchia la necessità dell'appoggio inglese. Si parerebbe così alle due possibili minaccie: germanica e britannica.

l) Al passaggio libero attraverso gli Stretti siamo interessati in fatto ed in dtritto più di qualsiasi altra Potenza mediter,ranea.

m) Ma tale passaggio è comunque minacciato seppure in grado diverso, sia che le zone siano arma,te permanentemente oppure con mezzi campali. Il nostro interesse è petrtanto ed anzitutto quello di assicumrci il passaggto attraverso gli Stretti per i nostri rifornimenti in Mrur Nero ed d:n qualsiasi ,eventualità e combinazione poldtica o diplomatica, ce'rcrundo di parare a quelle combinaz;ioni che possono far chiudere gli Stretti oontro di noi.

n) La via per assicurarci tale sicurezza di passaggio come mi sono permesso di affermare già nel mio rapporto n. 845/358 del 22 aprile u.s. {l) passa indubbiamente ed unicamente per Mosca.

o) Se quindi Patto mediterraneo (sia subito detto che un Patto mediterraneo unicamente italo-franco-tnglese susc~iterebbe ~in Turchia ~e ~non s~oltanto in Tur,chia, le stesse identiche opposizioni che il Patto a Quattro e aumenterebbe la psicosi 'antiitalia;na) e nostra ~siclllrezza di passaggio pe~r gli Stretti sono due aspetti di un medesimo problema logistico-strategico, sembra subordinatamente a me da quanto esposto che quel1o degli Stretti sia condizionato ad un possibile ed ampio accordo con Mosca, la qua~e vuo1e la chiusu;ra alle naw da guerra anche perchè la debole flotta sovietica del Mar Nero, non ha .alcun mezzo di difesa contro qualsiasi flotta mediterranea, anzitutto la britannica.

p) Ciò non esclude la sicurezza dei rapporti commerciali marittimi italobulg,ari, ed italo-rumerui., runzi dovrebbe meglio garantirla.

q) È ovvio che la eventualità di ogni accnrdo di tal genere è connessa strettamente alla ripresa di una nostra attività collaboratrtce i:n Europa a soluzione avvenuta del problema sanzionistico e riconoscimento del nostro Impero abissino.

(l) -Atto generale per gli affari del Marocco del 7 aprile 1906 (vedi Trattati e convenzioni, vol. XVIII, pp. 283-331). (2) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (l) -Vedi p. 16, nota 2. (2) -Non pubblicato. (l) -Vedi p. 96, nota 2.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 2397/273 R. (2). Roma, 27 maggio 1936, ore 1.

Puoi comunicare a Va~nsittart, senza anda,rlo a cercare di proposito, che tua conversazione con lui (3) la considero soddisfacente quale inizio dell'inevitabile raddrizzamento della situazione nei rapporti itala-inglesi.

(l) -Non pubblicato. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi D. 91.
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IL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5106/58 R. Montevideo, 27 maggio 1936, ore 17,51 (per. ore 1,45 del 28).

Telegramma di V. E. n. 48 (1).

I giornali pubblicano testo ufficiale della risposta data dal presidente della Repubblica ai delegati del Congresso degli amici d'Italia di cui al mio telegramma n. 57 (2). Dopo aver ricordato la necessità in cui Uruguay si trovò di

aderire alle decisioni di Ginevra reLative al conflitto italo-etiopico, il signor 'I1erra ha sogg,iunto: «Cessata la guerrra, le sanzioni non hanno più ragione di essere, sopratutto per i Paesi lontani dal teatro degli avvenimenti e che, come Uruguay, si vedono pregiudicati nel loro commercio com l'Italia, che è stata sempre una fra le migliori compratrici dei suoi prodotti. Ma al di là degH interessi materiali, c'è, nella politica del Governo uruguayano, il desiderio di manifestare la sua invariabile simpatia all'Italia ». Nella seconda parte del suo discorso, presidente della Repubblica ha detto che Uruguay considera l'Italia orgoglio della razza latina senza preoccuparsi delle forme di Governo che la reggono ed ha soggiunto che il fascismo non potrebbe avere la sua applicazione in questo Paese, che ha tradizioni repubblicane e democratiche, mentre l'Italia le ha monarchiche e imperiali. Concludendo, ha ricnrdato la sua permanenza a Roma durante il periodo della guer,ra ed ha affermato la sua simpatia agli italiani dell'Uruguay ed ai loro discendenti che troveranno sempre nella sua casa di governante e di cittadino la loro stessa casa.

Ho avuto stamane un lungo colloquio col signor Terra. Egli mi ha detto che la seconda parte del suo discorso obbedisce a necessità politica interna. Infatti, caposaldo delle opposizioni, che stanno concretando un f:ronte unico, è l'accusa di filo-fascismo al suo Governo. Egli ha soggi,unto che sono state scoperte delle cellule comuniste nelle file dell'e,sercito e che si teme da un girorno all'altro uno sciopero generale con carattere ~rivoluz,iona'rio. Nei :nos,tri confronti ha rinnovato il suo fermo proposito di mantenere la politica del suo Governo favorevole all'Italia, di cui riconosce tutte le ragiorni, e mi ha assicurato che, non appena saranno dissipate le preoccupa:?Jioni di politica interna, sarà Lieto di fare seguire alle parole i fatti e di fare dichiarazione pubblica analoga a quella del presidente Alessandri. Concludendo il colloquio, improntato a grande sincerità, il presidente della Repubblica mi ha detto: «Sino ad oggi ho fatto quanto mi avete chiesto. Siate certi che contirnuerò su questa via ».

Il quotidiano El Pueblo, organo personale del signor Terra, commentando il discorso di ieri pone in rilievo la volontà del presidente di cementare sempre

più i vincoli di amicizia fra i due Paesi, quando «in termini precisi, chiari ed 1nequivocabili ha evocato l'Italia illustre del passato e quella vigorosa e costruttrice del presente ».

(l) -T. 5634/48 P.R. del 25 maggio, ore 19. Vi si auspicava che i governi sudamericani esprimessero in modo più accentuato le loro critiche all'operato della S.d.N. Il ministro Mazzol!ni era stato incaricato di prospettare al presidente uruguayano Terra l'opportunità che egli esprimesse pubblicamente la sua posizione favorevole all'abolizione delle sanzioni come già aveva fatto il presidente del Cile, Alessandri. (2) -T. 4478/57 P.R. del 26 maggio, ore 17, non pubblicato.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY

T. 5755/70 P. R. (1). Roma, 27 maggio 1936, ore 13.

Malgmdo ilichiarazioni Van Zeeland di cui al rapporto di V. E. n. 039 (2) sono perfettamente convinto che egli non fa,rà nulla.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE PER CORRIERE 0352. Londra, 27 maggio 1936 (3).

I:eri nel pomeriggio Vansittart mi ha telefonato pregandomi di passare da lui non appena possibile.

Egli mi ha detto che il resoconto da lui fatto sul nostro colloquio di g1iovedì scorso, 21 maggio (4), era stato attentamente letto da Baldwin, da Eden, e dai membri più influenti del Gabinetto, i quali tutti l'avevano giudicato del più g,rande interesse ed importanza. Vansittart mi ha aggiunto confiden!liialmente che Eden gli aveva fatto presente un certo personale rincrescdmento perchè io avevo interrotto praticamente i miei contatti personali con lui, e non avevo fatto a lui personalmente le dichia~razioni fatte a Vansittart. «Io ritengo -ha continuato Vansittart -che sia utile una vostra ,ripresa dì. contatti amichevoli e framchi con Eden, perchè ciò faciliterà senza dubbto lo svolgersi deUa situazLone. Eden mi ha detto di di,rvi che egli desidera sinceramente di vedervi e di avere con voi uno scambio di idee ampio e generale sulle stesse linee di quello che noi due abbiamo avuto giovedì scorso. Ritengo che sarebbe utile che voi lo vedeste domani stesso prima della riunione del Gabinetto, in modo che egli sia costretto a riferire ufficialmente ,e diir,ettamente al Gabinetto il contenuto del suo colloquio con l'ambasciatore d'Italia. I casi -ha continuato Vansittart -sono due: ,o Eden entrerà nella Hnea politica che noi ci auguriamo, e allma tanto meg.1io pe'r tutti. O Eden non entrerà e allom è nec,essaT11o che egli sia messo davanti ,ad una responsabilità def1nita e precisa, e non

14 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

possa nascondersi dietro il pretesto che il rappresentante dell'Italia ha limitato i suoi scambi di idee col sottosegretario permanente e coi leaders della politica interna britannica su un problema così importante come quello dei futuri rapporti coll'Italia. È supe~rfluo inoltre aggiungere che tutti in Inghi:ltel'ra conoscono le mie idee, e i mie:i rapporti personali con voi. Bisogna che Eden abbia direttamente un quadro completo e dettagliato della posizione italLana e della situazione, in modo da impedir~e che eventualmente si parli di una congiura Grandi-Vamsittart, come alla f,ine di novembre 1935 ~al tempo del piamo Hoare-Lava;l ».

Ho risposto a VansittMt che io non avevo nessuna difficoltà a vedere e a ripetere a Eden quello ,che avevo detto a lui Vansittart, il che del resto non era se non una ripetizione letterale delle dichia;razioni scritte e pubblicate del Duce. Se non mi ero fatto pa;rte dilig·ente e se non avevo mostrato alcun desiderio di vedere Eden, è perchè ~itenevo Eden tuttora prigioni~ero di una s1tua2Jione politica e psicologica superata dai fatti e non ancora «maturo » nel complesso a intendere la nuov~a realtà.

V:ansittart ha voluto telefonare egli stesso a Eden me presente, ed abbiamo insieme fissato H colloquio per domani alle ore 11,30.

Abbiamo quindi ripreso con Vansittart ad esaminare la situazione generale. Ho comunicato a Vansittart il contenuto del telegramma del Duce n. 273 di ieri (1). Ho aggiunto che la decongestione e la distensione nei rapporti italobritamnici, innegabilmente visibile alla frine della settimana scorsa aveva, a md:o avviso, subito un a-rresto in questi giorni, e che un certo deterioramento si era verificato in seguito alle notizie del viaggio di Tafari a Londra e alla risposta data da Eden ai Comuni lunedì ~scorso, 25 maggio, sulla questione del ritiro della compagnia dei Sikhs da Addis Abeba. Ho detto a Vansittart che avevo preso atto del comunicato ufficioso diramato dal Foreign Office, la sera stessa del nostro colloquio di lunedì, 25 maggio (2), circa la natura del viaggio di Tafari a Londra, ·e delle istruzioni che mi risultava;no erano state, dietro suo ordine, date :alla stampa britarmi.ca per ridmre :al minimo le notizie di cronaca sul viaggio di Tafari e scoraggiare le iniziative dei sanzionisti. Ciò avrebbe fatto buona impressione in Italia. Ma la fil'ase di Eden: « The situation at Addis Abeba is far from being stable » (3) mi aveva penosamente colpito e non avrebbe mancato di aver sgradevoli ripercussioni in Italia. È vero che la traduzione letterale della parola « stable » non corrisponde al significato che essa ha in inglese. Ma è fuori dubbio che 1a frase è infelice pe:rchè si presta a dubbie interpretazioni, e Eden avrebbe dovuto evita-rla. Tanto più che ~essa è in contrasto coU'accmatezza dell'altra 'r'i,sposta documentaria le:tta da Eden sul caso Bonner (4) che io considero soddisfacente. Ho inoltre attirato l'attenzione di Vansittart sul discorso pronunciato oggi stesso dall'arcivescovo di Canterbury (5) che, a par:te un'assoluta mancanza di dignità, il che non è affare mio giudicare,

rivelava una premeditata volontà di turbare questo processo graduale di raddrizzamento dell'atmosfera politica fra a due Pae·si.

Vansittart mi ha :risposto che del mio passo di lunedi scorso, 25 maggio, egli si era ampiamente valso per richiamare l'attenzione di Baldwin sulla gmvità del problema del V'iaggio dell'ex-Negus a Londra 'e che egli aveva potuto convincere il Gabinetto della necessità di fare di .tutto pe·r evitare che da questa malaugurata pr'esenza dell'ex-Negus a Londra non fosse per ri,sultare un ulteriore deterioramento dei rapporti itala-britannici. «Il Governo britannico -ha continuato Vanffittart -ha fatto di tutto per evitare questo viaggio del Negus, il quale è in diretta comunicazione coi leaders sanzionisti inglesi e non ha voluto saperne delle nostre formali mccomandazioni, per convincerlo a non fare questo viaggio. Poteva il Governo bmtannico .impedirlo materialmente? Sì: ma ciò avrebbe fatto di Tafari un martire, senza vantaggio per nessuno, e ciò av;rebbe 'rigalvanizzato il sanzionismo. Come voi potete ·immaginal'e, H primo ad essere seccato ed imbarazzato da tutto ciò è proprio il Governo britannico. Come la Francia è il tmdizionale 'asilo degli agitatori e dei ribelli, Londra è il tradizionale asilo deà. re spodestati. Nod stiamo fac,endo di tutto per 'ridurre que,sto fatto al minimo possibile ma -ha .continuato Vansittart -io resto tuttav.ia preoccupato perchè sarà 1mpossà.bile evitare, quando l'ex-Negus sarà a Londra, che le femmine fanatiche e i preti isterici della League oj Nations Union non ne approfittino per inscenare qualche dimostrazione 1nconsiderata. Bisogna prepararsi 'a ciò, ed io vorrei pregarvi di insistere presso il Duce a non darvi importanza. Non dobbiamo fare il gioco dei nostr-i avversari eomurri, dentro e fuori deU'Inghilterma ».

Cima la f.mse incidentaie dii Eden: «The situation is far from being stable in Addis Abeba», Vansittart ha detto .che io avevo torto di attribuire ad essa un 'significato diverso di quello che in realtà essa aveva. « Ammetto, anzi, sono d'accordo con voi nel èl'iconoscere che Eden av~rebbe potuto usare delle parole più accurate e felici, ma non vi è dubbio che egli voleva dire esattamente non più di quello che io vi ho detto nel nostro colioquio di giovedì 8corso. Eden non intendeva assolutamente alludere al « fatto compiuto » della conquista italiana e della sovranità italiana in Etiopia, che è fuori discussione ormai, o a possibili torbidi intevni in Etiopia. Egli intendeva soltanto ,rifer,irffi a possibiUtà di incidenti individuali, e nulla più. Il problema del ritiro della compagnia di Sà.khs da Addis Abeba ha per noi un'importanza maggiore di quella che non abbia per voi la temporanea permanenza di questo reparto il quale, vi ho detto e vi ripeto, sarà ritirato. Non è la protezione di sudditi britannici in Addis Abeba, bensì il [1itorno in Indi'a di questi soldati indiani, d quali appariranno in India come 1a testimonianza della sconfitta della politiea britanmca in Abissinia e del colpo dato al nostro p11estigio. Sir Sydney Barton parti·rà presto in congedo. Nel frattempo, la situazione interna migliorerà. Dateci un po' di tempo e tutto adagio, adagio si accomoderà ».

Vansittart mi ha a questo punto dato visione di risposte preparate dal Foreign Offiee a intervogazioni che saranno ·rivolte stase.ra a Eden sul viaggio del Negus e al ministro delle Colonie Mac Donald, circa la responsabilità italiana negli avvenimenti della Palestina. «Come vedete, se Eden 'Tisponderà,

come io spero, sulle linee del documento preprurato dal Fo["eign Office, le dichiarazioni del Governo britannico circa il viaggio del Negus a Londra e c~irca gli avvenimenti di Pa1estina, non potrebbe,ro essere più nette, più categodche e più soddisfacenti per l'Italia ».

Per quanto riguarda il discorso dell'arcivescovo di Canterbury, Vansittart non l'aveva ancora letto, ed io gli ho dato il giornale. Ho aggiunto che era per lo meno curioso di constatare come, mentre nella stampa italiana dal g1iorno delLa conquista definitiva dell'Abissinia e della proclamazione dell'Impero si era evitato e si evitava accuratamente qualsiasi accenno al grave insuccesso britannico di fronte all'Italia, da parte inglese si mrunifestava una specie di « sadismo » vero e proprio e sempre crescente nel proclamare l'umiliazione e la sconfitta del GoV'erno britannico di fronte all'Italia. Non parlavo dei giornali di opposizione, ma dello stesso primo ministro Baldwin, il quale in tutti i suoi discorsi continuava a parlare di ~sconfitta e di stato di umiliazione senza precedenti dell'Inghilterra. E il deputato Spears, autorevole leader della maggioranza, il quale parla dello « schiaffo sulla faccia che Mussolini ci ha da,to ». E oggi l'arcivescovo di Canterbury il quale riprendendo la frase di Baldwin dice: «lo stato di umiliazione in cui ci troviamo l'umiliazione della nostra impotenza ». Probabilmente -ho ripetuto -ciò è soltanto un effetto di sadismo democmtico. Ma quaLcuno ha tuttavia il diritto di chiedersi se ciò non nasconda invece la volontà di eccitare il punto più sensibile della psicologia britannica e mantenere nell'animo popolare uno stato acuto di eccitamento anti-~italLano in modo da farlo diventare come una malattia cronica. Da molte parti si scrive, e si dice apertamente -ho continuato -che l'Inghilterra deve considerare ormai l'Italia come la Potenza nemica n. l e che una volta raggiunto uno ,stato di armamento sufficiente, la paTtita dovrà ~essere ripresa a fondo contro l'Italia nel Mediterraneo. Tutto ciò non può mancEI!re di produrre in Italia, dove ~e antenne della sensibilità politica sono rapide, degli effetti sgradevoli e delle reazioni conseguenti ».

Vansittart mi ha risposto dicendo di riconoscere che la stampa italiana è stata perfetta in queste ultime settimane. Lo dimostra il fatto che la stampa sanzionista inglese non è riuscita se non a riprodurre, dandovi naturalmente uno s~oporzionato Tilievo, una cor~rispondenza assai infeHce da Gerusalemme sul Corriere della Sera, e una altrettanto infelice cornspondenza da Londra sullo stesso Corriere della Sera. Circa il discorso dell'arcivescovo di Canterbury, Vansittart lo ha criticato aspramente più come inglese che come capo del Foreign Office. «L'arcivescovo di Canterbury e il clero anglicano sono diventati ormai una delle piaghe più pericolose per la politica interna ed estera britannica». «Io vorrei scong,iurare il Duce di non· dare assolutamente importanza a queste manifestazioni postume del sanzionismo britannico. Quando, tra qualche anno, l'Inghilterra ~sarà armata e in grado di sostenere qualsiasi urto in mare, in terra, in cielo, l'arcivescovo di Canterbury, almeno è sperabile, sarà morto, e se sarà vivo sarà costretto a rammaricarsi acerbamente di avere pronunciato queste parole che, come voi pittorescamente dite, altro non sono che il f'rutto del sadismo della democrazia. L'Europa dovrà fra breve affrontare probLemi così gravi e così importrunti per cui Inghilterra

e Italia si domanderanno perché hanno perduto tanto tempo pregioso. Nelr,anno 1936 si apre un nuovo capitolo per l'Europa. Sono d'accordo con voi che non bisogna parlare del Fronte di Stresa. Il nome è ormai anacronistico. Il mito di Stresa è ormai sciupato. Bisogna trovare una nuova forma, una nuova etichetta, ma r1l fatto ~resta. Bisogna costituire, anzi, ,ricostituire il fronte unico ranglo-italo-francese. Questo è l'essenzia,le. Bi~sogna superare coraggiosamente tutti gli stati d'animo e dimenticare gli avvenimenti politici di questo anno disg,ra21iato e procedere oltre, prima che la tempesta ci sorprenda tutti insteme disuniti e disorganizzati. Purtroppo la lentezza nell'affermre la nuova situazione e le nuove necessità è uno svantaggio grave per la politica britannica e per la politica europea. Ma dite al Duce che io lo scongiuro di non soffermars-i sulle manifestaz,ioni episodiche e postume del sanzionismo britannico. Il proc,esso del raddrizzamento della politica britannica sarà lungo, pesante e difficile. Non c'è dubbio. Ma la decong~estione è già cominctata. Bisogna a,rma:rsi di pazienza e di tempo e :aiutrure questo processo di dec.ongestione. Io vorrei che la stampa ttaHana dimenticasse per un po' di tempo che esiste l'Inghilterra. L'Italia fascista non ha soltanto vinto, ha stravinto. Non deve fare ,l'errore di segutre coloro che i:n Inghilterra vogliono e hanno interesse a ma,ntenere accesa la polemica itala-britannica. Il tempo è un'elemento essenziale per questo popolo inglese che è paradossale e diverso da tutti gli altri. L'umiliazione per la Gran Bretagna è stata grande, non c'è che dire, e digel'ire ciò, tutto in un colpo, è diff~cile. Aggiungete che l'Impero britannico ha avuto attraverso la questione etiopica una scossa tutt'altro che trascurabile. Non si tratta soltanto di r:addll"izzare la politica estera britannica, ma di rimediare e parrure le conseguenze dei nostri error~ nei tessuti delicati e tutt'altro che sani del nostro organismo imperiale. Non parlo del1a nostra situazione politica interna che voi conoscete quanto me. Quello che è stato fatto in questi giorni, e che sarà fatto domani fm voi e Eden è già moltissimo, e cioè 8tabilisce un contatto formale ed amichevole fra i due Governi, un nuovo punto di paTtenza per amichevoli e dirette discussioni fra l'Italia e l'Inghilterra ».

Ho replicato a Vansittart che il Duce non aveva certamente perduto tempo per questo. Nello stesso momento in cui Egli annunciava al popolo italiano e ~al mondo la proclamazione dell'Impero, Egli aveva chiMamente fatto intendere nei suoi discorsi del 5 (l) e del 9 maggio (2), nell'intervista al Daily Mail (3), e in quelle successive date al Matin (4), all'Intransigeant, quale era il Suo pensiero e i Suoi propositi circa i futuri rapporti itala-britannici. Non si può d'altra ~arte pensare che l'Italia possa disarmare spiritualmente quando ancora è in atto la macchina ginevrina delle sanzioni, e cioè uno stato vero e proprio di guerra di fatto tuttora funzionante contro l'Italia. Il 16 giugno è vicino. Che cosa l'Inghilterra intende fare a Ginevra? Qual'è la posizione che assumerà la Gran Bretagna? Vi sono due problemi, il primo riguarda !:atmosfera

politica fra i nostri due Paesi, ma il secondo investe le rispettive posizioni politiche e diplomatiche dei nostri due Governi nelle prossime settimane.

V:ansittrurt mi ha risposto dicendo che i discorsi del Duce del 5 e 9 maggio e le interviste da lui date successivamente a giornali inglesi e francesi avevano contribuito enormemente al migli-oramento della situazione politica e psicolog1·Ca tra l'Italia e l'Inghilterrra. «Se non che -ha continuato V:ansittart, voi sapete qual'è l'esatta situazione del Daily Mail in Inghilterra. Il Dvily Mail ha una notevole importanza come organo dell'opinione pubblica britannica, ma è sempre stato un acerrimo nemico del Governo. È impossibile toglie,re al Governo britannico la sensazione che il Duce parlando attraverso il Daily Mail ha voluto deLiberatamente servirsi di un giornale avversa;rio del Governo e nuocere ana sua poLitica nel Paese. Inoltre, come voi sapete meglio di me, il Governo è diviso in due cor,renti distinte, l'una per un accordo rapido coll'Italia e l'altra in senso contrario. È sempre facile per quest'ultima ·Cor·rente di dire che le dichiamzioni pubbliche del Duce hanno una grande importanza, ma non costituiscono un documento politico e diplomatico fra Governo e Governo.

Occorre creare un punto di partenza e un formale contatto diplomatico e politico tra Londra e Roma, tra Governo britannieo e Gove,rno italiano. Questa è, per ora, la necessi,tà preliminare e indispensabile».

Ho risposto a Vansittart .che mi risultava che U Duce aveva lìicevuto il redattore politico del Daily Telegraph e aveva fatto al Daily Telegraph delle importanti dichiarazioni poLitiche che ~sarebbero state probabHmente pubblicate domani dal giornale conservatore di destra Cl). Circa la ripresa dei contatti formali e ufficiali tra Governo italiano e Governo bil'itannico le i~struzionl che avevo avute dal Duce a Roma erano nel senso indicato da Vansittart. Senza parlare di iniziative ufficiali da parte italiana, le mie istruzioni erano di rappresentare al Governo britannico il pensiero del Duce secondo Je linee delle sue pubbliche dichiarazioni. Questo io avevo fatto nei nostri colloqui precedenti con lui e questo mi ripromettevo di fare domani con Eden.

Vansittart è stato assa1i lieto di sapere che il Duce avrebbe fatto delle importanti dichiarazioni al Daily Telegraph. « Son certo che l'intervista del Duce al Daily Telegraph avrà una impmtanza effettiva nel miglioramento dei il'appOil'ti italo-brita;nnici e nello svciluppo ulteriore degli avvenimenti politici tra i nostri due Paesi. Ciil'ca quello che avverrà il 16 giugno a Ginevra, il Gabinetto non ha ancora preso una linea di condotta. La situazione del Gabinetto di Baldwin voi la conoscete come la conosco io. Il 16 giugno è forse troppo vicino perchè il Governo brita;nnico possa trovare H coraggio necessario ad un gesto, qua1e io me lo auguro, e quale io vorrei. Che cosa può succedere il 16 giugno a Ginevra? Rafforzamento delle sanzioni? Non è neppure il caso di parlarne. Revoca assoluta delle sanzioni? Mi sembra che la situazione, a meno che qualche cosa di importante e di impreveduto accada nei prossimi quindici giorni, non è ancora matura per ciò. Ci stiamo avvicinando a questo, ma non siamo ancora giunti al traguardo. L'attegg,iamento dei Paesi dell'Ame

rica Latina è importante senza dubbio, ma non ancora di valore assoluto e determinante. Che cosa vuole effettivamente la Francia? Blum è tuttora un mistero; la Francia è ermetica. La Piccola Intesa è favorevole alla revoca delle sanZJi·oni, ma aspetta che l'iniziativa parta da una Grande Potenza europea. In que•ste condizioni è da prevedersi che il 16 giugno non succ.ederà nuna, e che le sanzioni moriranno probabilmente di « C(Jillsunzi:one ~ duflante l'estate. A meno che -Vansittart ha aggiunto -non accada qualche fatto nuovo che dLa una spinta risolutiva nel senso che ormai tutti voflrebbe·ro, ma per il quale nessuno osa, di assumersi la responsabilità di una iniziativa con

creta~.

v.ansittart mi ha di nuovo domandato se avevo notiZJie di quelli che sono

gli umotri e le vere iintenzioni del futuro Gov&no franc•ese.

Ho risposto a Vansittart che nulla sapevo di pr·eciso sull'attitudine francese. Gli confermavo quello che gli avevo già detto nel nostro pre.cedente colloquio. L'Italia non domanda niente. L'attitudine dell'Italia dipende à,nteramente dall'attitudine dei Paesi sanzionisti di Ginevra. Il problema del1a permanenza o dell'abbandono deila Società del1e Na:l)ioni d:a parte dell'Italia d~penderà dal modo come nella prossima >riunione le Potenre sanzioniste di Ginevra tratteranno il delicato problema non soltanto delle sanzioni, ma il pvoblema irrevocabile della costituzione e della proclama:llione dell'Impero italiano 'Ìn Aftfica. Se la questione abissina continuerà a rimanere nell'« agenda» rnon ,rimane all'Italia, ho detto, se non abbandonare, questa volta per sempre, La Socie>tà delle Nazioni, con tutte le consegu:enre che da ciò potranno derivare alla politica futura dell'Europa (1).

(l) -Minuta autografa. (2) -Si tratta del T. per corriere 5025/039 R. del 22 maggio. Van Zeeland aveva sottolineato la necessità che !"Italia tornasse ad occupare il posto che le competeva nel quadro internazionale, così da partecipare alla difesa dell'equilibrio europeo «contro eventuali perturbazioni>> ed aveva dichiarato di volersi adoperare per una riconciliazione dell'Italia con la S.d.N. (3) -Manca l'indicazione del numero di protocollo e della data d'arrivo. (4) -Vedi D. 91. (l) -Vedi D. 112. (2) -Vedi D. 107. (3) -La frase era stata usata da Eden nel rispondere ai Comuni all'interrogazione su l'eventuale ritiro della compagnia dei Sikhs di guardia alla legazione in Addis Abeba. (4) -Il 15 maggio le autorità italiane avevano arrestato a Dire Daua tale Bonner, membro di un'ambulanza britannica, accusandolo di essere al servizio degli abissini. (5) -Si veda in proposito il D. 122. (l) -Vedi p. 97, nota l. (2) -Vedi p. 97, nota 2. (3) -Vedi p. 96, nota 2. (4) -Se ne veda il riassunto in B. MusSOLINI, Opera omnia, vol. XXVIII, p. l.

(l) Cfr. B. MUSSOLINI, Opera omn!a, vol. XXVIII, pp. 5-8.

116

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DELL'U.R.S.S. A ROMA, STEIN

APPUNTO (2). Roma, 27 maggio 1936.

Telegramma per corriere di questo R. Ministero n. 2394/R.C. del 26 corrente (3). '!1rascrivo il :J."Ii:assunto di un colloquio che ho avuto, in data 27 corrente, con questo ambasciatore dell'U.R.S.S.:

L'ambasciatore dei Soviety parte per la Cecoslovacchia dove si trova in questo momento Litwnov. Non ritomerà probabilmente prima della metà di giugno. Il signor Stein, richiamandosi ai colloqui avuti col Barone Aloisi (4), mi espone il suo modo di vedere -si tratta di una sua impressione personale ned riguardi del conflitto itala-etiopico. Ambasciatore 11itiene che, se fino al 16 non si prende nessuna iniziativa, è molto più probabile che ogni que

(-1) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

stione sia rinviata al settembre: quindi anche le sanzioni. Il signor Stein ad ogni modo fa presente che l'U.R.S.S. non potrebbe prendere una decisione isolata nei riguardi dell'abolizione delle sanzioni, indipendentemente da quanto faranno Francia e Inghilterra. Egli ritiene che la questione potrebbe fare un notevole passo innanzi se noi riuscissimo a dare la convinzione agli altru Paesi aderenti a Ginevra del-la nostra buona volontà di co.Ilaborare eon loro sul termno del<l'a sicurezza collettiva ·e della organizzazione deUa pace europea. L'ambasciatore pensa che, per attuare questo programma, si potrebbe ottenere un accordo riservato prima del 16, tra l'Italia da una parte e Russia, Francia, I·nghilterra dall'altra, (Litvinov se ne potrebbe fare U promotore) nel senso che da un lato noi si ottenga l'abbandono delle sanzioni e dall'altro gli altri ottengano un nostro impegno su alcuni punti precisi che potrebbero essere: nostra partecipazione •3!lla sicurezza collettiva, nostro impegno per La difesa dell'indipendenza dell'Austria, nostra ripresa dell'idea del Patto a Quattro, opportunamente allargato, ecc. L'ambasciatore pensa che questa nostra gall'anzia potrebbe essere ottenuta attraverso una risoluzione de,l Consiglio deUa

S.d.N. il che presuppone natuTalmente la nostra pa:r1Je.cipazione alla prossima riunione. Il signor Stein conferma che l'U.R.S.S. non ha nessun interesse né politico, nè economico in Etiopia e che non tende ad altro che ad ottenere una soluzione pacifica del conflitto, partendo dalla realtà della situazione oggli esistente.

Rispondo all'ambasciatore che la sua iniziativa non è priva di interesse e che ad ogni modo si apprezzavano le buone intenzioni dell'U.R.S.S. Vedo però alcune difficoltà che riassumo nei seguenti punti:

l) Bisogna tener conto non solo degli elementi politic·i 'e giuridici, ma anche di quelli psicologici. Ora c'è una fase psicologica da superare. Il popolo italiano, che ha sempre avuto l'impressione ehe le sanzioni abbiano Tappresentato un'ingiustizia contro ntaHa, oggi, dopo la cessazione delle ostilità, le considera un sopruso e un atto di inimicizia. La eondizione prima per venire ad un accordo è quella deLla soppressione delle sanzioni, per la quale l'Italia non desidera dare alcuna contropartita.

2) Non è detto che 1e sanzioni debbano essere levate per far piacere all'Italia; esse non reggono più per i seguenti motivi: a) le sanzioni servivano a far cessare le ostilità, ed oggi le ostilità sono cessate non solo per fatto dell'Italia, ma ~anche per fatto e per dichiaraziotnJi precise del Negus; b) le sanzioni ·Contro l'Ital<i.a dovevano servire come precedente per altri casi 'eventuali; viceversa si è ve·rincato il caso dell'invasione della Renania e ·le sanzioni contro la Germania non sono sta,te appllicate; c) tutti i Paesi, compresa la Gran Bretagna, desiderano 1'abbandono deile ·sanzioni; d) ci troviamo di fronte ad una proposta concreta per l'abbandono delle sanzioni, quella del Cile che sarà discussa tra un paio di settimane in Comitato dai Diciotto. Quindi non è che questione cl!i buona volontà per venire ana levata delle sanzioni aUa prossima riunione di Ginevra in Comitato dei Diciotto o, se necessario, nel Comitato di Coordinamento, che potrà essere convocato immediatamente.

3) Non bisogna chiedere delle contropartite per .Ja levata delle sanzioni: in primo luogo perché nello stJ.to d'animo attuale, sotto la pressione delle sanzioni, noi non siamo disposti a discuteve e a fare de11e concessioni precise; in secondo Luogo perchè le possibilità nel campo di eventuali accolfdi pl'\o-futuro conviene a:iservarle per il momento in cui si presenterà Ia questione più g:rossa della regolamentazione definitiva nel campo internazionale del problema etiopico, anz:ichè sprec.arLe in una questione di metodo e di procedum come è quel1a delle ·sanzioni. Oggi, appunto pe'r l'esistenza delile sanziona, non siamo in g·rado di f,are delle anticipazion<i sul futuro e di dare delle assicurazioni. Domani pe,rò, ~evate le sanzioni, non c'è dubbio che l'atmosfera sarebbe chiarif,icata e .che tante cose che oggi appaiono difficili potrebbero apparire semplificate. I·o mi rendo conto •anche della difficoltà che domani, dopo che gli Stati sanzionisti abbiano dato una effettiva prova di buona volontà col levare le sanzioni, si rivolga;no a noi chiedendo di facilitare loro il compito per quanto riguarda .1a definizione finale della questione etiopica, necessaria per ,riprendere in pieno la collaborazione sul terreno europeo e mondiale. Questo fatto di non voler negoziare oggi per la levata delle sanzioni, non esclude che si possano riconferma;re e rafforzare le dichiarazioni già fatte sulla decisa volontà italiana di vole·r collaborare per il mantenimento della pace in Europa e nel mondo.

4) Non ritengo possibile che l'Italia si fa;ccia :rappresentare a Ginevra il 16 giugcr1!0. La posizione dell'ItaUa nella S.d.N. oggi è chiara. Fino a che non sarà regolata nel campo internazionale e particola;rmente ginevrrino, la questione etiopica in base a1la :realtà oggi esistente, l'ItaLia non può !riprendere la sua coLlabocrazione con la S.d.N. L'Italia non è uscita dalla S.d.N. nè ha sbattuto la po•rta; ha contirnuato anzi a farsi .rappresentare lin ·alcuni Comitati che sono un'emanazione diretta della S.d.N. Riprendere però oggi la collabomzione nel campo politico per sospenderla, per esempio, in settembre se all'Assemblea .compariranno i rappresentanti dello Stato etiopico sarebbe cosa poco seria.

In conclusione, visto che l'ambasciatore Stein vedrà il signor Litvinov, sarebbe bene che gU facesse presente queste nostre idee. Levare le ,sanzioni per le ragioni più che giustificate di carattere obbiettivo. Non negoziare la levata delle sanzioni. Approfittare della détente che si produrrà in seguito a questo fatto, pe·r concordare la solUZiione definitiva del problema etiopico.

L'ambasciatore intratterrà il ministro Litvinov su questi argomenti. Se del ·C·aso mi farà sapere qualche .cosa prdma del 16 giugno. Deve rripetermi però che non vede facile un abbandono delle sanzioni senza una contropartita.

(2) -Il testo del presente appunto è tratto dal T. 2467/C.R. del 3G maggio, ore 21, che lo trasmetteva a Londra, Parigi, Mosca, varsavia, Bruxelles, Ankara e all'ambasciata presso la Santa Sede. (3) -Ritrasmetteva il D. 92. (4) -Vedi D. 92.
117

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BUENOS AIRES, ARLOTTA, E A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO

TELESPR. RR. 7065. Roma, 27 maggio 1936.

Interesserebbe a questo ministero di conoscere quali possibilità d'ordine pratico esistano in ordine ad un'eventuale azione intesa a provocare e favorire

11 trasferimento d:i italiani residenti in Argentina verso il Brasile e specdalmente nello Stato di San Paolo, dove sembra si presentino condizioni parti.co1a:rmente favorevoli al loro ,stabilimento. Ove fosse riconosciuto opportuno, si potrebbe esaminare l'istituzione di premi di trasferimento o di ogni altro analogo sistema di propaganda efficace.

Per informazione riservata di V. E. si aggiunge che tale questione, la quale naturalmente è ancora soltanto allo studio, è stata originata anche dal diverso atteggiamento seguito dai governi argentino e brasiliano durante il delicato periodo delle sanzioni.

Si sarà grati a V. E. se vorrà far conoscere a questo ministero le sue osservazioni, suggerimenti e proposte in merito a tale problema (1).

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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. S. 2463/465. Bruxelles, 27 maggio 1936 (per. il 3 giugno).

Per opportuna conoscenza dell'E. V. trasmetto r~unita copia del rapporto indirizzato al capo del servizio informazioni militare da questo addetto militare, maggiore di Stato Maggiore Giov~anni Duca, ,in seguito all'udienza accordatagli da Sua Maestà il Re Leopoldo III.

ALLEGATO

L'ADDETTO MILITARE A BRUXELLES, DUCA, AL CAPO DEL SERVIZIO INFORMAZIONI MILITARE, ROATTA

R. s. 2446. Bruxelles 22 maggio 1936.

Sabato 16 corr. sono stato ricevuto in udienza particoiare da s. M. U Re del Belgio al quale non avevo ancora potuto rendere omaggio dopo la mia nomina ad addetto militare titolare.

Sua Maestà dopo avermi rivolto qualche domanda sul mio passato militare, mi ha parlato della sua ammirazione per d successi ottenuti dalle nostre forze in Etiopia e per la rapidità non prevista da alcuno, con la quale si è posto termine vittorioso alle opera,zioni. Mi ha detto di essere rimasto ammirato dal modo come, oltre a battersi, le forze italiane hanno saputo sormontare le difficoltà del terreno e abbiano fatto fronte con la rapida costruzione di strade alla mancanza di comunicazioni, e mi ha chiesto qualche dettaglio sulla nostra organi.zzazione in A.O. Nessun accenno all'Impero e alla sua procl31mazione.

Invece Re Leopoldo ha manifestato il suo senso di preoccupazione per lo stato di turbamento che esiste in Europa e, dopo aver espresso il suo avviso che l'attuale stato di tensione fra Italia e Inghilterra non potrà avere che soluzione pacifica, ha terminato dicendo che «è con la Germania che bisogna mettersi d'3!Ccordo », sintetizzando cosi, ,in tale frase, tutte le preoccupazioni belghe che vedono nelle necessità di espansione della Germania l'unica e vera minaccia all'integrità e alla stessa esistenza di questo Paese (2).

(l) -Non sono state rinvenute risposte. (2) -L'allegato reca il visto di Mussolini.
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L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1606/695. Madrid, 27 maggio 1936 (per. il 30).

Mio rapporto in data 20 corrente, n. 1536/665 (1).

La formazione di un nuovo Governo presieduto dal signor Cesares Quiroga. di cui al mio precitato rapporto, non ha finora portato alcun nuovo elemento di chiarificazione nella caotica situa:llione 1nterna spagnola: il che del resto, considet~ata l'impostazione che questo capo del governo volle dare col suo discorso alle Co,rtes ana opera del Gab~netto da lui presieduto, era facilmente prevedi bile.

Sono anzi da registrare i seguen1Ji elementi che contribuiscono ad oscuDare le pDevisioni di coloro che cercano di guardare al prossimo avvenire di questo giov,ame e immaturo regime:

l) I,l Governo ha presentato alle Cortes, che lo vote~ranno al pù presto, un pmgetto di legge che tende a diminuire i pr-ivilegi di cui gode ora la mag~istratura (mamoV'ibilità, ecc.) a garanzia della propria libertà di giuddzio. Ciò potrebbe essere comprensibHe qualora il Governo fosse ,in grado di esigere dai propri partigiani H mantenimento dell'ordine; in tal caso il provvedimento servirebbe solo a incutere timore ai nemici dell'attuale regime in vista di loro progetti extra-~Iegali. Ma sicc·ome questo non è, la nuova legge non fa;rà che lindeboli.xe ogni tentativo di reazione, ma al tempo stesso tncor,aggi:are chi ha interesse a pescare nel torbido e a fomentare qumdi ulteriori disordini.

2) Sta divenendo nuovamente di scottante attualità la questione delle autonomie ["e.gionali. Al movimento catalandsta, che come è noto già ha raggiunto importamti risultati e che sta Lntensifiicando la propria azione in vista di maggiori aff,ermaziond quale l'autonomia ~anche legi,slativa, si aggiunge pm vigoroso del solito H movimento basco, che reclama uno s·peciale statuto per quelle provincie. In Galizia si sta preparando un «referendum popolare» pea:approvare un prog,etto di «Carta». Si affacciano po,i ora, per la prima volta nella storia d1i Spagna dopo l'unificazione del seoolo XV, programmi di autonomie regionali nelle provincie di Leon e perfino in quelle della Castiglia.

3) Lo stesso risultato del provvedimento di cui al n. l avrà la severità con cui si vogliono punire i fatti di Alcalà de Henares (mio rappO'rto in data 20 corrente, n. 1535/664) (2). Si è costituito avantìerì a Guadalajara il relativo Gonst.g.lìo di Guena e l'accusa ha già chiesto la pena dì morte per uno dei colonnelli compromessi, e la ,r,eclusione a vita per gli altri ufficiali (cinque ufficiali superiori e otto capitani).

4) Intanto nelle stesse organizzazioni diremo cosi proletarie si vanno acuendo le situazioni di dissenso e di disagio già segnalate all'E. V. Il signor

Prieto, rappresentante la tendenza moderata nel partito socialista, è ormai molto più vicino ai repubblicani di sinistra -c'é anzi chi V'Uole che si stia preparando a prendere la successione del signor Casares Quiroga come capo del Governo -che non agli estremisti che rappresentano la maggioranza del proprio partito. Ma ormai lo stesso Largo Caballero, che di questi ultimi è il principale esponente, sta perdendo di autorità di fronte ai progressi de1le organizzazioni anarchico-sindacaliste (C.N.T.: Conjederaciòn Nacional Trabajadores e F.A.I.: Federaciòn Anarquista Iberica), che proprio oggi hanno imposto lo sc,iopero generale dei Lavoratori della Mensa e dell'Albergo, contrariamente agli ordini della U.G.T. (Union General Trabajadores) diretta per l'appunto da Largo Caballero.

5) Disordini ed attentati si continuano a registra:re in tutta la Spagna. A Madrid domenica scnrsa è stato ucciso un fascista e fe·riti due. A Oviedo nuovi disordini con ferimenti di guardie civili e di fascisti e conseguente sciopero generale di 24 ore. Altro sciopero generale a Vitoria e a Logrofio, dove un operaio sarebbe stato ucciso dat «falangisti».

* * *

In conclusione, il periodo di semi-anarchia inauguratos.ì in !spagna con le elezioni del 16 febbrato non solo non accenna a decrescere ma sta ·anz,i assumendo aspetti cronici, resi più gravi da·l fenomeno di disintegraz.ione nazionale che ho più sopra segnalato. È sensazione diffusa che ta.le stato di cose, anche senza sbocca;re subito in un vero tentativo 11ivoluzionarto, tenderà a prolung.arsi e a esse·re per qualche tempo la sola fisionomia del,la politica interna spagnola. Infat1Ji mentre il Governo si dimostra impotente a frenarre gli estremismi di sinistra, questi a loro volta non sembra vogliano -o per non sentirsi preparati o per timore di scatenare davvero una reazione quale quella che ebbe a reg,istrarsi dopo l'ottobre '34 -realizzare immediatamente i loro postulati di rivoluzione soc,iale; d'altra parte i tentativi di reazione da parte delle organizzazioni falangiste, e anche dell'esercito o della marina -nonostante alcuni episodi sintomatici -sono per ora soltanto spomdici, sia per mancare in !spagna quella forte classe media che è generalmente 1a stabHizzatl1ice dei.la vita poEtica specie se rinforzata da una giovane generaztone di ex-combattenti, sia sopratutto per non vedervi qui affiorare al.cuna figura che possa avere tempra e genio di condottiero.

(l) -Vedi D. 86. (2) -Non pubblicato. Vedi p. 91, nota 3.
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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1643/647. Mosca, 27 maggio 1936 (per. il 1° giugno).

Le indecisioni di Londra e di Parigi sulla situazione generale politica cominci•ano seriamente a preoccupare queste sfere dirigenti. Al Na.rkomindiiel si continua a ripetere in sostanza quanto Io stesso Commissario sovietico ebbe a dichiaraa:-e a Ginevra: quaLe è il prog:ramma che si propone l'ItaUa per un assetto più stabile dell'Europa? Quando a Parigi non v'è Gove·rno da un mes·e ed a Londra si a.ssiste al più «inaudito disorientamento», d~ quali mezzi di sicurezza può disporre oggi l'Europa, visto che la Lega è uscita così malconcia dall'affare abissino?

Le seg.nalazioni della stampa e gli articoli editoriali, nel ripo:rta·re i più disparati atteggiamenti dei diversi gruppi politici inglesi, li commentano in senso tutt'altro che .lusinghiero, arrivando ad accusare il Governo dJi Londra di miopia e d'illogicità per la sua condotta «tortuosa» e così «gravida d'incogrnrl.te ».

Non solo i problemi imperiali, quali il collegamento dei Domini che impone una coord.!Lnazione d'interessi per la difesa mutua, ma gli stessi atteggiamenti dell'opinione pubbHca inglese che dopo .il plebiscito della pace aveva imposto la politica del più inopemnte pacifismo, concorrono a determina1re l'attuale « perplessità » britannica che non osa orientarsi decisamente per continuare a mantenere la sua libertà di azione di fronte ai Paesi che sono sinceri fattori della pace.

Questo motivo, mentre ritorna cotidianamente nei riguardi di Londra, non è per ora assunto nè a polemica nè a semplice conside·razione di esame genera.le della situa:llione politica nei confwnti della Francia verso cui è chiaramente presa una posizione di attesa fiduciosa, se non addi11ittura ottimistica.

Comunque d.l problema delle sanzioni non è intanto dalla stampa più discusso, anzi stando alle dichiarazioni fatte in questi giorni a Berardis da Weinberg, questi gli ha espresso la sua convinzione personaie ·che le ·sanzioni probabilmente fintrebbero pe:r cade·re a giugno.

Soltanto ora appare un articolo di Rladek per ammonire che oceor·re uscire da questa situazione incerta e pericolosa e precisare i mezzi atti a garantire la pace ,senza più aspettare nuove comp!Lcazioni stante la minaccd,a che ìncombe presentemente sull'Europa. È una specie di svegUa per coloro che si lascdano cullare dall'attitudine di temporeggiamento, ·esiziale alle sorti della pace.

In sostanza i soviet dicono: poiché la Germani•a minaccia ·la sicurezza di tutti, ·occorre arginare fin d'ora il pericolo. «Se l'Italia poté decidersi alla .conquista abissina, è perché una serie di Potenze trovavansi sotto il pericolo di un colpo germanico, altrimenti l'ItaHa non si .sarebbe spinta a gettare una sfida all'Inghilterra ».

Non riconoscere questa :logica -si aggiunge -significa non comprendere i fatti, ragione per cui non si pensa «a costruire tn tempo le dighe » mentre la Germania accoglie freddamente il questionario britannico (l) e continua a sfruttare la situazione. Se non si ha ancora una nozione precisa della sicurezza univer.sale, è inutile affidarsi alle speranze che altri siano disposti .a garantire la sicurezza brdtannica poichè « è ormai chiaramente sfatata la ,leggenda che l'atteggiamento inglese nell'affare abissino sia stato dettato da pura mistica ginevri:na ». Per i soviet, non vi sarebbe che l'alternativa: «o c1:eare un sistema

di alleanze militari che escludano determinate Potenze o creare un sistema collettivo di difesa della pace senza esclusione di nessuno ». Ma se l'Inghilterrra è pronta a difendere i suoi interessi in Af,rica e non lo è invece mella stessa misura per l'Europa, è naturale ·che la Lega subisca lo scacco infertole dall'Italia. Poichè, dopo tutto, «se l'esperienza abissina non è bastata », pensi l'Inghilter:ra che « un'eventuale transazione con la Ge'rmam.ia sarebbe altrettanto gravida di pericoli per la pace universale e per 1o stesso Regno Unito» che una coLlusione, non improbabile, italo-tedesca che porterebbe a minacciare se11iamente le vie imperiaLi più di quanto no'n lo sia la conquista abissina. Comunque, una col1usione ,anglo-germanica « non mancherebbe di creaTe la convinzione presso alcune Potenze (URSS e Francia e loro satelliti) che Inghilterra è loro nemica ed in tal caso non andrebbe esclusa r,eventua:lità di un blocco itala-francese nel Mediterraneo senza parlare di ulteriori conseguenze».

È questo l'avvertimento che le Izvestia fanno in data 26 corrente a Londra. Preciso e chiaro monito che marca l'impazienza sovietica.

Del re,sto, t soviet non hanno ancora essi stessi un pmgramma definitivo e positivo. Ne hanno invece uno negativo e questo è ben chiaro e preciso. Essi -come è noto -si opporranno a qualunque combinazione occidentale -patto a quattro, patto a tre, e·CC. -che escludesse I'URSS da un sistema più o meno ,a:Ueanzistico.

La minaccia che Radek ora .rappresenta allTnghilterm, l'avvertimento che le dà e il timore affacciato che abbiano a concretarsi nene prossime conversazioni nuovi progetti pe-r la pace escludenti l'universalità degli 'interess,i, ossia gl'.interessi dell'URSS, costituiscono appunto le prime battute dell'atteggiamento sovietico (l).

(l) Vedi pag. 44, nota l.

121

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 737/485. Praga, 27 maggio 1936 (per. il 29).

Continuano a circolare voci allarmisti-che ci.rca la situazione in Aus·tria tanto da far luogo a torto o a ragione ad una atmosfera di preoccupazione come per qualche cosa che debba verificarsi da un momento all'alt.ro. Questo stesso ministro d'Austria non sembra molto tranquillo e movimenti militari verso la frontiera austriaca sono segnalati da Bratislava. Quale .reale fondamento vi sia in tutto ciò ignoro, ho tuttavia l'i.mpressione che non manchino manovre per ing.rossare le cose e creare apprensioni. Talvolta sono voci di fonte tedesca come alcune notizie date da questo addetto militare di Germania di tncidenti e sommosse fra i tedeschi di Boemia e perfino di traspor.ti irn !svizzera delle riserve auree di questa Banca Nazionale -tutto falso -talaltra sO'no voc:i dà altre fonti non bene individuate ma presumibili che hanno lo scopo di agitare il problema austriaco e farlo apparire di imminente pericolo

per c·ause interne complicate dall'esterno ·e ciò allo scopo di evita;re che l'Italda in ·tanto che insoddisfatta di Parigd si impegni con Berlino.

Questo ministro degli Affari Esteri mi dichiarava stamane di non essere pessimista circa le cose dell'Austria e aggiungeva che il presidente Benes se 1!1Je mostrava anzi ottimista. La situazione di Schuschnigg sembra a Krofta migiliiorata me.rcè la sua politica di moderato equilibrio. Nell'attuale situazione -egli mi diceva -noi non auguriamo altro che l'Inghilterrn e la Fr·a;ncia si intendano rapidamente con l'Italia per il più sollecito ritorno possibile alla normalità dei 'rapporti così che l'Italia possa riprendere in pieno la sua posizione nelle questioni centroeuropee (l).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolinl.

122

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5135/803 R. Londra, 28 maggio 1936, ore 13,18 (per. ore 18).

Ricbiiamo personaLe attenzione del Duce sul discorso pronunciato ieri dall'arcivescovo di Canterbury.

A parte ·solito e ormai sf.ilacciato contenuto antif.a;scista e la preziosa confessione «noi stiamo soUrendo della più ·amara di tutte le umiliazioni, l'umiliazione della Chiesa anglicana », va rilevato attacco diretto al Papa e Chiesa cattolica. Questo è stato, del resto, fin dall'inizio della questione abissina e continua ad essere il «fondo» vero ed essenziale dell'atteggiamento am.tifasc•ista e antitaliano della Chiesa anglicana, che, attraverso Fa·scismo e l'Italia ha inteso combattere innanzi tutto Chiesa cattolica, e attraverso vittoria dell'Italia vede vittoria della Chiesa cattolica e sconfitta della Chiesa anglicana. Vale la pena di aggiungere che discorso del Pr•imate anglicano, che soltanto qualche mese fa avrebbe fornito occasione per una delle solite ondate di antifascismo nella stampa ing.lese, è caduto invece quasi completamente nel vuoto e quanto ad esso se ne occupa qualche giornale di sinistra, senza darvi particolare conto. A proposito di questo discorso, vedi mio colloquio con Vansittart che invio con telegramma per corriere n. 352 (2).

123

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5136/324 R. Parigi, 28 maggio 1936, ore 19,35 (per. ore 21,50).

Mio telegramma n. 320 (3). Durante una conversazione privata avuta con Lavai, durante la quale fu toccata questione sanzioni e loro abolizione, egLi mi ha detto che il Comitato

dei Diciotto non deve affatto pronunciarsi in proposito. Rtcordò che fu costituito dal Consiglio come un organo « di comodo » a cui fu affidato compito di studiare il modo migliore di applicare sanzioni dopo che queste era;no state approvate dai s~ingoli Stati 'Ln base decisione che ciascuno di essi aveva preso secondo proprio giudizio sovrano ed insindacabile. Sanzioni non debbono ave,re carattere punitivo, ma solo ostacolare scoppio o proseguimento guer:ra. P.otchè questa è f,inita, debbono essere aboHte da ogni Stato con dedsione sovrana e senza bisogno di concertarsi, pertanto, secondo Laval, anche prima del 16 giugno.

Stamane è venuto a vedermi Rivas Vicufia, che concorda sopra incompetenza del Comitato dei Didatta. Ricordò di avere diretto nota lettera ad Avenoi (l) pregandolo inoltrarla al <<competente organo».

Vasconcellos gliene accusò ricevuta come presidente del Comitato dei Diciotto, ma egli è pronto, se noi lo desideriamo, a sostenere la tesi che il Comitato stesso non ha veste per occuparsi della questione ,e che anzi, essendo terminata guerra, esso deve considerarsi estinto. Rivas deside'ra essere posto al corrente dei nostri desideri per sostenerli (2).

(l) -Questo documento reca il visto di Mussollnl. (2) -Vedi D. 115. (3) -Vedi D. 108.
124

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE PER CORRIERE 5427/0355 R. Londra, 28 maggio 1936 (per. il 5 giugno).

Oggi alle ore 11,30 ho visto Eden (3). La sua accoglienza è stata ostentatamente cordiale e amichevole. Egli ha cominci,ato col dirmi in tono scherzoso che egli doveva rammarica:rsi con me perchè avevo perduto da qualche settimana il suo indirizzo di casa, e che sopratutto non ero andato a trovarlo •al mio ritorno da Roma, per comunicargli le mie impressioni sulla mia recente visita al Duce.

Ho risposto, col medesimo tono, che non l'avevo fatto perchè ce:rco di regola di evitare le cose che non mi appaiono utHi, e che il mio istinto di agricoltore mi avverte che bisogna andare nel campo soltanto quando il terreno è pronto per la semina. Dopo queste battute abbiamo iniziato il nostro colloquio.

Eden mi ha detto che egli desiderava avere uno scambio di lidee di c:wrattere generale e preliminare, ma approfondito tuttavia, con me, e una ripresa dì contatti diretti che gli permettesse di avere degli elementi precisi su quella

che è in questo momento la posu~aone dell'ItaLia. Egli desidera~a inoltr·e ascoltare da me d~rettamente le imp!ressioni avute sulla mia recente visita al Duce. Eden, che aveva sul tavolo e sotto i suoi occhi il Daily Telegraph di stamane, mi ha detto subito che egli aveva 1letto ·colla più ~iva attenzione e interesse le dichiarazioni fatte dal Duce al Daily Telegraph (1).

Ho risposto ·a Eden che non avevo nessuna difficoltà, anzi, ritenevo opportuno e necessario di ripetere a lui nella sua qualità di ministro degli Affari Esteri della Gran Bretagna, quello che io avevo detto ·a Va.nsittart !Mi mie~ colloqui precedenti. «L'intervista del Duce nel Daily Telegraph -ho detto mi f,acmta g·randemente il compito, ·anzi, lo riduce di gran lunga, in quanto che io non ho da !aire altro -ho continuato -se non rilegg·ere senza aggiunte e senza commenti quello che il Duce ha detto. Qualsiasi illustrazione da parte mia non potrebbe se non rischiare di alterarne l'epigranca chiarezza.

Ho rimesso ad ogni buon fine mate,rialmente a Eden io stesso UIIla copia dei discorsi del 5 e 9 maggio (2), dell'intervista al Daily Mail (3), dell'intervista al Matin e all'lntransigeant (4) e al Daily Telegraph di stamane, e ho letto a Eden uno dopo l'altro i punti dell'intervista al Daily Telegraph richiamando la sua attenzione sull'estrema importa.nza di queste dichiarazioni del Duce, ·le quali non dovevano esse·re considerate come un documento di caratte·re giornrulistico, ma come documento politico del pensiero dei Duce, di quelle che sono Ie linee della poUtica estera del Duce, il prob~ema dei futuri rapporti italo-britanmci, dei rapporti italo-franco-britanndci, delle sanzioni, dei futuro della S.d.N., della sicurezza del Mediterraneo, della sicurezza 1in Europa ·ed in Af·rica, dell'indipendenza austriaca, delle relazioni fra l'Italia e i paesi dell'Europa Centrale, Orientale e Mediterranea, dell'irrevocabilità dell'Impero fascista in Africa, e dell'interesse di tutte le Potenze alla pacificazione del Continente africano.

Ho richiamato da ultimo l'attenzione di Eden anche sul discorso fatto dal Duce il 24 maggio (5), in cui egli addita come compito alle future generazioni fasciste la « difesa ~ dell'Impero.

Cir·oa il problema delle sanzioni ho creduto opportuno insistere sul concetto ehe l'ltaUa non domanda affatto la revoca delle sanzioni, nè intende prendere alcuna !iniziativa diplomatica o politica. Le dichiarazioni fatte dal Duce dal 5 maggio ad oggi hanno un'importanza ed un significato ben maggiore e storicamente più vasto che un',iniziativa formale attmverso i cosidetti «canali diplomatici ~. «Ritengo mio preciso dovere tuttavia, come ambasciatore d'Italia, richiamare direttamente l'attenzione del Governo britannico su queste dichiarazioni del Duce perchè esse .contengono i!l Suo pensie,ro, i Suoi propositi, e defi:niscono la posizione dell'Italia nel campo militare, politico e internazionale in questo storico momento ~-Circa il problema delle soozioni ho voluto ancora una volta chi•arire con Eden che la loro revoca significava nena sostanza più un danno che un vantaggio per l'economia itruliana, la quale ormai è sieuramente indirizzata verso nuov·e linee nel campo interno e interna

(-4) Vedi p. 141, note 4 e 5.

IS -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

zionale e verso la sua completa indipendenza. « I nostri contadini, i nostrti. industriaLi e i nostTti operai -ho conUnuato -stanno facendo monumenti alle sanzioni, e se hanno una preoccupazione è che queste finiscano ~. «Le sanzioni debbono considerarsi quindi esclusivamente come un fatto politico, e cwe come il perdurare di uno stato di guerra contro l'Italia, con tutte le inevitabili conseguenze e i peri·coli che nel campo politico e militare derivano da questa situazione. Sintanto che questa situazione politica anormale perdurerà è impossibile per l'Italia fascista di smobilitare nello spirito e nelle armi. Finché la macchina delle sanzioni è in piedi -ho continuato -il pericolo immediato di urna gue.rra europea non può essere escluso. S~no a che le sanzioni sono i!n piedi non si potrà mai pwrlare di una ripresa di rappor.ti norma~i fra J'Italia e i Paesi sanz~onisti ~

Ho anche insistito suLla leale volontà del Duce di collaborare a una riforma della S.d.N., ricordando a Eden che questa volontà non è di ogg,i, ma che di una riforma della S.d.N. il Duce ha lungamente intrattenuto il primo ministro britannico tre anni or sono a Roma e il ministro degli Esteri due anni or sono pure a Roma. « Si tratta di aggiornare secondo l'esperienza ingloriosa di quest'ultimo anno quanto è stato oggetto di un approfondito scambio di idee tra il Duce e gli Uomini di Stato br,itannici ~. Detto ciò ho insistito sul fatto che dipende esclusivamente dall'attitudine che H Gove,rno inglese e ,i Paesi sanZiionisti adotteranno nelle prossime riunioni di Ginevra se l'ItaUa si troverà costretta ad abbandonare definitivamente la S.d.N. colle naturali conseguenze che ne possono derivwre per la futura politica dell'Italia e per la futura politica europea. Ho insistito con Eden dimostrando che l'Italia non può ammette,re che, dopo la proclamazione dell'Impero italiano in Africa, Ginevra continui a chiudere gli occhi su questa realtà e a d~scutere la que·stione abissina come se il grande capitolo di storia iniziatosi il 3 ottobre 1935 e terminatosi il 9 maggio 1936 non esistesse per la Società delle Nazioni. Oiò -ho detto -è supremamente ridicolo, e toglie alla S.d.N. l'ultimo bricio,lo che può amcoQ'a 'l1imanerle di dignità e di prestigio morale. Ma deve essere ben chiaro che se l'Ita:Ua sarà costretta ad abbandonare la S.d.N. la responsabilità di ciò ricadrà interamente sulle Potenze san:zJion1ste di Ginevra ehe hanno reso all'Italia impossibile La sua permanenza e la sua collaborazione all'Istituto Ginevrino. Ho richiamato l'attenzione di Eden sulle dichiarazioni 'inequivocabiU del Duce che l'ItaHa si considera come una Potenza soddisfatta e come ciò mppresenti un punto di partenza assolutamente nuovo nella storia politica della nostra generazione. Questa dichiarazione del Duce va messa in relazione -ho aggiunto -col Suo discorso del 24 maggio, che addita quale compito alle nostre armi presenti e future, la « difesa ~ dell'Impero.

Eden mi ha ascoltato attentamente prendendo appunti, sottolineando e annotando i passaggi più importanti del.l'intervista del Duce al DailY Telegraph e le altre interviste che gli ho rimesso, inteDrompendomi qua e là per chiarimenti e particolari illustrativi di questo o di quel punto che magg:iormente lo aveva colpito.

Alla fine Eden mi ha detto: «Vi ring,razio per esse·r venuto, per avermi rimesso personalmente le dichiarazioni del Duce, per avermi detto che il Gover

no britannico deve ·considerarle non soltanto come un documento giornalistico ma come un documento politico di importanza essenzirule, e per ·avere aggiunto tutto quello che avete ritenuto di dirmi onde richiamare !',attenzione del Governo britannico ~sull'Jmportanza sto,rica decisiva di questo momento per i rapporti itala-britannici e per la pac·e d'Europa. Ritengo che la nostra conversazione di ·oggi vimarrà come un punto di partenza nuovo e importante, nella ·ripresa dei contatti politici e diplomatici fra Londra e Roma, dì carattere preliminare e generale, ma importante nondimeno perchè suscettibile di sviluppi concreti nel prossimo futuro. Questo nostro incontro di oggi ha sgombrato molto terreno, e reso più f·ac~le .Ll nostro cammino. Domani vi sarà una dunione del Gabinetto ed io vi prometto che esporrò con assoluta obiettività ai miei colleghi tutto quello che voi mi avete detto stamane. Io non sono in gvado oggi di d:arvi delle risposte, che del resto voi non mi avete chiesto e non mi chiedete, ai singoli punti che abbiamo discusso. La posizione del Governo bvitannico, e la mia paa-ticolare, voi lo sapete meglio di me, hanno in questo momento aspetti di delica.tezza nel campo 'interno che rendono l'azione del Governo britannico ancora più diff'kile e delicata di quello •Che già non la r.endano gli avvenimenti internazionali di queste ultime settimane. Il Govemo britannico sta Jn questo momento effe.ttuando un ~attivo e laborioso scambio di vedute .coi Governi dei Dominions sull'azione po!.itica che la Gran Bretagna e i Dominions stessi devonD assumere sia di fronte al «fatto compiuto ~ dell'Impero Italiano in Africa, sia di fronte ai problemi più vasti e generaH ·che Ja Oommonwealth britannica ha davanti a sè in Europa e nel mondo, e ilin particolare rul problema del futuro della S.d.N. Io non posso quindi in questo momento anticiparvi nulla. Ma tuttavia desidero che voi e il Governo italiano prendiate atto:

l) che il Governo britannico .considera le dichi·araz:~oni del Duce come un fatto politico molto importante;

2) che io e con me il Governo britannico siamo lieti di ristabilire un contatto politico e diplomatico diretto col Governo italiano per l'esame dei problemi che interessano i due Paesi direttamente tra di loro;

3) che il Governo britannico è persuaso che ·occorra mettersi se,riamente a lavorare per una distensione dei mpporti fra J due Paesi, e cioè per un migLio·ramento g·raduale, ma continuo, dell'atmosfera politica tm I·talia e Inghilterra. Questo migliorame,nto è già un fatto registrabile, ma occorre continuarlo dalle due parti. È fuori dubbio che da parte italiana in queste ultime settimane è stato fatto tutto il poss,ibile in que8to senso. Da parte brit:mna.ca è stato fatto meno, ma le diffi.coltà pe'r ~lOii sono enormemente maggiori. Il contrasto di opinioni in Inghilterra fra ,i sanzionisti e gLi anti-sanzionisti è acuto e profondo. D'altra parte, l'Italia ha vinto al cento per cento, ed è più facile per il Paese vittorioso di moderare i suoi sentimenti. Ciò è meno facile e più difficile per coloro i quali, occorre d:ir1o con brutale franchezza, hanno perduto la loro partita nel senso più completo della parola;

4) desidero ancora una volta e nel modo più formale dichiarare che da parte del Gabinetto britannico e particol,a:rmente da parte mia non vi è nessun sentimento di precostituita ostilità o dnimicizia verso l'Italia e verso il Fascismo.

L'Inghilterra si è trovata costretta a prendere, a torto o a ragione, una posizione contro l'Italia come membro de11a S.d.N.. Noi abbiamo creduto, a torto

o a ragione, che la S.d.N. dovesse ostacolare La politic'a dell'Italia in Abissdnia che ritenevamo contmria agli impegni che gli Stati ha;nno preso con la firma del Covenant. L'azione della S.d.N. nei confronti dell'Italia è terminata col più clamoroso insuccesso che si potesse immag~nare. Per quanto riguarda i miei sentimenti personruli, io so •e vedo con rammarico che io sono stato e continuo ad essere considerato in Italia come personalmente il responsabile principale di quanto è avvenuto e come il bersaglio quotidiano degli attacchi italiani. Ne sono sinceramente dolente e vorrei che voi ci ·ric·redeste e che diceste in Italia che io non sono nè un anti-fascista nè un anti-italiano, e che nessuno più di me desidera un chiarimento permwnente e definitivo nei rapporti fra l'Italia e Ia Gmn Bretagna in modo che si dimentichi di passato e che si possa ricostruire pe'r .l'avvenire».

Ho detto a Eden che prendevo atto di queste sue dichiarazioni. Ho ripetuto che io non avevo inteso, come del J"esto egli aveva esattamente compreso, né fare un «passo », né prendere delle iniziative, né domandare delle risposte a quesiti che io non avevo posto e non ponevo. Questo dovev1a essere, e del resto era, ben ehiaro. Il nostro colloquio di oggi doveva essere inteso come una franca discussione, come un reciproco contributo al chiarimento della posizione dei nostri due Paesi, e da parte mia come un richiamo all'attenzione del Governo britrunnico delle dichi!l!razioni fatte dal mio Capo. Prendevo atto con piacere .che Eden considerava il nostro co.Iloqu~o di oggi eome il punto di partenz.a di utHi scambi di idee future e come la ripresa di un contatto politico e diplomatico, di natura concreta, fra H Governo di Roma e il Governo di Londra. Niente più di questo almeno per ora.

Circa il giudizio che l'opinione pubblica italiana aveva dato e dava alla azione peTsonale di Eden, ho detto a Eden che non avevo motivo per mettere in dubbio quanto egli mi aveva detto, e, anzi, ne prendevo atto con piacere. Però -ho aggiunto -«voi dovete rendervi conto che le vostre manifestazioni personali, sopr.atutto a Ginevra, legittimano ampiamente il giudi:zJio sfavorevole che non soltanto l'opinione pubblica italiana, ma una gran parte dell'opinione pubblica britannica, hanno dato specialmente 'ad alcuni aspetti del1a vostra azione politica e diplomatic·a nei riguardi dell'Italia. Io stesso -ho continuato -mi sono trovato di fronte spesso a queste ti.naspettate manifestazioni, assolutamente non necessarie, e talmente in contrasto con quello che voi stesso mi avete ripetutamente dichiarato essere la direttrice dell'azione politica dell'Inghilterra, per cui mi sono sentito costretto a domandarmi più volte quale era e quale è il vero Eden, se quello del discorso ai Comuni del 24 febbraio (1), e delle nostre frequenti ed amichevoli conversazioni personali, oppure quello deU'attività ginevrina». Ho ricordato ad Eden, per non cUare ~altro, alcune sue dichiarazioni fatte dumnte l'ultima riunione del Consiglio a proposito della documentazione italiana sulla schiavitù i:n Abissinia, e la ftrru>e poco felice da lui

usata nella risposta ai Comuni circa ·le condriztoni di sicurez21a per i cittadini britannici ad Addis Abeba (1).

Edern mi ha spiegato che tanto •a Ginevra quanto aJi. Comurni egli non aveva affatto avuto l'irntenzione di faTe o dire 1alcuna .cosa spiacevole verso I'ItaHa, e dò lo dimoswano del resto tutte le altre risposte che egli ha dato in seguito ai Comuni sia per il caso Bonner (1), sia sul carattere e sulla natura del viaggio del Negus ·a Londra, sia suHe sanzioni, ecc.. « Forse la frase da me citata non è stata felice, ma voi che frequentate quasi ogni giorno la Camera dei Comurni, voi siete testimonio deHa posizione difficile in cui io mi trovo ogni giorno di fronte al fuoco di fila e di fucili spianafii dell'opposizione liberale e laburista che non mi dà tregua e che vuole wasci:narmi a tutti i costi •a qualche manifestazLone imprudente e spiacevole n·ei riguardi dell'Italia. Voi che, oltre ·ad essere un ambasciatore, siete un uomo politico, non potete non tener conto delle difficoltà della mia posizione estremamente delicata nella politica interna e parlamenta·re b!'1itannica, e che 1a vostr.a vittoria i:n Abissinia anzichè facilitare ha .reso senza dubbio arncor •più delicata e ancora più difficile ~.

«Per quanto riguarda la mi:a azione a Ginevr,a molto potrebbe esservi da dire. So peiff.ettamente che tutto i1l bene che viene d!a Ginevra è eonsiderato in Italia come dovuto alla Francia, e tutto il male è dovuto a me. Questo non è vero. La percentuale non è esatta.

I francesi sanno che il mio presunto anti-fascismo è uno degli elementi della difficile situazione parlamentare britannica, e ne profittano largamente per addossare sulle mie spalle una g•rossa parte di quella percentuale di responsabilità che spetta anche alla Francia non meno che ·all'Inghilterr.a ».

Ho replicato a Eden che all'Italia quello che interessa è U futuro, e che egli poteva st!l!re certo che i sentimenti o i rancori non facevano parte della politica di Mussolini.

Eden mi ha pregato di tenere frequenti contatti personali con lui in modo da scambia;rci le nostre impressioni, e proseguire possibilmernte nell'opera di chi·a;rimento necessaria nella politica f:t'la d nostri due Paesi. «Il processo non sarà breve, ~a:nzi, S!l!rà laborioso, diffLciJe e lento, ma bisogna che da una parte e dall'altra ci mettiamo seriamente 1a lavorare a questo scopo ».

Ho replicato a Eden che da parte mda non desidemvo di meg.Uo, pur non f•acerndomi -ho detto -alcuna prematura illusione. «La politica italo-brit!l!nnica ha traversato quest'anno una gl'ave malattia. La .fase critica è superata, e la convalescen21a sta per cominc.Lare, ma con tutti i pericoli -ho detto -dei periodi di convalescenza, durante i quali occorrono da una parte e dall'altra i maggiori riguardi per evitare delle ricadute che sono sempre pericolose :..

«Questa è esattamente la situazione», ha risposto Eden. Eden parte domattina per le vacanze di Pentecoste e sarà d[ ritoo:-no a Londra martedì. Abbiamo stabilito dd rivedere! mercoledì mattina.

(l) -Vedi p. 52, nota 2. (2) -Suvich rispose con T. 2457/287 P.R. del 30 maggio, ore 24, quanto segue: «Ringrazi R,\vas Vicuìia per suo atteggiamento e gli dica che R. Governo apprezzerebbe vivamente iniziativa che egli si è proposto di svolgere. Egli potrebbe prendere lo spunto dal rifiuto di Vasconcellos per una convocazione immediata Comitato dei Diciotto per sostenere che funzioni di questo Comitato sono cessate col cessare della guerra e che spetta ai singoli Governi revocare sanzioni con atto unilaterale alla stessa guisa che con atto unilaterale furono da essi imposte. Comitato di Coordinamento come attesta il suo stesso nome non ha altra funzione che coordinare misure prese ma non ha veste per decidere loro abolizione ». Per il seguito vedi D. 202. (3) -Dal D. 180 risulta che il colloquio ebbe luogo mercoledì 27 maggio. Ciò può essere desunto anche dal D. 115. (l) -Vedi p. 142, nota l. (2) -Vedi p. 97, note 1 e 2. (3) -Vedi p. 96, nota 2. (5) -Vedi B. MUSSOLINI, Opera omnia, vol. XXVIII, p. 4.

(l) Vedi serie ottava, vol. III. D. 300.

(l) Vedi D. 115.

125

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 2107/786. Berlino, 28 maggio 1936 (l).

Ho avuto ieri con il Segretario di Stato von Biilow (come V. E. sa il barone von Neurath è assente) una lnnga conversazione. nel corso della quale ho avuto da lui -sotto le più ·esplicite ed amnie 'riserve che la nota Hbe•rtà di az•ione del Cancelliere rende necessarie e quasi di Tito -le informazioni seguenti circa la risposta tedesca al «auestionario inglese» (2).

Per cominciare, nulla di preciso si •Sa ancora circa la data della risposta. Un progetto di risposta preparato dagli uffici dell'Auswartiges Amt prima della partenza di Neurath (i,l quale oltrechè anticipare il suo congedo sembra anche che intenda prolungarlo essendo affetto da leggeri disturbi cardiaci) è già nelle mani del CanceLliere, il quale si rise·rva di esaminarlo. Non si sa pe•rò quando potrà farlo. Certo, non prima delle feste di Pentecoste. Ma sembra che il Cancelliere, pur tornando forse a Berlino per una giornata subito dopo le feste, 'intenda proseguire immediatamente pe'l' Monaco, ove soltanto si incontrerebbe nuovamente con Neurath. Non è da escludere, quindi, che il testo definitivo della risposta possa essere approvato dal Cancelliere soltanto verso Ia fine della prima settimana di giugno. In questo caso, pe'l'ò, la pubblicazione ne avverrebbe quasi alla vigilia del Consiglio ginevrino del 16 e finirebbe col fare, anche soltanto nelle coulisses, le spese del medesimo. Non è quindi da escludere che in questo caso la risposta tedesca possa essere ritardata ·anche a dopo il 16.

Contenuto della risposta. La risposta tedesca (che secondo H progetto dell'Auswartiges Amt sa•rebbe abbastanza lunga) incomincerà col contestare, in maniera piuttosto dettagliata e minuziosa, le affe·rmazioni esplicitamente ed implicitamente contenute nel questionario inglese circa le violazioni di tratta,to compiute dalla GermaJnia, dimostrando come questa non abbia mai attentato ad accordo alcuno se non dopo analoghi •attentati da parte di altri (inosservanza clausole trattato Versailles relative al disarmo, trattato f,rancosovietico in violazione patto Loc•arno etc. etc.).

Da questa dimost·razione più o meno documentata e ormai divenuta consuetudina'l'ia, come da altri elementi addi:i?ionaH, la !'isposta tedesca, pur sotto riserve varie, concluderà che la Ge•rmania è in grado di poter rispondere in senso affe•rmativo alla domanda rivo1tale per sapere se essa ritenga finalmente giunto il momento di poter negoziare e concludere trattati di carattere stabile.

La risposta esamina quindi in dettaglio alcuni punti specifici del questionario ingiese, sopmtutto per quanto riguarda:

Patto aereo. Anche qui H Gove·rno del Reich contesterà la base delle affermaz,ioni 'ingLesi (Par. 9 del questionario) adducendo che la posizione ori

ginalmente assulllta in materia da1la Germooia el'la anteriore al patto francosovie,tico, la cui eonclus'ione mette H Re,ich nella necessità di subordinare alla situazione russa ogni impegno di limitazione «quantitativa ».

Patti bilaterali di non aggressione. Il Par. 10 del questionario inglese solleva in proposito parecchi punti:

a) Conformità dei patti in questione con le linee indicate nel progetto di massima Neurath-Simon del 26 marzo 1935 (vedtne testo nel mio telespresso

n. 678 del 9 maggio) (1). La risposta su questo punto sembra essere affermativa com una l'liserv.a peraltro circa la contemporanea compatibilità di accordi di assistenza mutua stipulati con terzi da·i firmatari dei patti medesim'i e ciò sempre in relazione e conseguenza del trattato franco-sovietico.

b) Conformità de•i patti 'in questione con le obbligazioni di membro della Lega. La risposta tedesca sarà su questo punto affermativa, conseguenzialmente alla prontezza già dichiarata da.lla Germooia a rientrare nella Lega. Su questo punto, che mi sembra di importanza capitale, ritorne'l"ò più appresso.

c) Estensione dei patti di non aggressione anche a: Lituania, Estonia,

U.R.S.S. La risposta su questo punto sarà negat-iva. Sembra che in proposito la Germania dichiarerà ·ooche la impossibilità di una qualunque resurr·ezione di patti orientali, e c'iò sempre in conseguenza del patto franco-sovieti·Co e del suo deliberato carattere di aUeanza miHtare in funzione antitede.sca.

d) Impegno di non ingerenza. La risposta sarà affermativa e richiamerà nel loro complesso le dichiarazioni già fatte in materia dal Cancelliere.

Corte Internazionale di Arbitrato. (Par. 11 del questionar1o inglese). La risposta su questo punto sarà in sostooza •accomodante, l'origine vera de11a originale proposta tedesca in materia essendo ~n fondo la poco sdcura conoscenza dello stato di cose attuale da parte del OamceHier·e. La •risposta, concepita in termini molto •amichevoa (tanto più dato il desiderio di non compromettere il successo delle OHmpiadi fissate per il 1-15 agosto), terminerà osservando che, invece di continuare a formulare quesiti astratti e sollevare così nuove difficoltà, sarebbe megUo discutere delle proposte determinate e concrete, la Germania confermando naturalmente in materia quel.La del «piano Hitler» (2). Al riguardo mi è stato assicurato che mentre, per ovvie ragioni, la risposta tedesca non reitererà in dettagHo le proposte già .avanzate, queste rimangono, nelle .loro Linee essenzia1i (nuova Locarno con garoozia anglo-italiana e patti di non aggressione con gli altl'li vicini) assolutamente immutate.

Oome già la nota inglese, così Ja risposta tedesca non farà menzione rulcuna della questione coloniale. Si ba qui 1a sensazione (è stato fatto uno studio minuzioso di tutte le successive risposte del Governo alle «questioni parlamentari» che la posizione dell'Inghilterra in materia siasi progressivamente

irrigidita. Non si vuole quindi compromettere la disposizione generalmente favorevole deUa opinione pubblica inglese verso 1a Germania con domande imbarazz!l!nti e sicuramente impopolari; tanto più non essendovi costretti daà questionario r1ng1ese il quale anzi 'lascia in proposito ape,rta ogni via in quanto dichLa11a che « there are other matters to be r!l!ised at ,a later date ».

(Va tuttavia rrilevato come l',a,ttitudine dell'Auswlirtiges Amt in materl,a non possa esser presa come definitiva. L'Auswartiges Amt è stato sempre contrario a considerare la questione coloniale come «attuale ». Non così, rinvece, i circoli di partito, sui quali le recenti conquiste italiane agiscono naturalmente di sprone e di aculeo. Checché sia tuttavia per essere di questo in definitiva (1), si può per ora ritenere che della questione coloniale nella risposta tedesca non si parlerà).

Quasi altrettanto reticente .1a •l1isposta tedesca si mostrerà in fatto di ritorno della Germania a Ginevra. A parte l'accenno di cui alla lette'l1a b) la risposta non si occuperà affatto di S.d.N. -Essendomi questd punto stato sottolineato dallo stesso Biilow, io ho creduto di dover.Io meglio approfondire.

Intanto è sintomatico che, parlando di ritorno a Ginevra, l'Auswlirtiges Amt si esprime ·sempre rin fo.rma dubitativa. Anche pe·r quanto riguarda il semplice ~accenno 1al ritorno a Ginevra menzionato più sopra, Btilow mi diceva testualmente: «È chiaro che, se la Germania rtitorna a Ginev,ra, i pattl da essa conclusi dovranno intendersi conformi alle obbligaZJioni del Patto». Ma, a parte questo, è interessante che Btilow abbia subito dopo aggiunto: «Rimane però da vedere quali queste obbligazioni debbano essere ».

L'affermaziorne er.a troppo rinteressante perchè do non la sf,ruttassi sino in. fondo. Cosi ho fatto, dopo le consuete schermaglie riuscendo così a far confessare a Biilow che la Germania, non adesso s'intende, ma a miglior tempo, si riserva, prima di entrare ·a Ginevra di chiedere l'abolizione dell'art. 16 oppure assicurazioni tali che rendano quell'articolo inoperante.

La i1nformazione mi fu data in linea strettamente confidenziale deplorando anzi. che la Germania (leggi Fuhrer) abbia forse scoperto un po' il proprio gioco in materia con la posiz·ione troppo chiammente favo11evole all'Italia assunta in materia di sanzioni. La dichiarazione Btilow mi sembra degna di tutta la nostra attenzione ed io mi permetto di :Daccomand!l!re ch'essa sia tenuta assolutamente segreta.

È questo un altro campo lin cui la situazione tedesca rivela de.Ue affinità naturali con quella IÌtaliana, con vantaggio pe,r il gioco politico che entrambi i Paesi sono portati ciascuno per conto proprio e nell'ambito dei propri interessi, a condurre.

Del resto, agg,iunse Btilow congedandom, questa non è neanche la sola questione che rimarrà da ;regol!l!Te prima del nostro •ritorno a Ginevra. Ve ne sono ancora altre...

Ma io, almeno per questa volta, ne avevo saputo abbastanza {2).

(l) -Manca l'!nd!caz!one della data d'arrivo. (2) -Vedi p. 44, nota l. (l) -Non pubblicato. Vedi B D, serie seconda, vol. XII, D. 651, p. 739. (2) -Si riferisce al «piano per la pace» contenuto nella nota del governo tedesco datata 31 marzo 1936 e presentata al governo britannico 11 giorno successivo dall'ambasciatore von Ribbenhop (si veda D D T, serie C, vol. V, l, D. 242). (l) -Sic. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl.
126

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. (l). Mosca, 28 maggio 1936.

ll problema navale sovietico assume per la posizione geografi.ca e l'estensione costlera dell'U.R.S.S. un aspetto particolare connesso aUa difficoltà di coor<11namento de.1le forze f11a un mare e l'altro.

Ora l'U.R.S.S. si trova per la prima volta a trattare con le grandi Potenze marlttlme tale problema che essa imposta su direttive precise che meritano dl essere seguite con attenzione.

Com'è noto, l'eredità navale che il regime sovietico ricevette dal Governo zarista non rispondeva neppure minimamente ,ai compiti della necessaria difesa. Se si :ricorda, il governo zarista dovette, nel 1918, affondare una parte della f:lotta del Ma:r Nero pe:r non farla cadere nelle mani della Germania. E gli avanzi di quella flotta furono condotti poi a Biserta dal generale Wrangel, sconfitto dalle armate rosse. Inoltre, durante il periodo della guerra civile, l'ammirag,lio Stark condusse l!a flotta del PaciHco agli Stati Uniti dove la vendette « ignominiosamente ». Cosicché l'U.R.S.S. ha dovuto man mano costruirsi una nuova floUa pe'r fa·r fronte alle sue necessità di difesa.

Già il fallimento della conferenza navale aveva sensibilmente accresciuto nei dirigenti l'Unione Sovietica la preoccupazione ·che 11 governo ndpponico, ritirandosi dalla trattativa di Londra e riacquistando la propria libertà di azione, si trovi oggi ad avere di fatto una posizione predominante nel Pacifico. Il che ha portato 'a conside,rare ·l'opportunità di :attenuare per lo meno le ripercussioni dell'accordo navale anglo-tedesco dell'anno scorso che non solo costituiva per ·la Germrunia il primo ·accordo btlaterale ìn mater.ia di armamenti con « diretta minaccia sulle posizioni baltiche dell'U.R.S.S. » ma che per la stessa Europa 11appresentava -come qui si è detto -« l'ultimo chiodo confi.ccato nei copeTchio della ba·Ta in cui giace il disa>rmo navale, terrestre ed ~ae'l'eo ». Onde la necessità per l'U.R.S.S. di agire positiv,amente evitando di restare estranei alla discussione dei grandi problemi navali e giustificando nella stampa tale proposito col fatto che « essa è costretta a costruire la flotta indispensabi>le per gamntire la proprda sicurezz-a ».

Finora nessun limite s'era dunque imposto il governo sovietico, anzi !in mater1a di armamenti terrestri, esso ha praticamente assunto indimzzi opposti alla nota ideologia pacifista e più consoni alla politica dell'equilibrio delle forze che a queUa di una limitazione effettiva degli armamenti. L'U.R.S.S., non diversamente da ogni altro Paese «imperialista», sente che ha ora tutto l'Interesse di limitare :il riarmo dei suoi nemici potenziali.

Così è avvenuta l'accettazione sovietica della proposta fatta dal governo inglese di entrare in trattative per ,la limitazione quaUtativa deHe forze navali

a condizione però che 1a Germanta concluda con 11 Regno Unito un accordo analogo. In realtà -come si sa -la stessa .condizLone l'aveva posta •la Germania nei riguardi dell'U.R.S.S. in seguito .ana formale richiesta de-lla Flramcia che non avrebbe firmato l'accordo limitativo -intervenuto a Londra se la Germania non avesse a.ssunto gli stessi obblighi. Comunque l'equilibrto deLle forze con la Germania è la conditio sine qua non posta a base della trattativa navale anglo-sovietica. A questa si agg.iunga l'altra .condizione per quanto si riferisce all'Estremo Oriente, e cioè che la limitazione non debbasi riferire alle costruzioni sovietiche per la flotta del Pacifico dove ,l'Unione si trova dn una situazione part1colare a causa dell'attitudine n:ipponic·a al riguardo.

Il portavoce del Narkomindiel fa peraltro avverti.re che 1:1 gove,rno sov•ietico sarebbe anche disposto a concludere col Gia'Ppone un accorrdo sulla limitazione degli armamenti navwli in Estremo Oriente, «ma finchè non interve•rrà in mate•ria un'intesa», esso non acconsentirà a nessuna misura che mettesse la capacità di difesa de.l Paese in .una situazione di ineguaglianza di fronte al Giappone.

Con ciò i Soviet entra:no praticamente in pieno nella politica dell'equHibrio delle forze mentre proclamano che l'« Unione Sovietica continuerà sempre i suoi sforzi per ottenere la soppressione reale di tutti gli armamenti. Tale aspirazione si ritrova immancabilmente in tutta l'attività del governo sovietico come è immutabile la sua lotta per il mantenimento della pace generale ».

(l) Il testo di questo tel espresso è stato tratto dalla ritrasmissione a Londra, • Parigi e Tokio effettuata con telespresso 219664/C. del 10 giugno.

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IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1102/291. L'Aja, 28 maggio 1936 (per. il 1° giugno).

Il pa•rtito cattolico ha in questi ultimi giorni intensificato la lotta contro

l'N.S.B. (l) e domenica 24 coPrente in varie chiese è stato pubblicamente dichia

rato che ve·rranno in avvenire negati i Sacramenti a colo.ro che aiutano e fanno

propaga;nda per il nazionalsocialismo in Olanda.

Questo severo provvedimento giunge a troppo breve distanza dal discorso

dell'ing. Mussert del 12 corrente (2) e dai violenti attacchi da lui sferrati contro il

Governo e particolarmente contro il signor de Graeff, per non far pensare

che si tratti della reazione a tali dichiarazioni.

L'internunzio apostolico, mons. Paolo Giobbe, che ho intrattenuto della

cosa, rammaricandomi che si tentasse cosi d·i tagliare le ali all'unico partito

olandese che, come tale, avesse parteggiato apertamente per l'Italia durante

il conflitto, e avesse soste·iO.Utl> la convenienza di rinunziare alle sanzioni, mi ha spiegato il provvediment.o dal punto di vista cattolico.

Dopo avere premesso che n .partito è rassolutamente indipendente dalla Chiesa, anche se del primo fanno parte attiva molti sacerdoti, egli mi ha fatto osservare come sia comprensibile che la Chiesa cattolica neghi tl suo appoggio a un partito che si professa aconfessionale, quando invece ne ha uno sottomano che si intitola al 'Cattolicismo. Mi è stato facile ribattergli ·Che è natur·ale che un movimento •olandese il quale mira a diffondersi a tutto il Paese si veda costretto ad astrarre da ogni professione di fede religiosa, visto che la popolazione dell'Olanda si divide oramai quasi per metà fra cattolici e protestanti.

Mi ha osservato poi che il partito N.S.B. è troppo legato all'hitlerismo, e impressiona troppo, in Olanda, il pensiero che gli eccessi della propaganda antireligiosa in Germania possano essere trasportati in questo Paese. Accusa vaga.

Ha negato che il provvedimento, rche riguarda non già g•1i iscritti al partito, ma piuttosto coloro che lo diffondono, si•a conse.guenza del Te·cente disco.rso di Mussert, affermando che esso er-a stato in certo modo già deciso fin dal mese d1 gennaio.

Non mi ha d'altra pa·rte accennato a nessuna vera colpa dell'N.S.B. verso la Chiesa cattolica, tolta la considerazione che molti dei dirigenti del partito si professino ateL

Non ho potuto capire se il .provvedimento !adottato si·a il risultato di un accordo intervenuto fra l'episcopato olandese e il Vaticano, ma dal modo come mons. Giobbe si è espresso, tenderei a ritenere che il Vaticano, pur essendo al corrente del progetto, si sia disinteressato della cosa, in vista forse anche di certe tendenze all'indipendenza che sembrano manifest8ìrsi nella chiesa cattolica d'Olanda.

Ha ammesso che l'ostilità cattolica all'N.S.B. deriva unicamente dal pericolo di vedere numeTosi voti passare all'N.S.B. e in questo, mi pare, egli è caduto in una grave contraddizione, che mi sono astenuto dal r.Uevare, .circa la pretesa indipendenza del partito cattolico dalla Chiesa che gli presta in questo caso le sue armi più seve·re.

Mi sarebbe difficile prevedere quali effetti questa specie di scomunica (che potrebbe precisarsi in seguito) possa averr·e sulla compagine del nazionalsocialismo olandese. I cattolici olandesi sono ferventi ·e fanatic.i e non dubito che mo>ltissimi di essi antepongano la loro salute sp•irituale alle sorti del partito e poss•ano !.asciare 'il secondo quando esso faccia co·rrere dei pe•ricoli aHa prima.

Mons. Giobbe, dei cui sentimenti di italianità non posso dubitare, ha voluto assicurarmi che non vi è ostilità da parte dei cattolici per il fascismo in quei gruppi che si isp:irano a Roma (e mi ha citato quello che fa capo alla rivista Arosto ed è animato dal Padre Lutkie, ben noto all'E. V.), ma gli ho fatto osservare che ·tali gruppi contano poco o nulla. L'unico che ha una ve,ra forza è il partito diretto dall'ing. Mussert.

Qufrnto al partito cattolico, ha ammesso che da esso l'Italia rnon ha nulla da spemre. Anche se individualmente d. deputati cattolici sono avversi alla sempre più ·assurda politica ginevr.ina del Governo, essi non hanno modo di stacc•arsene, e devono votare col Gove,rno che il pM'tito si è impegnato a sostenere e del quaJe fa parte.

Per parte mia, non posso non vedere nella recente decisione dell'episcopato olandese, un nuovo esempio della tendnza della Chiesa cattolica a allearsi ai movimenti di sinistra, o quanto meno a ostacolare i loro nemici (1}.

(l) -Vedi p. 48, nota l. (2) -L'esponente del nazionalsocial!sti olandesi Mussert aveva criticato vivacemente, in un comizio, la politica sanzionista del governo ed esaltato l'azione dell'Italia In Africa Orientale. Con T. 5131/16 P.R. del 15 maggio, il ministro Talianl era stato Incaricato di comunicare a Mussert Il compiacimento di Mussol!nl per Il suo atteggiamento. Mussert espresse successi\ amente il desiderio di venire a Roma per esporre «l'incresciosa situazione » in ·eu! si trovava il suo partito a causa dell'ostilità delle gerarchie cattoliche (T. 5195/35 R. del 31 maggio) e fu ricevuto in udienza da Mussol!nl Il 12 giugno (T. 6006/18 P.R. del 2 giugno).
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L'ADDETTO STAMPA A VIENNA, MORREALE, AL VICE CAPO DI GABINETTO, JACOMONI

L. Vienna, 28 maggio 1936.

Il Prtncipe Starhemberg, col quale ho avuto occasione d'i pariare Iunedi 25 corrente, mi ha detto che la sua uscita dal Governo è stata accolta con soddisfazione dalle Heimwehren le quali si sono sentite liberate dalle responsabilità di Governo in un periodo in cui questo, per H suo accentuato clericalismo ammantato di tendenze democratiche, accennava a prendere un orientamento politico che minacciava di compromettere il movimento. Tali opinioni sono state confermate, •a quanto Starhemberg mi ha detto oggi stesso, durante la riunione dei capi provinciali delle Heimwehren del 26 corr. Starhemberg continua ad essere dell'opinione che occorre evitare frizioni aperte con Schuschnigg, epperò egli dovrà occupare i suoi uomini in un'ope,ra di :riorganizzazi:one del movimento e di propaganda che potrà essere svolta intorno al programma a tendenza radicale delle Heimwehren, ed intorno alla sua stessa persona. Il trasferimento a Linz della direzione del movimento sarà, secondo [ui, una deHe misure destinate a dare l'impressione di un certo distacco dal governo, sen~a tuttavia autorizzare nessuno a pensare ·che si tratti di un passaggio all'opposizione; inoltre è tecnicamente opportuna. Starhemberg non pensa di svolgere in questo periodo azione diretta di contatto colle masse e cliò anche perché è convinto che riunioni deHe Heimwehren potrebbe·ro trasformarsi in pubbliche dimostrazioni contro Schuschnigg che egli intende evitare e sarebbero per lui oltremodo spiacevoli se dovesse.ro verificarsi in sua prese:n:I'Ja. .,.

Ho chiesto a Sta,rhemberg se fosse informato del contenuto e dell'andamento dene conversazioni di Schuschnigg con Papen. Mi ha risposto di non aver più visto Schuschnigg dal suo ritorno da Roma, che tuttavia Schuschnigg continua a negare a Draxler che tali conversazioni si siano avv·iate ad una concreta conclusione. Starhemberg ha l'impressione ·Che ciò non corrisponda a vel"lità; ·nitiene, inoltre, che Schuschnigg non sia uomo capace di tener testa alle insidie dei nazi una volta che questi siano riusciti a trarlo nella loro :re.te. Da me richiesto quale atteggtamento egli assumerebbe n·el caso da lui sospettato di un accordo Schuschnigg-Papen, si è mostrato dapprima incerto, quindi ha mostrato di assentil"\e al mio suggerimento di ·assumere, 'anche in tale eventualità, un contegno di attesa sottolineata da una certa diffidenza. Ciò contribuirebbe a tenere ,Je Heimwehren nella riserva ed a l-asciarne impregiudicata

la posizione ove un tentativo di conciliazione coi cosiddetti elementi nazionali dovessero in definitiva rafforzare J•a posizione del nazional-socialismo ·in Austria ed avvicinare il Paese ad una annessione di fatto.

La mia impressione è che i cristiano-sociali, dopo avere spinto Schuschnigg ad eliminare, per quanto possibile, le Heimwehren abbiano ora la sensazione dì essere andati troppo oltre e non si azzardino, per il momento almeno, a rtentare di sostituire il perduto alleato con elementi della social-democrazia e del nazional-socialismo. Non è azzardato dire che attualmente la posi:lli.one di Schuschnigg è abbastanza difficile. Scossa è la fiducia di Starhemberg, cintento oggi ad evitare che gli uomini gli sfuggano per passare al nazismo; diffidernti sono le masse operaie le quali temono un rafforzamento del clericalismo; divisi i crisUano sociali dei quali solo una parte reputa oppor.tuno oggi un avvicinamento alla Germania. Si ritiene infatti che questa abbia attuaJmente tutto l'interesse ·a mostrare una certa condiscendenza nei ·confronti deU'Austl"lia fino a g:iunge·re ad un accordo che, mentre da un c·anto le avv:icinerebbe l'Italia, toglierebbe d'altro .c:anto dal quadro delle preoceupazioni fmncesi quella del destino dell'Europa Centrale ·e faciliterebbe così I'oper.a di mediazione dell'Inghilterra. In un secondo tempo però, la Germania, conseguiti i suoi scopi immediati per .la liquidazione di Loca·rno, si varrebbe dell'accordo coll'Austria per sferrare qui quella propaganda nazista che dovrebbe avvicinar1a al raggiungimento di una delle tappe del nazional-sociaHsmo: l'assorbimento dell'Austria. Noto attualmente una ripresa di italofilia non solo da parte deghl ebrei i quaU pare fiutino qualche pericolo, ma anche di molti elementi c·ristiano sociali. L'atteggiamento di quest'ultimi può essere interpretato dn due modi: o per far pensare aWitalta che nulla devesi .temere in conseguenza del distacco delle Heimwehren dal Governo, o per assicurarsene ulteriormente la garanzia nei confronti della Germania alla quale essi si avvic:inano con baldan:zJa apparente, ma colla paura in cuore. È perciò, infine, che ritengo -se mi è consentito un apprezzamento -che Schuschnigg farebbe ope:ra saggi·a ov•e egli stesso contribuiss·e a facUitare al1e Heimwehren la loro posizione dì riserva, giacchè si tratta di gente che da anni lotta per :l'indipendenza dell'Austria e della quale egli potrebbe ancora avere bisogno (1).

(l) Il presente documento reca 11 visto di Mussol!nl.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 5266/327 R. Parigi, 29 maggio 1936, ore 14,30 (per. ore 18,20).

Iersera ho incontrato Politis, al quale ho detto rrisultarmi da quattro fonti div·erse :ed ·autentiche che egli :andava spargendo voce che lio gli avrei comunicato esser·e intenzione dell'Italia distruggere Impero britannico.

Politis negò categoricamente ricordando che avev:a avuto finora occasione di parlare meco di politica una volta sola, nel novembre scorso, durante la

quale conve,rsaz,ione io mi ero ·espresso in modo normrule nel senso che sanzioni petro1io ,avrebbero significato guerra ed avevo dichim~ato che il Capo del Governo non si sarebbe .lascicato imporre linea di condotta dalla S.d.N. Non avevo icn tale colloquio neppure menzionato Ingh:iltena. Mi pregò qu~ndi di smentire informazione attribuitagLi.

Gli ho detto, dal mio lato, che non potevo nominare ,le altre tre fonti, ma gli indicavo quella di Purié, che l'aveva trasmessa al suo Governo affinché egli chiarisse direttamente .con lui la cosa.

Politis mi ha detto poi che egli spe·rava che io sapessi che da un mese e mezzo -l1avora ·intensamente a Ginevra, sopratutto con Titulescu ed Aras, per tndurre tutti quanti a riconosc·ere stato di fatto ed a trovare soluzione che possa permettere all'Ital1a di occuparsi attivamente deHa politica europea e mondia1e.

Ha aggiunto di aver f,atto ieri visita a Blum e di avergli esposto necessità abolire senz'altro sanzioni entrando immediatamente in conversazioni •al riguardo col Governo 'inglese. Blum gli aveva risposto che, ·personalmente, era convinto porre fine sanzioni ma che si domandav'a se ·avrebbe avuto .tempo materi,ale, fra assunzione poteri e 16 giugno, di condurre a te.rmine .con Londra ìl difficile negoziato al riguardo. Politis osservò che non gh sembrava difficile tra Parigi e Londra raggiungere un accordo sul principio dell'abolizione delle sanzioni. Egli si sarebbe poi incaricato di escogitare formula da adotta.rsi a Ginevra per def-inire la cosa.

Come opinione persona1e ho detto a Politis che non scorgevo perché Ginevra si dovesse occupal'e di tale questione. Sanzioni erano state decise in seguito deliberazione appa-rentemente collettiva, sebbene fosse evidente che molti avevano subito una pressione aUa qurue non avevano potuto sottra·rsd. Per altro ogni Stato aveva poi agito per appli-cazione delle sanzioni medesime individualmente. Mi pareva quindi che singolarmente ognuno di essi avrebbe potuto notificare anche prima del 16 giugno al segretariato generale della S.d.N., che, essendo cessata la guerra e venuta meno causa per cui avevano applicato sanzioni, le aboUvano.

Politis non condivise mio parer·e sostenendo che soltanto una decisione collettiva a Ginevra degU Stati che avevano applicato sanzioni (ed anche soltanto del Consiglio della S.d.N. o del Comitato di coordinamento in nome di tutti gli altri) poteva risolvere la questione secondo la sola via giusta, che era que1la soc-ietaria.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussollnl.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FONOGRAMMA 5263/554 R. Ginevra, 29 maggio 1936, ore 20.

Questo ministro di Argentina ha informato, in assenza di Avenol, il segretario generale aggiunto Azcarate che d'ordine del suo Governo egli intende chiedere, con riserva, di presentare una nota ufficiale aUinchè l'Assemblea, che è già ~in sessione, venga convocata d'urgenza per discutere la questione etiopica.

Ho subito visto Ruiz Guinazu il quale mi ha spiegato che il punto di vista di Saavedra Lamas è che il ,conflitto italo-etiopico ha sollevato problemi troppo gravi perchè sia solo il Consiglio a prendere delùe decisioni che gli altri Stati del1a S.d.N. dovrebbero Umitarsi ad approva;re. Il Governo argentino ritiene che sia giunta l'ora perchè una discussione generale si ini:?Ji sulla nuova situazione che si è determinata in seguito alla scomparsa dell'Etiopia come Stato membro della Lega. L'Assemblea dovrebbe riunirsi coi seguenti due punti aLl'ordine del g1iorno: l) problema de1le sanzioni; 2) questione del r,iconoscimento del1a conquista milita;re della Etiopia effettuata dall'Italia.

D',altra parte, secondo Ruiz Guinazu l'Assemblea potrà fare opera di chiarificazione dato che i vari Stati sud-americani hanno perduto ogni fiducia nella Lega e l'abbandonano o minacciano di abbandonarla. Quest'opera di chiarificazione è tanto più necessaria ~n quanto servirà ag1i Stati dell'Americ~a Latina per fissare una loro linea di condotta nella prossima conferenza di Buenos Aires. Quindi l'utilità sotto tutti gli aspetti europei ed americani di una convocaz.tone dell'Assemblea sotto la quale i vari Gove,rni potranno assumere apertamente le loro responsabilità.

Ho deUo a Ruiz Guinazu che la proposta del suo Governo mi sembrava assolutamente inopportuna ed era desti:nata a complicare le cose invece che a facilitarle. Egli doveva essere al corrente della détente che si era manife,gtata in questi ultimi giorni in Europa e delle dichiarazioni del Duce al Daily Telegraph (l) che erano destinate a rasserenare l'atmosfera e sopratutto i rapporti italo-inglesi. La convocazione dell'Assemblea mentre si svolgeva questa opera delicata di ~intese e di contatti fra le Cancellerie non poteva che intralciare gravemente ,l'opem deHa diplomazia. Aveva già visto per esperienza quali diff:icoltà vi f~ossero state per mettere d'accnrdo 14 membri del Consiglio. Come poteva il suo Governo dichiarare di mettere d'accordo 53 membr'i della Assemblea? Se si trattava di fare dell'a;ccademia, il momento mi sembrava pa,rticolarmente pericoloso e 'l'irui.zi,ativa del suo Governo e-ra perciò assolutamente intempestiva. D'altra parte ,ge si voleva discutere U problema delle sanzioni sarebbe bastato convocare il Comitato di coordinamento nel quale erano rappresentati tutti gli Stati che facevano parte dell'Assemblea. Se si intendeva invece discutere il problema del riconoscimento della conquista itlliUana, questo era problema di estrema delic,atezza da lascia;re risolvere al tempo e al buon senso della diplomazia, non certo al demagogismo dell'Assemblea.

Ruiz Guinazu mi ha risposto che avevo ragione, ma che egli aveva istruzioni precise dal suo Governo, che do ho impressione egli abbia col consueto suo zelo societario provocato.

Ho chiesto al delegato argentino se sapeva cosa pensassero Londra e Parigi della sura iniziativa. Mi ha 'risposto di ,ignorarlo. Mi ha aggiunto solo

'

che iniziativa veniva presa di accordo con altri Governi sud americani che erano stati consultati. Ma non mi ha saputo precisare quaH.

La démarche argentina conosciuta nel pomeriggio a Ginevra desta molto stupore non scevro da preoccupazioni per le conseguenze che una eventuale convocazione dell'Assemblea può avere sull'atteggiamento italiano, sopratutto se all'Assemblea intervenisse come è da prevedersi, una sedicente delegazione etiopica.

Riferirò u1terio.rmente.

(l) Vedi p. 142, nota l.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5281/328 R. Parigi, 29 maggio 1936, ore 20,40 (per. ore 24).

Occupazione di una quindicina di stabilimenti industl"iali automobil:istici ed aeronautici da parte di 60.000 operai conttnua. È assai commentata la circostanZia che espenimento comunista in corso paralizza prepamzione aviatoria francese, cosa che non sembra corrispondere all'interesse dell'U.R.S.S. in questo momento.

Di fronte :ad una perfetta linea di condotta del partito comunista, caratte·rizzata come già neUa campagna elettorale, da grande moderazione, produce effettivamente impre.ssione 1ncNtezza, anzi incoscienza, degli altri partiti politici. Addirittura assurdo è atteggiamento dei mdico-socialisti i qua~i. tuttora l'lisentiti per !ii grave scacco subito nelle eleZiioni, si compiacciono quasi della occupazione delle fabbl'lich·e vedendo in essa un esperimento che aprirà gli occhi a molti fm:ncesi, che scorgeranno salvezza unica nel ritorno al pote:re dei radicali.

Nel fronte nazionale si nota esasperazione, liimi.tata alle parole, e quella rassegnazione che permise il trionfo di tutte le rivoluzioni non soltanto in Franc~a.

Persona che vide ieri colonnello de La Rocque mi ha detto che eg:lii continua ad esprimersi secondo misttca che vuole pacificazione de:i partiti pol1tioi, nessun spargimento di sangue, trionfo di idee che sono ispirate dal fascismo e dal naZiionalsocialismo modificate alla francese il che significa che sono idee non totalital'lie.

Occupazione delle fabbriche terminerà, con ogni probabilità, senza scosse forti anche perchè pe.r precauzione, nessun age,nte di polizia si agg:irerà nelle vicinanze degli stabi1iment:Ji in cui operai risiedono in permanenza senza Javoro. Domanda che tutti si fanno con ansietà riguarda prossima azione comunista. Visto che questo esperimento r:iuscì e che postulato dei comunisti Hnirà per essere accolto, moltissimi ,francesi prevedono che una brutta mattina si sveglie:rranno apprendendo che i comunisti ha;nno occupato nena notte ministeri ed altri centri vitali del potere esecutivo proclamando dittatura del proletariato.

Nessuno osa sperare in una azione deU'esercdto, dato che esso in Francia non marcia che in base ad un ordine del Governo, parecchi dubitano che fanteria sia del tutto sicura e che eseguirebbe ordine di spa·r!llre contro ·comunisti. I più ottimisti ritengono che P3!rigd. potrebbe essere perduta ed in mano ai comunisti ma che la salvezza potrebbe ancora venir·e dalla campagna dato che i contadini ed i piccoli pr.opri·etari opporrebbero resistenza passiva ad un esperimento estremista.

GoveJJno, che è tuttora al potere e Blum ·cercano di fare azione concUiativa che conosciamo dai tempi del libera1ismo anche iln Itali:a. In realtà cedono ai voleri de:i comunisti.

Blum è molto preoccupato della situazione perchè prevede imposd.zione a cui dov•rà sottostare, tanto più che esperimento presente sembra essere un ammonimento di fronte alla sua resistenza di accettare il programma della Confederazione Generale del Lavoro. Molti ritengono che Blum, appena si troverà di fronte a soluzione di problemi superiora alle sue forze politiche, invocherà cattive condizioni di salute e necessità di riposo per sottrarsi a responsabilità in cui non vuole incorrere.

Quadro complessivo della situazione è quanto mad oscuro ed è 1aggrav.ato dalla indisciplina dei partiti e dalla mancanza di coraggio delle masse non comuniste.

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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5166/50 R. Bucarest, 29 maggio 1936, ore 21 (per. ore 22).

Titulescu, che ha veduto ·ad una .colazione nostro addetto militare, gli ha detto:

l) che Eden non vuole ora terminare questione abissina ma desidera che l'Italia faccia qualche cosa di concreto per giungere ad una distensione con l'InghHterra;

II) che Blum considem Abissinia ormai definitivamente acquisita all'ItaHa, ma non può prendere iniziativa per fare ·aceettare fatto compiuto;

III) che •la Jugoslavia attraversa periodo di panico ne:i riguardi nostrd temendo un nostro attacco (!) e quindi non è favorevolmente disposta verso di noi;

IV) che Turchia ci è in questo momento avversa; V) che tendenza generale è per rinvio a settembre prossd.mo decisiloni circa sanzioni e che, a suo avviso, sarebbe un errore ·se Italia lasciasse definitivamente S.d.N. perchè a settembre sanzioni sarebbero certamente soppresse; VI) risultargli che Ungheria non seguirebbe ItaLia nel caso che questa Lasciasse S.d.N. •e che Gombos si f1ingerebbe in questo momento malato per sottrarsi ad eventuali premure dell'Italia.

16 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

Titulescu si è poi scagUato contro Beck asserendo che è andato a Belgrado non come ministro degli Affari Esteri polacco, ma come ambasciatore di Germania. Ogni suo tentativo di d1sgreg,azione è però 'inutile, perchè la Jugoslavia è fedele alla p,iccola Intesa. Ha accennato anche ai suoi migliorati rapporti personali con Stojadinovic, che ha accettato venire qui a Bucarest per incontro dei tre capi di Stato. Ha aggiunto infine che Litvinov è più che mai ostile ana Germania e che sembra deciso a riprendere cordiali rapporti con l'Italia.

Vedrò Titulescu nei prossimi giorni e non mancherò di dirgli che, se lui e con lui Piccola Intesa continuano a credere che l'Italia non reagirà alla commedia che si sta inscenando per il 16 giugno prossimo si ingannano e se ne pentiranno quando però sarà troppo tardi.

Ritengo noti:llia .fornita da Titulescu come sostanzialmente esatta. Egli si compiace specia;lmente di servirei quelle informazioni che tendono ad aumentare nostra diffidenza verso Jugoslav,ia e verso Turchia e creare un'atmosfera sf,avorevo'le fra noi ed Ungheria. Dalle sue osservazioni sì rileva pure cbe egLi cont~nua a non rendersi conto che il prolungarsi delle sanzioni potrebbe, con Ia nostra definitiva uscita da G~nevm, fare precipitare s1ituazione in Europa Centrale a tutto vantaggio della Germania e con liquidazione, a non lontana scadenza, della Piccola Intesa.

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IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. RR. 2449/286 R. Roma, 29 maggio 1936, ore 24.

Telegramma di V. E. n. 320 (l).

Concordo con V. E. su opportunità iJnsistere in Hnea prri.ncipale su tesi incompetenza Comitato dei Diciotto e su necessità che sanzioni siano soppresse per atto unilaterale de:i singoli Stati. Qualora tesi predetta non avesse seguito e venisse convocato Comitato dei Diciotto converrebbe in linea subordinata riprendere contatti con Costa du Rels e inco11aggiare azione colle,ttiva degH Stati l.atino-americani per far prevalere in seno detto Comitato abolizione sanzioni.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PERSONALE PER CORRIERE 0356. Londra, 29 maggio 1936 (2).

Sir Aust~n Chamberla;in col quale sono in continuo personale contatto, mi ha detto oggi che le dichiarazioni del Duce al Daily Telegraph di ieri (3) non potevano esser più ~tempestive, più importanti, e più esaurienti. Esse deb

bono esser considerate come un fatto politi-co molto importante, e come un punto d:i partenza concreto in quel che saranno i futuri rapporti anglo-italiani. Chamberlain mi ha confermato 1a profonda impressione che questa intervista ha fatto alla Camera dei Comuni e soprattutto nelle fHe del movimento antisanzionista che dalle dichiarazioni del Duce ha indubbiamente 'tratto nuova forza e nuovo vigore pe~r Ia sua campagna nel Parlamento, nel Paese e sulla stampa.

Chamberiain mi ha domandato se io avevo comunicato a Eden e al Governo britannico nntervista del Duce 'al Daily Telegraph. Ho risposto a Chambel"llain che l'avevo fatto ~ieri, e l'ho messo al corrente conf1denzialmente dei miei col1oqU!i con Vansittart e del mio coUoquio di ieri con Eden. Chamberlain mi ha dichiarato con vivacità d'esser par,ticolarmente lieto nel sapere che vi ~era stata questa presa di contatti concreti, se pur d:i carattere generale e pr,elim~nare, ~col Segretavio di Stato •e col Governo britanntco.

«Bisogrna che ~le dichiavazioni di Mussolini restino come documento della buona volontà italiana, e che il Gabinetto britannico sia messo nella necessità, senza ulterioru ,procrastinamenti, d:i prender,e atto del pensiero del Duce. Le pubbliche dichiaraziorni di Musso:lLni hanno avuto e stanno avendo un effetto profondo nel1a pubblic~a opinione britannica. Bisogna evitare che il Governo possa domani, come pretesto e scusante, dichdarare che tali dichiJarazioni non so,no state prese in esame p,e,rché non dirette al Governo britannico, ma soltanto all'opinione pubblica inglese ».

Chamberla:i.n mi ha detto che deside,rava pav1armi della posizione pe,rsonale di Eden.

«Vi sarò grato se voi divete da parte mia al Duce quello che io penso di Eden. Eden è un giov,ane con molte qualità e con molti difetti. Egli è stato mio segretario di Gabinetto e mio sottosegretariato. Sono io che l'ho lanciato nella vita politica. In questi ultimi mesi sono stato costretto più volte a dichiarare pubblicamente il mio dissenso e 'a criticare aspramente alcuni aspetti delLa sua azione. Voi lo sapete 11erfettamente. Dico questo perchè Mussolini non deve ~credere che io vogUa difendere Eden. L'azione di Edern, ripeto, è stata durante questi mesi ben lungi da quello che av·rebbe dovuto esser l'azione di un uomo di Stato responsabile della poHtica dell'Impero britannico. Quest'uomo si è trovato tuttavia in una posizione estremamente diffi·cile soprattutto perchè ogni suo atto e sua manifestazione nel campo internazionale doV'eva, per le direttive dategli da Baldwin, esser inteso ad avere delle dete,rminate ripercussioni nella politica interna britannica. Questa è in fondo ,La vera debolezza di tutta l'azione del Governo di Baldwin: l'1azione d:nte.mazionale della Gran Bretagna subordinata aLle mutevoH e spesso meschine esigenze del1a politioa interna, parlamentare e soprattutto elettorale. Eden non è stato all'altezza di questo compito e io sono il primo 'a dichi,a.rare questo. Ma egli ha limparato molto in questi mesi, a sue spese e purtroppo a spese anche dell'Inghilterra,

o della nostra politica estera che ha registrato in questi mesi d:l più clamoroso insuccesso. Ma di questo è responsabile Baldwin assai più di quello ~che non lo s~a Eden, il quale ha seguito ~le sue direttive e i suoi ordini. Eden ha dei forti difetti di carattere e non sa talvolta misurare gli effetti della sua azione, ma non vedo chi potrebbe in questo momento sostituirlo. D'altra parte io posso dirvi che in queste ultime settimane si è ope11ato un cambiamento notevole in lui e sembra che egli sia tornato, spectalmente dopo la mia presa di posizione ferma e precisa ai Comuni contro le sanzioni, a tener il mio consigHo n,e,l dovuto conto. Mi ,si dice da ogni parte che Mussolini ha per lui un'antipatia personale profonda, e che questo sia stato uno dei risultati della sfortunata missione di Eden a Roma nel giugno scorso. Io l'ho smentito perché conosco Mussoldni, e so come il rancore non sia mai entrato in quella che è Ja sua V'asta e lungimir,ante azione politica. Eden è ricupembile, voi 1o conoscete da d'i,eci anni, ~ se voi gJi state vicino, c'l'edo che eg,li ancom poss~a esser utile per queH'azione pol:itica di raddrizzamento e di 11evisione della politica estera britanll!ica, che noi GonserV'atori ormai siamo decisi a volere ».

Ho risposto a Ghamber,lain cbe potevo ga11antirgli nei modo più assoluto che da parte del Duce il problema personale di Eden non s'era mai posto, né si poneva. Ho 'ricordato a Chamberlaln il modo generoso con cui il Duce ricevette e incontrò Henderson a Palazzo Venezia nel 1930. Mussolini è troppo gnande pe11ché egli dia importanza a motivi o risentimenti di carattere personale. Mostrerà Eden effettivamente che la sua linea d'1azione politica nei riguardi dell'Italia si prepara ad essere e sarà diversa da queUa tenuta fino a oggi? Questo è il punto. Circa le difficoltà personali di Eden di fronte a:na opinione pubblica britannica e in Parlamento, io le conosco. Non lo invidio. Gli ho sempre par,lato francamente e continuerò a parlarg1i f~va;ncamente, cosa del resto che Eden ha sempre mostrato di apprezzare, poiché le nostre 11eiazioni personali non sono mai mutate dwante dieci anni, anche nei momenti più duri della polemica itala-britannica. È certo tuttavia, ho continuato, che Eden deve evita;re ,alcune tipiehe manifestazioni poHtiche le quali mentre da una parte coinvolgono la responsabiHtà del Governo britanni~co, non possono se non provocare del1e sgradevoli impressioni nel popolo italiano e un'immancabile g1iustificata reazione ».

Chamberlain ed io abbiamo ripreso a parla~re del1a situazione generale.

«È fuori dubbio -ha detto Chamber1ain -che il movimento anti-sanzionista cresce in Inghilterra giorno per g-iorno, e io sono più che mai deciso a portare avanti questo movimento 'in modo da accelerare i tempi per una revisione dell',attuale politica estera britanni,ca. Credo di poter dire che nelle proporz,ioni numeriche la Gamem dei Comuni ha già ,}a metà più uno di antisanziorristi. La situazione rimane tuttavia estremamente difficHe pe,r il Gove11no il quale non ha ancora rinunc,iato a voler f,are due politrche in una vo1ta: quella della maggio11amza e quella dell'opposizione, per cui mentre non vi è dubbio che la situazione migliora ogni giorno nel senso di una chiarificazione fra Inghilterra e Italia, io sinceramente non vedo ancora quale forma pratic,a e completa questo processo prenderà. Avrà Baldwin il coraggio di superare uno stato d',animo e una politica di ,cui è rimasto prigioniero, e nel1a quale dibatte senza trovar,e una via d'uscita? Ne dubito fnr~temente. La situaZJione wnte~rnazionale è ormai tutt'uno colla situazione pe.rsonal'e di Ba1dwin, e eolLa s~ttuazione parlamentare del Governo d'unione nazionale. La politica dell'azione collettiva è la palla al piede dalla quale il Governo non sa liberarsi e che

lo :immobilizzerà ancom per qualche tempo, non vi è dubbi·o. Av,remo aUa Oamel'a dei Comuni pr:ima del 16 di Giugno un nuovo dibattito di politica este·ra. Io stesso l'ho chi·esto e io parlerò ancora sostenendo :il prdncipio che se il Governo britannico non si deciderà 'a prendere una Ji:nea cor·aggiosa circa le sanzioni, noi ·r1tarderemo :il processo delLa :ricostituztone di un sistema europeo che abbia qualche probabilità di ,allontanare 'l~urag•runo che si avvicina, e nello stesso tempo rischieremo di vedere le sanzioni morire da se stesse, per natul'ale consunzione, in modo che ·~a poUtica sanzionista inglese sarà doppiamente sconfitta ».

Chamberlain, come del resto fanno 'sempre tutti coloro ehe perseguono in Inghdlterm una politica anti-tedesca, ha voluto ancora una volta che io gli riconfermassi che La politica del Duce nei riguardi del problema de1l',indipendenza austriaca resta e 'resterà immutata, e .che il Duce desidera sincemmente un accordo con l'Inghi1ter.r:a e .con la Fmncia per f.rontegg·i·are insieme il sempre più minac·c,Loso pe.ricolo tedesco. Chamberlain mi ha detto con qualche preoccupazione essergli giunta la notizia da tonte abbastanza importante che tra il Duce e Hitler si sarebbe raggiunto recentemente un accordo segreto mediante il quale Hitler avrebbe .rinunciato per un .certo numero di 'anni a qualsiasi azJone in Austria e Mussolini da parte sua av.rebbe promesso ·a Hitler d'appoggi·arlo in un'azione decisa contm 1a ce.coslovacchia.

Ho escluso nettamente con Chamber.1ain ·ciò. Ho ricordato a Chamber1ain, come durante un anno, nonostante che la polittca inglese abbi:a fatto di ~tutto per costringere Mussolini a avvicinarsi alla Ge.rmaJULa, i,l Duce ha sempre resistito alla Germania non meno che al blocco politico delle 51 Potenze sanzion)iste guidate dall'Inghilte,rm. Ho aggdunto che nonostante _l']nghilter:ra abbia dumnte un ,anno fa.tto tutto il possibile per diVlide're nuovamente l'Italia da1la FmnC'Ì'a, distruggendo tutto quelLo che enano stati gli sforzi di 15 anni della diplomazia britannica intesa a raggiungere un riavvicinamento italafrancese, il Duce non è venuto meno all'intesa raggiunta nel gennaio 1935 col presidente Lavai.

Chamberlain mi ha detto che non dubi,tava di questa mia pre.cisa 11Lsposta, e che era d'accordo con me nel giudicare che la politica estera britannica di quest'anno è stata veramente un paradosso •inspLegabile, contl'additto.rio e disg,razLato. Non vi è dubbio che la tendenz·a gener.ale è quella di tmrre lezLone dall'esperienza di quest'anno, e di dare alla politica estera britannica un nuovo contenuto realistico, liberaJndosi una buona volta dall'azione e dall'influenza perniciosa di tutto il fanatismo societa:rio che ha portato l'Inghiltena a una del1e sconfitte d:iplomatiche e politiche più clamorose nena sua stori•a.

«Assicurate Mussolini che io ·continuerò a battermi nel senso che egli ·sa. La situazione è migliorata in poche settimane più di quello che non em legittimo spemre. Essa rimrune tuttavia deLicata, e qualsiasi episodio spiacevole può contribuire a rallenta.re questo ·proce,sso di chiarificazione che procede ormai sicuramente ma con una lentezza e pesantezza di .cui io Io prego di r·ende·rsi conto. Avremo ancora davanti a noi dei mesi difficili, di esitazioni e d'incertezza, ma se egli continuerà ad 'aiutare questo processo di revisione linterna

della politica inglese con dichiarazioni come quella del Daily Telegraph e sopmttutto non rac,cogliendo, né facendo raccogliere dalia stampa dtaUana, le manifestazioni deplorevoLi che nel campo sanzionista certamente continueranno a verificarsi per parecchio tempo, supereremo anche le difficoltà che rimangono.

Nelle prossime settimane la presenza dell'ex Negus ,a Londra darà certamente motivo per una recrudescenza sanziondsta. Io non so dare consigli, ma se la stampa itaJiana ignoèt'asse tutto oiò, e continuasse, come fa oggi, a pubblioare quotidianamente e largamente notizie di quel1o che l'Italia sta già f'Mendo per la messa in valore e per la civilizza~ione dell'Abissinia, credo che oiò contr~bukà, più di qualsiasi altra cosa, a persuadere H popolo inglese che è ormai grottesco e anacronistico di prendere sul serio l'ex Negus d'Abissinia» (1).

(l) -Vedi D. 108. (2) -Manca !"indicazione della data e del numero di protocollo d'arrivo. (3) -Vedi p. 142, nota l.
135

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI

TELESPR. R. U. 601350/145. Roma, 29 maggio 1936.

È noto all'E. V. come il nuovo partito politico belga, il rexismo, sorto di recente dalla ,sc,issione del 1locale partito ,c,attolico, stia prendendo piede. Sembra che in vista di ciò, gli avversari di quel partito cerchino di provocare qualche provvedimento da parte deLle Autorità ecclesiastiche nel senso di apeirta condanna di esso sotto l'accusa di indisciplina morale, per aver fra l'altro dato scandalo alla denuncia del1a corruzione finanzia!lia di alcuni esponenti politici del mondo cattolico belga.

Poichè il rexismo rappresenta il primo tentativo di inserire nuove forze a tendenze fasciste nella vita ,politica del Belgio, esso è da ~considerare da parte nostra con s~impatia e conseguentemente conviene adoperarci per ,allontanare quanto possibile misure che potrebbero stroncare sul nascere questo movimento giovanile.

Il R. ambasciatore in Bruxelles segnala pertanto la convenienza di prevenire presso la Santa Sede l'attuale manovra antirexista che sarebbe favorita anche dal nunzio apostolico in quella capitale. Naturalmente occorrerebbe agire con la massima cauteLa, allo scopo anche di non pregiudicare un'eventuale azione che quel R. ambasciatore svolgesse a favore del rexismo.

Nel darLe notizia di ciò, prego l'E. V. di fare discrete indagini sugli effettivi propositi della Santa Sede nei riguardi del rexismo e di considerare l'opportunità di adoperarsi ad allontanare eventuali preconcetti del Vaticano contro dl nuovo partito, o per lo meno ad evitare che intervengano da pa,rte del1a Chiesa manifesti atti di disapprovazione i quali d'altronde potrebbero provocare una reazione del partito ste~sso portandolo ad assumere atteggiamento decisamente anticattolico (2).

(l) -Il presente documento reca Il visto d! Mussol!n!. (2) -Con telespr. r. 1758/418 del 12 giugno 1936 Pignatti rispondeva quanto segue: «La Santa Sede è fortemente irritata contro Il rexismo e Il suo capo. Si rimprovera a quest'ultimo di avere attaccato in malo modo personalità del mondo cattolico, di avere contribuito fortemente alla sconfitta del partito cattolico nelle recenti elezioni e seminata la zizzania fra i cattolici. In queste condizioni non v'è da attendersi un atteggiamento benevolo della Santa Sede verso i rexisti e il signor Degrelle ».
136

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1124/487. Ankara, 29 maggio 1936 (per. il 9 giugno).

Miei telegrammi n. 126-127 in data odierna (1).

In questi ultimi otto giorni ho avute lunghe conversazione con Sukrli Kaya, Ministro dell'Interno, con Ismet Inonu, e con Saracoglu ministro della Giustizia e ministro degli Esteri ad interim. Argomento: i rapporti turco-italiani così turbati negli ultimi mesi, specie in seguito al nuovo aspetto assunto dalle relazioni turco britanniche, e la necessità di un gesto turco per ridare vita all'affievolito Patto di amicizia itala-turco (2).

Ho esposto ·ampi·amente i nostri rapporti dall'ottobre .in poi, il felice inizio seguito da un voltaf,accia inatteso, ~e mamc•ate p110messe, la scars·a fede ohe potevo avere soprattutto nelle dichiarazioni ad assicurazioni di Aras che più volte mi aveva dato « menzognere ~ assicuraziond, la attìtudine offensiva ed insolente della grande maggioranza della stampa turca e specie il tono provocatorio degli organi del noto Yunus Nadi, per concludere su questo punto che era necessario vedere se il Governo turco preferiva la libertà di eloquio di questo brutto signore (ho rammentato ad Ismet che egli aveva pubblrLcato una oar.icatur'a dove si mostrava la cassa forte ital'iana vuota, ed esdama,to: è sopratutto vuota per lui!) alla convenienza di non sgretolare quotidianamente l'edifido de1la amicizia italo-turca.

Ne deducevo la necessità, da parte del Governo turco, di compiere un atto che ridesse un poco di significato al nostro vigente patto di amicizia. Togliesse quindi la Turchia le sanzioni che essa, meno di ogni altra Potenza avev'a ragione di 'avere appHcato, o nella peggiore ipotesi si f.a;cesse decisa ini~iatrice de1la loro soppressione in seno alla Intesa Ba1canica. Le nostre notizie e:ilano che, malauguratamente, a Belgrado, era stato proprio Aras a far naufragare una proposta di Stojadinovic. «Mi sorprende, ha esclamato Sukru Kaja, perchè il governo in una seduta di Gabinetto si era mostrato favorevolissimo ad appoggi-are ogrrri proposta di soppressione delle sanzioni ~. «Può darsi, ho risposto, ma noi .sappiamo :in modo pertinente che è stato proprio Aras ad opporvisi ~.

Ed a Saracoglou che mi diceva essere Ismet irritatissimo per la mia affermazione che Aras aveva ostacolato la proposta Stojadinovié., e ne attendeva il ritorno per fare un pubblico comunicato di smentita alle nostre affermazioni, ho risposto che tale comunicato non avrebbe avuto pratica utilità. Ne avrebbe provocati altri, e le cose sarebbero rimaste come prima. Era meglio fare un atto positivo per togliere le sanzioni. Ciò valeva meglio di qualsiasi smentita.

Con Ismet mi sono espresso analogamente. Egli mi ha protestato amiCIZia ed affermato volontà di provarcela. Ha chiesto insistentemente quale fosse il pensiero di V. E. sul Patto Mediterraneo e sulla rimilitarizzazione degli Stretti. «'I1ogUere le sanzioni, e poi ne parleremo », ho risposto inva,riabilmente. Ma con lui ti1 ·Colloquio è rimasto senza pratica conclusione. E mi ha rimandato ad Ams, 11 cui ritorno era imminente. Nessuna parola sull'effettivo atteggiamento di Aras 1a Belgmdo, ancora meno è :comparsa poi la pubbltca smentita cui aveva accennato Saragiog:lou.

Ho poi avuto ieri sera dalle 22 alle 24 un interminabile colloquio col ministro turco degli Affari Esteri arrivato al mattino dia Istanbul dove, dopo il suo ritorno dalla Conferenza di Belgrado (1) e dalla riunione di Ginevra, si era trattenuto vari giorni col presidente della Repubblica.

Quanto de:ttogli da me non è stata che 1a ripetizione di quello detto agli altri personaggi del governo turco sopra nominati. Riassumo per argomenti e sfrondato :al massi:mo dalla consueta verbosità, la esposizione fattami da A11as.

Rapporti turco-italiani. Nega qualsiasi mancanza turca al patto di amiciz·~a. La Tu11chia ha :l:a frenesia deLla osse,rvanza dei suoi obblighi. Non poteva sottrarsi a quelli derivanti dal Covenant. Questa rigida interpretazione degli impegni assunti è la forza che un piccolo Paese può avere. Così come aveVIa ~risposto a Londra per l'art. 16 punto 3 in caso di aggressione italiana, ugualmente risponderebbe a noi se :avessìmo bisogno di invocare a nostro favore in future circostanze internazionali tale articolo. A mia domanda come poteva conciliare tali impegni ·COl patto di :amicizia ha risposto che appunto .per amicizia verso di noi aveva, :con la adesione data aLia richiesta inglese, trattenuto l'Inghilterra dall'alLargare in Mediterraneo il campo del conflitto, che poi della r~sposta data a Londra d aveva subito avvertito. La Turchia era stata la sola ad opporsi pe·r iscritto :a misure militari. GH ho r~eplicato che l'!Jl!ghtltel'ra non aveva portato la guena ,in Mediterraneo solo per l'a riconosciuta sua debolezza, che quanto alle comunicazioni fattemi, benchè molto tempo fosse passato, ~11icordavo perfettamente che avevamo appreso gli accordi anglo mediterranei con la Turchia soltanto dalle dichiarazioni fatte alla Camera dei Comuni il 26 dicembre 1935 da Hoare.

Per lca stampa mi ba dato ~assicuraz'io~ni formali che si provvederebbe oon energia. Il g:iorno prima avevo detto ~ad Ismet, H quale mi asskurava che ordini erano stati dati, che non ne dubitavo, ma che dovevo allora constatare che non erano obbediti, e che vi era :chi si burlava di :lui. Ora un g:enerale quale egH era, doveva bene sapere che le battaglie non si vincono soltanto dando degli ordini ma esigendo, ove occorra anche crudelmente, che essi siano osservati.

Sanzioni. Ha anzitutto spudoratamente negato [n modo preciso e deciso di essersi opposto alla proposta di Stojadinovic. Ne ho preso atto ed ho subito aggiunto, che, siccome avevo preso atto di ugualmente precise contrarie dichiarazioni, fra le due prese d'atto la :testa mi girava.

Per H futuro dettomi che occorreva trovare la via e la formuLa pe.r sopprimer.le: o .constatandole oinefHeaci se noo accompagnate da misure militari,

o mconoscendo1e ormai inoperanti dato H risultato di fatto ottenuto dall'Italia, per giungere quindi ad una riforma dell'art. 16. Titulescu voleva infatti proporre ehe in una futura nuova redazione di tale artieolo misure economiche e misure mmtar.i marciassero di pari passo. Ma a questo risultato occorreva giungere in pieno accordo con Parigi e l.Jondra.

Ha distinto sanzioni economiche da sanzioni finanziarie. Egli si •interessa delle prime. Credeva del resto che solo questo primo passo si sarebbe se mai fatto a giugno a Ginevra. Del-le Hn•anziar.ie non gli importava, anche perohè la Turchia non aveva denari da prestare. «Nè noi abbiamo bisogno di prestiti da nessuno », g.Ii ho r.isposto se·ccamente.

Egli sar.ebbe a Pardgi già U 14 giugno, ivi prenderebbe contatto coo FranC'i!a 'ed Inghilterra. Sosterrebbe la necessità di togliere .le sanzioni, ma non dichiarerebbe mai di prenderne od averne preso iniziativa. Gli premeva il risultato, non il merito di averlo raggiunto. Quando vi fosse accordo su quello che si deciderebbe a Ginevra, poco importava chi figurerebbe come promotore della levata delle sanzioni.

Abissinia. La levata de1le sanzioni non riso.lveV'a la questione abissina, ma avviava soltanto alLa soluzi·one. Inghilterra e F.mncia avev·ano verbalmente prote8tato contro la nostra proclamazione dell'Impero (gli ho detto che ciò non mi risultava). Non si poteva giungere al suo riconoscimento che d!opo un nuovo •assetto internazionale, che 8Ulla base di patti generali o regionali gar·antisse •la si.eurezza collettiva.

Solo dopo ciò l'Impero sarebbe riconosciuto, quale effetto è •risultato di una nuova roaggiunta sicurezza e di una riforma essenz~ale deUa S.d.N. resa più efficacemente operante.

Nuovo Locarno. Patto dell'Est. La nuova sicurezza europe·a noo potev;a essere però .ragg.iunta che con un .accordo anglo-franco-germanico, .cui si sarebbero associate Belgio ed Olanda. Per l'accordo anglo-franco-germanico i tempi e.rano maturi. L'avvento del governo Blum, forte di una risoluta maggioranza parlamentare, troverebbe le basi di una intesa franco-germanica più facLimente ehe ogni altro governo. Blum seguirebbe del resto le direttive ing1es,i, favo.revoli ·al più ampio ac·comodamento eon Berlino.

Ma poichè occorreva assicurare anche i SoV'iet, la cui preoecupazione principale è l.a minaccia germanica, Mosca o dovev•a entrare in un patto gene.r.ale europeo studiato e deciso dalla S.d.N., e per es8a dal Consiglio, o concretare il noto patto di sicurezza dell'Est.

La r.icostruz.fone del f,ronte di Stresa gli pareva impossibile, (lo aveva detto anche •a Oerruti) e se si fosse verificata avrebbe, secon.do .lui, derte.rminato immediatamente una conversione verso la Germania di tutte le Potenze balcaniche.

Patto Mediterraneo. Corollario di questo assetto d!1p1omatico europeo era la pacificazione mediterranea per garantirvi l'equilibrio delle Potenze. Già in diritto tale patto e8isteva per .la adesione data ,alla doman.da inglese da Fl'ancia,

'!1urchia, Grecia e Jugoslav,ia ma (notisi finalmente 1a aperta ammissione) ha significato ostile all'Italia. Nè, ha risposto su mia an&loga domanda, esso finirà il giorno in cui saranno tolte le sanzioni, poichè gli impegni, dati !i testi scambiati, dur,eranno per tutta la durata del conflitto abissino cioè Hno al 11iconoscimento da parte della S.d.N. deLia situazione creata dall'Italia (ciò che, se non è una improvvisa invenzione del suo fertile irngegno, costituisce, almeno rper me, un punto nuovo degli accordi intervenuti a suo tempo). Occorre solo trasformare tale accordo, ha concesso benevolmente, facendogli perdere ogni suo significato ostile all'Italia con l'ingresso dell'Italia stessa nel patto, che dovrebbe essere di mutua gamnzia e di esecuzione automattca. Modello: il Patto Balcanico.

La discussione per tale patto non può farsi che tra tutte le Potenze medii.terTanee; l'Inghilterra essendoSii preclusa, a seguito degli aooordi intervenuti a suo tempo, la Jibertà di discuterne da sola con l'Italia. Ciò non costituisce che il semplice corrispettivo della adesione data alla sua richiesta degli Stati mediteJ:'Iranei (ed anche questa affermazione, se non é pure essa !improvvisa invenzione del suo fertile ingegno, è un secondo punto ignoto dei noti accordi). (Mio telegramma n. 127).

Limitazione degli armamenti. Se tale complesso di accordi potrà essere raggiunto, con una od altra procedura, in forma diversa ma sostanz,ialmente formante una garanzia coHettiva .europea, si potrà alrtresi r1par1are di una limitazione degli armamenti. Ma non prima di due amni, doè quando J',armamento turco sarà compiuto, poichè in questo nuovo periodo la pace europea non può essere che armata.

Di tutto ciò si parlerebbe a Parigi e Londra prima, a Ginevra poi. Ma poi.chè alla 'prossima riunione ginevr,ina l'Ital:ia non sarebbe rappresentata, le successive riun,ioni di Montreux potrebbero permertte>re contatti, co1loqui e soluzioni ,che ia ·assenza dell'Italia da Ginevra non avesse consentito.

Non ho lasciato Aras senza continue obiezi!oni e dinieghi. Alcune le ho già indicate. Ma spedalmente lo ho attaccato per quanto ha rigual"do al netto significato antitaliano dell'atteggi-amento turco d'alla metà di novembre in poi, per ogni mancata comunicazione a noi delle note scambiate con l'Inghi,Jterra, per l'atteggiamento contrario da lui tenuto a Belgrado alla >proposta Stojadinovic delle sanzioni. Ho detto che le informazioni ci venivano da altissima e serissima fonte.

Qua;nto alla serie dei patti che dov.rebbero secondo 1lui garantire la pace europea gli ho fatto osservare che mi pareva difficile che Francia, Inghilterra e Germania potessero anche un solo momento non de,sidemre Ia nostra presenza in un nuovo Locarno. Dichlarazioni di uomirrli responsabili, attitudine di governi, movimenti di opinione pubblica ed atteggiamenti di stampa lo provavano chiaramente.

Per il patto mediterraneo dovevo metterlo in guardia. Farlo derivare anzichè da un normale e simpatico sv.ilup.po dei rappor,ti italo turchi, come era nel pensiero di Ismet, da un preesistente ,accordo (del quale negH;vo oltrechè il fondamento societa,rio anche ogni durata sostenibUe allorché fossero tolte le sanzioni) di ,cui egli stesso ammettev,a il signiftcato ostile all'Ital!ia, era dargli atto di battesimo non certo di buon augurio. EgU partiva da un malaugurato momento dei rapporti ~nternazionald. In ogni cas.o egli dimentic•ava la funzione europea dell'I1ialia .che era ora grandemente rafforzata e con un prestigio accre·sciuto dopo la Jn"OClamazione de1l'Impero.

Nel complesso tutte le esposizioni e le dichiarazioni di Aras come le neg·ative e le argomentazioni faHaci e sofistiche, e11ano ,impr0ntate ad una non ceiata e fredda ostilità, ed esposto in tono ben diverso da quello cordiale e simpatico avuto nei giorni precedenti con gli altri inter.locutori, specialmente Ismet. Nei pr.imi era almeno .s·alvaguardata 1a forma, e delle apparenze, anche .se :insincere, continuavano a sussistere.

Ho esposto con qualehe •ampiezza, e con una precisione certo superiore a quelLa dell'e,loquio arassiano, quanto mi è stato detto ieri sera, non perchè sopravvaluti le ideologie confuse del ministro turco degli Affari Esteri, ma perehè 'ciò sembrami megUo giustificare le conclusioni e l~ .riflessioni che ora seguono. E poi perchè, come ne ho avuto ampia riprova anche negli ultimi giorni, nella politica estera turca sono le sue idee che prevalgono, non quelle di alcun altro personaggio del gove,rno turco.

Il colloquio con Aras è stato dunque sostanzialmente ostile e negativo. Basterebbero le sue risposte quanto •alla ,levata delle sanzioni. Avevo già con Saracoglu e con Ismet svolto ogni possibile argomento in favore di una decisione autonoma turca per Ia Ievata di esse, e subordinatamente per una f.ranca e chiara iniziativa in seno alla Intesa BaLcanica. Ho dichiarato tenere che la Ttll"·chia ne av•esse il merito, pe•r di8truggere neUa nostra opinione pubbLica molte sgradevoli impressio'Dii di questi ultimi mesi, ed insistevo 1perchè neUa stampa vi fosse qualche manife.stazione .in propo.sito. Entrambi non avevano espresso aJcun parere, mi avevano r.invi•ato ad Aras. Ho telegrafato a V. E. con n. 126 come questi ha ·concluso. Non teneva nemmeno a che 1a Ttll"c:hia avesse qualsia.si merito per la levata delle sanzioni.

Ma l'linsieme del colloquio .con Ams ·e la conclusione negativa di esso non può essere distaccata del tutto dalla politica turca quale ho costantemente indicato a V. E.

La Turchia si sente da mesi in istato di perieolo rispetto aUa possibiLità di una conflagmzione generale, si crede minacoiata indirettamente da:Waccrescimento del potenz!iale itaUano ·che modifica l'equilibrio delle forze mediterranee, e direttamente per un possibile riaccendersi delle nostre aspira:I'Jioni anatoliche.

Da questi presunti pericoli e minacce crede trovarE: dife8a nell'Inghilterra, le cui vie imperiali mediterranee e del Mar Rosso sono attraversate dal nuovo impero italiano. Credette ad un certo momento che il conflitto potesoo Lmprevedutamente e rapidamente verificarsi, quindi pronta adesione alla domanda inglese per l'assistenza ·in caso di aggre.ssione italiana alle forze navaLi britanniche. Ma è radicata la convinzione che l'Inghi.lterra potrà avere di qui ad un paio d'anni un rapporto più preciso fra necessità ed impegni imperiali e forze per mantenerli. A quel momento se l'Italiia seguiterà la minacciosa sua ascensione e l'Impero Britannico crederà prendere la sua rivincita, Ia Turchia vorrà essergli al fianco per difendere i suoi interessi.

Scelgo ,a caso manifestaz,ioni di stampa di questi ultimi giorni, e trascrivo dichiarazioni di Ismet dette al Kamutay in sede di discussione dei bilancio del ministero degli Affari Esteri. (Vedi anche relazione particolare in questa discussione).

Ismet ha detto al Kamutay: <<Per quanto un uomo può giudicare, noi non vediamo all'orizzonte un pevicolo che minacci parUcoiarmente la nazione tur,ca. Ma se c'è tale pericolo, e che noi non possiamo vedere, non però lo temiamo».

E scriveva l'Acik Seuz che non v'era formula più elastica di quella pronunciata dal fascismo: «l'Italia desidera la pace, ma non può impedire di ricorrere alla guerra se ragioni ve la costringano ».

Formuia elastica, continuava il giornale, la cui estensione o restrizione si fa a seconda delle circostanze e gU ,apprezzamenti anche di un soio uomo. E quando una grande Potenza, concludeva, che ha una parte di prima importanza in Mediterraneo nell'Europa Centrale e nella Orientale, adotta ta'le formula, sarebbe cieco quell'uomo che avesse ancora la &peranza d'ella conservazione della pace, mentre invece non si può dubitare del desiderio di pace deHa Gran Bretagna.

In pari tempo Francia ed Inghilterm sono sospinte ad una attitudine decisiva. Così 'scriveva l'uffilcioso Ulus del 22 Maggio:

«Si può analizzare la questione quanto si vuole. La verità è che Ia bandiera imper<iale ,italiana è stata alzata suila via delle Indie, su un punto che domina il Sudan, l'Egitto e tutta l'Africa ingiese. La sorgente del Nilo troV1asi sotto l'ombra di questa bandiera e l'Italia può spedire ovunque un esercito formato da otto miltoni di abitanti e con tutti i mezzi moderni. Il tono dei giornali italiani è il seguente: Tu mi puoi rendere difficile la mia posizione nel Meditervaneo, ma io ti minaccio in tutti i tuoi territori africani e nelle vie delle Indie. Esiste una grande differenza fra l'Impero britannico che ha inviato i suoi soldati in Crimea per impedire la discesa della Russia nel Mediterraneo e l'Impero britannico che ha esitato a chiudere il Canale di Suez. L'Inghilterra è più forte oggi che prima. Però quale è oggi il suo punto debole? Bisogna saperlo, giacchè la soluzione di tutte le questioni dipende dalla pronta decisione o dalla titubanza dell'Inghilterra, dalla sua forza e dalla sua debolezza. Il segreto della situazione risiede nel fatto che di fronte all'attività delJ'Italia, l'Inghilterra e la Francia restano ancora sfaccendate ed indecise ».

Sicchè tutta la costruzione cerebrale di Aras parte da un punto di vista nettamente coincidente ,con un punto di vista edeniano. È cioè inspirata al disegno di accerchiamento italiano. L'Italia esclusa da una nuova Locarno, l'Italia ammessa nel progettato patto mediterraneo nato come coalizione ostile ad essa, significherebbe tentare in Europea ed in Mediterraneo un colleg,ato forte aggruppamento, destinato ad impedire ogni ulteriore accrescimento italiano, a preparare più agevolmente la rivincita britannica.

Del disegno britannico per un tempo po,ssibile futuro, tende oggi sempre più a farsi servile strumento ne,J Mediterraneo Orientale la Turchia. E poichè nulla più la spaventerebbe di un patto mediterraneo concluso fra le sole grandi Potenze che hanno titolo, diritto e mezzi per mantenervi equilibrio e pace (v. dichiarazioni di Saracoglu al Kamutay del 26 corrente telespresso n. 1120/ /486) (1). Aras si sforza ad affermare che gli impegni a suo tempo conclusi con Londra legano ora la contraente britannica a nuna concludere di nuovo nel mare Mediterraneo senza il turco.

Ed 'auspica possibHità di dis·armo, ma soltanto ad armamento tur.co compiuto. Per H quale avrà ·aiuti inglesi specie se, come v.i sono già trattative, si .costituirà ne11a zona di Zonguldak con capitali britannici una grande officina meta:l1urgica. Questo è uno dei fatti che inquietav·ano Karakhan nell'esame deLla aumentata intimità turco inglese (vedi mio rapporto n. 1119/485 del 26 corrente) (2), poichè tende a stabilire un grande interesse britannico nel Mar Nel1o.

Si sarebbe quasi tentati di affermare che si predispongono sempre più le condizioni per ·le quali, quando suonerà l'om del destino per un nuovo assetto europeo, dovrà l'Italia provvedere a far cessare il possesso turco per lo meno negli Stretti, .poichè è ·elemento disturbatore di ogni sano assetto mediterraneo, e tende a divenire sbar,ramento insol)portabile delle nuove vie d'ItaUa.

In ogni caso fra il Patto Balcanico che, come scrissi da Belgrado non appena fu formulato, è anzitutto antijugoslavo cioè vuole opporsi all'[ngrandimento jugoslavo balcanico, e questo ora ventilato progetto mediterraneo, così ·come 'concepito da Aras vi sarebbe una si:ngolar•e affin1tà nella impostazione e nelle finalità negative. Anche il Patto generale mediterraneo vorrebbe e vuole opporsi ad un ulteriore accrescimento, e questo è certamente lo scopo più deciso e preciso della odierna politica turca (3).

(l) -T. 5157/126 R. delle ore 18,20 e T. 5159/127 R. delle ore 18,23. Riferivano su un colloquio con Ri.isti.i Aras circa il problema delle sanzioni e l'ipotesi di un patto mediterraneo. n. loro çontenuto è qui riassunto. (2) -Vedi p. 16, nota 2.

(l) Vedi p. 5, nota 3.

137

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 2647/630. Sofia, 29 maggio 1936 (per. il 1° giugno).

n 22 corrente è giunto a Sofia il signor Edoardo Boyle, presidente da circa 10 anni del Comitato balcanico a Londra. Scopo della visita è stato quello di consegnare una riproduzione del bastone di Rettore dell'Università di Oxford al Rettore dell'Università bulgara di Sofia.

Il BoyLe gode di molta popolarità in Bulgruri·a ov·e è considerato come 1a persona più indicata a difendere gli interessi bulgari presso il Foreign Office. Naturalmente ha profLttato di questo suo ISogg.iorno a Sofia per avere numerosi incontri con personalità bulgare, da Re Bori.s a notOlt'li amici dell'ex colonnello Damian Velceff che deve anche all'intervento del Comitato balcanico di Londra se la pena di morte gli fu commutata.

Sia in occasione di dichiarazioni alla stampa che nel corso di conversaztoni private, Sir E. Boyle ha insistito sull'opportunità di una politica di av

vkinamento bulgaro-jugosLava e questo prinCipiO il Boyle ha difeso 3.1!1Che nel corso di incontri .che ha avuto con elementi macedoni (vedi mio telespresso

n. 2620/616 del 28 corrente) (1). In complesso l'impressione che i vari circoli bulgari hanno riportato dai loro contatti con Boyle è che l'Inghilterra cerchi oggi di garantire le spalle della Jugoslavia in caso di conflitto con l'Italia.

Allego il testo delle dichiarazioni (l) da lui fatte alla stampa riportate dal La Parole Bulgare H 23 corrente e le allocuzioni pronunzi,ate all'Università di Sofia in occasione della consegna del bastone simbolico.

Sir. E. Boyle ha tenuto pure una conferenza sull'opera letteraria di Gladstone alla presenza di Re Boris che gli ha all'occasione conferito il Gran Oordone del Merito Civ:ile (2).

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 111. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl.
138

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5144/811 R. Londra, 30 maggio 1936, ore 0,22 (per. ore 3,30).

Ripercussioni dell'intervista del Duce al Daily Telegraph (3) si sono fatte oggi ancora più vaste e profonde.

Iersera ana Camera dei Comuni si è tenuta una riunione di deputati nella quale dichiarazioni de,l Duce sono state lungamente discusse. Alla riunione ha parlato con molta decisione e coraggio il nostro amico Sir Francis Lindley, ex ambasciatore inglese a Tokio, il quale, commentando la dichiarazione del Duce al Daily Telegraph ha fatto una vigorosa difesa della politica ~taliana ed ha attaccato a fondo le sanzioni. Suo discorso ha provocato una T~eale .impressione e 1a riunione si è risolta 1in una vera manifestazione antisanzionista.

Stamane ho fatto colaz.ione alla Camera dei Comuni ed ho potuto .constatare personalmente quale deciso impulso le dichiarazioni del Duce hanno dato al movimento che riaffermasi in seno al partito conservatore in favore di una politica di riconciliazione con l'Italia.

Nel pomeriggio ho avuto lungo colloquio con Austen Chamberlain, sul quale riferisco con rapporto ( 4). Chamberlain mi ha detto che le dichiarazioni del Duce al Daily Telegraph hanno dato una spinta decisiva rul movtimento antisanzionista ed hanno messo i nemici dell'Italia In una posizione estremamente imbarazzante. Ll Duce, egli ha aggiunto, ha parlato con la sua franchezza e ha toccato il punto sensibile de.i ,rapporti itala-inglesi ed il vero fondo del problema. Chamberlain mi ha confermato quello che del resto avevo potuto rilevare dal colloquio con Eden e cioè che parole del Duce hanno avuto tutto loro effetto negli ambienti del Governo.

Consiglio direttivo della Unione britannica per la Lega delle Nazioni, preoccupato delle riper.cussioni deHa interv•i·sta del Duce, si è riunito stamane di urgenza per esaminare mezzi per reagire contro quella che Lord Cecil ha definito .la nuova peri·colosa offensiva di Mussolini.

Continuo nei miei contatti e nella mia azione presso i leade·rs Sired. Sembra accertato che una nuova discussione di polittca estera avrà luogo alla Camera dei Comuni pr.ima del 15 giugno. Non vi è dubbio che giornata di ieri e di oggi marcano un visibile progresso, a noi favorevole, della situazione.

139.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE AMBASCIATE A BRUXELLES, BUENOS AIRES, LONDRA, MADRID, MOSCA, PARIGI, SANTIAGO, VARSAVIA, E ALLE LEGAZIONI A BERNA E PRAGA

T. RR. 2447/C. R. Roma, 30 maggio 1936, ore 3,45.

Da Ginevra viene segna;lato quanto segue:

«Ruiz Guinazu ha in assenza Avenol comunicato oggi al vice segretario generale Azcarate. che il Governo argentino è dell'avviso ·che l'attuale situazione della questione •ita1o-ertiopica abbia oltrepassato i quadri e i limiti della competenza del ConsigUo e .come tale debba essere portata dinanzi aLl'Assemblea (1). Ruiz Guinazu ha fatto presente non trattarsi almeno per ora che di un suggerimento e non di una precisa formale richiesta. Azcarate si è limitato a rispondere che non avrebbe mancato di far presente il suggerimento al segretario generale che trovasi attualmente a Parigi, e se occorreva ai presidenti del Consiglio e dell'Assemblea. Passo avvenuto verso le 13 e il segretariato l'ha tenuto riservato. Comincia però a trapelare e pare sia già a conoscenza di Londra. Ambienti incomi:nciano g•ià a parlare di possibile •convocazione della Assemblea pei 16 giugno ma nulla risulta ancora di preciso».

Ho comunicato a questo ambasciatore d'Argentina in termini molto fermi che passo del suo delegato, anche perchè fatto senza alcun preavVliso o consultazione preventiva, non può appari-rci amichevole. A parte Hlegalità della procedura g.ià da noi contestata in ottobre perchè Assemblea non può investirsi de1la questione che trov·asi davanti al Consiglio, è certo che in questo momento Assemblea presenterebbesi in atmosfera demagogica molto meno serena del Consiglio.

Que,sta convocazione appare quanto mai inopportuna e pe·ricolosa in quanto,chè non potrebbe ehe determina·re nella situazione attuale un irr.igidimento delle posizioni rispettive con evidente danno non con vantaggio dell'opera di conciliazione e di collaborazione aLla quale devono tendere gU sforzi di ognuno.

(Solo per Buenos Aires): V. E. vorrà domandare a codesto Gove.mo -nel modo che riterrà più opportuno -quale significato debba attribuirsi a questa

mossa, facendo comprendere che se essa si contrappone al gesto di buona volontà e di chiarificazione fatto dai Capo del Governo con ~1a sua interv,ista al Daily Telegraph (1), implica la gravissima responsabilità di ostacolare e compromettere la ricostruzione, Ja pacificazione di Europa e il migHonamento deHa situazione mondiale.

(l) -Non pubbllcato. (2) -Il presente documento reca 11 visto di Mussol!n!. (3) -Vedi p. 142, nota l. (4) -Vedi D. 134.

(l) Vedi D. 130.

140

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5179/100-101 R. Vienna, 30 maggio 1936, ore 13,50 (per. ore 16,30).

Telegramma di V. E. n. 86 (2).

Cancelliere austriaco mi ha detto aver visto von Papen due volte so~e. Questi gli aveva dichiarato essere autorizzato (il che è stato poi confermato da von Neurath al ministro Austria a Berlino) a procedere ad un modus vivendi sulla base delle note proposte anno scorso (mio telespresso 2184 del 3 ottobre

e precedenti) (3). Cancelliere aveva ,!"isposto subordinando trattative a tre ooncHzloni: l) Dichiarazioni da parte del governo germanico circa rispetto dell'indipendenza Austria ed obbligo non ingerenza. 2) Nessun riconoscimento diretto od ~ndiretto da parte del partito naziona:lsooiaHsta, in Austria non vigendo 'Più partiti. 3) Che Berlino non deve intrattenere rapporti di nessun genere con i « nazionalisti austr,iac~i ». A tale ultimo riguardo Schuschnigg ha precisato che Berlino si è sempre ingerita, prima o dopo la guerra, nella attività dei pangermani,sti austriaci: «una ingerenza di cui egli si era anche di recente dovuto render oonto >>.

Nel seguito del1a conversazione ha poi rilevato, evridentemente riferendosi a quanto precede ed alla sua nota idea di includere elementi pangermanisti nel nuovo ministero, « di essersi altresì dovuto convincere impossibilità allargare base Governo». Cancelliere mi ha detto:

l) che von Papen avevagli dichiarato che il Governo tedesco avrebbe direttamente ,informato V. E. delle trattative di Vienna; 2) che von Papen non aveva, per altro dato finora alcuna risposta alle tre su riferite condizioni;

3) che egli (Schuschnigg) ha il fermo proposito di far sempre capo a1l'Italia e che, pertanto, desidera 'confertre con S. E. il Capo del Governo onde metterlo direttamente al corrente de1la situazione;

4) che impressioni da lui ritratte negli ultimi colloqui del marzo in Roma erano state che il Duce fosse favorevole ad un modus vivendi fra Austria e Germania, e che nuovo imminente colloquio varrà pure per accertare se sviluppo, che ha subito situazione internazionale non abbia prodotto modificazioni su predetto modo di vedere di S. E. il capo del governo.

Mia impressione è ·che Cancelliere ha cercato ridurre, par.I.andomi, 1.mportanza e contenuto suoi colloqui con von Papen. Probabilmente si propone dM'e personalmente a S. E. iJ. Capo del Governo maggiori particolari. Tuttavi-a mi r,isulta che ieri Oancellie.re, indispettito per dà.fftcoltà f·rapposte da Berlino alLa venuta di artisti tedeschi per imminente festival all'Opera, ha fatto esprimere a Papen vivaci rimostranze del segretario generale del Ballplatz.

(l) -Vedi p. 142, nota l. (2) -Vedi p. 95, nota 2. (3) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 231.
141

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

T. PER CORRIERE 2454 R. Roma, 30 maggio 1936, ore 16.

Non appena se ne presenti l'occasi-one, faccia sa·pere, nel modo e nella forma che riterrà più opportuni, a Stojadinovi·c che qui si è ·riportata impres

s1one che la Jugoslavia stia attuando tutta una serie di provvedimenti 'che, per esseve nocivd agli interessi italiani, sembrano far parte di una d~rettiv'a politica ,a noi ·contraria.

Tra ,questi provvedimenti sono spedalmente da annoverare: l) Le nuove disposizioni intervenute per l'acqui-sto di immobili in Jugoslavia entro 50 Km. da;i confini di ter,ra e di mare (telespresso <N questo Ministero 16 magg1o u.s. n. 216642/179) (l); 2) Le nuove disposizioni intervenute r1guardo ai permessi di Joavoro a connazionali residenti in Jugoslavia (il punto di vista nostro al riguardo è contenuto in un telespresso di questo ministero in corso di spedizione); 3) Le nuove disposiz1oni intervenute per limitare i ·trasfeni.menti del maestri (teleposta di V. S. 24 aprile u.s. n. 1748/697) (1).

È naturalmente probab~le che di fronte alle suesposte lagnanze ·COdesto Governo si trinceri dietro all'ovvia obiezione che trattasi di misure concernenti tutti gli stvanieri e pertanto non discriminatorie nei nostri viguardi. Ma non sarà meno f,acile a V. S. di far presente che esse non solo si risolvono in Ulil danno assolutamente maggi-ore forse esclusiV'o pei nostri ·connazionali dato il lo•ro numero ed il complesso dei Loro interessi, ma contravvengono anche sia nello spi-J:'Iito ehe nella lettera a disposizioni di trattati itala-jugoslavi e ne costituiscono pertanto una del tutto unilaterale deroga da parte della Jugoslavia.

17 -Documentt ctfplomattct -Berle VIII -Vol. IV

Nel r,tchiama;re l'attenzione di Stojadinovic su tali provvedimenti, gU. faccia presente che la cattiva impressione nostra non potrebbe essere cancellata che dalla loro pronta e compLeta abrogazione. Nel contempo S. V. vorrà aggiungere che il R. Governo attende dal Governo jugoslavo una risposta soddisfacente e al più possibile sollecita alla nota verbale direttagli da V. S. circa la riforma agraria in Dalmazia (l) .

(l) Non pubblicato.

142

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, A TUTTE LE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE NEGLI STATI SANZIONISTI (2)

T. 2456/c. R. Roma, 30 maggio 1936, ore 24.

R. Ambasciata a Parigi telegrafa: (3). Tes~i sostenuta da Lavai è esatta; essa conferma principio affermato da

R. Governo che a termini art. 16 del Patto applicazione o revoca delle sanzioni spetta non già a decisione collettiva di un organo sncietario ma a iniziativa sovrana det singoli Stati. Comitato coordinamento per le ~san2lioni, come è attestato dal suo stesso nome, ba unicamente compito di coordinare misure che singoli Stati hanno Titenuto di adottare. Prego V. E. (V. S.) valersi argomenti ora accennati per intensifi,care in tutti i modi e ovunque propaganda per abolizione delle sanzioni mediante atto unilaterale codesto governo.

143

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ARO NE, E AL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS

T. 2470/60 (Mosca) 28 (Praga) R. Roma, 30 maggio 1936, ore 23.

(Per Mosca) Ho telegrafato a R. ministro a Praga quanto segue:

(Per Praga) Telegramma ministeriale 2447 (4).

(Per tutti) Nel fare comunica21ione a Benès teng'a presente che Litvinov è a Mardenbad. Circa opportunità di evitare convocazione Assemblea a Benès non mancherà modo di consultarsi con Litvinov presso il quale si è re·cato proprlo in questi giorni questo ambasciatore sovietico Stein, che è partito da Roma animato da propositi che sono nell'attuale linea della politica sovietiea di adopeTarsi a facUitare liquidazione dell'affare etiopico ed m generale miglioramento dell'atmosfera politica europea.

1'8!i.:

.-•' ... ' ~. .. .... ... .;; . .. --·

~

(l) -Non pubbUcata. (2) -Ad eccezione del Cile. (3) -Sono qui riprodotti i primi due capoversi del D. 123. (4) -Vedi D. 139.
144

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. PER CORRIERE 5218/0144 R. Parigi, 30 maggio 1936 (per. il 1° giugno).

Il cardinal Maglione, che lascerà Parigi il 2 prossimo per rientrare stabilmente in Curia, mi ha messo al ·couente delle varie .conversaziorni avute !in questi ultimi giorni col presidente della Repubblica, con Sarraut, Flandin, Léger, Paul-Boncour nonché con i vari ambasciatori a Parigi (1).

Il presidente della Repubblica si era mostrato straordinariamente preoccupato della situazione inte11naz.ionale, aveva accennato aUe voci di guerra g·iunte al suo orecchio deprecando una simile .catastrofe. Non aveva voluto pronunciarsi maggiormente a causa della situazione ·costituzionale, ma •aveva pregato il cardinal Maglione di farsi mettere al corrente della situazione dal ministro degli Affari Esteri e da Paul-Boncour.

Questi due ultimi e Léger avevano esposto al cardinal Maglione la situazione e detto in sostanza che, per uscire dalle difficoltà <attuali ·e per ,poter togliere le sanzioni sarebbe stato necessario che l'Italia accettasse di collaborare ·con 1e altre Potenze e sopratutto con l'Inghilterra e con la Fr·ailJCia per stabilire la pace nel mondo sopra basi so'Cietarie, basate C'ioè sopra accordi collettivi.

notizie sul lungo esposto di Léger.

Egli avrebbe cominciato con elogiare politica del Gabinetto Sarraut che si è rifiutato di abolire le sanzioni perché intesa franco-inglese rimane il fulcro della politica francese e quindi occorre fare di tutto per non scontentare l'Inghilterra e non spingerla ulteriormente verso la Germania. Qualunque errore, potendo condurre al rlavvicinamento effettivo del due Paesi, potrebbe avere come ripercussione riavvicinamento Giappone-Stati Uniti. Un blocco di queste quattro Potenze paralizzerebbe e renderebbe incompleta qualunque combinazione

europea.

Tornando all'Italia, egli avrebbe dichiarato che, nonostante tutti i suoi progressi militari e civili, l'appoggio di essa è lungi dall'equivalere a quello inglese. Senza dubbio l'Ingh!lterra è pronta ad accettare la levata delle sanzioni, ma questa è questione secondaria dovendosi in primo luogo l!quldare questione etiopica nel quadro europeo. Mentre. quindi, sarebbe necessario che Italia e Inghilterra si parlassero, ~embra che l'Inghilterra non abbia alcuna vogliadi farlo. Il conflitto pertanto continua ad avere conseguenze serle anche togl!endo sanzioni.

Léger avrebbe aggiunto essere essenziale di fortificare quello che definì fronte di Ginevra: Francia, Inghilterra. Russia, Piccola Intesa, Intesa Balcanica e blocco scandinavo, il qualedeve costituire base della politica francese. Nei confronti della Germanta e dell'Italia, che ne rimangono fuori, occorre negoziare parallelamente nello stesso quadro collettivo. Con la Germania, la cui diplomazia si mostrerà più malleabile, S.d.N. potrà riannodare i rapporti.Quanto all'Italia, essa sarà costretta ad aderirvi trovandosi isolata.

Non è possibile dire se la Francia abbia maggiore interesse per la Germania o per l'Italia; considerato separatamente il problema italiano sembra di più facile soluzione ma difficoltà risiede nell'atteggiamento dell'Inghilterra, dato che essa potrebbe rifiutarsi ad un'azione conciliante con l'Italia. Problema germanico invece, quantunque più complesso e più grave, presenta il vantaggio del buoni rapporti esistenti fra Germania e Inghilterra.

Léger avrebbe molto insistito sulla necessità di agire con la massima prudenza ricordando che Lava! è caduto per aver tentato liquidare conflitto !taio-etiopico anziché !asciargli seguire suo corso normale. Non bisogna cercare di affrettare gli ·eventi, anche se minacce di ~onflitto si aggravassero, specialmente nel Mediterraneo, zona da considerarsi più pericolosa dell'Europa Centrale, perché, mantenendo la collaborazione franco-inglese, tutte le difficoltà saranno superate.

Concludendo Léger avrebbe detto essere pericolosissimo dare agli inglesi impressione che la

Francia possa essere indotta a scegliere tra Inghilterra e Italia poiché per l'impero britannico ciò

equivarrebbe l'associazione della Francia ad una minaccia diretta contro la via delle Indie. E' ap

punto l'atteggiamento di una parte della stampa e dell'opinione francese che ha prodotto il raf

freddamento dell'Inghilterra verso la Francia ed il suo riavvicinamento alla Germania.

Queste notizie confermano quanto sapevamo e mostrano intero spirito di Léger a noiprofon

damente avverso col quale sabotò sempre politica di Lavai>> (T. s. 4956/314 R. del 22 maggio,

ore 21).

Sua Eminenza mi riferì di aver subito ,posto il quesito se si pretendeva dall'ItaUa un semplice affidamento formale oppure s·e si voleva che essa sottostasse a delle «condiZ'ioni ), osservando che nel secondo ~caso non gli sembrava facile trovare una soluzione. Egli aveva aggiunto che le dichiarazioni fatte 1al Daily Telegraph dal Duce (l) gli erano sembrate molto chj:are ed opportune, cosicché riteneva che se la Francia e l'Inghilterra si fossero rivolte all'Italia con La richiesta di ottenere conferma ufficiosa delle d1chiarazionr stesse, Ja risposta avrebbe potuto essere affe.rmativa.

Swrraut, Paul-Boncour, Flandin e Léger, dopo qua1che tergiversazione, avevano f~nito per riconoscere che una assi,curazione formale dell'Italia di voler prendere parte attiva aLla soluzione dei problemi politici mondiali, appena fossero tolte le samzioni, sarebbe stata sufficiente per indurre la F.rancia e l'Inghilterra ad agire nel senso desiderato. Essi parlarono però del Patto Mediterraneo come di un istrumento diplomatico della massima ,importanza che l'Italia avrebbe dovuto consentire a discutere e firmare. Menzionarono anche il Patto Danubiano, ma il cardinal Maglione consigliò loro di non insistervi perché erano note Je ragioni che avevano impedito la conclusione di tale accordo.

Léger e Paul-Boncour a-ccennarono anche alla diff1coltà pl'oveniente dal fatto che l'Etiopia era stata camcellata dall'Italia dal novero degli Stati. La

S.d.N. si sarebbe trovata in grande imbarazzo al riguardo. Il cardinal Maglione osservò ·che questa era in fondo una situazi·one di se.condaria importanza e che avrebbe potuto essere risolta qualora l'Inghilterra e la Francia convenissero sulla opportunità di consigliare al Negus di non farsi più rappresentare a Gi!nevra.

Il cardinal Maglione mi confidò pure di aver trovato assai ragionevole l'ambasciatore d'Inghilterra il quale gli disse constargli che le disposizioni del suo Governo si erano sensibilmente modificate in questi ultimi tempi e che la sola difficoltà tuttora esistente era conseguenza dello spirito inglese che non aveva fatto un'evoluz·ione altrettamto rapida. Clark aveva detto che se il Governo italiano potesse lasciare intendere che, nonostante la proclamazione dell'Impero di Etiopia, avrebbe amministrato questo Paese secondo i criteri e le norme di un mandato, ciò avrebbe semplificato le cose. Il cardinal Maglione aveva dal suo lato fatto rilevare all'ambasciatore d'Inghilterra che una tal cosa sarebbe stata impossibile. Eg,Li viceversa si domandava se non sarebbe stata migliore tattica quella di suggerire al Governo italiano di ~redigere annualmente una relaZ<ione circa 'le va·rie opere ,compiute in Etiopia e di darne graziosamente ed a tito,lo di informazione comun1cazione alla S.d.N.; per dimostrare ti!n certo modo di non aver scordato !',interesse che essa aveva portato allo sviluppo culturale e civile dell'Etiopia.

Il cardinal Maglione è stato interessato dai vari suoi interlocutori e specialmente dal presidente della Repubblica, da Sarraut e da Léger di riferire le varie sue conversazioni al Santo Padre nella speranza che U Pontefice agisse sul Governo italiano in senso conciliativo. Egli aveva risposto, sopratutto

a Léger che aveva insistito con maggiore calore al riguardo, che nella migliore delle ipotesi avrebbe potuto riferire quanto precede al Papa soltanto il 4 giugno. Gli sembrava, data l'urgenza, preferibile che il Governo italiano fosse messo al corrente delle conversazioni di cui si tratta a mezzo del proprio ambasciatore a Parigi col quale egli avrebbe potuto conferire. La risposta che gli era stata data gli aveva permesso di mettermi al giorno di quanto precede e di pregarmi di riferirne all'E. V.

In sostanza mi pare che in questi due ultimi giorni si sia fatto qualche progresso a Parigi nel senso di fare evolvere le cose in modo che non si pretenda più dall'Italia di obbligarsi ad aderire ad un'azione collettiva come condizione per togliere le sanzioni, ma che ci si accontenterebbe, sia di una pubblica solenne dichiarazione di S. E. il Capo del Governo al riguardo, sia di una assicurazione formale che pervenisse al Quai d'Orsay ed al Foreign Office.

L'idea che venne ventilata nel colloquio fra il cardinale Maglione e questo ambasciatore d'Inghilterra di informare in qualche modo la S.d.N. della nostra opera civilizzatrice in Etiopia, mi pare degna di essere presa in considerazione perché, se noi potessimo spontaneamente esprimerci nei termini sopraindicati faciliteremmo certamente quella soluzione che si ricerca con ansia a Ginevra nei riguarrti dell'Etiopia che è tuttora formalmente Stato societario.

(l) In precedenza Cerrut! aveva telegrafato: «Mercoledì 20 corrente, Blum ha procedutoad un esame della situazione politica internazionale con Sarraut, Paul-Boncour e Léger. Dalla fonte fiduciaria, che m! ha finora fornito informazioni risultate esatte, ho avuto seguenti

(l) Vedi p. 142, nota l.

145

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI. MUSSOLINI

T. RR. PER CORRmRE 5217/0143 R. Parigi, 30 maggio 1936 (per. il 1° giugno).

Riferisco conversazione avuta ieri al Qual d'Orsay con Léger. Gli ho chiesto come prevedesse che si sarebbero svolte le cose nei riguardi sopratutto delle sanzioni, tenendo conto di quelle che saranno le disposizioni del nuovo Gabinetto francese.

Léger mi ha risposto che, a suo giudizio, le soluzioni possono essere tre e soltanto tre seguenti:

l) Soluzione totalitaria della questione etiopica ed estensione della sovranità del Re d'Italia sopra tutto l'ex-Impero etiopico viene considerata come costituente una minaccia per gli Stati aventi possedimenti al di là del Canale di Suez. In tale caso sanzioni debbono essere estese, applicandosi anche quelle militari con la conseguenza di arrivare fatalmente alla guerra.

2) La S.d.N., ancorché a malincuore, tiene conto dello stato di cose che si è creato. Considera gli sforzi che essa aveva fatto per consentire all'Italia di ottenere quanto desiderava senza ricorrere alla guerra contro uno Stato membro della S.d.N., si rende conto della difficoltà di ammettere che uno dei suoi membri sia puramente e semplicemente eliminato, ma ciò nonostante considera l'eventualità di abolire le sanzioni. Nel prendere questa decisione deve però tenere conto del gran pericolo che l'aggressività dell'Italia rappresenta per tutti gli Stati con essa confinanti, cosicché l'abolizione delle sanzioni deve essere subordinata all'accettazione da parte dell'Italia di concludere con tutti i suoi vicini degli atti di non aggressione e di assistenza mutua, di accedere ad un patto mediterraneo e di impegnarsi a collaborare d'ora in poi all'opera di consolidamento della pace in Europa, sulla base dei trattati vigenti e nel quadro della S.d.N.

3) La S.d.N., considerando· che l'Italia ha dimostrato durante il conflitto itala-etiopico di non tenere alcun conto dei suoi suggerimenti e che ha adottato una soluzione contraria ai principi societari, considera che non vi sia nulla da fare per agevolare una soluzione, cosicché la situazione rimane immutata anche nei riguardi delle sanzioni che non possono venire tolte.

II signor Léger ha tenuto ad aggiungere subito che la terza soluzione era evidentemente una soluzione d'impotenza e, come tale, doveva senz'altro essere dichiarata indesiderabile. Rimanevano dunque soltanto le due prime. Egli personalmente, rendendosi conto della grave minaccia che Io stabilimento dell'Italia in Etiopia rappresentava per l'Inghilterra, continua a ritenere che quest'ultima Potenza non intende ricorrere alla guerra, cosicché difficilmente aderirebbe ad una politica dl aggravamento delle sanzioni contro l'Italia. Pertanto rimarrebbe solamente la seconda soluzione, che gli sembra quella logica, equa e tale da soddisfare l'Italia e garantire al tempo stesso i suoi vicini che scorgono nel suo spirito aggressivo uno dei maggiori pericoli esistenti in Europa.

Dopo avere ascoltato attentamente il suddetto quadro della situazione quale è veduta dal signor Léger, gli ho risposto che il menzionare oggidì la prima soluzione significa ammettere che le sanzioni contro l'Italia sono state applicate non per porre più rapidamente fine alla guerra, cioè in conformità del tanto vantato spirito societario, ma unicamente perchè esse erano considerate sufficienti a mettere in ginocchio l'Italia. Constatandosi che in sette mesi e non già in sette anni la guerra in A. O. era finita e che era finita non con il disastro militare, economico e politico previsto ma colla vittoria completa della Italia fascista, i nemici d'Italia pensavano se non fosse il caso di applicare oggidi quelle sanzioni militari che erano state ritenute superflue otto mesi or sono, ritenendosi che sarebbero bastate quelle economiche. Egli stesso mi aveva detto che l'applicarle significherebbe la guerra. Concordavo con lui che l'Inghilterra rifletterà bene alle conseguenze di essa e mi sembrava che i recenti avvenimenti in Palestina (l) erano di natura tale da farla riflettere con ponderazione sopra i pericoli a cui una guerra esporrebbe l'Impero. Dovevo del resto aggiungere che la sola ipotesi di guerra da lui affacciata mi aveva stupito, specialmente in un momento come l'attuale, in cui si manifestavano, da parte dell'Italia in modo indubbio le migliori disposizioni di restituire alle relazioni itala-britanniche la cordialità che sempre esistette in passato. Ritenevo dunque che non solo la terza della soluzioni da lui affacciate, ma anche la prima dovesse essere scartata.

Quanto alla secOIIlda soluzione egli doveva permette·rmi di dirghl sinceramente che non potevo f,are a meno di considerarla l'« estratto ristretto~ di tutte le malignità che vengono manifestate in ogni occasione contro l'ItaUa dai piccoli Stati tanto cari al Quai d'Orsay. Gli vi!feci in breve .la storia degli ultimi 17 anni. L'Italia era stata trattata dagli alleati non come tale e quasi neppure •come amica, non le erano state date nè colonie tedesche nè mate·rie prlme. Ciò non osta;nte l'Italia non aveva fatto un accordo com la Germania per reclamare, d'intesa com questa, una più equa distribuzione dei territori afnicani. Avevamo agito da soli, dopo molti ,anni di pazienza durante li quali avevamo sperato di poter ottenere dal Negus di partedpare attivamente alla messa in v:alore deLia Etiopia, ,e soltanto quando le .provocaztoni ·Ci imposero di salvaguardare dJ nostro prestig•io. Avevamo voluto dtsporre dei territori necessari all'Italli.a per dirigervi il numero e·suberante dei suoi figli, territori in cui ave·vamo la qUJasi ·Ce·rtezza di trovare le materie prime che non C'i erano state date alla fine della guerra europea. Ci proponevamo al tempo stesso di portare la ·civiltà nell'ultimo territorio africano ri:masto barbaro. II riconoscimento di tuttociò era stato un'ostilità senza precedenti e l'applicazione di sanzioni inique. Adesso poi, per toglierle, si volevano imporre delle condizioni all'Italia, accusandola di essere a;nimata da spirito aggressivo. Mi ribellavo nel modo più energico contro un simile tentativo. L'Italia non aveV1a fatto altro durante gli ultimi anni, che partecipare attivamente ad ogni azi•one destinata a gara;ntire la pace in Europa e nel mondo. L',a;ttribukd delle intenzioni aggressive contro i nostri v~cini proprio al momento in cui iniziavamo l'opera di colonizzazione in Etiopia che richiederà moltissimi anni mi sembrava poco serio ed era in ogni caso frutto di un malanimo da parte di certi Stati che deploravo profondamente. II Duce aveva ripetutamente dichiarato che non appena fossero state tolte le sanzioni l'Italia avrebbe ripreso il suo posto di gra;nde P.otenza interessata alla consolidazione della pace nel mondo. Avrei pertanto capito che da parte francese ci venisse un amichevole suggerimento di fare in modo ·che tale intenzione del Duce fosse magari ·ripetuta pubblicamnte, ma il parlare in modo che si a:booa .l'impressione dì trovarsi in presenza di «condizioni ~ era cosa che mi riusc•iva •assai penosa.

Léger si sforzò di modificare l'impressione prodotta su di me dalle sue parole, mi raccomandò specialmente di scordare la sua frase relativa al « per.icolo che l'aggressività italiana ,costituiva per l'Europa~. aggiunse ,che in fondo quello che la Francia desiderava, allo scopo di poter continuare la propria azione di mèdiazione era di conoscere se l'Italia aveva realmente l'intenzione di partecipare all'opera di garanzia collettiva in favore della pace. Gli risposi che egli conosceva quanto me le ragioni per le quali non si era potuto conchiudere il Patto danubiano; non si era trovata una formula di non immistione che potesse essere accettata dalla Germania ed un Patto danubiano in cui non fosse entrato come firmatario n Reich sarebbe stato privo di valore. Quanto al Patto mediterraneo non escludevo affatto che l'Italia avreb.be potuto parteciparvi, alla condizione però che. potesse assistere a tutti l negoziati relativi. come Stato non più sanzionato.'

Conclusi dicendo al signor Léger che l'eccessivo spirito giuridico che il Quai d'Orsay mostr·ava dn tutta questa faccenda non facilitava la sua soluzione. Se esso fosse stato più realisti·co e se avesse dimostrato di attribuire maggiore importanza 'all'ami<cizia deii'Italia tutto avrebbe proceduto assad più agevolmente.

(l) Durante la seconda metà di aprile, si erano avuti in Palestina scontri fra arabi ed ebrei. L'Alto Commissario britannico aveva proclamato lo stato d'assedio e gU arabi avevano Iniziato uno sciopero che si era esteso a tutto 11 Paese.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5216/0145 R. Parigi, 30 maggio 1936 (per. il 1° giugno).

Ho veduto oggi il deputato Bastid, presidente della commissione degli Affari Esteri della Camera dei deputati. Egli è radicale ed è stato fautore dell'appHca:llione di sanzioni a oltranza al principio e durante la guerra. Oggi a oose fatte mi ha dichiarato di essere convinto che le sanzioni devono essere tolte al più presto possibile. Aveva veduto ieri Blum e si era espresso con lui in questi termini. Non gli era peraltro riuscito di ottenere dal futuro presidente del consiglio alcuna indicazione circa i suoi propositi al riguardo. Aveva desiderato informarmi di quanto precede anche per assicurarmi che avrebbe continuato a svolgere, nella misura delle proprie forze, un'azione nel senso sopraindi,cato.

Ho ringraziato Bastid e ,J'ho spinto a far propaganda per l'abolizione delle sanzioni.

Ho rHevato dalla oonversazione avuta con lui che nei ci:reoli parlamentari si nutrono le maggiori apprensioni per il riavvicinamento italo-germanico e che ci si domanda se non sia già stato raggiunto un accordo relativamente all'Austria, e cioè alla questione che aveva reso sinora ìimpossibHe ai due Stati di dntendersi. Ho rassicurato Bastid, ma soltanto sino ~ad un certo punto, facendogU ~rileva:re che ogni ritardo ed ogni tergiversazione della Francia nel togliere le sanzioni spingeva l'Italia verso la Germania.

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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5228/056 R. Belgrado, 30 maggio 1936 (per. il 1° giugno).

Circa visita del colonnello Beck a Belgrado gli ambienti ufficiali jugoslavi hanno ·persino troppo insistito nel motivarla con ragioni di cortesia e col desidel'io generico di una più stretta collaborazione jugoslavo-polac·ca basata sul postulato dell'affinità slava. In questo senso si sono espressi i due ministri degli Estem nei loro discorsi uffi:ciali e nel comunicato diramato alla stampa (dei qual1 trasmetto il testo con separato rapporto odierno).

Effettivamente, nei colloqui Stojadinovic-Beck si sarebbe parlato di tutto ma non si sarebbe concluso nulla; nemmeno sarebbesi fatto un passo avanti come pretendono gli ambienti cecoslovacchi e france&i sulla via di un riorientamento jugoslavo in senso apertamente tedesco. Per contro, questo contatto jugoslavo-polacco sembra doversi interpretare e registrare come tendenza jugosl:ava alla ricerca di una libertà indiv.iduale di movimento e di manovra, nei limiti compatibili col rispetto formale delle sue alleanze, ai fini della sua stcurezza, dopo la constatazione dell'1nsufficienza cosi della politica societar1a oome di quella rappresenta;ta dai sistemi politici cui la Jugoslavia è legata. Nel recente convegno sarebbe stata esamilnata l'eventualità di nuove combinaziooi ·Centro-europe,e e danubiane, sempre a sempltce titoLo di s•cambio di idee. Beck -a quanto si assicura -avrebbe tentato di far aderire Ja Jugoslavia a un suo progetto di un blocco di piccole e medie Potenze in seno alla

S.d.N. -facendo Jeva sulle anttche comuni diffidenze contro nn possibile rLnverdimento del Patto a Quattro il quale viene paventato cosi dalla Polonia come dalla Jugoslavia quale sostanziale risultato di una eventuale riforma della S.d.N. -1Si è certamente parlato delle relazioni della Jugoslavia col Reich e della possibilità di un ravv1cinamento mag•iaro-jugoslavo, circa il quale Beck avrebbe incontrate favorevoli <Rsposizioni di Belgrado.

Secondo quanto mi si riferisce da fonte autorevole, una completa comunanza di vedute si sarebbe determinata fra i due ministri degli Esteri sull'atteggi·amento jugoslav·o di fronte a Mosca e sul problema de·1l'Anschluss. Oirca il primo punto Beck avrebbe !incoraggiato Stojadinovic a resistere nel non riconoscimeno dei sovieti promettendo l'appoggio della Polonia; oirca il secondo si sarebbe riconosciuto all'AnschJuss il carattere di unica soluzione pratica per la sistemaztone dell'Europa centrale e si sarebbe inoltre espressa l'opintone che n momento per attuarla sarebbe propizio potendosi contare sul disinteressamento dell'Italia tuttora assorbita dal problema etiopico e ancor più sull'acquiescenza della FrallJC1a gove.rnata da1le silnistre.

Mi si assicura d'altronde concordemente che Beck aVirebbe sostenuto H punto di vista italiano nella questione etiopi•ca e delle sa;nzioni; sarebbe stata esaminata e riconosciuta la necessità pratica e g·iuridica di abolirle ma si sarebbe constatata l'impossibilità cosi per la Jugoslavia che per la Po1on.ia di prendere un'iniziBitiva. Ciò del resto coLLima col senso di talnne frasi dettemi da Be,ck in breve coUoquio con .lui avuto durante un affollato •ricevimento offerto dal Presidente, colloquio insistentemente disturbBito .dalle ripetute intromissioni di questo mio collega francese. Beck mi riferiva aver notizia di una rrmova proroga alla data del 15 giugno per la riunione del Consiglio della Lega e se me doleva come di un nuovo espediente defatigator!o nei nostri riguardi.

Da rilevare ·Che a due degli incontri fra Stojadinovi.c e Beck è stato presente il ministro della Guerra generale Marie.

Ieri è arrivato qui in aeroplano il signor Titulescu, ufficialmente per prendere accordi circa il viaggio del Principe Paolo a Bucarest, ma in realtà per farsi dar conto di quanto sia stato detto e fatto con Beck.

In generale parmi dover concludere che Belgrado non avrebbe avuto interesse ad esporsi ai malumori della Francia e della Piccola Lntesa per una ragione di semplice ,cortesia verso Varsavia, quaio:ra non si fosse ripromesso dal recente convegno Ullla somma -anche modesta -di risultati.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESP.R. R. 2120/793. Berlino, 30 maggio 1936 (per. il 1° giugno).

Questo R. addetto militare mi segnala numerosi sintomi di un'attiva collaborazione militare tedesco-ungherese, che si manifestano nella presenza in Germania di commissioni tecni,che ungheresi e nella presenza a Budapest del generale capo dell'Ufficio tecnico dell'esercito del Reich.

Si tratta particolarmente della cessione di forti quantità eli materiale bellico tedesco, specialmente aeronautico e automobilistico (l).

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER TELEFONO 5191/566 R. Ginevra, 31 maggio 1936, ore 13.

Questo delegato polacco mi ha detto confidenzialmente che ambasciatore di Polonia a Parigi aveva telefonicamente riferito che al Quai d'Orsay assicuravano che Italia era favorevole a convocazione Assemblea e mi ha ripetuto quanto mi aveva già detto ieri delegato cileno sulle pretese dichiarazioni di S. E. Cerruti a Flandin e Paul-Boncour (v. mio telegramma n. 560 in data di ieri) (2). Viene fatto di chiedere se il Quai d'Orsay non abbia un certo interesse ad accreditare tali voci.

In questi ambienti si consolida sempre più la supposizione che l'iniziativa argentina s,ia dovuta ad ispirazione e suggestioni britanniche. Si afferma che Eden .avrebbe considerato che la convocazione dell'assemblea da un punto di vista inglese è vantagg,iosa per le seguenti ragioni:

l) se l'Assemblea si pronunzierà per il mantenimento delle sanzioni come conseguenza di un orientamento che sarà particolarmente sostenuto dai pie-

Il) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

coli Stati, l'Inghilterra non potrà che incoraggiare la 1otta per la difesa della

S.d.N. e per indurre l'Italia a fare concessioni sul terreno .diplomatico nella speranza così di riconquistare Ìlil. parte il prestigio perduto;

2) se l'Assemblea si pronuncierà per l'abolizione delle sanzioni, l'Inghilterra avrà buon g·ioco per affermare di essersi inchinata davanti alla dedsione «.coUettiva » della Lega di affermare che J.o scacco dà essa subito è scàoco «•collettivo ».

Tuttavia anche in questo secondo caso un vamtaggio a favore della tesi societaria e britannica deriverà egualmente dalla convocazione dell'Assemblea e sarà la ·indubbia decisione da parte di quest'ultima non riconoscere la conquista militare effettuata dall'Italia e montatura di un nuovo processo r·etrospettivo con conseguente condanna morale di quest'ultima; magra consolazione ma tuttavia consolazione di fronte alla gravità degli scacchi subiti.

(2) Con fonogramma 5160/560 R. del 30 maggio, ore 17,15, Bova Scoppa aveva riferito ~he 11' de~gato argentino presso la S.d.N. andava affermando che a Parigi l'ami)all()iatore. cerruti aveva dichiarato a Flandin e a Paul-Boncour che il Governo itallano era favorevole alla convocazione dell'Assemblea chiesta dalla delegazione. argentina peJ: discutere la questione etiopica purché con ciò la questione si considerasse UqÙidata.

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L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5208-5211/141-142 R. Buenos Aires, 31 maggio 1936, ore 19,07 (per. ore 6,25 del 1° giugno). Mio telegramma n. 140 (1).

Come ho sommariamente riferito, ho poi avuto ogg•i stesso in casa di Saavedra Lamas colloquio durato oltre un'ora. Gli ho parlato nel modo più espUcito e più chiaro sviluppandogli tutte le considerazioni giudicate atte a fargli comprendere per intero portata e le oonseguenze presenti e future dell'iniziativa argentina a Ginevra; e perchè non gli restasse dubbio alcuno sull'impressione prodotta a Roma dal suo inatteso gesto, nonché esatto modo di vedere del Governo itali~o a riguardo, gli ho dato inoltre precisa lettura (opportunamente parafrasata per la c<if.ra) di tutta l'ultima parte del telegramma di V. E. n. 2447 (2), corroborata così anche da tutto quanto egli stesso mi ha detto avere telegrafato Cantilo.

Mentrè sorvolo per brevità, sui ·dettagli dell'andamento del colloquio, e pur ritenendo poter attribuire sincerità alla rinnovata insistentissi.ina dichiarazione fatta nel senso di non essere animato da nessun movente di ostilità contro l'Italia, devo riassumere impressione r:lportata confermando punto per punto quanto esposto col mio telegramma n. 138 (3) circa l'affannosa ricerca di un diversivo ad ogni costo da parte di Saavedra Lamas.

Di fronte infatti alla situazione interna ed esterna, sempre più complessa ed insostenibile, nonostante i suoi sforzi di celarlo nella forma esteriore e nel tratto,· egli è tormentato invece (a giudizio concorde dei medesimi altri

. (l) Con T. 46.'31)140,l'.R. del 30 maggio, ore 22,06, Arlotta aveva .comunicato: «In seguito-appoSito Invito telefon:tco di Saavedra Lamas sono stato testé a vederlo lungamente in casa sua».

funzionari del ministero, dei membri più in vista del Corpo diplomatico, a cominciare dal nunzio apostolico, e dai suoi stessi famigliari, tra cui suo cognato deputato Pueyrredon, alla E. V. ben noto, e coi quali tutti mi sono tenuto oggi ancora in diretto contatto), da uno stato di preoccupazione nervosa che rasenta quasi il paradosso e che, alimentato anche dalla pericolante sua .posizione e dall'ambizione personale, si esplica come in una frenesia di ristretta sottigli:ezza giuridica e in dipendenza della necessità adattamento alla realtà dei fatti. Ecco ora qui riassunto fedelmente, pur omettendo di citare le mie specifiche obbiezioni e senza altro commento, le dichiarazioni fatte da questo ministro degli Affari Esteri in seguito al passo da me effettuato come innanzi è detto:

1) confermo nel modo più assoluto di non aver alcuna ostilità per l'ItaUa, che in Argentina continuasi ad amare con inalterabile amicizia (sic) ma sono ineluttabilmente costretto dall'assenza stessa della tradizione politica argentina ad una «riaffermazione dei noti principi dottrina basica concernenti variazioni territoriali, il che non implica necessariamente la impossibilità di un graduale, successivo, implicito riconoscimento de facto:. (sic). (Non ho mancato !asciargli opportunamente intendere come noi non insistiamo tassativamente per un immediato riconoscimento da parte dell'Argentina).

2) Devo predisporre con urgenza la prossima conferenz!l interamericana di Buenos Aires, indetta per iniziativa del .tutto spontanea di Washington, e nel dettarne il pr·ogramma non posso assolutamente deviare dalla mia inalterabile concezione politica secondo cui, non soltanto nell'interesse Argentina, ma in quello di tutto il Continente sud-americano, deve venire mantenuto un piede in Europa affinché non si riproduca, in una eventuale associazione esclusivamente americana di Stati, l'inconveniente, tante volte deprecato, della schia•cciante preponderanza dell'lnghilterra e Francia nella S.d.N. Osservo incidentalmente che se questa teoria non fosse attualmente in vigore, gli Stati Uniti si sarebbero già da qualche tempo impossessati del Messico e di parecchi Paesi del Centro America (sic). •

3) Lamento al massimo grado la fatalità di questa veramente malaugurata cainddenza oon la discussione del conflitto itala-etiopico, ma si va determinando ogni giorno maggiore malcontento contro la situazione creata specialmente ai piccoli Stati dell'America del Sud, i quali, non potendo fare udire efficacemente la loro voce nel Consiglio, vanno quotidianamente allontanandosi da Ginevra, come dimostra ancora la notizia testé ricevuta della probabile defezione pure del Panamà.

Dinanzi alla evidente minaccia di venirmi a poco a poco a trovare per nnizio della conferenza di Buenos Aires con un fronte unico d1 Paesi americani che abbiano abbandonato Ginevra, non vi è altra via di uscita se non quella di parli nella necessità di esprimere chiaramente un giudizio preciso, facendoli tutti comparire nell'Assemblea, dove essi hanno voce in capitolo e dove potranno mettere le ·carte in tavola.

Sarebbe inevitabilmente troppo tardi per ciò fare attendere il settembre ed è per questo che, in conformità della riserva già fatta precedentemente, ho suggerito, fino ad ora soltanto verbalmente, una apposita pronta convocazione dell'Assemblea.

Alla obiezione di illegalità da me, Arlotta, subito mossagli circa competenza Assemblea, egli ha risposto essersi Avenol dichiarato d'accordo suila possibilità deUa convocazione.

4) Per quanto concerne le ripercussioni nei riguardi dell'Italia, pur senza naturalmente permettermi di discutere in nessun modo l'apprezzamento che se ne faccia dal suo Governo a Roma esprimo la mia amichevole e ponderata impressione personale che da un esame di tutto il complesso della situazione che si faccia prontamente della intera Assemblea della S.d.N. possa quasi certamente derivare, specialmente per ciò che riguarda problema dell'abolizione sanzioni, una soluzione nettamente più favorevole di quena che si otterrebbe in seno al solo Consiglio. Mi risulterebbe infatti positivamente, ha sempre :proseguito Saavedra Lamas, che in Consiglio l'Inghilterra si disporrebbe d'accordo ·con Francia a rimandare senz'altro per lo meno fino a settembre l'eventuale soppressione di esse.

Arlotta ha •cercato a questo punto indurre Saavedra Lamas a mamifestargli con chiarezza il proprio atteggiamento nella questione delle sanzioni dimostrandog.Uene nuovamente tutta la assurdità e citando inoltre in appoggio la indiscutibile unanime opinione pubblica locale argentina, al che il suo interIocutore ha testualmente risposto: «Non posso in precedenza impegnare la mia libertà di voto ma ·confermo la mia precisa impressione che da una discussione in Assemblea si formerebbe assai più agevolmente, nonostante le possibili teorkhe riaffermazioni di principio contro l'annessione territoriale, una maggioranza dichiarantesi per la •immediata abolizione ».

Ad ogni buon fine aggiungo dichiarazione del ministro degli Affari Esteri.

Per quanto sia molto difficile rendersi conto esatto degli accordi previ che abbiano potuto essere stati presi per questo che i circoli politici, diplomatici •e opinione pubbUca locale ·considerano qui in sostanza come un ii.mprovviso ed inutile colpo di testa frutto della artificiosa ed avvel!tata politica personale di Saavedra Lamas, informo V. E. che avendogli io fatto vive e legittime rimostranze peli" la mancanza di ogni anche semplic·e preventivo sondaggio verso di noi al rt.guardo, egli mi ha categoricamente affermato di non avere «neanche preavvisato l'Inghilterra nonostante che come tutti sanno l'Argentina abbia con essa in corso proprio in questo momento ·la negoziazione di un assai importante e ben difficile trattato economico:. (sic) il che non toglie che si possa ad ogni modo logicamente ritenere che egli pensi di aver ·anche fatto cosa grata all'Inghilterra.

Questo ministro degli Affari Esteri ha concluso informandomi di aver incaricato codesto Ambasciatore argentino di trasmettere eventualmente le risposte ai quesiti mossi a Cantilo nel colloquio di cui al telegramma citato

n. 2447, e dopo che gli ebbi di nuovo esplicitamente riaffermato il punto di vista italiano ci siamo lasciati col dirgli io che di tutto quanto precede avrei dettagliatamente riferito alla E. V.

(2) -Vedi D. 139. (3) -T. 5183/138' R. del 30' maggio, ore 19,06, non pubblicato.
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IL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5240/61 R. Montevideo, 1° giugno 1936, ore 20,31 (per. ore 6,30 del 2).

Questo sottosegretario Stato Affari Esteri mi ha detto oggi che il Governo argentino ha i;nterpellato ieri questo Governo per conoscere suo parere sulla richiesta convocazione Assemblea S.d.N. e mi ha dato lettura telegrammi inviati all'ambasciata a Buenos Aires ed a delegato a Ginevra. In essi è detto che l'Uruguay non ha nulla ,in contlrario alla 'Convocazione ma che mantiene i seguenti punti di vista: l) assolutamente favorevole all'immediata abolizione delle sanzioni già richiesta dal Cile; 2) favorevole allo studio .per la riforma della S.d.N,; 3) per quanto riguarda il problema dell'annessione dell'Etiopia favorevole ::rl 'rinvio della soluzione sino a quando non si saranno pronunciate le Potenze maggiormente interessate.

Ho anche appreso che il Governo spagnuolo ha interpellato i Governi dell'America del Sud sul loro atteggiamento nei confronti dei suindicati problemi.

È impressione di questo sottosegretario di Stato che il Governo argentino sia favorevole all'abolizione delle sanzioni ma assolutMnente contrario al riconoscimento dell'annessione.

Telegrafato a Buenos Aires ed a Santiago.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 5242/332-333 R. Parigi, 1° giugno 1936, ore 20,40 (per. ore 22,45).

Telegramma di V. E. 291 (1).

La questione del contingente francese a Dirè Daua è di tale delicatezza che non bisogna commettere alcun passo falso a scanso di determinare situazione di imprevedibile gravità da V. E. deprecata. È probabile che Governo francese avesse pensato a ritirare contingente in previsione di una pace che lasciasse sussistere nucleo amarico e che proclamasse protettorato dell'Ita.lia sul resto dell'Etiopia. Suo irrigidimento fu conseguenza proclamazione dell'Impero e mi fu subito dichiarato da Bargeton (mio telegramma 295) (2) e più tardi confermato da Léger (miei telegrammi n. 310 e 311 (3) che Governo fran

imprevedibile gravità» (autografo di Mussolinl).

1&8

cese doveva riservarsi propria decisione circa ritiro delle truppe mandate Etiopia per difesa della ferrovia.

Nella conversazione avuta con Léger, il 29 maggio .(1), a proposito comunicazione fatta dal Maresciallo Graziani alla direzione della ferrovia, egli ritornò sulla cir,costanza che la Francia non può, dal punto di vista giuridico, ri·conos,cere Governo italiano come successore di quello etiopico e può unicamente ammettere che il nostro Corpo d'occUlpazione è di fatto rpadrone della situazione. Ne :risulta che i rapporti delle autorità francesi con Autorità italiane devono marcare differenza modo di vedere. In questo stato di cose la rkhiesta da parte nostra al Governo francese di predisporre il ritorno dei senegalesi a Gibuti sarebbe considerata una ingiunzione appoggiata sulla forza miUtare e potrebbe, in un Paese ultra-nazionalista come la Francia, .rievo·care increscioso e non scordato episodio di Fascioda.

Ciò non toglie naturalmente che, ove V. E. ritenga intollerabile la situazione esistente a Diré Daua, noi potremmo chiedere il ritiro del contingente francese a costo, peraltro, di 'incorrere nell'inimicizia di questo Governo. Dico Governo e non ~rancia, perché parte dell'opinione pubblica comprenderebbe che nostra domanda non avrebbe carattere ostile. Ad ogni modo il ritiro medesimo dovrebbe essere chiesto contemporaneamente a quello dei distaccamenti inglese e francese ,a guardia delle rispettive Legazioni ed alla preghiera rivolta, a tutti i Governi rappresentati ad Addis Abeba, di rLtirare i propri agenti diplomatici.

Viceversa potremmo senz'altro segnalare a questo Governo la violazione, da parte del Comando francese a Dirè Daua, dei limiti territoriali notificati a suo tempo del Quai d'Orsay a questa Ambasciata, chiedendo che le truppe francesi abbandonino i due capannoni della dogana da esse occurpat1.

Mi rpa.re poi legittima la domanda francese di far circolare, in armi, sui treni, militari isolati e piccoli drappelli diretti a Gibuti o ad Addis Abeba presso le Legazioni, sempre che non si tratti di so1dati che scortino militarmente i treni, spettando essa scorta alle truppe italiane sul tratto nostro.

Non mi stupisce voce segnalata dal generale Maletti che i francesi cercherebbero di intrigare a Dirè Daua perché anche qui vi sono correnti, tanto al Quai d'Orsay che nei 'Circoli ·coloniali, le quali vorrebbero che Francia sostenesse essere noto scambio di lettere Mussolini-Laval del 7 gennaio 1935 stato ii.nvalidato dalla nostra azione, la quale, anziché di penetrazione pacifica ed econo:ini,ea, come si supponeva, fu militare. Costoro sostengono che zona economLca riconosciuta indLcata a1la Francia dovrebbe essere reclamata Ln piena sovirariità.

Fortunatamente fino al momento presente simili correnti non hanno prevalso ed anzi Saint Quentin, nell'accennarvi, ha sottolineato che la Francia non intende far valere diversità della s'ituazione attuale da quella in cui furono scambiate note lettere.

·Voglia V. E. impartirmi Sue istruzioni definitive, dopo aver vagUato osservazioni suddette e tenuto anche presente che sino al giorno 4 o 5 ,corrente non

sarà costituito nuovo Governo francese, e che Quai d'Orsay si trincere,rebbe in questi giomi in un doveroso riserbo, pur predisponendo cose tn modo che Governo di Fronte Popolare risponda al Governo italiano in termini tali da farlo apparire strenuo difensore del nazionalismo francese.

Tutte queste cose i militari in Africa non le possono conoscere ma qualora fossero prospettate li indurrebbero probabilmente a mostrarsi più pazienti (1).

(l) Con T. 2476/291 R. del 31 maggio, ore 24, Mussolini aveva ritra;smesso a Parigi un telegramma di Graziani che segnalava gli inconvenienti derivanti dalla presenza a Dire Daua di un battaglione francese costituito da truppe senegalesi. Mussolini incaricava l'ambasciatore Cerruti di ottenere il ritorno a Gibuti delle forze francesi onde evitare che potessero sorgere Incidenti « di

(2) -Vedi serle ottava, vol. III, p. 857, nota 3. (3) -Vedi D. 75.

(l) Vedi D. 145.

153

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS

T. 2491/29 R. Roma, 1° giugno 1936, ore 21.

Miei precedenti telegrammi n. 2470 (2), 2484/C (3). Nella Sua conversazione con Benes metta in partico1are rilievo quanto segue:

Convocazione Assemblea nell'attuale situazione non può evidentemente servire che ad accrescere confusione esistente e precipitare decisione di cui sarebbe difficile esagerare gravità e ripercussioni. È in corso un'azione di chiarificazione e di distensione degU animi a cui l'Ital:ia si presta di buon grado e di cui si può anzi dire che abbia preso l'iniziativa (intervista Daily Telegraph ecc.). Nessuno più di ,chi si è tante volte proclamato campione dello spirito europeo dovrebbe deplorare che detta azione (ehe deve naturalmente sboccare in una ripresa deWopera di ricostruzione europea) venga ostacolata e compromessa nella sua naturale maturazione.

Benes ha in questo momento la responsabilità della convocazione dell'Assemblea ed ha anche l'autorità necessaria per non prestarsi ad iniziative irresponsabili e pericolose.

154.

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5289/109 bis R. Mosca, 1° giugno 1936, ore 22,20 (per. ore 7,15 del 2).

Ho trovato oggi Krestinski più sfuggente e pm riservato del solito. Era a conoscenza del colloquio di S. E. Suvich con Stein (4). Se io dovessi riassumere ~n poche parole le mie impress,ioni suLla lunga conversazione di oggi dovrei

dire che qui si vuole conservare sino all'ultimo momento libertà di manovra.

Di una sola cosa mi sembrava convinto Krestinski e cioè della impossibilità

per l'U.R.S.S., rebus sic stantibus, di prendere l'iniziativa per l'abolizione delle

sanzioni.

Gli ho fatto rilevare che se ,anche l'U.R.S.S. non avesse creduto di poter

prendere icniziativa avrebbe sempre potuto influire sul Governo francese in

modo da indurlo a promuovere l'abolizione stessa.

Krestinski mi ha risposto vagamente dicendomi che quanto Litvinov aveva

detto ad Aloisi sull'inutilità « delle attuali sanzioni» aveva anche ripetuto a

Parigi ed a Londra.

Gli ho detto che ci attendevamo di più: ormai l'U.R.S.S. non aveva più

niente da sperare dall'Inghilterra la cui politica sul Reno, in Europa orien

tale e nel Mediterraneo era in contrasto con gli interessi dell'U.R.S.S.

Krastinski ha rilevato che egH poteva ammetterlo sino ad un certo punto, ma che era ancora prematuro di poterlo affermare ,così decisamente. Gli ho ricordato il proverbio russo che basta « una semplice paglia per provare la direzione del vento ».

Le ulteriori affermazioni di Krestinski mi inducono a concludere che qui non si nutrono soverchie illusioni sull'Inghilterra. D'altra parte però sarebbe prematuro per noi contare su un sicuro appoggio sovietico sino a quando sia la politica britannica che la nostra nei riguardi della Germania non saranno ben definite.

(l) -Suv!ch rispose con T. 2511/295 R. del 2 giugno, ore 24: «Concordo !n massima ed !n ogni caso per ora cons!deraz!on! d! V. E. Intanto e come da Le! proposto Ella potrà segnalare codesto Governo violazione Comando francese a Dire Daua de! l!m!t! terr!tor!al! not1f!cat! a suo tempo dal Qual d'Orsay ». (2) -Vedi D. 143. (3) -R!trasmetteva il T. per telefono 5163/56:1 R. del 30 maggio, ore 17,15, da Ginevra, con il quale Bova Scoppa aveva riferito una conversazione avuta con il delegato cileno Gallardo nel corso della quale quest'ultimo aveva affermato r!sultargl! da fonte sicura che l'Iniziativa dell'Argentina per la convocazione dell'Assemblea S.d.N. era di Ispirazione britannica. (4) -Vedi D. 116.
155

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL CONSOLE GENERALE A GINEVRA, SPECHEL

'l'. PER CORRIERE 2493 R. (l). Roma, 1° giugno 1936.

Nella eventualità di un intervento del Negus a Ginevra bisogna preparargli l'ambiente ostile ch'egli merita quale fuggiasco, fellone ed incendiario.

156

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. RR. 2494/100 R. Roma, 1° giugno 1936, ore 24.

Telegramma di V. E. 132 (2).

R. Governo si atterrà ad impegni presi con accordi Asquini. V. E. faccia tuttavia ben comprendere che rapporti economici non possono non risentire

18 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

influenza di quelli politici. Benché Argentina non abbia applicato la samzione relativa ·al divieto delle importazioni italiane suo atteggiamento politico attende necessaria ·chiarificazione. Finché tale situazione persiste, nessun preciso affidamento potrà essere dato dal R. Governo ver quanto 'riguarda mostra politica di futuri acquisti costà.

(l) -Minuta autografa. (2) -Con T. 5081/132 R. del 26 luglio, ore 13, l'ambasciatore Arlotta aveva riferito su le preoccupazioni suscitate negli ambienti economici argentini circa possibili restrizioni italiane in materia commerciale come ritorsione alla partecipazione dell'Argentina alle sanzioni. L'ambasciatore aveva espresso l'intenzione, salvo ordine contrario, di assicurare attraverso la Camera di Commercio che l'Argentina non sarebbe figurata nell'elenco degli «Stati controsanzionati ».
157

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L. P.R. Vienna, 1° giugno 1936.

Il mio amico (1), ritornato ieri mattina da Graz, ha voluto vedermi ancora stamane, prima deila sua partenza 'Per Venezia, che, ad onta del maltempo, seguirà con velivolo alle 13.30, prima tappa Venezia. E.gli si è mostrato molto grato delle disposiZ'ioni prese •a Roma per il suo viaggio da Venezia a Viareggio e poi da Viareggio al luogo dell'incontro.

Ha desiderato sapere se avevo potuto ~riferire in tempo sui nostri colloqui degli ,scorsi giorni. Rassicuratolo, egli ha attribuito molta importanza a,l fatto che il Duce potesse essere informato, prima dell'incontro, degli oggetti che avrebbero formato argomentu della conversazione.

Gli ho riprodotto, quasi testualmente, il tenore della mia lettera a te del 30 maggio (2), ed egli ha trovato completamente ed esatta la mia esposizione.

Una sola comunicazione devo aggiungere, risultata dal colloquio di oggi: che, in eventuali trattative con gli Stati della Piccola Intesa e specialmente con la Jugoslavia, il mio amico non si lascierebbe indurre, in nessun caso e a nessun prezzo a dichiarazioni in senso comunque antileggittimista e antiasburgico.

Il Segretario di Stato Zernatto, nuovo segretario generale del Fronte Patriottico, che pur essendo iscritto al Heimatschuntz, ha simpatie e rapporti tra i « nazionali » condivide pienamente il punto di vista del mio amko circa le singole proposte del fiduciario dei «nazionali», e crede più difficile raggiungere un accnrdo interno con questi ultimi che non un ac·cordo esterno con von Papen.

Sono dell'avviso che i due campi siano intercomun}canti. È da dare, in ogni caso, importanza -agli effetti interni e internazionali -solo ad una normalizzazione di rapporti col Reich e non ad un accordo o ad una coUaborazione con i «nazionali » a sè stante. Se riconosciutane l'opportunità o l'utilità nei nostri riguardi -ciò che giudicherà il Duce con riguardo alla situazione internazionale e alle nostre necessità tattiche -se fosse possibile raggiungere un accordo od un modus vivendi col Reich, l'accordo interno coi « nazionali » o sarebbe superfluo o si potrebbe <raggiungere poi a condizioni ben più favorevoli. Ln ogni modo un accordo interno con i nazionali sarebbe impossibile,

non darebbe alcun vantaggio politico, e non funzionerebbe, senza un gesto del Reich.

All'interno, anche dei gruppi meno favorevoli, si comprenderebbe e si apprezzerebbe, per i vantaggi anche pratici, una normalizzazione o un modus vivendi ~col Reich: non si digerirebbe invece, senza tale complemento essenziale, un a;ccordo interno che darebbe ai nazionali dei vantaggi, forse superiori alle loro possibilità attuali, e non se ne vedrebbero compensi equivalenti.

A parte che la distanza tra i due punti di vista su argomenti fondamentali è troppo grande, come risulta dalla mia esposizione del 30 maggio.

Può tuttavia sospettarsi che a Berlino si siano divise le parti: figurare di più facile accontentatura ufficialmente (von Papen), esagerare nelle esigenze attraverso gli elementi nazionali locali austriaci, per poter poi, in caso di insuccesso delle trattative o di inefficacia pratica dell'eventuale accordo, dire all'estero, speeialmente agli inglesi, che non è Berlino ad alimentare l'agitazione in Austria, ma sono gli austriaci stessi a non sopportare la situazione attuale in Austria e quindi rendere inevitabile, se non l'Anschluss, almeno una Gleichschaltung alla Germania nazista.

Non dovrebbe essere difficile a voi, da Roma e da Berlino, di appurare i fatti e scoprire l'eventuale doppio giuoco.

Il mio ami:co ha ripetutamente insistito suUa assoluta discrezione e riservatezza delle comunicazioni da lui fattemi circa queste trattative con von Papen, e ~con il fiduciario «nazionale», e in nessun caso vorrebbe ,che ne avesse notizia Berlino o von Hassell a Roma. Ma, senza mancare a tale impegno di riservatezza, gli elementi di cui siamo ora in possesso, dànno la possibilità di sondaggi e atteggiamenti abbastanza precisi verso Berlino.

È superfluo che io rilevi l'opportunità che, qualora si dovesse consigliare, nel nostro interesse, al mio ~amico di proseguire le conversa~ioni, gli si consigli tnsieme e di temporeggiare abilmente sino a che noi non siamo ben in chiaro sull'uso da fare, da parte nostra, della funzione potenziale della «carta germanica» nelle trattative generali con Londra e Parigi, e di evitare, in questo frattempo, ogni gesto ed ogni parola pubblica verso i «nazionali » austriaci che scontenterebbe gli altri e accrescerebbe qui il confusionismo e potrebbe produrre dei pericolosi sbandamenti.

Altre considera~ioni mi sarebbero suggerite dalla conoscenza di questo ambiente e dalla opportunità evidente di fare ancora buon uso della « carta austriaca » senza diminuirne il valore internazionale con un precipitato ~accordo con Berlino e con i nazionali, che svaluterebbe agli occhi di Parigi e di Londra, l'urgenza e l'indispensabilità della nostra collaborazione nei riguardi dell'Europa Centrale. Ma sono riflessioni che vanno al di là del mio incarico informativo.

Non occorre che io ti di:ca quanto sarebbe utile che io fossi, con ogni maggiore riservatezza, informato dei risultati dell'incontro, se devo continuare in questo lavoro.

(l) -Si tratta del Cancelliere Schuschn!gg. (2) -Non rinvenuta.
158

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, BERLINO, BRUXELLES, LONDRA, MADRID, MOSCA, PARIGI, SANTA SEDE, SHANGAI, VARSAVIA E WASHINGTON, ALLE LEGAZIONI AD ATENE, BELGRADO, BERNA, BUCAREST, BUDAPEST, CAIRO, PRAGA, SOFIA, VIENNA E ALLA DELEGAZIONE PRESSO LA S.D.N.

T. 2490/26 C.R. Roma, 2 giugno 1936, ore 0,30.

R. Governo eonsidera richiesta argentina convocazione Assemblea Lega (1), come del resto ho fatto subito presente a questo ambasciatore d'Argentina (2), inopportuna e pericolosa. Passo è avvenuto senza preavviso o consultazione preventiva, procedura appare illegale ed é stata da noi contestata in ottobre perché Assemblea non può investirsi della questione che travasi davanti al Consiglio. Si aggiunga che Assemblea fatalmente influenzata da demagogia societaria finirebbe per determina:re un irrigidimento delle poS'izioni rispettive specialmente su punto relativo non riconoscimento estensione sovranità italiana Etiopia, a tutto svantaggio opera pacificazione internazionale. RR. Rappresentanze negli Stati sanzionisti sono state poi invitate (3) a prospettare ai rispettivi Governi principio affermato da R. Governo che a termini articolo 16 Patto applicazione o revoca sanzioni spetta non a decisione collettiva organo societario ma a iniziativa sovrana singoli Stati. Comitato Diciotto che ha sole funzioni coordinamento non avrebbe perciò ragione convocarsi. Tali osservazioni partono da un punto di vista puramente societario e procedurale in quanto ·per Italia non esiste più una vertenza fra essa e Etiopia. Esaminando poi motivi che hanno indotto Saavedra Lamas a presentare richiesta convocazione a Ginevra si scorge, a parte sua ambizione personale, possibile suggestione britannica e suo desiderio nel momento in cui negozia Trattato commercio anglo-argentino rendere segnalato servizio ad Inghilterra. Saavedra pensa forse anche obbliga:re Stati sud-americani prendere posizione di fronte a Ginevra prima della conferenza di Buenos Aires (4).

Comunque R. Ministro Praga ha ricevuto istruzioni (5) far presente a Benes come appaia opportuno evitare convocazione Assemblea Lega e come sembri utile concordare azione comune in questo senso con Segreta:rio Generale Lega. Si è approfittato della contemporanea presenza a Marienbad di Litvinov e di questo Ambasciatore sovietico cui azione in questo momento può esserci favm·evole (vedi mio telegramma numero precedente) (6) per far

conoscere a Benes che egli può con Litvinov intendersi per adottare Unea di azione che faciliti liquidazione affare etiopico e significhi anche miglioramento situazione europea.

Scopo nostra azione è evitare manovra che si delinea Ginevra: si tenderebbe a cedere a nostro favore su questione sanzioni il cui mantenimento del resto è oramai gravemente pregiudicato, per pronunciare nuova condanna contro l'Italia e decidere non riconoscimento del fatto compiuto in Etiopia. Ciò porterebbe a uscita Italia da S.d.N. Riteniamo 'invece che facendo cessare sanzioni per ragioni societarie Ginevra possa mantenere aperta questione riconoscimento dando modo Cancellerie di cercare accomodamento durante prossimi mesi.

Informazioni Ginevra attribuiscono Eden giudizio favorevole circa convocazione Assemblea in quanto, sia che Assemblea insista per mantenimento sanzioni, sia che si pronunci per abolizione. Inghilterra potrà nel primo caso insistere su Italia fare concessioni sul terreno diplomatko, nel ,secondo avrà buon giuoco per affermare essersi inchinata davanti alla decisione «collettiva » della Lega alla quale domanderà non ,riconoscere conquista militare dell'Italia che dovrebbe subire un nuovo processo ratrospettivo con ,conseguente condanna morale.

(l) -Il 2 giugno il delegato argentino chiese che fosse riunita quanto prima l'assemblea generale della S.d.N. per esaminare la situazione nata dall'annessione dell'Etiopia e dall'applicazione delle sanzioni, cosi che tutti gli Stati membri della Società delle Nazioni -costituita sui principi di uguaglianza -potessero esaminare il problema, assumere le loro responsabilità ed esprimere la loro opinione. Il testo della nota è pubblicato in Il conflitto itala-etiopico, pp. 540-541 (2) -Il verbale del colloquio non è stato ritrovato ma su di esso si veda il D. 139. (3) -Vedi D. 89. (4) -Ottava Conferenza panamericana che si doveva aprire il lo dicembre 1936. (5) -Vedi D. 153. (6) -Non rinvenuto.
159

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5285/819 R. Londra, 2 giugno 1936, ore 1,40 (per. ore 6,30).

Corrispondenti inglesi da Roma riportano stamane che una ondata di ottimismo si sarebbe diffusa in Itallia seguito a ripercussioni favorevoli suscitate in Inghilterra dalla intervista del Duce al Daily Telegraph (l) e ai contatti diplomatici ,che a seguito tale intervista hanno avuto luogo a Londra e a Roma. Corrispondenti riferiscono che tutto ciò è stato preso nei circo1i politici italiani come indice di un rapido prossimo chiarimento definitivo di rapporti itala-inglesi con conseguente revoca delle sanl'lioni da parte Governo britannico.

Come già ho telegrafato a V. E. (2) non vi è dubbio che intervista del Duce ha prodotto effetto distensione nell'atmosfera generale e considerata il punto di pa,rtenza per nuova situazione psi:cologtca e politica. Se si pensa che appena tre settimane sono trascorse dalla proclamazione dell'Impero Fascista, avvenimento ,che è stato considerato da tutti nostri amìc,i e nostri nemici in Inghilterra come la disfatta più clamorosa e l'umiliazione più scottante che

l'Impero britannico abbia sofferto nella sua storia, bisogna concludere che un cammino già notevolissimo è stato percorso in queste tre settimane. Impero Fascista è cons·iderato come un fatto irrevocabile e che nessuno osa discutere più. Sulle correnti tutt'altro che trascurabili le quali, fuori e dentro lo stesso Gabinetto, sembrano decise a orientare futura politica inglese verso una permanente ostilità all'Italia, hanno prevalso le correnti favorevoli ad un ristabilimento rapporti amichevoli con l'Italia.

Il Governo sembra per la prima volta de>Ciso a favori.re una distensione effettiva nei rapporti fra i due Paesi ed una ripresa di contatti diplomatici diretti a tale scopo. Non si discute ormai più di pace o di guerra, bensì del «come» si può fare la pace. Siamo quindi già avanti rispetto alle rigide negative posizioni precedenti, ma siamo tuttavia ancora molto indietro rispetto a quello che l'Italia considera giusto punto di arrivo.

Fino pochi giorni fa il Governo britannico era contrario alla revoca delle sanzioni. Oggi Governo britannico, premuto dalla campagna antisanzionista ogni giorno più forte nel Parlamento e nel Paese, sembra ormai indirizzato su questo binario. Gabinetto non si sente tuttavia forza dì procedere di sua iniziativa, e mediante atto unilaterale alla revoca delle sanzioni. Neppure vi sono segni i quali inducano a fare pensare come probabile che Governo britannico sia disposto ad aprire negoziati diretti con l'Italia ·al di fuorri di Ginevra.

Una decisione di carattere collettivo a Ginevra, dietro la quale Governo britannico possa coprire le sue dirette responsabilità, viene amcora considerato come l'unico mezzo per abbandono politica sanzionista senza provocare una crisi di carattere parlamentare e interno.

Questo è d'altra parte punto vista degli stessi antisanzionisti più autorevoli CChamberlain, Grigg ecc.) i quali mentre sono sinceramente ansiosi liquidare al più presto sanzioni, ritengono che per camuffare nei limiti possibili lo scacco inglese, revoca debba avvenire a Ginevra.

Per dare a V. E. misura di quanto il Governo ed i nostri stessi amici siano ancora lontani da un effettivo apprezzamento della realtà, basta rilevare che essi insistono ancora sul concetto che per facilitare revoca sanzioni a Ginevra, l'Italia dovrebbe fare un « gesto » amichevole nei riguardi della S.d.N., sulla forma e sul contenuto del quale le idee permangono tuttavia confuse.

Questa è la situazione psicologica e 'POlitica che io ho cercato di riprodurre nella mia lettera al Duce del 29 maggio (1). L'atmosfera è senza dubbio migliorata. Si va manifestando una progressiva distensione, che da parte nostra, sia pure con una certa cautela, vale la pena di incoraggiare perché essa costituisce ambiente indispensabile per un qualsiasi passo in avanti di natura concreta. Ma come V. E. vede la situazione è ben !ungi dalla sua fase risolutiva. Essa può riservare ancora molte sorprese, e sopratutto non giustifica ottimismo prematuro.

(l) -Vedi p. 142, nota l. (2) -Vedi D. 138.

(l) Non pubblicata. Il suo contenuto è qui riassunto.

160

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 5291/61 R. Praga, 2 giugno 1936, ore 13,50 (per. ore 15,30).

Mio telegramma n. 60 (l).

Litvinov per mezzo comunicazione telefonica di Stein mi ha ora fatto sapere che condivide punto di vista R. Governo da me riferitogli e che ha impartito istruzioni a rappresentante dell'U.R.S.S. a Ginevra perché faccia presente non (dico non) opportunità convocazione Assemblea.

Presidente della RepubbUca mi riceverà questo pomeriggio.

161

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MP,JISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 5315-5319/327-329 R. Washington, 2 giugno 1936, ore 19,28 (per. ore 5,10 del 3).

Sottosegretario di Stato Phillips mi ha oggi informato in via strettamente confidenziale, che, a causa delle sue condizioni di salute, ambasciatore Long dovrà lasciare posto di Roma. Presidente Roosevelt si propone di designare come successore stesso Sottosegretario di Stato Phillips, il quale si mostra entusiasta di tale possibilità. Egli ha agg•iunto che Presidente si sente imbaraz:llato di fronte al problema formale che si presenta per eventuale accreditamento del nuovo ambasciatore presso Re d'Italia ed «Imperatore di Etiopia». Pur augurandosi che questione della sovranità italiana sulla Etiopia possa quanto prima venire risolta in modo soddisfacente, Presidente Roosevelt non crede di poter •compiere atto cui sarebbe attribuito significato polittco di riconoscimento formale della sovranità italiana anche prima delle decisioni delle Poternze europee più direttamente inte·ressate. In presenza di questa s1tuazione, Sottosegretario di Stato mi ha chiesto se credevo che R. Governo sarebbe stato disposto ad accettare accreditamento di un nuovo ambasciatore con le stesse formule usate nel passato in modo da non sollevare esplicitamente questione della sovranità sull'Etiopia.

Gli ho risposto che vedevo difficoltà difficilmente superabili ma che tuttavia avrei sollecitato opportune informazioni.

Signor Phillips si è mostrato ansioso di conoscere punto di vista di V. E. Al tempo stesso ha insistito nel mettere in chiaro che sua odierna comunicazione veniva fatta a titolo personale e confidenziale e non intendeva per nulla essere richiesta di gradimento la quale sarebbe stata fatta eventualmente più tardi nelle forme dovute.

Nel corso della conversazione odierna, dissi al Sottosegretario di Stato che, se anche potevo comprendere fino ad un certo punto ragioni politiche della riluttanza americana a prendere iniziative per riconoscimento della sovranità italiana sull'Etiopia, non comprendevo invece ritardo frapposto dal Presidente nella decisione sulle misure della neutralità che erano state emanate alla «constatazione di uno stato di guerra». Tale situazione di fatto essendo ormai superata, era tempo che governo degli Stati Uniti tirasse conseguenza logica dichiarando cessata applicazione della legge della neutralità.

Sottosegretario di Stato mi confessò che problema imbarazzava molto il Presidente, il quale, pur essendo desideroso di vedere situazione normalizzata al più presto, voleva tuttavia evitare che sua azione potesse venire giudicata prematura.

Ho avuto impressione che Sottosegretario di Stato Phillips qualora vedesse aperta strada per ambita destinazione Roma, sarebbe propenso agire presso Presidente nel senso affrettare dichiarazione della cessazione dello stato di guerra con la quale si prenderebbe atto indiretto della situazione di fatto oggi esistente. Per queste ragioni sarò grato a V. E. se volesse telegrafarmi, appena possibile, opportune direttive per risposta da dare al Sottosegretario di Stato circa formula dell'eventuale suo accreditamento come ambasciatore a Roma.

(l) T. 5212/60 R. del 1° giugno, ore 12,50, con il quale de Facendis riferiva un colloquio avuto a Marienbad con Stein. Quest'ultimo aveva affermato di essere convinto che l'iniziativa dell'Argentina per la convocazione dell'Assemblea della S.d.N. fosse stata concordata con il governo italiano. De Facendis lo aveva a questo punto informato del contenuto del T. circolare del 30 maggio (vedi D. 139).

162

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

FONOGRA~A 5297/448 R. Ginevra, 2 giugno 1936, ore 19,30.

Nota argentina (l) che è stata presentata in questo momento al Segretario Generale da Ruiz Guinazu e che sarà pubblicata questa sera, a quanto mi hanno detto alcuni delegati sud-americani ai quali ne è stata data lettura, è di ispirazione nettamente sfavnrevole all'Italia:

l) Nota ricorda atteggiamento di riserva tenuto dal rappresentante argentino contro l'aggiornamento della questione etiopica in Consiglio ed afferma che agendo in tal modo delegazione argentina ebbe in vista rispetto esclusivo del Patto;

2) La nota afferma che è venuto il momento di prendere una decisione circa la questione dell'Etiopia ed aggiunge che occorre dare ad ogni Stato membro la possibilità di esprimersi al riguardo;

3) Dato quanto precede, Governo argentino chiede convocazione dell'Assemblea a data che coincida con quella della riunione del Consiglio o la preceda o la segua immediatamente;

4) Nota contiene inoltre due paragrafi finali in cui Governo argentino chiede che tutti gli Stati si pronuncino sulla portata dell'art. 10 del Patto e sugli altri articoli analoghi sui quali si impernia la politica degli Stati sudamericani;

5) Nota termina affermando che assemblea dovrà occuparsi anche del problema delle sanzioni.

Circa data riunione Assemblea, Avenol mi ha detto che gli sembra difficile che essa possa avere luogo il 16 giugno e che sarà quasi certamente rinviata verso la fine stesso mese. Intanto si afferma che a presidente dell'Assemblea sarà nominato Krofta in sostituzione di Benes.

Nei circoli giornalistici circola voce che Saavedra Lamas intenderebbe intervenire all'Assemblea e sostenere personalmente la sua bella iniziativa.

163.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 5305/334 R. Parigi, 2 giugno 1936, ore 19,55 (per. ore 21,45).

Ex presidente della Repubblica messicana, De La Barra, il quale ha costantemente dimostrato sentimenti di amicizia per l'Italia è venuto a vedermi stamane per mostrarmi conf,idenzialmente lettera aerea pervenutagli da Saavedra Lamas. Questo lo invita a recarsi a Buenos Aires per conferenza panamericana e lo informa delle sue idee circa S.d.N. Dal contesto della lettera, risulta in modo indubbio che Saavedra Lamas intende spezzare una lancia in favore della S.d.N. ed impedire qualsiasi decisione che possa, comunque, apparire come una disposizione del Governo per l'atto di aggressione compiuto dall'Italia nei riguardi dell'Etiopia.

Al presidente De La Barra che mi pregava di considerare confidenzialissima, anzi segreta, la comunicazione fattami e che si consigliava meco circa risposta da spedire per posta aerea o telegrafica in cifra a Buenos Aires, ho detto di fare presente a Saavedra Lamas: l) che precedenti della S.d.N. dimostrano come questa sia stata impotente a prevenire o reprimere aggressione o violazione di trattati; 2) che Etiopia non si trova nè in Europa, nè in America e che essa avrebbe dovuto essere espulsa dalla S.d.N. perchè è stata barbara e schiavista; 3) che patto Kellogg era stato firmato con espressa riserva di non estensione ai territori africani; 4) che passo Saavedra Lamas concerneva America con riguardo a particolari condizioni di quel continente e che sarebbe stato assurdo volerlo e•stendere a1l'Af·rica; 5) che riflettesse su atteggiamento che intendeva assumere, perché italiani sparsi per il mondo avevano, oggi, una -coscienza nazionale tale che ·era preferibile contarli tra gli amici che tra gli avversari, sopratutto in Argentina.

Presidente mi ha assicurato che lo avrebbe fatto subito.

(l) Vedi p. 204, nota l.

164

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5306/103 R. Vienna, 2 giugno 1936, ore 20,40 (per. ore 22,41).

Mi riferisco al mio telegramma n. 100 (1).

In relaz;_one imminenti colloqui fra S. E. il Capo del Governo e Cancelliere austriaco desidero segnalare che accenni fattimi da quest'ultimo cirea sue trattative sia con von Papen che con i «nazionalisti ~ rilevano grande divergenza tra moderate richieste von Papen ed esagerate condizioni cui pangermanisti subordinano loro entrata nel Governo (riforma costituzionale, libere elezioni, liberazione internati, ecc.).

È possibile che predetti due diversi atteggiament-i siano frutto di una collusione tra von Papen e pangermanisti; ossia che il Governo tedesco voglia apparire più condiscendente nei confronti dell'Austria, mentre in realtà assegna ai pangermanisti un compito intransigente onde sabotare indirettamente trattative per accordo. Ma non è del tutto da escludere che i pangermanisti, in vista della situazione tutt'altro che felice in cui si è messo Cancelliere austriaco a seguito ultima crisi (al riguardo è notevole che mentre le Heimwehren sono assai soddisfatte per favorevole ripercussione per diminuita responsabilità verso Governo. alcuni elementi cristiano-sociali temono invece essere andati troppo oltre) vogliano agire per loro esclusivo conto e farsi pagare ben cara loro eventuale entrata nel Governo.

Tutto quanto precede lascia pertanto supporre che il Cancelliere darà massima importanza all'atmosfera che troverà in Italia.

Ho cioè impressione che egli, ove credesse scorgere costà una atmosfera de-cisamente favorevole alla conc-lusione di un acco·rdo diretto tra Vienna e Berlino, potrebbe dedurne un disinteressamento italiano alla questione austriaca e cercare quindi a qualunque costo un modus vivendi col Reich.

Tale evenienza avrebbe conseguenze particolarmente del'icate, giacchè situazione attuale ìnterna, in cui le forze di resistenza patriottica sono indebolite e disorientate, non offre più quei poteri di concorde resistenza patriotti-ca che avrebbe potuto validamente controllare azione dei nazionalisti, giunti che questi fossero al potere.

(l) Vedi D. 140.

165

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI,

ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE NEI PAESI ISLAMICI (l)

T. 2508/c. R. (2). Roma, 2 giugno 1936, ore 24.

Far notare negli ambienti islamici quanto stabilisce la nuova legge dell'Impero a favore degli elementi musulmani (3).

166

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5335/569 R. Ginevra, 2 giugno 1936 (per. il 3).

Avenol che è ·rientrato a Ginev.ra da un viaggio a Brest e che ha eospresso il desiderio di vedermi, alla mia domanda se giudicava «opportuna» la richiesta convocazione della Assemblea, mi ha detto che non aveva avuto modo di pensarvi, dato che aveva preferito « dedicarsi alla contemplazione del mare di Bretagna». Gli ho subito detto che se avesse passato quel mare e dalla Bretagna si fosse spinto fino alla Gran Bretagna, forse i suoi pensieri si sarebbero fissati e chiariti. Morale: non aveva idee precise su detta opportunità. Gli ho detto allora che, secondo quanto mi risultava, era precisamente il presidente del l'Assemblea, il presidente del Consiglio e il Segretario Generale che dovevano concertarsi e decLdere su tale opportunttà. Messo alle strette Avenol ha finito col dire che «personalmente» egli non aveva idee molto precise su questo problema. Riteneva tuttavia che fosse giunto il momento per gli Stati membri della Società di esprimere le loro idee sulla situazione. Era chiaro ·che l'Argentina era stata spinta a prendere posizione per il fatto che Cile ed Equatore l'avevano presa a loro volta e avevano messo il Governo di Buenos Aires in minoranza di fronte alla rappresentanza sud americana al Consiglio.

Ho •chiesto allnra ad Avenol se, visto che le sue idee al riguardo non erano ben chiare, potesse dirmi cosa pensava in proposito il signor Benes. Avenol non ha avuto tempo di rispondermi perché in quel preciso momento è stato chiamato al telefono da Benes.

Finita la conversazione con Benes, Avenol è rientrato nell'ufficio eccitatissimo. Mi ha detto che Benes gli aveva riferito come il nostro Ministro a Praga, che era stato ricevuto da lui, gli avesse fatto chiaramente comprendere

che, se egli convocava l'Assemblea, l'Italia avrebbe lasciato la S.d.N. «Questo sistema di minaccie e di pressioni non è fatto certo per giovarvi -ha esclamato Avenol -. E' un po' la teoria di la guerre à tout le monde che volete mettere in pratica.

Ho risposto piuttosto vivacemente che questa teoria non esisteva che nella fantasia dei giornali antifascisti e mi meravigliavo che egli vi facesse cenno. L'Italia voleva la pace. Il Duce lo aveva indicato in termìni di una chiarezza assoluta. Ma la scelta sulla pace e sulla guerra era affidata precisamente alla

S.d.N. Se Ginevra e i suoi magni sostenitori sceglievano la via più pericolosa invece che la via del compromesso, che doveva raggiungersi attraverso il negoziato diplomatico, e non attraverso un'inutile accademia, le responsabilità ricadevano su Ginevra piene ed intere. Era bene dirlo e ripeterlo a sazietà come già stavo facendo da molto tempo senza stancarmi perchè non era l'ora di perdere la pazienza o di accusarci di monotonia.

Quanto alle affermazioni di BE'nes vi doveva essere senza dubbio un equivoco. Benes doveva aver mal compreso qmmto gli aveva dichiarato il nostro ministro a Praga. Il problema della nostra permanenza a Ginevra era subordinato evidentemente alle decisioni che Ginevra avrebbe preso in materia di sanzioni. Il Duce non aveva fatto mistero di questo suo divisamento né a Parigi nè a Londra né nelle sue pubbliche dichiarazioni. Ma certamente escludevo che una decisione del genere potesse esser presa a Roma solo perché il Governo argentino aveva proposto la convocazione dell'Assembla. In assenza di lui mi ero espresso chiaramente su questo punto con Walters. Roma non vedeva quale utilità e quale opportunità vi fosse a trasportare il problema dal terreno prudente e accorto del negoziato diplomatico su quello verboso, demagogico e irresponsabile dell'Assemblea. Desideravamo chiarirlo per fissare anche in questo caso le resyonsabilità che avrebbero potuto derivarne. Era evidente che il R. Ministro a Praga si doveva essere espresso negli stessi termini con Benes. Si trattava quindi di un malinteso. Avenol si è calmato. Mi ha pregato tuttavia di chiedere conferma discretamente e confidenzialmente della cosa a V. E. aggiungendomi che non voleva mettere in causa il presidente Benes. L'ho assicurato a questo riguardo e gli ho promesso che comunque avrei subito chiesto a V. E. conferma di quanto io stesso gli dicevo.

Rasserenato su questo punto, Avenol mi ha detto che dovevamo renderei conto che molti Governi erano scontenti che i negoziati per una soluzione della questione etiopica si svolgessero esclusivamente tra Roma Parigi e Londra. Vi erano dei Governi che volevano far sentire la loro voce e questo significava il consenso con cui molti Paesi avrebbero accolto l'annunzio della convocazione del massimo organo societario.

Quanto alla procedura non gli pareva dubbio che il Presidente avesse piena facoltà di riunire l'Assemblea, che era sempre in sessione.

Parlandomi infine del colloquio che egli aveva avuto recentemente con Blum a Parigi, Avenol mi ha preC'isato: l) che Blum, legato dalle posizioni dottrinali e politiche del suo partito, non poteva certo assumere verso di noi lo stesso atteggiamento dei precedenti Gabinetti francesi; 2) che tuttavia, «siccome si trattava di un uomo di altissimo ingegno» Blum non avrebbe certo agito in maniera che les jrais de l'ajjaire fossero sopportati dalla Francia; 3) stava all'Italia di mettere Blum in condizioni da poter aiutarci senza ledere i suoi principii e le posizioni ideologiche del partito socialista; 4) Blum aveva detto a lui, Avenol, che nella sua azione di Governo non avrebbe fatto né dell'anti-fascismo nè dell'anti-hitlerismo.

Ho risposto a queste ultime indicazioni l) che naturalmente a Roma non si facevano molte illusioni di trovare a Parigi un appoggio nel nuovo governo francese; 2) che se la Francia non avesse assunto una posizione netta e decisa di fronte al problema deUe sanzioni e a quello etiopico in generale, mi sembrava che difficilmente le sarebbe riusC'ito a non soppo.rtare molta parte dei jrais de l'ajjaire di cui egli parlava; 3) che l'Italia aveva chiarito la sua posizio.ne e che difficilmente le sarebbe riuscito di modificarla sostanzialmente per conciliare le esigenze di Blum di aiutarci senza lesioni per le sue posizioni ideologiche e di partito.

Avenol avendomi risposto che anche il Duce aveva le sue posizioni ideali e dottrinali a cui teneva, ho obiettato che era giustissimo ma che il Duce aveva saputo essere un grande realista sul terreno politico, diplomatico e militare. Questa era una delle 'ragioni del suo formidabile successo. Blum avrebbe fatto bene ad ispirarsi a quell'esempio, se lo avesse potuto, pel bene della Francia.

(l) -Il telegramma era indirizzato alle legazioni a Baghdad, Cairo, Gedda, Kabul, Teheran, al consolati generali ad Algeri, Beirut, Bombay, Calcutta, Gerusalemme, Nalrobl, Rabat, Tangeri, Tunisl, e al consolati ad Aleppo e Damasco. (2) -Minuta autografa. (3) -In precedenza Mussollnl aveva telegrato alle rappresentanze diplomatiche nel Paesi lslamlcl: «Diffonda e valorizzi negli ambienti mussulmanl fatto che ad Harrar è stato ristabilito come lingua ufficiale l'arabo e che si stanno riordinando le moschee » (T. 2139/C. R. del 13 maggio, ore 24). La minuta del telegramma è autografa.
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COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, SUGIMURA

APPUNTO. Roma, 2 giugno 1936 (1).

Il signor Sugimura, dopo essersi informato del nostro punto di vista sulla questione etiopica (è d'accordo che la convocazione dell'Assemblea sia quanto mai inopportuna perchè Ginevra ha bisogno di un compromesso e non di irrigidirsi su affermazioni di principio) mi parla degli Stretti.

Il Giappone vede con simpatia l'affermazione della più completa sovranità turca, Paese col quale è legato da rapporti di amicizia, ma non può non preoccuparsi delle conseguenze che possono derivare al suo commercio per il nuovo regime degli Stretti caldeggiato dalla Turchia.

Il Giappone si propone di esaminare ogni singolo punto delle proposte turche sotto l'aspetto di questo suo interesse.

Rispondo all'ambasciatore che noi ci rendiamo conto delle preoccupazioni giapponesi e che l'Italia si trova nello stesso caso di non voler fare alcuna rinuncia ai propri interessi per fare un piacere alla Turchia che, oltre al resto, si è portata malissimo in tutto il periodo sanzionista.

L'ambasciatore ritiene, e io confermo, che ci possano essere degli utili scambi di idee tra i nostri due Paesi a tale riguardo (2).

{l) Dettato il 6 giugno.

(2) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

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IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 5313/62 R. Praga, 3 giugno 1936, ore 2,30 (per. ore 4,45).

Mio telegramma n. 61 (1).

Ho esposto dettagliatamente al Presidente Benes tutte le :ragioni e le considerazioni prescrittemi da V. E. (2) per dimostrar~li illegalità inopportunità possibili conseguenze dannose e pericolose che ·compol'terebbe convocazione Assemblea S.d.N.

Benes che in mia presenza ha ricevuto fonogramma Ginevra per informarlo che Argentina presentava stasera richiesta ufficiale convocazione Assemblea, mi ha detto: l) che non aveva ancora elementi necessari per rendersi esattamente conto delle ragioni che hanno potuto determinare iniziativa Governo argentino: 2) che non si sentiva di poter assumersi da solo responsabilità convocare o non convocare Assemblea in base sola richiesta dell'Argentina; 3) che avrebbe proceduto a consultazioni già prestabilite a Ginevra al momento sospensione lavori Assemblea: avrebbe perciò interpellato Segretario Generale della S.d.N., Stati membri permanenti del Consiglio e quelli rappresentati nel Bureau dell'Assemblea; 4) che qualora si dovesse, per avviso della maggimanza andare alla .convocazione, egli si dimetterebbe non :consentendogli sua posizione presiedere le adunanze.

Ha voluto chiarirmi aver conservato :presidenza unicamente per evitare, fino a quando possibile, che eventuali velleità successore mettano inopportunamente in moto Assemblea.

Benes si rende conto dei seri inconvenienti che potrebbero derivarre da convocazione Assemblea, sopratutto se ne ven~sse fuori una condanna per l'Italia

o un formale rifiuto di riconoscere anne,ssione. Egli mi ha infatti dichiarato Governo italiano agirebbe saggiamente mettendo per ora da parte questione riconoscimento annessione 'ed ha convenuto che, molto probabilmente, Assemblea sarebbe portata ad occuparsene, ciò ,che dovrebbe invece evitarsi.

Ho informato Benes ,che Litvinov condivide modo di vedere R. Governo e :gli ho suggerito di prendere con lui possibili accordi. Mi ha detto che è in diretti contatti e che al ritorno da Bucarest cercherà di vederlo.

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L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5342/240 R. Rio de Janeiro, 3 giugno 1936, ore 14,04 (per. ore 19,55).

Dispacci a questo ministero Affari Esteri da capitali americane, europee e Ginevra concordano nel preeisare scopo iniziativa Argentina come segue:

Provocare voto assemblea Ginevra contrario al riconoscimento nostra sovranità Etiopia.

Limitare così libertà d'azione degli Stati americani non (dico non) appartenenti Lega delle Nazioni, ricostruendo .per quanto è possibile nei riguardi problemi italiani uniformità condotta Stati americani recentemente scossi da note diserzioni.

Rafforzare in Sud-America prestigio della Lega delle Nazioni onde vulnerare .preventivamente prossima ·conferenza panamericana e inf.luenza di Washington.

Confermare all'Arg·entina direzione morale dei latini-americani anche nei riguardi problemi generali europei fondando detta direzione .principalmente sul Patto anti-bellico (1).

Inoltre questa ambasciata Stati Uniti dà identico giudizio della iniziativa Saavedra Lamas e non nasconde suo disappunto per non (dico non) aver potuto ritardare ratifica brasiliana del Patto predetto.

Impressione dominante è che questo Governo attraversa fase disorientamento di cui accentuato indebolimento del ... (2) è al tempo stesso causa ed effetto.

(l) -Vedi D. 160. (2) -Vedi D. 158.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5346/826 R. Londra, 3 giugno 1936, ore 18,20 (per. ore 20 del 4).

Sono stato ieri da Vansittart nella sua casa di campagna ·e abbiamo discusso a lungo problema sanzioni e rapporti itala-inglesi. Invio resoconto dettagliato discussione e singoli punti dibattuti (3).

Trasmetto intanto telegraficamente estratto e punti più importanti di quanto Vansittart mi ha detto e che egli mi ha pregato comunicare al Duce.

Vansittart mi ha innanzi tutto eonfeTmato che sanzioni destinate essere al più presto revocate. Maggioranza Gabinetto, ·che era fino a qualche .giorno fa contraria alla revoca, è oggi persuasa di questa necessità e decisa agire in conformità. Dichiarazioni del Duce hanno avuto una influenza decisiva.

« Da mercoledì scorso, ha continuato Vansittart, si sta verificando una distensione effettiva ed essa è stata come tutti sanno, direttamente inco;raggiata dal Foreign Office e dal Governo inglese. Si tratta adess·o di ricercare maniera pratica, ha detto Vansittart, che consenta al Governo britannico di revocare sanzioni senza aggravare crisi parlamentare e interna nella quale sl trova. Questa crisi è delicata e profonda e faccio appello al Duce perchè Egli, che è H vittorioso, che ha conquistato in soli sette mesi un Impero, aiuti Go

verna britannico a superare questa crisi nel senso cioè di trovare strada per revocare sanzioni e per ripresa di rapporti amichevoli con l'Italia. Questo è possibile soltanto se il Duce consentirà a valutare vere difficoltà della politica interna britannica. Queste difficoltà interne sono state la causa della crisi dei rapporti itala-inglesi. Sono queste stesse cause che bisogna prendere in considerazione se si vuole, in un periodo breve, trovare via di uscita.

Anzitutto, ha continuato Vansittart, ritengo potere escludere che revoca sanzioni possa avvenire per iniziativa o mediante atto isolato del Governo britannico. Ritengo parimenti potere escludere che Governo britannico possa, nella situazione attuale, procedere a conversazioni diplomatiche dirette col Governo Italiano fuori di Ginevra. Crisi e frattura dei rapporti itala-inglesi si è operata sul terreno di Ginevra. Perché Governo britannico possa giustificare davanti al Parlamento revisione totale della sua politica verso l'Italia, occorre che questa revisione sia presentata in Inghilterra come corollario del componimento di questa crisi, di questa frattura sul terreno di Ginevra.

Governo britannico ha assoluto bisogno, per giustificare abbandono politica sanzionista, potere dichiarare: sanzioni sono fallite, ma azione collettiva rimane cardine politica interna, estera ed imperiale britannìca; S.d.N. si è assolutamente sbagliata nel caso dell'Italia, ma essa non esce distrutta da questo esperimento disgraziato, bensì rafforzata dalla lezione dell'esperienza e Italia è pronta a collaborare per ristabilirne autorità e prestigio.

Si tratta, in una parola, di trovare qualche maniera per salvare faccia

S.d.N. e, attraverso di questa, salvare, per quanto possibile, faccia dell'Inghilterra. Il Duce ha dichiarato sempre che Egli intende rispettare interessi inglesi in Etiopia, nel Mediterraneo e in Africa. Di questo nessuno ha mai dubitato e nessuno dubita. Interesse inglese predominante è un interesse morale e cioè prestigio britannico, il quale è tutt'uno col prestigio della S.d.N. S.d.N. è la base della nostra politica interna ed estera. Su questo punto tutti sono d'accordo, sanzionisti e antisanzionisti. Voi sapete che gli stessi esponenti più autorevoli dell'antisanzionismo, mentre stanno premendo sul Governo per la revoca sanzioni dichiaransi pressoché unanimi nell'esigere che tale revoca debba avvenire a Ginevra, come risultato di un atto collettivo. Gli stessi antisanzionisti sottintendono esplicitamente che da parte dell'Italia andrebbe chiaramente fatta qualche cosa nei riguardi di Ginevra che faciliti alla S.d.N. la revoca delle sanzioni. Gli antisanzionisti societari domandano all'Italia un gesto di generica fedeltà alla S.d.N. Gli antisanzionisti imperialisti domandano delle assicurazioni da farsi alla S.d.N. nel campo più concreto dell'amministrazione del nuovo Impero africano.

Io mi rendo perfettamente conto della posizione dell'Italia fascista di fronte alla S.d.N. e della estrema difficoltà per il Duce di fare dei gesti di conciliazione, mentre a Ginevra si continua a considerare formalmente Etiopia, come Stato membro della S.d.N. in guerra con l'Italia. Io mi rendo anche perfettamente conto della impossibilità per l'Italia di essere presente a Ginevra sino a che perdura questo stridente anacronismo. Ma io mi domando se, tuttavia, il Duce non potesse fare « qualche cosa » direttamente nei riguardi di Ginevra, ·che aiutasse Governo britannko ad assumere nelle prossime riunioni Ginevra una attitudine diretta revocare sanzioni.

Gran parte degli stessi antisanzionisti sono d'opinione che revoca sanzioni debba essere contrattata tra Roma e Ginevra. Questo sembra anche l'avviso del Governo francese. Io non ·credo che ciò sia possibile. Bisogna partire da un dato di fatto irrevocabile e cioè che l'Impero fascista in Africa è un fatto compiuto, ehe non si preclude più, nè fuori, nè dentro Ginevra.

La mia idea è assolutamente diversa e mi è venuta dopo che ho constatato effetto « magieo » delle dkhiarazioni del Duce di mercoledì scorso nell'opinione pubblica e sul Governo in Inghilterra. Queste dichiarazioni contengono tutti gli ·elementi ne.cessari per ricostruire il sistema politico dell'Europa e superare coraggiosamente la fase critica e l'inceppamento delle circostanze attuali. Si tratta di «costringere » la stessa S.d.N. a prendere atto di questa assicurazione e dichiarazione del Duce, eome già è stato fatto nei riguardi del Governo britannico.

Come vedete, io non penso a contrattazioni, nè sul terreno dei rapporti itala-inglesi, nè sul terreno di Ginevra. Neppure io stesso ho ancora ben chiaro in mente sotto quale forma e in quale momento un «gesto» del Duce nei riguardi di Ginevra potrebbe avvenire. Qualora il Duce ritenga poterlo fare, nessuno meglio di Lui potrà trovare la forma ed il momento più opportuni. Quello che a me sembra essenziale è che effetto magico delle Sue parole si faccia direttamente sentire anche su Ginevra. Le parole del Duce, sopratutto oggi che Egli è vittorioso, potranno determinare a Ginevra, come già avvenuto a Londra, un ambiente assolutamente rruppacificato.

Nostro atteggiamento servirebbe comunque a «mettere» pace tra Governo Italiano » e la S.d.N. e costringere quest'ultima ad assumere, di fronte al problema della sicurezza collettiva dell'Europa, delle responsabilità ancora più gravi di quelle assunte con a;pplicazione sanzioni all'Italia».

Questo il succo della lunghissima esposizione di Vansittart.

Il Duce vedrà nel mio resoconto dettagliato ehe a tutti i punti io ho replicato, controbattuto polemizzando vivacemente con Vansittart, dal principio a1la fine.

Vansibtart ha riconosciuto la giustezza di gran parbe delle mie obiezioni, ma egli ha insistito nel pregarmi di sottoporre al Duce il più fedelmente possibile la diagnosi ehe egli ha fatto della situazione, pregandomi altresì di aggiungere che il Duce conosce perfettamente quali sono i suoi sentimenti e che vi è appena bisogno di dire che le sue preferenze personali e lo stesso interesse della politica estera britannica sarebbero per una soluzione meno compUcata e più diretta; egli ha inteso fare soltanto una diagnosi ed una descrizione obbiettiva delle diff'icoltà della situazione interna britannica ·Che Vansittart spera il Duce vorrà apprezzare.

19 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

(l) -Vedi p. 17, nota 3. (2) -Nota dell'Ufficio Cifra: <<Manca». (3) -Non rinvenuto.
171

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PER CORRIERE 2533 R. (1). Roma, 3 giugno 1936.

Ho letto tuo rapporto sul colloquio con Eden (2). Nei tuoi futuri ,colloqui gli farai notare: l) che atteggiamento stampa italiana sarà tale da non suscitare o inasprire polemiche; 2) che non sarà fatta pubblicità alcuna al disertore Tafari né si polemizzerà coi suoi agenti inglesi che ne fanno un «numero » di attrazione; 3) che per il momento non insistiamo sul ritiro dei sikhs da Addis Abeba quantunque la loro presenza non sia più in alcun modo giustifi.cabile; 4) che mi riservo di ribadire quanto ho detto nella intervista del Daily Telegraph (3) in modo ancora più ufficiale in occasione non lontana; 5) che il perdurare deUe sanzioni punitive provocherà il ritiro dell'Italia dalla Lega delle Nazioni; 6) che sul terreno degli interessi imperiali britannici, io sono pronto non alla frizione o al conflitto, ma all'intesa e alla solidarietà.

Richiamo ora la tua attenzione su quanto segue.

Tu non devi dare impressione che nostra disposizione a una intesa sia effetto di una nostra diminuita risoluzione, al contrario devi dare impressione che non ci ritireremo dinanzi a qualsiasi anche estrema eventualità, quando si tratti di difendere l'Impero.

Non devi nemmeno nei tuoi colloqui dare l'impressione della fretta e della precipitazione, ma devi però mettere in guardia Eden dal pericolo delle lungaggini e del menare il can per l'aia allo scopo di guadagnare tempo ed esaurire oltre che la nostra pazienza, le nostre risorse. Questo giuoco è così palese, che io lo troncherHi al momento opportuno. Concludendo i temi sui quali bisogna far luce sono: le sanzioni, gli interessi britannici in Etiopia, la reciproea posizione nel Mediterraneo, la collaborazione in Europa, la riforma della

S.d.N.

Come ti ho detto per telefono, desidero di avere subito il resoconto dei tuoi colloqui ufficiali o aUri importanti.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 2534/292 R. (4), Roma, 3 giugno 1936, ore 21.

Leggo resoconto tuo colloquio con Chamberlain (5). Ti autorizzo a confermargli smentita che gli hai dato circa relazioni itala-tedesche. Non c'è nulla.

C'è soltanto un'atmosfera migliorata il che è comprensibile per ovvie ragioni e ·ci potrebbe domani ·essere qualche cosa di più, se i pazzi di Ginevra e di Londra .continueranno la loro politica ostile all'Italia ed al Regime.

(l) -Minuta autografa. (2) -Vedi D. 124. (3) -Vedi p. 142, nota l. (4) -Minuta autografa. (5) -Vedi D. 134.
173

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 2535/291 R. Roma, 3 giugno 1936, ore 24.

Dirai a Vansittart che quanto egli ti ha detto (l) l'ho trovato di un grande interesse e lo ·considero quale opportuna introduzione alle ulteriori conversazioni. Quanto alla stampa italiana essa si occupa dell'Impero e trascura il resto, ivi compreso Tafari e i suoi mettinscena.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 2536/290 R. (2). Roma, 3 giugno 1936, ore 21.

Dopo aver letto resoconto tuo colloquio con Duff Cooper (3) gli dirai che io concordo pienamente con lui nel senso che, esclusa la guerra tra i nostri due Paesi, non c'è ·Che da realizzare accordo leale e ·Concreto che io desidero e sono pronto a negoziare.

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L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5372/148 R. Buenos Aires, 3 giugno 1936, ore 21,01 (per. ore 6 del 4).

Mentre ringrazio vivamente molteplici interessanti telegrammi trasmessimi ecco maggiori impressioni qui riportate tutti ambienti con i quali continuo mantenere attivi contatti del caso.

l) Sensazione generale sorpresa e sconcerto per improvvisa iniziativa, più che mai attribuita complessa contorta politica esclusivamente personalistica di questo ministro degli Affari Esteri, il cui gesto di clamoroso diversivo riconoscesi per altro abile allargamento questione dall'orbita delle sanzioni, spostandole verso principio garanzia della sicurezza territoriale sul quale opinione pubblica sud americana travasi come è ovvio, più consenziente.

2) Questo nunzio apostolico, come sempre cordialmente filo-italiano, mi ha spontaneamente espresso viva disapprovazione per «intempestiva inconsulta megalomania » (sic) e riferendosi passi da lui fatti, sia personalmente, quanto tramite di questo cardinale presso presidente della Repubblica, ha confermato impressione da me riportata nei miei contatti diretti con questo ultimo nel senso che ho comunicato, soprattutto della assai difficile situazione interna, e, pur non essendo affatto ostile all'Italia, che anzi egli ammira, ha dichiarato, lasciar ben volentieri al suo irrequieto ministro competente tutta la direttiva e tutta la responsabilità della politica estera, nonostante la gravità ed il rischio delle sue determinazioni.

3) Ambasciatore di Germania, assai preoccupato, classifica di assurda e pericolosamente intempestiva l'iniziativa e mi ha detto che avrebbe riferito a Berlino attirando massima attenzione sulla prevedibile dannosa ripercussione presente e futura di una immediata discussione su questioni internazionali evidentemente connesse con quelle che tanto interessano il Reich e la cui sistemazione in ·corso non ha potuto essere ancora esaurientemente studiata e preparata (sic).

4) Ambasciatore di Francia, vivamente sorpreso, mi ha detto aver chiesto spiegazioni a Saavedra Lamas il quale gliele avrebbe confusamente fornite, su per giù nel senso delle dichiarazioni che ho già riferito aver fatto a me. Mio collega aggiunto non conoscere ancora avviso preciso Parigi ed esclude al riguardo preventivi contatti con questo ambasciatore d'Inghilterra.

5) Il quale ultimo (ambasciatore di Inghilterra) avendo ieri conferito con Saavedra Lamas, aggiungendo di essere seccatissimo «della figura di idiota che egli aveva fatto verso il suo Governo » (sic). A titolo esclusivamente personale mio collega di Inghilterra mi ha manifestato impressione che sarebbe stato più opportuno ritardare riunione Assemblea scopo rasserenare ambienti. Naturalmente egli esclude che iniziativa Argentina sia dovuta a consiglio britannico: in quanto a me, ho la ponderata impressione essere esatto che questo ambasciatore fosse all'oscuro e che, pertanto, eventuali consultazioni siano avvenute o direttamente a Londra o effettivamente per il tramite di Cantilo come è detto nel telegramma di V. E. n. 97 (1).

6) Ho anche avuto occasione di parlare in merito alla proposta Argentina con gli ambasciatori del Brasile, del Cile, dell'Uruguay i quali quantunque tuttora in forma assai cordiale, si dimostrano piuttosto riservati e generici al riguardo.

7) Non manco mantenere anche contatti diretti con Comitato argentino pro Italia (il quale attraversa per altro attualmente qualche crisi interna per ragioni di rivalità personale nella direzione) nonché con organi politici di stampa e di opinione pubblica che, comunque, sembrano utili alla nostra tesi, e sempre del caso, riferirò.

8) Saavedra Lamas mi ha fatto espressamente pregare di andarlo a vedere stasera e riservomi eventualmente telegrafare.

9) Intanto confermando quanto già riferito circa atteggiamento stampa, informo V. E. che Razon prosegue attivamente campagna esplicitamente a noi favorevole e stampa nazionale attacca politica Ministro degli Esteri.

Prensa, Nacion mantengono linea alquanto vaga considerando piuttosto questione dal punto di vista giuridico che politico. Naturalmente tutti i giornali dànno massimo rilievo informazioni commenti telegrafici provenienti da tutte le capitali.

(l) -Vedi D. 115. (2) -Minuta autografa. (3) -Non rinvenuto.

(l) T. 2479/97 R. del 1° giugno, ore 21: riportava varie notizie raccolte negli ambienti della Società delle Nazioni circa le origini e gli scopi dell'iniziativa argentina ed l commenti in proposito di alcuni organi di stampa.

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IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 5366/63 R. Sofia, 3 giugno 1936, ore 22,30 (per. ore 6 del 4).

A telegramma di V. E. per corriere n. 2325/C del 21 maggio giuntomi col corriere 29 maggio (1).

Solo stamane, in seguito ad una serie di giorni festivi, ho potuto vedere presidente del Consiglio. Già nel corso dell'ultimo nostro incontro (mio telegramma per corriere 30 del 20 maggio) (2) mi ero di mia iniziativa adoperato per persuaderlo ad abolire, senza ulteriori indugi, le sanzioni: oggi ho ripetuto passo dicendo di averne ricevuto espresso incarico. Mi sono avvalso delle diverse argomentazioni fornitemi e gli ho prospettato il punto di vista italiano sull'insieme della questione (sostanza e procedura) che delinea singole responsabilità Stati sanzionisti.

A quanto mi aveva già detto e che ho già riferito col telegramma per corriere sopra citato, oggi ha aggiunto che questione forma sempre oggetto del suo costante pensiero, malgrado gravi preoccupazioni che gli vengono da imbrogliata situazione interna (mio telegramma odierno n. 61) (3). Riconosce giustezza nostri argomenti e pretese. Soltanto timore attirare rancore Inghilterra lo trattiene per ora dal far si che Bulgaria sia primo Stato Europa ad abolire sanzioni; ma è deciso seguire immediatamente altri esempi. Appunto per questo ha incaricato ministro di Jugoslavia partito giorni fa per Belgrado, di ricordare a Stojadinovic quanto egli ebbe a dirgli in novembre circa sua riluttanza aderire sanzioni e di pregarlo di fare conoscere suo punto di vista attuale e far presente che sarà utile giungere al più presto all'abolizione di esse. Se l'Assemblea della S.d.N. verrà convocata, egli si recherà a Ginevra.

Per finire, mi ha dato formale assicurazione che se prolungamento delle sanzioni dovesse effettuarsi con cavillose procedure, che rimandassero, in detta riunione del Consigl1o corrente mese, a settembre, Bulgaria non aspetterà tale data per agire anche da sola a nostro favore.

(l) -Vedi D. 89. (2) -Vedi D. 84. (3) -T. 5359/61 R. delle ore 22,30, non pubblicato.
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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5446/577 R. Ginevra, 3 giugno 1936 (per. il 6).

V. E. ha certamente notato che non solo a Parigi e a Londra, ma anche a Ginevra le interpretazioni che si dànno alla manovra argentina e le previsioni di ciò che farà l'Assemblea sono diverse e contraddittorie. Per le sinistre, l'antifascismo e la massoneria il gesto argentino implica l'abbandono di tutte le formule transazionali e un deciso colpo di barra verso il più puro e intransigente societarismo.

Il problema etiopico, nel pensiero di tutti costoro, dovrebbe venire sottratto ai compromessi delle Cancellerie. In sostanza -si dicono -l'iniziativa argentina dovrebbe venire accolta con soddisfazione da tutte le Piccole Potenze che prendono così posizione e cessano dal jouer le role des dupes. Roma, Londra e Parigi non avranno più, secondo i societari, possibilità di intendersi al di fuori della Lega e portare poi a Ginevra una soluzione concordata esclusivamente fra loro. I più fanatici fra gli interpreti di questa versione esultano all'idea che all'Assemblea interverrà probabilmente l'ex Negus al quale un mercenario qualsiasi, tipo Griaule, preparerà un ben tornito discorso insistendo sopratutto sulla «pioggia dei gas», elemento destinato ad impressionare oltre che tutto il pietistico emisfero boreale, anche le opinioni pubbliche di Paesi mediterranei. Lo spiegamento di forze antifasciste, i discorsi sul tipo del negroide, sedicente generale, Nemours, autore della famosa frase diretta ai piccoli Stati Ne soyez demain l'Ethiopie de quelqu'un, la riconferma del rispetto e della fedeltà al Patto, il processo ai mezzi di guerra adoperati dall'Italia che non mancherà d'i far capolino nelle discussioni dell'Accademia ginevrina, sono tutti fattori che lasciano sperare ai fanatici di cui parlo un irrigidimento collettivo anche in materia di sanzioni. In questo modo, se le sanzioni non saranno aggravate, esse saranno indubbiamente mantenute e un gran passo verso la guerra -solo mezzo con cui i societari sperano di ristabilire il prestigio e le storiche funzioni alla Società e gli antifascisti sperano nel trionfo della loro causa -sarà fatto!

Di fronte a queste interpretazioni, a queste ipotesi e a queste segrete speranze vi è l'ala degli ottimisti che vedono nel gesto argentino un'occasione insperata per chiarificare la situazione e pensare che se pure dall'Assemblea uscirà l'unanime decisione di non riconoscere la conquista militare italiana, le sanzioni tuttavia saranno abolite perché, comunque, l'iniziativa sarà presa da qualcuno e basterà forse la stessa riconferma del Cile a orientare in quello stesso senso parecchie delegazioni. In ogni caso costoro ritengono che anche se iniziative non se ne prendessero di precise, dall'Assemblea dovrebbe derivare fatalmente la ripresa della libertà d'azione individuale per tutti gli Stati.

È molto difficile in mezzo a questa diversità di interpretazione di fare un percento anche modesto di previsioni su quello che avverrà. Ho tratto l'impressione dai miei contatti qui che molte delegazioni sono incerte ed esitanti, francamente perplesse di fronte all''iniziativa argentina e non nascondono la viva preoccupazione che loro desta questa riunione intempestiva dell'Assemblea. È chiaro infatti che il solo elemento concreto che sia lecito fissare un po' per tutti è che questa riunione dell'Assemblea avviene senza nessuna preparazione diplomatica. Londra e Parigi ancora non hanno fatto conoscere qui esattamente il loro pensiero al riguardo. Il solo punto c·omune che riunisce tutte le delegazioni è che la conquista militare d'uno Stato membro da parte di un altro non può essere ammessa. Su questa tesi naturalmente gli Stati sud americani fanno blocco e gli europei non mancheranno di solidarizzare.

Ma sul problema delle sanzioni non vi è nessuna unanimità. Se devo giudicare in base all'esperienza, accoglierei con molta riserva tutte le dichiarazioni che ci sono state fatte da parte di varie Cancellerie circa ie favorevoli disposizioni di molti governi per la soppressione dell'assurdo sistema in vigore. Più

o meno tutti si dichiarano, nel corso di una conversazione diplomatica, favorevoli alla abolizione delle sanzioni. Ma poi quegli stessi uomini trapiantati a Ginevra subiscono qui le crisi di coscienza societarie: si lasciano prendere da quella specie di fatalità di cui, con un sorriso pieno di significato, mi parlava oggi il signor Avenol, e seguono i «grossi 1> che cristallizzano attorno ad essi la massa e la fanno manovrare secondo i loro disegni.

Se mi è permesso esprimere un parere -che spero i fatti dimostreranno assolutamente sbagliato -ritengo che anche questa volta l'Inghilterra dirigerà le fila di questo grande teatro, degno di Podrecca, e lo farà tanto più agevolmente in quanto la Francia non tenterà di imbrogliare quelle fila, anche timidamente, come fu fatto per il passato. In questo caso è da ritenersi che col consueto sistema delle minacce, delle pressioni, dei ricatti, dello spauracchio del precedente ecc., il signor Eden di nuovo otterrà che le sanzioni vengano mantenute fino a quando «l'Italia non accetterà una soluzione che sia nello stesso tempo accettabile per la S.d.N. 1>. Può darsi che qualche altra defezione oltre quella del Cile avverrà; ma il grosso dei sanzionisti, dopo la consueta giostra oratoria e il consueto sfoggio di demagogismo societario, resterà fermo sulle posizioni attuali, convinto che fin tanto che .la massa fa blocco i pericoli individuali per ciascuno siano minimi.

Resta invece grave il problema per il signor Blum, il quale deve immaginare che cosa può accadergli se l'Italia in base all'inerzia ginevrina -che nasconde egregiamente l'isterismo britannico -abbandonerà la S.d.N. e volterà la schiena alla moribonda Locarno.

E qui naturalmente non è possibile fare precisioni. Se Blum capirà il linguaggio delle cifre, delle forze, delle masse, il linguaggio muto ma terribile dell'acciaio che si condensa sulle frontiere della Francia, avrà la forza di opporsi e di reagire. Ma se ancorato alle sue posizioni di principio ed ai suoi vincoli demagogid si sentirà impotente ad agire e sopratutto se l'Inghilterra gli lascerà sperare di poter essa accordarsi con la Germania e promettergli in ogni caso un'assistenza stretta, allora Blum seguirà con i satelliti della Francia, l'inerzia ginevrina e le sanzioni resteranno ferme. Non so se la manovra di Eden riuscirà sul terreno ginevrino. Quel che mi sembra certo è che egli la tenterà.

Ecco perchè è bene che la Delegazione italiana alla Conferenza del Lavoro non sia intervenuta a'i lavori dell'Assemblea, primo sintomo ammonitore delle nostre suc·cessive decisioni, ed è bene che i giornan di stasera pubblichino -anche se non è vero -che l'Italia ammassa truppe alle frontiere francese e jugoslava. Il linguaggio della forza è il solo che Ginevra -figliastra bastarda del diritto -abbia finora perfettamente e chiaramente capito.

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L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1691/734. Madrid, 3 giugno 1936 (per. l'8).

Mio .rapporto in data 27 maggio u.s., n. 1606/695 (1).

Più il tempo passa e più aumenta la confusione nella situazione interna spagnola, che è tale ormai da indurre i più moderati a impressioni assai pessimistiche circa la possibilità che si avvii verso una qualsiasi chiarificazione.

Sempre più acuti si fanno i dissensi, già più volte segnalati, tra i partiti coalizzati sotto l'etichetta del «Fronte Popolare » e sempre più vivaci le discussioni in seno a ciascuno di tali partiti. A tale proposito assai sintomatici sono gli episodi avvenuti domenica a Ecija e a Saragozza. Nella prima di tali località il comizio, durante il quale doveva parlare Indalecio Prieto, capo della tendenza centrista del partito socialista, è stato turbato da continui schiamazzi e da colluttazioni e anche da colpi da arma da fuoco ed è terminato con una fitta sassaiola contro l'auto su cui aveva preso posto il leader socialista: tutto ciò per istigazione dell'ala estremista del partito, quella che fa capo a Largo Caballero e che è assai scontenta per il rinvio a ottobre del congresso nazionale deciso dal Comitato esecutivo in seno al quale prevalgono i riformisti e definito quale un « colpo di stato » del Prieto. A Saragozza, invece, lo stesso Largo Caballero è stato abbondantemente fischiato dagli anarchicosindacalisti della Confederaci6n Nacional del Trabajo, cui egli, in nome dei supremi interessi dell'unità proletaria, era andato a portare il ramoscello d'olivo e che considerano invece perfino lui come un moderato legato a interessi borghesi. Intanto ieri si è riunito il consiglio direttivo della sezione di Madrid del partito socialista, in cui prevale la tendenza massimalista, e ha preso l'iniziativa di chiedere la convocazione urgente di un congresso straordinario nazionale allo scopo di fissare le direttive del Partito.

Ad aumentare la confusione si estendono e si aggravano, con ritmo crescente, la serie di agitazioni e di disordini a sfondo sociale in apparenza, e.ffettivamente politico, che hanno ormai assunto, come ho già avuto occasione di accennare all'E. V. un carattere cronico. Sembra siano più di 400 gli scioperi attualmente in corso in tutta la Spagna; tra di essi particolarmente inquietanti quelli a carattere generale che hanno avuto o hanno tuttora luogo a

Oviedo e a Vitoria, quello dei contadini in Andalusia e quello dei lavoratori del ramo della costruzione a Madrid: quest'ultimo .comprende più di 60.000 operai. Innumerevoli sono i conflitti anche di notevole gravità che si possono registrare parallelamente agli scioperi: citerò i più importanti, quali quelli avvenuti a Yeste tra guardie civili e contadini che avevano invaso le proprietà (15 morti e 20 feriti), a Barbastro tra soldati e comunisti che avevano tentato di penetrare nella caserma del 5° Battaglione di fanteria da montagna (l morto e l ferito), a Zamora tra fascisti e comunisti (3 morti e numerosi feriti), a Siviglia dove la polizia ha dovuto sciogliere le millzie comuniste che percorrevano la dttà in formazioni militari, ecc. ecc. Tali conflitti avevano provocato un'interpellanza alle Cortes da parte del partito comunista, che si é però lasciato convincere all'ultimo momento di ritìrarla onde permettere al governo di procurarsi più completi elementi di giudizio.

Tutta questa situazione non può non determinare un qualche senso di reazione nella parte sana del Paese, sia di destra che di. sinistra; ed é infatti da rilevare un certo affermarsi, peraltro tuttora assai vago, di orientamenti che qui si dicono «fascisti » ma che non .rappresentano, almeno per ora, altro che un'indeterminata aspirazione ad uscire dal caos e una crescente convinzione che non ci si possa uscire se non con mezzi extra-legali. Tali orientamenti, che si notano un po' in tutti i campi politici, si concretano innanzi tutto in un crescente numero di adesioni alla, oggi fuorilegge, Falange Espanola, che ha iniziato anche clandestinamente la pubblicazione di un proprio bollettino. In secondo luogo in affermazioni filofasciste da parte di esponenti di partiti (quali quello di Acci6n Popular) che finora avevano tenuto a marcare il proprio dissentimento dalle nostre dottrine: così Gil Robles, continuando la serie delle sue camaleontiche manifestazioni, in un'intervista concessa al Diario Espanol di Buenos Aires, abbandona le pregiudiziali finora sostenute rispeto al fascismo e dichiara che si può essere cattolici e al medesimo tempo fervorosamente fascisti; così Jìmenez Fernandez (l'esponente dell'ala sinistra del partito populista-cattolico) ieri alle Cortes a proposito delle elezioni di Cuenca si è fatto difensore della dottrina fascista, e infine lo stesso dott. Marafion noto per le sue simpatie verso i partiti di sinistra, in un suo articolo di tono filosofico pubblicato nei giorni scorsi dal Sol, auspica l'avvento di un nuovo regime che concluda questo agitato periodo di vita spagnola. In terzo ed ultimo luogn circola perfino la voce, che raccolgo a titolo di pura curiosità, di progetti che farebbero capo al signor Prieto e allo stesso Azafia, per la costituzione di un nuovo partito che si denominerebbe nazional-socialista.

In tutta questa situazione, il Governo si rivela sempre più •inesistente. Si limita a rinviare la soluzione dì problemi che, come quello economico-finanziario di cui in altri miei rapporti, richiederebbero un'urgente soluzione, e a rimangiarsi immediatamente quegli sporadici atti di autorità che qualche funzonario ha ancora l'ardire di fare, come la disposta e subito revocata chiusura di qualche centro della C.N.T. e relativo arresto di alcuni suoi dirigenti (1).

(l) Vedl D. 119.

(l) Il presente documento reca l visto di Mussolini.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA RR. 4204/1324. Parigi, 3 giugno 1936 (per. il 6).

Dalla solita fonte bene informata mi pervengono le notizie che mi onoro trasmettere a V. E. con l'allegato appunto (1).

ALLEGATO

... ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI (2)

APPUNTO. Parigi, 29 maggio 1936.

Il Ministro degli Affari Esteri in extremis si mostra preoccupato della posizione della Spagna al Marocco. Secondo Jui essa abbandonerebbe molto probabilmente la sua zona, a causa delle proprie convulsioni interne. In questo caso la Francia desidererebbe occuparla, anche per ragioni di sicurezza dei suoi territori marocchini.

Flandin ha aggiunto che l'Italia dovrebbe aiutarla in questo senso: questo le potrebbe servire di moneta di scambio per le questioni etiopiche. La Francia continua ad essere molto preoccupata della questione austriaca e anche della rivolta degLi arabi in Palestina.

Circa questa seconda questione, Blum è sopratutto angosciato come ebreo. Egli è un ebreo militante e osservante: un fanatico della sua razza. Contrariamente ad ogni prudenza si circonderà di ebrei nel suo futuro Gabinetto particolare, e questa invasione potrebbe contribuire a far scoppiare, se le cose andranno male, l'antisemitismo latente in Francia.

Mandel si aggira nei corridoi della Camera e osserva. Chiestogli se prenderà posizione contro il Ministero, ha risposto: «No, lo lascierò tranquillo; il giorno che interverrò cadrà».

Se ne deduce che Mandel potrebbe essere adoperato dai suoi correligionari per crearsi, occorrendo, un alibi, per dimostrare cioè che gli ebrei non sono tutti sovversivi e solidali.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5352-5339/830-831 R. Londra, 4 giugno 1936, ore 1,46 (per. ore 8).

Oggi ho riveduto Eden.

Eden mi ha detto di avere, nella seduta del Gabinetto che ha avuto luogo giovedì scorso ed in quella che ha avuto luogo stamane, dato integrale comunicazione ai suoi colleghi delle dichiarazioni del Duce, da me personalmente comunicate a Eden nel nostro incontro di mercoledì 27 corrente (3), e di aver fatto seguire una ,chiara e dettagliata relazione del contenuto del nostro colloquio di mercoledì. Eden ha aggiunto che Gabinetto ha esaminato e cal

colato attentamente punto per punto le dichiarazioni del Duce, ha apprezzato spirito e volontà di conciliazione che hanno animato il Duce nel farle e ne ha valutato tutto il valore e l'importanza. Non vi è dubbio che esse hanno influito in modo decisivo nella distensione, che si è già manifestata nell'atmosfera generale dei rapporti itala-inglesi.

«Ho messo bene in chiaro nella seduta del Gabinetto -ha continuato Eden -che l'ambasciatore d'Italia, nel comunicarmi le dichiarazioni del Duce, ha inteso mettere il Governo britannico nella condizione di prendere atto di queste dichiarazioni, ma non ha inteso di proporre l'apertura di conversazioni dirette itala-britanniche. Il Gabinetto ritiene da parte sua, che, mentre è augurabile che dalle due Parti sia fatta risorgere possibilità per una distensl'one dei rapporti pmpugnata dalla politica italiana, non sarebbe, nel momento attuale, consigliabile di procedere a conversazioni dirette, le quali sarebbero immediatamente interpretate dalla diffidente opinione pubblica britannica, ed anche dagli avversari del Governo, come un negoziato ed una contrattazione tra Governo britannico e Governo fascista alle spalle della S.d.N. ».

Eden mi ha, a questo punto, ripetuto più o meno le stesse considerazioni dettemi diffusamente da Vansittart (mio telegramma n. 826) (1), sulla posizione dell'Inghilterra rispetto alla S.d.N. e sulla necessità per il Governo britannico di trovare attraverso Ginevra, la via di una soluzione della crisi attuale. «Il Governo britannico desidera -ha continuato Eden -liquidare la cri8i tra l'Italia e la S.d.N., ma, tuttavia, salvando i principi generali della sicurezza collettiva che sono la base della politica britannica nel campo interno e internazionale. L'esperimento delle sanzioni è clamorosamente fallito. La collaborazione dell'Italia si è manifestata più che mai necessaria al sistema della sicurezza collettiva dell'Europa. Dichiarazioni del Duce hanno avuto già un effetto assai importante. Si tratta che S.d.N. possa trovare una via di uscita la quale permetta una liquidazione formale (non dico neppure onorevole) del passato senza compromettere le basi dell'esistenza stessa della S.d.N. ».

« Facendo esame dei diversi punti -ha continuato Eden -delle dichiarazioni del Duce, Gabinetto ha constatato che molti dei problemi trattati dal Duce riguardano non solo l'Inghilterra, ma anche direttamente molti dei Paesi membri S.d.N., e sono attinenti la S.d.N. medesima. Se il Duce propone la forma e il modo per dare direttamente a Ginevra le assicurazioni contenute nelle sue dichiarazioni, io credo che ciò potrebbe costituire un passo di natura concreta e preparare il terreno per un esame favorevole della situazione a Ginevra».

Ho replicato a Eden ripetendogli esattamente stesse obbiezioni, fatte ieri a Vansittart. Ho fatto anche presente a Eden che, se da una parte vi era in Inghilterra una difficile situazione di politica interna di cui 11 Governo fascista è disposto a tener conto, vi sono dall'altra, i sentimenti di 45 milioni di italiani dei quali occorre anche che il Governo britannico tenga conto. L'Italia è tuttora oggetto di un'iniqua guerra economica dichiarata dalla S.d.N. e, se l'Italia è uscita dalla lotta vittortosa in tutti i campi, ciò lo deve esclusiva

mente a se stessa. Finchè perdura l'assedio economico non si può parlare di collaborazione italiana alla S.d.N.

Eden mi ha risposto che egli si rende perfettamente conto di questi sentimenti del popolo italiano ed anche della naturale attitudine assunta dall'Italia di fronte alla S.d.N. Si tratta di trovare una via di uscita pratica per nostra situazione; questa via non farà che confermare ancora maggiormente la vittoria dell'Italia e, purtroppo, nella sostanza, disfatta della S.d.N. D'altra parte l'Italia è militarmente ormai vittoriosa su tutti i campi. Si tratta di sapere se essa è disposta a contribuire, nei limiti minimi, a superare il punto difficile che è di natura psicologica assai più che di contenuto politico.

Ho ricordato a Eden che, a parte giudizio di V. E., tutto ciò mi appariva vago e confuso e non riuscivo ad afferrare i termini concreti del suo suggerimento.

Eden ha risposto che suggerimento del Governo britannico era mosso semplicemente dall'effetto insperato che su opinione pubblica e Governo britannico avevano avuto le dichiarazioni del Duce ed al convincimento che analogo effetto esse avrebbero sulla S.d.N. se il Duce ritenesse rivolgere, nella forma più conveniente, dichiarazioni analoghe alla S.d.N. medesima.

«Ad ogni modo -ha soggiunto Eden -questo non è che un suggerimento il quale è fatto con le migliori intenzioni e tenendo conto di quelle che sono le reazioni particolari dell'opinione pubblica britannica. Abbiamo davanti a noi alcune settimane per riflettere e pensare, prima che si riunisca a Ginevra il Consiglio o l'Assemblea. Desidero che il Duce sappia in questo frattempo che io sono pronto da parte mta ad esaminare qualunque suggerimento che, nei limiti delle esigenze della poHtica interna imperiale ed estera, che vi ho testè indicati, possa manifestarsi utilmente nelle prossime discussioni a Ginevra».

Eden mi ha smentito vivacemente che proposta inviata Argentina per una convocazione dell'Assemblea sia stata fatta per diretta o indiretta ispirazione britannica. Eden ha aggiunto risultargli dall'ambasciatore d'Inghilterra a Roma che questa era stata la prima impressione del Governo italiano. Egli sarebbe assai grato di conoscere su quali elementi Governo italiano aveva basato queste impressioni. Eden ha soggiunto che la notizia gli è giunta come una assoluta sorpresa e che prima reazione Governo britannico è stata tutt'altro che favorevole in quanto ,convocazione Assemblea in questo momento rischia interrompere e forse compromettere completamente graduale processo di maturazione e di chiarimento della situazione, che è già cominciato, ma che richiede pazienza e delicatezza. Questa, del resto, è stata la reazione pressoché generale della stampa inglese. Per esaminare questione sanzioni ha continuato Eden -convocazione Assemblea non è affatto necessaria. Però ritengo assai difficile che, in presenza di una domanda così formale e così precisa diretta a ottenere convocazione dell'Assemblea, che decorosamente [decise] aggiornarsi con l'intesa che, a domanda di uno Stato membro, essa avrebbe dovuto riconvocarsi, richiesta dell'Argentina pos&a essere senz'altro rifiutata; questo è, d'altra parte, avviso già espresso da Governo francese e dal segretariato generale S.d.N.

Governo britannico ha fatto presente a Avenol opportunità che, in ogni caso, riunione dell'Assemblea e dello stesso Consiglio abbia luogo prima della fine giugno.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussol!n!. (2) -Il mittente non è stato identificato. (3) -Vedi D. 124.

(l) Vedi D. 170.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 5362/80 R. Roma, 4 giugno 1936 (per. stesso giorno).

Ho ricevuto istruzione ieri dal Gabinetto di V. E. d'interessare la Santa Sede: l) a impartire istruzione ai nunzi degli Stati del Sud America di svolgere una azione per la revoca delle sanzioni; 2) a dare istruzioni al nunzio a Buenos Aires di indagare e riferire sul movente dell'iniziativa del ministro degli Esteri argentino per la riunione straordinaria dell'Assemblea della S.d.N., dopo la sessione di giugno del Consiglio.

Mi sono recato immediatamente ieri stesso alla segreteria di Stato. Ho trovato monsignor Pizzardo ottimamente disposto per un'azione energica quale ho proposto per fare pressione sui Governi sud americani, nel senso desiderato. Però il cardinale segretario di Stato, investito subito della cosa, pure accogliendo l'idea dell'intervento dei nunzi presso i Governi sud americani, ha preferito contenerla in limiti prudenti e non dare ad essa il carattere di pressione. Quanto al punto 2) nessuna obiezione è stata fatta.

Ho incontrato nuovamente nella serata monsignor Pizzardo e ne ho avuto assicurazione che il telegramma ai nunzi era pronto e sarebbe stato spedito probabilmente prima di notte.

Domani 5 corrente vedrò il cardinale segretario di Stato e gli prospetterò le ragioni che, a mio avviso, consigliano, nell'interesse della pace, un intervento energico della Santa Sede. Una pressione fatta nelle dovute forme non può recare nocumento alla Cattedra apostolica. I consigli, i suggerimenti hanno fatto il loro tempo Dirò al cardinale che sono disposto a prospettare eventualmente al Pontefice la delicatezza della situazione.

Attribuisco la riserva del segretario di Stato alla mutata situazione determinatasi in seguito all'avvento in Francia di un governo di sinistra. Santa Sede ha potuto fin qui contare su una solidarietà, più o meno palese del governo francese. Al tempo di Laval, il Papa sapeva che le sue iniziative incontravano l'approvazione incondizionata del Quai d'Orsay. Il signor Flandin non ha mai cercato di intralciare la politica vaticana durante il conflitto etiopico.

Il signor Blum rappresenta un'incognita. Nell'attesa che l'atteggiamento del Gabinetto di Fronte Popolare si chiarisca, la segreteria di Stato si astiene da passi o iniziative che possano dispiacere a Parigi. Occorre tener sempre presente che il Vaticano non ha pregiudiziali contro i Governi di sinistra

o di estrema sinistra. Se il Fronte Popolare, come pare, non s'Lmpiccerà delle cose della religione cattolica, vedremo stabilirsi migliori rapporti .fra il nunzio a Parigi e il Gabinetto Blum.

Intanto posso assicurare che le relazioni fra la segreteria di Stato e il mio collega di Francia sono ottime. Il signor Charles-Roux, di ritorno, in questi giorni, da Parigi, ha visto Blum e ne ha riportato ottima impressione, me lo ha detto lui stesso. Blum gli è apparso persona dal tratto signorile, in nulla rassomigliante alle caricature che di lui si fanno nei giornali. Il nuovo capo del Governo francese è, secondo Charles-Roux, uomo posato, colto, dalla conversazione piacevolissima. Il mio collega mi ha lasciato quasi intendere che si avranno da quel lato delle sorprese gradevoli.

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IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5409/49 R. Stoccolma, 4 giugno 1936, ore 14,50 (per. ore 18,50).

Telegramma di v. E. n. 2456/C (1).

Da conversazione che ho avuto con Sandler mi è risultato che questo Governo ha oggi in sostanza stesso modo di vedere dei R. Governo circ'a competenza per la revoca delle sanzioni. Esso considera decisione spettante propria iniziativa sovrana e non dipendente in senso giuridico dalle deliberazioni di un qualsiasi organo ginevrino. Deliberazioni 'ginevrine cost,ituiscono uno degli elementi più importanti di cui tiene e terrà conto nel decidere se gli convenga o meno continuare applicazione sanzioni in base all'art. 16; e, se si concerta, si concerterà con gli altri Stati membri per trovare base politica piuttosto che base giuridica della propria azione.

Ciò non toglie che, secondo spirito del Patto come è qui inteso, sembri normale che i provvedimenti adottati in comune siano pure tolti in comune anche al fine di non dare altro colpo al prestigio S.d.N. con decisioni prese alla spicciolata. Praticamente sta il fatto che non si vogliono prendere qui iniziative antisanzioniste fra i neutri nè adottare provvedimenti o far intravvedere decisioni o direttive prima di conoscere linea di condotta della Francia e specialmente dell'Inghilterra.

Sandler mi ha fatto notare, del resto, che anche il Cile benchè abbia espresso parere contrario mantenimento sanzioni, non le ha abolite legalmente per conto suo. Al quale proposito mi ha aggiunto che il contegno di certi Stati per esempio sud americani, non entra che come elemento secondario nella sua valutazione politica della situazione riguardo alle sanzioni.

A tutte le altre mie domande circa ragioni pratiche o giuridiche in base alle quali può giustificare continuazione sanzioni, Sandler, che non è fa

condo, risponde col silenzio. Ma è troppo evidente che egli vuole semplicemente lasciare ai più interessati responsabili eventuale liquidazione e che non subendo pressione interna, nè dai partiti politici, nè dai circoli economici per farsi parte diligente, si adatta solo come socialista ed antifasci,sta a seguire e subire per forza lo svolg,ersi di una situazione che costituisce certo una delle più amare delusioni della vita politica sua e dei suoi colleghi. Cerca ora spingere qualche esponente industria e commercio a provocave un voto collegiale per la abolizione delle sanzioni, benchè manchi molla essenziale dei loro interessi danneggiati per farli agire e loro timidezza di fronte pubblico in questa materia sia estrema. Ripeto ,quanto ho già detto che solo divieto di importazione assoluto della cellulosa ed acciaio dalla Svezia in Italia costituirebbe argomento che qui potrebbe provocare qualche notevole riflesso.

(l) Vedi D. 142.

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L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T.R. 5408/335 R. Washington, 4 giugno 1936, ore 18 (per. ore 5,30 del 5).

Iersera, ad un pranzo privato che raccoglieva numerose personalità del mondo politico americano ed al quale ero unico strani,ero presente, conversazione toccò, fra l'altro, tema dei debiti di guerra. Autorevole senatore repubblicano oservò che Governi debitori si sbaglierebbero se considerassero problema come, sepolto perchè Governo americano intende mantenerlo aperto.

Più tardi Sottosegretario di Stato Phillips, che era fra gli invitati, mi informava che Incaricato di Affari a Roma aveva riferito telegraficamente al Dipartimento di Stato circa conversazione da lui avuta con ministro delle Finanze durante la quale S. E. Thaon de Revel gli avrebbe manifestato in termini generici desiderio del Governo italiano di regolare questione. Sottosegretario di Stato si mostrava molto compiaciuto ed interessato di tale apertura del ministro delle Finanze. Mi ha osservato però che Presidente Roosevelt si trovava con le mani legate dalla vecchia decisione del Congresso, che ha negato al potere esecutivo facoltà di proporre regolamento dei debiti di guerra basato su cancellazione parziale del credito americano. Nelle presenti circostanze, Presidente non può far altro che ricevere e prendere in considera:llione eventuali proposte degli Stati debitori. Egli si augurava che questi prendano iniziative perchè ritiene che, malgrado tutto, Senato finerebbe per accettare soluzioni di compromesso. Per iniziare utili negoziati occorre però che Paesi debitori avanzino proposte concrete. Sottosegretario di Stato Phillips ha poi insistito sulla convenienza politica per l'Italia di prendere iniziativa per riapertura delle discussioni !asciandomi capire che ciò sarebbe stato molto apprezzato dal Gove'rno americano per ripercussione che g·esto italiano non mancherebbe di avere in Inghilterra ed in Francia, che si vedrebbero costrette a seguire nostro esempio.

Parlando a titolo personale e semplicemente per alimentare conversazione ho osservato che Italia travasi in condizioni particolarmente difficili e delicate a causa esistenza di un nostro debito verso l'Inghilterra, la quale ha sempre sostenuto verso suoi debitori teoria del «pari passo » reclamando cioè pagamento proporzionale a quello eventualmente offerto al creditore americano.

Sottosegretario di Stato ha mostrato di rendersi conto di queste difficoltà, ma si chiedeva se nel momento presente Governo italiano non potrebbe trattare dP.bito americano indipendentemente da quello inglese.

Riferisco quanto precede per doverosa informazione mentre sarò grato a

V. E. di farmi conoscere, per mio orientamento ed eventuale norma di linguaggio, quale sia stata natura e portata della ·Conversazione di S. E. Ministro delle Finanze con signor Kirk e quali siano intendimenti di V. E. riguardo problema del debito di guerra.

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IL MMINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. 5395/65 R. Praga, 4 giugno 1936, ore 21,50 (per. ore 2 del 5).

Mio telegramma n. 64 (l).

Ministro Affari Esteri mi informa da parte di Benes che Francia ed Inghilterra hanno espresso parere favorevole convocazione Assemblea e così anche Avenol e Madariaga. U.R.S.S. espresso parere contrario chiedendo, ove convocazione inevitabile, che fosse rinviata dopo Consiglio principio luglio.

Eden ha insistito convocazione avvenga allo stesso tempo del Consiglio. Sarebbe stato fissato Consiglio per 25, Assemblea 29, Benes non avendo potuto apporvi valido rifiuto.

185

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. UU. 5407/66 R. Praga, 4 giugno 1936, ore 24 (per. ore 2 del 5).

Mio telegramma n. 61 (2).

Stein venuto a Praga mi ha confermato che Litvinov ha espresso parere contrario convocazione Assemblea sia a Ginevra che a Presidente Benes, che però convocazione sembra ormai inevitabile. Riferendosi poi ultima conversazione avuta con S. E. Suvich (telegramma di V. E. n. 2446) (3) mi ha pregato

far conoscere a Roma che Litvinov è disposto a prendere iniziativa proporre abolizione sanzioni, purché Governo italiano gli offra un punto di partenza, dichiarandosi a sua volta disposto intervenire sicurezza collettiva, ricostruzione pacifica assetto europeo. Ritenendo Italia non interverrà Ginevra prossimo Consiglio, sarebbe opportuno governo facesse conoscere suo pensiero per mezzo nota alla S.d.N. con cui, mentre prospetterebbe suo diritto a vedere abolite sanzioni aventi ormai carattere unicamente ,punitivo, farebbe altresì presente impossibilità per l'Italia, fino a quando permangono sanzioni, partecipare come si proporrebbe a discussioni e trattative dirette assicurare pace in Europa. Questione annessione dovrebbe essere messa per ora da parte e lasciata all'apprezzamento di ciascuno Stato nell'esercizio della sua sovrana volontà.

(l) -T. 5345/64 R. del 3 giugno, ore 20,25. Riferiva che, circa la convocazione dell'Assemblea della Società delle Nazioni chiesta dall'Argentina, Benes intendeva interpellare Eden nella sua qualità di presidente del Consiglio della Lega, raccomandandogli di interpellare a sua volta 1 membri del Consiglio stesso. (2) -Vedi D. 160. (3) -T. 2446/C.R. del 30 maggio: dava notizia delle conversazioni avute da Grandi con Vansittart e del colloquio di Suvich con l'ambasciatore sovietico. Su quest'ultimo punto si veda il D. 116.
186

IL CAPO DI GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 4 giugno 1936.

Von Hassell mi ha intrattenuto su tre argomenti: l) Rimettendomi l'accluso promemoria concernente le difficoltà sorte nello svolgimento delle relazioni commerciali itala-tedesche (1), negli ultimi mesi, mi ha detto di avere già avuto l'onore di intratter.ere V. E. su tale questione e sulla sua stretta connessione con lo sviluppo delle relazioni politiche itala-tedesche. V. E. si riservò allora di parlarne con S. E. Guarneri. Dopo di allora von Hassell ebbe due volte l'occasione di ritornare con S. E. Suvich sull'argomento. L'importanza della cosa in un momento delicato come quello presente lo induce oggi ad insistere perché venga ancora una volta prospettato a V. E. il carattere politico della questione che conferisce una particolare importanza alla sua soluzione. L'ambasciatore ha aggiunto che qualora come egli si augura S. E. Guarneri riconoscesse la giustezza delle richieste germaniche trattative commerciali tra i due Paesi potrebbero ingaggiarsi a Berlino ovvero, se ciò non fosse possibile a Roma nel qual caso però egli richiederebbe a V. E., a nome del suo Governo, la presenza di S. E. Guarneri alle riunioni. 2) Mi ha chiesto schiarimenti sul prossimo incontro tra V. E. e il Cancelliere austriaco, chiedendomi particolarmente perché quest'ultimo si rechi a Viareggio, fornendo così pretesto a voci di restaurazione asburgica. Gli ho risposto che il Cancelliere viene in ItaHa ,per accordarsi un periodo di riposo e che ha scelto Viareggio in quanto questa restdenza risponde precisamente a tale scopo. D'altra parte non comprendevo in che modo egli fornisse pretesto alle voci di restaurazione, dato che a Viareggio non risiede attualmente alcun membro della famiglia d' Absburgo.

20 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

Von Hassell ha replicato che, se non proprio a Viareggio, è però, a Roma

il Duca di Hohenberg, figlio di Francesco Ferdinando e rappresentante di Otto

di Absburgo, col quale è facile che il Cancelliere possa avere contatti. L'ho di

stolto da tali supposizioni, facendogli anche notare che il Duca di Hohenberg,

col quale avevamo pranzato ieri sera S. E. Suvich ed io, nor, mi pareva il tipo

adatto ad intrighi politici.

L'ambasciatore ha aggiunto di avere ricevuto informazioni dal suo Go

verno, secondo le quali il Cancelliere avrebbe in programma di discutere con

V. E. il problema del ristabilimento delle relazioni austro-tedesche. Egli ha tenuto a tal proposito ricordarmi le parole dettegli da Vostra Eccellenza nel corso di un colloquio del gennaio scorso allorché Vostra Eccellenza si dichiarò convinto della utilità di un ristabilimento di relazioni di amicizia fra l'Austria e la Germania aggiungendo di trovare perfettamente spiegabile il parallelismo della politica dei due Stati affini per razza e per lingua.

Dopo questo preambolo Hassell è venuto a dire che a titolo perfettamente personale egli si permetteva esprimere l'opinione che sia augurabile una trattazione completa della questione austriaca e non limitata a qualcuno solo dei suoi aspetti. Difficilmente egli crede che potrebbe ripresentarsi un momento favorevole come quello attuale.

Ho compreso che il Governo tedesco si augura che nei prossimi colloqui possa venire impostato tutto il complesso dei rapporti itala-austro-germanici.

3) Consegnandomi l'acclusa dichiarazione (1), mi ha elogiato l'opera di

S. E. Bindo Galli, Presidente della Corte di Appello di Genova, incaricato della dil'ezione della giustizia nel territorio della Saar, che ora ha compiuto la sua missione. Ove nulla osti da parte di V. E. trasmetterò copia della dichiarazione al Ministero della Giustizia, da cui 8. E. Galli dipende (2).

(l) Non rinvenuto.

187

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 4 giugno 1936.

Ho detto a questo incaricato d'affari dell'U.R.S.S., in relazione alle domande da lui rivoltemi ed in conformità alle istruzioni di V. E., quanto segue:

l7ighilterra. La conversazione di Grandi al Foreign Office si è svolta sulle linee dell'intervista di S. E. il Capo del Governo al Daily Telegraph (3), ma non si può dire che sia in corso una trattativa concreta.

Iniziativa Argentina. Il governo italiano non è affatto d'accordo e la ritiene anzi dannosa. Nessuna conferenza che non sia stata adeguatamente pre

parata è mai riuscita, e questa precipitosa convocazione non può che pregiudicare --non certo facilitare -l'opera di chiarificazione e di distensione degli animi a cui l'Italia ben volentieri si presta e di cui sì può anzi dire che abbia preso l'iniziativa con l'intervista al Daily Telegraph, ecc.

Consiglio S.d.N. del 16 giugno. Nella situazione attuale, se non intervengono tatti nuovi, la delegazione italiana non vi parteciperà.

Austria. È esatto che Schuschnigg si trovi in Italia. Egli si traterrà qualc:he giorno e si incontrerà col Capo del Governo. La politica italiana nei riguardi dell'Austria non ha subito variazioni e continua ad essere quella rappresentata da ultimo dal Protocollo a tre tra l'Italia, l'Austria e l'Ungheria del marzo scorso.

Germania. La conversazione di von Hassel col Capo del Governo (l) è stata d'indole generale e non ha trattato alcuna questione specifica.

A questo proposito il signor Helfand mi ha detto a sua volta -però in via confidenziale -che tra i diplomatici di Roma si commenta molto il fatto che l'ambasciatore di Germania parlando di tale conversazione avrebbe marcato che -rispondendo ad una domanda da lui postagll -il Capo del Governo avrebbe detto che l'Italia si considera ormai un Paese soddisfatto solo per quanto riguarda i problemi coloniali; ma che per quanto riguarda invece l'Europa la sua posizione non è cambiata. L'ambasciatore tedesco mostrerebbe d'interpretare tali dichiarazioni nel senso che l'Italia rimane favorevole al revisionismo. Ciò che ha fatto una forte impressione, sia nei rappresentanti della Piccola Intesa, specie su quello della Jugoslavia, sia tra i rappresentanti degli altri Paesi che vi vedono una minore disposizione italiana alla futura collaborazione dell'Italia per la ricostruzione e la sicurezza dell'Europa. Il signor Helfand ha sottolineato --pregandomi però di non ripetere l'informazione che tra i diplomatici ai quali von Hassel avrebbe parlato in tal senso vi è proprio il ministro di Jugoslavia (2).

(l) -Non rinvenuta. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (3) -Vedi p. 142, nota l.
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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1713/678. Mosca,, 4 giugno 1936 (3).

Mio telegramma n. 109 bis del 1° corrente (4).

Ho telegrafato all'E. V. le impressioni riportate nella mia ulttma conversazione con Krestinski che, di solito assai circospetto e sollecito nell'avanzare riserve, non ha questa volta tenuto un linguaggio sostanzialmente diverso da Litvinov. Questi, dirigendo da Marienbad la sua attività politica, continua la sua azione di propaganda antigermanica. Non è quindi da escludere, data anche

la sottigliezza dello stile, che l'articolo editoriale del Journal de Moscou del 2 corrente sia stato redatto dallo stesso Commissario sovietico che si sarebbe posto il compito di convincere l'Inghilterra di non battere altre strade più pericolose di quelle finora percorse con sì « disastrosi» risultati. Comunque, è certo che l'ispirazione di quell'articolo sia partita da Litvinov come pure dell'altro che, apparso nelle Isvestia del 3 corrente per avere un carattere più vivace e polemico, ne appare una specie d'illustrazione e commento.

In realtà la stampa sovietica di questa settimana non reca nulla di nuovo circa i problemi affacciati dall'U.R.S.S. nella incerta e confusa situazione internazionale. Ossia ancora nessun programma definito e positivo ma insistenti suggerimenti all'Inghilterra che non si decide a prendere un indirizzo sicuro, dando seriamente a preoccupare questi dirigenti sovietici, portati ad ammirare apertamente la chiarezza e la fermezza di Roma in contrapposto all'incoerenza dimostrata da Londra nell'affare.

I Soviet continuano intanto a criticare la politica inglese definita come complicata, confusa, piena di contraddizioni (muddle). La tradizionale politica dell'equilibrio delle forze -si dice -è, dopo quattro secoli di risultati «fortunati», del tutto inadatta all'attuale correlazione di forze; se l'imperialismo inglese è oggi pervenuto alla fase della sazietà, ciò non implica che esso non debba troppo preoccuparsi della sua palese debolezza militare. Anzi la guerra può essere scatenata precisamente per la debolezza della presente posizione britannica.

Partendo da questa premessa, i Soviet sostengono che l'Inghilterra da sola non può difendersi e l'unico mezzo che essa può avere oggi a sua disposizione per la difesa degli interessi imperiali britannici è la Società delle Nazioni ed il principio della sicurezza collettiva.

Avvicinandosi al centro del loro ragionamento essi dicono che il dopoguerra è caratterizzato dall'incubo costante di tutti Paesi che il ripetersi di coalizioni potrebbe provocare la divisione dell'Europa e distruggere quella solidarietà che sta a base della Lega ginevrina!

Senonchè -qui si afferma -il principio della sicurezza collettiva non è stato finora seriamente considerato dai dirigenti britannici che se ne sono serviti come comodo motto elettoralistico. Anzi l'affare abissino ha dimostrato come l'Inghilterra che in un primo momento aveva guadagnato prestigio mettendosi a capo della Lega, sperando cosi di ridurre l'Italia all'impotenza, si è invece dimostrata addirittura incapace di condurre coerentemente « sia una linea societaria, sia una linea di compromesso » anche imperialistico.

Il pessimismo sovietico arriva persino a far dire alla stampa che neppure dopo lo scacco inflitto dall'Italia all'Inghilterra, questa s'indurrà a cercare una realistica soluzione della crisi europea. Sarebbe qui sintomatico il fatto degli approcci anglo-germanici che secondo i Soviet non porterà ad attenuare gli antagonismi esistenti, anzi potrebbe sensibilmente aggravarli. «Sarebbe dice l'organo del Narkomindiel -lo stesso che voler sovrapporre ai problemi dell'espansione italiana quelli dell'aggressione tedesca» che sono assai più gravi. «L'idea di continuare la lotta con gli stessi mezzi inoperanti porta ad una dispersione più che ad un concentramento di forze>.'. Ma nè gli approcci anglo

tedeschi, né quelli itala-germanici trovano base realistica, mentre sarebbe interesse tanto dell'Italia che dell'Inghilterra di evitare un. ravvicinamento con la Germania.

Tutto si riduce dunque alla conclusione che occorre parare alla minaccia tedesca. E' il motivo dominante che solo guida Mosca nel labirinto delle incertezze europee. «Non c'è da rinforzare gli sforzi collettivi per consolidare la sicurezza generale». Il fattore germanico è il vero ed immediato pericolo per tutti e la sicurezza collettiva nel senso considerato da Lord Percy e da Citrine cioè attraverso un sistema di patti regionali -sarebbe -secondo i Soviet la salvezza di tutti, compresa l'Inghilterra « che ha interessi esposti in tutti i punti del globo ». « Chi seppellisce la sicurezza collettiva minaccia la pace! ».

In questa campagna che vien fatta in grande stile non è per ora affacciata una precisa soluzione dei rapporti fra l'Italia, la S.d.N. e l'Inghilterra e tanto meno la possibilità di un componimento dell'affare renano. L'URSS non fa che esporre il problema assillante che la induce a chiedere all'Italia « garanzie » di collaborazione in funzione antitedesca ed a cercare di convincere l'Inghilterra sui pericoli cui andrebbe incontro se in tale caos dovesse verificarsi un indebolimento del fronte antigermanico per perseguire finalitd antitaliane. È ovvio che ciò «non mancherebbe di avere serie conseguenze» -ha detto Radek la settimana scorsa -ma l'avvertimento non ha per ora che valore contingente. A soli 12 giorni dalla riunione del Consiglio non ci si impegna ancora: l'articolo del Journal de Moscou difatti altro non è che una battuta d'aspetto come l'ha definito un funzionario del Narkomindiel. Il che lascia margine di manovra entro cui Litvinov conterebbe di giuocare la sua carta antigermanica. Non è certo dai piccoli Stati o da quelli i quali «si trovano fuort del campo d'azione delle forze direttamente interessate alla sicurezza europea » che il Commissario sovietico attende l'iniziativa per sgombrare il terreno politico del «malaugurato episodio» ginevrino. Intanto egli si adopera ad evitare ulteriori complicazioni del genere di quelle immaginate da Saavedra Lamas.

(l) -Non si è rinvenuto il verbale di tale colloquio. Si veda D D T, serle C, vol. V, l, D. 344. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (4) -Vedi D. 154.
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L'AMBASCIATORE A V ARSA VIA, BASTIANINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 1499/507. Varsavia, 4 giugno 1936 (per. l'B).

Mio telegramma n. 51 del 25 maggio u.s. (1).

Sono andato ieri sera da Beck al quale ho domandato le impressLoni riportate dal suo viaggio a Belgrado. Era irritato nei confronti di Praga perché gli risultava avere il ministro degli Esteri Ceco fatto fare per due volte un passo a Belgrado al fine di ottenere il rinvio del viaggio. Era indispettito per il gesto, invero assai poco amichevole, compiuto da Titulescu recandosi in volo nella capitale jugoslava subito dopo la sua partenza. Era abbastanza soddisfatto di

aver constatato a Belgrado che realmente la Jugoslavia mostra tendenze indipendenti, sia in seno alla Piccola Intesa, sia nei confronti di chiunque volesse obbligarla a fare da pedina nel giuoco d'interessi a lei estranei. Quando gli ho detto che di questo mi compiacevo, Beck ha soggiunto che infatti dovevo esserne contento. Ciò detto ha però voluto sottolineare che era rimasto profondamente impressionato della mentalità che aveva constatato nella capitale jugoslava così differente da quella che gli pareva essere comune al resto d'Europa a lui noto. «Veramente i Balcani sono una spiecie di mondo a parte -ha aggiunto -dove la gente vede le cose sotto un'altra luce ». Questo mi pare definisca assai chiaramente le impressioni riportate da Beck. Non ho trovato nelle sue parole quella soddisfazione che vi sentii quando egli tornò da Bruxelles e da Londra.

Mi ha detto che il Principe Paolo gli è sembrato un uomo estremamente fine e di larghe vedute, sottolineando che questo poteva essere anche attribuito al fatto che egli non era rimasto sempre nel Paese ed aveva ricevuto un'educazione ed una cultura straniera.

Non mi ha parlato delle relazioni itala-jugoslave se non per farmi notare che Stojadinovic gli aveva parlato con molto rispetto del conte Viola e del tato col quale questi assolve a Belgrado la sua missione (l).

(l) Vedi D. 106.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5440/337 R. Parigi, 5 giugno 1936, ore 14,40 (per. ore 18,25).

Ho chiesto iersera a Léger se egli poteva confermarmi notizia pervenutami secondo la quale, nonostante sua opera di persuasione sopra Blum, non era riuscito sino ad ieri ad indurre attuale Gabinetto ad esprimersi circa programma di politica estera che intende seguire.

Léger ha confermato interamente e mi ha detto non potere dare torto a Blum. Ne dava invece a Sarraut ed a Flandin i quali, contrariamente ai suoi suggerimenti insistenti, non avevano voluto, durante ultime cinque settimane, assumere alcuna posizione e si erano limitati ad interpellare Blum per conoscere da lui se egli avrebbe approvato eventuale linea di condotta che essi avrebbero seguito. Questa avrebbe dovuto consistere nell'entrare in immediat') contatto con Londra per far ivi presente necessità porre termine alle sanzioni e discorrere poi con Roma per ottenere garanzie che a levata delle sanzioni avrebbe ·Corrisposto da parte dell'Italia intima collaborazione con Francia ed Inghilterra per sistemazione europea nel quadro della S.d.N.

Blum si era trincerato nel più assoluto riserbo dichiarando che gli mancavano gli elementi di giudizio che avrebbe avuto soltanto dopo avere assunto potere. Sarraut non aveva creduto di potere assumere ur:ta responsabilità pro

pria ed aveva avuto tanto più torto in quanto Blum gli sarebbe stato probabilmente riconoscente di avergli preparato opportunamente ìl terreno per ulteriore sua a:?Jione da svolgersi secondo stesse linee.

Léger ha aggiunto che Blum, in una conversazione avuta con lui, accusò Lavai di aver imposto all'Inghilterra applicazione delle sole sanzioni e.conomiche, mentre annunzio della decisione di applicare tutte le sanzioni avrebbe fatto recedere Italia dalla impresa etiopica. Léger aveva dimostrato con i fatti a Blum che era stata Inghilterra a dichiarare che sanzioni avrebbero dovuto escludere blocco e chiusura del Canale di Suez. Era bensi vero che l'Inghilterra aveva assunto tale atteggiamento moderato sapendo che la Francia non l'avrebbe seguita qualora essa si fosse mostrata fautrice di sanzioni che avrebbero significato guerra. Lavai aveva agito in modo da dare a Londra questa impressione precisa, però non era stato lui a chiedere che sanzioni fossero mantenute nel campo economico, perchè Léger gli aveva insistentemente raccomandato di non assumere una attitudine propria al riguardo prima che l'Inghilterra si fosse pronunciata. Naturalmente, se Baldwin e Hoare si fossero mostrati propensi alle sanzioni militari, Lavai avrebbe loro esposto la sua assoluta opposizione al riguardo. Blum sembrò arrendersi ana forza dei fatti.

Secondo Léger nuovo Presidente del Consiglio è convinto che tanto Ginevra che estero richiedono prove di massima autorità. Si domanda, però, se egli troverà necessari appoggi da parte dei propri collaboratori.

Circa politica estera Léger mi ha detto che quando un Paese ha dietro di sè un periodo di oltre dieci anni in cui diede continua testimonianza del proprio pacifismo, non dovrebbe temere di incorrere nell'accusa di essere guerrafondaio se mostrasse qualche volta i denti. Così -sono parole di Léger se Sarraut non avesse avuto paura di mobilitare il sette marzo tre classi, la guerra non sarebbe scoppiata ed i tedeschi avrebbero accettato di trattare per una equa soluzione della questione renana.

Accennando alla situazione interna, che giudica grave, Léger mi ha detto che grande maggioranza della Francia attende qualche atto di autorità perché comprende che pace interna è premessa indispensabile per possedere necessario prestigio nei riguardi dell'estero.

Léger considera opportuna proroga delle riunioni di Ginevra perché così Blum avrà tempo di discorrere con Londra.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5435/83 R. Roma, 5 giugno 1936 (per. stesso giorno).

Il cardinale Maglione ha riferito ieri al cardinale segretario di Stato due conversazioni da lui avute con il ministro degli Esteri francese e con l'ambasciatore britannico in Francia, prima di lasC'iare definitivamente Parigi.

Il signor Flandin ha detto al pro-nunzio che se l'Italia facesse sapere alla Francia o all'Inghilterra o ad ambedue tnsieme, di essere disposta a una collaborazione generale e in particolare a concludere un patto di garanzia mutua per il Mediterraneo, riuscirebbe probabilmente facile di preparare l'abolizione delle sanzioni.

Sir George Clerk ha espresso, a titolo personale, al cardinale Maglione, il parere che gioverebbe a calmare l'opinione pubblica inglese se l'Italia facesse sapere che informerà la Società delle Nazioni di quanto farà per migliorare le sorti dell'Etiopia (abolizione schiavitù, lavori pubblici ecc. ecc.).

Il pro-nunzio ha messo al corrente di quanto precede il mio collega a Parigi il quale ha detto che ne riferirebbe all'E. V.

Il cardinale segretario di Stato mi ha incaricato di attirare l'attenzione dell'E. V. sulle due dichiarazioni surriferite nella speranza che il R. Governo vi trovi materia per avviare trattative.

Mi permetto di aggiungere che la suggestione dell'ambasciatore britannico mi sembra insidiosa. L'impegno anche solo d'informare, può significare che l'Inghilterra desidera assicurare un, per quanto larvato, diritto di ispezione nelle cose etiopiche, ciò che è assurdo.

Vedrò domattina il cardinale Maglione e procurerò di sapere qualcosa di più (1).

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COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, CON IL CANCELLIERE AUSTRIACO, SCHUSCHNIGG

VERBALE (2). Forlì, 5 giugno 1936.

Il Cancelliere riferisce su colloqui avuti con von Papen e coi «nazionali» per stabilire un modus vivendi con la Germania. Nei colloqui con von Papen il Cancelliere ha tenuto subito a mettere in chiaro che le premesse da parte austriaca per un accordo sono tre: l) riconoscimento dell'indipendenza dell'Austria;

2) nessun accordo politico coi nazionalsocialisti austriaci in quanto l'Austria ha soppresso i partiti creando in loro vece il Fronte Patriottico;

3) cessazione di ogni propaganda per l'Anschluss.

Da parte sua il Cancelliere potrebbe fare le seguenti concessioni:

l) Prendere nel Gabinetto qualche rappresentante dei «nazionali>> come ministro senza portafoglio. Il Capo del Governo chiede se politicamente queste persone contino in Austria.

Il Cam:elliere risponde di no. Sono persone però che contano personalmente per la loro serietà e che hanno anche buoni rapporti con Berlino; 2) emanare una amnistia, da cui naturalmente sarebbero esclusi i delitti di sangue, abolendo Rnche i cosi detti procedimenti amministrativi in corso; 3) venire ad un acordo per la stampa, che dovrebbe essere naturalmente reciproco, abolendo la campagna politica di un Paese contro l'altro.

Von Papen ha detto che avrebbe trovato buone disposizioni a Berlino e nello stesso Ftihrer. Anzi von Papen avrebbe aggiunto che il Ftihrer stesso penserebbe a suo tempo di incontrarsi con Schuschnigg.

Il Cancelliere è molto esitante nel prestar fede a quanto gli racconta von Papen che é persona di una grande leggerezza e che fa delle affermazioni avventate. Ad ogni modo egli non pensa alla possibilità di un tale incontro se prima non ci sia la base per un accordo. Von Papen avrebbe anche affermato che ogni trattativa dovrebbe naturalmente essere portata a conoscenza del Governo italiano.

Per quanto riguarda i contatti con « nazionali», il Cancelliere si è rivolto prima allo Srbnik, persona di grande autorità e di grande dottrina (sarebbe oggi il più apprezzato storico dell'Austria) offrendogli di diventare ministro senza portafoglio. Lo Srbnk, che era stato già ministro dell'Istruzione all'epoca di Schober, ha rifiutato con la ragione che avrebbe potuto assumere un tale incarico soltanto se era cosa desiderata da Berlino.

Il Cancelliere deve rilevare però che lo Srbnik ha avuto sempre un contegno ultra corretto. Egli pensa ad ogni modo di far entrare lo Srbnik nel Consiglio di Stato ritenendo che non avrà difficoltà ad accettare questo incarico.

Ha offerto poi lo stesso posto di Ministro senza portafoglio ad un altro « nazionale » il Mannlicher, ottenendo il medesimo risultrtto. Il Mannlicher gli avrebbe presentato poi alcune proposte di cui le principali sarebbero:

l) premesso il riconoscimento dell'Austria, si domanda una revisione della Costituzione in vigore con successivo plebiscito. Il Cancelliere esclude ogni revisione della Costituzione.

2) Si chiede poi che siano presi due « nazionali » come Ministri senza portafoglio i quali avrebbero una posizione speciale nel Gabinetto e coi quali il Cancelliere dovrebbe consultarsi per tutti gli affari politici importanti.

Anche questa richiesta non è ammissibile. 3) Si chiede anche libertà di associazione dei circoli nazionali su terreno non politico col raggruppamento di tali associazioni in federazioni provinciali ed in una confederazione generale. I Ftihrer di queste federazioni dovrebbero essere riconosciuti e chiamati a far parte delle organizzazioni di Stato.

Il Cancelliere non può ammettere queste organizzazioni. Non ha naturalmente niente in contrario a che 'i «nazionali » entrino singolarmente nel Fronte Patriottico.

Ci sono poi altri punti delle proposte «nazionali » che sarebbero discutibili. I « nazionali» hanno fatt:J capire che non vorrebbero che le discussioni con loro fossero portate a conoscenza della legazione germanica a Vienna.

Il Cancelliere ritiene pericoloso proseguire nelle trattative coi «nazionali » che sono state da loro impostate su una base pregiudiz~evole per il principio dell'indipendenza austriaca; egli non può pretendere che essi rinuncino all'idea dell'Anschluss come Idealpolitik il che rappresenta una forma del tutto astratta, ma deve esigere che come Realpolitik essi si mettano sul punto di vista della necessità dell'indipendenza dell'Austria e del mantenimento del Regime austriaco nella sua forma attuale.

Il Cancelliere aggiunge anche che ha già nel Gabinetto e nel Fronte Patriottico lo Zernatto che come tendenza è piuttosto un «nazionale », ma gli è molto legato e del quale non ha che a lodarsi. Vorrebbe sapere l'opinione del Capo del Governo a proposito di queste conversazioni.

Il Capo del Governo risponde che condivide completamente l'idea che sa~ rebbe pericoloso continuare le discussioni coi «nazionali »; essi tendono a creare non un modus vivendi, ma un modus moriendi.

Il Capo del Governo pensa che non si possa andare al di là dei tre punti esposti dal Cancelilere a von Papen.

Il Cancelliere si riserva di chiamare nei prossimi giorni von Papen e di confermargli che non è in grado di andare oltre i sopradetti tre punti. Se l'Italia avesse occasione di parlare con la Germania, si potrebbe forse darle l'impressione che quei tre punti sono il massimo a cui può ::.,rrivare l'Austria.

Il Cancelliere prega in eventuali conversazioni con la Germania di non far cenno dello scambio di vedute avuto coi «nazionali»,

Il Cancelliere ritiene anche che un eventuale accordo con la Germania sarebbe tanto più valido in quanto in una forma o nell'altra vi partecipasse l'Italia.

Parlando dei rapporti con la Piccola Intesa il Cancelliere osserva che gli stessi sono avvelenati dalla questione della Monarchia e ciò particolarmente per quanto concerne la Jugoslavia. In pratica però non c'è nulla di nuovo: egli non può rinunciare al principio della monarchia che ritiene sia la forma migliore di governo per l'Austria, ma d'altra parte non intende creare delle difficoltà col porre tale problema sul tappeto.

Il Cancelliere è persuaso che tra la Jugoslavia e la Germania ci sia un accordo molto importante. probabilmente un'alleanza militare. Egli osserva anche un certo avvicinamento frn la Jugoslavia e l'Ungheria che può essere in funzione di tale nuovo orientamento della Jugoslavia verso la Germania. D'altronde egli è persuaso che anche fra la Germania e l'Ungheria si sia già andati molto avanti. Ultimamente l'Austria ha concesso il passaggio attraverso il proprio territorio di munizioni dirette dalla Germania verso l'Ungheria in una quantità molto rilevante. Questi rapporti difficili coi suoi vicini mettono l'Austria in una situazione molto imbarazzante. Egli si prospetta fra altro l'eventualità che la Cecoslovacchia attaccata dalla Germania entri in Austria vio

lando la neutralità per fare uno :;chieramento difensivo più favorevole contro la Germania. Quale sarà la posizione dell'Austria in tale frangente? Non ritiene di poter mettersi accanto ai cecoslovacchi contro la Germania; d'altra parte mettersi contro la Cecoslovachia vorrebbe dire aprire le p::Jrte all'invasione te

desca in Austria.

Il Capo del Governo ritiene che un fatto del genere entrerebbe in un quadro 'Più generale. Non è probabile che la Francia si muova in aiuto della Cecoslovacchia, ma questa potrà contare sulla Russia.

Il Cancelliere aggiunge che la situazione della Cecoslovacchia è molto precaria anche per la tendenza ungherese a realizzare una revisione con mezzi violenti: l'Austria non potrà seguire l'Ungheria su questa strada.

Il Capo del Governo è d'avviso però che la revisione non si possa ottenere che con una guerra: non c'é dubbio che l'Ungheria si prepara per tale evento.

Schuschnigg chiede se il Capo ritiene la cosa imminente.

Il Capo ritiene che l'Ungheria approfitterà della prima occasione.

In conclusione, afferma il Capo del Governo, l'Austria non può contare su nessuna delle grandi Potenze: la Francia attraversa un momento difficilissimo; la Gran Bretagna non si muoverà certo in favore dell'Austria. Rimane l'Italia, e l'atteggiamento dell'Italia nei riguardi dell'Austria è immutato.

Il Cancelliere ringrazia vivamente il Capo del Governo per questa dichiarazione. Il Cancelilere si informa anche se d sia qualche co1>a di nuovo nei rapporti fra Germania ed Italia. Il Capo del Governo risponde che non c'è nulla di nuovo se non una migliore atmosfera determinata come reazione alla politica dei sanzionisti.

A domanda del Cancelliere nei riguardi dei rapporti itala-francesi il Capo del Governo risponde che la sterzata della Francia verso sinistra e la grave crisi che ora attraversa quel Paese ci impone una politica della più grande riserva.

Il Cancelliere ha poi due richieste da avanzare su questioni economiche e di aviazione come da appunto separato.

A domanda del Capo del Governo il Cancelliere risponde che il reclutamento dell'esercito permanente austriaco avverrà alla metà di giugno, mentre la chiamata sarà fatta per ottobre. Con ciò si aumenteranno le forze austriache di 15 mila uomini.

A domanda del Capo il Cancelliere risponde che il contegno di Starhemberg è corretto. Starhemberg è personalmente amareggiato, ma il Cancelliere crede di poter contare sulla sua lealtà o dirittura. Il Cancelliere è dispiacente di aver dovuto abbandonare la collaborazione di Starhemberg nel Governo, ma una soluzione vi si imponeva, ché il dualismo non poteva essere continuato (1).

(l) -Vedi D. 196. (2) -Al colloquio era presente Suvich che ha redatto il verbale.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

193

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 5 giugno 1936.

La tendenza dell'Argentina e probabilmente di altri Stati sud-americani, sarebbe quella di prendere l'iniziativa a Ginevra per arrivare a un compromesso basato sull'abolizione delle sanzioni e sul non riconoscimento della conquista italiana dell'Etiopia.

Il calcolo posto a base di questa iniziativa sarebbe il seguente: -l'Italia sarebbe soddisfatta perché le sanzioni vengono abolite, l'Etiopia rim.ane in suo possesso e quindi può adattarsi alla mar1canza del riconoscimento formale della conquista: -la S.d.N. può trovare nell'iniziativa una via dl uscita, perché, riconoscendo che le sanzioni sono superate dagli avvenimenti, salva tuttavia la propria faccia riconfermando la condanna dell'Italia e instaurando la sanzione permanente del non riconoscimento della conquista italiana; -gli altri Paesi sono soddisfatti perché si liberar1o dalle sanzioni e trovano una via di uscita per la loro politica ginevrina.

È possibile che nel generale disorientamento e nell'assoluta abulia delle altre Potenze questa iniziativa sud americana trovi degli appoggi e possa prevalere.

Però il calcolo -almeno per quanto riguarda l'Italia -è sbagliato. Il formale non riconoscimento della nostra conquista con o senza riconferma di condanna morale, porta alle seguenti conclusioni: uscita dell'Italia dalla S.d.N.; possibile isolamento diplomatico dell'Italia.

Per quanto riguarda quest'ultimo punto si possono considerare le seguenti possibili conseguenze dell'ufficiale non riconoscimento della nostra conquista:

-non riconoscimento del titolo imperiale dato al nostro Sovrano e quindi gravi e forse insuperabili difficoltà per l'accreditamento degli Ambasciatori, per la sottoscrizione di Trattati internazionali ecc.

-d'altra parte impossibilità per l'Italia di partecipare ad atti o riunioni internazionali se vi interverrà qualche rappresentante dell'ex Impero etiopico e eventuale opportunità di disdire quegli impegni in cui vi figuri ancora l'Impero etiopico.

Va notato, incidentalmente, che nessuna di queste difficoltà è sorta per il Giappone, in seguito all'affare del Manciukuo perché il Giappone è ricorso alla finzione dello Stato indipendente, e d'altra parte la Cina, per la perdita del Manciukuo non doveva essere cancellata dal novero degli Stati indipendenti come avviene per l'Etiopia.

Quindi il progetto argentino non va. Peggio ancora sarebbe se si abolissero solo le sanzioni economiche lasciando in piedi quelle finanziarie, come si suggerisce da qualche parte.

Non parlo poi del caso in cui si mantenessero integralmente le sanzioni fino al raggiungimento della «pace societaria », oltre al formale non riconoscimento della conquista.

È chiaro che in questo caso la nostra reazione potrebbe andare anche al di là dei limiti sopra indicati.

Poiché d'altra parte non è, per evidenti ragioni, pos5ibile ottenere che Ginevra abolisca le sanzioni e riconosca senz'altro il fatto compiuto, l'unica soluzione che si può presentare come accettabi,le in questu momento è la seguente: abolizione delle sanzioni e rinvio della questione del riconoscimento.

Quando si dice abolizione delle sanzioni, si può pensare a varie forme di attuazione di questo provvedimento.

Il programma massimo sarebbe quello di ottenere che tutti gli Stati, sia singolarmente, sia attraverso i Comitati ~ Comitato dei Diciotto, Comitato di Coordinamento ~ deliberino senz'altro l'abolizione delle sanzioni.

Altra forma sarebbe quella che un organo ginevrino ~ Consiglio, Assemblea, ~ data l'eventuale dichiarazione che le sanzioni sono ormai inutili, inviti gli Stati a regolarsi secondo H loro criterio.

Altra forma infine potrebbe essere quella di dare incarico a uno dei Comitati esistenti di costituirne dei nuovi per esaminare il problema, o riferirne ad un prossimo Consiglio o Assemblea.

Io ritengo che anche quest'ultima forma possa essére da noi momentaneamente accettata, mentre soltanto la deliberazione di mantenere le sanzioni come ulteriore mezzo di pressione per indurci a una pace societaria, debba provocare la nostra immediata uscita dalla Lega.

Questo per quanto riguarda il punto sanzioni. Per quanto riguarda poi la questione del riconoscimento, io ritengo accettabile per il momento qualunque forma che non implichi una dichiarazione ufficiale di non riconoscimento con carattere definitivo e permanente, e lasci qumdl la porta aperta a ulteriori negoziati.

Per arrivare al punto voluto ~ levata delle sanzioni e rinvio della questwne del riconoscimento ~ qual'è la via da seguire? Premetto che mi pare pericoloso negoziare la levata delle sanzioni. Se entriamo su questo terreno le pretese si moltiplicheranno non solo nel campo politico ma anche in quello economico. D'altra parte se abbiamo elementi per una vera e propria negoziazione è bene riservarli per superare in un secondo tempo lo scoglio vero e proprio che è quello del riconoscimento per cui ~ a differenza delle sanzioni ~ non si vede una via di uscit3. secondo i principi ginevrini.

Se è da evitare un vero negoziatJ, sarà tuttavia opportuno di facilitare la messa in moto dell'azione di smobilitazione ginevrina con qualche altro mezzo che potrebbe avere la funzione di lubrificante.

Da tutte le informazioni risulta che la regolazione anche nel campo internazionale del conflitto itala-etiopico, potrebbe essere facilitata se si dessero affidamenti su due punti:

l) qualche soddisfazione di forma nel regolamento definitivo dell'Etiopia che possa non colpire troppo il prestigio della Società delle Nazioni;

2) garanzie che l'Italia, risolto il problema italo-etiopico, collaborerà per il mantenimento della pace in Europa e nel mondo in un sistema di sicurezza che garantisca l'indipendenza anche dei piccoli Stati.

Molte delle assicurazioni richieste sono già state date in forma episodica e frammentaria attra.-erso conversazioni, interviste, provvedimenti legislativi, ecc. ecc. Si potrebbe ora raccogliere ed ampliare tutto ciò in forma organica ed enunciarlo in forma solenne in modo che gli altri Governi e Ginevra ne debbano prendere nota.

Andrebbe, a mio modo di vedere, molto bene il progetto che il Duce faccia questa enunciazione nelle assisi del Partito convocate espressamente e magari con l'intervento del Corpo Diplomatico. Le dichiarazioni potrebbero essere fatte sulle linee dell'unito appunto (1). Prima di lanciarci su questa via conviene però fare dei sondaggi, particoiarmente a Parigi, a Londra e a Mosca per sentire se questo nostro atteggiamento può portare alla soluzione desiderata come programma minimo, cioè: abolire le sanzioni; non pregiudicare la questione del riconoscimento. Si può anche pensare a far venire a Roma gli ambasciatori a Londra ed a Parigi per dare loro le opportune istruzioni per questi sondaggi che sono di natura molto delicata.

Si potranno poi incorporare le dichiarazioni di cui sopra in un esposto ufficiale da fare alla S.d.N. Questo documento servirà a dimostrare che l'Italia non intende estromettere la S.d.N. dalla liquidazione del conflitto. Non conterrà gran che eli nuovo, ma è tuttavia più che probabile che nella nuova atmosfera creata dal fatto compiuto e di fronte al desiderio unanime di «finirla», molti argomenti che prima non sono stati presi in considerazione possano diventare determinanti per la soluzione (2).

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IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MANDATI DELLA S.D.N., THEODOLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

L.P. Ginevra, 5 giugno 1936.

Ho saputo da Bova Scappa che egli ha spedito a codesto Ministero una relazione succinta della conversazione avuta con il signor Carlo Burckardt reduce dalla Germania (3). Siccome ieri ho fatto colazione con il suddetto membro del Comitato Internazionale della Croce Rossa, il quale si è mostrato entusiasta della accoglienza avuta in Roma ed è ancora sotto la forte impressione prodottagli dalla conversazione a v uta col Duce ( 4), credo interessante richiamare l'attenzione di Lui su tre punti che mi ha precisato il suddetto Burckhardt. Reduce da pochi giorni dalla Germania, dove ha visto HiUer, Ribbentrop ed il duca di Saxe Coburg Gotha, presidente della Croce Rossa tedesca.

l) Hitler dice che per salvare l'Europa è indispensabile un accordo della Germania e dell'Italia perché fra i giovani membri del suo partito esiste una tendenza, nel caso i Paesi così detti liberali dell'Europa rendessero la vita troppo difficile alla Germania d'oggi, accordarsi con la Russia.

2) Il Duca di Saxe Coburg avrebbe ricevuto questa dichiarazione da Hitler: «dopo la mia morte l'unica forma di Stato indispensabile per la Germania sarà la monarchia. La difficoltà nasce dalla scelta della dinastia perché se cattolica sarà ostacolata dalla Germania del Nord, e se protestante dalla Germania del Sud ». Lo stesso Granduca, come il suo ufficiale d'ordinanza Oberftihrer signor Nord, hanno l'impressione che i tedeschi non si interessano con passione alla questione austriaca, dicendo al Burckhardt « che faremmo dell'Austria coi suoi cattolici, slavi ed ebrei, con una capitale che fu que1la dell'Impero e che ci creerebbe molti imbarazzi di ogni genere? Per il nostro Fiihrer, invece, è una questione sentimentale che si potrebbe risolvere colla cessione del suo villaggio natale Braunau che si trova suUa frontiera».

3) Ribbentrop ha detto chiaramente a Burckharùt che la questione austriaca è specialmente d'indole sentimentale per i tedeschi e che non bisogna assolutamente che questa possa dividere la Germania nazista dall'Italia fascista per colpa di Braunau che si trova dall'altra parte della frontiera tedesca.

4) Ribbentrop ha confermato che la Germania sarebbe disposta a tornare a Ginevra, ma ponendo delle condizioni ben precise tra le quali queHa di una completa trasformazione del Segretariato dal quale si dovrebbero eliminare certi elementi bo.lscevichi, massoni ed asserviti a cricche giudaiche bancarie. Mai un tedesco si siederebbe alla stessa tavola con Rosenberg, mai nessuno collaborerebbe con Avena! che lo ha silurato a Londra a mezw della sua invocata procednra ginrvrina (1).

(l) -Non rinvenuto. (2) -Il presente documento reca il visto di MussoliJli. (3) -Con T. per corriere 5254. 544 R. del 27 maggio, non pubblicato. (4) -Non sì •' rinvenuto il verbale <li tale colloquio.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. 2591/108 R. (2). Roma, 6 giugno 1936, ore 13.

Faccia sapere a tutti -ivi compreso il presidente della Repubblica -che mossa Argentina è considerata dall'Italia come un colpo mancino, un affronto alla civiltà e un tradimento alla missione civile della razza nuova e faccia muovere senza indugio e colla più grande energia le colonie italiane e gli itala-argentini.

Il popolo italiano inciderà il nome dell'Argentina per il primo sulle lapidi cteWassedio.

(l) -Il presente documento reea il visto di Mussolini. (2) -Minuta autografa.
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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5465/85 R. Roma, 6 giugno 1936 (per. stesso giorno). Mio telegramma per corriere del 5 corr. n. 83 (l).

Il cardinale Maglione mi ha ripetuto la comunicazione fatta al R. Ambasciatore a Parigi dopo i suoi colloqui col ministro Flandin, con il signor Léger, con Paul-Boncour e con l'ambasciatore Clerk.

Il pro-nunzio mi ha dichiarato di considerare importanti le comunicazioni che gli sono state fatte perché egli non le ha per nulla ricercate. Egli crede che, tanto da parte francese che inglese, vi sia la preoecupazione di trovare una formula che salvi la faccia ai cinquantadue Stati implicati nella faccenda etiopica. Si comincia a temere seriamente, sempre secondo il cardinale, di perdere l'Italia e si desidera di riaverne la collaborazione eonsiderata essenziale per la pace di Europa.

L'E. V. sa che nella prima conversazione il signor Flandin ha insistito perché il cardinale riferisse il colloquio al Papa. Il pro-nunzio aveva espresso l'opportunità, data l'urgenza, di comunicare subito le dichiarazioni ricevute al

R. ambasciatore a Parigi. L'indomani il signor Léger, nella sua visita al pronunzio, rispondendo a nuova insistenza del cardinale, disse che nulla si opponeva, a che il prelato riferisse sia al R. Ambasciatore che al Papa quello che gli era stato detto. L'E. V. sa pure che il signor Flandin ebbe a parlare in un primo tempo di Patto danubiano e di Patto mediterraneo, e lasciò cadere il primo per le insistenze del pro-nunzio che sconsigliava di domandare troppo.

Quanto alla suggestione dell'ambasciatore Clerk essa era stata dapprima formulata in modo che il pro-nunzio non ha esitato a dichiarare inaccettabile. L'ambasciatore britannico avrebbe preteso che l'Italia s'impegnasse a rendere conto, ecc. Il cardinale replicò che dopo l'annessione dell'Etiopia non era il caso di parlare di resa di conti, propria dei territori a mandato. Il cardinale suggerì al suo interlocutore la forma più blanda dell'informazione che il signor Clerk giudicò sufficiente.

L'ambasciatore britannico ha dichiarato poi al pro-nunzio che l'opinione pubblica inglese sta evolvendo, ma che gli intransigenti sono tuttora numerosi e battaglieri. Occorre pertanto ricercare una formula di compromesso.

Paul-Boncour ha detto senza ambagi al cardinale che <'bisogna farla finita con le sanzioni» ma non è entrato ln particolari sul modo di arrivarvi. Il prelato gli ha esposto, con idea sua, il piano di collaborazione generale e di garanzia mutua per il Mediterraneo del signor Flandin.

Paul-Boncour è sembrato condividere il punto di vista surriferito. Circa la sua non partecipazione al Gabinetto testé costituito il signor Paul-Boncour ha espresso la ferma convinzione di ritornare presto al governo.

(l) Vedi D. 191.

197

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY

T. 6189/76 P.R. (l). Roma, 6 giugno 1936, ore 18.

È ridicolo che Degre1le si affanni a prodamare che non è fascista dal momento che nessuno gli ha mai chiesto di esserlo.

198

L'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI, AL MINISTERO DELLA GUERRA (2)

T. 380. Tangeri, 6 giugno 1936, ore 21,40 (per. ore 23,30) (3).

Riferimento foglio n. Z/4625 de:l 23 maggio u.s. e con riferimento miei telegrammi 322, 340, 390 (4).

Movimento militare e della Falange spagnola sembra imminente. Sono a stretto contatto con elementi dirigenti taJ,e movimento in Marocco. Essi assicurano adesione della maggioranza della truppa, della marina, della guardia civile e confermano partecipazione generale Sanjurio.

Movimento dovrà iniziarsi (5) e sarà esteso seguito tutto lVIarocco spagnolo. Nella Legione Straniera ufficiali superiol'i ri~hi:amati da Madrid perchè sospettati avrebbero rifiutato lasciare comando reparto.

199

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATA A SANTIAGO E ALLE LEGAZIONI AD ASSUNZIONE, AVANA, CARACAS, GUATEMALA, LA PAZ, LIMA, MONTEVIDEO, PANAMA E QUITO

T. 2595/C.R. Roma, 6 giugno 1936, ore 24.

Mossa argentina ha provocato profondo disgusto nel Paese essendo stata interpretata in senso nettamente anti-'italiano. Inopportunità tale iniziativa è evidente: in momento particolarmente delicato, mentre Ginevra deve andare in cerca compromesso, la si mette di fronte convocazione Assemblea sapendo che questa non può clamorosamente rinnegare principi g.inevrini.

21 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

Quali ragioni questo atteggiamento? Probabilmente complesse. Desiderio Saavedra Lamas mettersi in vista per suoi fini personali; tentativo far confermare attraverso delibe:naz,ione ginevrina principi Patto anti-1belli<co; dispetto Argentina per essere rimasta in minoranza tra Stati sud-americani nel Consiglio e desiderio r~prendere iniziativa; tentativo compromettere tutti Stati sud-americani sul principio sicurezza collettiva proclamato da Ginevra in vista prossimo congresso pan-americano. Se quindi responsabilità Argentina in questo momento sta }n prima linea e se suo atteggiamento è inescusabile, va ri-chiamata tuttavia l'attenzione anche altri Paesi americanì sul pericolo che essl possano cadere nel gioco Argentina.

Non è ben chiaro atteggiamento Argentina sul punto sanzioni. Non è però da escludere che manovra argentina tenda abolire sanzioni, visto anche che non reggono più, ottenendo però come contropartita maggiore irrigLdimento sulla questione non riconoscimento. Da informazioni che ci pervengono da varie parti dai Paesi del Sud-America non pare escludersi che altri tra questi Paesi possano seguire Argentina su tale via.

Va chiarito subito che soluzione non è accettabile. Per quanto Italia metta oggi in primo piano in ordine urgenza e per ragioni morali abolizione sanzioni, è chiaro che nostro Paese non potrebbe accettare benza violenta reazione dichiarazione non riconoscimento conquista Abissinia.

Non riteniamo poter pretendere che Ginevra possa accettare immediatamente e senza riserve fatto compiuto. Ma domandiamo invece che tale questione rimanga per il momento impregiudicata per possibile regolamento futuro.

Sanzioni possono essere abo>lite per ragioni societarie. Sono state imposte per far cessare guerra e guerra oggi è cessata. Ginevra, trattandosi di una questione metodo e non di principio, può riconoscer,lo senza eccessiva diminuzione prestigio. Non si vede perciò ragione stabiU11e interdipendenza tra abolizione sanzioni e non riconoscimento conquista italiana. Siamo in due campi diversi. Sgombriamo terreno delle sanzioni che ormai sono div,entate peso inutile e danno per tutti e poi discutiamo questione fondo rimanendo pure pel momento ciascuno nelle proprie posizioni, ma senza compromettere soluzione di ac,cordo.

V. E. vorrà chiarire a codesto Governo punto di vista italiano e tenermi informato reazioni codesto Governo e codesta opinione pubblica.

(l) -Minuta autografa. (2) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (3) -Le ore di partenza e di arrivo si riferiscono alla trasmissione al Ministero degli Esteri da parte del console generale a Tangeri. (4) -Non rinvenuti. (5) -Gruppo indecifrabile.
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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, GALLI, A LONDRA, GRANDI, A MOSCA, ARONE, A PARIGI, CERRUTI, E A TOKIO, AURITI

T. 2601/c. R. Roma, 6 giugno 1936, ore 24.

Da ultime notizie risulterebbe mantenuta data 22 per conferenza di Montreux relativa Stretti.

Italia ha risposto alla nota turca dell'll apri,le scorso accettando esaminare questione sollevata da Governo turco relativa Stretti e facendo ogni riserva su fondo questione.

A ambasciatore turco, venuto a chiedere se Italia aveva obiezione contro data 22, si è risposto non avere obiezioni, riconfermandu però Ja più ampia riserva determinata dalla situazione creata all'Italia in seguito politica ginevrina sanzioni. Data 22 'era stata scelta nell'intento làSC'iare svolgere la sessione Consiglio S.d.N. fissata per 16. È evidente che Italia, in seguito risultato detta sessione nonchè altri elementi che avrebbero potuto intervenire nel frattempo (détente italo-inglese ecc.) avrebbe potuto determinare linea da tenere al riguardo conferenza S1lretti. Rinvio Consiglio e ,convocaztone Assemblea per fine mese, contegno sempre inam1chevole Governo turco (recenti dichiarazioni Aras a Galli), lentezza détente tra Italia e Gran Bretagna e incertezza generale di tutta la situazione, non ci consentirebbero in nessun caso partecipare riunione 22. È chiaro che mancato intervento Italia prurte contraente Trattato di Losanna esautorerebbe conferenza e ne renderebbe vani i nsultati.

V. E. vorrà prospettarre situazione di cui sopra cudesto Governo facendo presente oppor1lunità rinvia1re conferenza Stretti fino a che situazione sia chiarita. Comunicazione V. E. non deve avere carattere iniziativa italiana ma soltanto opportuno avvertimento perché iniziativa sia presa da altri.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. PER CORRIERE 5505/0149 R. Parigi, 6 giugno 1936 (per. l'B).

Ieri è venuto a farmi visita il signor Michel-Còte, presidente della Compagnia cui appartiene la ferrovia Gibuti-Adldis Abeba. Ho avuto con lui un lungo colloquio che riassumo. Premesso dalle due parti che è interesse tanto dell'Italia che della Francia di procedere di comune accordo in Africa Orientale, è stato riconosciuto che la ferrovia avrà dinanzi a sé un be1l'avvenire se saprà creare e mantenere buone relazioni con il nuovo Governo in Etiopia.

Michel-Còte si è riferito al riguardo al trattamento di favorre studiato nei riguardi dei nostri trasporti di merci qualora essi avvengano i:n quantità superiori ai dodici vagoni completi; ha menzionato l'impossibilità di concedere la riduzione del 50 % per i trasporti di militari entro il territorio etiopico dato che il Governo francese non ha ancora riconosciuto di diritto la sovranità deU'Italia su1l'Etiopia; ha accennato al nostro des1derio, di .cui si tenne immediatamente conto, di avere nel porto di Gibuti un magazzino in cui depositare le merci sbarcate prima che possano essere caricate sui treni ed ha pure menzionato l'apertura fatta da un ufficiale italiano a Gibuti relativa al. trasporto di truppe da :rimpatriarsi via Gibuti, osservando che 1la fenovia è a&sai interessata ad un simHe trasporto che é però subordinato all'autorizzazione da concedersi dal Governo francese.

Egli m'intrattenne quindi su qualche incidente di cui aveva avuto sentore, primo dei quali quello relativo aHa bandiera francese sugli edific,i ferroviari in Et:opia che le Aut::>r.ità italiane avevano chiesto che fosse ammainata e sostituita con la bandiera italiana. Ho detto al signor Michel-Còte che la ferrovia aveva agito senza tatto cosicché era inutile che si lagnasse di quanto era accaduta. Se essa avesse ordinato ai suoi impiegati di so3tituire sino dal primo giorno la bandiera italiana a quella etiopica sempre avanzata a destra di quella francese sugli edifici ferroviari, probabilmente nuHa sarebbe acca,duto. Egli si trincerò dietro lo stato di fatto e non di diritto, al che risposi che lasciasse simili argomenti al G::>verno della Repubblica e ricordasse invece di essere ti presidente di una compagnia industriale che aveva ogni interesse ad essere nei migiiori termini col Governo italiano, suo migUore cliente d'ora in poi. II signor Michel-Còte mi disse allora che, ad evitare ogni inconveniente, egli aveva ordinato che fino al giorno in cui la situazione di diritto fosse regolata, nessuna bandiera fosse più alzata sugli edifiei di cui si tratta. Feci dal mio Iato le maggiori riserve al riguardo.

Secondo incidente menzionato fu quello della ,copertura del monumento de,I le~ne di Giuda che la Compagnia ferroviaria regalò al Governo etiopico, recante i medaglioni di Menelik, di Ras Maconnen, della Imperatrice defunta e dell'ex-Negus Tafari, ordinato dalle autorità mìlitari. La lagnanza non concerne il f::...tta in sé, quanto la circostanza che il ter'reno su cui 8 stato er,etto iJ monumento è di proprietà della ferrovia, cosicché secondo il signor Michel-Còte le autorità italiane non avevano alcun diritto di disporre del monumento stesso, nemmeno per mascherarlo.

Della stessa natura è un terzo incidente, causato dalla domanda delle autorità militari alla Ferrovia di costruire sul terreno che le appartiene un ufficio p:ù vasto per i pacchi postali.

Circa l'una e l'altra questione ho manifestato la mia meraviglia per una risL.ctt=~za di spirito che non potevo fare a meno di de,plo.rare. Che noi avessimo l'ir:tenzione di far scomparire dei monumenti eretti in onore di coloro che erano stati i nostri nemici era cosa talmente naturale che non stavo a perdere parole per giustificarla. Quanto aila richiesta di costruire un edificio più vasto per i pacchi postali, essa rispondeva alla consuetudine .fascista di far corrispondere gli edifici ai servizi che in essi devono essere installati. Sapevo benissimo che queEta mentalità fascista non é agevolmente capita dai francesi, ,che preferiscono i ripieghi e sono eccessivamente conservatori, ma 'se la ferrovia voleva mantenere con le aut::>rità itaHane gli ottimi rapporti ehe entrambi avevamo auspicati, doveva per forza di cose adattarsi al nostr0 modo di pensare. Non potevo poi comprendere l'abbiezione che si trattava in entrambi i casi di terreno appartenente alla ferrovia, sul quale quindi le Auta,rità iLaHa'rre non avevano alcuna giuriscEzione, perché mettendosi sopra questo terreno estremamente pericoloso la ferrovia non avrebbe certo finito bene.

Il signor Michel-Còte che mi ha fatto l'impressione di uomo intelligente, m o t o t:mace e dctrrt::> d.i uno spirito nazionalista altrettanto intransigente che grcttJ, non é st1::t::> mo;to soddisfatto delle mie 01sservaziuni. Cosicehé pur prote~t:mdo nuovamente le migliori disposizioni di intendersi con noi, non poté fare a meno di osservare che in Francta troppa gente aveva sottova}utato l'importanza de1la nostra impresa in A. O. Egli aveva sin daì primo momento rilevato che se l'Italia si fosse installata in Etiopia, la via ùei possedimenti o.ltre Mar Rosso non solo inglesi ma anche francesi sarebbe stata minacciata seriamente. Ogg.i -lo si vedeva :da molti frn:!lcesi e ·come accade in simili casi si esagerava la minaccia stessa. Bastava peraltro di gettare uno sguardo sulla carta geografica per constatare in quale tragica situazione si ttovava la ·colonia francese della Costa dei Somali ed il porto di Gibuti che tanto denaro era costato alla Francia e che tanto aveva servito a rialzare il prestigio francese nell'A. O.

Il signor Michel-Còte accennò pure ai molti altri interessi francesi in Etiopia ai quali egli presiede e di cui è, comunque, stato l'iniziatore. Tutti dovevano formare oggetto di attento esame da parte dei governi italiano e francese per far si che essi fossero salvaguardati, conformemente alle dichiarazioni ripetutamente fatte dal R. Governo. Gli ho detto che -convenivo intieramente nel suo modo di vedere e che il R. Governo attendeva tuttora da quello francese il passo indispensabi•le per iniziare lo studio dell'importante questione. Il mio interlocutore mi lasciò intendere che il Governo frances8 sembrava non avere alcuna fretta di prendere tale iniziativa dato che essa avrebbe implicato il riconoscimento della nostra sovranità. Ho ribattuto che .se in Francia vi era una sola persona che si illudeva drca il valore della nostra oceupazione e che ritenesse passibile di revisione l'estensione della sovranità italiana all'Impero etiopico, mi felicitavo con essa. Il Governo francese ed ancora più la ferrovia e gli altri interessati avrebbero fatto bene a meditare sulla circostanza che non si poteva da un lata pretendere di non rkonoscere l'esistenza di diritto di una nuova -situazione e dall'altro agrre come se l'Italia avesse assunto tutti gli obblighi dell'ex Impero etiopico.

Nel prendere congedo da me il signor Michel-Còte manifestò il suo desiderio di mantenersi in contatto meco, ricevendo risposta affermativa ed assicurazioni che ·avrei sempre fatto il possibile per faJcilital'e i rapporti tra la Ferrovia ed il Governo deil'Etiopta. Egli mi espresse pure il vivo suo compiacimento per le relazioni cordialissime che mantiene da vario tempo col console generale Gr. Uff. Lanino dicendoci ehe ancorché questo funziona-rio difenda strenuamente il punto di vista italiano, spesso in contrasto con gli interessi francesi, ognuno ne apprezzav'a le qualità ed il tratto fermo ma amtchevole Si compia.cque pure delle visite e delle conversazioni avute col ministro generale Alessandro Bodrero e col Grande Ufficiale Marescalchi.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5496/0150 R. Parigi, 6 gwgno 1936 (per. l'B).

Telegramma di V. E. n. 287 {1).

Ho veduto ieri Rivas Vicufia e mi ~sono espresso con llli g.iusta le istruzioni impartitemi col telegramma suddetto di V. E. La situazione essendosi andata maturando negli ultimi dieci giorni, l'abbiamo esaminata insieme. Rivas Vicufia osservò che in questo momento non avrebbe ragione di essere una sua rLsposta a Vasconcellos nel senso di rilevare che il Comitato dei Diciotto, che ha esclusivamente funzioni di coordinamento, deve consLderarsi ·Ce3sato, cosicché non gli può essere indi.rizzata la proposta del Governo cileno. Vic2versa egli si proporrebbe di esprimersi eventualmente in questo senso a Ginevra, quando vi andrà.

A proposito della riehiesta di Saavedra Lamas per la convocazione deH'Assemblea, Rivas Vicufia mi diede ,la notizia che vidi poi confermata in una comunicazione di B:lVa Scappa da Ginevra, vale a dire che alla vigHia di presentare la richiesta suddetta il ministro degli Affari Esteri argentino presenti il Governo ·cileno i1 quale rispose che in 1inea di massima non aveva nulla da obbiettare, ricordò che considerando le sanzioni senza alcuna ragione di essere dopo la cessazione delle ostiHtà aveva, da parte propria, presentato la proposta di abolirle ed espresse l'avviso ·che l'idea di Saavedra La:mas fosse ulteriormente discussa fra i due Governi di Buenos Aires e Santiago. Vi,ceversa il giorno dopo aver ricevuto tale risposta Saavedra Lamas aveva senz'aJtro fatto fare il noto passo a Ginevra.

Secondo Rivas Vicufia le ragioni del passo stesso sc,no essenzialmente personali. È bensì vero che per motivi dJ prestigio l'Argentina dopo il passo compiuto dal Cile per l'abolizione delle sanzioni, poté ritenere che fosse necessario assumere un atteggiamento proprio a Ginevra, ma le ragi'Oni che mossero specialmente Saavedra Lamas a chiedere la convocazione dell'Assemblea sono state sopratLtto la sua aspirazione ad ottenere il premio Nobel per la pace e l'ass,icurazione datagli da Eden che, se l'Argentina avesse assunto, sia a Ginevra che nella conferenza panamericana, un atteggiamento societar1o, egli avrebbe ottenuto che Saavedra Lamas fosse chiamato a presiedere prossimamente l'Assemblea. Si può immaginare quale importanza attribuisca il ministro degli E~teri argentino ~ 1che non gode fama di essere uomo poHti·co di grande levr.tura ~ al miraggio fattog.li balenare di poter presiedere l'Assemblea della

S.d.N. Questa prospettiva Jo ha indotto ad assumere, nei riguardi della conferenza panamer,icana, un atteggiamento che implica il mantenimento di relazioni seguite dell'America latina con l'organismo ginevrino.

Rivas Vicufia mi ha in'Oltre informato di aver recentemente suggerito al proprio Governo di consentire che egli assumesse a Ginevra un atteggiamento non so:tanto favorevole all'Italia in generale, ma addirittura di sostegno al riconoscimento della sovranità italiana sull'Etiopia. Egli intenderebbe ricordare che il memoriale italiano in cui si sosteneva che l'Etiopia era uno Stato che non possedeva i requis·iti necessari per far parte della S.d.N. non era stato preso nella debita considerazione, che il Comitato dei Cinque aveva, da parte sua, riconosciuto che l'Abissinia non avrebbe potuto progredire senza l'aiuto

di qualche Stato estero, il che corrispondeva a suggerire che essa fosse amministrata come un territorio sotto mandato. Ora ciò significa che lo stesso Comitato dei Cinque si rendeva conto che l'Abissinia non si doveva né poteva considerare come uno Stato libero ed indipendente. A ciò si doveva aggiungere la fuga ignominiosa del Negus che aveva lasciato dietro a sé il caos, tanto che l'arr,ivo ad Addis Abeba delle nostre truppe era stato invocato dagli stessi Stati sanzi:onisti. Per queste rag,ioni, Rivas Vicufia .Lnt&nderebbe ehiedere che la S.d.N. riconosca lo stato di cose create dall'ItaUa che è il solo che corrisponda all'interesse stesso dell'Etiopia.

Rivas Vicufia mi ha pregato di mantenermi in contatto con lui e di fargli conoscere quali fossero ulteriormente i de,sideri dell'It&.lia, giac·chè è sua intenzione di fare il possibile pe,r sostenerli. L'ho vivamente ringraziato e l'ho assicurato che avre,i riferito le sue intenzioni alla E. V.

(l) Vedi p. 152, nota 2.

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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5507/056 R. Belgrado, 6 giugno 1936 (per. l'8).

Secondo notizie riferitemi da fonte diplomatica solitamente seria e bene informata mi risulterebbe quanto segue: ri!Unione Capi di Stato della Piccola Intesa a Bucarest sarebbe dovuta a iniziativa di Benès insofferente dell'inazione cui lo costringe sua nuova posizione di Capo di Stato e deside11oso riprendere in mano le cose della Piccola Intesa le quali vanno male specialmente per la Cecoslovacchia dopo che Locarno si è palesato inoperante, e che è stata scossa fiducia nella sicurezza collettiva rappresentata da Ginevra. Titulescu avrebbe aderito farsi organizzatore della riunione e adoperarsi :per adesi.ane jugoslava. Invito è stato rivolto a Principe Reggente J1ugoslavia e a Stojadinovi·c al chiudersi del convegno della Piccola Intesa 'a Belgrado ai pr,imi di maggio prospettando opportunità di una nuova più solenne affermazione de1la coesione dei tre Stati e in tal senso sarebbe stato accolt.a. Senonchè successivamente Romania d'accordo con Cecoslovacchia avrebbe espresso intenzione porre sul tappeto l'esame del progetto di patto di mutua assistenza romeno-sovietica e chiesto alla Jugoslavia se e fin dove avrebbe :potuto impegnarsi a seguire orientamento di Praga e di Bucarest verso Mosca nella ricerca di nuovi elementi di sicurezza per la Pi~ccola intesa. Belgrado avrebbe risposto: non essere in

grado dare per om akun affidamento circa riconoscimento sovieti; desiderare che la questione del patto romeno-sovietico non formi oggetto della riunione dei tre Capi di Stato; non opporsi 'alla 'sua ~conclusione da parte romena come già non si è opposta aLla conclusione del patto ceco-sovietic·o ma non vedervi un suo diretto interesse e non essere perciò disposta a-d assumere impegni; qurulora Romania intendesse sottoporre ad esame tecnico deg,li alleati le clausole militari del patto 'avrebbe potuto farlo in sede ~convegno Stati Maggiori della Piccola Intesa a Bucarest fissata per la fine di maggio. Tale convegno avrebbe infatti avuto luog.a ma per qua;nto riguarda la Jugoslavi'a non avrebbe avuto grande rilievo; da ,parte jugoslava vi avrebbero partecipato ufficiali in sott'ordine, e la stampa avrebbe avuto istruzioni di non pariarne. Lo Stato Maggiore romeno avrebbe dato conto delle progettate clausole militari del patto romeno-sovietico, secondo le quali sarebbe previsto il passaggio delle truppe dell'U.R.S.S. attraverso la Bucovina in di:rezi.one della Slovacchia e la demilitarizzazione della frontiera del Dniester; i delegati militari ju~oslavi per ciò che riguarda questo argomento -avrebbero dovuto limitarsi ad ascoltare e a rifer1re.

Secondo l'informatore vi sarebbe l'impegno della Romania di non riparlare del patto romeno-sovietico nel convegno fra i tre Capi di Stato. Aggiungo però che StDjadinovioc a buon wnto e per evitare eventuali compromissioni si è astenuto dall'accompagnare a BucaTest il Principe Paolo pretestando opporvisi una norma costituzionale jugoslava secondo la quale non sarebbe ammissibile la contemporanea assenza dal Regno del capo dello Stato e del capo del Governo; inoltre gli hamno dato buon giuoco le agitaziùni e g.U scioperi che vanno estendendosi nel Paese.

Cosi Belgrado intende mantenere alla riunione il ·carattere di affermazione formale, per quanto solenne. La stampa, come da evidente consegna, mantiene quasi completo silenzio nei riguardi del convegno limitanJÙosi a rilevare la eccezionalità della presenza dei capi dei tre Stati come riprova del solito «perfetto accordo » e della consueta « identità di vedute » fra i tre membri della Piccola Intesa. D'altra parte il comunicato di ieri sera relativo alla partenza del Reggente annuncia semplicemente che « S.A.R. il Principe Paolo è pa,rtito per la Romania in visita da S. M. Re Caro! ».

204

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI ARGENTINA A ROMA, CANTILO

APPUNTO. Roma, 6 giugno 1936.

Il signor Cantilo ha insistito .per vedermi perchè vuoi darmi notizia di uno scambio di idee avvenuto tra lui e il ministro Saavedra Lamas.

Cantilo ha già spiegato a Buenos Aires non ritenere ~he l'Italia possa rassegnarsi al non riconoscimento. Il caso del Manciukuo è ben diverso e meno grave e quindi non può essere citato ad esempio. Tuttavia Saavedra Lamas insiste persuaso che la sua iniziativa porterà alla abolizione delle sanzioni mentre il non riconoscimento non può dar fastidio all'Italia.

L'ambasciatore mi dà anche l'unita copia dell'ultima lettera ricevuta dal suo ministro (1).

L'ambasciatore Cantilo tuttavia confida che si possa ottenere una modifica del punto di vista argentino. Occorre però che l'Italia concorra anche da parte sua. Egli pensa che si dovrebbe fare un esposto chiarendo le ragioni dell'Italia e dimostrando che 1'Ita1i•a non si è messa contro i princi·pi del Covenant sostenendo che i fatti ·compiuti hanno dato ragione alla tesi Haliana.

Crede ancora che l'Italia dovrebbe anche invitare la S.d.N. ~ad inviare ·in Abissinia una commissione per esaminare quali erano le condizioni antecedenti e quale è l'opera di civiltà fatta dall'Italia.

Rispondo all'ambasciatore che la questione da lui prospettata ha un certo mteresse sebbene non mi paia che almeno in parte sia attuabile. Mi pare pericoloso investire della questione, sia pure con mandato limitato, una commissione della S.d.N. che potrebbe prendere in esame tutto il problema e riaprire questioni che consider<iamo già esaurite.

L'ambasciatore non teme ciò perché il compito della commissione potrebbe essere di carattere tecnico soltanto per le constatazioni di cui sopra. Mi riservo di riesaminare la cosa e di riparlarne all'ambasciatore nei prossimi giorni.

(l) Non rinvenuta.

205

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN

APPUNTO. Roma, 6 giugno 1936.

L'ambasciatore Chambrun parte oggi per Parigi, avendo chiesto di poter andare a conferire col nuovo Governo.

Mi chiede se può riferire a. Par,igi che la situazione dell'Italia nei riguardi della Francia non è mutata, che l'Italia -risolta favorevolmente la questione etiopica -intende coLlaborare strettamente colla Francia, che tra l'Italia e la Germania -ad onta delle apparenze -non c'è nulla di nuovo, che non si tratta di misure di carattere milit'lrc alla front;iera francese che starebbero in contrasto cogli accordi Ga.melin-Badoglio (1).

Rispondo all'ambasciatore che formalmente la situazione tra. l'Italia e la Francia non è mutata, né c'è niente di nuovo tra l'Italia e la Germania. In effetti, però, le cose tra l"Italia e la Francia vanno male. Mentre noi dobbiamo registrare una minore rigidità da parte della Gran Bretagna e dell'U.R.S.S., ci scontriamo invece in una semure maggiore resistenza d::t na~t~ dena Francia. Non possiamo dimenticare anche i precedenti degli uomini del nuovo ministero e quelli di Blum e di Delbos non sono certo favorevoli a una politica di amicizia tra l'Italia e la Francia. Io non vedo quale intere~:>se la Francia possa avere ad a1ienarsi l'Italia nel momento in cui le altre maggiori Potenze a Ginevra tendono a una certa détente e la Germania dimostra una grande comprensione delle ragioni italiane.

L'ambasciatore de Chambrun non è disposto ad ammettere che le cose tra l'Italia e la Francia <Siano a un punto cosi critico ed ostenta una grande tranquillità e un grande ottimismo sulla possibilità di una ripresa in pieno della politica di amicizia itala-francese.

Mi chiede qualche notizia sul colloquio con S:::hus.::hnigg (1).

Gli dico che si è parlato della situazione austriaca in genere. Si è parlato anche di un eventuale modus vivendi tra la Germania e l'Austria, cosa che non è per nulla nuova essendoci già state delle conversazioni al riguardo tra Berger e von Papen e tra Starhemberg e von Papen. La cosa però non pare faccia dei progressi.

Osservo anche all'ambasciatore che l'Austria oggi, oltre all'appoggio dell'Italia non ne ha altri dalle Potenze europee: la Francia sarà assorbita completamente dalle proprie 'questioni interne; la Gran Bretagna pare più disposta a favorire la Germania contro l'Austria che ad aiutare l'Austria contro la Germania. La Piccola Intesa è divisa e secondo l'opinione di Schuschnigg tra la Jugoslavia e la Germania si è già moLto avanti. C'è già con tutta probabilità una alleanza militare.

Il signor de Chambrun pare molto colpito da questa ultima informazione.

All'atto di congedarsi mi raccomanda di non fare difficoltà alle autorità francesi in Abissinia di liberare il signor Gingold che dovrebbe essere sempre trattenuto in Asmara (2).

(l) Vedi serie ottava, vol. I., D. 480.

206

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'INCARICATO D'AFFARI DI GERMANIA A ROMA, VON PLESSEN

APPUNTO. Roma, 6 giugno 1936.

Metto al corrente il signor von Plessen sull'incontro con Schuschnigg (l) alla Rocca delle Caminate.

Esponendogli i tre punti che potrebbero formare oggetto delle concessioni del Cancelliere austriaco per raggiungere un modus vivendi, aggiungo al signor von Plessen che l'atteggiamento del Cancelliere ci pare ragionevole.

207

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 6538/671. Budapest, 6 giugno 1936 (per. il 10).

In questo ministero Esteri si afferma che a tutt'oggi non sarebbero qui giunte notizie mer,itevoli d'interesse circa la recente visitfl. del colonnello Beck a Belgrado, all'infuori di queLla generica, data da Beck all'incaricato di affari dl Ungheria in una brevissima conversazione avuta con lui prima d[ ripartire da Varsavia per la campagna, che egli, Beck, «era assai. soddisfatto dei risul

tati delle ,sue conversazioni » e «aveva parlato a Belgrado anche dei rapporti tra Ungher,ia e Jugoslavia ».

Su quest'ultimo argomento questo direttore degli Affari Politici ha tenuto a rilevare -in via personale -come la frase ad essi 'dedicata nel recente exposé di Kànya alla Camera fosse quanto mai generica e prudente: Kànya si era limitato in sostanza a riprodurre letteralmente le parole pronunziate tempo addietro da Stojadinovi,c, accompagnandole dal minimo indispensabile di commento. Se il Governo di Budapest non si rifiutava a qualche manife,stazione del genere e non si opponeva a qualche approccio, ciò avveniva anzituto -ha ammesso -per fare cosa gradita a Berlino ed a Varsavia, che non lesinavano pressi:oni in tal senso, e perchè non lo si potesse accusare di aver voluto perdere una buona occasione. Ma nello stesso tempo Budapest non si faceva illusioni -ha affermato il barone Bessenyey -circa le possibilità concrete e gli sviluppi reali dei rapporti ungaro-jugoslavi. Si aveva qui in sostanza l'impressione che, travagliato da gravi difficoltà interne, il Governo di Stojadinovic non studiasse -come alcuni speravano ed altri temevano -un mutamento radicale delle sue posizioni internazionaU, bensì tendesse soltanto a ridurre attualmente quanto più possibile le superfici di attrito, un po' da tutte le parti: semplice politica di normalizzazione e di raccoglimento, insomma, o tutt'al più di allentamento di legami troppo pesanti e serrati.

Ciò non toglieva che all'Ungheria potesse convenire di dare risalto, nella stampa o altrimenti, a queste tendenze, « anzitutto per seccare Praga e Bucarest».

Ciò non toglieva, neppure, che apprezzabili dissensi tra i componenti la Piccola Intesa ci fossero, nonostante ogni ,sforzo compiuto per occultarli: come avrebbe probabilmente provato anche la conferenza dei tre capi di Stato a Bucarest (1), sebbene riunita a scopo principalmente dimostrativo (2).

(l) -Vedi D. 192. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl.
208

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 2597/152 R. (3). Roma, 7 giugno 1936, ore 2.

Suvich ha informato von Plessen circa il mio colloquio con Schuschnigg (4). Si è parlato di un modus vivendi austro-germanico. È quasi superfluo dire che in massima sono favorevole.

(l) -Conferenza dei capi di Stato della Piccola Intesa riunitasi a Bucarest dal 6 all'8 giugno. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Minuta autografa. (4) -Vedi D. 192.
209

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, MARCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5490/59 R. Santiago, 7 giugno 1936, ore 18,42 (per. ore 6 dell'B).

Telegramma circolare di V. E. n. 2595 (l).

Presidente Alessandri e questo ministro Affari Esteri non (dico non) hanno mai inteso abbinare questione abolizione sanzioni con questione riconoscimento Etiopia; per sanzioni V. E. conosce preciso inequivocabile atteggiamento Cile. Per riconoscimento Etiopia, data delicatezza questione stessa, rimasi d'accordo con Alessandri che suo Governo non avrebbe risposto mia comunicaztone in proposito, lasc·iando così tempo e avvenimenti futuri agire favore riconoscimento stesso. Punto di vista italiano era stato, quindi, anticipatamente accettato. Vedrò Alessandri in settimana e riferirò (2).

210

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5488/589 R. Ginevra, 7 giugno 1936, ore 20,15 (per. ore 22).

Telegramma di V. E. n. 44 (3).

Costa Du Rels, col quale ho parlato a lungo stamane, mi ha confermato che aveva ricevuto istruzioni di associarsi ad eventuale iniziativa per l'abolizione delle sanzioni ma « regolandosi in modo da non far nulla che possa metterlo in contrasto con la Delegazione argentina». Costa Du Rels afferma:

l) che già a Parigi, prima della iniziativa Argentina, aveva chiar.ito a

S. E. Cerruti orientamento a noi favorevole del suo governo;

2) che passo Argentina per convncazlone Assemblea ha però bloccato la sua libertà di manovra come quella degli altri Stati sud-americani. Iniziativa di Saavedra Lamas mira precisamente a fissare atteggiamento Stati sudamericani di fronte agli impegni risultanti dal Patto, alla S.d.N. in generale e alla futura Conferenza di Buenos Aires. Necessita quindi di attendere che Assemblea si orienti decisivamente e si pronunci prima di assumere delle responsabilità. «Tale necessità è tanto più assoluta per la Bolivia in quanto arbitro della questione del Chaco è precisamente Governo argentino. Ho vergogna a confessarlo -ha precisato Costa du Rels -ma questa è la realtà della situazione».

3) Governo argentino, secondo quanto ha dichiarato Ruiz Guinazu a Costa du Rels, è d'avviso che i problemi del riconoscimento conquista militare e quello delle sanzioni sono indissociabili. Tesi argentina è che bisogna evitare che aggressore consolidi sua conquista. A tal fine non vi è che un metodo: continuare a mantenere le misure previste dal Patto. Ruiz Guinazu ha anche precisato che, se la questione verrà in dicscussione davanti all'Assemblea, l'Artina voterà in favore del mantenimento delle sanzioni.

Atteggiamento Argentina condizicna gravemente QUello boliviano. A fine settembre si riaprirà Conferenza Chaco e un atteggiamento preso in merito ora che Governo boliviano potrebbe essere gravido di conseguenze per l'avvenire, sopratutto se, rifiutando Paraguay di eseguire gli accordi intervenuti La Paz invocasse adozione opportune misure contro di esso.

Ho detto a Costa dm Rels che problema delle sanzwni non aveva nulla a che fare con quello del riconos:::imento, che tesi Argentina era infondata giuridicamente e pericolosa politicamente, che, in ogni caso, due questioni andavano studiate; che se egli avesse presentato ora nota al Segretariato Generale S.d.N. in conformità istruzioni avute, suo esempio sarebbe stato ,seguito da altri e avrebbe potuto derivarne immediato alleggerimento grave situazione politica attuale. Ho fatto appello coraggio cui egli aveva dato prova durante il conflitto Chaco e atteggiamento favorevole al suo Paese deila nostra Delegazione durante tutto il predetto conflitto.

Costa du Rels, di fronte mie argomentazioni, fìnito col promettermi: l) che si sarebbe attivamente adoperato per fare dissociare due problemi in maniera da poter avere libertà d'iniziativa nella questione sanzioni;

2) che qualora Argentina avesse insistito per discutere le due questioni in blocco e l'Assemblea avesse accettato tale punto di vista, egli si sarebbe astenuto dal votare il mantenimento delle sanzioni. Non ha escluso di poter votare anche contro, per quanto mi è sembrato assolutamente preocoupato dell'atteggiamento argentino e sopratutto di non fare nulla che possa essere male interpretato a Buenos Aires.

Secondo Costa du Rels, iniziativa Argentina, avendo paralizzato la libertà di manovrare di tutti gli Stati sud-americani, ha, per questo fatto, particolare gravità. Egli è personalmente favorevolissimo a noi e farà tutto quanto è in lui per esserci utile ma, d'accordo 'Con La Paz, ha insistito su questo punto, non può fare nulla che possa compromettere posizione della Bolivia nella prossima ripresa della Conferenza il cui presidente è Saavedra Lamas.

(l) -Vedi D. 199. (2) -Vedi D. 268. (3) -Numero di protocollo errato. Si tratta in realtà del T. 2565/72 R. del 5 giugno, ore 24, che ritrasmetteva Il T. 5388/59 R. da La Paz del 4 giugno, ore 9,15, con il quale Toni riferiva che il governo boliviano aveva impartito istruzioni telegrafiche al proprio delegato a Ginevra per la sospensione delle sanzioni.
211

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5487/53 R. Bucarest, 7 giugno 1936, ore 21,30 (per. ore 23).

La prima giornata del convegno tra capi di Stato (l) è caratterizzata dal pessimismo che traspare dai discorsi da essi pronunciati sulla situazione gene

rale dell'Europa. Da mia parte nulla ho trascurato nei giorni scorsi e nulla trascurerò oggi e domani per far comprendere che è impossibile un rischiaramento della situazione finché si continuerà a trascurare l'elemento più necessario stabilità europea che è l'Italia.

Nei discorsi dei Capi di Stato se non si notano accenni soliti luoghi comuni della sicurezza collettiva e della fedeltà assoluta a Ginevra, non si scorgono però nemmeno accenni a un coraggi:oso tentativo antisanzionista nell'intento di riportare Italia alla collaborazione europea. Il pessimismo generale, che traspare dal convegno, è sottolineato dall'accasciamento di Titulescu che, nonostante il suo umiliante viaggio Belgrado (mio telegramma n. 52) (1), non è riuscito a portare qui Stojadinovic, cosicchè convegnu non solo rimane senza decisiva importanza politica, ma sottolinea anzi contral'>to di idee e direttive che travag1iano compagine Piccola Intesa.

212.

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTER:(, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PER CORRIERE 2609 R. (2). Roma, 7 giugno 1936.

La crisi sociale della Francia che si aggiunge a quella della Spagna possono fornirti motivo per lavorare i conservatori. Puoi aggiungere che anche la Gran Bretagna vedrà esperimento occupazione fabbrkhe. Secondo nostre informazioni da Praga, l'occupazione delle fabbriche in Inghilterra comincerà nella zona di Glasgow.

213.

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 5515-5528/343-344 R. Washington, 8 giugno 1936, ore 11 (per. ore 21).

Giudico opportuno tracciare a V. E., nelle sue grandi Hnee, quadro della situazione americana nei riguardi del problema etiopico.

Come già segnalato, Dipartimento di Stato intende astenersi da qualsiasi atto che possa essere interpretato ·Come riconoscimento della sovranità italiana instaurata sui territori conquistati. Tale attitudine è dettata, oltre che da considerazioni di carattere internazionale, anche da timori di provocare, nell'attuale delicato momento della campagna presidenziale, reazioni troppo vive da parte di quelle larghe correnti che, per vari motivi, continuano ad esserci ostili. È ovvio d'altra parte che nostra diretta azione per ottenere riconoscimento dell'annessione non potrebbe aver 1uogo se non dopo dichiarazioni Presidente che proclami cessazione dello stato di guerra. Prima di allora, anche

tl semplice sospetto di un'azione del genere, solleverebbe vivaci proteste dell'elemento anglofilo e pacifista e fornirebbe al Dipartimento di Stato argomento abbastanza plausibile per giustificare sue presenti esitazioni.

Miei contatti personali mi hanno convinto che Dipartimento di Stato si sente imbarazzato nello spiegare ritardo frapposto per rispondere alla revo.ca della dichiarazione del novembre scorso, che aveva constatato esistenza dello stato di guerra. Unica ragione, attualmente addotta, è che situazione in Etiopia non appare ancora sufficientemente chiara. Tale argomento diventa però ogni giorno più debole. È bene rendersi conto che tale revoca non implicherebbe in alcun modo riconoscimento dell'annessione, d'altronde è tuttavia evidente che esso avrebbe notevole valore morale.

In presenza di questa situazione e seguendo tattica adottata con successo al momento della discussione della legge della neutralità, ho creduto tempestivo adoperarmi per riaccendere polemiche di carattere giuridico ed antileghista e mi sono servito a tale fine dei giornali e degli elementi itala-americani che si mostrarono allora più abili ed efficaci. (Pope coi suoi giornali, Unione Italiana d'America con D'Annunzio ecc.).

Questa polemica è stata impostata su basi seguenti: l) con la cessazione delle ostilità si è verificato stato di fatto previsto per revoca del proclama presidenziale del novembre scorso e per la sospensione dell'applicazione della legge della neutralità, che è quindi illegale di mantenere in vigore; 2) la presente linea di condotta americana lascia adito al sospetto di essere influenzata dalla politica inglese di Hoare perciò finisce per essere una forma di adesione alla politica sanzionista della S.d.N., in violazione del principio di assoluta indipendenza della politica americana quale dichiarata solennemente ed affermata dal Congresso. In questo senso ho sp~nto Gr. Uff. Pope ad iniziare campagna di stampa sui suoi giornali. Egli ha pure esercitato pressioni personali ed elettorali su ministro delle Poste, Farley, il quale è al tempo stesso membro del Gabinetto e capo del partito democratico. In pari tempo giudice Cotillo ha diretto al presidente lettera aperta, segnalato con Agenzia Stefani 223, e che ha ottenuto larga pubblicità nella stampa americana. Inoltre, R.R. consolati sono stati da me invitati a dare massimo rilievo alle celebrazioni della vittoria ed alle varie cerimonie patriottiche di queste ultime settimane in modo da mettere in evidenza sentimenti della massa elettorale itala-americana. Molte adunate in massa hanno avuto luogo in vari centri ed altre sono in preparazione. Nuove adunate, indette a New York pel 13 corrente, riuniranno, secondo previsioni, non meno di 100.000 persone. Insieme con azione svolta attraverso elementi itala-americani, cerco di agire indirettamente mediante miei contatti con elementi che propugnano astensionismo dai problemi politici europei. Esponente principale della corrente isolazionista è stampa Hearst. Sono sintomatici editoriali Hearst ed articoli del democratico signor Baruch, segnalato con Agenzia Stefani 223, i quali, partendo dall'affermazione dell'astensionismo, giungono ad attaccare sanzioni

come contrarie al mantenimento della pace. Significativa pure è intervista riprodotta dal New York Herald nella quale senatore Vanderberg (un candidato repubblicano alla Presidenza) si dichiara contrario all'adesione alla Lega ed alla cooperazione alla politica sanzionista, ma favorevole alla collaborazione per il mantenimento della pace nell'ambito del continente americano. Queste correnti valgono già a neutralizzare le attività degli elementi a noi avversi e che mirano a colpirci, anche attraverso iniziative indirette, come quella della National Peace Conjerence e delle Chiese presbiteriane segnalate con Stefani 221.

Concludendo, per quanto non se ne vedano ancora segni positivi, non è da escludere che presidente Roosevelt possa revocare, in un futuro relativamente prossimo, la proclamazione circa la cessazione dello stato di guerra. Situazione presente fa escludere invece che il Governo americano intenda prendere iniziativa implicante il riconoscimento dell'annessione. Si va facendo strada, comunque, convinzioni che questione etiopica dovrà trovare una soluzione su basi realistiche di cui condizioni fondamentaU sono riavvicinamento itala-inglese.

Negli ambienti responsabili, e perfino in quelli a noi ostili, tale riavvicinamento viene auspicato come condizione necessaria per rischiarare orizzonte europeo ed aumentare probabilità di pace sul cui mantenimento permangono, qui, vive prenccupazioni.

Prego comunicare al R. ministero della Stampa.

214.

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5519/54 R. Bucarest, 8 giugno 1936, ore 14,20 (per. ore 20).

In occasione di una cerimonia, cui ha dato luogo convegno di Bucarest (1), ho avuto lunga conversazione con presidente Repubblica cecoslovacca. Gli ho detto essere mio dovere richiamare, come già avevo fatto con i signori romeni, sua attenzione sulla estrema gravità del momento attualE: per l'ordine e la pace in Europa centrale. Se non fosse stata presa immediatamente la decisione della sospensione delle sanzioni, e io non sapevo vedere chi più della Piccola Intesa era in grado ed era interessata a prendere l'iniziativa, l'Italia avrebbe con molta probabilità sciolto ultimo legame che ancora l'univa a Ginevra con tutte le conseguenze che ne potevano derivare.

Benès mi ha risposto che Piccola Intesa aveva in comune con l'Italia problema dell'Anschluss, quindi esisteva un terreno solido di intesa. Senonchè l'Italia, 'che negli ultimi mesi non aveva fatto che atti di guerra doveva ora mostrare sua volontà di pace mostrandosi disposta a venire incontro alla Piccola Intesa prendendo e riprendendo iniziativa di un patto danubiano e proporre un patto mediterraneo.

Ho replicato che l'Italia aveva fatto la guerra all'Abissinia, mentre l'Europa l'aveva fatta all'Italia. Poiché la pace con il popolo abissino era fatta, occorreva

che fosse l'Europa, oggi, a dimostrare in tale circostanza, la sua volontà e il suo desiderio di ottenere la collaborazione dell'Italia. Inoltre gli ho fatto rilevare non capire come Mussolini, il quale non aveva trattato mentre la flotta inglese era nel Mediterraneo, si indurrebbe a trattare i problemi dell'Europa danubiana sotto la pressione delle sanzioni.

Benès mi ha allora spiegato che la Piccola Intesa, la quale aveva da sedici anni fondata tutta la sua politica sulle regole di Ginevra, non poteva oggi prendere iniziative per allontanarsi da essa. Gli ho a mia volta spiegato tesi da me già presentata a Titulescu della «illegalità » delle sanzioni. Ma su questo terreno Benès ha cercato di sfuggire. Si è invece dilungato a dire che, pur non avendo informazioni precise circa mossa Argentina, credeva che si potesse manovrare su di essa dando, da una parte soddisfazione all'Italia col fare decidere a Ginevra soppressione çlelle sanzioni, e dall'altra dando soddisfazione ai più zelanti ginevrini con una decisione di non riconoscimento del fatto compiuto.

Ho opposto che tale «non riconoscimento» avrebbe fatalmente preso aspetto di una nuova condanna «morale» dell'azione italian!'. con l'aggravante dell'impegno « politi·co » del non riconoscimento. In tal caso ciò sarebbe stato considerato da V. E. come una nuova provocazione e avrebbe forse affrettato un definitivo distacco dell'Italia da Ginevra.

Benès si è allora diffuso nella dimostrazione della necessità per l'Italia di dare prova della sua buona volontà. <<Ci sono due contendenti, Italia e Europa, che però hanno interessi sostanziali comuni. È necessariu che camminino uno verso l'altro per incontrarsi a mezza strada. Se io parlassi con Mussolini gli spiegherei questo e sono sicuro che egli mi verrebbe incontro ».

L'ho pregato di non farsi ilLusioni sulla possibilità che V. E. voglia accettare trattare questione sicurezza Europa danubiana in regime di sanzioni e di non voler perdere suprema eventualità ormai rimasta di contribuire a creare, con una iniziativa immediata per l'abolizione delle sanzioni, quell'atmosfera nell'ambito della quale l'Italia potrebbe considerare, d'accordo con la Piccola Intesa e con i nostri alleati, problema skurezza Europa centrale.

215.

IL MINISTRO A MONTEVIDEO, MAZZOLINI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5537/64 R. Montevideo, 8 giugno 1936, ore 21,20 (per. ore 4,30 del 9).

Telegramma di V. E. n. 2595 (l).

Ho avuto oggi nuovo colloquio con presidente della Repubblica e col ministro degli Affari Esteri. L'uno e l'altro mi hanno confermato quanto forma oggetto dei miei telegrammi n. 61 (2) e 62 (3).

22 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

Il signor Terra mi ha detto che, a suo modo di vedere, il gesto di Saavedra Lamas obbedisce ad una sconfinata ambizione personale. Da Buenos Aires sono state fatte vive premure al suo Governo per la ratifica del Patto antibellico (1), che sarà concessa in questi giorni anche perché il Governo argentino ha accolta una richiesta dell'Uruguay relativa all'impianto di un servizio fluviale di ferry-boats tra i due Paesi, che favorirà molto il turismo nell'Uruguay. Il signor Terra ha aggiunto che il Patto anti-bellico non è applicabile al conflitto italoetiopico, di carattere coloniale, e che egli è d'avviso che il problema del riconoscimento dell'annessione non può essere risolto a così breve tempo dalla fine del conflitto.

Avendo mostrato al presidente della Repubblica ed al ministro degli Affari Esteri una notizia pubblicata dai giornali secondo la quale il ministro dell'Uruguay a Londra avrebbe partecipato al ricevimento del Negus, essi mi hanno detto che il Governo detesta ospite e non dette nessuna autorizzazione e che dubitavano della veridicità della notizia.

(l) Vedi p. 259, nota l.

(l) -Con T. 5177/52 R. del 30 maggio, ore 20,30, Sola aveva riferito circa il precipitoso viaggio d! Titulescu a Belgrado per cercare di Impedire la defezione di Stojadinov!c. (2) -Minuta autografa.

(l) Vedl p. 259, nota l.

(l) -Vedi D. 199. (2) -Vedi D. 151. (3) -T. 5368/62 R. del 3 giugno. ore 21,18. Riferiva le dichiarazioni del presidente della Repubblica uruguayano, Terra, il quale aveva assicurato che il suo governo si sarebbe impegnato attivamente per impedire che dalla riunione dell'Assemblea della Società delle Nazioni chiesta dall'Argentina per discutere il problema etiopico potessero derivare dei danni. alla posizione dell'Ttalia. Istruzioni in questo senso erano state inviate al delegato presso !a S.d.N.
216

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. 2635/112 R. (2). Roma, 8 giugno 1936, ore 24.

Colloquio avuto oggi con Cantilo (3) attenua mie prime impressioni circa mossa Argentina, mossa che solleva sempre il più grande entusiasmo nell'antifascismo mondiale. Tenga nota di ciò nel caso di colloqui costì dopo il mio precedente telegramma (4).

217

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5561/034 R. Atene, 8 giugno 1936 (per. il 10).

Telegrammi circolari di V. E. n. 2456 e n. 2490 (5).

Ho intrattenuto a due riprese questo presidente del Consiglio e questo segretario generale del ministero degli Affari Esteri nel senso dei telegrammi di V. E. sopraricordati.

Al generale Metaxas -il quale mi aveva manifestato la sua soddisfazione e quella del governo greco per le dichiarazioni di S. E. il Capo del Governo circa il trattato italo-greco (6) -ho detto che nelle attuali circostanze si offriva a

lui l'occasione dl rispondere ad esse con un gesto che sarebbe stato certamente apprezzato in Italia e che avrebbe non solo cancellato Ja penosa impressione che aveva lasciato nell'opinione pubblica e nel Governo italiano l'ingiustifi.cata campagna che la stampa greca aveva fatto durante la crisi itala-etiopica ed itala-inglese, ma avrebbe ridato alla Grecia nel giudizio degli italiani quella situazione speciale che essa dovrebbe sempre cercare di avere come Potenza meditenanea. Gli ho fatto rilevare tutti i danni che le sanzioni avevano arrecato alla Grecia citandogli cifre e dati fornitimi da questo ufficio commerciale e, valendomi degli argomenti fornitimi da V. E., ho insistita sul nessun fondamento giuridico e morale che specialmente oggi -a guerra finita -avevano le sanzioni. Lo ho invitato a considerare tutte le ·conseguenze che per la pace europea poteva avere un eventuale ritiro dell'Italia dalla Lega delle Nazioni, e quelle ancora più gravi di un eventuale conflitto europeo sopratutto per la Grecia che sarebbe certamente stata un importante setto.re del teatro della guerra e ne avrebbe sofferto più di ogni altro Paese, i danni.

Egli ha risposto che, pur condividendo le mie considerazioni e le mie apprensioni e pur essendo lui personalmente e la maggior parte del popolo greco decisamente favorevole all'Italia, non aveva la Grecia il potere di prendere una .parte direttiva nella questione delle sanzioni, sia perché la sua azione e la sua attitudine al riguardo era stata concertata coi suoi alleati e sia perché essa non aveva la forza di mettersi contro le grandi Potenze. Se lai Francia o l'Inghilterra avessero desistito dalla politica sanzionista, la Grecia le avrebbe seguite con entusiasmo giacché da un lato il Governo greco da lui presieduto era fortemente desideroso di vedere che i rapporti italo-greci tornassero ad avere quella cordialità che avevano avuto nel rpassato, e dall'altro tutto il popolo greco voleva che cessassero i danni che le sanzioni e la tensione dei rapporti fra i due Paesi avevano arrecato al commercio greco.

Ho nuovamente insistito sul fatto che le sanzioni erano frutto di un atto sovrano di Governo, dipendente esclusivamente dal libero esercizio della sovranità di ogni singolo Stato e che non oc•correva concertarsi con nessuno per abolirle; ho fatto rilevare ancora che la Grecia era di fronte all'It::JJlia in situazione differente di quello che non fossero gli altri suoi alleati balcanici.

Metaxas mi ha detto che avrebbe in ogni modo dato istruzioni ai rappresentanti greci a Ginevra di cercare di mantenere una l.inea di condotta che, pur salvaguardando il contatto cogli alleati, fosse il più possibile favorevole all'Italia.

Gli stessi ed analoghi argomenti ho svolto in due colloqui con questo segretario generale del ministero degli Affari Esteri. A questi, che fu già ministro a Roma e col quale ho rapporti di amicizia, ho creduto che non fosse del tutto inutile, per ribadire le idee ed anche perché egli andrà probabilmente a Montreux ed a Ginevra, lasciare un appunto scritto e gli ho rivolto la lettera particolare di cui, ad ogni buon fine, trasmetto il testo a V. E. con telegramma per corriere con numero successivo (1).

Il signor Mavrudis mi ha risposto in termini pressoché identici a quelli del presidente del consiglio, promettendomi che nelle prossime riunioni di Ginevra la Grecia avrebbe fatto lavoro di propaganda e di persuasione per ogni soluzione favorevole all'Italia.

Analoga azione ho cercato di esercitare su giornalisti ed uomini politici greci. Trasmetto con telespresso a parte (l) testo due articoli scritti in seguito a miei colloqui con direttori di essi; riferirò altri risultati, se ve ne saranno.

Ho creduto esporre dettagliatamente quanto precede a V. E. per dedurne che se gli attuali uomini di Governo greci sono nei nostri riguardi meno ciecamente ostili di quello che erano i loro predecessori e se l'opinione pubblica e la stampa ellenica, impressionate dallo spettacolo di forzà dato dall'Italia nella recente crisi, riconsiderano non senza apprensione la loro attitudine passata, non è ancora tuttavia lecito farsi illusioni ed attendere dai primi e dalle seconde un cambiamento di rotta. Troppi elementi interni ed esterni agiscono ancora su questo Paese che non ha la volontà né si sente la forza di fare una politica indipendente dai suoi cosidetti amici e protettori lontani e vicini.

(l) -Vedi p. 17, nota 3. (2) -Minuta autografa. (3) -Il verbale di questo colloquio non è stato rinvenuto. (4) -Vedi D. 195. (5) -Vedi DD. 142 e 158. (6) -Si riferisce alle dichiarazioni di Mussolini nell'intervista al Daily Telegraph del 26 maggio (vedi p. 142, nota 1). All'intervistatore che aveva dQmandato se era giustificata la paura delle piccole Potenze mediterranee per la politica imperialista dell'Italia, Mussolini aveva risposto: <<Questi Paesi non hanno nulla da temere, assolutamente nulla. L'Italia ha dei trattati d! amicizia con la Grecia e con la Turchia e intende rispettarli ».

(l) Non pubblicato.

218

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5574/590 R. Ginevra, 8 giugno 1936 (per. il 10).

Seguito mio telegramma 589 (2).

V. E. avrà notato da quanto ho riferito sulla conversazione da me avuta con Costa du Rels che quest'ultimo, pur ammettendo dl aver ricevuto istruzioni di associarsi ad ogni iniziativa intesa alla abolizione delle sanzioni, afferma che tali istruzioni insistono perché egli nulla faccia ctie possa metterlo in contrasto aperto con delegazione argentina e sopratutto nulla che possa pregi:udicare la posizione della Bolivia nella seconda fasr; della Conferenza del Chaco.

Ho cercato di convincere Costa du Rels che con lv scrivere una lettera al segretario generale informandolo che il suo governo, nel pieno esercizio della sua sovranità aveva deciso di sopprimere le sanzioni d&to che era cessato il motivo che le aveva determinate, egli non prendeva posizione tale che gli potesse essere rinfacciata durante la ,prossima Conferenza del Chaco, e che potesse compromettere il suo Governo. Non vedevo quale rapporto potesse esistere tra le due cose. Il Governo boliviano avrebbe avuto modo, se ci teneva, a mostrare in altre forme il suo attaccamento alla S.d.N.

Tuttavia Costa du Rels è rimasto fermo sulle sue posizioni e ho compreso che il suo atteggiamento è dominato esclusivamente dalla preoccupazione di non fare cosa poco grata alla delegazione argentina. Costa du Rels mi ha aggiunto che il Governo italiano non poteva dubitare cl.ella sincerità dei suoi

sentimenti amichevoli. Egli ne aveva dato prova anche nell'ottobre scorso pronunciando un discorso che gli aveva fruttato numerose lettere anonLme che lo accusavano di essere venduto all'Italia.

Egli era d'accordo col suo Governo per l'abolizione delle sanzioni. E avrebbe preso l'iniziativa di scrivere direttamente ad Avenol, come ne aveva l'intenzione, se nel frattempo non fosse sorta l'iniziativa arger1tina che aveva paralizzato la sua libertà d'azione; paralizzata perché era chiaro che la mossa argentina mirava a mettere gli Stati sud-americani con le spalle al muro e definire apertamente il loro atteggiamento di fronte alla S.d.N. e alla futura conferenza panamericana. Ora, di tutti gli Stati sud americani quello che si trovava in condizioni più delicate era la Bolivia, dato che il conflitto del Chaco era terminato solo di nome ma non di fatto e che arbitro della soluzione di tale conflitto restava precisamente il Governo argentino. Di qui la necessità per lui di non prendere iniziative intempestive. Il fatto sopratutto che la delegazione argentina avrebbe insistito, a quanto gli aveva dichiarato lo stesso Ruiz Guinazu, per non dissociare i due problemi del riconoscimento e delle samioni, rendeva indispensabile per lui attendere di vedere come l'Assemblea si sarebbe regolata di fronte a tale presa di posizione e regolare il suo atteggiamento in armonia a quello degli altri Stati sud americani.

Ho chiesto allora al signor Costa du Rels -come mia personale informazione -se egli non avesse ricevuto già precise istruzioni da La Paz di scrivere al segretario generale, ed gli mi ha risposto che tali istruzioni esistevano, ma contenevano la riserva di cui mi aveva fatto cE:nno. Di fronte a tali precisazioni non ho creduto opportuno di insistere. Tuttavia, siccome dalle comunicazioni fatte dal nostro incaricato d'affari a La Paz a V. E. non risulta che le istruzioni inviate contengano nessuna riserva relativa all'atteggiamento della delegazione argentina ma soltanto l'indicazione che il Governo boliviano si rimette aUa « sagacia » di Costa du Rels perché agisca upportunamente, V. E. giudicherà se non sia il caso di sollecitare direttamente il Governo boliviano perché ordini a Costa du Rels di fare il suo passo indipendentemente dalla riunione dell'Assemblea e dai risultati dei suoi lavori.

Aggiungo a titolo di semplice informazione che Costa du Rels mi ha espresso il parere che l'atteggiamento a noi ostile dell'Argentina è determinato da ragioni puramente economiche. Secondo il delegato boliviar1o fra qualche anno l'Italia farà la concorrenza sui mercati europei ed extra-europei all'Argentina con il grano etiopico e col bestiame etiopico. L'Argentina sente questo pericolo ed è quindi decisa a battersi con tutte le sue forze per impedire che l'Italia possa consolidare il suo possesso e fare dell'Etiopia un formidabile mercato di produzione per tutto quanto ha tratto ai cereali e alla carne, mercato che minaccia seriamente gli sbocchi argentini di vendita. Mi sembra che questa ipotesi non abbia alcun fondamento serio e resto sempre fermo nell'idea che Buenos Aires agisca d'intesa con Londra.

A meglio chiarire l'atteggiamento di Costa du Rels aggiungo che quest'ultimo è stato nominato ministro di Bolivia a Buenos Aires ed ha ottenuto dal nuovo Governo boliviano di rinviare di sei mesi la sua partenza per la nuova sede.

(l) -Non pubbl!cato. (2) -Vedi D. 210.
219

IL MINISTRO A CITTÀ DEL MESSICO, MARCHETTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5554/59 R. Città del Messico, 9 giugno 1936, ore 13,45 (per. ore 2 del 10). Mio telegramma n. 53 (1).

Non perdo occasione, nei miei contatti quasi giornalleri con uomini di Governo o vicini al Governo, di sviluppare argomenti giuridici, politicamente pratici, che dovrebbero consigliare al Messico di correggere. se anche in ritardo, suo atteggiamento a noi sistematicamente ostile. Ma se molti, in privato, si mostrano consenzienti, posizione ufficiale di questo Governo non muta. Essa si ispira ai due noti ordini di idee: D attaccamento Ginevra, considerata come la tribuna dalla quale il Messico può fare sentire la sua voce nel mondo; Il) necessità di politica interna di blandire la piazza e le organizzazioni di estrema sinistra sulle quali il Governo si sostiene e che sono accanitamente antifasciste.

Tale stato di cose non può essere corretto dalle mie argomentazioni. Le quali, però, forse hanno contribuito ad impedire, finora, in questa ultima fase, una nuova violenta presa di posizione del Governo messicano contro di noi. Ma non mi faccio illusione, pur continuando a lavorare per il meglio, e temo che queuto Governo non mancherà occasione, qui ed a Ginevra, di levare ancora la sua voce a favore del cosiddetto aggredito e di dar sfogo al suo livore antifascista.

220

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5544/342 R. Parigi, 9 giugno 1936, ore 21,40 (per. ore 24).

Telegramma di V. E. n. 295 (2).

Léger mi ha detto stamane che non ha ricevuto ancora risposta circa occupazione di due capannoni della dogana per parte delle truppe francesi a Dirè Daua. Presumeva ad ogni modo che ciò fosse effettivamente avvenuto perché baracche entro il campo francese non si prestavano ad alloggiare convenientemente truppe giunte da Gibuti. Per queste ragioni egh aveva preparato telegramma, che sperava far approvare dal ministro degli Affari Esteri e potesse quindi partire oggi, con istruzioni di abbandonare senza indugio baracche occupate e di predisporre anzi partenza per Gibuti di una compagnia senegalesi. Questo ritiro, secondo quanto mi lasciò intendere Léger, doveva marcare primo passo di una politica che senza necessitare trattative col governo italiano e senza

dare nell'occhio e provocare quindi reazione da parte di taluni circoli francesi, mirava a fare rientrare a Gibuti tutte le truppe francesi dislocate in Etiopia. Léger mi disse di essere certo che noi avremmo compreso e quindi apprezzato linea di condotta suddetta.

Ho risposto che effettivamente anche nostro atteggiamento, che aveva escluso richiesta del ritiro delle truppe francesi, si era ispirato al convincimento che il Governo francese avrebbe seguito procedura da lui menzionata tanto più che la presenza a Dirè Daua del battaglione di senegalesi non aveva più alcuna ragione di essere.

(l) -T. 4964/53 R. del 22 maggio. ore 14.32, con il quale Marchetti riferiva circa i propri sforzi per far comprendere a varie personalità vicine al governo l'inopportunità di un'ulteriore permanenza del Messico a Ginevra. (2) -Vedi p. 200, nota l.
221

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5543-5545/344-345 R. Parigi, 9 giugno 1936, ore 21,35 (per. ore 24).

Telegramma di V. E. n. 2601/C (1).

Da quanto mi ha detto Léger, Governo francese non ha notizie precise circa data riunione Conferenza Montreux. Esso propenderebbe ritardarla dopo riunione Consiglio ed Assemblea S.d.N. considerando che primitiva data del 22 corrente era stata scelta in considerazione della riunione del Consiglio per il 16. Argomenti da me svolti a Léger lo convinsero maggiormente dell'opportunità ottenere proroga, pertanto egli diede in mia presenza istruzioni a Saint-Quentin perché Governo britannico fosse opportunamente interessato dall'ambasciatore di Francia a Londra di concordare linea di condotta comune da svolgere poi ad Ankara.

Léger non escluse che Turchia potesse cercare di opporsi ad un ritardo della Conferenza di Montreux agendo secondo propri scopi non perfettamente amichevoli verso l'Italia. Osservò che tanto maggiormente Francia e Inghilterra avrebbero dovuto, col necessario tatto e senza menzionare l'Italia, ottenere quello che gli sembrava corrispondere all'interesse di tutti gli Stati in causa.

Ho fatto ben rilevare a Léger che R. Governo non aveva preso alcuna iniziativa e che il mio passo presso di lui aveva esclusivo carattere informativo ispirato dalle relazioni di amicizia esistenti tra i nostri due Paesi. Léger mi assicurò che questo era il carattere da lui stesso attribuito alla nostra conversazione.

Circa la proposta Argentina riunione Assemblea, Léger mi ha detto che la Francia ne fu sorpresa e da principio credette che essa potesse riuscire gradita all'Italia. Quando però furono note modalità che l'accompagnavano nonchè ragioni, in gran parte personali, che indussero Saavedra Lamas formularla, Quai d'Orsay comprese che essa non poteva piacere a Roma. Assemblea era stata ad ogni modo convocata cosicché si trattava ora di lavorare in modo da impedire che potesse nuocere alla chiarificazione della situazione. Egli si propone convincere nuovo Governo che occorre agire nel senso indicatomi.

Cl) Vedi D. 200.

Ho chiesto a Léger se vi fosse qualche indicazione circa intenzioni di Blum ed Yvon Delbos.

Rispose che si era tuttora nel periodo di esame della situazione. Egli riteneva fosse opportuno prolungarlo e perciò aveva fatto in modo che ambasciatori e principali ministri plenipotenziari di Francia in Europa non fossero convocati simultaneamente a Parigi, ma che vi giungessero l'un dopo l'altro. In tal modo poteva maturarsi nella mente dei nuovi dirigenti trancesi quella che è la sola linea di condotta logica perchè, sentendo ripetere da ogni parte gli stessi argomenti anche se contrari alle loro idee iniziali, sarebbero stati costretti a tenerne conto ed avrebbero finito per trovarli giusti.

Vedrò domani nel pomeriggio ministro Affari Esteri (1).

222.

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, CON L'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A ROMA, BLONDEL

APPUNTO. Roma, 9 giugno 1936.

Il ministro Bionde! mi dice che l'opinione pubblica francese è allarmata per le notizie dei movimenti militari in Italia verso la frontiera francese. Si parla di spostamenti di Corpi d'Armata che andrebbero dall'Alto Adige in Piemonte.

Rispondo al ministro che non mi consta nulla di ciò. In questi movimenti militari non si possono ricercare che due elementi: l) uno stato di precauzione per l'atteggiamento delle potenze di Ginevra che non .hanno ancora smobilitato;

2) una migliore distribuzione delle truppe che erano concentrate verso Napoli, porto di imbarco per l'Africa, mentre ora affluiscono verso l'Italia del Nord.

Il ministro mi chiede tuttavia di potergli dare una smentita più precisa che servirebbe molto a calmare l'opinione pubblica francese.

Il ministro mi parla poi delle difficoltà create nei rapporti delle autorità militari, dall'atteggiamento del Maresciallo Graziani ad Addis Abeba e in tutta l'Etiopia:

-non riconosce i titoli di carriera ai diplomatici che sono sul posto;

-ha tolto loro gli onori regolamentari, ecc. ecc.;

-difficoltà di transito per i francesi sulla ferrovia;

-incidenti per le bandiere.

Per quanto riguarda le bandiere il ministro crede che la cosa potrebbe essere risolta nel senso che sugli impianti della ferrovia si mettano tutte e due le bandiere o, meglio, nessuna.· Per il transito il ministro pregherebbe vivamente le autorità italiane di essere più correnti dato anche che da parte loro le autorità di Gibuti sono di una grandissima correntezza per tutto quanto riguarda

trasporti italiani di uomini e di materiali.

Mi riservo di esaminare la questione e di dargli una risposta.

(l) Vedi D. 227.

223

IL CAPO DI STATO MAGGIORE GENERALE, BADOGLIO, AL CAPO DI STATO MAGGIORE GENERALE DELL'ESERCITO FRANCESE, GAMELIN

L. P. Roma, 9 giugno 1936.

Après la conclusion victorieuse de notre guerre je viens de rejoindre Rome ou je reprendrai, sans dclai, mes fonctions de Chef d'Etat Majeur Général.

Je considère mon devoir de loyal soldat et sincère ami de votre Pays et personnellement de vous, dc vous soumettre quelques cunsidérations urgentes pour ce qui concerne nos rapports en général et nos accords militaires en particulier.

Ce n'est pas sans surprise que le peuple italien après la réconciliation de janvier 1935 a vu la France parmi les pays sanctionnistes -c'est à dire parmi les pays qui ont cherché de nous axfissier et qui pratiquement ont été les soutiens de l'armée ennemie. Malgré cela nos rapports avec la France sont restés corrects et cordiaux et on a de notre còté marqué que nos accords militares restaient quand mème opérants.

Maintenant la guerre est finie, mais les sanctions continuent et on parle aussi de ne pas reconnaitre notre effort, qui est -après tout -un effort de paix et de civilisation fait avec not:re sang et notre argent.

L"attitude de la France est tournée vers le maintien des sanctions. Depuis l'octobre aucun geste amical ne nous est venu de la France officielle.

Or, après avoir consulté le chef de mon gouvernement, j'ai le devoir de vous dire que si la France maintient son attitude sanctionniste, c'est-à-dire si elle continue à chercher un affaiblissement économique -et à la fin militaire de l'Italie, nos accords n'ont aucune justification et l'Italie les considerera tombés.

J'ai l'espoir de croire que cette lettre ne vous surprendra pas et je vous prie d'agréer l es marques de ma plus cordiale considération (l).

224

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5571-5580/139-140 R. Ankara, 10 giugno 1936, ore 0,25 (per. ore 5,30). Telegramma di V. E. 2601 (2).

Mi sono espresso con Aras conformemente istruzioni di V. E. Gli ho esposto ampiamente tutti i motivi che conducono alla decisione di non partecipare conferenza Montreux e conseguente impossibilità tenere tale riunione senza Italia.

Ho mostrato connessione logica con altre decisioni da noi prese in questi ultimi tempi, culminate col ritiro nostro delegato dal Consiglio della S.d.N. Nostra collaborazione in ogni problema europeo non poteva riottenersi che col togliere sanzioni. Non ho celato cattiva impressione per atteggiamento Turchia da noi interpretato come scarsamente. conforme trattato di amicizia e mi sono richiamato miei precedenti colloqui con Ismet Pascià, Saracoglu e l'ultimo con lui (miei telegrammi 126 e seguenti (l) e mio rapporto del 29 maggio) (2).

Aras mi ha anzitutto informato che ieri egli aveva ricevuto nota verbale inglese con la quale gli si chiedeva se non riteneva opportuno rinviare conferenza del 22. Aveva già risposto che tale rinvio sarebbe stato male accettato da opinione pubblica, che anzi egli vedeva in tale riunione utile occasione per preparare quella del Consiglio e successive Assemblee, che invece si presentavano oggi senza alcuna preparazione quindi estremamente pericolose.

A Montreux, in contatti ufficiosi vi sarebbe stato modo predisporre utilmente successive riunioni di Ginevra nelle quali si doveva assolutamente trovare soluzione problema italiano. Mi ha confermato concetti sut::sposti ed ha aggiunto che conferenza Stretti era assolutamente indipendente da S.d.N. e che, come noi avevamo partecipato, sia pure come osservatori, alle conferenze di Locarno e navale, sperava ancora che partecipassimo anche a quella Stretti. Si rendeva conto importanza problema sanzioni e conveniva sulla urgenza toglierle. Ma riteneva difficile che in conversazioni diplomatiche si sarebbe giunti soluzione poichè ognuno temeva andare più oltre dell'altro e rompere cosi solidarietà cui tutti tengono. Invece, in contatti ufficiosi a Montreux, tale soluzione forse risulterebbe meno difficile, e potrebbe essere poi deliberata da! Consiglio della S.d.N. e poi dal Consiglio preparatorio dell'Assemblea, cosi inopinatamente convocata dall'Argentina.

Sapeva della distensione dei rapporti con Londra ma riteneva che, dato quello che Governo inglese doveva fare accettare ad opinl.one pubblica esaltata, non sarebbe riuscita che dopo decisioni prese in comune Montreux che la avrebbero certo facilitata. Se Italia non avesse partecipato nè a Consiglio ed ancor meno all'Assemblea, delegazione italiana a Montreux potrebbe avere colà facile avviamento alle soluzioni più convenienti per essa ed ha protestato suo fermo proposito di adoperarsi per togliere sanzioni.

Nell'intento venire incontro a desiderio italiano e facilitare l'azione di un chiarimento generale situazione, prendeva impegno limitarsi a Montreux aprire conferenza e rinviarla subito, dopo prima o seconda seduta, dopo che delegazioni avessero esposto loro punti di vista generali.

Italia poteva astenersi dal pronunciarsi in alcun modo. Non credeva del

resto che tutte le delegazioni avrebbero parlato.

Dopo tale formalità si potevano, se mai, convocare commissioni tecniche, che sviluppassero o non i lavori secondo convenienza ma senza arrivare a decisiva conclusione altro che d'accordo, in ogni caso per dar tempo alla situazione e sistemarsi nel senso desiderato dall'Italia. Era pertanto soltanto questione formale, mentre ogni decisione di sostanza sarebbe stata rinviata. Faceva perciò caldo appello a S. E. il Capo del Governo perchè, rendendosi conto che era appunto questione di forma, consentisse all'invio della delegazione che si sarebbe limitata a compito di osservazione. Ma era convinto che ia presenza delegazione italiana Montreux avrebbe agevolato soluzione problemi maggiori.

Ripetuto continuamente suoi intendimenti a noi favorevoli. Se sanzioni producevano effetto occorreva toglierle per non aumentare disordine mondiale. Se non ne produceva bisognava toglierle appunto perchè inutili. In entrambi i casi occorreva che l'Italia non fosse più sotto queste ingiuste ed inefficaci misure.

Chiestogli quale sarebbe sua linea di condotta se, malgrado le ragioni espostemi e che potevano aver anche qualche valore, S. E. il Capo del Governo avesse preso la decisione di non partecipare alla conferenza, rispostomi che presenza Italia era indispensabile e desiderata anche da parte della Turchia e che conferenza non potrebbe tenersi senza di essa. Perciò egli ne chiederebbe, alla prima riunione, il rinvio fino a che tale partecipazione fosse possibile. Ma ciò produrrebbe penosa impressione su opinione pubblica ed egli desiderava evitarla nell'interesse dei rapporti dei due Paesi e per i loro sviluppi futuri. Ed ha concluso che differenza fra i due casi era solo formale poichè ad una decisione di sostanza non si arriverebbe in alcun modo. Ma nel secondo caso si avrebbe quella spiacevole impressione che egli desiderava evitare all'opinione pubblica turca.

Tutto il colloquio svoltosi con cordialità. Aras mostrato insolita premura e cortesia. Ha anche rettificato alcune affermazioni ultimo colloquio 29 maggio (l) e cioè ha affermato: che intervento Italia in nuova Locarno era indispensabile e desiderato da Turchia, che bisognava annullare tutti gli accordi derivanti dall'applicazione del paragrafo 3 dell'art. 16 e aventi significato ostile all'Italia per passare ad un patto mediterraneo che fosse espressione di reciproca amicizia fra tutte le Potenze mediterranee e garanzia comune.

Mi risulta poi che egli ha, negli ultimi giorni, in ogni suo colloquio con corpo diplomatico dichiarato favorevole disposizione all'abolizione delle sanzioni e desiderio adoperarvisi con ogni tramite. Mi ha anche fatto giungere dal collega dell'Ungheria esplicite assicurazioni che avrei avuto ogni motivo di essere prossimamente contento di lui. Ciò è effetto di tutto quello che gli ho risposto il 29 maggio e di quanto gli ho fatto poi arrivare attraverso colleghi del Governo e membri del Corpo diplomatico. Tono è quindi sostanzialmente cambiato da allora. Aras partirà fra due o tre giorni per Parigi e Numan per Ginevra.

(l) -Vedi DD. 230 e 252. (2) -Vedi D. 200. (l) -Non pubblicati. (2) -Vedi D. 136.

(l) Vedi D. 136.

225

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5563/347 R. Parigi, 10 giugno 1936, ore 13,35 (per. ore 15,45).

Mio telegramma n. 344 (l).

Léger mi comunica che il Governo britannico ha &ccettato compiere passo ad Ankara per convincere Governo turco a ritardare conferenza Montreux fino a qualche giorno dopo prossima riunione Ginevra.

Per riservatezza e, per evitare ogni supposizione che il passo sia fatto ad istanza dell'Italia, la Francia intende astenersi dall'appoggiarlo. Interverrà, per altro, qualora Governo turco dovesse mostrarsi contrario al rinvio, esplicando in tal caso necessaria energia.

226

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. 2650/113 R. Roma, 10 giugno 1936, ore 19.

Partecipazione ambasciatore Argentina al ricevimento ex-Negus non mancherà di fare una impressione disastrosa in Italia. Lo faccia chiaramente intendere (2).

227

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 5586-5589-5591/349-350-351 R. Parigi, 10 giugno 1936, ore 22 (per. ore 23,40).

Ho avuto colloquio di un'ora con Yvon Delbos. Egli mi ha accolto con massima cortesia che tradiva un certo imbarazzo che si manifestò tra l'altro subito nella assicurazione datami di essere amico sincero dell'Italia ed un fautore di una collaborazione itala-francese in Europa cosicché non dovevamo interpretare erroneamente certe sue manifestazioni che erano state dettate da ragioni di politica interna francese ed anche dalla ovvia ragione che egli non poteva, per motivi ideologici approvare taluni aspetti del fascismo. Ho risposto che così come pretendevamo che ciascuno rispettasse il nostro modo di pensare, eravamo

passo prescrittogìi in un colloquio con Saavedra Lamas. Quest'ultimo aveva assicurato che

l'ambasciatore a Londra aveva agito di sua iniziativa ma che non riteneva di poterlo sconfessare pubblicamente proprio nel momento in cui stava conducendo degli importanti negoziati commerciali con il governo britannico.

rispettosi della ideologia e delle forme di Governo degH altri popoli che non potevano menomamente influire sopra il nostro desiderio di collaborazione con tutti per ottenere pace nel mondo.

Abbiamo poi proceduto ad un esame della situazione mondiale e soprattutto europea durante il quale ho trovato modo informare nuovo ministro Affari Esteri che conversazioni di Londra fra Grandi e Eden si erano svolte in una atmosfera che lasciava sperare bene, ancorché fosse necessario permettere al tempo di compiere propria opera di distensione nell'opinione pubblica britannica. Delbos mi ha chiesto se si fosse accennato anche alle sanzioni ottenendo da me risposta che era questa la questione più importante altualmente ed intorno alla quale si svolgeva politica di tutti i Paesi, era più che naturale che essa avesse costituito nocciolo delle conversazioni suddette. Ministro Affari Esteri fu riservatissimo al riguardo ed in risposta a tutti gli argomènti da me ampiamente svolti per dimostrare come noi non potremmo, per ragioni morali, accettare perdurare delle sanzioni mi disse soltanto che il Governo stava esaminando il grave problema da tutti i suoi lati con lo spirito di trcvare un compromesso fra una soluzione che permetta di far rientrare Italia nel novero delle Potenze garanti della pace europea ed il principio che costituisc0 base fondamentale della politica francese tanto più che il recente responso delle urne era stato decisivamente favorevole al rispetto del Patto societario.

Altri argomenti trattati furono Germania e pericoio che essa costituisce per suoi vicini.

Ho creduto bene precisare al riguardo che il Patto di Stresa, menzionato da Delbos come accordo internazionale che occorrerebbe far rivivere, non era stato concepito dai suoi firmatari come un fronte unico diretto contro la Germania, ma piuttosto come gruppo iniziale di Stati garanti. della pace europea che desideravano di ottenere adesione del Reich per completare quadro della assicurazione reciproca. Cosi almeno lo aveva inteso Italh1, che si era sempre ispirata ad una politica tendente a facilitare collaborazione della Germania con le Potenze occidentali europee.

Delbos ha risposto che concordava meco.

Circa Piccola Intesa, ho dimostrato situazione particolarmente difficile e sostanzialmente diversa in cui suoi componenti si trovano dal giorno in cui Germania è stata riarmata e necessità per Francia non illudersi circa aiuto che potrebbe venirle da quella parte e sventare invece pericoli ai quali essa potrebbe trovarsi esposta per far fronte ad impegni assunti.

Delbos era male orientato al riguardo.

Egli mi parlò spontaneamente dell'Austria nel senso che occorre salvarne ad ogni costo indipendenza ottenendo da me risposta affermativa. Aggiunse che nutriva per altro gravi apprensioni perché, secondo notizie giunte, gli sembrava che Governi di Vienna e di Berlino fossero sul punto di mtendersi col consenso dell'Italia, ciò che avrebbe significato mutamento della nostra politica ed approvazione italiana ad un Anschluss larvato.

Risposi che nulla mi autorizzava a condividere tale sua impressione.

Nel corso della conversazione trovai modo di fargli intendere che il maggior raffreddamento delle relazioni itala-francesi si era verificato in marzo, allorché 1 fatti non erano seguiti alle assicurazioni categoricamentE: datemi da Sarraut, Flandin e Léger che le sanzioni dovevano considerarsi finite.

Egli insistette perché gli spiegassi con tutti i particolari come avessi ricevuto simili dichiarazioni, dicendo che nel consiglio dei ministri, del quale faceva parte come Guardasigilli, non si era mai accennato a tale questione.

Gli ho fornito tutti i dettagli desiderati.

Impressione da me riportata dal colloquio è che Delbos è un dottrinario privo di idee proprie e poco informato dei problemi esten, mancante quindi delle doti necessarie per fare della politica e tutt'al più capace di cercare qualche ripiego nelle formule procedurali societarie. È, del resto, per tali modeste sue qualità che Blum lo scelse come ministro degli Affari Esteri sapendo che non potrebbe mai dare alla politica francese una direttiva propria.

(l) -Vedi D. 221. (2) -Con T. 5611/156 R. del 10 giugno, ore 22,05, Arlotta comunicava di avere effettuato il
228

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 5687/595 R. Ginevra, 10 giugno 1936 (per. il 13).

Avenol mi ha fatto chiamare ieri sera per dirmi che siccome partiva oggi per Parigi dove avrà colloqui con Blum e Delbos, desiderava «fare il punto della situazione politica» e giungere alla capitale con un bagaglio di idee precise. Mi ha chiesto perciò se il Governo italiano restava fermo nelle sue posizioni che gli avevo illustrate nel corso dei precedenti colloqui (l) o se vi fosse il sintomo d1 una qualche evoluzione e in quale senso.

Gli ho risposto che a quanto mi constava il punto di vista italiano, che era stato perfettamente fissato dal Duce, non aveva subito cambiamenti di nessun genere. La nostra posizione era chiara, mentre nel campo opposto finora non si era dato prova di avere le stesse idee precise e una linea di condotta altrettanto limpida e definita.

Avenol ha allora domandato se il Governo italiano non sarebbe disposto a entrare in negoziati relativi alla sicurezza europea, al patto mediterraneo, a certe garanzie d'accordare in Africa, ecc. in corrispettivo di un possibile diverso orientamento dei Paesi sanzionisti in materia di sanzioni.

«Su questo punto -ho osservato -desidero dirvi con la massima chiarezza che il Governo italiano, il quale è disposto a considerare col migliore spirito ogni suggestione, animato, com'è, da propositi sinceri di pace, non può accettare condizioni. Noi non intendiamo fare delle sanzioni che ci sono state poste contro ogni regola di giustizia e ogni norma morale, una moneta di scambio e barattarle contro degli impegni di natura politica quali voi ci chiedete. Non è ammissibile che voi pretendiate che l'Italia, che è ancora sotto il peso di una condanna ingiusta e che sta scontando una pena iniqua, si sieda al tavolo

con i suoi giudici per discutere dei problemi della pace del mondo, se prima non le venga tolta la pena e non venga sanato il colossale errore giudiziario di cui l'avete voluta vittima».

Avenol comprende perfettamente questo punto dì vista ed esclude anche egli il marchandage. Ma aggiunge: << Se voi non volete che vi si pongano delle condizioni non dovete neppure voi porne alla S.d.N. Se è vero che la S.d.N. vi ha condannato non è men vero che voi avete ferito la S.d.N. apertamente e volutamente. Partiamo dunque da questo punto di vista: che nessuno pone condizioni all'altra parte. La verità è che con la vostra guerra l'equilibrio del mondo è stato alterato. Non v'è guerra che non porti con sé una perturbazione di equilibrio. Ora io credo che senza parlare di condizioni si può stabilire questa formula: che ogni Governo, vista la situazione di squilibrio risultante dagli ultimi avvenimenti, si dichiara disposto a dare il suo contributo impegnandosi, come gli altri si impegneranno, in patti e accordi da definire ulteriormente. In questo modo nessuna suscettibilità viene urtata».

Rispondo ad Avenol che questa sua idea mi sembra molto vaga. Comprendo che egli vuole portare la discussione sul piano diplomatico. Ma ogni negoziato su questo terreno presuppone, come già gli ho accennato, pii=ma indipendenza e parità di condizioni morali e politiche.

Avenol insiste nella sua tesi aggiungendo che si tratta di studiare «una tecnica e una procedura per iniziare il negoziato e per muovere le acque che gli sembrano stagnare in una immobilità pericolosa».

Rispondo che il mezzo esiste. Visto che egli va a Parigi ed ha, come Capo della Lega, titoli per parlare e suggerire, non resta altro che egli stesso consigli il Governo francese a prendere finalmente una decisione e uscire una buona volta dall'impasse in cui si è cacciato. Avenol mi abbietta i soliti argomenti: la Francia non può prendere iniziative perché il Capo del Governo è legato dalle sue posizioni di politica interna; non può prenderne perché non può alienarsi l'opinione pubblica inglese la cui forza e il cui peso sono decisivi nell'orientamento del Governo di Londra. Egli ha la sensazione che in questo momento vi è un vero e proprio divorzio fra il Governo e l'opinione pubblica britannica, dato che quest'ultima resta nella sua grande maggioranza sanzionista, mentre il Governo subisce una crisi di revisione delle sue posizioni. Tuttavia, in estrema analisi, i gabinetti inglesi finiscono col seguire la volontà dell'opinione pubblica. La Francia non può mettersi contro questa forza morale che pesa sui destini dell'Europa; non può --in altre parole -facilit:1-re l'intesa tra Londra e Berlino.

Obietto che se Parigi non ha la forza per agire direttamente ristabilendo i termini e il valore di un'amicizia che altrimenti sarà irreparabilmente compromessa, ha però i mezzi e le possibUità per far agire ì suoi clienti a Ginevra e può quindi impegnarsi di fronte a Roma a far manovrare gli Stati satelliti in maniera che le sanzioni vengano soppresse il 30 giugno prossimo. Cosi la Francia avrà reso un servizio a sé stessa e all'Europa e non rischierà le ire dell'opinione pubblica inglese, del partito socialista e della massoneria francese. Essa seguirà il movimento patrocinandolo diplomaticamente ed energic&.mente nell'ombra. Ho l'impressione che se la Francia si impegnasse ad agire cosi. a Roma, il Governo italiano sarebbe disposto, subito dopo l'abolizione delle sanzioni, a sedersi attorno a un tavolo e dare il famoso contributo, di cui egli mi parlava, col più schietto spirito di sincera collaborazione, ai vari problemi che concernono la sicurezza dell'Europa e del Mediterraneo. Ma occorre agire d'urgenza. Ormai non mancano più che pochi giorni alla riunione dell'Assemblea. Visto che egli va a Parigi e mi dà la sensazione di essere preoccupato della situazione, agisca

e faccia sentire il peso della sua voce qualificata in queE>to problema. Si tratta dell'avvenire della S.d.N., forse della sua vita e della sua morte. Egli che è capo di questa organizzazione alla quale la Francia tiene tanto, può fare un tentativo in extremis per impedirle di naufragare. Sono d'accordo con lui che bisogna far uscire l'Europa da questa situazione pericolosamente statica. L'Italia non ha da prendere delle iniziative perchè la sua posizionE; è limpidamente fissata. Sta a Parigi, se vuole, di farlo, e sopratutto di impegnarsi con Roma a farlo.

Avenol mi dice che in Europa vi sono due blocchi di Potenze: i nordici dai quali non c'è nulla da sperare, e i mediterranei dai quali si può sperare di più. Egli è convinto che l'URSS ha più libertà della Francia per un'azione diplomatica accorta e che essa potrebbe far prendere una decisa iniziativa da un suo Stato cliente, per esempio, la Turchia.

Rispondo che la Turchia è legata all'unità d'azione delle Potenze balcaniche e non mostra nessuna comprensione della situazione europea attuale. È la Francia che può agire. D'altra parte, delle iniziative sud americane già esistono. Se vi è della buona volontà si possono incoraggiare gli altri Stati sud americani a solidarizzare con il Cile e l'Equatore. Mi sembra poi che non sia l'Assemblea che debba occuparsi del problema delle sanzioni. È il Comi'cato di coordinamento; e in seno a quest'ultimo le possibilità d'azione della Francia possono essere non solo maggiori, ma anche meno delicate e difficili di quant0 non lo siano in seno all'Assemblea.

Quindi, secondo il mio modo di vedere, occorre: l) che la Francia assicuri subito Roma che si adopererà efficacemente perchè delle iniziative maturino per l'abolizione immediata delle sanzioni; 2) che il problema delle sanzioni venga sottratto alla competenza diretta dell'Assemblea -in seno alla quale già mi consta che qualche Stato voglia tentare di abbinarlo a quello del non riconoscimento -e venga ricondotto nella sua sede naturale, che è il Comitato di coordinamento, dinanzi al quale e al di fuori di ogni pericolosa interferenza politica, le iniziative saranno più facili e numerose. Se il problema dell'iniziativa è quello che paralizza, potrebbe essere lo stesso presidente del Comitato a dichiarare puramente e semplicemente che in vista della cessazione delle ostilità ogni Stato riacquista la sua completa libertà d'azione in materia di sanzioni. Ma ripeto: è necessario agire d'urgenza, da domani stesso appena lui sarà a Parigi. Ho la netta sensazione che vi è tutta una manovra che si sta sviluppando in Paesi ed ambienti che conosciamo perfettamente per il mantenimento delle sanzioni con la storta illusione di poter un giorno condurre l'Italia a discutere con la S.d.N. su basi societarie. In materia di illusioni l'esperienza dovrebbe essere servita a qualche cosa. Il continuare ad alimentarle e ad agire in conseguenza significherà: allontanare l'Italia da Ginevra, compromettere ogni possibile seria base di riorganizzazione della sicurezza europea, ogni fiducia tra le Nazioni, preparare in una parola le più terribili incognite per le sorti dell'Europa di domani.

Avenol mi ringrazia di quanto gli dichiaro. Insiste perchè Roma non adotti una formula puramente e seccamente negativa, «dopo i gtandi successi che ha avuto». Altrimenti ogni suo tentativo è destinato ad infrangersi. Egli va a Parigi a tentare quanto gli è possibile e forse andrà anche a Londra. Vedrà di far mettere in moto una procedura accorta perchè ci si intenda in qualche modo fra i tre Governi interessati.

Dalla conversazione avuta ho tratto l'impressione che Avenol sia sinceramente preoccupato del nessun progresso che finora si è fatto sul problema delle sanzìoni e dalla imminenza della riunione ginevrina. Egli va a Parigi animato da proposito di salvamento, sopratutto, credo, della istituzione che dirige, le cui sorti (in una col milione annuo di assegno che percepisce) gli stanno particolarmente a cuore. È stato con me di una cordialità e di una gentilezza molto marcate, e che contrastano con la consueta sua freddezza e impassibilità.

Ho avuto insomma l'impressione che Avenol senta che lo spirito societario sta per liquefarsi «all'ombra dei cipressi e dentro l'urne» e voglia, dopo aver creduto anche lui come tanti altri illusi, che Roma si sarebbe piegata, correre oggi ai ripari e cercare a Parigi e a Londra una via d'uscita dal labirinto. Il labirinto in cui si è cacciata l'Arianna mentre Avenol -nuovo Teseo -col fragile filo che questa gli offre va forse invano alla ricerca del Minotauro.

(l) Vedi DD. 3 e 166.

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IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. CONFIDENZIALE PER CORRIERE 5692/013 R. Bucarest, 10 giugno 1936 (per. il 13).

Ho avuto una conversazione estremamente confidenziale con questo ministro di Grecia signor Collas circa la natura degli impegni assunti dalla Grecia nel corso della Conferenza dell'Intesa Balcanica a Belgrado (4-6 maggio) nelle eventualità che al conflitto balcanico prendesse parte una grande Potenza. Premetto che il signor Collas è stato un avversario deciso dell'assunzione di qualsiasi impegno da parte della Grecia nel caso di intervento dell'Italia in un conflitto balcanico e tale atteggiamento egli ha mantenuto con grande fermezza nel corso delle lunghissime trattative che hanno condotto all'intesa a quattro.

Per farlo parlare gli ho detto che la tesi del non intervento della Grecia aveva ricevuto a Belgrado un fiero colpo dato che il signor Metaxas aveva consentito ad ammettere la partecipazione della Grecia ad un conflitto balcanico di cui fosse parte una grande Potenza, e cioè l'Italia, se contemporaneamente Francia e Inghilterra fossero intervenute a favore del blocco balcanico.

23 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

Il signor Collas, con molta vivacità, mi ha replicato che le cose non stavano così. La conferenza di Belgrado aveva anzi avuto il merito di definire chiaramente, senza possibilità di equivoci, la posizione della Grecia, e ciò in una direttiva che confermava, in sostanza, la tesi che egli, Collas, aveva sempre sostenuto presso il suo Governo. A Belgrado, a suo dire, si era fatta una netta distinzione tra eventuale intervento al conflitto balcanica dell'Italia, o di un'altra grande Potenza, cioè la Germania. Nel caso dell'interventc dell'Italia la Grecia aveva chiarito e fatto mettere a verbale, che non avrebbe partecipato al conflitto. Nel caso di intervento della Germania era stato stabilito, se Francia e Inghilterra avessero dato appoggio al gruppo balcanico, che la Grecia si sarebbe consultata con i suoi alleati in vista di determinaré la possibilità o meno di entrare nel conflitto. In conclusione la Grecia avre:bbe preso soltanto un impegno di consultazione, e questo nei soli confronti di altra grande Potenza che non fosse l'Italia.

Fin qui il Collas. Da parte mia sono convinto che a Belgrado non si sia fatta una distinzione tra il caso dell'Italia e quello della Gérmania. Sono peraltro convinto che il Collas si è con me avvicinato alla verità quando ha affermato che la Grecia non ha assunto un impegno automatico di intervento nel conflitto nel caso che la partecipazione di una grande Potenza (Italia e Germania) fosse compensata dall'intervento della Francia e dell'Inghilterra, ma si sia limitata ad assumere soltanto un impegno di consultazione.

Se quanto precede è esatto ne resterebbero modificaté le informazioni di fonte ungherese da me trasmesse con mio telegramma pe:r corriere del 13 maggio u.s., n. 012 (l) in base alle quali l'intervento della Grecia in un conflitto balcanico sarebbe stato automatico nella eventualità di partecipazione da parte dell'Inghilterra e della Francia.

230

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 2671/310 R. (2). Roma, 11 giugno 1936, ore 3.

La prevengo che nei prossimi giorni il Maresciallo Badoglio manderà una lettera personale al generale Gamelin (3) per annunciargli che se la Francia non muterà il suo atteggiamento sanzionista, gli accordi militari dell'anno scorso saranno denunciati.

Altrettanto si farà con quelli aerei (4).

(-4) Per la risposta vedi D. 252.
(l) -T. per corriere 4740/012 R., non pubblicato. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi D. 223.
231

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

T. 2676/50 R. (l). Roma, 11 giugno 1936, ore 3.

Suo rapporto del 29 maggio (2) è sommamente importante per definire atteggiamento turco di netta ostilità all'Italia.

Bisogna prenderne atto ed agire in conseguenza. Mando a Parigi ed a Londra copia del rapporto di V. E. perchè i nostri rappresentanti controllino l'autenticità della versione che Aras dà circa l'applicazione «permanente» dell'art. 16. Secondo nostre informazioni l'interpretazione turca sarebbe abusiva, ma può darsi che la Turchia si riprometta di giungere a tanto.

Data la situazione e lo stato d'animo turco, l'Italia non andrà a Montreux.

232

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5619/244 R. Berlino, 11 giugno 1936, ore 14,45 (per. ore 16,10).

Rinvio Consiglio e Assemblea della S.d.N. a fine mese hanno rimesso sul tappeto questione risposta tedesca a questionario inglese (3). Sembra che qui prevalga ora idea non ritardare ulteriormente risposta, tanto più che Ribbentrop avrebbe riportato da Londra impressione che ormai Governo inglese si contenterebbe di una risposta qualunque, purchè suscettibile di permettere inizio negoziazioni. Ad affrettare le quali, anche per compiacere Londra, si penserebbe ora qui di non opporre ulteriori difficoltà a visita di un ministro inglese a Berlino.

È prevedibile che risposta non sarà ritardata oltre 18-20 corrente. Von Neurath, abbrevia per questo suo congedo ritornando Berlino sabato.

233

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5620/352 R. Parigi, 11 giugno 1936, ore 19 (per. ore 21,15).

Mio telegramma n. 347 (4).

Léger mi comunica che il passo compiuto dall'Inghilterra ad Ankara è fallito di fronte insistenza turca di convocare Conferenza di Montreux per il 22 cor

rente, che è appoggiata dalla Russia. Léger ha aggiunto che, siccome Governo inglese aveva lasciato intendere che qualora avesse trovato opposizione da parte turca non (dico non) avrebbe insistito, si deve ritenere escluso un ulteriore mtervento inglese. Richiesto dell'atteggiamento del Governo francese, Léger mi ha risposto che esso non farà alcun passo dato che questo non potrebbe sortire altro risultato previsto che quello di fare spostare riunione del Consiglio e dell'Assemblea della S.D.N.

Ho fatto osservare a Léger che vi era contraddizione fra il suo linguaggio di avantieri e di oggi perché nel colloquio precedente aveva detto che si doveva far presente alla Turchia opportunità convocare Conferenza di Montreux qualche giorno dopo riunione di Ginevra, mentre ora mi comunicava che la Francia non intendeva fare nulla al riguardo.

Mi ha risposto che, secondo notizie pervenute al Quai d'Orsay, Turchia ed

U.R.S S. erano decise a fare procedere Conferenza Montreux. Egli ne era molto spiacente, si rendeva conto delle complicazioni che simile atteggiamento avrebbe prodotto e, per tale ragione, aveva voluto informarmi immediatamente perché non si perdesse un solo minuto di tempo nell'esame della situazione.

(l) -Minuta autografa. (2) -Vedi D. 136. (3) -Vedi p. 44, nota l. (4) -Vedi D. 225.
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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5634/145 R. Ankara, 11 giugno 1936, ore 20,45 (per. ore 1 del 12). Mio telegramma n. 139 (1). Domanda inglese di rinvio conferenza Montreux ha prodotto vivissima

irritazione. Si afferma che improvvisa partenza da Costantinopoli del Ghazi e consiglio dei ministri, del quale ho dato notizia (mio telegramma n. 144) (2), siano stati determinati dal passo inglese.

Anche nostra decisione non partecipare alla conferenza ed affermazione che, senza di noi, essa sarebbe senza autorità e risultato, ha prodotto forte impressione. Nostra decisione è stata interpretata come mezzo pressione perché Turchia si adoperi per levare sanzioni.

Il modificato atteggiamento di Tevfik Rtistti bey (almeno formalmente) nel suo colloquio con me è anche frutto del timore che la nostra assenza possa determinare effettivo rinvio della conferenza.

Numan mi ha chiesto insistentemente se nostra decisiùne era dovuta anche a speciali lamentele dell'Italia verso Turchia. Ho risposto che non aveva che richiamare tutti i miei ultimi colloqui dal presidente del consiglio in giù e che non potevo ancora modificare le mie conclusioni.

So che codesto ambasciatore Turchia ha ricevuto istruzioni insistere presso

V. E. per nostra partecipazione. In sostanza alla Turchia preme dichiarare aperta la conferenza (e ciò per l'opinione pubblica), mentre non ha fretta giun

gere alla conclusione che, del resto, per la parte che più le preme (riarmamento zona) non può avere altro esito che essa vuole, perchè essa riarmerà anche indipendentemente dal consenso delle Potenze firmatarie.

Nostra decisione è utilissimo memento ai turchi. È mio obbligo però subordinatamente rappresentarne parte negativa. A questione Stretti abbiamo diretto e preciso interesse per nostro traffico per e dal Mar Nero e per contatto, oltre che con Soviety, anche con Romania e Bulgaria. Dopo Soviety siamo certamente Potenza più interessata al traffico attraverso Stretti. Nostra posizione, pertanto, di fronte tale questione, è attiva e non passiva. Se, per dannata ipotesi, conferenza si tenesse senza di noi, potrebbe esservi presa disposizione a noi dannosa. Inoltre si delinea, come ebbi a riferire, vivace lotta anglo-russa per passaggio navi da guerra. Ci mancherebbe quindi possibilità di un giuoco nelle direttive che V. E. crederà più utile per noi in relazione a quello che sarà a quel momento la situazione generale e specialmente con Londra.

È poi ovvio che nostra partecipazione non implica necessariamente la firma della nuova convenzione e ancora meno ratifica.

(l) -Vedi D. 224. (2) -Con T. 5578/144 R. del 10 giugno, ore 13,27, Galli aveva riferito circa l'approvazione da parte del consiglio dei ministri del progetto turco In vista della Conferenza di Montreux.
235

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 5624/354 R. Parigi, 11 giugno 1936, ore 21,50 (per. ore 1 del 12).

È venuto a vedermi nuovo sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri. Poichè aveva soggiornato vari anni come corrispondente di un giornale francese in Germania fra 1927 e 1930 e vi era tornato anche n~gli ultimi anni, egli inizia conversazione parlando ampiamente del Reich e dello spirito guerriero che anima tedeschi nonchè del pericolo che ne deriva.

Allo scopo precipuo di cambiare argomento, gli parlai della notizia che avevo avuto poco prima da Léger relativa all'insuccesso del passo compiuto dall'Inghilterra ad Ankara per ottenere rinvio della Conferenza di Montreux dicendogli che questa caparbietà turca avrebbe posto tutti in una situazione imbarazzante perché astensione dell'Italia avrebbe infirmato qualsiasi decisione.

All'improvviso mi disse di non comprendere nostra astensione.

Gli spiegai allora come non fosse possibile sperare nella partecipazione italiana a trattative internazionali fintantoché non fossero tolte sanzioni, non fosse ritirata flotta inglese dal Mediterraneo e fossero quindi diventati nulli accordi di assistenza speciale stipulati tra Inghilterra, Francia, Turchia, Grecia e Jugoslavia e diretti contro l'Italia.

Vienot rispose che la Francia non avrebbe evidentemente potuto fare alcuna pressione sulla Turchia per ritardare convocazione Confer~nza Montreux fino dopo riunione Ginevra perché simile passo sarebbe equivalGo a prendere posizione nei riguardi delle sanzioni lasciando comprendere che si annetteva interesse alla partecipazione dell'Italia alla Conferenza Montreux, cosicchè bisognava assolverla preventivamente.

Ho osservato che, se la Francia fosse stata animata da sentimenti amichevoli per l'Italia, a fatti e non a parole, e se avesse avuto, d'altra parte, visione esatta dei propri interessi non avrebbe esitato un istante a dichiarare la sua non partecipazione alla Conferenza Montreux, se essa fosse stata tenuta anteriormente alle riunioni ginevrine. Gli altri Stati avrebbero compreso fra l'altro che anche la Francia desiderava, agendo in tal modo, di mantenere in vita S.d.N., che in caso diverso sarebbe stata votata ad una morte assai prossima.

Vienot mi domandò se le mie parole significassero che l'Italia avrebbe abbandonato S.d.N. qualora sanzioni non fossero tolte e se avessimo fatto una comunicazione al riguardo al Governo francese.

Ho risposto che una comunicazione simile da parte mia mi avrebbe esposto al pericolo di essere giudicato ricattatore. Mi sembrava bastare che ne parlassimo a titolo di informazione amichevole come avevo fatto testè con lui. Del resto il mondo aveva avuto occasione di constatare che l'Italia fascista segue una linea di condotta ferma, ancorchè prudente e la condotta logica era quella di uscire dalla S.d.N. qualora questa persistesse nel volerei considerare fuori legge.

Vienot ebbe una reazione piuttosto energica sostenendo che non ci dovevamo lamentare dell'isolamento in cui ci trovavamo visto che avevamo rotti tutti i ponti e sfidato mondo intero.

Reagii dal mio lato assai calmamente dicendogli che era impossibile immaginare che si potesse sabotare meglio l'amicizia italo-francese di quanto era stato fatto durante ultimi mesi a Parigi. Gli domandai se non ci si rendeva conto in Francia che si stava buttandoci nelle braccia della Germania.

Egli rispose che personalmente era convinto che Reich non avrebbe avuto alcun desiderio e interesse di stringere con l'Italia vincoli politico-militari e che si sarebbe contentato di mantenere con essa legami ideologici, sufficienti del resto per il raggiungimento dello scopo che Berlino si propone raggiungere che è quello di impedire relazioni amichevoli fra Italia e Francia.

Questo bel modo di ragionare di Vienot è stato il coronamento di una conversazione che, per essere la prima, ha dimostrato come egli sia animato da sentimenti tutt'altro che obiettivi verso di noi.

236.

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINl, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 2678/307 R. (1). Roma, 11 giugno 1936, ore 24.

Se sei in rapporti con Neville Chamberlain digli che il suo discorso al Club 900 (2) mi ha grandemente interessato e gli dirai che deve trarre le conseguenze dalle sue premesse.

(l) -Minuta autografa. (2) -Nel suo discorso, Chamberlain aveva criticato con espressioni durissime coloro che insistevano per il mantenimento o addirittura per l'intensificazione delle sanzioni ed aveva sottolineato che le sanzioni, mentre non erano riuscite a bloccare l'aggressione italiana contro l'Etiopia, comportavano il grave rischio di un conflitto. Il contenuto del discorso di Chamberlain era stato trasmesso da Grandi con telegramma Stefani speciale dell'll giugno pervenuto a Roma alle ore 18. Si veda, in proposito, anche il D. 242.
237

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ES'l'ERI, MUSSOLINI

TELESPR. 1789/707. Mosca, 11 giugno 1936 (per. il 15).

La costituzione del gabinetto Blum non ha destato alcun speciale entusiasmo a Mosca. Mentre i successi elettorali del Front Populaire erano stati qui accolti ed esaltati come una vittoria delle nuove tattiche dei «Fronti unici» e specialmente dell'alleanza social-comunista, caldeggiata dalla «Comintern», la stampa si è ora semplicemente limitata a registrare le informazioni da Parigi sulla formazione del nuovo ministero « frontista » e le altre notizie di cronaca sulle prime difficoltà da esso incontrate.

Gli è che -come avevo già avuto occasione di segnalare in vari miei telegrammi -i_l signor Léon Blum non gode a Mosca di una buona presse. Questi circoli dirigenti non esitano a considerarlo come nettamente inferiore ai gravi compiti che la situazione internazionale pone al Governo francese, ed a questa sfiducia verso l'uomo si aggiunge poi la tradizionale diffidenza moscavita verso il seguace della Seconda Internazionale.

Se Mosca avesse potuto scegliere essa il presidente del consiglio dei ministri di Francia, non avrebbe esitato a designare il signor Herriot decisamente ostile al Terzo Reich e « colonnello onorario dell'Esercito Rosso ». Ed avrebbe di gran lunga preferito la costituzione di un ministero in prevalenza radicalsocialista orientato a sinistra e con maggiori prospettive di «durata».

Il compatto e disciplinato gruppo parlamentare comunista avrebbe poi saputo vigilare il corso della politica estera di un siffatto Governo, ricattandolo a dovere e troncando ogni eventuale velleità di iniziative invise al Kremlino... Di fronte, peraltro, alla soluzione «parlamentare » di un Governo prevalentemente socialista, si sarebbe qui preferito una presidenza di Vincent Auriol o di qualche altra personalità che possedesse quelle qualità di «forza» e di decisione, che qui si negherebbero al Blum.

Le recenti vicende della politica interna francese, oltre confermare tale giudizio, hanno qui destato delle vive preoccupazioni. In particolare, l'ondata degli scioperi, scaturiti sembra spontaneamente dalla sfrenata gara demagogica della campagna elettorale, avrebbe provocato l'apprensione di questi circoli dirigenti e ciò sia per motivi di politica estera, sia per considerazioni di politica interna del partito comunista francese.

Per quanto riguarda i primi (politica estera), l'URSS nella odierna difficile situazione internazionale, gravida per essa di tante incognite, punta essenzialmente sulla Francia, che si vorrebbe ormai definitivamt!nte vincolata dal patto di mutua assistenza coi Soviet. Da ciò l'interesse primordiale dell'URSS a che il Governo francese si dimostri quanto più possibile «forte» nell'arena internazionale, e pertanto libero da preoccupazioni interne. Alla luce di queste primordiali finalità della politica estera sovietica, gli scioperi francesi, che si vanno scatenando a catena, sono qui ritenuti deleteri, a dispetto di tutte le superstiti ideologiche della vassalla «Comintern».

Dal punto di vista, poi, della politica interna del partito comunista francese, si è qui necessariamente impressionati dal fatto che gli scioperi e l'occupazione delle fabbriche francesi si siano prodotti e sviluppati, per così dire, per generazione spontanea, all'infuori di ogni decisione det dirigenti comunisti ed anzi malgrado le esortazioni di questi ultimi di attendere che il Governo «frontista ) mettesse in opera le sue direttive di «giustizia sociale». Questa constatazione, ha indotto le sfere dirigenti moscovite a sospettare che gli scioperi traessero origine da sobillazioni socialiste od addirittura da iniziative dei partiti « reazionari » volte a creare imbarazzi al Fronte Popolare. I sospetti nutriti verso i socialisti si sono poi rinfocolati quando si è visto che Blum interveniva personalmente nella composizione degli scioperi parigini., monopolizzando così a suo vantaggio il merito e la riconoscenza delle masse operaie, mentre i comunisti restavano praticamente esclusi e dall'uno e dell'altra. La «Comintern» ha visto quindi l'urgente necessità di correre ai ripari e da ciò sono derivate le ultime iniziative dei comunisti francesi in contrasto colle decisioni dei socialisti e del Governo (organizzazione di dimostrazioni per celebrare il successo del Fronte Popolare, etc. etc.).

La conclusione, peraltro, è sinora che la costituzione del Governo Blum rischia di non giovare né ai fini di politica estera dei Soviet né al partito comunista francese, né, in sostanza, al rafforzamento del Fronte Popolare. Qui si rafforzano, infatti, i timori di un non molto lontano ed inglorioso crollo della esperienza di Governo socialista e di una conseguente reazione.

Dove si vede che le prime realizzazioni del « fronte unico » francese non son fatte per soddisfare le speranze moscovite e che le «nuove tattiche» adottate dalla «Comintern» possano risolversi in una specie di boomerang... (l).

238

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 435/178. Tokio, 11 giugno 1936 (per. il 13 luglio).

In questi ultimi tempi la stampa si è in modo particolare occupata della cosiddetta «politica di espansione verso il Sud della marina giapponese». È nota l'esistenza di una certa divergenza tra gli obbiettivi che l'esercito e la marina giapponesi vorrebbero assegnare alla politica del Paese, obbiettivi naturalmente connessi con i diversi compiti dei due rami delle forze armate. Mentre l'esercito considera di primaria importanza lo sviluppo di un programma di espansione sul continente asiatico, -la creazione del Manciukuo, la costituzione del governo autonomo dell'Hopei orientale, la penetrazione nella Cina del nord, sono altrettante manifestazioni dell'attuazione di tale programma -la marina insiste invece per ottenere il controllo del Pacifico occidentale dal tratto che va dal mare di Okhotsk ai mari del Sud (non meglio specificati) con lo scopo anzitutto di rafforzare la difesa nazionale, ma ancora di sviluppare in

quelle vaste regioni il commercio la navigazione la pesca e l'emigrazione giapponesi. Il punto di vista della marina sembra ora aver trovato appoggio nella constatazione del grave onere finanziario che la politica «terrestre» dell'esercito comporta, senza poter dare, almeno per il momento, un corrispettivo apprezzabile.

Senza soffermarci qui a rilevare la stranezza di un contrasto politico dichiarato fra i due rami delle forze armate che di politica non dovrebbero occuparsi secondo il disposto di un Rescritto dell'Imperatore Meiji e senza ricordare che a tale contrasto si attribuisce da molti il cosiddetto incidente di Shanghai del 1932, sta di fatto che il governo sembra ora deciso a dar mano, sia pure in modesta misura, allo svolgimento del programma voluto dalla marina. Così nell'ultima sessione della Dieta è stata approvata la legge per lo sviluppo dell'isola di Formosa di cui si acclude il testo. In forza della legge stessa è posta in essere una compagnia con un capitale di 30 milioni di yen di cui 15 milioni forniti dal governo sotto forma di terreni coltivati e coltivabili; la compagnia si proporrà di far funzionare imprese di sfruttamento fornendo all'uopo i fondi necessari, e potrà emettere obbligazioni per un ammontare eguale a tre volte quello versato per le azioni. La compagnia non dovrà versare alcun dividendo al governo per le sue azioni finchè i dividendi pagabili agli altri sottoscrittori non abbiano raggiunto il 6 %.

Oltre alla Formosan Development Co. un'altra compagnia, la South Development Co. sta poi per esser creata, con finalità analoghe e con un capitale di 20 milioni di yen di cui 10 milioni rappresentati dalle miniere di fosfati di Angaur. Questa seconda compagnia avrebbe come scopo principale lo sfruttamento economico delle isole dei mari del Sud sotto mandato giapponese, ma vorrebbe anche proteggere e sviluppare la pesca in quelle regioni e forse assorbire i diritti posseduti dalla South Seas Industria! Development Co. nella Nuova Guinea olandese.

L'ultima Dieta ha infine approvato un secondo progetto di legge governativo per il controllo dei servizi marittimi di cui uno ùei principali scopi è appunto quello di sostenere e coordinare, mediante opportune sovvenzioni, le linee che percorrono questi mari.

Tuttavia già fin d'ora si affacciano dubbi sulla possibilità di successo delle iniziative di colonizzazione di cui sopra, e si ricorda, ad esempio, che tanto la Banca di Taiwan quanto la Banca Kwanan investirono già in passato fortissime somme per lo sviluppo industriale dell'isola di Formosa e vennero per ciò a trovarsi in serie difficoltà. Da altri si accenna poi al problema non semplice di fornire larghe somme per lo sviluppo contemporaneo dei piani economici dell'esercito e di quelli della marina.

Comunque, poiché le notizie di una espansione vet·so il Sud sotto l'egida della marina avevano evidentemente provocato apprensioni all'estero quel ministero ha ieri emanato un comunicato in cui tra l'altro si afferma nel modo più reciso che l'armata giapponese cerca semplicemente uno sbocco per l'eccesso di popolazione con mezzi economici e pacifici, ma non ha ta benché minima intenzione di seguire una politica militare o aggressiva. Gli interessi esistenti delle Potenze saranno scrupolosamente rispettati dacché il Giappone intende di collabarare con gli altri stati ai fini della pace mondiale e del progresso della civiltà. Ciò che si sta considerando per ora è il controllo della navigazione e la sorveglianza e l'incoraggiamento della pesca nei mari del Sud, oltre alla riapertura dei negoziati con le Indie olandesi.

(l) Il presente documento reca il visto dl Mussollnl.

239

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5705/163 R. Shanghai, 12 giugno 1936, ore 13 (per. ore 23,45).

A meno che le due parti non tengano in riserva qualcuna di quelle inverosimili soluzioni particolari alla mentalità cinese, situazionf> tra Canton e Nanchino precipita verso urto armato. Canton ha rifiutato appello del Generalissimo e ha fatto avanzare sue truppe nello Hunan, occupando Hengchow, mentre truppe Nanchino si ritirano Changsha, capitale di quella provincia, ove sembra si riuniscano ad altre che Generalissimo vi fa affluire. In quella zona si svolgeranno prime operazioni, se fallissero ultimi sforzi per evitarle. Questi sforzi comprendono invio immediato di delegazioni di primarie personalità di Nanchino, tra cui stesso Kung, latore di denaro ed altre offerte, come quella della vice presidenza della Repubblica per generale Chen-Chi-Tang.

Trattandosi di offerte alle persone del gruppo Canton ma non di privilegi politici alle due provincie dissidenti rimane da vedere, se Chen-Chi-Tang si lascerà trascinare da guadagni personali ovvero si irrigidirà nella richiesta di mantenere o anche allargare autonomia delle due provincie che è il vero scopo della lotta attuale.

Un altro tentativo pacifico è quello di invitare Governo di Canton ad una sessione del Consiglio centrale esecutivo, ma poichè essa è indetta per 10 luglio è da prevedere che sia troppo tardiva e forse presentata, allo scopo unico di far guadagnare tempo all'adunata delle truppe di Chiang Kai-shek. Questi infatti, avrebbe già dato comunicazione alla commissione aerea (secondo le notizie datemi da Scaroni) che apertura ostilità è inevitabile.

Ci troviamo in presenza di un episodio che, comunque vada a finire e cioè

o nel sangue o nella farsa, rivela immaturità nazionale di questo Paese rendendo meno sicure le speranze che da circa dieci anni andavano concretandosi per una vera ricostruzione della Cina sotto gli sforzi dell'unico uomo che sembra immune dal contagio delle lotte intestine e che, forse costituisce ultimo baluardo dell'ordine in un Paese che, tendenzialmente, va verso H disordine. A questa soluzione, a quanto pare, guardano Russia e Giappone, la prima per far divampare comunismo e il secondo per accorrere a spegnerlo.

Di fronte a questa grave eventualità, mondo occidentale sembra ancora cieco essendo occupato a sua volta a scherzare col fuoco m casa propria con il risultato di perdita del suo prestigio in Estremo Oriente e dando al Giappone completamente mani libere in Asia. Dopo aver assistito impotenti agli avvenimenti della Cina del nord, ove ogni intervento, sia pure diplomatico, non avrebbe fatto che scatenare esercito giapponese, Potenze europee potrebbero forse, con minor pericolo, portare loro atteggiamento sopra avvenimenti del sud ove pretese e intrighi giapponesi sono meno confessabili e meno sostenibili a bandiere spiegate.

In questo caso anche da parte nostra occorrerebbe cominciare a pensare ai mezzi ed all'atteggiamento per partecipare alle eventuali conversazioni e misure collettive.

240.

IL MINISTRO A L'AVANA, MACARIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RR. 5683/59 R. L'Avana, 12 giugno 1936, ore 13,42 (per. ore 21,29).

Telegramma di V. E. n. 2595 (l) e mio telegramma n. 56 {2).

Questo ministro Affari Esteri, che non ho mai cessato di personalmente officiare in nostro favore, mi ha chiamato ieri per dirmi molto riservatamente che era riuscito a parlare della questione delle sanzioni in consiglio dei ministri. Egli invierebbe al più presto ordine telegrafico al delegato cubano a Ginevra affinché faccia presente in quella riunione di Paesi latini americani che Governo cubano ritiene ormai esaurito problema sanzioni, continuazione delle quali risulterebbe inutile ed irritante per l'Italia. Tale criterio delegato Cuba dovrebbe pure manifestare nella prossima Assemblea S.d.N.

Signor Cortina, al quale avevo amichevolmente fatto presente opportunità per Cuba di seguire esempio di alcuni Paesi latini americani dichiarando senz'altro abolizione sanzioni, mi ha detto che ciò non poteva fare « per ragioni di forma ». Egli mi ha aggiunto che avrebbe dato istruzioni al delegato cubano a Ginevra di assumere, nelle questioni concernenti Ital.ia un atteggiamento amichevole.

Ministro mi ha ripetuto essere animato migliori disposizioni verso Italia, ritenendo Etiopia agglomerato di popolazioni barbare non degno appartenere

S.d.N. Egli ha convenuto meco su opportunità di lasciare impregiudicata questione riconoscimento.

241.

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

r. 5669/146 R. Ankara, 12 giugno 1936, ore 14,25 (per. ore 19,18).

Telegramma di V. E. n. 50 {3).

Affermazioni di Aras, trovano riscontro e chiarimento nei documenti riservatissimi trasmessimi da Aloisi con lettera particolare del 29 maggio n. 7152 (4). e da me restituiti con corriere di ieri.

Quanto nostra non partecipazione a Montreux chiedo venia se mi permetto richiamare l'attenzione di V. E. su ultima parte mio telegramma n. 145 (l) che colà potrebbe essere eventualmente presa in nostra assenza decisione concreta contro nostri precisi interessi. Ritengo anzi che, se mai, sia possibile svolgere più opera ostile ai turchi partecipando alla conferenza che astenendosene (2).

(l) -Vedi D. 199. (2) -T. 5434/56 R. del 5 giugno, ore 11, con il quale il ministro Macario aveva riferito che il sottosegretario agli Esteri cubano gli aveva fatto intravedere la possibilità di buone notizie circa l'abolizione delle sanzioni. (3) -Vedi D. 231. (4) -Non rinvenuta.
242

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5636/885 R. Londra, 12 giugno 1936, ore 14,45 (per. ore 19,45).

Ho incontrato ieri, a casa di Lord Churchill, il Calìcelliere dello Scacchiere Chamberlain ed ho avuto con lui lunga discussione sulle sanzioni. Ho detto a Chamberlain che è ormai tempo per il Governo britannico di decidersi e gli ho illustrato ancora una volta le mille ragioni per cui Ilìghilterra ha dovere e interesse di prendere a Ginevra una diretta iniziativa in questo senso. «Spero -ho detto --che l'Inghilterra e la Francia non daranno prossimamente a Ginevra spettacolo compassionevole di farsi trascinare a rimorchio della Russia, lasciando proprio al bolscevismo comunista il merito di raddrizzare questa Europa e di salvarla dalla catastrofe economica e politica nella quale l'ha cacciata il sanzionismo delle grandi Potenze conservatrici, Inghilterra e Francia.

Chamberlain mi ha risposto che egli rimaneva ancora perplesso sulla possibilità di ottenere entro qualche settimana a Ginevra una decisione rapidamente definitiva. «Sanzioni sono morte --egli mi ha detto testualmente -si tratta ora di provvedere al loro seppellimento. Ma qualche volta un funerale è più lungo e complicato di un'agonia. Sono d'accordo con voi che occorre fare presto. Bisogna ridurre al minimo la durata dei funerali societari 1>. Egli mi ha poi ripetuto, con la solita esasperata prolissità, gli stessi argomenti di politica interna già espostimi da Vansittart e mi ha ripetuto solita domanda: «Non credete che il Duce potrebbe fare un gesto verso la S.d.N. per aiutarci e permetterei di agire a Ginevra in favore della abolizione sanzioni?».

Ho replicato a Chamberlain che il «gesto» a tal uopo il Duce lo aveva fatto già ed ora toccava al Governo britannico di assumere davanti mondo le proprie dirette responsabilità. Ogni indugio è un nuovo e più grave attentato alla pace del mondo. Coloro che hanno veduto e vedono chiaro nel futuro, debbono dire nettamente il loro pensiero. Non c'è un momento da perdere.

29Z

Lord Churchill mi ha appoggiato in pieno dichiarando di condividere interamente quanto dicevo.

Chamberlain ha risposto che anch'egli aveva già deciso di assumere pubblicamente una netta posizione e lo ha fatto, per sé e per i suoi amici, iersera stessa alla riunione dei conservatori di destra e del centro, indetta al Club del 1900.

Ieri notte Chamberlain, ha tenuto un importante discorso politico nel quale egli ha riconosciuto non solo che politica delle sanzioni è fallita, ma che le sanzioni devono essere abbandonate e che mantenerle sarebbe una pericolosa pazzia.

Trasmetto a parte il testo di questo discorso che ha una essenziale importanza perché è la prima volta che un membro del Gabinetto si esprime in termini precisi e così coraggiosi contro mantenimento sanzioni.

L'impressione delle parole di Chamberlain (l) è stata profonda. Non meno di 400 persone hanno preso parte alla riunione, tutti i conservatori di destra e del centro dei Comuni e dei Lords, le maggiori personalità del mondo finanziario e della stampa conservatrice. Tutti hanno sottolineato, con applausi scroscianti e prolungati, parole del Cancelliere dello Scacchiere ed hanno manifestato chiaramente adesione alle sue dichiarazioni in favore dell'abbandono sanzioni.

Miei fiduciari nella City mi informano stamane che negli ambienti finanziari le dichiarazioni del Cancelliere dello Scacchiere hanno provocato una ondata di ottimismo sulle possibilità di una rapida ripresa dei buoni rapporti italainglesi e di un miglioramento della situazione politica europea. La Borsa è oggi più che ferma ed i titoli di Stato inglesi sono saliti. Questo è sempre il segno più sicuro del favore col quale la City accoglie le dichiarazioni politiche dei ministri.

Negli ambienti politici discorso del Cancelliere dello Scacchiere è considerato come chiara indicazione che nel Governo ormai, sopratutto dopo il ritorno di Hoare, corrente antisanzionista sta avendo prevalenza.

Ma il fatto forse più importante è che sia stato proprio Neville Chamberlain a prendere su di sè responsabilità di pronunciarsi pubblicamente contro il mantenimento sanzioni. Chamberlain è, con Hoare, il candidato più forte alla successione di Baldwin, e prendendo un'iniziativa politica egli sempre calcola

quelli che potranno [essere] gli effetti del suo atteggiamento sul suo credito popolare come eventuale successore di Baldwin. Ieri egli si è messo con Hoare, e più di Hoare, alla testa dell'antisanzionismo inglese e ciò egli non avrebbe certamente fatto se non si fosse convinto che la grande maggioranza del Paese è favorevole all'abolizione sanzioni.

Trasmetto a parte i commenti della stampa stamane (2} che presenta inatteso discorso del Cancelliere dello Scacchiere come avvenimento politico sensazionale.

(1) -Vedi D. 234. (2) -Ciano rispose con T. 2787;53 R. del 17 giugno, ore 10,50: <<Mi rendo conto considerazioni da Lei addotte, ma ragioni di politica generale inducono non deflettere da linea astensionista adottata ». (l) -Vedi D. 236. (2) -Non pubblicati.
243

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AI MINISTRI A BELGRADO, VIOLA, A BUCAREST, SOLA, E A PRAGA, DE FACENDIS

T. s. 2687/c. R. Roma, 12 giugno 1936, ore 17,30.

Risulta da fonte autentica che nella recente riunione di Bucarest i capi di Stato della Piccola Intesa hanno deciso che non prenderanno iniziativa togliere sanzioni e seguiranno ciò che faranno Inghilterra e Franeia. Avrebbero deciso anche di non riconoscere annessione dell'Etiopia.

244

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. u. 5664/361 R. Parigi, 12 giugno 1936, ore 20,15 (per. ore 22,50).

Mio telegramma n. 352 (l).

Iersera ho incontrato Massigli che mi ha parlato della Conferenza di Montreux. Gli dissi che la Francia stava perdendo ancora una volta occasione propizia di cattivarsi amicizia dell'Italia. Ci sarebbe infatti voluto poco a dichiarare alla Turchia che la Francia non avrebbe partecipato alla conferenza stessa se non dopo riunioni ginevrine.

Massigli sostenne che questo era impossibile e che, d altra parte, era incomprensibile nostra intenzione di astenerci dal partecipare lavori conferenza.

Ho risposto che era ancora più incomprensibile come egli non vedesse impossibilità per l'Italia partecipare a conversazioni internazionali fino a che venivano mantenute sanzioni che, dopo fine della guerra, non avevano alcuna ragione di essere e mostravano soltanto stolto proposito di umiliare Italia.

Massigli tirò fuori soliti argomenti societari ed aggiur1se che poteva fino a un certo punto comprendere nostra astensione dai negoziati ginevrini, ma non quelli della Conferenza di Montreux la quale non aveva nulla a che vedere con la S.d.N.

Ho risposto che egli scordava avere Turchia, insieme Francia e ad altra Potenza, ancorché avesse stipulato con l'Italia un patto di amicizia, aderito alla richiesta inglese di riaffermare obbligo di assistenza per il caso che in seguito alla presenza della Home Fleet nel Mediterraneo, Italia dovesse compiere qualche atto ostile contro flotta inglese. Come voleva che l'Italia partecipasse a discussione di Montreux prima che Home Fleet fosse rientrata alle sue basi normali e che situazione navale nel Mediterraneo fosse diventata normale?

Massigli disse allora che conferenza Montreux sarebbe durata varie settimane cosicché Paesi interessati avrebbero avuto sempre tempo di parteciparvi a lavori iniziati qualora situazione migliorasse nel senso dei nostri desiderata.

Mi limitai a dirgli che non corrispondeva alle consuetudini fasciste assidersi a tavola a metà pranzo.

(l) Vedi D. 233.

245

L'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI, AL MINISTERO DELLA GUERRA (l)

T. 389. Tangeri, 12 giugno 1936, ore 21,30 (per. ore 3.40 del13) (2).

A seguito del telegramma n. 380 (3).

Sembra che governo spagnolo sia perfettamente informato del noto movimento. Generale comandante le truppe in Marocco sarebbe partito in aeroplano per Madrid. Ufficiali superiori Legione straniera chiamati a Madrid, dopo di aver rifiutati di partire, hanno ottemperato ordine. Capi del movimento quasi sicuri dell'esito favorevole ai primi di giugno, sono ora alquanto sfiduciati.

246

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, E ALLA DELEGAZIONE PRESSO LA S.D.N.

T. RR. 2696/136 R. (4). Roma, 12 giugno 1936, ore 24.

(Per Ginevra): Ho telegrafato alla R. Ambasciata a Shanghai quanto segue:

(Per tutti): In occasione della mia nomina a ministro degli Affari Esteri questo ambasciatore di Cina, nonché numerose personalità di governo cinesi hanno tenuto a farmi pervenire espressioni personali oltremodo calorose della loro amicizia e dei loro sentimenti di ammirazione e cordialità per l'Italia.

V. E. vorrà far sapere a codesto Governo che mentre sono molto sensibile a tali sentimenti, confido che essi non tarderanno a manifestarsi in maniera concreta nell'appoggio che la delegazione cinese avrà occasione di dare alla tesi che saranno da sostenere a favore dell'Italia nella prossima Assemblea della

S.d.N. Un tale appoggio, che ci sarebbe dovuto, oltre tutto, anche per l'assidua e recente azione svolta dal delegato italiano Rocco, quale presidente dell'apposito comitato, per far ottenere alla Cina soddisfazione nella sua aspirazione ad un seggio in Consiglio, potrebbe ora, più che mai, essere opportuna.

Attendo conoscere se Le verranno date costi adeguate assicurazioni, nel qual caso V. E. vorrà invitare codesto Governo ad inviare tempestive istruzioni di massima ai suoi delegati a Ginevra, invitandoli, per quanto concerne i particolari e gli sviluppi dei lavori dell'Assemblea, a tenersi in contatto in mancanza eventuale di una rappresentanza italiana all'Assemblea con la Segreteria di di Ginevra che non mancherà di farsi parte diligente all'occorrenza (5).

T. -2725/138 R. dello stesso giorno, ore 24, Ciano sottolineava poi a Lojacono l'importanza delle dichiarazioni fatte da Chamberlain contro Il mantenimento delle sanzioni che potevano essere utilizzate con il governo cinese le cui esitazioni in materia erano in gran parte determinate dal timore di fare cosa sgradita alla Gran Bretagna.
(l) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (2) -Le ore di partenza e di arrivo si riferiscono alla trasmissione al ministero degli Esteri da parte del console generale a Tangerl. (3) -Vedi D. 198. (4) -Il presente telegramma venne inviato alla delegazione italiana per corriere. (5) -Con T. 2720/137 R. del 13 giugno, Ciano incaricava l'ambasciatore Lojacono di eseguire queste istruzioni di persona recandosi urgentemente a Nanchino e lo informava che sulla questione era stata già richiamata l'attenzione dell'ambasciatore di Cina a Roma. Con
247

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5691/0376 R. Londra, 12 giugno 1936 (per. il 13).

Ho trasmesso stamane i commenti della stampa inglese alle dichiarazioni del Cancelliere dello Scacchiere (1). V. E. potrà rilevare da questi commenti che tanto i sostenitori quanto gli avversari all'abolizione delle sanzioni riconoscono che col discorso di Chamberlain il problema dell'abolizione delle sanzioni è stato finalmente posto in modo concreto e diretto davanti all'opinione pubblica inglese. I giornali che, come la Morning Post, hanno semprè combattuto la politica delle sanzioni, esprimono la loro profonda soddisfazione perchè finalmente un membro del Gabinetto dell'autorità di Neville Chamberlain ha abbandonato il linguaggio sibillino e le formule ambigue nelle quali da due mesi il Governo nasconde la sua indecisione, e si è espresso in maniera categorica in favore di una politica antisanzionista definita e precisa. I fogli sanzionisti gridano stamane al tradimento dei principi di sicurezza collettiva da parte del Governo britannico e investono rabbiosamente il Governo per quello che essi definiscono un precipitoso abbandono deìla politica delle sanzioni.

Nei circoli politici e alla Camera dei Comuni il discon;o di Chamberlain è sopratutto considerato come il preannuncio dell'attitudine che dovrà prendere il Gabinetto -o più esattamente un tentativo da parte del Governo di sondare l'opinione pubblica inglese prima di assumere pubblicamente un'attitudine definitiva. Nella sua permanente perplessità ed incertezza, si dice, Baldwin esita ancora, intimidito alla idea di trovarsi di nuovo di fronte ad una crisi come quella del dicembre scorso. In seno al Gabinetto vi sono ancora ministri i quali sono del parere che le sanzioni dovrebbero essere ancora per un certo tempo mantenute. Baldwin, prima di cedere a Chamberlain e a Hoare che si battono per l'abolizione delle sanzioni, vuoi essere sicuro che l'opinione pubblica e la Camera dei Comuni sono pronte ad accettare una tale decisione. Il Cancelliere dello Scacchiere si è fatto avanti ad assumere su di sé la responsabilità di un atteggiamento definito avanti il quale Baldwin esita tuttora come si può rilevare dalle risposte imbarazzate che egli ha dato al fuoco di fila delle interrogazioni presentate ai Comuni da liberali e laburisti. Questo è secondo l'opinione prevalente il significato del discorso del Cancelliere dello Scacchiere rispetto alla politica del Gabinetto.

Ma intanto è certo che Chamberlain ha dato alla politica delle sanzioni un cosi energico colpo di piccone ed al movimento antlsanzionista un tale impulso da costringere il Gabinetto ad affrontare la responsabilità di una azione politica chiara e definitiva.

È importante vedere adesso quali saranno le ripercussioni all'estero del discorso di Chamberlain e quale l'influenza che esso eserciterà sull'attitudine dei Governi sanzionisti.

Dalle corrispondenze che i giornali inglesi hanna pubblicato stamane si direbbe che dovunque il discorso è stato interpretato c0me il preannuncio di una radicale modifica alle direttive del Governo britannico. E' certo che sulle decisioni finali di Baldwin avranno una grandissima importanza le reazioni che egli riceverà dall'estero poichè il Governo britannico potrà più facilmente giungere all'abbandono delle sanzioni se constaterà che almeno una notevole parte degli Stati membri della Lega è effettivamente in favore di un abbandono della politica sanzionista.

(l) Vedi p. 286, nota 2 e D. 242.

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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5729/057 R. Belgrado, 12 giugno 1936 (per. il 15).

Ho intrattenuto Stojadinovic nel senso prescrittomì da V. E. col Suo telegramma per corriere n. 2454 R. A.P. II del 30 maggio u.s. (l) insistendo sulla portata e sul significato spiccatamente contrari ai nostri interessi delle recenti misure del governo jugoslavo relative:

al divieto ai sudditi stranieri di acquistare immobili in Jugoslavia entro un raggio di profondità di 50 Km. dai confini di terra e di mare; alle formalità ed oneri imposti ai nostri connazionali residenti in Jugoslavia per il rilascio del permesso di lav oro; alle limitazioni imposte al trasferimento di sede dei maestri delle scuole italiane.

Alla prevista obiezione del Presidente del Consiglio, trattarsi cioè di provvedimenti di ordine generale per tutti gli stranieri, ho ribattuto facendogli presente che, dato il numero rilevante dei nostri connazionali residenti in determinate regioni di questo Stato e l'importanza dei loro interessi, gli accennati provvedimenti si risolveranno praticamente e prevalentemente a nostro danno; che in ogni caso essi provvedimenti erano in aperto contrasto colla lettera e collo spirito delle convenzioni tra i due Paesi; che -del resto -dovevo segnalargli tutto un complesso di altre misure prese dalle autorità centrali e locali direttamente a carico di cittadini e di interessi italiani, il che stava ad avvalorare l'impressione del R. Governo che la Jugoslavia venisse deliberatamente adottando una direttiva politica a noi contraria.

Ho richiamato l'attenzione di Stojadinovic sull'atteggiamento di resistenza passiva opposto dal suo governo nei riguardi di una soddisfacente soluzione della questione della riforma agraria in Dalmazia nonché di quella della riforma agraria fuori Dalmazia. Gli ho segnalata la recente recrudescenza di misure poliziesche a carico di connazionali citandogli gli ultimi casi di arresti (Cacchi e Langbank) di espulsioni, di rifiuto di visto d'ingresso in Jugoslavia di rifiuto di permesso di soggiorno (Costa, Pasquali, Leipziger). Mi dicesse francamente

24 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

il Presidente del Consiglio se l'auspicata normalizzazione dei rapporti italajugoslavi dovesse invece ridursi ormai ad una continua schermaglia per difendere le persone e i diritti dei nostri connazionali dalla ostilità delle autorità jugoslave. Gli esempi e i casi da me citatigli erano quelli di cui mi sovvenivo come dei più recenti, ma essi erano di gran lunga più numerosi e per ciascuno di essi doveva trovarsi al ministero degli Esteri una nota della R. Legazione cui quel dicastero spesso tardava a rispondere oltre ogni limite di doverosa cortesia.

Stojadinovic ha voluto anzitutto escludere dagli accennati provvedimenti ogni deliberata inamichevole intenzione nei nostri riguardi. Mi ha invitato a riassumere in una nota confidenziale, pro-memoria, lo stato delle varie questioni e il nostro punto di vista e a farla tenere al ministro aggiunto degli Affari Esteri cui egli avrebbe dato istruzioni per una solu~ione quanto più possibile soddisfacente e sollecita delle questioni stesse. Si doleva che il R. Governo fosse stato portato da qualche misura di carattere ammir1istrativo -secondo Stojadinovic di secondaria importanza -presa dalle autorità jugoslave a concludere nel senso di un mutato indirizzo politico del Governo di Belgrado; e si doleva anche di constatare dalle mie parole che io stesso mi andavo dipartendo da quello spirito di conciliazione cui avevo finora ispirato la mia missione. Gli ho risposto che ero ben lungi dal perdere la mia serenità personale e professionale ma che non potevo fare a meno di constatare che l'atteggiamento del suo Governo e delle autorità in genere non era più quello di alcuni mesi or sono. Ero sempre fermo nel proposito di lavorare alla normalizzazione dei rapporti itala-jugoslavi ma dovevo poter contare su analoghe disposizioni del governo jugoslavo.

Questo il senso della mia conversazione col Presidente del Consiglio.

Per parte mia, credo mio dovere aggiungere che ho la esatta sensazione che le relazioni itala-jugoslave sono ritornate a un punto morto. Sarà forse possibile ottenere a fatica qualche risultato relativamente a singole questioni ma ritengo escluso che possiamo contare su una politica ùi amicizia da parte jugoslava.

È noto a V. E. che per lunghi anni le direttive del Governo jugoslavo nonché le istruzioni generali e permanenti da esso impartite alle autorità locali sono state ispirate a netta ostilità nei nostri riguardi; allorché, circa un anno fa, i rapporti fra i due Paesi hanno accennato a migliorare, il governo centrale è intervenuto di caso in caso presso le varie amministrazioni ed autorità per determinare la soluzione favorevole di varie questioni; cosicché ora la sola assenza di espresse istruzioni da parte degli organi centrali è sufficiente a far sì che in tutta la rete della amministrazione statale jugoslava torni automaticamente in atto l'antica mentalità fondamentalmente a noi avversa per sentimento e per educazione. Né da parte del governo centrale è -a mio avviso da sperare in un atteggiamento positivamente favorevole. Belgrado è nuovamente dominata, nei nostri riguardi, dagli antichi timori e diffidenze.

I primi malumori sono sorti dopo gli ultimi accordi itala-austro-ungheresi

di Roma; sono aumentati dopo i recenti accordi itala-albanesi; si sono poi fatti

più acuti -cosi da determinare un evidente mutamento di indirizzo politico verso l'Italia -dopo il rilascio di Pavelic e Kvaternik; finalmente, la nostra fulminea vittoria in Africa (dove, secondo una mal celata speranza jugoslava, si supponeva noi ci dovessimo trovare impegnati e indeboliti per una lunga serie di anni) ha destato una diffusa e profonda preoccupazione -abilmente da varie parti alimentata -circa nostri nuovi propositi di conquiste imperiali che dovrebbero effettuarsi a spese di questo Stato. Sembrerebbe, logicamente che tali preoccupazioni dovessero persuadere Belgrado della opportunità pratica di avvicinarsi all'Italia; ma tale non è la mentalità jugoslava, portata al rancore, alla presunzione esagerata nelle proprie forze e -di conseguenza -a rifuggire da qualsiasi forma di intesa con l'Italia, in quanto un'intesa -secondo quanto si pensa -non potrebbe farsi che in condizioni di sottomissione da parte della Jugoslavia.

Questo stesso stato d'animo sta a spiegare il motivo per cui la Jugoslavia malgrado l'enorme danno che le proviene dal mantenimento delle sanzioni non sia in alcun modo disposta a fare un gesto per la loro abolizione e si mantenga supinamente al rimorchio dell'Inghilterra e della Francia.

(l) Vedi D. 141.

249

IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1111/356. Lisbona, 12 giugno 1936 (per. il 20).

Min telegramma n. 24 del 6 corrente mese (l).

Dai colloqui avuti in questi giorni con il ministro degli Affari Esteri e con il segretario generale del ministero posso desumere senza ombra di dubbio che nessun mutamento è da notare nella linea di condotta adottata da questo governo verso l'Italia e che nonostante la nostra grande vittoria e la vergognosa fuga del Negus qui non si è ancora convinti della necessità di por termine alle sanzioni societarie e si seguirà senza alcuna deviazione la politica che sarà adottata a nostro riguardo dal governo britannico. I tentativi che vengono fatti, fuori di Roma, di Lisbona e di Ginevra, le uniche località ove potrebbero avere una qualche importanza, di far credere che il Portogallo è disposto a modificare il suo atteggiamento, che a Ginevra e nella stampa è stato a noi così ostile, hanno evidentemente lo scopo di cercare di diminuire i temuti nostri risentimenti di domani; e sono facilmente oggi sconfes&abili, se necessario, dal governo portoghese che può dichiarare trattarsi di iniziative personali di suoi rappresentanti all'estero, né autorizzati, né responsabili. Se qualche dubbio ancora fosse potuto sussistere esso è stato chiarito da uno scambio di corrispondenza da me avuto in questi giorni con il segretario generale del Ministero, l'ambasciatore Teixera de Sampayo, uomo di molto tatto e di molto equilibrio e che ha sempre mantenuto con questa Legazione i più amichevoli rapporti, a causa di

un articolo (segnalato al ministero Stampa e Propaganda il 5 giugno u.s.

n. 1085) (l)» « Genebra e as sançoes » comparso nel Diario de Noticias, il maggior giornale portoghese e di cui sono note le relazioni con l'attuale ministro degli Affari Esteri; in tale articolo il conflitto Italia-Società delle Nazioni era presentato nel modo più antipatico a nostro riguardo tanto che ho creduto opportuno protestare energicamente. Tale linea di condotta rigidamente societaria verrà modificata solo quando la politica inglese avrà cambiato la sua orientazione ma la modificazione portoghese non solo non precederà quella della «grande alleata» ma anche dopo che questa sarà avvenuta il Portogallo mostrerà riluttanza a staccarsi dalla tesi societaria e i discorsi e gli atteggiamenti della sua delegazione saranno conformi ai gridi di allarme e di paura che non mancheranno di lanciare a Ginevra alcune piccole Potenze le quali evidentemente desidererebbero che le grandi Potenze si svenassero purché non fosse minacciata la loro vita tranquilla. Ora una tale politica portoghese è perfettamente spiegabile data la situazione in cui questo Paese si trova, e l'attuale ministro degli Esteri, che è stato sempre di sentimenti molto anglofili e deve del resto a tali suoi sentimenti l'attuale sua carica dopo che il suo predecessore fu allontanato per pressione dell'ambasciatore britannico, Sir Claud Russell, e il delegato a Ginevra signor Vasconcellos, massone e democratico, potranno per vanità o per spirito di setta accentuare una tale politica, ma essa è l'unica che il Paese potrebbe seguire e sarebbe ingenuo chiedere di adottarne un'altra. È un luogo comune parlare del servilismo portoghese verso l'Impero britannico, e l'accusa fu lanciata pubblicamente in viso ai portoghesi, come una scudisciata, dal ministro di Germania al momento in cui gli veniva comunicato la dichiarazione di guerra che doveva servire specialmente agli inglesi per impadronirsi del tonnellaggio tedesco rifugiato nei porti lusitani. Ma avrebbe potuto e potrebbe fare il Portogallo una politica differente? Tale politica che dura da tre secoli, è servita nonostante rivoluzioni numerose e crisi profonde a mantenere l'integrità territoriale della metropoli; a conservare, mentre la Spagna perdeva completamente il suo, un enorme impero, che comprende non solo le vaste colonie africane, ma i possedimenti in India, nonostante che siano fonti di attrito doganali e polizieschi con la stessa Inghilterra, Macao in Cina e Timor in Oceania, punti di appoggio avidamente da altri desiderati, e le magnifiche isole dell'Atlantico che sono trampolini obbligati della navigazione aerea di un prossimo domani. Quale altra politica avrebbe potuto convenire a questo piccolo Paese spesso in continuo disordine per mantenere situazioni così eccezionali? Certo l'Inghilterra domina politicamente e sfrutta economicamente metropoli e colonie ma è il minor prezzo con cui poteva essere pagata la sicurezza che veniva al Portogallo accordata: qualsiasi altra politica avrebbe fatto perdere tutto l'impero coloniale e forse la stessa indipendenza della metropoli non avrebbe resistito a tanta disgrazia poiché sarebbe mancata la più importante

ragione, quella dell'Impero, per resistere alle pressioni esterne tendenti all'unione iberica. Né sembra, osservando l'attuale situazione europea, che esso possa avere alcun vantaggio a mutare una tale secolare politica: su chi senza timori

-o senza maggior danno potrebbe oggi poggiare? Né è vero che non siano sentiti anche i pericoli che tale politica comporta data la egoistica politica britannica, e, se anche i portoghesi non ne avessero la sensazione, il ricordo degli accordi anglo-tedeschi per la spartizione delle colonie (e la grande alleata non aveva ritegno ad attribuirsene una gran parte) sarebbe davanti alle loro menti per spaventarli. Ma anche per tali pericoli essi non vedono che un solo rimedio: cercare che la «grande alleata» non abbia mai a muovere loro rimprovero alcuno, vale a dire non dare pretesto a nessuna cattiva azione a loro danno; essi si abbandonano per non essere abbandonati. Evidentemente questa politica di abbandono, tanto più necessaria ogni volta, come in questi momenti, che la minaccia sulle loro colonie si concretizza, sia pure sotto l'aspetto di interessamento da parte delle grandi Potenze che ne mancano alle materie prime coloniali (e tale interessamento è evidente prenderebbe aspetto differente se le colonie appartenessero ad una grande Potenza o ad una piccola che non ha mezzi nè politici nè economici di difesa) è quella che loro più pesa perché ferisce il loro orgoglio e colpisce i loro interessi. Per difendersi contro la loro grande alleata essi si erano illusi e si illudono in parte ancora, di aver trovato la Società delle Nazioni, o per meglio dire, la linea societaria adottata a Ginevra contro di noi e difesa proprio dall'Inghilterra, che ove fosse stata duramente applicata non avrebbe permesso nessuna violazione, nessuna modificazione dello statu quo coloniale portoghese senza la espressa volontà del Portogallo, ed è naturale che questa non vi sarebbe mai stata. E' perciò che il dottor Armindo Monteiro, uomo certamente intelligente anche se eccessivamente vanitoso, ha più volte insistito sul concetto che peggio ancora della violenza brutale è da condannarsi la « spoliazione giuridica ». Ora che cosa significa la spoliazione giuridica se non l'interessamento maggiore o minore, diretto o indiretto altrui nelle grandi colonie portoghesi con il consenso della «grande alleata» (l'aggettivo «legittimo» ha in tal caso un sapore veramente ironico!) la quale evidentemente non potrebbe esimersi dall'opporsi alla altrui violenza bellica?

La tesi societaria adottata così rigidamente dal Portogallo si giustifica quindi non solo col bisogno che prova questo Paese di aggrapparsi, in un momento in cui si delinea così grave minaccia, disperatamente alla «grande alleata», ma ancora più perchè la S.d.N. dovrebbe difenderlo contro un iniquo comportamento di questo che è effettivamente il vero pericolo che su esso si prospetti nelle condizioni attuali politiche, e quindi non è possibile immaginare che sincere possano essere le amichevoli dichiarazioni, fatte sempre a quattrocchi, da uomini in posizione più o meno elevata. Certo, il Portogallo avrebbe preferito che questa esperienza societaria fosse stata diretta contro altri invece che contro l'Italia ma dato che l'esperienza è avvenuta esso vorrebbe che, in tutto o almeno in parte non andasse perduta. Illusione certo ma qui ad essa si è creduto anche perchè faceva piacere credervi. Si aggiunga che se è vero che vi è sempre stata in Portogallo una corrente di simpatie per l'Italia è vero anche che mai abbiamo avuto con questo Paese rapporti politici o interessi economici importanti e che la nostra azione in Africa non può non irritarli perchè indirettamente li danneggia. È fuori dubbio infatti che la nostra conquista dell'Etiopia precipiterà l'esame e la soluzione del grande problema della messa in valore dell'Africa, che rappresenta la più grande riserva della civiltà europea, e da tale esame e da tale soluzione nulla di buono può attendere questo Paese, che sente che «la pace in Africa è finita» vale a dire è finito il tempo in cui le colonie portoghesi potevano vivere sonni tranquilli (1).

(l) T. 5454/24 R. delle ore 13,20: riferiva circa l'indirizzo filo-britannico della politica estera portoghese.

(l) -Non pubblicato.
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IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. R. 2104/1124. Vienna, 12 giugno 1936 (per. il 17).

La complessa e delicata situazione politica interna, quale si è delineata in seguito alla crisi che ha messo Starhemberg fuori del governo, non offre ancora dati precisi per una sicura sua definizione.

Ad ogni modo tutte le mie informazioni concordano nel senso che Schuschnigg, separandosi da Starhemberg, sia venuto a trovarsl alquanto isolato, e che egli pertanto cerchi di riavvicinarsi alle Helmwehren, pur non tralasciando al tempo stesso -onde trovare un contrappeso ad una f:ventuale alternativa all'appoggio dell'Heimatschutz -i noti suoi negoziati con i « nazionali » ed 1 noti suoi accostamenti agli elementi ultrademocratici.

A riprova della delicata situazione dello Schuschnigg può segnalarsi:

l) che gli estremisti cristiano-sociali di destra, che avevano incitato Schuschnigg a separarsi senz'altro da Starhemberg, all"evidente scopo d'imporre al regime una direzione accentuatamente clericale, cominciano a sentire, di fronte alle poco favorevoli ripercussioni che suscita nell'opinione pubblica il timore d'un siffatto indirizzo, d'essere andati troppo oltre, e pertanto si mostrano adesso alquanto meno intransigenti nella loro ostilità contro le Heimwehren;

2) che gli estremisti cristiano-sociali di sinistra, che in un primo tempo avevano sperato che la separazione di Schuschnigg da Starhemberg avrebbe prodotto un deciso orientamento del primo verso le teorie ultrademocratiche delle organizzazioni operaie cattoliche, cominciano a dubitare, stante le recenti manifestazioni spiccatamente autoritarie del Cancelliere (sempre tuttavia d'un autoritarismo ultracattolico), che questi non voglia seguirli in tutti

loro postulati politici, e quindi battono un tempo d'anesto;

3) che 1 «nazionali», con cui il Cancelliere in un primo tempo ebbe la ferma speranza di poter senz'altro giungere ad un compromesso e quindi ad ottenere la loro collaborazione al governo, hanno subordinato ogni loro partecipazione al nuovo ministero a tali e tante condizioni (riforma della Costi

tuzione; sistema elettivo; totale amnistia dei condannati politici, ecc.) da decidere Schuschnigg ad opportuni temperamenti nei suoi negoziati. Il Cancelliere tutavia persevera in ogni sorta di blandizie al riguardo di detti elementi <<nazionali», e così, fra l'altro, ha concesso l'altro giorno al prof. Srbik (cui già aveva offerto, come è noto, il posto di Vice-Cancelliere) un'altissima onorificenza;

4) che i socialisti, assai più disorganizzati di quanto non si supponesse, appaiono tutt'altro che sensibili agli allettamenti della parte più democratica dei cattolici (gruppo Kunschak), ed agli stessi allettamenti del Cancelliere, con le sue insistenti dichiarazioni a loro favore;

5) che i nazionalsocialisti, benché in evidente attesa dello sviluppo della situazione, mostrano pel momento di voler innanzitutto opportune intese con gli heimwehristi, presso cui mi risulta anzi hanno fatto insistenti approcci, rimasti peraltro senza successo, sovratutto in ragione dell'opposizione di Starhemberg.

In tale situazione Schuschnigg, come ho detto innanzi, si adopera per non perdere l'appoggio delle Heimwehren. Difatti, egli non si lascia sfuggire alcuna occasione per esprimere pubblicamente a Starhemberg la sua riconoscenza e ribadire il suo pieno riconoscimento delle benemerenze delle Heimwehren, facendo di tutto al tempo stesso, per corrispondere a quanto il nuovo Vice-Cancelilere -l'heimwehrista Baar -va rappresentandogli a nome di Starhemberg. E così, benchè nel modo più segreto, egli ha promesso:

a) che le Heimwehren non saranno in alcun modo disarmate (esse, nel fatto, hanno già precauzionalmente nascosto le loro armi; b) che la FrontMiliz non si opporrà acchè tutte le formazioni militari che di essa verranno a far parte (ossia le Heimwehren, le Sturmscharen, il Freiheitsbund, il TurVerein, ecc.) conservino la loro individualità: e poichè di questa Fronte le Heimwehren rappresenteranno non meno che 1'80 %. è ovvia l'importanza della concessione, che assicura di fatto la preservazione dell'Heimatschutz; c) che il giuramento della Front-Miliz non sia prestato né al capo dello Stato, né all'attuale capo del Fronte Patriottico, in guisa da lasciare ancora impregiudicato il giuramento di fedeltà già prestato dalle singole formazioni ai loro rispettivi capi; d) che nessuno dei capi o sottocapi heimwehristi, che si trovano in oggi preposti a pubblici uffici, venga rimosso dalle sue attuali funzioni.

Starhemberg, che mi ha riconfermato tutto quanto precede, mi ha infine formalmente dichiarato che egli imporrà ai suoi seguaci, almeno fino all'ottobre, una stretta ubbidienza, nello spirito d'una benevola cooperazione con l'attuale governo.

Evidentemente, il suo pensiero è che Schuschnigg, invasato da un canto dall'idea di un rigido autoritarismo cattolico, e dall'altro preoccupato d'un eventuale intesa del nazionalsocialismo con l'Heimatschutz, non potrà che

essere sempre più ligio ai desideri di quest'ultimo, avviandosi a poco a poco una nuova diretta cooperazione di governo con lui stesso, Starhemberg.

Tuttociò è confermato da due informazioni: l'una, datami dallo stesso Starhemberg, e nel senso che avant'ieri un prelato, amicissimo dello Schuschnigg, è andato a vederlo con l'evidente scopo di ripetérgli, con significativa insistenza, che il Cancelliere lo avrebbe senza dubbio chiamato, fra due o tre mesi, a collaborare di nuovo con lui al Governo; e la seconda, pervenutami da ottima fonte, che Schuschnigg non rifiuta in principio una proposta fattagli in segreto da un noto heimwehrista, e cioè che, al fine di conciliare l'unicità della direzione politica con la preservazione del movimento heimwehrista e delle sue idealità, il capo dell"Heimatschutz, debba riprendere al più presto il posto di Vice-Cancelliere, con i portafogli della Difesa Nazionale e della Sicurezza, nonché con il diretto comando della Front-Miliz, in modo che mentre resterebbe a Schuschnigg la direzione politica del paese, a Starhemberg resterebbe affidata la direzione della Difesa.

Senonché, pur segnalando a V. E. detti sintomi, non posso non far presente:

l) che il predetto atteggiamento di Schuschnigg non esclude, come ho pure accennato innanzi, ch'egli perseveri nei suoi sforzi per ottenere la collaborazione dei cosidetti «nazionali »;

2) che l'attuale atteggiamento delle Heimwehren verso il governo Schuschnigg, esclusivamente dovuto alle istruzioni di Starhemberg, non esclude che esse -specialmente quelle dei Lander -treschino con i nazionalsocialisti, e ciò tanto più in quanto questi ultimi fanno di tutto per propiziarsele con ogni mezzo. Quale evidente sintomo segnalo che giorni fa, all'arrivo di Starhemberg all'aerodromo di Graz, in occasione d'una gara internazionale aerea con la partecipazione di apparecchi italiani e tedeschi, i nazisti della Stiria (più di 5000) si sono uniti alle Heimwehren locali in una manifestazione in favore di Starhemberg e dei nostri aviatori, abbandonandosi invece ad una dimostrazione interamente nazista non appena Starhemberg ebbe lasciato il campo. Altro sintomo è che le note Heimwehren dissidenti della Stiria (passate negli ultimi anni al nazismo) comincerebbero a far causa comune col gruppo delle Heimwehren della stessa regione.

ln tale stato di cose, il quale corrisponde a quello creatosi or son tre anni

fra Dollfuss e Starhemberg, allorché ciascuno di essi, in un momento di re

ciproca diffidenza, cercò d'intendersi col nazionalsocialismo, sicché si ebbe

da un lato il negoziato Dollfuss-Habicht e dall'altro quello dell'heimwehrista

Alberti con la direzione del partito nazista tedesco, ogni cosa dipende dal

modo con cui Schuschnigg e Starhemberg sapranno adesso opporsi alle ten

denze delle ali estremiste dei rispettivi seguaci, e dal modo con cui il Cancel

liere saprà sottrarsi all'influenza degli elementi più clericali, non insistendo

ulteriormente in manifestazioni politiche di colore clericale, giacché queste

provocano vivissima reazione nei gregari heimwehristi, disponendoli vieppiù

verso un'intesa, stante le affinità programmatiche, con i nazionalsocialisti (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussollnl.

(l) Il presente documento reca il visto d! Mussol!n!.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5674/887 R. Londra, 13 giugno 1936, ore 0,44 (per. ore 7,30).

Telegrammi del Duce 2609 e 292 (l). Ho ritenuto opportuno dare, oltre a Austen (2), anche a Churchill integrale visione del telegramma del Duce 292.

Churchill mi ha pregato di rileggerglielo nuovamente e mi ha ringraziato, dicendomi che esso era straordinariamente importante per lui e per tutti coloro che in Inghilterra sostengono necessità di un riavvicinamento itala-inglese basato su quello che, secondo loro, deve essere una futura linea comune della politica britannica e italiana di fronte alla Germania. « Realtà del Duce stronca -Churchill ha soggiunto -tutte le manovre fatte in queste ultime settimane per accreditare in Inghilterra voci di accordo segreto ormai concluso fra Mussolini e Hitler. Allo stesso tempo mette in -chiaro che, se i «pazzi~ di Ginevra e di Londra continueranno politica ostile all'Italia ed al Regime, ci potrà essere domani fra l'Italia e la Germania qualche cosa di più di una generica atmosfera migliorata~. Churchill ha continuato dicendomi che anche questo è perfettamente comprensibile e che è ora di finirla colle sanzioni.

Ho richiamato la più seria attenzione di Churchill sulla profonda crisi sociale che travaglia in questo momento la Francia, crisi che fa sentire ancor più urgente necessità per Gran Bretagna di liquidare al più presto e in un modo netto politica delle sanzioni. Se ieri tale necessità, ho aggiunto, era evidente da un punto di vista di politica internazionale, oggi essa diventa improrogabile di fronte pericolo grave che crisi sociale in Francia ha improvvisamente determinato. Oggi più che mai abolizione sanzioni ed un aperto riavvicinamento dell'Inghilterra e dell'Italia sono rese improrogabili dalla debolezza della politica francese e dalla grave ripercussione che la crisi francese può esercitare nella compagine della politica interna britannica. Basta seguire attività rimbaldanzita dei laburisti in queste tre ultime settimane per rendersi conto dell'impressione deleteria che gli avvenimenti di Francia hanno determinato tra le masse operaie britanniche. Churchill ha risposto che condivideva pienamente quanto gli dicevo. Egli aveva salutato prematuramente avvento dei socialisti in Francia come un avvenimento politico che avrebbe favorito una politica di più stretti rapporti franco-britannici. Churchill mi ha confessato di essersi sbagliato e di esser oggi sinceramente spaventato per il corso avvenimenti francesi, i quali fanno prevedere per prossimo futuro una crisi ancora più profonda. «Bisogna liquidare sanzioni al più presto possibile e ricostruire i rapporti internazionali fra le grandi Potenze europee su un piano normale~. Churchill mi ha detto che anche a lui risulta direttamente che il Gabinetto è ormai su questa strada e che una. evoluzione profonda si sta ormai delineando nelle direttive politica britannica.

Ho fatto presente a Churchill che tutto ciò è evidente, ma non basta. Siamo fra tre settimane davanti problema della convocazione dell'Assemblea. Questo è un problema che non consente temporeggiamento. Dai risultati tale riunione dipende tutta la futura politica Europea. L'Italia aùbandonerà definitivamente S.d.N. se le sanzioni non saranno liquidate, e si vedrebbe parimenti costretta rivedere tutta la sua politica estera. Occorre che in queste tre settimane Governo britannico si decida. Non si tratta più di evoluzione bensl decisione. Occorre che in queste tre settimane tutti gli uomini politici responsabili inglesi facciano sentire la loro volontà e la loro voce e premano sul Governo in questo senso.

Churchill mi ha risposto: «Vi assicuro che in queste tre settimane noi antìsanzionisti intensificheremo la nostra azione nel senso da voi indicato. Una lunga strada già è stata fatta. Ma arrivo fino in fondo ».

Rivedrò di nuovo Churchill lunedì.

252.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, ClANO

T.s. 5680/363 R. Parigi, 13 giugno 1936, ore 12,15 (per. ore 15,30).

Telegramma di V. E. n. 310 (1). Stamane colonnello Boiler fu presentato al generale Gamelin da questo

R. addetto militare per rimettergli la lettera di S. E. maresciallo Badoglio (2).

Generale Barbasetti mi riferisce che il generale Gamelin, appena letto lettera, ha accennato alle precedenti difficoltà in cui Governo francese si è trovato nei riguardi dell'Italia, tenuto conto della politica tradizionale di amicizia con l'Inghilterra e delle clausole imposte dal Patto societario.

Ha dichiarato che agirà nel senso desiderato dal maresciallo Badoglio. Risponderà alla lettera dopo aver parlato col proprio Governo.

Generale Gamelin si è interessato vivamente della salute del maresciallo Badoglio e si è espresso in termini assai lusinghieri nei riguardi della campagna etiopica. Si è pure interessato dello stato di salute delle truppe, sopratutto in relazione ad eventuale epidemia di dissenteria amebica (3).

253.

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5703/57 R. Bucarest, 13 giugno 1936, ore 21,15 (per. ore 1,45 del 14).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 2687 del 12 (4).

Sugli sforzi fatti, e sul loro dubbio esito, per indurre rappresentanti della Piccola Intesa ad una coraggiosa iniziativa contro le sanzioni ebbi già a riferire a V. E. dopo il primo giorno del convegno dei capi di Stato con mio telegramma n. 53 (1).

Dal mio colloquio con Presidente della Repubblica cecoslovacca riferito con mio telegramma n. 54 (2). V. E. potrà rilevare che Benès ha avuto l'aria di voler condizionare una eventuale iniziativa della Piccola Intesa nel campo delle sanzioni ad impegni da nostra parte per sicurezza nell'Europa centrale e cioé comprometterci con una nostra iniziativa per la conclusione di un patto danubiano di mutua assistenza. Egli ha persino suggerito una nostra iniziativa per un patto mediterraneo, destinato a dare soddisfazione Jugoslavia, Grecia e Turchia.

Parole di Benès lasciano quindi chiaramente intendere che i signori della Piccola Intesa non si sono resi conto che l'Italia potrebbe indursi ad una attiva partecipazione sicurezza Europa Centrale soltanto in una atmosfera diversa dall'attuale per il ristabilimento della quale soppressione sanzioni deve essere prima mossa.

Comunque, pure escludendo una iniziativa della Piccola Intesa, devo tuttavia aggiungere che le numerose indiscrezioni fatte circa lavori conferenza, indiscrezioni che devono esser molto vicine alla verità essendo confermate da fonte molto autorevole, inducono a concludere che i tre membri Piccola Intesa sarebbero dispostissimi a votare a favore della soppressione delle sanzioni sempre che si prenda a Ginevra una qualsiasi iniziativa, da qualunque parte essa venga presa. In quanto alla decisione di non riconoscere annessione, essa non ha che un valore molto relativo, se resta confinata nei protocolli segreti qui firmati. Diventerebbe invece molto pericolosa se dovesse prevalere a Ginevra tendenza, accennata da Benès nel suo colloquio con me, di manovrare sulla mossa argentina nel senso di fare luogo da una parte ad una nuova condanna dell'azione italiana attraverso impegno formale del non riconoscimento dell'annessione, e di far luogo, dall'altra, alla soppressiòne delle sanzioni.

Devo aggiungere che tutto il colloquio con Benès mi ha prodotto impressione molto penosa: ho ritrovato nel presidente la sua ben nota grettezza di idee, nonchè una ostinata decisione a non volersi render conto dei pericoli che minacciano Europa Centrale e sopratutto Cecoslovacchia. Nonostante disperata posizione del suo Paese, signor Benès non sa vedere necessità di fare gesto spontaneo per cercare di guadagnarsi simpatia e appoggio dell'Italia; egli pretenderebbe, anzi, con un calcQlo la cui meschinità è evidente, «negoziare » soppressione come contropartita all'abbandono politico revisionista da noi finora seguito.

(l) -Vedi DD. 212 e 172. (2) -Si riferisce a Austen Chamberlain, (l) -Vedi D. 230. (2) -Vedi D. 223. (3) -Il presente documento reca il visto d! Mussolini. (4) -Vedi D. 243. (l) -Vedi D. 211. (2) -Vedi D. 214.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5699/248 R. Berlino, 13 giugno 1936, ore 21,30 (per. ore 23,45).

Hassell ha qui visto Hitler e constatato che i suoi sentimenti nei nostri riguardi rimangono immutati. Egli ha impressione che buone disposizioni del Fuehrer in materia di riconoscimento Abissinia si vadano maturando.

Hassell riparte domani per Roma. Egli potrebbe da V. E. essere utilmente sondato su questo punto.

255

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY

T. 2719/79 R. Roma, 13 giugno 1936, ore 24.

Telegramma di V. E. n. 100 (1).

Prendo atto delle informazioni che Ella fornisce circa i propositi del Belgio. Nell'interesse dei rapporti dei nostri due Paesi devo augurarmi che alle intenzioni corrispondano effettivamente i fatti. Ove van zeeland, ritornato al potere, si facesse precedere da altri in una iniziativa per l'abolizione delle sanzioni, è certo che l'impressione nettamente sfavorevole creata in Italia dall'atteggiamento sinora tenuto dal Belgio si consoliderebbe con palese pregiudizio sui futuri rapporti dei nostri Paesi. Occorre che codesto Governo tenga presente che il movimento abolizionista si sta ogni giorno di più allargando e intensificando non solo tra i Paesi dell'America Latina, ma anche in Europa. L'Equatore ha abolito le sanzioni. Il Cile ha proposto ufficialmente a Ginevra l'abolizione delle sanzioni. La Bolivia, l'Uruguay, il Panamà hanno dichiarato di essere pronti in massima ad abolirle. Il Guatemala è uscito dalla

S.d.N. L'opinione pubblica in Francia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Spagna, Svizzera, Norvegia, Finlandia e forti correnti d'opinione pubblica nella stessa Inghilterra reclamano l'abolizione delle sanzioni.

Le dichiarazioni fatte dal Capo del Governo al Daily Telegraph e ad altri giornali devono ormai avere sfatato anche costì la leggenda di pretese intenzioni aggressive e anticollaborazioniste dell'Italia, ma devono a un tempo aver fatto altrettanto chiaramente intendere che l'apporto italiano, indispensabile per un'opera duratura di pace e di ricostruzione in Europa, non può avvenire finchè l'ingiusta situazione d'inuguaglianza di cui l'Italia è stata posta dalle sanzioni e dai patti navali diretti contro di essa non venga finalmente a cessare.

Se il Belgio sarà all'avanguardia nell'abolizionismo, si potrà passare la spugna sul passato. In caso contrario lo ricorderemo.

(l) T. 5613/100 R. dell'l! giugno, ore 13,30. Secondo quanto comunicava Vannutelli Rey,diversi segni sembravano confermare che van Zeeland si stesse adoperando per una soluzione accettabile della crisi etiopica e che a Bruxelles si stessero preparando per riprendere 1 traffici con l'Italia non appena fossero state tolte le sanzioni, cosa ritem.1ta molto prossima.

256

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 2732/158 R. Roma, 13 giugno 1936, ore 24.

Roma è convinta che il Governo nazista non ascolterà la serenata del Times a base di tripartito occidentale.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 5727/0156 R. Parigi, 13 giugno 1936 (per. il 15).

Ho fatto seguire da questo consigliere d'emigrazione il movimento dello sciopero in Francia ed ho riferito regolarmente in proposito. Ritengo possa non essere privo d'interesse fare il punto tenendo sopratutto presente il lato politico del problema.

Le ultime due settimane hanno provato come in Francia manchi totalmente il sentimento che «governare » significa fra l'altro anche «fare atti di autorità ». Il signor Blum ha dichiarato sin dal primo giorno che assunse il potere che non sarebbe ricorso alla polizia per reprimere 8ventuali eccessi degli scioperanti. Ed infatti sino a ieri non si scorse nelle strade di Parigi alcun indizio di misure di precauzione, mentre lentamente si notavano sintomi di maggiore coraggio da parte dei rossi; bandiere dapprirr1a solamente rosse e piccole, poi con la falce ed il martello un poco più grandi; affiancate però quasi sempre da bandiere tricolori, cortei di scioperanti che andavano aumentando di numero e di partecipanti. Nel Parlamento, occupato ad approvare le leggi per gli operai, si ebbe poco o punto agio di trattare il problema della sicurezza della capitale. Per contro nel consiglio generale della Senna, dove prevalgono i rossi, e nel consiglio municipale di Parigi, dove le forze nazionali sono in lieve prevalenza, vi furono dibattiti molto energici che non mancarono di influire sul Governo o per lo meno sul ministro dell'Interno, signor Salengro, sindaco di Lille, che si è dimostrato l'uomo forte del ministero Blum. Egli tenne infatti in seno al consiglio dei ministri un linguaggio fermo sostenendo che fra l'anarchia e l'ordine non esitava a scegliere il secondo, cosicché era necessario prevenire qualsiasi incidente per evitare di dovere ricorrere ai metodi di repressione invisi al signor Blum. Risultato di questo suo atteggiamento fu che due giorni fa si procedette alla requisizione di locali vuoti nei vari quartieri di Parigi e che iermattina giunsero alla capitale

5.000 uomini di rinforzo, la cui presenza fu subito notata perché furono posti picchetti armati ai vari ministeri ed agli uffici pubblici ed anche sui boulevards, ai crocicchi delle vie più importanti furono collocati uomini armati per mantenere l'ordine.

Questi provvedimenti produssero ottima impressione sulla popolazione che nei giorni scorsi temeva il peggio appunto perché non scorgeva, da parte del Governo, alcuna intenzione di garantire l'ordine pubblico. Popolazione strana ad ogni modo quella parigina, che di fronte all'abulia governativa, non trovava alcuna energia per reagire essa stessa e si limitava a dichiarare di essere «ajfolée ». Ad una persona autorevole che mi esprimeva tutti i suoi timori domandai che cosa si proponesse di fare per fronteggiare una situazione che

tanto lo spaventava, ricevendo la risposta che egli stesso E::d i suoi amici avevano provveduto a mandare fuori di Francia i loro valori e gli oggetti più preziosi. Si ripete in questo Paese a distanza di secoli e di decenni il fenomeno della emigrazione politica che permise il trionfo della rivoluzione francese e che nel 1871 consentì alla Comune di compiere quel po' po' di scempio che viene rievocato con terrore.

Nei giorni scorsi mi sono domandato ripetutamente come mai Thorez non osasse, di fronte alla passività governativa, di compiere un atto di audacia. Nulla gli avrebbe infatti impedito di impadronirsi durante una notte della presidenza della Repubblica, dei ministeri, delle stazioni ferroviarie e radio, della posta e del telegrafo, proclamando contemporaneamente la dittatura del proletariato.

Non conosco personalmente Thorez. Esso mi viene descritto come uomo che conosce perfettamente la tattica moscovita ma che è molto prudente. Si spiega quindi la sua inattività rivoluzionaria, perché Thorez deve essersi reso conto che il risultato delle elezioni politiche non poteva né doveva essere preso alla lettera. La vittoria dei comunisti non significa infatti che i francesi siano convinti che il regime bolscevico converrebbe loro perfettamente; significa invece che numerosissimi elettori, malcontenti per la crisi, per gli aggravi causati dai decreti-legge di Lavai, per il malgoverno degli ultimi anni, decisero di votare per i candidati comunisti a titolo di esperimento per vedere se il Fronte Popolare sarebbe stato capace di mostrare maggiore autorità e di meglio dirigere la Francia. In questo stato di cose un tentativo comunista sarebbe stato votato fatalmente all'insuccesso ed avrebbe anzi potuto provocare quella reazione che ognuno sembra paventare perché essa dovrebbe necessariamente essere cruenta.

Le Croix de teu continuano ad annunciare che presto si sentirà parlare di loro, ma non si muovono. Più attivi sembrano essere gli aderenti alla Jeunesse patriotique, all'Action Française nonché i pochi Francistes. Mi è stato riferito che Doriot, l'ex-comunista che visse molti anni a Mosca e che, disgustato dal bolscevismo, si è ora posto a capo del Communisme jrançais (strano questo connubio del comunismo, che deve necessariamente essere internazionale, con la qualifica nazionalista francese!) ricevette nei giorni scorsi la visita di vari membri delle organizzazioni suddette che gli chiesero se egli avrebbe voluto porsi alla loro testa. Doriot avrebbe risposto che egli accettava chiunque si presentava a lui disposto a combattere il comunismo, ma non riconosceva ad alcuno l'appartenenza a questa o quella associazione e domandava che tutti fossero francesi pronti a lottare per allontanare dalla loro Patria il peri

colo di diventare una dipendenza di Mosca. Le cose stanno a questo punto e non hanno fatto progressi.

Chi si dà molto da fare in questi tempi calamitosi è il signor Chiappe, presidente del Consiglio municipale di Parigi che dovrà però lasciare tale carica il 20 giugno per compiuto anno di esercizio. Il presidente del Consiglio municipale di Parigi viene infatti eletto per un solo anno e non si è mai dato

n. caso che sia stato confermato. Chiappe sarà fra una settimana ancora più libero. È deciso ad agire, qualora fosse necessario ed ha dato nei giorni scorsi prova di non avere paura perché si recò in compagnia dell'indivisibile suo amico Pinelli, un altro corso, deputato e consigliere municipale di Parigi, e della signora Chiappe a passeggiare sotto ai muri di cinta degli stabilimenti industriali occupati dagli operai scioperanti. Fu tosto riconosciuto ma tutto quello che gli operai seppero fare contro la persona che odiano maggiormente fu di esclamare: Tiens c'est Chiappe. Il en a du culot. Il che prova una volta di più che l'energia ed il sangue freddo si impongono alle masse che non sono per natura loro coraggiose.

I pronostici sono concordi nel considerare che gli scioperi termineranno

o quantomeno diminuiranno nel corso della settimana ventura. Le masse operaie hanno infatti ormai ottenuto tutto quanto volevano, cosicchè non avrebbero ragione di continuare nell'agitazione. Rimane da vedere quello che faranno i datori di lavoro visto che parecchie industrie si trovano nell'impossibilità di continuare a lavorare nelle condizioni attuali dei salari ottenuti dai lavoratori.

I datori di lavoro si sono dimostrati per niente abili, avendo rifiutato finchè poterono di tenere conto delle richieste degli operai. Vi sono naturalmente state lodevoli eccezioni ed in questi stabilimenti il lavoro continuò, perché gli operai avevano già ottenuto quanto era giusto. 1 recalcitranti dichiarano che l'aumento del 32% dei salari, che in taluni casi speciali si avvicina al 40 %. impedisce loro di continuare a mantenere aperti gli stabilimenti. In più di un caso i datori di lavoro nell'acconsentire alle condizioni richieste dagli operai li hanno però avvertiti che avrebbero dovuto d'ora innanzi rivolgersi al curatore del fallimento perché essi erano stati costretti a dichiarare l'impossibilità di fare fronte ai loro impegni ed avevano presentato i libri contabili al tribunale. È probabile che questi casi si moltiplichino in avvenire.

Ho naturalmente profittato dello stato attuale di cose per porre in evidenza la bontà del fascismo che, sopprimendo le lotte di classe, dichiarando inammissibile lo sciopero perché esso arresta l'attività dello Stato e creando il sistema corporativo era riuscito a regolare tutti i problemi che attualmente si dibattono in Francia (settimana di 40 ore, contratti coll~ttivi, ferie retribuite ecc.). Ho trovato in maggioranza consenso. Solo da parte di alcuni dottrinari

del socialismo integrale, legati intimamente a Blum, mi è stato risposto riconoscendo che il fascismo aveva saputo risolvere molto bene e senza scosse tutte le questioni attinenti al lavoro, ma che ciò non astante era preferibile conservarsi ligi alle teorie marxiste, perché esse erano basate sulla «libertà». È inutile voler convertire i ciechi ed i sordi. Però l'interesse per il modo con cui le questioni suddette furono regolate da noi è grandissimo ed è per tale ragione

che feci richiedere oggi per telefono al ministero della Stampa e Propaganda l'invio di un articolo o ancor meglio di una presunta intervista, redatto o accordata da un competente in materia corporativa, come potrebbe essere

S. E. Rossoni oppure S. E. Bottai, in cui si facesse notare il grande vantaggio del metodo corporativo per risolvere i conflitti fra il capitale ed il lavoro.

Appena furono applicate le misure precauzionali a cui ho sopra accennato Parigi riprese l'aspetto normale che aveva perduto nei giorni scorsi, a causa della chiusura dei numerosi empori gastronomici, dei ristoranti e degli alberghi dove si accettavano bensì viaggiatori alla condizione però che curassero essi stessi il trasporto nelle rispettive stanze dei bagagli, accudissero personalmente al riordinamento ed alla pulizia degli alloggi e non chiedessero di essere nutriti. È superfluo dire che vi fu una fuga immediata di forestieri che si recarono in Inghilterra, Italia, Belgio, Svizzera e Germania, in attesa del ritorno alla normalità. Per una città come Parigi in cui il lusso è uno degli articoli di maggiore esportazione e che dà lavoro ad almeno un milione di persone lo stato di cose attuale costituisce una vera catastrofe.

Ancorché le previsioni siano sempre pericolose, da tutto l'insieme delle cose sarei indotto a ritenere, che la normalità apparente possa ritornare fra breve. Rimarrà però nell'animo sia delle classi operaie che della borghesia l'impressione che si tratti solo di una tregua, cosicché il malessere si prolungherà e potrà essere causa di ulteriori avvenimenti.

In questo stato di cose la situazione del ministero Blum non è certo rosea. Il presidente del Consiglio non mostrò alcuna energia, per motivi dottrinari; i ministri appartenenti al partito radical-socialista sono disgustati della debolezza di Blum. Soltanto l'energia mostrata, però soltanto avantieri, dal ministro Salengro, riuscì a fare adottare le misure precauzionali. Quanto durerà l'accordo tra socialisti e radicali? Oggi come oggi i comunisti sembrano essere proclivi ad una politica di moderazione; domani però :r,otrebbero pretendere che Blum accogliesse qualche loro postulato inaccettabile per i radicali ed allora si produrrebbe la crisi ministeriale. È quindi impossibile predire quando e come essa si produrrà, ma tutto fa ritenere che essa non possa protrarsi di molto.

258

IL MINISTRO A HELSINKI, KOCH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5861/01 R. Helsinki, 13 giugno 1936 (per. il 16).

Questo ministro Affari Esteri mi ha dato qualche notizia sulla riunione tenutasi mese passato dagli Stati ex neutri a Ginevra (l).

Tutti i delegati si sarebbero trovati d'accordo sulìa necessità modificare Covenant se si vuole mantenere organismo ginevrino. Nella discussione, Madariaga avrebbe mostrato maggiore competenza e sarebbe riuscito ottenere una certa preponderanza sugli altri delegati.

Quanto alla politica sanzionista, si sarebbe palesato sensibile contrasto, pur essendo stato unanime assenso su fallimento sanzioni. Alcuni delegati avrebbero sostenuto convenienza non abbandonare quella politica, ritenendo che mantenimento sanzioni ed eventuale inasprimento potrebbe avere ancora influenza sull'atteggiamento Governo italiano e rendere meno forte scacco politico ginevrino. Danimarca ed Olanda si sarebbero mostrate più accanite. Spagna piuttosto ambigua. Gli altri Stati si sarebbero dichiarati favorevoli abolizione sanzioni pur non volendo assumere iniziativa prima che grandi Potenze non abbiano affrontato problema, preoccupandosi sopratutto di non fare cosa sgradita a Londra.

(l) È il gruppo degli Stati rimasti neutrali durante la prima guerra mondiale.

259

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5896/0378 R. Londra, 13 giugno 1936 (per. il 19).

Dalle mie giornaliere segnalazioni stampa, V. E. avrà rilevato come, con la vittoria definitiva dell'Italia, la questione della situazione britannica nel Mediterraneo, da argomento di strategia contingente è passata decisamente

i.n primo piano come il principale soggetto «di fondo)) delle conversazioni e speculazioni degli ambienti navali e militari inglesi. A ravvivare la questione proprio in questi giorni è valso l'arrivo in Inghilterra del ministro della Difesa del Sud-Africa, signor Pirow, venuto appositamente ad esaminare col Governo di Londra, il problema delle conseguenze strategiche, per il proprio Paese, della conquista dell'Etiopia da parte dell'Italia, ed in particolare la posizione di Capetown nel riorientamento della difesa imperiale resa necessaria dal controllo italiano sul Mar Rosso.

Che la questione sia ormai diventata uno dei problemi fondamentali della politica estera britannica è riconosciuto -e non ci vuol molto -da tutti quanti. Da Garvin, il quale nell'Observer lamenta ancora una volta la cecità mostrata dall'Inghilterra nel respingere le proposte Hoare-Laval «che avrebbero evitato qualsiasi improvviso mutamento a tutto svantaggio dell'Impero britannico lungo la sua arteria principale di comunicazione», al liberale antifascista News Chronicle che, scoprendo una volta tanto il substrato dei «motivi purissimi » che lo hanno indotto a sostenere una così violenta campagna societaria, accusa amaramente: « È perchè noi non abbiamo chiuso il Canale di Suez a Mussolini che Mussolmi lo ha chiuso a noi.». Diverse, ed anche questo è evidente, sono invece le illazioni che se ne traggono: da Gwynne che nella Morning Post dichiara essere ormai necessario riconoscere francamente « che l'Inghilterra ha bisogno dell'Italia come alleata », al primo ministro sud-africano Herzog il quale ha al contrario recentemente sostenuto in seno alla stessa Assemblea legislativa che le sanzioni contro l'Italia debbono essere mantenute, «se occorre, anche per anni ancora».

25 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

Prescindendo comunque dalle reazioni politiche, v1cme e lontane, della vittoria italiana, un aspetto più immediato della particolare questione della posizione inglese nel Mediterraneo è quello, prospettato da recenti articoli e commenti di giornali, del problema pratico e specifico della difesa delle linee imperiali britanniche di comunicazione.

Segnalo a questo riguardo (e trasmetto col telespresso a parte n. 1822) (1), fra quanto è stato pubblicato in questi ultimi giorni sull'argomento, tre interessanti articoli apparsi rispettivamente sul Daily Mail, il Daily Telegraph e la Morning Post. Tutti e tre partono dalla premessa che, con la sua posizione geografica e lo sviluppo della sua marina e della sua aviazione, l'Italia ha ormai completamente sconvolto il problema inglese nel Mediterraneo; tutti e tre ammettono ormai la perdita di qualsiasi valore strategico decisivo sulla base di Malta; tutti e tre prospettano la possibilità della creazione di una nuova base inglese a Cipro. Diverse sono invece le conclusioni a cui rispettivamente giungono.

Può l'Inghilterra ormai materialmente mantenere il suo controllo sul Mediterraneo? Questo è il problema vitale che si presenta e che il capitano MacMillan, redattore aeronautico del Daily Mail, crede poter risolvere con la costruzione a Cipro di una formidabile base navale ed aerea.

Controllando direttamente il bacino orientale mediterraneo, vicino ai rifornimenti petroliferi provenienti dall'Irak, e, con i progressi tecnici dell'azione, in grado domani di inviare i suoi aeroplani a bombardare le co:;te meridionali della stessa Italia, una base del genere potrebbe, a suo giudizio, assicurare nuovamente all'Inghilterra il dominio sulla più importante via di comunicazione dell'Impero.

Meno ottimista, sotto questo punto di vista, il redattore navale del Daily Telegraph, comandante Bywater, il quale, pur mettendo in rilievo i vantaggi strategici offerti da una base a Cipro, osserva anche che essa si troverebbe sempre nel raggio di azione delle basi italiane di Rodi e delle altre isole del Dodecanneso. A parte questo -scrive il Bywater ---non è da ritenere che la creazione di una base navale a Cipro risolverebbe automaticamentE:: il problema. Rimane infatti il Canale di Sicilia. Ammesso che Malta non sia ormai più utilizzabile, una Potenza come l'Italia, con a disposizione una formidabile marina ed una altrettanto formidabile aviazione potrebbe ancora paralizzare la navigazione inglese attraverso il Mediterraneo. La vera risposta, ritiene pertanto 11 Bywater, non sta, in caso di necessità, nel cercare ad ogni costo di recuperare il controllo navale nel Mediterraneo, ma al contrario nell'evacuazione di quel mare e nell'adozione di una strategia puramente oceanica. Con in mano Gibilterra ed Aden (anche ammesso cioè un abbandono ipotetico dell'Egitto e di Suez), l'Inghilterra potrebbe facilmente bloccare tutto il traffico transoceanico dell'Italia, e comunque immobilizzarla militarmente nel Mediterraneo, liberando così la rotta del Capo di Buona Speranza sulla quale potrebbero in breve tempo essere sviati i traffici inglesi con l'Oriente. Capetown, o l'adiacente Simonstown potrebbero diventare la nuova base dell'antica flotta del Mediterraneo.

Forse l'aspetto più interessante del Bywater è quello negativo di voler dimostrare che il controllo assoluto del Mediterraneo non è vitale per la Gran Bretagna.

Il generale Gwynne, nella Morning Post va un po' più in là. Seguendo lo stesso ragionamento del Bywater, egli riconosce pienamente che l'Italia è ormai in condizione di bloccare co:tnpletamente il Canale di Sicilia «anche se l'Inghilterra avesse come alleata la Francia, e ne potesse usare le basi navali ed aeree». Allo stesso tempo la chiusura di Gibilterra e di Suez contro l'Italia rappresenterebbe una morsa che alla lunga deve necessariamente avere il suo effetto. «Ciononpertanto, scrive il Gwynne, noi non possiamo certo contare su una rapida vittoria contro l'Italia. Non possediamo basi dalle quali lanciare attacchi aerei, nè potremmo bombardarne i porti o sbarcarvi le nostre truppe. Per quanto riguarda i nostri interessi, è evidente che la nostra posizione nel Mediterraneo può solo essere ristabilita attraverso una politica di amicizia con l'Italia».

Questi i problemi che dovrebbe essere chiamata ad esaminare e pesare la eventuale «Conferenza imperiale per la difesa», di cui viene richiesta con insistenza e da tutte le parti, la pronta convocazione (1).

(l) Non pubblicato.

260

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 2294/841. Berlino, 13 giugno 1936 (per. il 15).

Da parte di S. E. Meissner, segretario di Stato per la Cancelleria del Reich, mi è stato fatto confidenzialmente conoscere che il Fiihrer, in occasione delle Olimpiadi, gradirebbe molto la visita del nostro Principe Ereditario, visita che naturalmente, nelle circostanze, non avrebbe nulla di ufficiale. Posso aggiungere che, per questa eventualità, il Fiihrer ha già disposto perché l'Augusto Principe sia alloggiato nel palazzo già occupato dal Presidente Hindenburg. Come V. E. sa, il Principe Umberto era qui vivamente atteso già per le Olimpiadi invernali, e vi sarebbe certo venuto se non avesse incontrato delle resistenze, sembra, a Palazzo Chigi.

Nonostante la veste completamente privata e direi quasi sportiva della visita (si troveranno indubbiamente a Berlino per l'occasione altri principi reali), la presenza in Germania del nostro Principe costituirebbe un avvenimento che non mancherebbe di fare qui ottima impressione.

Per un complesso di ragioni, e data la natura completamente apolitica che il fatto avrebbe, io per mia parte mi permetto esprimere parere pienamente favorevole a suo eventuale compimento. Lascio tuttavia all'E. V. di giudicare l'ulteriore corso che l'idea possa avere.

È inutile aggiungere che alle Olimpiadi di agosto si annette qui, e da tutti, un'importanza specialissima e di carattere nazionale (2).

(l) -Successivamente, l'ambasciata a Londra tornava sul viaggio di Pirow in Gran Bretagna per ribadire che, con tutta probabilità, la visita del ministro sudafricano era da collegarsi con il progetto di predisporre, in caso di guerra nel Mediterraneo, la deviazione del traffico britannico con l'Oriente attraverso il Capo di Buona Speranza. Ciò trovava conferma nelle dichiarazioni dello stesso Pirow, il quale al suo ritorno In Sud Africa aveva annunciato che il porto di Città del Capo sarebbe stato fortificato in modo da renderlo sicuro da attacchi navali anche se condotti con navi di linea (T. per corriere 7047/0435 R. di Vitetti del 14 luglio). (2) -Attolico riferì con T. 7532/323 R. del lo agosto, ore 21,49: «Oggi S.A.R. il Principe Ereditario si è recato a visitare Hitler. Colloquio molto cordiale e squisitamente cortese ma privo di qualsiasi colore politico».
261

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. 2713/118 R. Roma, 14 giugno 1936, ore 1.

Viene segnalata da Ginevra attiva propaganda antitaliana che stanno svolgendo ctelegati argentini presso rappresentanti piccoli Stati e Stati sudamericani.

Tale propaganda contrasta con ripetute generiche affermazioni amicizia date costà a V. E. da codesto Governo e qua da ambasciatore Cantilo. Ne chieda a codesto Governo (l).

262

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5707/895 R. Londra, 14 giugno 1936, ore 2,15 {per. ore 7,15).

Ho avuto anvantieri una lunga conversazione con Vansittart continuata oggi a casa sua.

È assai difficile dare un resoconto telegrafico in grado di dare riassunto lunghe ore di discussione, durante le quali lo sforzo maggiore è sempre quello di tener fissato il proprio interlocutore all'aspetto pratico della questione.

Tralascio per brevità interminabili, sebbene amichevoli, battute polemiche sulle diverse interpretazioni psicologiche e politiche della situazione interna ed estera britannica. Estraggo da questo ammasso di parole scambiateci alcuni punti essenziali.

Vansittart mi ha chiesto se avevo ricevuto risposta o se, comunque, conoscevo quali erano state reazioni del Duce al suggerimento da lui avanzato e quindi ripetuto da Eden circa un gesto da parte dell'Italia verso la S.d.N.

Ho risposto che non mi attendevo alcuna risposta su questo punto, che, d'altra parte, suggerimento era stato di natura assai vaga e generica.

Vansittart mi ha detto che, a suo avviso, sarebbe stata sufficiente una comunicazione destinata a mettere in luce opera di civiltà che l'Italia ha intrapreso e sta svolgendo in Etiopia. «Una tale comunicazione documentaria -mi ha detto Vansittart -servirebbe a spostare le basi delle discussioni di Ginevra dalla constatazione della violazione del Patto della S.d.N. ad un esame dei vantaggi che conquista della Etiopia presenta per tutti i paesi che sono interessati nella civilizzazione e pacificazione dell'Africa. Bisogna mettere S.d.N. di fronte qualche cosa di reale per impedire che essa si attardi in elucubrazioni

inconcludenti. Basta constatare effetto che ha avuto in Inghilterra e fuori dichiarazioni del Duce al Daily Telegraph (l) per intendere quale valore avrebbe a Ginevra una comunicazione italiana sulla quale noi potremmo far leva per far saltare sanzioni.

Vi posso assicurare che notizie che vengono da Roma e da Addis Abeba sull'organizzazione civile dell'Etiopia, quello che l'Italia sta facendo per abolizione schiavitù, per salvaguardare interessi delle popolazioni indigene, per il disarmo e la pacificazione del Paese, per spezzare vincoli servili del feudalismo e cointeressare gli indigeni alla amministrazione, ha fatto qui una impressione profonda ed ha contribuito notevolmente a rafforzare posizione di coloro che si battono per abolizione sanzioni. Quello che ho in mente -ha concluso Vansittart -è una comunicazione italiana al segretariato generale della S.d.N. nella quale siano raccolte e documentate tutte queste notizie, sia messo, in valore il programma di organizzazione civile dell'Etiopia, e siano ripetute le dichiarazioni fatte dal Duce al Daily Telegraph su tutto ciò che l'Italia sta facendo e si ripromette di fare in Etiopia e sulle sue generiche assicurazioni di non armare in Africa un grande esercito di colore.

Di un documento di questo genere, che non costituisce nessun atto formale impegnativo per l'Italia, noi ci serviremmo come giustificazione societaria alla abolizione delle sanzioni».

Ho risposto a Vansittart che di tuttociò avrei informato V. E. Ma gli ho aggiunto e ripetuto ancora una volta ed in termini di una nettezza assoluta, che una cosa deve essere assolutamente chiara e cioé che, quale che siano le decisioni del Duce sull'opportunità o meno di una comunicazione come quella suggerita da Vansittart, le sanzioni debbono essere abolite senza ulteriore temporeggiamento e indugio. Momento dell'epilogo si avvicina. Bisogna che il Gabinetto si decida a uscire finalmente in modo ufficiale dal suo letargo di crisalide. Il perdurare delle sanzioni punitive -ho aggiunto -provocherà irrimediabilmente il ritiro dell'Italia dalla S.d.N. L'Italia è tutta in piedi e pronta, oggi più che mai a qualsiasi eventualità, anche le più estreme, quando si tratti di difendere l'impero.

Vansittart mi ha detto che tutti i suoi sforzi erano appunto diretti a impedire che si creasse una situazione di questo genere, si riguadagnasse all'Europa la collaborazione dell'Italia. Questa è sempre desiderata dall'opinione pubblica inglese e dal Governo, il quale è rimasto profondamente impressionato dalle dichiarazioni del Duce al Daily Telegraph.

Valendomi delle istruzioni inviate dal Duce nel telegramma 2533 del 3 corrente (2), ho, detto a Vansittart che il Duce si riserva ribadire quanto egli ha detto nell'intervista al Daily Telegraph in modo ancora più ufficiale in occasione non lontana. Ho insistito ancora in tutti i modi e con tutti gli argomenti nel rappresentare a Vansittart la estrema gravità che potrebbe derivare alla situazione europea se nella prossima riunione di Ginevra non si addivenisse una volta per sempre e nel modo più netto e completo al seppellimento delle sanzioni.

Vansittart mi ha risposto dicendomi che egli è assolutamente fiducioso, se da Roma verrà qualche aiuto nel senso da lui suggerito, sull'esito finale della riunione di Ginevra, «Non vi è dubbio che durante queste tre settimane opinione pubblica britannica, Camera dei Comuni e il Governo hanno compiuto una evoluzione sostanziale. Nessuno, dico nessuno, mette in dubbio più che l'impero fascista è un fatto compiuto e irrevocabile.

Quattro avvenimenti hanno senza dubbio accelerato i tempi della vittoria antlsanzionista: l) dichiarazioni del Duce; 2) sensibile insuccesso della missione dell'ex Imperatore a Londra; 3) ritorno di Hoare nel Gabinetto; 4) coraggioso discorso pronunciato dal Cancelliere dello Scacchiere.

Quest'ultimo sopra tutto deve essere considerato «H colpo di piccone» definitivo alla politica delle sanzioni. Se nulla interviene in queste due settimane (e non vedo che cosa potrebbe intervenire) a congelare la situazione, non vedo perchè ci dovrebbero essere ragioni di pessimismo sul risultato della prossima riunione ginevrina.

Ho replicato a Vansittart dicendogli che avrei rifel'ito a V. E. le sue testuali parole augurandomi sinceramente che esse corrispondano ai fatti. Sarebbe la prima volta -ho aggiunto -che da Ginevra, la quale ha accumulato tante rovine, verrebbe un atto di pace. Credo prima occo:cra vedere quale sarà la fase finale, durante due prossime settimane, dell'attuale processo di evoluzione della politica britannica, quali le decisioni ufficiali e concrete del Governo, e come queste ultime saranno in definitiva travas::.te a Ginevra dal suo interprete ufficiale, il ministro degli Affari Esteri britannico.

Siamo rimasti d'accordo di vederci anche lunedì sera per comunicarci l'uno e l'altro le eventuali novità e per aiutarci vicendevolmente nella nostra azione di propaganda, di pressione e di persuasione che, io da una parte, Vansittart dall'altra, stiamo svolgendo in queste settimane decisive.

(l) Dall'esame della corrispondenza telegrafica non risulta il seguito dato da Arlotta a queste istruzioni.

(l) -Vedi p. 142, nota 1. (2) -Vedi D. 171.
263

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5718/55 R. Varsavia, 14 giugno 1936, ore 13,20 (per. ore 19,05).

Beck mi ha detto di aver comunicato ai diplomatici qui accreditati, a co

minciare da questo ambasciatore di Inghilterra, come Governo polacco consi

deri che il mantenimento delle sanzioni sia ormai una misura priva di ogni

base giuridica non prevista dal patto della Lega e cui carattere punitivo non è

affatto quello cui furono applicate.

Egli ha dato incarico ai diplomatici polacchi, accreditati nelle varie capitali

sanzioniste, di fare nel modo migliore, senza procedere ad un passo speciale,

uguale comunicazione.

264

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5716/249 R. Berlino, 15 giugno 1936, ore 1,25 (per. ore 3,25).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 158 del 13 corr. (1).

Germania insiste ed insisterà per accettnzione del piano di pace di Hitler, la cui base è, per Occidente, non un patto tripartito, ma una nuova Locarno, non ·meno della vecchia garantita dall'Italia e dall'Inghilterra insieme.

V. E. mi permetterà tuttavia di esprimere il subordinato avviso che, se vogliamo che Germania si mantenga irrevocabile su questa linea, non possiamo, d'altra parte, tardare troppo a prendere apertamente posizione di fronte al piano Hitler, conformemente alle dichiarazioni di cui al telegramma di S. E. il Capo del Governo in data 2 aprile scorso n. 80 (2).

Di fronte proposte come quelle di Hitler, Italia -tanto più in presenza della posizione già presa rispetto alle medesime dalla stessa Inghilterra non può, senza pericolo continuare a rimanere passiva od assente. Una simile mossa da parte italiana potrebbe persino servire ad accelerare il revirement in nostro favore della stessa opinione pubblica e del Governo britannico, inducendoli a vedere, anche in questo campo, nell'Italia un cooperatore ed una alleata utile e necessaria.

265

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UU. R. 5719/250 R. Berlino, 15 giugno 1936, ore 1,25 (per. ore 3,25).

Ho parlato oggi a Goering in condizioni particolarmente favorevoli (gita organizzata nella sua tenuta di caccia in onore contessa Ciano). Gli ho accennato alla questione di cui al telegramma odierno di V. E. n. 158 (1), giungendo poi a quella del riconoscimento annessione Abissinia. In cnnclusione, Goering mi è sembrato favorevole ad un riconoscimento anche immediato (e cioè prima della stessa Assemblea ginevrina del 30 giugno) del nostro fatto compiuto in Abissinia in cambio di un riconoscimento da parte nostra del fatto compiuto tedesco in Renania. Goering ha dichiarato di parlare a titolo strettamente, dico strettamente, confidenziale e personale. Mi sembra tuttavia difficile che quanto egli mi ha detto non rappresenti anche l'eco del pensiero di Hitler.

V. E. potrà forse -pur mostrando naturalmente ignorare nel modo più assoluto le dichiarazioni di Goering -accertarsi loro portata nel corso sue prossime conversazioni con von Hassell (mio telegramma di ieri n. 248) (3).

(l) -Vedi D. 256. (2) -Vedi serle ottava, vol. III, D. 564. (3) -Vedi D. 254, che è del 13 giugno.
266

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5741/252 R. Berlino, 15 giugno 1936, ore 14 (per. ore 16).

Mio telegramma n. 250 del 14 corrente (1).

Ieri Goering mi ha anche domandato se, nel caso che Assemblea ginevrina non solo non togliesse le sanzioni ma prendesse decisione contraria riconoscimento annessione Abissinia, Italia avrebbe abbandonato la S.d.N. Avendo io emesso, per quanto a titolo personale, opinione affermativa, Goering ha aggiunto che «uscita da Ginevra dell'Italia determinerebbe una situazione nuova anche nei riguardi della Germania». Dichiarazioni Goering vanno messe in relazione con quelle già fattemi in materia di S.d.N. da BUlow e da me riferite con rapporto n. 786 del 28 maggio (2).

267

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5754/106 R. Bruxelles, 15 giugno 1936, ore 15,04 (per. ore 18).

Tenterò ogni mezzo per indurre van Zeeland a concretare suoi propositi,

continuando a parlare chiaro, come l'ho fatto finora e come ne sono anche

autorizzato da V. E. col suo telegramma n. 79 (3). Nuove difficoltà di carattere

interno sono però sorte nel frattempo e precisamente: l) opposizione esacer

bata di Vandervelde, il quale dopo Io scacco inflittogli dal Re e da Van Zeeland

impedendogli di assumere la presidenza del consiglio o per Io meno il porta

foglio degli Esteri, saboterà ancora più accanitamente ogni gesto suscettibile di

riuscire gradito al Duce; 2) attuali scioperi comunisti, che assorbono completa

mente attività del primo ministro e lo costringono a vezzeggiare i socialisti per

attenerne il massimo appoggio.

Per meglio superare questa difficoltà sarebbe opportuno, forse, pregare si

multaneamente la Santa Sede di fare intervenire al più presto monsignor Mi

cara, possibilmente presso lo stesso Re Leopoldo, rappresentando urgenza che

il Belgio colga preziosa occasione per dissipare risentimento italiano e con

solidare in pari tempo sicurezza generale europea, che sarà seriamente com

promessa se Paesi interessati verranno forzati ad abbandonare S.d.N.

Come codesto ministero ricorderà, un analogo intervento del nunzio apostolico sortì utile effetto nello scorso novembre, quando sovrano e primo ministro del Belgio si fecero zelatori della mediazione Laval-Hoare. Questa volta si tratterebbe di indurre Governo belga a sollecitare riservatamente da Londra il mandato di proporre a Ginevra la soluzione del problema delle sanzioni, ed io spero che, di fronte ad una richiesta così formulata, van Zeeland riuscirebbe a vincere la resistenza antifascista in seno al Gabinetto.

Qualora Santa Sede consentisse dare istruzioni in tal senso a monsignor Micara, occorrerebbe che io ne fossi informato per il necessario controllo, potendo il nunzio apostolico ritenersi vincolato dal segreto e quindi astenersi dal tenermi al corrente.

(l) -Vedi D. 265. (2) -Vedi D. 125. (3) -Vedi D. 255.
268

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, MARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

~'. U. 5766-5471/62-63 R. Santiago, 15 giugno 1936, ore 17,33 (per. ore 5,15 del 16).

Ho conferito stamane con presidente della Repubblica Alessandri.

Egli mi assicurò delegato Ginevra sosterrà con ogni mezzo possibile immediata abolizione sanzioni. Presidente ha già dato istruzioni perché sia impedito abbinamento problema sanzioni con problema riconoscimento conquista Etiopia, sostenendo incompetenza Consiglio per tale secondo problema.

Ho suggerito Alessandri, nel caso sanzioni non vengano tolte, prendere iniziativa abolizione indiretta, facendo dichiarare dal suo delegato che, di fronte perpetuarsi situazione sanzionistica, la quale non ha più ragione di essere, ogni Paese avrebbe ripreso ragionevole libertà d'azione.

Alessandri ha trovato opportuno mio suggerimento e avrebbe conferito subito con suo ministro degli Affari Esteri per le opportune istruzioni in proposito da dare a Rivas Vicufia.

Nella conversazione avuta con presidente Alessandri, questi mi ha riferito che suo ministro delle Finanze, Ross, rientrato adesso da Londra, aveva avuto per suo incarico e sue istruzioni, lungo colloquio con Eden. Ross osservò al ministro inglese come né egli, né suo Paese potevano comprendere accanimento Inghilterra per sanzioni anche dopo vittoria definitiva dell'Italia; tale accanimento, osservava Ross, metteva in pericolo mortale la Lega delle Nazioni e nuoceva sommamente al prestigio inglese, assai scosso nell'America Latina.

Eden rispose che sanzioni furono decretate e applicate perché Stato Maggiore inglese e Stato Maggiore francese assicuravano che, per conquista etiopica, sarebbero occorsi Italia almeno otto (dico otto) anni. Dato questo spazio di tempo, Inghilterra era certa che Italia avrebbe finito col diventare ragionevole e, pur ricevendo qualche cosa, avrebbe desistito dall'azione guerresca.

Vittoria Italia, scomparsa Imperatore, ... (l) scusò con Ross, adducendo che, dati pareri tecnici concordi dei due Stati Maggiori.. egli non poteva fare altrimenti.

Allo stato attuale ministro inglese, pur essendo convinto necessità abolire sanzioni, non può prendere alcuna iniziativa per ragioni dì politica interna che conquista italiana dell'Etiopia ha inaspettatamente irrigidito. Ha aggiunto confidenzialmente a Ross che Stato Maggiore inglese appoggia pienamente sanzioni. Tuttavia, personalmente, approva iniziativa presa dal Cile per abolizione sanzioni e cercherà aiutarla indirettamente.

Presidente Alessandri mi ha riferito quanto sopra in via confidenziale.

269

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 5759/367 R. Parigi, 15 giugno 1936, ore 21 (per. ore 22,30).

Ho fatto colazione in casa di ex-ministro delle Colonie Rollin, con presidente Chautemps, che è ministro di Stato nel Gabinetto Blum. Egli si è espresso in termini generici di apprensione per affermazione del movimento operaio che marca vittoria completa dei lavoratori, dicendo che, a suo parere, molte industrie non potranno sostenere ingenti aumenti di spese.

Discorrendo poi a lungo meco politica estera m~ disse che, dopo sette marzo e sopratutto dopo atteggiamento dilatorio assunto dall'Inghilterra circa questione renana, cento per cento dei francesi è contrario alle sanzioni. Non esisteva dunque alcun dubbio che atteggiamento della Francia a Ginevra sarà favorevole all'abolizione. Ideologia socialista e societaria di Blum non gli consentiranno peraltro di fare alcuna proposta a riguardo.

Chautemps mi domandò se fosse esatto che idea di un avvicinamento alla Germania stesse attualmente prendendo piede in Italia.

Gli risposi che tale movimento, iniziatosi sin dal giorno in cui era stato posto sistema sanzioni, si era accresciuto dopo errore madornale commesso dal ministero Sarraut di non abolirle unilateralmente ed era andato aumentando sempre più data abulia dimostrata a riguardo dalla Francia dopo elezioni politiche.

Egli mi domandò se non si realizzava in Italia che stato delle cose presente in Francia era transitorio e disse di sperare in ogni caso che non si scorderà che, se sanzioni poterono essere mantenute nei limiti noti, lo si doveva unicamente all'atteggiamento assunto dalla Francia, che aveva dovuto bensì barcamenarsi fra S.d.N., Inghilterra e Italia, ma aveva sempre avuto presente due scopi essenziali: mostrare propria amicizia all'Italia ed evitare conflitto anglo-italiano.

Rollin avendomi detto che Chautemps aveva installato proprio ufficio di ministro di Stato al Quai d'Orsay per considerazioni di praticità in modo da non essere costretto mutare di casa quando sarà costituito prossimo ministero (mio rapporto n. 131 del 13 maggio) (1), Chautemps sorrise consenziente. Pose anzi discorso sopra relazioni esistenti tra autorità italiane e rappresentanti degli interessi francesi in Etiopia e, ottenuto da me risposta soddisfacente, espresse avviso che corrisponderebbe all'interesse dei due Paesi di continuare per qualche tempo a regolare le cose sul posto in base a criteri di praticità, reciprocità e convenienza anche per non sollevare, prima del tempo, la questione del riconoscimento dello stato di diritto, creato con la nostra annessione dell'Etiopia. Aggiunse che, secondo lui, a questo riconoscimento si finirà del resto per arrivare abbastanza presto, ancorché in modo forse non esplicito, perché il giorno in cui si dovesse sottoscrivere un atto internazionale qualunque in cui S.M. il Re fosse pure qualificato di Imperatore d'Etiopia, il riconoscimento di diritto sarebbe acquisito.

Chautemps ebbe espressioni di grande simpatia per l'Italia e tenne a ricordare che suo padre, come savoiardo, era stato suddito di S. M. Sarda di modo che anche egli considera di avere mentalità assai prossima a quella italiana ed infatti ha avuto sempre comprensione per la nostra politica.

Nel complesso, conversazione molto interessante e presa di contatti assai utile.

(l) Nota dell'Ufficio Cifra.: «Manca •.

270

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5756/369 R. Parigi, 15 giugno 1936, ore 21,05 (per. ore 23,02).

Stamane ho restituito visita fattami dal sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri (2).

Nel corso della conversazione, Vienot mi ha detto che egli poteva anticiparmi notizia, che mi sarebbe stata del resto più autorevolmente data alla prima occasione dal ministro, che il Governo francese avrebbe aderito a qualsiasi proposta mirante abolizione sanzioni. Aggiunse che, dalle notizie pervenute al Quai d'Orsay, nei prossimi tre o quattro giorni si dovrà precisare atteggiamento inglese che sta evolvendosi in senso sfavorevole alla tesi sanzionista.

Tornando a parlarmi della Conferenza di Montreux, che come è noto a

V. E. è considerata dalla Francia come imbarazzante e quindi preoccupa Quai d'Orsay, disse che, dalle notizie assunte, sembra che il 22 corrente vi sarebbe stata soltanto una seduta di apertura formale e che i lavori veri e propri sarebbero stati affidati a commissione che avrebbe potuto tirarli in lungo in modo da attendere che l'Italia potesse prendervi parte attiva.

Ho evitato di esprimermi al riguardo.

(l) -Vedi D. 31. (l) -Vedi D. 235.
271

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, BELLARDI RICCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5775/58 R. Varsavia, 15 giu.gno 1936, ore 21,30 (per. ore 2,20 del 16). Telegramma di V. E. n. 2724/C

Ho fatto oggi a questo ministro degli Affari Esteri comunicazione desiderata da V. E.

Signor Beck ha mostrato gradirla e mi ha pregato f::tr pervenire alla E. V. sue migliori felicitazioni, suoi cordiali ringraziamenti ed espressioni suo vivo desiderio mantenere con V. E. i maggiori possibili contatti per proficua collaborazione nel campo internazionale.

Nella conversazione che è seguita ho riportato discorso su prossima riunione Ginevra e attuale situazione. Beck mi ha affermato di giudicare quest'ultima con molto maggiore ottimismo di quanto non prevedesse un mese fa. Quanto al recente discorso di Neville Chamberlain, ministro degli Affari Esteri lo ritiene estremamente significativo e probabilmente influente su definitivo atteggiamento britannico.

Beck mi ha dichiarato che si recherà a Ginevra inspirandosi a quanto ha già comunicato a S. E. Bastianini (telegramma n. 55 del 14 corrente) (2) circa suo giudizio su cessazione ogni base giuridica delle sanzioni. Egli ha fiducia che il Consiglio S.d.N. durante i giorni precedenti Assemblea troverà modo predisporre situazione capace evitare possibili pericoli Assemblea. Ha soggiunto che, per parte sua, non mancherà contribuire nel miglior modo al raggiungimento possibile soluzione a noi conveniente.

(1).
272

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. u. 5805/75 R. Sofia, 15 giu.gno 1936, ore 21,30 (per. ore 2,20 del 16).

Telegramma di V. E. n. 2724 (l). Ho portato al presidente del consiglio ministro degli Affari Esteri il saluto di v. E.

Kiosseivanov mi ha pregato di ringraziare e di farmi interprete dei suoi migliori sentimenti presso V. E. col quale si è detto felice di entrare in diretti rapporti. Ha ricordato, fra l'altro, che anche lui proviene dalla diplomazia.

Confermando quanto mi aveva detto ultimamente (mio telegramma n. 63 del 3 giugno) (1), mi ha spontaneamente incaricato di assicurare V. E. che, se in seguito prossima riunione a Ginevra sanzioni non verranno tolte con deliberazione collettiva, Bulgaria agirà da sola dentro il più breve termine: aveva messo al corrente Sua Maestà del nostro colloquio ed aveva avuto sua approvazione.

In quanto all'attitudine jugoslava mi ha detto che ministro di Jugoslavia gli... (2) da Belgrado che «Jugoslavia avrebbe tolto sanzioni contemporaneamente Francia Inghilterra».

Il resto dell'interessante colloquio si è aggirato attorno idea, che è sempre cara all'attuale presidente del consiglio (vedi punto 5 del mio telespresso

n. 274/73 del 18 gennaio) (3) circa i rapporti itala-tedeschi in relazione al problema austriaco ed alle ripercussioni che essi potranno avere sull'orientamento jugoslavo.

(l) -Del 13 giugno, ore 24, non pubblicato: si tratta del telegramma d! saluto di Ciano inviato a tutte le rappresentanze diplomatiche all'atto di assumere la carica di ministro degli Esteri. (2) -Vedi D. 263.
273

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. RR. 2743/122 R. Roma, 15 giugno 1936, ore 24.

Ambasciatore Cantilo ha confermato a questo ministero chiarimenti dati a V. E. da codesto Governo nel senso che domanda di convocazione dell'Assemblea non ha alcun carattere di ostilità verso l'Italia ma è diretta a provocare riaffermazione teorica della dottrina americana del non riconoscimento (4).

R. Governo dopo le manifestazioni non chiare nè amichevoli della politica argentina a Ginevra attende, per rettificare la sua impressione, di vedere quale pratico seguito verrà dato a tali assicurazioni. È evidente che per mantenere questione del non riconoscimento su un piano strettamente dottrinale e teorico occorrerà precisare che codesto Governo non intende trarre illazioni da principi da esso affermati in senso sfavorevole all'Italia nella questione etiopica per la quale intervengono elementi del tutto speciali di considera:~,ione.

Chè se, contrariamente agli affidamenti dati, delegazione Argentina prendesse lo spunto dalla teoria del non riconoscimento per formulare e per sollecitare dall'Assemblea apprezzamenti sfavorevoli all'Italia sulla questione etiopica, le conseguenze di tale atteggiamento non amichevole, che nulla da parte italiana giustifica, peserebbero da un lato gravemente sm rapporti fra i due Paesi, mentre dall'altro, invece di avviare i lavori di Ginevra su di un terreno costruttivo e di concordia, non potrebbero che accrescere i dissensi e il malessere generale. Ora è evidente che anche ai fini personali del ministro Saavedra Lamas e per il successo della sua iniziativa tale seconda alternativa è assolutamente da evitare.

(l) -Vedi D. 176. (2) -Gruppo indecifrabile. (3) -Vedi serie ottava, vol. III, D. 85. (4) -Vedi D. 276.
274

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, BELLARDI RICCI

T. 2764/49 R. Roma, 15 giugno 1936, ore 24.

Telegramma di V. E. n. 55 (1).

Ho provveduto a diramare telegramma di V. E. ai R. rappresentanti. V. E. vada da Beck e gli dica che qualora -come non dubito --atteggiamento codesto Governo venga mantenuto anche durante prossimi lavori Consiglio e Assemblea, esso varrà a rafforzare i già saldi rapporti con codesto Paese.

275

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 5095/88 P. R. Roma, 15 giugno 1936 (per. stesso giorno).

In obbedienza alle istruzioni (2) impartitemi, ho sollecitato un'udienza del cardinale Pacelli per il signor Mussert.

Mi sono state fatte subito delle difficoltà. Ho dettato io stesso a monsignor Pizzardo la comunicazione che l'ho pregato di presentare al Segretario di Stato, impedito. Ho osservato che, malgrado le obiezioni avanzate, mi sembrava che il signor Mussert potesse essere ascoltato dal cardinale. Il capo dei nazionalsocialisti olandesi aveva dichiarato a me di proporsi di chiarire al segretario di Stato gli scopi e le tendenze della sua associazione nei riguardi della Chiesa cattolica verso la quale il nazional-socialismo olandese non nutriva ostilità preconcette.

Monsignor Pizzardo ha telefonato stamane all'ambasciata, informando che sarà in grado di dare domattina la risposta del cardinale. Da quello che il prelato ha detto al consigliere della R. ambasciata, s'intuisce che il cardinale non ha fatto buona accoglienza alla domanda. C'è da prevedere perciò ch'Egli non riceva il signor Mussert.

Il segretario per gli Affari Ecclesiastici Straordinari ha spiegato al comm. Cassinis che in questo momento il nazional-socialismo tedesco fa una campagna atroce contro il clero cattolico. Si profitta di alcuni casi d'immoralità, deplorevoli, di cui si sono resi colpevoli alcuni frati laici in Germania, per infamare tutto il clero tedesco. Monsignor Pizzardo ha detto pure a me che tanto il Papa che il cardinale si sono risentiti per il fatto che il Giornale d'Italia ha raccolto recentemente le esagerate notizie propalate dal nazismo in tema d'immoralità del clero.

Il social-nazionalismo olandese è, secondo la S&greteria di Stato, una branca ossequiente del nazismo tedesco. Le manovre di accostamento all'Italia

e alla Santa Sede fanno parte, sempre secondo monsignor Pizzardo, di un subdolo piano preordinato di propaganda. Posso aggiungere che mai prima di sabato scorso, ho inteso monsignor Pizzardo esprimersi con tanto vigore contro il nazismo. Ho avuto occasione di riferire, a varie riprese, che il cardinal Pacelli perde contegno quando parla della Germania nazista. Debbo dedurne che la sua scuola ha fatto strada. Il linguaggio tenutomi da monsignor Pizzardo mi fa credere che anche il Pontefice sia fortemente irritato contro i tedeschi. Temo quindi che il segretario di Stato non consentirà di ricevere il signor Mussert.

Da parte mia mi propongo di avviare col cardinal Pacelli, venerdì 19, una conversazione sul social-nazionalismo olandese. staccandolo da quello tedesco. Mi servirò degli argomenti fornitimi dal telespresso ministeriale del 13 corrente, n. 601419/C (1), pervenutomi in questo momento.

Ho fatto dire al signor Mussert, Albergo Ludovisi via Liguria, che domattina ·Sarò in grado di fargli sapere se il cardinal Pacelli potrà o no riceverlo Non ho dato spiegazioni.

(l) -Vedi D. 263. (2) -Probabilmente verbali.
276

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI ARGENTINA A ROMA, CANTILO (2)

APPUNTO. Roma, 15 giugno 1936.

Ho ricevuto il signor Cantilo ambasciatore di Argentina al quale ho fatto una comunicazione analoga a quella che per ordine del Duce ho fatto a Grandi in relazione al suo colloquio odierno con Vansittart e relativo al memorandum che sarà inviato a Ginevra.

Il signor Cantilo mi ha fatto presente: l) che sarebbe opportuno nel memorandum fare un cenno al Patto Saavedra Lamas. Gli ho detto che, pur riservandomi la decisione in merito, nulla ostava in principio a tale questione (in realtà nella redazione attualmente in corso della nota tale accenno esiste) ; 2) mi ha nuovamente parlato dell'opportunità di r1ominare una commissione incaricata di mantenere contatti col Governo italiano per l'esame dei documenti che verranno inviati a Ginevra circa l'azione svolta in Abissinia. Egli ha molto insistito sulla necessità di trovare una formula dilatoria che permetta ai Paesi sud-americani di non portare sul terreno concreto del conflitto italo-etiopico la questione del non riconoscimento. In materia non ho dato nessuna risposta precisa. Però ho escluso formalmente l'accettazione da parte nostra di qualsiasi commh;sione che possa recarsi sul posto. Il signor Cantilo parte venerdì per Londra onde prendere contatti col secondo delegato signor Malbran. Durante il suo soggiorno a Londra si ripromette di incontrarsi con S. E. Grandi cui potrebbe dare ulteriori notizie (3).

(l) Non rinvenuto.

(2) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 21-22.

(3) Il presente documento reca 11 visto di Mussol!ni.

277

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI TURCHIA A ROMA, BAYDUR (l)

APPUNTO. Roma, 15 giugno 1936.

Ho ricevuto l'ambasciatore di Turchia il quale mi ha contraccambiato la visita da me fattagli ed ha approfittato dell'occasione per richiamare l'attenzione sulla opportunità di una nostra partecipazione alla conferenza di Montreux. Egli ha detto che la Turchia si sarebbe accontentata di una formula che potesse, escludendo una qualsiasi forma impegnativa da parte nostra, dare la sensazione che noi partecipiamo formalmènte.

Io gli ho detto che la nostra astensione dalla conferenza di Montreux è determinata dalla situazione in cui l'Italia è stata messa dall'errore giudiziario di Ginevra. Gli ho ripetuto che fino a quando le sanzioni non saranno tolte e giustizia sarà fatta, l'Italia si asterrà da ogni forma dJ. collaborazione internazionale.

L'ambasciatore di Turchia, cui premeva estremamente un nostro intervento, ha insistito di nuovo e mi ha pregato di richiamare ancora una volta l'attenzione del Duce sull'estremo interesse che il Governo turco annette alla nostra presenza.

Io gli ho tolto ogni speranza (2).

278

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

L. P. 220200/208. Roma, 15 giugno 1936.

A seguito del tuo telegramma n. 890 (3) in cui parli dell'articolo scritto da Gwynne ti comunico che il Duce ritiene che sia molto opportuno incoraggiare questa tendenza di Gwynne per un accordo diretto per il Mediterraneo tra Italia ed Inghilterra. Conviene che l'idea sia discussa in tutti gli ambienti che si occupano di politica estera, imperiale, coloniale e nella stessa City etc...

Questo accordo dovrebbe praticamente constare di un solo termine d'intesa, e la sostanza essere questa: i due Paesi si impegnano a rispettare reciprocamente gli interessi mediterranei e a concertarsi su tutto quanto possa far sorgere controversie.

la quale la Gran Bretagna perdeva la sua sicurezza nel Meditf'rraneo e nel Mar Rosso.

(l) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, p. 21.

(2) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. (3) -T. 5662/890 R. del 13 giugno, ore 0,44. Grandi richiamava l'attenzione <<in modo particolare" su un articolo del generale Gwynne pubblicato il 12 giugno dal Morning Post nel quale si sosteneva la necessità di un immediato ritorno all'amicizia italo-britannica, senza
279

IL CAPO DELL'UFFICIO II DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, ROGERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 15 giugno 1936.

Questo incaricato d'affari d'Austria riferisce confidenzialmente che, secondo informazioni fornite al Governo austriaco da una personalità romena, durante il recente convegno di Bucarest dei capi di Stato della Piccola Intesa si sarebbe addivenuti alla firma di un accordo segreto, da tempo in preparazione, fra la Romania e la Cecoslovacchia.

A termini di tale accordo in caso di conflagrazione europea o anche di grave minaccia di guerra, la Romania concederebbe libertà di passaggio attraverso la zona di Czernovitz a varie divisioni sovietiche destinate a rinforzare l'esercito ceco di fronte ad una minaccia militare ungherese o tedesca.

Inoltre gli aeroplani sovietici sarebbero autorizzati, allo stesso scopo, a sorvolare la Bukovina. In compenso la Romania otterrebbe dalla Russia la demilitarizzazione di una zona della frontiera sul Dniester.

Belgrado, messo a suo tempo a conoscenza delle intenzioni ceco-rumene nei riguardi dell'U.R.S.S., avrebbe declinato di partecipar& anche indirettamente alla cosa; ciò che spiegherebbe l'assenza di Stojadinovic da Bucarest nonché la brevità del soggiorno colà del principe reggente Paolo.

La Francia invece approverebbe l'intesa.

Questa naturalmente è contraria allo spirito degli accordi militari rumenopolacchi: ma Titulescu, interpellato dalla Polonia sulla fedeltà della Rumenia agli accordi, l'avrebbe confermata incondizionatamente!

Il signor Rotter desidererebbe che le informazioni suesposte venissero controllate dalle RR Rappresentanze e che fosse portato a ~ma conoscenza quanto ad esse risultasse in argomento (1).

280

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. s. 4495/1425. Parigi, 15 giugno 1936.

Ho l'onore di trasmettere qui unito all'E. V. un rapporto del R. addetto militare, generale conte Barbasetti, sulle dichiarazioni a lui fatte dal maresciallo Pétain nel ricevere una lettera di S. E. il maresciallo Badoglio (2).

26 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

ALLEGATO L'ADDETTO MILITARE A PARIGI, BARBASE'ITI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

R. s. 304/S. Parigi, 12 giugno 1936.

Ho visto stamane 12 per pochi minuti il maresciallo Pétain, al quale ho consegnato una lettera del maresciallo Badoglio.

Il maresciallo Pétain:

-giudica molto grave la situazione interna della Franci,a. A tale riguardo, quindi, mi è sembrato più vicino al vero o più sincero di altre autorità militari che ho visto in

in questi giorni;

-ritiene che il nuovo Governo debba cadere a non lunga scadenza;

-ha soggiunto che nei riguardi delle sanzioni intende svolgere opera a favore

dell'Italia, ma non vuole avere alcun contatto con gli uomini di Governo attuali, che ha definito «energumeni della peggiore specie».

(l) -Per il seguito della questione si vedano i DD. 357, 377, 378, 385 e 417. (2) -Non rintracciata.
281

L'ADDETTO MILITARE A PARIGI, BARBASETTI, AL CAPO DI STATO MAGGIORE GENERALE, BADOGLIO

L. P. Parigi, 15 giugno 1936.

Mi onoro trasmetterLe una lettera che mi è stata consegnata questa sera, 15 giugno, alle ore 19 dal comandante Petibon, segretario del generale Gamelin.

Il comandante me ne ha riferito confidenzialmente in sunto il contenuto; d'altra parte mi ha informato che i tre ministri delle Forze Armate francesi sono completamente d'accordo per presentare al consiglio dei ministri la proposta di agire a fondo per l'abolizione delle sanzioni e per una stretta unione militare con l'Italia.

Lo Stato Maggiore Generale francese agisce inoltre -sempre secondo le informazioni del predetto comandante per influire w quei funzionari del Quai d"Orsay che rappresentano quasi la continuità nei lavori del ministero degli Esteri.

Ho l'impressione che la lettera di V. E. (l) abbia scosso le alte autorità militari francesi.

ALLEGATO

IL CAPO DI STATO MAGGIORE GENERALE DELL'ESERCITO FRANCESE, GAMELIN, AL CAPO DI STATO MAGGIORE GENERALE, BADOGLIO

L. P. Parigi, 15 giugno 1936.

Je suis personnellement très sensible à la loyauté de votre attitude. Vous permettrez par contre à mon amitié la mème franchise, dans un domaine où, d'ailleurs, tout en disant franchement ce que nous pensons, nous ne pouvons ètre que les exécutants de nos Gouvernements respectifs.

Nous comprenons le point de vue de l'Italie. Nous souhaitons cependat qu'EUe nous comprenne. Ce n'est pas de gaité de coeur que nous avons adhéré aux sanctions, qui ne sont point d'ailleurs sans nuire gravement à nos intérets, mais pour demeurer fidèles au Pacte de la Sooiété des Nations. Nous sommes convaincus d'avoir fait tout le possible pour qu'elles ne soient point aggravées de telle sorte que votre action vic.torieuse en Abyssinie ne s'en est point trouvée entravée; au point méme que nous avons failli compromettre notre entente avec l'Angleterre, à laquelle nous attachent des liens anciens et que nous considérons comme précieuse.

Notre action auprès de la Société des Nations et de l'Angleterre a peut-étre évité des graves événements.

J'ai transmis à mon Gouvernement le teneur de votre lettre. Vous savez mes sentiments pour vous-meme et pour votre Pays. Je persiste à attendre l'avenir avec confiance. Je considère d'ailleurs que nos accords subsistent jusqu'à nouvel avis de votre part ou de votre Gouvernement au zmen.

Je crolS ctevoir ajouter que, comme il avait été convenu, l'Armée française n'a pris aucune mesure sur nos communes frontières et qu'e1le en fera rien tant que subsisteront ces accords.

282.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5767/900 R. Londra, 16 giugno 1936, ore 2,46 (per. ore 8).

Situazione determinatasi è quale io l'avevo anticipata nel mio telegramma

n. 885 (l) e nel mio telegramma per corriere n. 376 (2).

Discorso del Cancelliere dello Scacchiere ha finalmente messo problema delle sanzioni direttamente crudamente di fronte all'opinione pubblica britannica. Esso ha precipitato nell'interno del Gabinetto e nel Parlamento una situazione che in questi ultimi giorni era andata maturandosi.

Messosi coraggiosamente alla testa del movimento antisanzionista, Chamberlain ha raccolto intorno a sè tutti gli elementi che militano a favore del ritiro delle sanzioni.

Nello stesso tempo, con Eden, quel piccolo gruppo di ministri che lo sostiene, conservatori di sinistra, ha provocato stato d'animo di antagonismo che si è chiaramente rivelato alla Camera. Se la politica di Chamberlain è la politica del Gabinetto, si è subito detto, Eden non può restare al Governo. A questa conclusione conservatori di destra, che vorrebbero sbarazzarsi. di Eden e indirettamente colpire Baldwin, e laburisti che vedono possibilità provocare una nuova crisi spingono Eden ad una controffensiva contro Chamberlain e Hoare, che paralizzi Baldwin e Gabinetto.

Era in questi ultimi giorni evidente che Eden andava preparando movimento di conversione che l'avrebbe portato gradatamente verso antisanzionisti in modo che quando il Gabinetto fosse giunto a decidere abolizione sanzioni, ciò non significasse aperta sconfessione alla sua politica ed egli potesse restare al Foreign Office. Ora sanzionisti cercano uniti di aizzarlo contro quello che essi dicono sarebbe non solo fallimento della sua politica, ma crollo della sua carriera.

Siamo cosi stamane ad un punto critico della situazione. Se Baldwin avesse il coraggio, che gli manca, allora egli imporrebbe subito e senz'altro sua volontà. Pericolo è che irresoluto barcamenatore come è, Baldwin cerchi un compromesso fra Chamberlain e Eden e si pieghi a favorire un'altra soluzione dilatoria. È contro questo che io, a mia volta, mi sto battendo e cerco di spronare con tutte le forze antisanzionisti.

Intanto oggi alla Camera dei Comuni Eden, incalzato da una serie di domande sul suo atteggiamento verso le sanzioni, ha evitato di rispondere. Ma è significativo che quando il deputato Lennox Boyd, che è uno dei nostri amici più sicuri, gli ha chiesto se egli si era reso conto della soddisfazione con la quale era stato accolto discorso del Cancelliere dello Scacchiere, grossa parte della maggioranza ha calorosamente applaudito.

283.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5780/902 R. Londra, 16 giugno 1936, ore 2,57 (per. ore 12,25).

Con telegramma n. 900 (l) riassuntivamente ho illm;trato la situazione di ieri e di lunedì. Mi sono recato stasera da Vansittart. Prima di riprendere l'esame dei punti trattati sabato e di fargli comunicazione di cui V. E. mi ha incaricato stamane, gli ho senza ritardo in modo netto posto seguente quesito: quale è l'interpretazione che io debbo dare degli sviluppi della &ituazione politica inglese determinatasi in seguito discorso anti-sanzionista del Cancelliere dello Scacchiere, e quale il significato delle voci di cui era piena ieri la stampa, la Camera dei Comuni e la City circa esistenza di un drammatico contrasto interno tra antisanzionisti, capeggiati da Chamberlain e sanzionisti, capeggiati da Eden. Ho concluso dicendo Vansittart che è necessario intervenire energicamente perchè le speculazioni dell'antifascismo sanzionista cessino immediatamente, altrimenti situazione politica comincierà nuovamente a peggiorare non solo in Inghilterra ma sopratutto in Italia.

Gabinetto britannico ha in mano, se vuole, la possibilità di determinare, con decisioni tempestive, chiare e totalitarie, solido orientamento nella vita politica del suo Paese. Se questo non farà, è fallimento inevitabile ... (2) dell'Europa, della S.d N. e della politica inglese.

Vansittart mi ha ascoltato e mi ha detto: «concordo con voi che bisogna reagire immediatamente, sia per parare il colpo dei sanzionisti, sia per non disperdere bensì disciplinare reazione favorevole al discorso del Cancelliere dello Scacchiere. Questo vi prometto che sarà fatto. Tutte le polemiche suscitate dal discorso di Chamberlain non riusciranno alterare la situazione, la quale permane oggi quella che vi ho descritto sabato scorso.

Le forze sanzioniste non hanno ancora disarmato nè fuori nè dentro il Gabinetto. C'è ancora da lavorare e lottare, per me e per voi, nei prossimi

giorni. Ma è fuori dubbio che il discorso di Chamberlain è stato accolto dalla maggioranza Camera dei Comuni e popolo inglese con una viva soddisfazione ed una simpatia netta e manifesta e ha avuto una influenza decisiva: sulla strada indicata da Chamberlain il Gabinetto ormai cammina. In via privata prego ripetere al Duce e al suo ministro degli Affari Esteri che io sono nettamente ottimista».

Ho risposto a Vansittart che avrei trasmesso queste sue parole e gli ho fatto a questo punto la comunicazione di cui V. E. mi ha incaricato stamane, e cioè che il Governo italiano avrebbe diretto al presidente dell'Assemblea un memorandum sulle linee da Vansittart suggerite nelle nostre precedenti conversazioni. Ciò sta facilitando al Governo britannico quella presa di posizione a favore levata sanzioni a cui Vansittart si è riferito.

Vansittart mi ha vivamente ringraziato e mi ha pregato esprimere sua gratitudine al Duce e a V. E. per aver accolto il suo suggerimento. « Memorandum italiano, presentato come gesto spontaneo dall'Italia verso la S.d N., non mcmcherà di avere il suo effetto decisivo prima qui in Inghilterra e poscia a Ginevra. La sua zona d'influenza, che mi auguro sarà estesa al più presto, permetterà a noi, anti-sanzionisti, di vincere ultime resistenza e di indirizzare la politica finale del Governo alla sua fase risolutiva».

Vansittart ha insistito di nuovo perché facessi presente al Duce come egli è grato per la sua decisione di cui valuta tutta l'importanza, il significato ed il valore.

Ho detto a Vansittart che dopo ciò mi aspettavo che il Governo britannico uscisse una volta per sempre dal suo stato catalettico. «Niente di più mortale per il prestigio britannico -ho continuato -che, dopa di essersi posto alla testa di 51 nazioni sanzioniste, l'Inghilterra si rinchiudesse oggi dietro il fragile paravento di un'iniziativa anti-sanzionista venuta da Potenza sud americana.

In secondo luogo occorre fin da ora che io dichiari nettamente, a nome Governo Reale, che l'Italia considererebbe una soluzione dilatoria, come ad esempio una decisione favorevole alla levata delle sanzioni seguita dalla nomina di un comitato incaricato preparare la materiale e::;ecuzione di tale decisione per la prossima assemblea di settembre, come una beffa pericolosa. Una decisione di tal genere equivarrebbe in pratica al mantenimento delle sanzioni e l'Italia non mancherebbe di reagire in conseguenza».

Vansittart mi ha risposto che avevo ragione di cor1siderare ciò come di importanza fondamentale. Tale era considerata non solo da lui, ma da tutti gli antisanzionisti dentro e fuori del Gabinetto.

«Condivido con voi opinione che questi problemi devono essere risolti nei prossimi giorni e nel senso da voi indicato. Ci stiamo battendo per questo. Vi prego ripetere al Duce e al conte Ciano che ho ragione di credere che siamo ormai ad un buon punto della strada. Nei prossimi giorni spero essere in grado darv1 notizie più concrete».

Ho detto a Vansittart che avrei trasmesso queste sue parole e siamo rimasti d'accordo rivederci al più presto.

(l) Vedi D. 223.

(l) -Vedi D. 242. (2) -T. per corriere 5691/0376 R. del 12 giugno: riferiva circa le reazioni di alcuni ambienti politici inglesi al discorso di Chamberlain. (l) -Vedi D. 282. (2) -Nota dell'Ufficio Cifra: «Gruppo indecifrabile».
284

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5776/71 R. Praga, 16 giugno 1936, ore 3,05 (per. ore 5,45).

Telegramma di V. E. 2687 (l).

Ministro degli Affari Esteri mi ha detto essere esatto che a Bucarest i tre capi di Stato Piccola Intesa hanno escluso iniziativa abolizione sanzioni, non precisamente esatto che siano state prese decisioni di non riconoscere annessione.

Sanzioni, essendo state determinate da antagonismo fra le grandi Potenze e volute da Londra, immischiandovi tutti gli altri Paesi estranei alla contestazione, i tre capi di Stato hanno ritenuto toccare alle stesse Potenze mettersi d·accordo dinanzi alla realtà dei fatti ed all'Inghilterra proporre la abolizione sanzioni. Questo, infatti -ha soggiunto Krofta -sta per verificarsi; una diffJrente iniziativa avrebbe probabilmente irrigidito Londra rendendo più difficile soluzione conflitto.

Krofta ritiene prossime riunioni a Ginevra sarà messa fine misure adottate con~ro l'Italia. Circa annessione è stato constatato che, ove S d.N. dovesse ora pronunciarsi in merito, troverebbe impossibilità procedere riconoscimento. Peraltro, eventuale espediente non parlarne o rinviare non incontrerebbe precostituita decisione in contrario della Piccola Intesa.

Benès, avendo già rassegnato dimissioni da presidente dell'Assemblea, parrebbe proporsi intervenire personalmente prossimi lavori Ginevra.

285

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5!:03/910 R. Londra, 16 giugno 1936, ore 19 (per. ore 24).

Nel corso mio colloquio con Vansittart di ieri (2) gli ho confermato che l'Italia non (dico non) invierà suo rappresentante Confnenza Montreux che si aprirà prossimamente e gliene ho illustrato ancora una volta le ovvie ragioni.

Vansittart mi ha risposto che si rende conto della nostra posizione e che an;;he egli era d'avviso che, dopo qualche seduta di carattere formale, la con·erenza avrebbe dovuto «battere il tempo» in attesa decisioni che Consiglio ed Assemblea avrebbero preso durante settimana successiva sul problema delle sanzioni.

Vansittart mi ha detto che, dopo Assemblea S.d.N. potrebbe essere utile scambio di vedute sulla questione degli Stretti tra il Governo inglese ed il Governo fascist-a. Egli mi ha confermato notizia che Eden non (dico non) si recherà a Montreux lunedì prossimo. Governo inglese sarà rappresentato da Sottosegretario di Stato Affari Esteri parlamentare lord Stanhope (1).

(l) -Vedi D. 243. (2) -Vedi D. 283.
286

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5809/913 R. Londra, 16 giugno 1936, ore 21,30 (per. ore 1,53 del17).

Stamane ho conferito di nuovo con Churchill e l'ho sollecitato ad agire direttamente, stasera e domani mattina, presso i ministri Gabinetto perché in vista discussioni che avranno luogo giovedì prossimo alla Camera dei Comuni -siano superate ultime resistenze in seno al ministero e Gabinetto si decida ad assumere e mantenere una posizione netta sul problema delle sanzioni, dichiarando quale sarà la sua linea condotta nella prossima riunione di Ginevra.

Churchill mi ha promesso che lo farà e che intensificherà in questi ultimi giorni azione antisanzionista impiegando tutta l'autorità ed il prestigio di cui gode fra i deputati, non solo di destra e del centro, ma anche, e sopratutto, fra quelli di sinistra.

287

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5802/373 R. Parigi, 16 giugno 1936, ore 21,50 (per. ore 0,30 del 17).

Léger mi ha detto di essere informato delle due conversazioni da me avute con Delbos (2). Sperava che io avessi rilevato il notevole mutamento avvenuto nell'ultimo incontro. Ciò era frutto del lavoro di persuazi.one che egli, Léger, andavu svolgendo da giorni sopra Delbos il quale si era, dopo una certa resistenza ideologica, convinto della necessità di mostrare all'Italia i sentimenti sinceri amichevoli della Francia.

Aggiunse avere saputo che avevo espresso il desiderio di vedere Blum, che mi riceveva venerdì mattina. Desiderava dirmi che Blum lasciava al ministro Affari Esteri la maggiore libertà di azione in politica estera. Il che doveva intendersi nel senso che egli approvava le direttive del Quai d'Orsay.

Léger fece l'elogio di Delbos dicendomi che aveva avuto occasione di constatare la sua perfetta onestà e sincerità, nonché il desiderio di rendersi conto esatto della situazione, a lui sinora poco nota. Poteva assicurarmi di avere chia

ramente esposto, tanto a Blum che a Delbos, necessità di seguire una politica ben determinata perché ci si trovava ad una svolta decisiva e quindi di importanza capitale per la Francia e per l'Europa intera.

Léger mi ha detto che, mentre informazioni di stampa e di fonte privata facevano ritenere che opinione del Governo inglese ed anche opinione pubblica avessero evoluto in senso anti-sanzionista, nessuna indicazione di fonte ufficiale conferma finora simile evoluzione. Egli aveva avuto ieri occasione di fare colazione intima all'ambasciata d'Inghilterra con Clerk e Chamberlain e ambasciatore inglese si era fortemente !agnato dell'assoluto silenzio del suo Governo in proposito. Per tale ragione Clerk era stato costretto a dichiarare nella sua prima visita a Delbos, che le idee del Governo Britannico erano rimaste finora immutate.

Ho chiesto a Léger se e quali accordi fossero intervenuti con Londra circa incontro di Delbos con Eden anteriormente alla riunione di Ginevra.

Léger mi ha risposto che un mese fa Eden aveva espresso desiderio di mantenersi in contatto con Parigi e chiesto solo di ritardarlo fino a dopo Pentecoste. Da quel momento per altro non era più stato fatto alcun passo, da parte inglese. Egli si domandava se Eden volesse attendere discussione di politica fissata per giovedì prossimo. Riteneva personalmente che presa di contatto avrebbe potuto avere luogo soltanto in treno fra Parigi e Ginevra oppure a Ginevra stessa.

Al Consiglio interverrà certo Delbos ed all'Assemblea Blum, che pronuncerà un discorso. E' probabile che altri delegati Assemblea siano presidenti commissioni per gli Affari Esteri del Senato. Berenger, e della Camera dei deputati, non ancora nominato.

Léger mi ha detto oggi che non sa ancora se Delbos condurrà seco Sottosegretario Stato Affari Esteri Vienot o se vorrà che vada a Ginevra Léger medesimo. Quest'ultimo mi ha detto che desidererebbe astenersene.

288.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A CITTÀ DEL CAPO, LO JUCCO

T. 2753/38 R. Roma, 16 giugno 1936, ore 22.

In relazione suo telespresso n. 184 del 15 maggio u.s.(1) attiro sua attenzione su recente nota intervista concessa da s·. E. il Capo del Governo al Daily Telegraph (2), e particolarmente su dichiarazione seguente:

«Noi possiamo mobilitare 37 classi di riservisti italiani il che significa 8 milioni di soldati. Non abbiamo quindi alcun bisogno di un esercito nero in Africa

o in Europa».

Nei suoi contatti con cotesto Governo e nelle sue eventuali conversazioni costì, V. S. potrà richiamarsi a tale dichiarazione, come anche al nostro proposito di dare massimo impulso alla colonizzazione bianca in Etiopia, per dimostrare infondatezza apprensioni manifestate al riguardo da codesta stampa.

(l) -Ciano rispose con T. 2812/326 R. del 18 giugno, ore 24: «Potrai comunicare Vansittart che siamo favorevoli a discutere a due il problema degli Stretti». (2) -Si è rinvenuto solo il D. 227, relativo al colloquio del 10 giugno. (l) -Vedi D. 56. (2) -Vedi p. 142, nota l.
289

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

'f. CONFIDENZIALE R. 5812/72 R. Praga, 16 giugno 1936, ore 22,40 (per. ore 2,30 del 17).

Mio telespresso n. 1659 13 maggio u.s. e rapporto 630/421 (1).

Questo ministro degli Affari Esteri mi parlò ,ancora ieri della persistenza di rinnovate serie preoccupazioni da parte della Jugoslavia nei riguardi dell'Italia, delle sue mire sulla Dalmazia e di tutta la situazione adriatica. Mi disse dell'impressione assai sfavorevole prodotta dalla messa in libertà di Pavelic, ciò che sarebbe ritenuto per noi indice di un sintomo grave di attività italiana presso i croati. In via strettamente confidenziale e con viva preghiera di non fare suo nome, Krofta mi accennò che gliene aveva parlato a Bucarest il principe Paolo, il quale temerebbe persino di poter esser vittima di un attentato su istigazione di agenti italiani. Krofta mi chi8se nuovamente che si faccia da parte nostra qualche cosa per tranquillizzare Jugoslavia.

Gli dissi che già R. Ministro a Belgrado aveva a~uto occasione di spiegare opera chiarificatrice con Stojadinovic (telespresso ministeriale 217288 in data del 23 maggio u.s.) (2) che ad ogni modo ne avrei ancora riferito a V. E. (3).

290

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5979/021 R. Praga, 16 giugno 1936 (per. il 21).

Commenti di questi circoli politici: nonostante il precipitoso viaggio di Titulescu a Belgrado, Stojadinovic non è andato a Bucarest; il principe Paolo è stato il più sobrio e vago nelle manifestazioni oratorie dei tre capi di Stato; al momento del noto gravissimo incidente alla rivista, il Reggente jugoslavo è scappato via credendovi un attentato, mentre Benes è rimasto al suo posto e Re Caro l è accorso sul luogo del disastro; due giorni prima del previsto, il Principe ha piantato tutto ed è tornato a Belgrado; il convegno che doveva rinsaldare la solidarietà è valso a sottolineare il disaccordo, ma Benes imperterrito ha dichiarato nel suo brindisi: «Mi si permetta di dire ancora una volta che non vi sono divergenze fra gli Stati della Piccola Intesa».

Questo ministro degli Affari Esteri, da me richiesto, mi ha ripetuto il noto motivo che Reggente e Stojadinovic... per prudenza non potevano allontanarsi entrambi e allo stesso tempo dalla capitale. Mi ha poi subito aggiunto che la visita di Beck a Belgrado è stata un fiasco (?!).

E si è parlato a Bucarest dei rapporti con l'URSS? Certamente. Il principe Paolo ha detto che la Jugoslavia vorrebbe fare come la Cecoslovacchia, però preferisce... non far niente perché un accordo con i Sovieti farebbe aprire gli occhi agli scontenti contadini serbi, i quali, memori della vecchia Russia protettrice, sarebbero pericolosamente attirati dai miraggi moscoviti. Il Reggente ha aggiunto però che la Jugoslavia non ha nulla in contrario alla politica di amicizia ceco-russa (naturale contropartita della rassegnazione cecoslovacca per l'amicizia serbo-tedesca).

Che cosa è stato detto di nuovo per l'Austria?

È stato ribadito tutto quanto era stato discusso e deciso a Belgrado al principio di maggio. Tutte le eventualità sono state esaminate e ci si è messi d'accordo sull'attitudine da adottarsi da parte della Piccola Intesa in certi casi

determinati. I capi di Stato maggiore nelle loro riunioni in corso a Bucarest, dovranno infatti concordare i loro piani a seconda delle singole ipotesi contrarie a quelli che sono l capisaldi della solidale politica estera della Piccola Intesa: a) nessuna restaurazione absburgica, b) nessuna revisione dello statuto territoriale nel bacino danubiano, c) niente AnschlusG. Sarà perciò da prevedere e concertare il da farsi se la situazione in Austria sarà turbata da un movimento esterno o se invece da agitazione interna, S!ò eventuali mutamenti in Austria avverranno d'accordo con l'Italia o contro la volontà dell'Italia, se l'Italia si muoverà e se con essa le altre Potenze occidentali, oppure se la Piccola Intesa si troverà a dover agire da sola appoggiata o non appoggiata da altre Potenze e contro chi. Queste ed altre ipotesi vanno considerate per poter esser pronti ad ogni evento sia nei riguardi dell'Austria che dell'Ungheria.

Krofta mi ha poi accennato che a Bucarest si è parlato anche della questione degli Stretti con tendenza favorevole al punto dì vista della Turchia amica ed alleata e si è anche esaminata l'eventualità di una riforma della S.d.N., riaffermandosi il principio dell'eguaglianza di tutti gli Stati ammessi a parteciparvi.

Ho riferito a parte -miei telegrammi n. 71 e n. 72 (l) circa la mia conversazione con questo ministro degli Affari Esteri a riguardo della questione etiopica e dei rapporti itala-jugoslavi.

Concludendo chiesto a Krofta con quali predisposizionl si recherà a Ginevra.

«Lei conosce -mi ha risposto -i miei sentimenti di vecchia data per l'Italia, non le sarei però sincero se le parlassi di sentimenti anziché dell'interesse del mio Paese che è mio principale obiettivo. Ebbene l'interesse del mio Paese è questo: che l'Italia «Potenza soddisfatta» torni al più presto nel concerto europeo per collaborare col suo aumentato prestigio alla ricostruzione e alla pace europea.

{l) Vedi DD. 284 e 289.

(l) -Non rinvenuti. (2) -Non rinvenuto, si tratta, con ogni probabilità della rltrasmissione del D. 52. (3) -La stessa notizia, In termini quasi Identici, giungeva alcuni giorni dopo dalla legazione a Vlenna dove era pervenuta attraverso le confidenze di Krofta al ministro d'Austria a Praga (T. per corriere 0074/070 R. da Vienna del 19 giugno).
291

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND (l)

APPUNTO. Roma, 16 giugno 1936.

Ho ricevuto l'ambasciatore d'Inghilterra al quale ho ripetuto quanto da Grandi è stato detto a Vansittart relativamente al memorandum che sarà in"iato all'Assemblea (2).

Il signor Drummond mi ha detto: a) che per quanto riguarda le sanzioni egli ritiene che possano venire abolite; b) che invece non è possibile contare su un immediato riconoscimento dell'Impero.

Egli ha parlato di una commissione che a Ginevra dovrebbe essere incaricata di studiare la documentazione italiana e che in sostanza avrebbe soltanto lo scopo di lasciar passare il tempo per facilitare il riconoscimento medesimo.

L'analogia della sua argomentazione con quella dell'ambasciatore di Argentina, signor Cantilo, fa ritenere che i due ambasciatori si siano concordati fra di loro.

292

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL MINISTRO DI UNGHERIA A ROMA, VILLANI

APPUNTO. Roma, 16 giugno 1936.

Il signor Villani, ministrp di Ungheria, mi ha detto:

l) che, date le migliorate condizioni di salute del presidente del consiglio, il Reggente sarebbe disposto, a partire dalla fine di questo mese, a compiere il progettato viaggio in Italia (3). Desidererebbe a tal fine conoscere se la Real Corte sarebbe disposta a riceverlo durante i mesi estivi;

2) che il viaggio del Duce in Ungheria potrebbe aver luogo in qualsiasi momento, sempre a partire dalla fine del mese.

I due viaggi sarebbero però condizionati ancora alle condizioni di salute del signor Gombos per cui però i medici prevedono ormai un completo ristabilimento entro due settimane.

Il signor Villani mi ha detto che desidererebbe conoscere una risposta in merito con la cortese possibile sollecitudine (4).

(l) Ed. in L'Europa verso Za catastrofe, p. 23.

(2) -Vedi D. 262. (3) -Vedi p. 46, nota 2. (4) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolini.
293

IL CAPO DELL'UFFICIO II DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, ROGERI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, E AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

TELESPR. 220229/C. Roma, 16 giugno 1936

Si ha il pregio di trascrivere, per opportuna conoscenza, un rapporto pervenuto da fonte confidenziale (l) circa l'argomento in oggetto:

«Viaggio Jugoslavia (prima quindicina aprile) ministro Reich a Vienna, von Papen, avrebbe avuto scopo proporre patto amicizia et collaborazione (durata 15 anni) tra Germania et Jugoslavia.

Patto stesso, oltre reciproco appoggio politico-diplomatico, prevederebbe seguenti impegni:

-per entrambi:

-non concludere con terze Potenze accordi che possano portare a conflitto tra le due parti;

-per la Jugoslavia:

-disinteressarsi problema austriaco ed Anschluss; non riconoscere U.R.S.S. per almeno altri quattro anni;

-per la Germania:

-garantire attuali frontiere nord e nord-ovest jugoslave (Ungheria, Austria e Italia) distogliere Ungheria da qualsiasi tentativo contro attuali frontiere con Jugoslavia; fornire Jugoslavia mezzi armamento moderni, che Jugoslavia pagherebbe fornendo materie prime e prodotti agricoli; fornire aiuti per riorganizzazione marina guerra, aviazione, industrie (specialmente belliche) jugoslave; favorire sviluppo influenza jugoslava nei Balcani e riavvicinamento bulgaro-jugoslavo.

Patto sopracitato segnerebbe conclusione costante ed efficace opera penetrazione germanica in Jugoslavia che, anche a parere stessi ambienti francesi Belgrado, ha ormai seriamente compromesso tradizionaie influenza Francia.

Circa detta opera penetrazione, favorita da ripercu;;sioni attentato Marsiglia, da riavvicinamento franco-italiano gennaio 1935 e da visita Goering Jugoslavia, si sono avuti chiari sintomi:

-In campo politico, da recente atteggiamento jugoslavo, nettamente contrario eventuali sanzioni contro Germania per nota questione zona renana;

-In campo economico, da intensificate forniture industriali (specie materiali chimici), da acquisto licenze per costruzione in Jugoslavia materiale aeronautico di modello germanico; da convenzione testè conclusa con casa Krupp, che si impegna riorganizzare e modernizzare ferriere statali di Zenika,

da recenti accordi commerciali che prevedono esportazione Germania da parte produzione prima assorbita da Italia ed importazione da Germania merci prima provenienti da Francia e Cecoslovacchia (motori, automtzzi, materiale ferroviario, ecc.) ;

-In campo culturale, da nota istituzione apposite sezioni propaganda Belgrado e Zagabria.

-In campo militare, per quanto non si abbiano ancora indizi collaborazione fra Stati Maggiori, sembra tuttavia che attuale addetto militare germanico colonnello von Faber, tecnico della motorizzazione, destinato con sede fissa Belgrado da ottobre 1935, avrebbe il compito collaborare con Stato Maggiore jugoslavo, proponendo, ben s'intende, adozione materiale auto germanico.

Risulta inoltre che Germania si astiene da qualsiasi attività informativa circa Jugoslavia».

(l) tJn'annotazione sui fogli dell'informazione fiduciaria dice: «Fonte fiduciaria del Capo del Governo, 8 giugno ».

294

L'ADDETTO MILITARE A PARIGI, BARBASETTI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

R.s. 309. Parigi, 16 giugno 1936.

Ieri 15 nel tardo pomeriggio sono stato chiamato all'ufficio del generale Gamelin, per comunicazioni d'urgenza. Mi ha ricevuto ii comadante Petibon, segretario del generale.

Il comandante Petibon mi ha rimesso una lettera chiusa indirizzata dal generale Gamelin al Maresciallo Badoglio (1), pregandomi di farla recapitare al Maresciallo. La lettera è partita con corriere speciale ed il Maresciallo l'avrà domani mattino 17.

Poi col comandante si è parlato un po' della situazione interna francese.

Lo Stato Maggiore la ritiene migliorata. Il comandante riferisce che al primo momento dell'occupazione delle fabbriche fu esaminato col governo se ricorrere alla forza per farla cessare; il governo preferì la via degli accordi tra operai e datori di lavoro, sulla base dei principi di massima concordati tra associazioni e governo. Poichè lo sciopero minacciò poi di assumere uno spiccato carattere politico con possibilità di perturbamento dell'ordine pubblico, il governo fece circolare -e impiegò, in casi isolati -la forza pubblica (guardia repubblicana), il che ha contribuito a contenere le manifestazioni.

Lo Stato Maggiore non si dissimula tuttavia che l'avvenire è oscuro, in vista dei problemi di carattere economico, finanziario, organizzativo e politico che certamente si presenteranno e che il governo dovrà risolvere.

Sta il fatto che gli scioperi si sono considerevolmente attenuati, specie in Parigi e dintorni. Ma l'esempio dell'atto di forza dei lavoratori -impunito e trionfatore -e il danno prodotto dal periodo di sciopero nel campo industriale rimangono. I comunisti hanno dichiarato che si tratta Holo di una tappa e di una sosta necessaria per preparare il domani.

In provincia l'ondata degli scioperi, che, partita dal centro ha impiegato un po' di tempo per raggiungere la periferia, continua con alterna vicenda. Domenica 14, ad esempio, ad Amiens, ho visto molte bandiere rosse su fabbriche ancora occupate da lavoratori e ho incontrato cortei e comizi di dimostranti.

Nel complesso, dunque, situazione interna assai migliorata nelle manifestazioni esterne e qualche atto di energia del governo; ma la brace cova ancora sotto le ceneri sicché la situazione è, potenzialmente, tE:sa, non possono farsi previsioni su ciò che wverrà. Gli ambienti commerciali e finanziari sono pessimisti.

Il governo è di fronte a problemi complessi derivanti anche dall'adozione di provvedimenti non sufficientemente studiati, e ha il peso di gravi responsabilità, di fronte alle situazioni che matureranno come conseguenza dei recenti avvenimenti.

Il comandante mi ha poi riferito in sunto il contenuto della lettera del generale Gamelin, illustrandola lungamente nei vari argomenti.

Riferisco i punti essenziali toccanti, ed avverto che, dato il tono della conversazione, non posso precisare quanto è realmente scritto nella lettera e quanto invece appartiene all'illustrazione tattamene.

l) La lettera non è una risposta definitiva a quella del Maresciallo Badoglio, nel senso che ancora il Gabinetto francese non ha preso decisioni collegiali sull'argomento. Il Gabinetto è stato finora quasi interamente assorbito dai problemi di politica interna e solo nella corrente settiml';tna esaminerà a fondo quelli di politica internazionale.

La lettera è dunque da considerare quasi interlocutoria.

2) Nella lettera si accenna a quanto la Francia avrebbe fatto in passato per l'Italia (vedi anche mio colloquio del 10 giugno col generale Gamelin) (1).

Cardine dell'azione francese sarebbe stato di evitare la guerra tra Italia e Inghilterra, che sarebbe riuscita disastrosa anche per la Francia. Lo Stato Maggiore ritiene che in un conflitto isolato tra Inghilterra e Italia, l'Italia in un primo tempo avrebbe avuto un felice successo; ma, a lungo andare, data la capacità di resistenza dell'Inghilterra, l'Italia avrebbe dovuto piegarsi. In ogni caso Inghilterra e Italia ne avrebbero entrambe largamente sofferto e la posizione della Francia, pressoché isolata di fronte alla GE:rmania -all'infuori delle complicazioni che il conflitto avrebbe potuto provocare -sarebbe stata critica. L'impedire la guerra tra Inghilterra e Italia corrispondeva dunque anche ad un interesse francese. Per impedirla, la Francia ha voluto legare l'Inghilterra ad agire nel quadro della S.d.N., togliendole la possibilità di ulteriori azioni isolate e sottoponendola quindi al freno del Consiglio e delle decisioni francesi

o ginevrine. Lo Stato Maggiore ritiene di essere riuscito in questo compito, che il governo italiano ha chiesto alla Francia.

Ma, per costringere l'Inghilterra a una tale condotta, era necessario valorizzare la S.d.N. -che per la Francia è stata sempre considerata, in passato,

asilo di sicurezza -e dare ad essa la soddisfazione delle sanzioni, le quali però si vollero contenute nella misura minima, cioè nel puro campo ecopomico.

Lo Stato Maggiore (secondo quanto riferisce il comandante) ha sempre agito -per suo conto -in modo che il Fronte di Stresa potesse essere mantenuto. Non ha mai nascosto che mentre desiderava e contava sull'appoggio italiano, era anche suo intendimento non staccarsi dall'Inghilterra, la cui amicizia stimava preziosa sia per la Francia, sia, secondo lo Stato Maggiore, anche per l'Italia.

Se si obietta che l'appoggio francese ha reso possibile l'attitudine ostile dell'Inghilterra verso l'Italia, lo Stato Maggiore contrappone:

a) è dubbio che l'Inghilterra non avrebbe agito se si fosse trovata isolata. Esempio: la flotta nel Mediterraneo fu inviata di sua sola iniziativa.

b) Gli accordi militari di mutua assistenza anglo· francese, circoscritti e circostanziati, derivanti forzatamente da quelli assunti direttamente dagli uomini politici e che lo Stato Maggiore ha anche cercato inizialmente di sabotare complicando quelli navali con quelli terrestri ed aerei, costituivano anch'essi una remora per l'Inghilterra, la quale non avrebbe potuto prendere iniziative se non con il consenso della Francia.

Ora, è evidente che il ragionamento dello Stato Maggiore (ed io l'ho fatto notare) è difettoso, in quanto, tra l'altro:

-esso rimane nel puro campo militare e non tocca -ad esempio l'azione iniziale del governo francese, concorde con l'Inghilterra nel dichiarare l'Italia in rottura di patto;

-non considera gli ulteriori sviluppi di detta azione, nella quale si è notata la fiacchezza o il disinteresse o l'ostilità, nei riguardi dell'Italia, del governo francese, infatuato della S.d.N. o a rimorchio sempre dell'Inghilterra, il peso della quale è stato sempre dalla Francia supervalutato;

-infine non tiene conto della libertà d'azione concessa all'Italia dagll accordi del gennaio 1935 riguardanti l'Etiopia, cui contrastano le difficoltà avanzate dal ministero Esteri francese -a conquista avvenuta dell'Etiopia e derivanti dal timore di vedere minacciati gli interessi territoriali ed economici francesi in Africa.

Tuttavia devesi sinceramente riconoscere che lo Stato Maggiore francese, a quanto risulta, ha agito sempre, per suo conto, nel senso di Stresa; ma la sua azione, come ha spesso riferito, non sempre ha potuto giungere fino al governo o non è riuscita ad essere decisiva sul governo stesso, che spesso ha agito senza sentire e senza informare lo Stato Maggiore o anche contrariamente al pensiero delle alte autorità militari.

3) Lo Stato Maggiore francese considera sempre in vigore gli accordi militari, i quali cesseranno di esserlo solo dopo che il Maresciallo li avrà categoricamente denunziati.

Lo Stato Maggiore afferma di essersi attenuto scrupolosamente ad essi. Egli smentisce le notizie di rinforzo alla frontiera italiana; anzi ricorda che ne ha tolto il 6° tiraglieri marocchini. Non ha levato anche qualche battaglione di cacciatori alpini, perché così rimase d'accordo col Maresciallo, in quanto le Alpi sono la sola regione nella quale si possa addestrarsi nella guerra di montagna, utilmente anche per l'Italia, tenuto conto che gli alpini entrano nel corpo di spedizione francese destinato ad operare in Italia.

I lavori di fortificazione si sarebbero limitati al completamento delle opere iniziate e finanziate, con lo scopo principale di proteggerle dalle condizioni atmosferiche, disgregatrici, della montagna.

CA tale riguardo io ho intanto accennato, ad ogni buon fine, che i lavori di fortificazione nostri, sospesi senz'altro in seguito agli accordi, hanno bisogno assoluto di riparazioni, per la gravità dei danni prodotti dall'inverno).

Lo Stato Maggiore francese concentra per contro i suoi lavori di fortificazione alla frontiera nord-est. Noto che lo Stato Maggiore fa astrazione, in queste sue dichiarazioni, dei lavori fatti in Corsica e alla frontiera libica.

Quanto ai rinforzi di truppe alla frontiera, ho già citato nei precedenti rapporti le mie osservazioni negative (per quanto esse non abbiano potuto essere profonde) (l) e quelle, dello stesso tenore, dei RR. consoli aventi giurisdizione nella parte Nord-Est della 14a regione.

Il comandante Petibon, per dimostrare il valore attuale che Io Stato Maggiore dà agli accordi, mi ha anche riferito che non più tardi di un mese fa ha dovuto ritoccare la composizione del corpo di spedizione francese, rinforzandolo, e modificandone le località di sbarco in Italia.

4) I ministri delle forze armate (difesa nazionale e guerra, marina, aeronautica), coi quali il generale Gamelin ha lungamente conferito, convinti della necessità dell'appoggio dell'Italia, presenteranno al consiglio dei ministri formale proposta di abolizione delle sanzioni e di stretta collaborazione militare con l'Italia. Essi ne sosterranno la tesi dinanzi al ministro degli esteri e a quegli altri ministri che per idee politiche ne fossero contrari.

5) D'altra parte il generale Gamelin e i suoi ufficiali (il comandante Petibon compreso) lavorano e lavoreranno per condurre sulla via di simile convinzione anche i funzionari del Quai d'Orsay: quelli di cui è nota l'avversione verso l'Italia e che, per ragioni burocratiche, riescono a piegare le opinioni dei propri ministri, continuamente variabili, alle idee proprie. Lo Stato Maggiore Generale afferma di essere convinto che anche il sig. Léger -segretario generale del ministero Esteri, col quale il Petibon ha parlato -agirà sul proprio ministro, per convincerlo della necessità di abolire le sanzioni. Su questo punto io ho particolarmente insistito, essendo stato messo al corrente, dal nostro ambasciatore, dell'ostinato spirito societario del predetto funzionario.

6) Lo Stato Maggiore -in conclusione -ha fiducia che le sanzioni saranno tolte. A tale riguardo io ho soggiunto che le precedenti difficoltà derivanti dagli impegni con l'Inghilterra, cui mi ha accennato in un recente colloquio il generale Gamelin, hanno perduto d'importanza, e che lo Stato Maggiore se ha realmente il proposito di riuscire, trova ora appoggio, tra l'altro, a questo riguardo, nel dado tratto da Sir Neville Chamberlain col suo recente discorso.

(l} Sic.

7) Il comandante Petibon ha criticato i giornali di destra francesi 1 quali, pur agendo con buone intenzioni, presentano la richiesta dell'abolizione delle sanzioni come ultimatum da parte dell'Italia. Ciò, dice il comandante, fa del male all'opinione pubblica francese. Ho compreso a che cosa mirava la sua allusione ed ho controbattuto che, se i giornali francesi di destra parlano così, è segno che intendono aprire gli occhi alla Francia, avendo compreso la gravità della situazione; d'altra parte l'Italia risponde solo di ciò che dicono i giornali italiani. Ed il comandante Petibon ha convenuto che la stampa italiana è molto corretta.

Concludo dicendo che mai come nel colloquio di ieri ho sentito parlare senza reticenze del valore dell'appoggio italiano. Ho la sensazione che la lettera del Maresciallo Badoglio abbia prodotto profonda impressione nelle alte autorità militari.

La possibile rottura dell'unico legame concreto (accordi militari e aerei) ancora esistente tra Francia e Italia, è venuta ad aggravare la preoccupazione -già espressami dal generale Gamelin -di un accordo tra Inghilterra e Germania. Queste due considerazioni, nonché la possibilità di un ravvicinamento diretto italo-inglese e di una iniziativa dell'Inghilterra che faccia perdere ragione di gratitudine dell'Italia verso la Francia, ed infine la debole azione di sostegno esplicata dall'Inghilterra nella questione renana, devono avere il generale Gamelin, che ha lavorato subito e intensamente (son trascorsi appena due giorni tra la lettera del Maresciallo Badoglio e la prima lettera di risposta del generale Gamelin) presso il nuovo ministro della difesa nazionale (il quale, come ho scritto in un precedente rapporto, costituisce oggi la figura di primo piano nel quadro delle Forze Armate) e presso anche il ministro e il ministero degli Esteri.

Quale sarà il risultato pratico di un tale lavorio, diranno solo le decisioni che verranno prese in proposito dal consiglio dei ministri, e l'atteggiamento che i delegati francesi terranno a Ginevra.

N. B. -Alla fine del colloquio ho incontrato, mentre saliva in automobile, il generale Gamelin, che mi ha chiesto se avevo preso la lettera e se avevo discorso col suo segretario.

(l) Vedi D. 281, allegato.

(l) Non si è rinvenuto nessun documento su un colloquio tra !l generale Gamel!n e l'addetto m!l!tare italiano alla data del 10 giugno. Un colloquio ebbe luogo, invece, !l 13 giugno (vedi D. 252).

295

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5158/916 P.R. Londra, 17 giugno 1936, ore... (l) (per. ore 3,55).

Telegramma di V. E. n. 312 (2).

Leggo in questo momento telegramma ministeriale 14 corr. circa impressioni nostro ambasciatore a Parigi sull'attitudine che la Francia assume «nei riguardi sanzioni» (3).

27 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

Secondo la nostra rappresentanza a Parigi si può ritenere escluso tanto che la Francia prenda l'iniziativa quanto che essa insista sul Governo britannico perchè l'assuma l'Inghilterra. Queste impressioni corrispondono a quanto dettomi apertamente da Vansittart sia da Corbin, sia da giornalisti francesi e uomini politici inglesi in stretti contatti con Parigi.

Questo ambasciatore di Francia è tornato qualche giorno fa da Parigi disorientato e vivamente preoccupato non solo per i possibili funesti sviluppi della situazione interna ma anche per le ripercussioni già visibili che tale crisi sta avendo su politica estera francese. Tali preoccupazioni sono aumentate, Corbin non me l'ha nascosto, dopo lo sviluppo impreveduto della politica britannica in favore levata sanzioni, il rifiuto di Eden all'incontro proposto da Delbos e il progettato viaggio Lord Halifax a Berlino.

Corbin, il quale ha sempre rispecchiato fedelmente stato d'animo del Quai d"Orsay, si è quindi espresso con me col più nero pessimismo circa possibilità revoca sanzioni nella prossima riunione di Ginevra, riferendosi alle stesse parole dette da Avenol al nostro delegato a Ginevra e rivelando, in sostanza, quella che è la politica estera ufficiale della Francia ve;rso l'Italia in questo momento, combattuta da interessi di politica generale che la costringono a favorire revoca sanzioni, l'avarizia meschina e delusoria del Quai d'Orsay che vorrebbe, d'accordo con l'Inghilterra, contrattare e barattare la revoca delle sanzioni con vantaggi concreti da chiedersi all'Italia in Europa ed in Africa.

A ciò si aggiunge il verbo antifascista pacifista delle sinistre e in politica estera tradizionale gelosia del Quai d'Orsay di fronte alla crescente potenza militare e politica dell'Italia fascista.

Ha risposto a Corbin che il Governo francese, rifiutandosi oggi di prendere o favorire comunque iniziativa a Ginevra per abolizione delle sanzioni, proprio nel momento in cui tale iniziativa sta per essere presa dalla sanzionista Inghilterra, mostra una cecità che è incredibile ed una valutazione assolutamente errata e inconcepibile degli elementari interessi della sua politica estera.

Da parte sua Vansittart mi ha ieri confermato che; il Governo britannico non (dico non) ha ritenuto accettare invito di Delbos per un incontro a Parigi in cui, secondo disegno francese, si sarebbe dovuto esaminare una comune linea di azione franco-inglese da adottare, sia nei riguardi delle sanzioni a Ginevra, sia nei riguardi della mancata risposta tedesca al questionario britannico.

Vansittart mi ha detto a parte contrarietà generica di inviare ministro degli Affari Esteri a Parigi, Gabinetto aveva deciso declinare invito Delbos per due ragioni: l) non provocare in Germania reazioni che avrebbero potuto servire come pretesto per giustificare attitudine negativa di Hitler; 2) evitare assolutamente in Inghilterra e in Europa impressione che Governo britannico si preparava a contrattare o barattare con l'Italia eventuaìe decisione favorevole revoca sanzioni.

« Governo britannico, ha continuato Vansittart, deve assolutamente, sopratutto in questo momento decisivo, poter dimostrare che la sua attitudine nei riguardi problema azione collettiva a Ginevra, sia in senso sanzionista sia in senso antisanzionista, non è determinata o influenzata da calcoli di politica imperialistica in Africa, nel Mediterraneo e in Europa, ma bensì soltanto dalla difesa dei principi di politica generale della S d.N. Quah;iasi baratto o negoziato diretto anglo-franco-italiano sul problema delle sanzioni, come vorrebbe la Francia, renderebbe al Governo britannico praticamente impossibile di far accettare alla propria opinione pubblica una revisione politica sanzionista adottata nell'autunno scorso».

296.

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5933/169 R. Shanghai, 17 giugno 1936, ore 13 (per. ore 22,20 del 21).

Ho avuto lunga conferenza a Nanchino sulla questione delle sanzioni e della prossima Assemblea S.d.N. con ministro Affari Esteri e con vice ministro politico che rappresenta mentalità tecnico-giuridica più rigorosa. Dopo essermi riferito come domanda massima al pro-memoria da me presentato allo stesso ministro per abbandono unilaterale sanzioni (mio telegramma n. 155) (l) ho chiesto almeno che Governo cinese desse alla sua delegazione a Ginevra istruzioni di appoggiare tesi che sarà da sostenere a favore Italia nella prossima Assemblea e mi sono valso di quanto V. E. mi ha additato nei suoi telegrammi nn. 136 e 138 (2).

Ministro mi ha risposto che appoggio a tale linea politica è assicurato in ogni caso e mi ha ripetuto di aver dato istruzioni ai suoi ambasciatori a Londra e Parigi ed al suo delegato a Ginevra per lavorare sotto la superficie a favore dell'abbandono delle sanzioni. In quanto ad atteggiamento teme giuridicamente essere difficile alla Cina patrocinare soluzione che potrebbe compromettere sua posizione di principio di fronte fatto compiuto e con ciò di costituire precedente di fronte succedersi minacce presenti e future.

Per via di graduali insistenze e chiarificazioni siamo arrivati a definire che questo atteggiamento di riserva negativa riguarda soltanto e per ora il riconoscimento dei fatti compiuti come quello che può avere una analogia giuridica col caso della Manciuria e che per il resto e specialmente per abolizione sanzioni delegazione cinese all'Assemblea della S.d.N. si manifesterà per adozione tesi favorevole all'Italia. che potrà venire in discussione.

Ho avuto assicurazione precisa che tale atteggiamento sarà tenuto non più sotto la superficie ma in votazione qualora ne sarà il caso. Istruzioni in questo senso vengono impartite alla delegazione. Siamo pure rimasti intesi che per quanto riguarda particolare sviluppo dei. lavori dell'Assemblea nostro rappresentante Ginevra, ed in mancanza nostro segretario, si farà parte diligente per ogni utile contatto ed anche di ciò viene informata la delegazione cinese a Ginevra (3).

(l) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. Si colloca qui in base all'ora d'arrivo. (2) -Ciano aveva inviato con T. rr. 6484/312 P.R. del 13 giugno le seguenti istruzioni: «Pregola telegrafare appena possibile, magari in riassunto Suo colloquio con Vansittart ». (3) -T. 2735 R. del 14 giugno, ore 18: ritrasmetteva a Londra il T. per corriere 5693/0154 R. da Parigi del 12 giugno il cui contenuto è riassunto nel presente telegramma. (l) -T. 5536/155 R. dell'8 giugno, ore 13, non pubblicato. (2) -Vedi D. 246 e p. 295 nota 5. (3) -Il 18 giugno, l'ambasciatore di Cina a Roma comunicò a Ciano che Il suo governo, pur non potendo prendere da solo l'iniziativa di abolire le sanzioni, aveva dato Istruzioni alla propria delegazione a Ginevra di agire in modo «pienamente favorevole » all'Italia (lettera di Liu von-Tao a Ciano del 18 giugno, non pubblicata, con allegata copia del telegramma inviato da Wai Chiao Pon all'ambasciata a Roma).
297

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RR. 5844/377 R. Parigi, 17 giugno 1936, ore 20,20 (per. ore 24).

V. E. avrà rilevato il diverso linguaggio tenutomi da Delbos e da Vienot durante il primo colloquio avuto con loro e quello successivo (l). Motivi del mutamento sono varì.

In primo luogo, uomini del Fronte Popolare, giunti al Governo con un bagaglio di dottrinarismo societario che servì loro ottimamente quando erano all'opposizione, si resero in pochi giorni conto della realtà della situazione.

Ritengo doveroso mettere in rilievo che, come ebbi occasione di segnalare ripetutamente atteggiamento non favorevole di Léger, mi corre obbligo di informare V. E. che segretario generale si sta comportando molto bene negli ultimi giorni e che esplica attività encomiabile per illuminare nuovi Governanti. Egli lo fa in primo luogo perché, pur mancando di informazioni ufficiali circa mutamento di attitudine del Governo britannico, può conoscere in via confidenziale (egli è in continuo contatto diretto personale con Vansittart) quali sono gli umori di Londra. Inoltre produsse sopra Léger molta impressione nota lettera del maresciallo Badoglio al generale Gamelin (2), commenti a cui diedero luogo mutamenti avvenuti nel ministero degli Affari Esteri italiano, soggiorno a Berlino della contessa Ciano ed anche taluni articoli della nostra stampa. So che pure quanto dissero Chambrun e sopratutto FrançoisPoncet e Corbin riferendo umori di Berlino e Londra e possibili sviluppi delle relazioni tra Germania e Italia e Germania ed Inghilterra, diede molto da riflettere a Léger. Donde il felice risultato che egli si sia reso conto trovarsi la Francia ad una svolta vitale della sua storia e l'azione da lui esercitata sopra Blum e Delbos per conviverli della importanza del momento politico.

Atteggiamento della stampa francese nelle ultime settimane mi è parso ottimo ed ha dimostrato che il lungo e paziente lavorio, svolto negli ultimi dieci mesi, non è stato vano. Adesioni all'azione antisanzionista, promossa d'accordo con questa R. ambasciata dal membro dell'Istituto, Giorgio Claude, procede pure in modo superiore alle aspettative.

Tutto ciò mi permette dire a tutti che il Governo francese dovrebbe tenere maggior conto della propria opinione pubblica e chiedere esso stesso abolizione delle sanzioni. Mi scontro però contro ostacoli insormontabili costituiti dal convincimento diffuso ambienti radicali e socialisti che occorre assolutamente evitare che opinione pubblica britannica (alla quale questi signori sembrano dare importanza molto maggiore che alla propria), possa ritenere che la Francia abbia esercitato benché minima pressione sopra Inghilterra per farle mutare atteggiamento nella questione della difesa del Patto societario. In altri termini, avendo mossa (e V. E. ricorderà con quale violenza e tenacia) campagna per abbattere Lavai, accusato di aver influito in senso moderato, e quindi dele

terio sopra l'Inghilterra perchè non difendeva integralmente Statuto ginevrino, essi non vogliono che i laburisti possano ora accusare Governo del Fronte Popolare di agire nello stesso senso.

Il loro spirito politico va fino ad aderire incondizionatamente (poichè Delbos mi ha formalmente dichiarato di rinunziare a mercanteggiare con l'Italia) all'abolizione delle sanzioni qualora proposta venga da un'altra parte, ma si rifiuta di far assumere iniziativa dalla Francia.

Come ho detto più sopra, si è qui compresa perfettamente situazione in cui si trova l'Italia nel caso in cui dovesse constatare irrigidimento degli Stati societari nell'atteggiamento sino ad ora tenuto. Bisogna però essere al tempo stesso cauti e non bisogna parlare nei nostri giornali di mutamento radicale e certo della politica estera italiana perchè, qualora Francia dovesse avere impressione che l'Italia è ormai decisa a stringere accordi politico-militari con la Germania, essa assumerebbe verso di noi attitudine nettamente ostile.

(l) -Vedi DD. 227, 235 e 270. (2) -Vedi D. 223.
298

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, BELLARDI RICCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5857/63 R. Varsavia, 17 giugno 1936, ore 21,20 (per. ore 2 del 18).

Telegramma di V. E. n. 49 (l) mi è giunto dopo che Beck era partito per la campagna, ove si è recato a riposare qualche giorno prima del suo viaggio a Ginevra. D'altronde nel nostro colloquio di ieri l'altro (mio telegramma

n. 58) (2), interpretando intenzioni di V. E. già non avevo mancato di esprimere al ministro che suo atteggiamento a Ginevra, ispirato a quanto aveva dichiarato a S. E. Bastianini circa sanzioni, sarebbe stato particolarmente apprezzato dal R. Governo il quale già in altre occasioni aveva avuto occasione di valutare comprensione e collaborazione ministro degli Affari Esteri di Polonia. Beck si era mostrato meco soddisfatto della conferma di questo atteggiamento.

Comunque, nel colloquio che ho avuto oggi con questo sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri ho ripetuto a lui quanto V. E. desiderava fargli sapere. Szembek che, come tutti qui, è molto favorevolmente impressionato da attuale graduale ma sicura evoluzione atteggiamento britannico, mi ha promesso di riferirne a Beck immediatamente dopo suo ritorno a Varsavia. Ha tenuto a ripetermi che, d'altronde, Polonia non è mai stata rigida sostenitrice del principio sanzionista.

Aggiungo che iersera questo ambasciatore di Germania mi ha affermato che Beck gli ha ripetuto identiche dichiarazioni fatte S. E. Bastianini circa suo giudizio su cessazione ogni base giuridica delle sanzioni. Predetto ambasciatore è personalmente convinto che prossimo atteggiamento Beck a Ginevra sarà in ogni caso favorevole a noi.

(l) -Vedi D. 274. (2) -Vedi D. 271.
299

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 2792/318 R. (l). Roma, 17 giugno 1936, ore 22.

Devi indirizzare la corrente inglese contro ogni patto mediterraneo che ci impegnerebbe per il futuro. Devi orientare gli ambienti verso un accordo italo-inglese diretto africano e mediterraneo.

Devi svalutare le possibilità della Francia oramai inchiodata alla croce dei sovieti che vogliono bolscevizzarla allo scopo di massima garanzia contro la Germania.

Dirai perciò a Ward Price di insistere nella sua tesi.

300

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 2793/317 R. (1). Roma, 17 giugno 1936, ore 23.

Nei tuoi colloqui cogli ambienti fai notare che se iniziativa inglese nei confronti sanzioni sarà mantenuta a Ginevra, la Gran Bretagna avrà questi vantaggi: l) dimostrare il suo coraggio il che rialzerà suo prestigio; 2) devierà sulla Francia amarezza e rancore degli italiani.

301

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. PERSONALE 2794/125 R. (1). Roma, 17 giugno 1936, ore 23.

Dall'insieme informazioni è ormai chiaro che iniziativa Saavedra Lamas è

nettamente ostile all'Italia. Occorre che italiani e itala-argentini si muovano colla più grande energia. Il signor Saavedra Lamas sta compromettendo forse irreparabilmente ami

cizia fra i due Paesi.

(l) Minuta autografa.

302

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. R. 2803/306 R. Roma, 17 giugno 1936, ore 23.

Misure neutralità che erano state emanate costà colla constatazione di uno stato di guerra non hanno -come V. E. ha giustamente fatto osservare costì (l) -ormai più ragione di essere. Loro abrogazione non potrebbe davvero essere né apparire prematura a più di cinquanta giorni dalla cessazione delle ostilità medesime, e sarebbe destinata produrre ottimo effetto sui rapporti fra i nostri due Paesi; mentre ogni ritardo frapposto a tale provvedimento porrebbe Stati Uniti fra Paesi a rimorchio iniziativa altri Stati.

303

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5905/043 R. Atene, 17 giugno 1936 (per. il 19).

Suo telegramma circolare n. 2736 (2).

Ieri ho nuovamente intrattenuto questo presidente del consiglio sull'attitudine del Governo greco riguardo alle sanzioni. Il signor Metaxas mi ha ripetuto quanto ho già riferito a V. E. col mio telegramma per corriere n. 034 dell'B corrente (3), ed ha aggiunto:

l) che aveva inviato a Politis l'istruzione precisa di associarsi e appoggiare qualsiasi proposta favorevole all'Italia ed all'abolizione delle sanzioni;

2) che aveva deciso di far partire per Ginevra il segretario generale del ministero degli Affari Esteri signor Mavroudis sia perché questi era persona di sua fiducia e conosceva il suo pensiero al riguardo e sia perché egli sapeva che il signor Mavroudis era un amico dell'Italia che avrebbe potuto all'occorrenza vigilare a che le sue istruzioni fossero fedelmente eseguite.

Nel corso della conversazione avendomi il signor Metaxas lasciato chiaramente intendere che la buona volontà del Governo greco era in gran parte neutralizzata dalla difficoltà per esso di schierarsi contro l'Inghilterra, gli ho risposto citando il recente discorso di Chamberlain e gli ho detto che, come egli stesso aveva potuto constatare dai giornali e come a me risultava anche da altre fonti, la opinione pubblica inglese era ormai quasi unanime nel volere l'abolizione delle sanzioni e che il Governo britannico avrebbe, forse, molto

gradito che il Governo di un altro Paese gli avesse dato l'opportunità, con una sua proposta in tal senso, di uscire dal vicolo cieco nel quale esso si era cacciato con la politica delle sanzioni.

Il signor Metaxas mi ha risposto che finora Londra non aveva lasciato trapelare questo suo desiderio; se la ipotesi si fosse verificata la Grecia non si sarebbe lasciata sfuggire l'occasione e si sarebbe prestata volentieri alla sua realizzazione.

(l) -Vedi D. 213. (2) -Il testo del telegramma, firmato da Ciano (T. 2736/C. R. del 14 giugno, ore 22,30), era il seguente: <<Intensificare in tutti gli ambienti polit-ici, giornalistici ed economici la lotta contro le sanzioni dopo il discorso pronunciato da Neville Chamberlain. S'l necessario aiutare tangibilmente ». (3) -Vedi D. 217.
304

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 5910/0157 R. Parigi, 17 giugno 1936 (per. il 19).

Quando giorni or sono, feci visita al Maresciallo Franchet d'Esperey per sollecitare da lui l'autorizzazione di rendere pubblica la lettera da lui indirizzatami e contenente giudizi oltremodo elogiativi per l'azione militare in Africa Orientale, colsi l'occasione per farlo pure discorrere delle impressioni riportate dal suo recente soggiorno nei Balcani e sopratutto a Belgrado.

Il Maresciallo non esitò a dirmi di avere trovato i suoi amici jugoslavi assai inquieti per i preparativi che noi staremmo facendo in Albania nonchè per la liberazione di Pavelic e Kvaternik. A proposito di questi due capi croati fornii al Maresciallo le informazioni a mia disposizione che mi permisero di dimostrargli l'infondatezza dei timori di Belgrado. Gli dissi pure che, dato che Kvaternik era stato internato in un'isola, cadevano le preoccupazioni jugoslave per il reclutamento da parte sua, in Bari, di ustaci, che dirigerebbe in Albania.

Circa i rapporti fra la Jugoslavia e la Germania che tanto preoccupano Parigi, il Maresciallo mi disse di averne parlato a lungo tanto col Principe Paolo che con Stojadinovic e col ministro della Guerra. Tutti gli avevano detto che in un momento in cui la Jugoslavia aveva sofferto moltissimo per le sanzioni, non potendo più esportare in Italia, il Reich aveva fatto l'offerta di comperare esso stesso pagando in merci, tutto il quantitativo che non poteva essere esitato diversamente. Ciò aveva naturalmente creato una corrente di simpatia verso la Germania. I suoi informatori suddetti gli avevano però smentito nel modo più formale che esistesse qualsiasi forma di intesa politico-militare tra la Jugoslavia ed il Reich ed avevano per contro riconfermato la loro fedeltà alla Piccola Intesa e quindi alla Francia.

305

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 17 giugno 1936.

Renania -Immediatamente dopo l'occupazione della zona renana, il Governo italiano fornì assicurazioni al Governo tedesco nel senso che l'Italia si sarebbe astenuta da qualsiasi eventuale azione militare od economica diretta contro la Germania.

Le decisioni che furono prese dai rappresentanti delle Potenze, locarniste a Londra il 19 marzo furono approvate dai Governi inglese, francese e belga. Il governo italiano non si pronunziò allora e non si è ancora pronunziato al riguardo. Sopratutto mentre il Governo inglese inviò ai Governi francese e belga la nota lettera per le consultazioni tra gli Stati Maggiori rispettivi e le consultazioni stesse ebbero luogo, il Governo italiano non inviò la lettera e non prese parte alle consultazioni. Quantunque il Governo inglese abbia cercato con le dichiarazioni fatte allora pubblicamente, di sminuire sia il valore della lettera che quello di tali consultazioni, è chiaro che l'atteggiamento italiano è stato decisamente più favorevole alla Germania di quello inglese.

In più va ricordato che l'ambasciatore Grandi alla fine delle consultazioni delle Potenze locarniste ebbe a dichiarare che la collaborazione dell'Italia era stata puramente tecnica.

Piano tedesco per la pace -Si ricorda come, rifiutando le decisioni di Londra dei Governi locarnisti, la Germania abbia per conto suo avanzato delle proposte e presentato il 31 marzo un complesso «Piano per la pace» (1). Il piano tedesco si fonda essenzialmente sui patti bilaterali di «non aggressione » e di «non assistenza». A sua volta il Governo francese ha presentato un proprio piano (Memorandum Flandin del 10 aprile) (2) che si basa invece sui « patti regionali » e di « mutua assistenza ». Il Governo britannico che si è, a così dire, fatto tramite tra la Germania e le altre Potenze locarniste nella trattazione della quistione, ha inviato a Berlino un questionario (3) chiedendo delle delucidazioni su molti punti che il Governo tedesco non ha ancora fornite, osservando che non era possibile dare una risposta finchè non si fosse visto più chiaro nel dissidio itala-inglese. Le ultime notizie sono invece nel senso che la risposta tedesca sarebbe bella e pronta e che sarebbe presto inviata.

Il Governo italiano si è astenuto dal pronunciarsi (tanto sul piano tedesco, come su quello francese) dato il suo atteggiamento di non collaborazione assunto a causa della situazione anormale creata dalle sanzioni ecc. Il suo pensiero sui problemi della sicurezza, della ricostruzione ecc., oggetto dei due piani, è tuttavia noto attraverso le dichiarazioni pubbliche di S. E. il Capo del Governo (Daily Telegraph (4), ecc.).

306

IL MINISTRO A LIMA, BIANCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5871/131 R. Lima, 18 giugno 1936, ore 0,49 (per. ore 9,30).

Ministro degli Affari Esteri mi rimette ora memorandum contenente punti di vista Governo peruviano in relazione convocazione Assemblea S.d.N.

(-4) Vedi p. 142, nota l.

Testo tradotto del memorandum è il seguente: l) Governo peruviano ritiene opportuna convocazione Assemblea S.d.N. promossa da Governo argentino. Di fronte dilazioni e vacillamenti che le circostanze hanno imposto alla politica delle principali Potenze europee e della

S.d.N. in relazione guerra etiopica, una azione franca, come quella che desidera Governo argentino, è destinata chiarire orizzonte della politica mondiale, sempre che quella stessa Assemblea si mantenga entro i limiti che le segnano interessi della pace universale e della convivenza Stati da cui dipende, in primo luogo, questa pace.

2) Entro tale concetto, Governo peruviano considera non (dico non) sarebbe conveniente sottoporre deliberazione Assemblea riconoscimento annessione Etiopia, la cui... (l) è stata domandata dal Governo italiano individualmente agli Stati con cui mantiene relazioni e che devono anche individualmente risolverla per non arrecare compromesso nelle attribuzioni S.d.N. Questo parere di ottenere soltanto la pace con criteri diplomatici, indipendentemente da Ginevra per parte del Governo peruviano corrisponde principi che hanno tradizionalmente informato sua politica internazionale e che sono stati adottati generalmente in questi ultimi tempi.

3) Governo peruviano considera anche che mantenimento sistema sanzioni contro l'Italia, una volta superate circostanze che giustificarono sua applicazione e terminato stato di guerra al quale sanzioni sono riferimento per l'art. 16 Patto, non ha alcuna efficacia ed è elemento perturbatore possibilità pacifiche. Questo parere comprende convinzione che è necessario prevedere mezzi più normali per raggiungere il mantenimento di una stabile pace internazionale.

4) Governo peruviano ritenendo che è giunto momento opportuno abbordare revisione, sia pure parziale, del Patto della S.d.N. a tale effetto esporrà a suo tempo suoi punti di vista (2).

(l) -Vedi p. 159, nota 2. (2) -Vedi D D F, serie seconda, vol. II, D. 37, parte B. (3) -Vedi p. 44, nota l.
307

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5843/919 R. Londra, 18 giugno 1936, ore 2,16 (per. ore 6).

Ho avuto stamane lungo colloquio con Austen Chamberlain allo scopo concertare azione da svolgersi stasera e domani mattina Camera dei Comuni per neutralizzare ultimi tentativi sanzionisti opposizione e galvanizzare durante le prossime sedute decisive forze antisanzioniste dei conservatori non solo di destra e del centro ma anche di sinistra. Da iersera, anche gruppo conserva

tori sinistra sta poco a poco spiegando e accettando sostanzialmente revoca sanzioni.

Dibattito di politica estera proseguirà, dopo la seduta di domani, nelle sedute di lunedì e martedì. Domani parleranno Eden, Baldwin e capi opposizione. Lunedì parlerà Austen Chamberlain a nome maggioranza partito conservatore.

Ho raccomandato a Chamberlain che nel suo discorso insista sopratutto sul fatto che revoca sanzioni deve aver luogo in modo netto e definitivo per la fine del mese, cioè prima del termine riunione del Consiglio e dell'Assemblea e che qualsiasi eventuale procedura la quale, pur risolvendo questione di principio portasse ad ulteriori indugi sul terreno dell'applicazione pratica, sarebbe fatale per l'Inghilterra, per la S,d.N. e per l'Europa. Chamberlain è d'accordo e nel suo discorso insisterà particolarmente su questo punto.

Su altre cose interessanti dettemi da Chamberlain rispetto alla politica generale europea e crisi francese riferisco a parte (l). Ho passato intero pomeriggio alla Camera dei Comuni, da dove ritorno ora. Ho l'impressione che ambiente sia ormai preparato e risponda bene.

(1) -Nota dell'Ufficio Cifra: «Gruppo Indecifrabile». (2) -Con T. 2855/77 R. del 20 giugno, ore 2, Ciano comunicava al ministro Bianchi di non poter condividere il punto di vista del governo peruviano circa l'opportunità dell'iniziativa argentina di convocare l'Assemblea della Società delle Nazioni ma di concordare circa gli altri punti del memorandum -abolizione delle sanzioni, riconoscimento dell'annessione dell'Etiopia, riforma della S.d.N. -e incaricava Bianchi di assicurarsi che Istruzioni in tal senso fossero Inviate al delegato peruviano a Ginevra
308

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5846/924 R. Londra, 18 giugno 1936, ore 2,19 (per. ore 6).

Notizie portate e divulgate da Lord Cecil, reduce da Parigi, secondo le quali Governo socialista francese sarebbe disposto mantenere fronte sanzionista contro l'Italia, sono oggi in primo piano stampa sanzionista la quale cerca ardentemente, ma invano, di intorbidare le acque. Ma io profitto di queste stesse voci, che giungono da Parigi, di un preteso orientamento francese in senso sanzionista o almeno scarsamente favorevole ad una revisione della politica sanzionista, per dimostrare ai conservatori britannici due cose:

l) che le titubanze francesi non debbono influire sulle decisioni dell'Inghilterra, la quale non ha bisogno del beneplacito del socialista Blum per la sua azione a Ginevra. Questo è il momento per l'Inghilterra -aggiungo -di profittare della situazione che è offerta dalla Francia stessa e ricostruire direttamente, senza più mediazione francese, condizioni psicologiche, politiche per una intesa diretta con l'Italia.

2) che l'Inghilterra conservatrice ha tutto l'interesse, per il suo prestigio nel mondo, di sciogliersi dai legami con l'infetta democrazia francese socialcomunista e andare incontro decisamente e lealmente all'Italia fascista, che è la «vera » democrazia, popolare, gerarchica e autoritaria. La democrazia autentica è quella fascista, Stato di popolo, ossia Stato moderno.

La Francia conservatrice -dico e ripeto a tutti -è sull'orlo di un baratro pauroso. Fronte Popolare è la nuova gironda e Blum un altro Kerenski.

309.

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5875/61 R•. Bucarest, 18 giugno 1936, ore 13 (per. ore 18).

Mi è stato confidato da Titulescu che Litvinov gli avrebbe, nei giorni scorsi, fatto sapere essere favorevole non solo alla soppressione delle sanzioni ma anche al riconoscimento, dico riconoscimento, dell'annessione dell'Etiopia. Litvinov domandava soltanto che l'Italia si impegnasse: l) a rientrare quale parte attiva nel concerto europeo; 2) a non riprendere il concetto di un boicottaggio europeo; 3) a portarsi garante contro l'Anschluss.

Litvinov (più abile perciò di Benes) era disposto a non condizionare soppressione sanzioni agli impegni suddetti in quanto le due cose potevano essere tenute formalmente su piano diverso.

Da parte mia osservo che Titulescu deve essere stato o insincero o impreciso parlando soltanto di Austria. Ritengo infatti che proposta di Litvinov non possa riferirsi soltanto all'Austria ma debba comprendere anche la Cecoslovacchia. Questo però è null'altro che una mia illazione.

Per quanto concerne atteggiamento Romania, Titulescu mi ha ripetuto che, sebbene egli non fosse in grado di prendere una iniziativa sulla questione sanzioni, considerava tuttavia che il problema si avviava a sicura soluzione perché certamente la maggioranza della S.d.N. sarebbe stata favorevole alla soppressione.

Circa riconoscimento, egli non poteva andare così lontano come Litvinov. Gli pareva che bisognasse dar tempo al tempo e pensava quindi sarebbe stato un errore da parte nostra se avessimo messo fin da ora un aut aut alle Potenze.

Gli ho risposto che ignoravo quale sarebbe stata procedura e scelta dei tempi che il Governo italiano si proponeva seguire circa questione del riconoscimento, ma tenevo d'altra parte ad ammonirlo che se a Ginevra si fosse comunque pensato di rinnovare un qualsiasi biasimo all'Italia o si fosse inscenata una affermazione di principio o peggio ancora un impegno di non riconoscimento, la presente crisi fra l'Italia e Ginevra sarebbe sboccata in una rottura definitiva. Gli ho ricordato che se l'Italia è fortemente interessata al problema della stabilità in Europa centrale, tale problema è tuttavia «vitale» per la Piccolo Intesa. L'ho invitato quindi a riflettere su tutte le conseguenze di un nostro definitivo abbandono della S.d.N.

310.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UU. RR. 5864/379 R. Parigi, 18 giugno 1936, ore 14,05 (per. ore 15,50).

Stamane Léger mi ha informato che ministro degli Affari Esteri desiderava vedermi di urgenza fra consiglio di Gabinetto a cui stava assistendo ed il consiglio che avrebbe avuto luogo all'Eliseo alle 14,15.

Torno da Delbos il quale prendendo lo spunto dell'ultimo colloquio (1), mi disse, con preghiera di tenere la cosa per il momento riservata, che egli avrebbe sottoposto al consiglio dei ministri per l'approvazione la decisione da lui presa di abolire sanzioni. Temeva che brevissimo Consiglio dei Ministri di oggi, nel quale avrebbero dovuto essere approvati numerosi disegni di legge da presentare al Parlamento già alle ore 15, non gli avrebbe consentito di fargli approvare fino da oggi decisione di cui si tratta. Egli avrebbe ad ogni modo chiesto al presidente della repubblica di convocare al più presto un nuovo consiglio dei ministri che si occupasse della questione.

Ho chiesto a Delbos quale procedura credeva che sarebbe stata seguita a Ginevra per l'abolizione sanzioni, ricordandogli che vi era una proposta del Cile al riguardo (2).

Egli mi ha risposto di non avervi ancora pensato. Si trattava di un problema importante sopratutto per il prestig:io della S.d.N.

Ho allora osservato, a titolo personale, che sarebbe stato assai utile ed anche opportuno per gli stessi Stati sanzionisti, che nella stessa motivazione si menzionasse non solo fine della guerra, ma l'impulso vigoroso dato dall'Italia alle operazioni di civiltà in Etiopia. Ciò avrebbe consentito all'Italia di constatare una resipiscenza di parte di Stati che troppo alla leggera avevano creduto di poter porre sullo stesso piede un Paese di millenaria civiltà ed uno Stato schiavista. Insistetti sulla grande impressione che notizie, che giungevano questa settimana dall'Etiopia, stavano producendo a Londra, dove gli inglesi riconoscevano che italiani lavorano nel loro nuovo impero con un ritmo degno di ammirazione.

(l) Oltre al presente, non si è rinvenuto alcun documento circa il colloquio ChamberlainGrandi del 17 giugno.

311

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.s. 5885/376 R. Washington, 18 giugno 1936, ore 18,50 (per. ore 4 del 19). Telegramma di V. E. n. 306 (3).

Sono lieto di informare V. E. che questione concernente revoca delle misure di neutralità si sta avviando verso soluzione forse imminente. Dopo conversazione con sottosegretario di Stato, durante la quale ho ripetuto e sviluppato argomentazioni fatte valere nello scorso maggio, Phillips mi ha detto, in via assolutamente confidenziale, che, quanto prima, Presidente avrebbe preso una decisione al riguardo. Egli non poteva precisare la data del proclama presidenziale che constaterà cessazione dello stato di guerra e revocherà misure restrittive della neutralità, ma mi ha lasciato capire che ciò potrebbe avvenire in tempo relativamente prossimo dicendomi testualmente: «Su questo punto potete stare tranquillo ».

Facendomi questa confidenza e pregandomi di mantenere su di essa massimo riserbo, sottosegretario di Stato mi ha fatto presente assoluta necessità che nell'andamento politico italiano si eviti di dare impressione che decisioni del Presidente possano essere state prese per aderire a richiesta o cedendo a pressioni del R. Governo. Anche per ragioni di politica interna è essenziale che decisione di Roosevelt appaia determinata unicamente da esame obbiettivo della situazione, indipendentemente da qualsiasi azione tanto della Lega delle Nazioni, quanto dell'Italia.

Mi permetto richiamare su questo punto delicato particolare attenzione di

V. E. per opportune direttive che crederà a suo tempo impartire alla stampa italiana.

(l) -Vedi D. 287 e nota 2 di p. 335. (2) -Vedi D. 268. (3) -Vedi D. 302.
312

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5950/611 R. Ginevra, 18 giugno 1936 (per. il 20).

Ho visto oggi Avenol rientrato ieri da Parigi. Gli ho detto che mi sembrava come dall'ultimo nostro colloquio ad oggi la situazione si fosse enormemente chiarita e come avesse finalmente prevalso il buon senso a Londra e vi si fosse imposta la realtà della situazione.

Avenol concorda che Londra ormai ha fatto un passo decisivo dal punto di vista degli interessi britannici. Mi chiede quali contropartite il Governo italiano ha dato a Londra per indurre Baldwin ad agire così. Rispondo; assolutamente nessuna. Punto fermo della nostra politica è che non ammettiamo mercanteggiamenti. Le sanzioni vanno abolite perché sono un assurdo economico e politico, conseguenza di un colossale errore. Il processo che la Lega ha imbastito contro l'Italia va rivisto e la sentenza va annullata alla luce della realtà dei fatti. Tutto questo sarà evento naturale della storia perchè la verità politica, anche se violentata dalle passioni, finisce prima o poi per affermarsi. Quindi gli posso assicurare che Londra ha agito in base ad esame obiettivo della situazione e senza nessuna contropartita italiana. Gli chiedo invece che cosa ha deciso Parigi.

Avenol è secco. Mi risponde che il Gabinetto francese non prenderà iniziative ma, beninteso, non si opporrà alle decisioni che saranno prese a Ginevra sulla base della nuova proposta britannica. Tuttavia non crede che le cose andranno tanto facilmente come forse immaginano gli inglesi. Vi sono piccoli Stati che sono stati trascinati, precisamente da Londra, ad adottare una politica che andava contro i loro stessi interessi ed ora vedono questa politica ufficialmente smentita senza che Londra si sia curata neppure di consultarli. È chiaro quindi che delle reazioni contro l'atteggiamento britannico ve ne samnno e di vivaci.

Rispondo che Londra ha sempre sostenuto che la decisione deve essere collettiva. Eden verrà a Ginevra a proporre forse l'abolizione delle sanzioni il che non esclude affatto la consultazione e la discussione -visto che non vi è più nessuna ragione, neppure supposta, per mantenerle e visto che esse si sono mostrate inoperanti (confesso che l'idea di poter un giorno difendere l'operato di Eden in seno alla S.d.N. non mi era mai venuta nel corso degli ultimi mesi! Ma a Ginevra tutto è possibile).

Avenol osserva che qualche delegazione terrà a mettere in rilievo che questa ultima affermazione non è esatta e che non è affatto vero che le sanzioni sono state inoperanti.

Ribatto che giuochiamo con le parole. Esse sono state inoperanti rispetto ai fini che si proponevano, di arrestare le ostilità; sono state impotenti a impedire che l'Italia si facesse giustizia da sola e agisse da sola contro uno stato di cose che oltre a costituire un'onta per la civiltà umana era causa di continue provocazioni e minacce per il Governo fascista. Che importanza poteva avere il fatto che da alcune statistiche, da accettarsi con beneficio di inventario, risultasse una diminuzione di importazioni e di esportazioni per l'Italia? Se la S.d.N. voleva registrare le sanzioni nell'attivo del suo bilancio, come un precedente utile per l'avvenire, facesse pure.

Quanto al problema del riconoscimento Avenol afferma che il Governo francese non l'ha neppure esaminato e d'altra parte gli risulta che il Governo argentino si propone di sostenere la sua tesi che è ben nota e che è quella di quasi tutte le nazioni sud americane.

Osservo ad Avenol che anche su questo problema bisogna che la S.d.N. si metta rapidamente sul terreno della realtà. Cavillare, tergiversare, procrastinare non serve che a rendere sempre più delicata la questione, a infittire gli ostacoli da una parte mentre si è tanto fatto e penato per eliminarli dall'altra.

Avenol ritiene che sarebbe un grave errore se il Governo italiano tentasse di forzare ora la mano dell'Assemblea per arrivare al riconoscimento. Ha la sensazione, però, che l'Assemblea non si orienterà verso la decisione tipo Manciukuò «dato che l'esperienza che se ne è fatta è stata pessima». «Mi pare obietto -che appunto perchè avete già fatto così cattiva esperienza per il caso del Manciukuò occorra tener presente la situazione e regolarsi ispirandosi al senso della realtà politica attuale. D'altra parte non vi è nessuna analogia tra il caso del Manciukuo' e quello dell'Etiopia. Quest'ultimo è un caso assolutamente a sè. Il Governo italiano ha un'infinità di argomenti politici, morali e giuridici da far valere per dimostrare che esso ha agito conformemente a una superiore morale internazionale e in armonia al vero spirito del Patto. Ritengo che a momento e luogo opportuno il Governo italiano farà valere le sue tesi e chiederà che in sede di appello la S.d.N. gli riconosca il fondamento del suo operato come per suo conto la storia ha già fatto. A tale riguardo Avenol dichiara di constatare con un certo stupore che sui giornali italiani e nell'annuncio dato di un memoriale che il Governo italiano preparerebbe per Ginevra (1), si afferma che la S.d.N. avrebbe dichiarato l'Italia « ag

gressore ». Una simile versione la sta leggendo da tempo sulla stampa fascista. Tiene a precisare che ciò è inesatto. La S.d.N. «non ha mai impiegato questo termine». Essa s1 e limitata a dichiarare che l'Italia «ha ricorso alla guerra contrariamente agli obblighi derivanti dall'art. 12 del Patto». E per quanto vi possa essere una certa analogia di fondo tuttavia la differenza esiste.

Non ho ben capito la portata di questa osservazione di Avenol. Ma mi è parso che volesse difendere la S.d.N. dall'accusa di aver definito l'Italia come Stato aggressore. II segretario generale della Lega che si affanna a chiarire a un rappresentante italiano che la S.d.N. non ha mai pronunciato la parola aggressore! Quale meraviglioso cammino in otto mesi! Sono certo, che poco alla volta finirà con l'ammettere che fu l'Etiopia lo Stato aggressore.

Avenol ritiene di non poter ancora pronunciarsi sulle deliberazioni che prenderà l'Assemblea e se quest'ultima si impegnerà o meno a non prendere alcuna decisione per quel che concerne il riconoscimento. Confessa che per quanto è in lui egli potrà adoperarsi ben poco per far accettare una soluzione sospensiva.

Gli rispondo che non sono d'accordo. Egli potrà fare molto l) per patrocinare, nell'interesse di tutti e della situazione dell'Europa in generale, ed ottenere che si trovi una formula per il riconoscimento se non esplicito, almeno implicito dell'Impero italiano; 2) per impedire, se quanto dico non è possibile, in ogni caso che l'Assemblea pregiudichi il problema con decisioni affrettate demagogiche irresponsabili e sopratutto controproducenti.

Avenol, senza impegnarsi su questo punto, e pur riconoscendo che il mio modo di vedere è ispirato da ragioni obiettive e conformi agli stessi interessi della S.d.N., mi dice che a Parigi ha dovuto constatare con sorpresa una certa preoccupazione per gli impegni che Roma e Berlino avrebbero preso e starebbero prendendo. Mi chiede quanto mi consti al riguardo. Osservo che non ho elementi per potergli rispondere. Mi dichiara allora che se tali accordi esistono, come appare dalle ultime pubblicazioni della stampa, la Francia sconterà male l'appoggio che ci ha fornito a Ginevra ogni qualvolta la situazione stava per aggravarsi ed essa è intervenuta con iniziative decise per impedirlo.

Rispondo che la Francia ha agito nell'interesse della pace del mondo quando ha fatto opera di moderazione a Ginevra. Ora se a Parigi si fanno strada delle preocupazioni la vera ragione di esse deve essere ricercata nella condotta incerta dei precedenti Governi francesi e oggi -mi permetta la massima franchezza -nella condotta non molto amichevole verso l'Italia dell'attuale Gabinetto. II popolo italiano avrebbe amato, dati i vincoli sentimentali tra Francia e Italia, vedere che l'iniziativa presa oggi da Londra fosse presa invece da Parigi, dove si è preferito, per ragioni di partito e pregiudiziali antifasciste, assumere un atteggiamento se non decisamente e attivamente contrario, quanto meno agnostico freddo e passivo nei confronti dell'Italia. È chiaro che in questo modo la Francia non ha agito nel suo interesse. Vi sono molti giornali francesi che hanno apertamente sollecitato il Gabinetto Blum a prendere una posizione franca e coraggiosa. Viceversa Parigi finora ha taciuto o, se ha parlato, ha fatto questione di «difesa del Patto» e di «azione

collettiva», senza tenere molto conto della realtà europea e del proprio interesse politico.

Avenol spera che Roma si renda conto della difficile situazione del Gabinetto Blum, «il quale avrà lo scrupolo di impedire si pensi che esso possa accordarsi direttamente con Roma per la tutela dei suoì interessi in Africa a spese della fedeltà dovuta al Patto».

Per concludere Avenol mi chiede a bruciapelo se è esatto quanto si afferma da tutti a Parigi che il nuovo ministro degli Esteri italiano conte Ciano è notoriamente filotedesca e che quindi la politica estera italiana subirà una chiara evoluzione verso Berlino. Rispondo freddamente che ignoro quali siano i sentimenti personali del nuovo ministro degli Esteri italiano. Quello che mi risulta e che posso dichiarargli è che egli ha un solo orientamento politico ben netto e definito, ed è quello di voler difendere in tutti i modi e con tutte le armi gli interessi del suo Paese.

(l) Vedi D. 404.

313

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON HASSELL (l)

APPUNTO. Roma, 18 giugno 1936.

Ho ricevuto l'ambasciatore di Germania il quale, di ritorno da Berlino, mi ha fatto la sua visita di cortesia.

Ha tenuto a dirmi che ha trovato a Berlino uno stato d'animo molto favorevole alla collaborazione con l'Italia, stato d'animo diffuso in tutti gli ambienti, da quello dei gerarchi governativi e del Partito a quello dei capi militari.

Le recenti vittorie dell'Africa Orientale hanno, -a suo giudizio -prodotto una profondissima impressione sul popolo tedesco.

L'ambasciatore mi ha detto che unica nube era rappresentata dalla preoccupazione diffusa a Berlino che l'Italia stesse lavorando per facilitare la restaurazione absburgica. Egli ha ritenuto di poter controbattere tale stato d'animo dichiarando che nei colloqui avuti a Roma aveva tratto impressione che l'Italia non svolgesse alcuna azione in tal senso. Glielo ho confermato.

Mi ha chiesto spiegazioni circa l'invio della nota italiana a Ginevra. Gli ho fatto ad un dipresso le dichiarazioni già fatte agli altri rappresentanti diplomatici che mi avevano interrogato in merito (2).

L'ambasciatore di Germania mi ha detto che a Berlino si erano posti il problema se un riconoscimento tedesco dell'Impero fosse opportuno subito o più conveniente invece in un secondo tempo. In generale l'opinione tedesca propendeva per questa seconda soluzione (3).

28 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

(l) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 23-24.

(2) -Vedi DD. 262 e 291. Per il testo della nota vedi il D. 404. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
314

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1867/736. Mosca, 18 giugno 1936 (1).

Il coraggioso discorso di Chamberlain (2), sopravvenuto al disorientamento dei fronti principali della politica internazionale per l'effetto della vittoria delle armi italiane, se ha avuto una corrispondenza nella tendenza sovietica diretta ad abolire le sanzioni in vista di far rientrare l'Italia nella effettiva collaborazione europea, ha per contro riaperto la polemica sui compiti della Lega, per quanto si riferisce ai mezzi ed ai metodi di salvaguardare la pace.

Come è noto, l'URSS entrando due anni fa nella Lega sopratutto con uno scopo di sicurezza contro la minaccia tedesca, non solo si accontentava delle condizioni offerte dal Patto ginevrino, ma si era opposta come si oppone anche oggi a qualsiasi riforma che non fosse nel senso di rafforzare il Covenant.

Il discorso Chamberlain contrasterebbe quindi sensibilmente con tale direttiva del Kremlino. Inde, la reazione della stampa sovietica e l'articolo editoriale del Journal de Moscou del 16 corrente nel quale si ribatte col dire che «una riforma della Lega non può avere luogo con una limitazione delle sue funzioni nè con una rinuncia all'impiego dei mezzi atti a garantire la pace che le dà il Covenant, bensì con un allargamento delle sue funzioni», semplificando la procedura e dando alla S.d.N. mezzi e metodi più rapidi di azione.

Questa è l'impostazione che ora oppone il Kremlino ai progettisti di riforme ginevrine.

In verità ciò che preoccupa il Governo di Mosca non è tanto il «riformismo » societario dei conservatori inglesi e tanto meno l'antisocietarismo italiano, quanto principalmente il fatto che, sotto questa parvenza di ricercare un sistema più idoneo di sicurezza collettiva possano rinascere combinazioni politiche o sistemi regionali in cui la specifica sicurezza dell'URSS venisse a scapitarne.

Infatti le corrispondenze da Londra, pubblicate nelle Isvetia di questi giorni, lamentano come un eventuale « viramento » della politica britannica -in seguito allo scacco da questa subito nell'Africa Orientale -possa indurre il Governo di Londra a rinunciare alla sicurezza collettiva ed a tentare di trasferire ai patti regionali l'obbligo dell'assistenza militare che -secondo i Soviet -dovrebbero essere invece oggetto precipuo dello statuto della S.d.N. È facile -qui si pensa -immaginare che l'Inghilterra voglia solo garantire i propri interessi nell'Europa occidentale, nel bacino del Mediterraneo e nel Pacifico senza agganciarli -come è sempre stata la tattica britannica -ad un effettivo interesse generale di sicurezza. Anche nel corso del conflitto italaabissino, non fu risparmiata questa tattica dei due pesi e due misure. Come pure non è facile dissipare il sospetto -che accompagna costantemente l'attenzione sovietica -di una possibilità di accordi a tre od a quattro e conse

362 guente « capitolazione » della Francia che « dovrebbe rinunciare ad alleanze in oriente per dare alla Germania la libertà di azione in Europa orientale o sudorientale». Ma tutto ciò -scrive Radek -è il risultato della politica inglese delle concessioni di fronte ai ricatti germanici.

Evidentemente qui è implicita tutta la preoccupazione del Governo sovietico che non riesce a darsi un orientamento definito. Onde esso continua a trincerarsi dietro il castello immaginario della sicurezza societaria che in mancanza di meglio sembra essere l'ultimo rifugio della sicurezza sovietica. Anzi tutta la politica di Mosca sembra appunto impegnata decisamente sulla massima estensione possibile del principio della sicurezza.

In vista di garanzie più reali, l'URSS aveva già invano invocato, dopo il crollo del patto di Locarno, la creazione di un sistema rafforzato di sicurezza più estensivo. L'accenno a Londra fatto da Litvinov in seduta di Consiglio societario ad « un accordo internazionale che non solo possa rafforzare gli esistenti capisaldi della pace, ma che ne accresca possibilmente altri » fu precisamente un tentativo di avvicinare le ragioni della sicurezza sovietica a quella della sicurezza delle potenze locarniste o a quella della S.d.N.

Successivamente, il crollo del prestigio ginevrino e della politica sanzionista spinse l'URSS a perorare la liquidazione del «malaugurato» affare etiopico per ricostruire la cooperazione europea quale necessaria premessa ad un possibile rafforzamento della sicurezza europea.

Ed oggi, dopo il discorso Chamberlain, il Narkomindiel, per voce del citato suo organo, riaffaccia la tesi che, nonostante tutto, occorre rinforzare le basi scosse dell'istituto ginevrino, allegando che l'esperienza della guerra recente «ha mostrato come il principio della sicurezza collettiva, in teoria ed in pratica sia più profondo che mai». Il fatto stesso che in nome di detto principio l'immensa maggioranza degli Stati membri della Lega, pur non avendo interessi diretti od indiretti, anzi a scapito di seri interessi propri, abbia solidarizzato nell'applicazione delle sanzioni collaudando in tal modo il meccanismo ginevrino e la sua efficacia, ne sarebbe una prova sufficiente.

È invero piuttosto ipotetica questa riduzione -ma è per i Soviet un modo di tenere le vie aperte per atteggiamenti definitivi e per attirare eventualmente l'attenzione dei piccoli Stati a fare valere la loro influenza quantitativa in vista di assicurare una pace collettiva contro temute minacce nel futuro.

Sostanzialmente, dunque, l'URSS accoglie la parte del discorso Chamberlain che concerne l'abolizione delle sanzioni. Del resto, Litvinov stesso si era fatto parte diligente a Londra ed a Parigi perorando tale attitudine nell'interesse della pace europea. Ma respinge nettamente l'altra parte del discorso che inficia l'attuale sistema ginevrino. La questione principale che si pone per i Soviet è d'« impedire nel futuro possibili aggressioni e di adottare misure sufficientemente efficaci per impedire la violazione della pace».

In altri termini, per carenza di una copertura antigermanica e magari antinipponica che non trovasse concrete espressioni in patti regionali interessanti direttamente l'URSS, Ginevra resta per i Soviet, anche se le sue azioni sono discese molto al disotto della pari, un sistema di difesa collettiva capace di arginare le correnti della guerra. Sarebbe l'interesse di tucti -dicono i

363 Soviet e particolarmente dei piccoli Stati, visto che -secondo i timori di Mosca -sulle grandi Potenze, cioè sull'Inghilterra, non si può sempre fare troppo affidamento.

La S.d.N. costituirebbe pertanto l'unica speranza per impedire la guerra futura se ad essa verrà conservata l'arma che non le è stata ancora tolta. L'esperimento recente ne avrebbe dimostrato l'utilità qualora si fosse agito con maggiore «energia» e con minore «indecisione».

Con queste iniezioni, la medicina sovietica, che riconosce il pericolo cui si potrebbe andare incontro col perdurare delle sanzioni contro l'Italia, si sforza di far rivivere Ginevra.

È il sintomo più palese della preoccupazione di Mosca di fronte alla duplice minaccia nippo-tedesca contro cui nessun'altra migliore copertura essa si sente di trovare in questo momento.

(l) -Manca l'indicazione della data di arrivo. (2) -Vedi p. 286, nota 2.
315

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5893-5894/936-937 R. Londra, 19 giugno 1936, ore 3,05 (per. ore 9,30).

Ritorno in questo momento dalla Camera dei Comuni ove Eden ha appena finito di parlare (1).

Non ho mai assistito durante quasi quattro anni ad una seduta più tumultuosa e più agitata. Atmosfera dell'aula palazzo Westminster era oggi effettivamente elettrica. Subito dopo prime battute del discorso di Eden opposizione liberale e laburista gli ha improvvisato una dimostrazione ostile, il che ha provocato immediatamente una controdimostrazione favorevole di tutta la maggioranza conservatrice. Così si è aperto dibattito.

Per la prima volta da che è ministro degli Affari Esteri, Eden è stato apertamente accusato di vergogna dai banchi dell'opposizione e, per la prima volta egli è stato vigorosamente sostenuto da tutta indistintamente la maggioranza. Questa ha immediatamente rivelato lo schieramento delle forze antisanzioniste e sanzioniste ed ha, nello stesso tempo, incoraggiato Eden a dare al suo discorso un peso ed una nettezza che molti degli stessi conservatori anti-sanzionisti non si aspettavano.

Eden ha pronunciato discorso interrotto continuamente da invettive violente dei sanzionisti, cui facevano eco sempre crescente di tutti gli anti-sanzionisti. Per diverse volte il presidente, che non interviene che in casi assolutamente eccezionali, di fronte gazzarra degli oppositori, agli scambi invettive tra i sanzionisti ed i antisanzionisti ed alla generale confusione, è dovuto

intervenire per redarguire severamente e ricordare doveri e responsabilità dell'Assemblea.

Maggioranza antisanzionisti ha sottolineato con generali applausi passaggi discorso Eden nei quali egli ha riconosciuto necessità revoca immediata sanzioni e necessità che l'Inghilterra prenda senza indugio iniziativa di tale revoca a Ginevra, e alla fine gli ha rinnovato una dimostrazione calorosa. Mentre telegrafo stanno parlando laburista Greenwood e Lloyd George.

Ritorno alla Camera dei Comuni per ascoltare discorso che Baldwin pronuncierà, ma ho voluto trasmetterti intanto, subito queste prime impressioni.

Seduta odierna alla Camera dei Comuni ha segnato la disfatta clamorosa e definitiva dell'antifascismo sanzionista. La perfetta conversione di Eden alla necessità della revoca delle sanzioni, la compatta manifestazione della volontà antisanzionista della maggioranza dell'Assemblea, gli stessi attacchi rabbiosi e impotenti dell'opposizione sanzionista erano oggi altrettante prove schiaccianti della vittoria militare e politica del fascismo e dell'Italia.

Telegraferò ancora stanotte.

(l) Nel suo discorso alla Camera dei Comuni Eden dichiarò che lo scopo per il quale le sanzioni erano state imposte non era stato raggiunto e che ormai non c'era più alcun vantaggio nel prolungare quelle misure che erano state adottate come mezzo di pressione sull'Italia. Eden ricordò anche che erano state date assicurazioni ad alcuni Paesi mediterranei che la Gran Bretagna sarebbe andata in loro aiuto qualora fossero stati attaccati in conseguenzadelle misure prese in applicazione dell'art. 16, e dichiarò in proposito che tali assicurazioni non dovevano cessare con l'abolizione delle sanzioni ma restare valide durante il periodo di incertezza che inevitabilmente sarebbe seguito. Il testo del discorso di Eden è riportato anche in Il conflitto itala-etiopico, pp. 547-551.

316

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 5926-5927/92-93 R. Roma, 19 giugno 1936, ore 18,05 (per. il 20).

Mio telegramma per corriere n. 91 del 18 corrente (1).

Ho detto stamane al cardinale Segretario di Stato che avrei dovuto fargli una comunicazione a proposito del cardinale Tisserant. L'avvenuta di lui nomina a Segretario della Congregazione per la Chiesa Orientale rendeva senza scopo quello che avrei dovuto dire. Ne ero in fondo soddisfatto perchè evitavo così di dire cose spiacevoli. Mi limitavo ad informare il Segretario di Stato che la nomina del cardinale Tisserant a Segretario dell'Orientale non avrebbe fatto buona impressione in Italia.

Il Segretario di Stato ha replicato, spiegando che la scelta era stata fatta personalmente dal Papa, il quale si era preoccupato di elevare al posto anzidetto un porporato specialista delle questioni della Chiesa Orientale, com'è il cardinale Tisserant. Il cardinale Pacelli si è detto infine convinto che il neo-Segretario per l'Orientale dirigerà il suo Ufficio non solo con competenza, ma ispirandosi unicamente agli interessi superiori della Chiesa.

Ho risposto che me lo auguravo. Ho osservato che noi abbiamo occasione di sperimentare, non di rado, la rigida, a volte anzi, eccessivamente rigida imparzialità di porporati italiani i quali sanno dirci troppo spesso dei no recisi. Il cardinale mi ha chiesto ridendo a chi pensassi. Gli ho fatto il nome del cardinale Rossi della Concistoriale, !asciandogli intendere che avrei potuto fare seguire altri nomi.

Mi sono riferito, da ultimo, alla sistemazione religiosa dell'Etiopia, che verrà presto sul tappeto e dovrà essere trattata con la Congregazione Orientale. Il cardinale mi ha interrotto per farmi notare che, comunque, il Prefetto dell'Orientale è il Papa. Ho replicato che ne prendevo atto volentieri ma ho lasciato anche intendere, nelle dovute forme e con riguardo, che, dopo tutto, in Etiopia siamo ormai in casa nostra.

Ho portato il discorso sul colloquio che il cardinale Segretario di Stato ha avuto con il signor Mussert (1).

Il porporato mi ha riferito avergli il capo dei social-nazionalisti olandesi dichiarato che, in Europa, ci sono due sole forze vive che si oppongono efficacemente all'avanzata del bolscevismo: Mussolini e Hitler.

Il cardinale è partito come un razzo, com'era da prevedere. Ha replicato al signor Mussert che concordava per S. E. il Capo . del Governo ma che non condivideva menomamente l'opinione del suo interlocutore riguardo a Hitler. Nel riferirmi quanto sopra il cardinale Pacelli si è eccitato al punto da averne gonfie le vene del collo.

Il signor Mussert, che a me ha fatto l'impressione di persona pretenziosa che non accetta consigli, ha fatto male ad impostare la conversazione in questo modo.

Il Segretario di Stato mi ha poi ripetuto quello che mi aveva detto monsignor Pizzardo, cioè che i social-nazionalisti olandesi sono nelle mani della Germania. Ho replicato che forse un'azione più calma e avveduta della Santa Sede potrebbe giovare allo scopo di allontanare a poco a poco, quel partito dall'omonimo germanico.

Il porporato non si è dimostrato convinto della mia argomentazione. Non ho creduto opportuno, questa volta, di spingere oltre la conversazione che riprenderò, in seguito, in momento più favorevole.

In risposta a una mia domanda, il Segretario di Stato mi ha detto di credere che effettivamente il nazionalsocialismo olandese sia stato condannato dai Vescovi, ma ha soggiunto insistendovi, che la Santa Sede non si è pronunciata.

(l) Con T. per corriere 5869/91 R. del 18 giugno, ore 17,30, Pignatti aveva comunicato che il cardinale Tisserant era stato nominato segretario della Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale.

317

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5934/379 R. Washington, 19 giugno 1936, ore 18,27 (per. ore 5,15 del 20).

Telegramma di V. E. n. 310 (2). Considerazioni suggerite sono state da me già fatte valere nella conversazione cui si riferisce mio telegramma di ieri n. 376 (3).

Comunque faccio presente che Segretario di Stato, interrogato 17 corrente circa effetti che avrebbe avuto nei riguardi della politica americana la decisione della Gran Bretagna o di altri Stati di rimuovere le sanzioni contro l'Italia, si limitò a dichiarare che ciò non avrebbe avuto alcun effetto sulla continuazione od abolizione delle misure di neutralità adottate dal Governo americano nel conflitto italo-etiopico, insistendo poi sulla completa ed assoluta indipendenza della politica americana da interessi od influenze straniere. Questa non è che una ripetizione del concetto fondamentale su cui ha sempre battuto Dipartimento di Stato, specialmente nell'intento di scagionare l'amministrazione Roosevelt dall'accusa di svolgere politica di ispirazione britannica.

318.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UU. R. 5921/381 R. Parigi, 19 giugno 1936, ore 18,30 (per. ore 20,25).

Venendo a Roma domani porterò resoconto completo del colloquio avuto testè con Blum (l) che fu cordiale ed ispirato dalle due parti ad assoluta franchezza.

Egli tenne a dichiararmi la sua viva simpatia per l'Italia che conosce assai bene ancorchè dai tempi prefascisti e il suo sincero desiderio di collaborare con noi per rafforzare sicurezza del mondo perchè al disopra delle passioni politiche e di ogni altra considerazione egli nutre un grande amore: quello per la pace.

319.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5929/382 R. Parigi,, 19 giugno 1936, ore 18,30 (per. ore 21).

Mio telegramma n. 373 (2).

Presidente del consiglio mi ha comunicato che consiglio dei ministri, nella sua riunione antimeridiana, aveva approvato proposta di Delbos di abolire le sanzioni. Non è stato in grado fornirmi chiarimenti circa procedura che sarà seguita in proposito a Ginevra.

Avendo io accennato alla esistenza di una proposta di abolizione emanante dal Cile (3), egli mi disse che poteva essere molto opportuno aderire. Decisione in proposito rientrava ad ogni modo nella competenza del ministro degli Affari Esteri. Blum mi ha detto che andrà certamente a Ginevra per riunione della Assemblea e che non escludeva di recarsi anche per Consiglio ove ciò apparisse necessario.

(l) -Vedi D. 275. (2) -T. 2820/310 R. del 18 giugno, ore 24. Si davano lstruzlonl all'ambasciatore Rosso perchéinsistesse per una rapida abrogazione delle misure d! neutralità prese dagli Stati Uniti di fronte al conflitto itala-etiopico, sfruttando anche alcune recenti dichiarazioni del segretario di Stato Hull il cui contenuto è riportato nel presente documento. (3) -Vedi D. 311. (l) -Vedi D. 326. (2) -Vedi D. 287. (3) -Vedi D. 268.
320

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5928-5922/383-384 R. Parigi, 19 giugno 1936, ore 21,10 (per. ore 2,15 del 20).

Léger mi ha detto che era stato malissimo impressionato della parte del discorso di Eden relativa alla impossibilità in cui il Governo inglese si era trovato di conoscere quali fossero le intenzioni della Francia circa sanzioni.

Questo costituiva negazione assoluta della verità, perché Delbos aveva cercato invano di poter conferire con Eden sia a Londra che altrove. Le risposte evasive ricevute al riguardo da Londra, mentre erano state in fondo accolte a Parigi come una prova dell'imbarazzo in cui si trovava il Governo inglese nel prendere una direttiva circa sanzioni, avevano, d'altro canto, impedito al governo francese di informare il Governo italiano, sino dal primo giorno del suo avvento al potere, della intenzione che esso aveva di togliere le sanzioni.

E questo era cosa che doveva essere deplorata.

Ho parlato a Léger dell'accenno fatto da Eden circa suo intendimento di proporre a Ginevra che assistenza mutua sussidiaria, stipulata fra Inghilterra, Francia ed altri Stati del Mediterraneo, durasse oltre soppressione sanzioni. Gli ho detto che questo era assolutamente contrario alle garanzie categoriche che mi erano state date da Lavai e da lui stesso giusta le quali assistenza suddetta era stata limitata nel tempo e nello spazio e doveva cessare col finire del conflitto itala-etiopico.

Léger mi ha risposto che questo era pure il suo modo di vedere. Egli non si rendeva conto ancora come Eden avesse potuto formulare simile idea.

Riteneva, ad ogni modo, che se la esponesse realmente a Ginevra, il ministro degli Affari Esteri avrebbe dovuto ricordargli che non vi è mai stato un accordo vero e proprio al riguardo ma solo una supplementare solvibile obbligazione societaria basata sull'articolo 16 e che quindi, d'ora in poi, quello che rimaneva in vigore era semplicemente Patto della S.d.N. con gli obblighi che ne derivano.

321

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5939/62 R. Bucarest, 19 giugno 1936, ore 21,45 (per. ore 5,15 del 20).

Sono stato chiamato da Titulescu il quale voleva dirmi aver molto riflettuto sulle mie osservazioni circa le conseguenze che potrebbe avere la mossa argentina (mio telegramma n. 60) (1). Da quanto mi ha esposto risulta che

egli è in comunicazione non solo con Saavedra Lamas ma anche con codesto ambasciatore Argentina Cantilo. Saavedra La.mas gli aveva fatto sapere esser sua intenzione porre a Ginevra questione se l'azione italiana in Etiopia era compatibile con i principi che inspirano il patto sudamericano firmato a Rio Janeiro (1). Cantilo si è invece espresso nel senso azione argentina a Ginevra potrà essere impostata su queste linee: soppressione sanzioni e per quanto concerne azione italiana in Etiopia ricerca di una formula dilatoria, cioè di rinvio della questione tale che non costituisse riconoscimento, ma nemmeno suonasse denegato riconoscimento.

Titulescu, tenendo presente quanto gli avevo dichiarato mi ha voluto dire che l'impostazione di Saavedra Lamas gli sembrava non poco pericolosa perchè avrebbe potuto condurre ad una seconda condanna morale dell'Italia. Egli si proponeva quindi indirizzare azione Argentina sulla formula suggerita da Cantilo, il quale lo aveva da parte sua assicurato che intendeva, come delegato argentino a Ginevra, consultarsi con lui. Titulescu, pur confermandomi che avrebbe manovrato alla ricerca di una formula conciliativa che permettesse all'Italia di non tagliare definitivamente i ponti con Ginevra, mi pregava tuttavia di non considerare quanto mi aveva detto come impegnativo e di non trasmettere il suo pensiero a V. E. sotto forma di un affidamento e ciò perchè, prima di decider sua linea di condotta, intendeva prendere contatti a Montreux con Francia o Inghilterra.

È evidente quindi che ai fini della inscenatura del 26 e 29 giugno prossimo a Ginevra primi schizzi saranno tracciati a Montreux. Titulescu parte stanotte per prendere parte ad una intesa sugli Stretti.

322.

IL MINISTRO A OSLO, RODDOLO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5948/167-168 R. Oslo, 19 giugno 1936, ore 22,10 (per. ore 0,30 del 20).

Quantunque questo ministro degli Affari Esteri abbia sospeso ogni udienza per la malattia della madre, ho potuto intrattenermi lungamente con lui.

Essendoci trovati d'accordo sulla assurdità delle sanzioni e sul fallimento della S.d.N., gli ho chiesto ancora se poteva convenire meco sulla responsabilità diretta dei singoli Stati sanzionisti, il che avrebbe dovuto avere come logica conseguenza: l) abolizione delle sanzioni da parte della Norvegia prima della. decisione di Ginevra; 2) riconoscimento del nostro Impero.

Mi ha risposto testualmente: «che non poteva ammettere che in parte la mia tesi, le sanzioni essendo state adottate dalla Norvegia -contro ogni suo interesse e sentimento -in quanto la Norvegia faceva parte della S.d.N. e che le sanzioni, essendo state adottate collettivamente, dovevano essere tolte, come indubbiamente avverrà, tra pochissimi giorni». Quanto al riconoscimento

dell'Impero era, suo malgrado, costretto ad attendere lo sviluppo dgli avvenimenti.

Questo « suo malgrado » vuole significare che Koht deve fare i conti col suo partito e con le imminenti elezioni generali in Norvegia. Egli si propone di intervenire alla riunione Assemblea ginevrina del 30 corr. e sta preparandosi per pronunciare un discorso sulla necessaria riforma della S.d.N. che deve toccare anche problema del riordinamento del Segretariato. Per necessità di politica interna Koht sarà accompagnato dal noto Hambro in qualità di secondo delegato e probabilmente dall'esperto Skylstad.

Non insisto sul contraddittorio e confuso societarismo di Hambro che, da quando è divenuto membro dell'Oxtord Group, si mostra ancora più fanatico del suo sciocco avversario. Skylstad è suo seguace. E Koht deve pure subire l'Hambro, presidente dello Storting e capo partito di destra.

Naturalmente cerco e cercherò con ogni mezzo di influire sul signor Koht per neutralizzare i nebulosi societari norvegesi. Mi valgo anche dell'azione dei maggiori esponenti del partito agrario che, dopo l'avvento al potere degli agrari in Svezia, hanno rafforzato anche più la loro situazione politica e sono decisamente orientati in nostro favore.

323.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. R. 2843/329 R. Roma, 19 giugno 1936, ore 24.

Sarebbe opportuno che nelle prossime discussioni al Comuni i nostri amici mettessero in rilievo questi punti: l) che non è concepibile la realizzazione di un Patto Occidentale, come quello cui ha fatto cenno Eden, senza la partecipazione dell'Italia;

2) che non avranno più ragione di esistere, dopo l'abolizione delle sanzioni, gli accordi fatti nel Mediterraneo per la applicazione dell'articolo 16 del Patto, né è giustificata la presenza della flotta;

3) mettere invece in evidenza l'opportunità e i vantaggi di un'intesa din,tta tra l'Italia e la Gran Bretagna.

324.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. 2854/120 R. Roma, 19 giugno 1936, ore 24.

Pregola comunicare a S. M. Imam Yahia che S. E. il Capo del Governo ha ricevuto la di Lui lettera (l) relativa al Trattato di amicizia (2) e che col pros

simo corriere viene spedita la lettera di risposta con la quale viene accettata la proposta dell'Imam di prorogare il Trattato fino al novembre 1937.

Non appena giunta costì tale risposta, V. S. potrà consegnarla, possibilmente in forma solenne, all'Imam, unendovi relativa traduzione in arabo da farsi a cura della S. V.

Nella sua prossima visita all'Imam, pregoLa comunicargli altresì che mi è grato cogliere presente occasione per presentarGli i miei saluti personali e l'espressione della mia soddisfazione per la proroga del suddetto Trattato di amieizia.

(l) T. 5848/60 R. del 17 giugno, ore 21,15. Riferiva che Titulescu aveva affermato di considerare utile, <<se ben utilizzata>>, la convocazione dell'Assemblea della S.d.N. chiesta dall'Argentina per discutere la questione etiopica perché cosi si poteva giungere ad una liquidazione del problema etiopico. Il ministro Sola aveva fatto osservare che però l'iniziativa poteva anche condurre ad una rottura insanabile tra l'Italia e la Società delle Nazioni.

(l) Vedi p. 17, nota 3.

(l) -Non rinvenuta. (2) -Trattato di amicizia e di relazioni economiche tra Italia e Yemen del 2 settembre 1926. Testo in Trattati e Convenzioni, vol. XXXVI, pp. 503-505.
325

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 5984/0158 R. Parigi, 19 giugno 1936 (per. il 21).

Conformandosi alle direttive impartitegli da S. E. il Capo del Governo durante l'ultima udienza accordatagli (1), è venuto ieri a vederli il conte Coudenhove Kalergi, fondatore di Paneuropa.

Egli mi disse di essere giunto a Parigi tre giorni or sono, di avere veduto a lungo Yvon Delbos che conosceva da vario tempo e di avere sopratutto avuto una conversazione di tre ore con Léger. Ebbe espressioni di grandissimo elogio per la visione esatta della situazione politica presente del segretario generale del Quai d'Orsay il quale si espresse con il conte Coudenhove Kalergi in termini che non lasciavano alcun dubbio circa il profondo suo convincimento che la Francia deve ad ogni costo stringere intimamente i vincoli che la legano all'Italia. Léger spiegò che da un anno a questa parte tutta la sua attività si svolge in questo senso. Disse di essere stato lui a convincere Lavai della necessità di adottare la politica dell'azione collettiva nei riguardi dell'Italia, non già per seguire l'Inghilterra, ma per impedire la guerra fra questa Potenza e l'Italia che sarebbe stata altrimenti inevitabile ed avrebbe coinvolto il mondo intiero. Arrogò a sé il merito del progetto Laval-Hoare, informando il suo interlocutore che lavorò a tale progetto fino a tarda ora insieme con Vansittart, dopo di essere riuscito a convincerlo della necessità di trovare una soluzione che potesse essere accolta sia dalla S.d.N. che dall'Italia e dall'Etiopia. Disse che sia col ministero Sarraut che con quello Blum tutta la sua attività si era svolta nel senso di far comprendere ai due Presidenti del Consiglio ed ai loro ministri degli Affari Esteri che la sola salvezza per l'Europa e per la Francia consisteva in un accordo molto intimo con l'Italia. Egli aveva dovuto valersi di vari mezzi in proposito e seguire vie che avevano potuto apparire non sempre dirette allo scopo di cui si tratta, ma queste erano le contingenze della politica. Léger dichiarò pure al conte Coudenhove Kalergi che un attento esame della situazione politica europea

al quale egli si era dedicato conscio della gravità del momento, lo aveva persuaso che alla forza costituita dai 65 milioni di tedeschi del Reich non poteva opporsi forza equivalente, anzi superiore, se non si fosse raggiunto l'accordo franco-italiano al quale aveva accennato prima. Léger concluse dicendo che poiché egli si era esposto moltissimo col perorare energicamente la politica dell'amicizia fra le due Potenze latine, qualora essa dovesse fallire, si sarebbe trovato nella situazione di dover abbandonare il posto che occupa al Quai d'Orsay.

Il conte Coudenhove Kalergi che si presenterà a S. E. il Capo del Governo nei primi giorni di luglio (1), gli ripeterà personalmente il colloquio avuto con Léger e lo informerà pure di quello che avrà nei giorni prossimi col Presidente del Consiglio Léon Blum.

Ho trovato dal canto mio molto interessanti le cose sopra esposte e, pur facendo la dovuta tara, non mi sembra possibile negare ad esse valore, sopratutto dopo il linguaggio e l'atteggiamento tenuto da Léger anche con me nelle ultime settimane.

(l) Non si è trovato alcun documento in proposito, ma vedi D D F, serie seconda, vol. Il, DD. 234 e 271.

326

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RR. PER CORRIERE 5985/016 R. Parigi, 19 giugno 1936 (per. il 21) (2).

II Presidente del Consiglio Léon Blum mi ha ricevuto alle ore 15. Accoglienza molto gentile, tratto signorile, modo di esprimersi perfetto senza tradire menomamente sforzo per ricercare formule diplomatiche.

Mi annunciò che Consiglio dei Ministri di stamane aveva deciso abolizione delle sanzioni, che sarebbe stato pubblicato un comunicato ufficiale al riguardo. Aggiunse avere desiderato che ministro degli Affari Esteri me ne desse preannunzio sino da ieri, a titolo di cortesia. Protestando di essere digiuno di procedura societaria non mi seppe dire quale sarebbe il metodo seguito a Ginevra per giungere alla costatazione della cessazione delle sanzioni, esprimendo però augurio che i tecnici trovassero al più presto il mezzo migliore.

Dopo questa entrata in materia Léon Blum mi disse cfie io sapevo chi era lui. Da troppi anni dedicava la sua esistenza alla politica, scriveva e parlava perchè non si sapesse ciò che egli rappresentava e come la pensava. Desiderava dirmi che era un grande amico ed ammiratore dell'Italia dove aveva trascorso per lunghi anni qualche settimana, cosicchè se sommasse tutti i suoi soggiorni avrebbe certamente almeno due anni di permanenza nel nostro Paese. Ricordò la sua amicizia che poteva chiamare fraterna con Gabriele d'Annunzio che era spiacente di non avere potuto rivedere negli ultimi anni perchè non aveva più avuto occasione di ritornare in Italia. Sapevo come la

pensasse in politica. Oggi però egli non era più un uomo di parte. Sopratutto di fronte ad un rappresentante estero egli era soltanto il Presidente del Consiglio di Francia che doveva tenere presenti quelli che sono gli interessi vitali del suo Paese. Doveva dichiararmi che al di sopra di ogni altra cosa egli nutriva un amore: quello per la pace. Ciò premesso aggiungeva che desiderava ardentemente che l'Italia potesse collaborare alla sicurezza dell'Europa e del mondo e pertanto che si potessero stringere rapporti ancora più intimi fra i nostri due Paesi.

Gli ho risposto che ringraziandolo per la franchezza con cui mi aveva parlato avrei dal mio lato procurato di essere molto sincero col Presidente del Consiglio di Francia. Potevo assicurargli in primo luogo che durante i dieci anni durante i quali ho avuto l'onore di avvicinare sovente il Duce non avevo mai sentito uscire dalla sua bocca una parola che non mostrasse il suo assoluto desiderio di pace in Europa, la convinzione che una nuova guerra sarebbe stata la fine del vecchio continente. Evidentemente vi erano talune divergenze fra la concezione italiana e quella francese della sicurezza, perché a Parigi si ritiene che questa debba essere collegata con l'intangibilità dei trattati di pace, a Roma si opina che essa sarebbe meglio garantita se, a tempo debito e con le necessarie cautele, si potessero rivedere certe clausole dei trattati stessi. La situazione assai critica nel centro dell'Europa dimostrava che la stabilità non era sempre un elemento di garanzia della pace. Blum non esitò ad assentire ricordando di avere spesso citato egli stesso la necessità di applicare l'art. 19 del Patto della S.d.N. Continuai ricordando Patto a Quattro che nella concezione geniale del Duce avrebbe dovuto precisamente costituire il massimo elemento di sicurezza permettendo alle quattro principali Potenze -senza distinzione tra vincitori e vinti -di discutere con la necessaria riservatezza e secondo le norme tradizionali della diplomazia i principali argomenti politici ed economici atti a turbare la pace d'Europa con lo scopo di trovare una soluzione equa ed accettabile anche da tutti gli altri Stati interessati. Menzionai tutta la serie degli atti internazionali o delle trattative cui aveva partecipato l'Italia, la prova tangibile di interessamento data dal Duce quando fu minacciata l'indipendenza dell'Austria, gli accordi di Roma che avevano, dopo molti anni di malintesi, serrata l'amicizia italo-francese ed infine gli accordi di Stresa che non erano per nulla, almeno nella mente di

S. E. il Capo del Governo, stati diretti contro la Germania, ma che avevano costituito un principio di collaborazione internazionale fra grandi Stati d'Europa alla quale il Duce aveva augurato che partecipasse anche il Reich. Blum osservò che egli aveva applaudito di tutto cuore gli accordi di Roma e che aveva interpretato allo stesso modo da me esposto quelli di Stresa.

Quanto alla nostra impresa in Africa Orientale facevo appello al senso politico non dell'uomo di parte ma dello studioso di problemi vitali per l'esistenza dei popoli. Egli conosceva l'Italia palmo a palmo, sapeva quanto fossimo sobri, quanto avessimo lavorato per strappare qualche metro di terra fertile ai monti, aveva veduto lo sforzo sovrumano compiuto nelle bonifiche. L'America del Nord era stata chiusa all'emigrazione italiana, quella del Sud era satura, l'Australia dove avevamo cercato di avviare della mano d'opera italiana era pure stata

chiusa. Non volevamo d'altra parte più mandare degli italiani a colonizzare le terre d'altri ottenendo come pagamento che si togliesse la nazionalità italiana ai loro figli. Avevamo bisogno di terre per noi. Avremmo potuto chiedere alla Francia ed all'Inghilterra di darci una parte di quelle che avevano tolte ai tedeschi, senza tenere conto che avevamo partecipato alla guerra anche noi dando un tributo di sangue bianco elevatissimo alla vittoria comune. Il Duce non lo fece perchè attribuì sempre la ingiusta distribuzione delle colonie e delle materie prime all'inettitudine degli uomini politici che avevano rappresentato l'Italia a Versailles e non già alla cattiva volontà degli uomini di Stato francesi ed inglesi. Aveva voluto mostrarsi generoso anche in questo. Avremmo potuto metterei d'accordo con i tedeschi ed agire insieme con loro per forzare Francia ed Inghilterra a distribuire più equamente le colonie.

Commettevo l'indiscrezione di informarlo che quando una volta accennai a questa eventuale politica da parte dell'Italia, il Duce tagliò corto dicendomi che il problema coloniale sarebbe stato risolto dall'Italia prima che dalla Germania e con le sole sue forze. Ciò avveniva nel 1932. Furono gli abissini che ci obbligarono a risolverlo con le armi dopo che per vari anni potemmo constatare che essi non intendevano applicare il patto dì amicizia stipulato con loro (1). Il Duce lo risolse come lui solo lo poteva fare, perché studiò questo problema nei minimi dettagli e quando si rese conto della necessità di affrontarlo, lo fece con l'energia di cui tutti sono pronti a dargli atto, riconoscendogliene il merito. Abbiamo avuto il mondo intiero contro di noi. Siamo stati costretti a non tenerne conto perché ci sono delle considerazioni che non si possono imporre ai popoli che sono in pieno sviluppo. E tale è il caso dell'Italia fascista. Oggi noi abbiamo quanto ci occorre. Il Duce ha dichiarato che entriamo nel novero degli Stati soddisfatti che desiderano quindi conservare. Chiusa la parentesi dell'azione in Africa Orientale ritorniamo ad essere la nazione europea desiderosa di contribuire al consolidamento della pace nel vecchio continente secondo norme eque.

Blum osservò al mio esposto che egli avrebbe desiderato un regolamento amichevole del conflitto etiopico ancorché fosse evidente che l'Italia doveva diventar la padrona di fatto dell'Abissinia. Non serviva a nulla recriminare ed egli riconosceva che le premesse da me esposte a giustificazione della conquista dell'Etiopia corrispondevano a verità. Riconosceva pure che i problemi demografici pongono quesiti difficili a risolvere con i soli metodi pacifici. La decisione presa oggi dal Consiglio dei Ministri provava come dinanzi ai fatti non rimaneva che inchinarsi, anche se ideologicamente non si poteva approvarli intieramente. ~

Accennai quindi al dibattito di ieri alla Camera dei Comuni, osservando che non avevo ancora avuto agio di leggere il resoconto nel testo inglese e che mi limitavo a parlargli delle impressioni da me nportate dalla versione che ne aveva dato l'Agenzia Havas.

Eden aveva fatto bene a dire crudamente quale era la situazione e ad insistere sulla circostanza che nessun governo etiopico gli risultava esistere

in nessuna parte del mondo. Ciò da un lato gli semplificava l'annuncio della decisione di togliere le sanzioni, dall'altro avrebbe reso più agevoli ulteriori provvedimenti tendenti a riconoscere giuridicamente lo stato di cose creato dall'Italia. L'Inghilterra come Stato sovrano aveva certo il diritto di annunciare il proprio divisamento di tenere maggiori forze navali nel Mediterraneo di quante ne aveva tenute prima del settembre 1935. Ciò avrebbe naturalmente posto Francia ed Italia dinanzi ad un problema che doveva essere studiato e risolto con mezzi appropriati. Avevo invece trovato assolutamente fuori di luogo l'accenno fatto da Eden alla sua intenzione di sostenere a Ginevra, qualora le sanzioni fossero tolte, la necessità di mantenere in vita gli accordi di assistenza supplementare stipulati tra Inghilterra, Francia, Turchia, Jugoslavia e Grecia. Noi avevamo ricevuto assicurazioni formali dalla Francia che l'assistenza supplementare suddetta era limitata nel tempo e nello spazio, cioè per un eventuale attacco della flotta italiana contro quella britannica nel Mediterraneo. Come faceva del resto Eden a parlare di una questione che interessava non solo l'Inghilterra ma anche la Francia e gli altri Stati sopra menzionati senza essersi messo d'accordo con loro?

Blum che non è al corrente di queste trattative prese un appunto promettendomi di occuparsi della questione.

Ho pure detto a Blum che mi aveva stupito la frase del discorso di Baldwin relativa alla necessità che tra Inghilterra, Francia e Germania si esaminasse d'urgenza il modo di far fronte al pericolo di aggressioni in Europa. Credeva Baldwin che fosse l'Italia a minacciare gli altri Stati d'Europa? Ciò non deponeva molto a favore della lucidità delle sue facoltà mentali. Blum rispose che la cosa gli era sembrata pure assai strana, cosicchè riteneva prudente attendere di leggere il resoconto ufficiale della seduta.

Dissi pure che l'accenno di Eden agli sforzi da lui fatti per regolare amichevolmente l'incidente creato dalla occupazione della zona renana, in modo che esso potesse essere presto considerato come regolato, costituiva una dichiarazione che avrebbe prodotto pessima impressione in Francia ma che noi avremmo certamente salutato con una certa soddisfazione perché non era concepibile che si «regolasse » l'affare renano senza che fosse prima «regolato » quello italo-etiopico. Blum non assenti né dissenti circa l'ultimo punto. Si mostrò invece assai spiaciuto per l'accenno fatto nei termini suddetti alla questione renana che continua ad essere una piaga scottante per la Francia.

Nel congedarmi Blum mi disse che mi avrebbe riveduto con piacere al mio ritorno dalla breve gita che contavo di fare a Roma, dove mi pregava di rendere noto il suo sincero desiderio di stringere sempre più i vincoli che legano la Francia all'Italia nell'interesse della pace del mondo.

Le ultime sue parole furono dedicate al « più grande uomo politico del secolo XIX » di cui si dichiarò ammiratore entusiasta, perché l'opera da lui compiuta appare ogni giorno pìù gigantesca. E mi chiese se trovavo buono il libro di Paléologue sul conte di Cavour. Risposi che esso costituiva un notevole contributo, tanto più gradito perchè proveniva da uno scrittore che era un diplomatico francese, allo studio dell'opera mirabile dello statista piemontese.

(l) -Non è stato rinvenuto il verbale di questo colloquio. (2) -Questo telegramma fu portato personalmente a Roma dall'ambasciatore Cerruti. Vedi D. 318.

(l) Trattato di amicizia tra Italia ed Etiopia del 2 agosto 1928 (Addis Abeba). Vedi Trattati e convenzioni, vol. XXXVIII, pp. 425-427.

327

IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 19 giugno 1936.

Il senatore Salata, che è arrivato ieri da Vienna, ha avuto prima della sua partenza un nuovo colloquio col Cancelliere Schuschnigg.

Il senatore Salata riferisce quanto segue:

Il Cancelliere mi ha comunicato lo «schema » delle proposte che egli si riserva di presentare a von Papen che riceverà in giornata di domani sabato.

Lo schema per il noto «modus vivendi » si compone di due parti: la prima costituirebbe un accordo formale tra l'Austria e il Reich, nel quale sarebbe espresso da parte del Governo del Reich il riconoscimento del regime attuale austriaco e da parte del Governo austriaco il riconoscimento che il nazionalsocialismo è la dottrina fondamentale politica dell'Impero germanico (1).

Una disposizione particolare riguarderebbe la politica estera dei due Stati con espresso rilievo da parte del governo austriaco della fedeltà ai Patti di Roma, ai rapporti di amicizia esistenti tra l'Austria, Italia e Ungheria.

Altra norma particolare riguarderebbe l'attuazione dell'accordo nei vari campi politici e amministrativi.

Nel secondo documento sarebbero formulate le dichiarazioni che, a «modus vivendi » raggiunto, sarebbero fatte dal rappresentante del Reich e dal Cancelliere austriaco per dare espressione alle idee generali che ispirarono l'accordo e per rilevarne alcune modalità di immediata esecuzione.

328

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4829/932. Washington, 19 giugno 1936 (per. il 6 luglio).

Telegramma per corriere n. 2346/C.R. del 22 maggio 1936 (2).

Il modo col quale monsignor Pizzardo ha esposto al R. Ambasciatore presso la Santa Sede il proprio punto di vista sulla questione dei prestiti americani all'Italia e del debito di guerra italiano verso gli Stati Uniti è in verità talmente semplicista da rendere difficile un commento adeguato se non rifacendo l'intera storia del complesso e difficile problema.

Mi preme soltanto osservare che sarebbe un grave errore illudersi di poter regolare il problema dei debiti di guerra con una soluzione «più di forma che di sostanza». Pur essendo esatto che in questi ultimi tempi gli ambienti

politici americani si sono andati convincendo della impossibilità di ottenere il pagamento integrale, ed incominciano quindi a considerare l'opportuntà di un compromesso, è altrettanto vero che nè il Congresso sarebbe disposto ad approvare, nè il Presidente potrebbe prendere in considerazione proposte di Stati debitori che non importino l'offerta di un «substantial payment ». Ora le cifre degli arretrati e delle rate di futura scadenza sono talmente ingenti che, anche con una forte percentuale di riduzione, una nuova sistemazione del debito comporterebbe sempre un onere finanziario non indifferente.

Monsignor Pizzardo sembra poi non tener conto che il problema dei debiti non è puramente italiano e che esiste inoltre il problema del debito di guerra nostro verso l'Inghilterra.

Per una visione più precisa della intera questione mi richiamo alla mia passata corrispondenza sull'argomento (1).

329.

IL SOTTOSEGRETARIO ALL'AERONAUTICA, VALLE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, DELBOS (2)

L. 019. Roma, 19 giugno 1936 (3).

Comme vous le savez, les représentants de l'Etat Major de l'Armée de l'Air, réunis expressément à Rome, au mols de Mai de 1935, arretèrent avec Ies représentants de la R. Aeronautica, les préliminaires d'un accord bilatéral aérien entre les deux nations.

Dans la réunion ultérieure des représentants memes qui se déroula à Paris le 12 septembre de la meme année, et à la suite de visites réciproques ayant lieu dans les divers aéroports français et italiens, on envisagea les différentes hypothèses et l'on arreta d'un commun accord les modalités particulières, concernant l'application éventuelle du pacte en question.

Par la suite, malgré la nouvelle situation politique déterminée, au mois de novembre 1935, par l'adhésion de la France aux sanctions, l'Italie estima pouvoir garder des rapports cordiaux et corrects envers Votre Pays, et s'abstint de toute dénonciation de l'accord.

Cependant, il me faut constater qu'il n'y a pas eu, depuis la date susdite,

aucune manifestation d'amitié, de la part de la France officielle; que d'autre

còté les sanctions, après la fin des hostilités, persistent; et qui en outre votre

Pays parait enclin à en soutenir le maintien.

Etant donné qu'en présence de cette orientation politique dominante, notre

accord n'aurait plus aucune raison d'etre, j'ai l'honneur de porter à votre

connaissance que, conformément aux ordres que le Chef de mon Gouvernement

vient de me transmettre, l'Italie se verrait obligés, dans le cas où le France

garderait son attitude sanctionniste, de considérer complètement périmé l'ac

cord en question.

29 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

330.

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 5932/942 R. Londra, 20 giugno 1936, ore 1,35 (per. ore 15).

Seguito a mio telegramma n. 936 (1).

Seconda parte della seduta alla Camera dei Comuni è stata di una drammaticità per nulla inferiore alla prima durante il discorso Eden. Ha parlato capo opposizione laburista Greenwood, optante capo dell'opposizione per antonomasia Lloyd George, e Baldwin ha chiuso il dibattito. Altri deputati sanzionisti e antisanzionisti hanno preso parimenti parola.

Discorso capo laburista è stato tutta una invettiva rabbiosa contro Eden. Ma egli è riuscito appena farsi sentire, tanto era chiasso assordante, gli scambi di insulti e contumelie e la controdimostrazione degli anti-sanzionisti in favore Eden ogni qualvolta leader laburista attaccava quest'ultimo.

Più attenta si è fatta la Camera quando è sceso a parlare Lloyd George, il quale ha pronunciato un discorso di tale velenosa asprezza, di tale violenza contro il Gabinetto e particolarmente contro Eden, da costringere quest'ultimo a interromperlo e intervenire più volte con dichiarazioni e con energiche smentite (particolarmente sull'inesistenza assoluta presentemente Governo abissino nell'Ovest Etiopia) le quali sono state, ai nostri fini, non meno importanti e significative dell'intero discorso pronunciato da Eden poco prima. Discorso Lloyd George va letto attentamente. Nella furia di menar colpi contro la persona di Eden e di Baldwin, egli ha contribuito, forse più di ogni altro, dare alla intera seduta una atmosfera di storica drammaticità quale, a detta di tutti, non si era verificata nel Parlamento inglese da 50 anni a questa parte. Nell'intento di mettere Gabinetto conservatore in stato di accusa di fronte Paese, Lloyd George non ha esitato fare una pittura sensazionale, ma tutt'altro che priva interesse, di quella che è stata effettivamente disfatta britannica e la resa a discrezione di fronte Mussolini e Italia fascista. Dibattito si è chiuso infatti colle seguenti parole del deputato Price:

«Disfatta odierna è solo paragonabile alla disfatta di Yorktown, quando Inghilterra ha perduto le sue 13 colonie americane», ed ha finito col mettere così ancora più in plastico rilievo la vittoria militare e diplomatica del Duce, del fascismo e dell'Italia. Discorso Baldwin è stato grigio e fiacco. Egli ha naturalmente confermato in modo inequivocabile necessità revocare sanzioni e ripetuto su questo punto, parola per parola, dichiarazioni di Eden. Alcuni passaggi del suo discorso sono anche interessanti per altri aspetti di politica estera e interna (Baldwin ha detto, per esempio, che vi sono in Europa soltanto due Paesi, l'Italia e la Germania, pronti a combattere per qualche cosa che non sia la esclusiva difesa delle loro frontiere). Ma tono e la voce non erano quelli né del capo, né del combattitore che si difende e contrattacca, bensì quelli di un uomo vecchio e pavido che è ormai fuori del suo tempo e riesce appena a sopravvivere al suo tramonto.

(l) -Sic. (2) -Ritrasmetteva il T. 4681/58 R. del 15 maggio, ore 17.30, dall'ambasciata presso la Santa Sede. In tale telegramma Pignatti riferiva che, secondo monsignor Pizzardo, l'Italia avrebbe potuto ottenere un prestito dagli Stati Uniti qualora avesse accettato di riaprire la questione del debiti di guerra e in modo anche più formale che sostanziale, data la disponibilità degli americani a ridurre l'ammontare dei debiti e a dilazionare il pagamento. (l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Aeronautica. (3) -Non è stato rintracciato alcun documento dal quale risulti se e quando questa lettera di Valle fu consegnata.

(l) Vedi D. 315.

331

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 5940/947 R. Londra, 20 giugno 1936, ore 4,20 (per. ore 7,30).

Come avrai veduto da tutti i discorsi di Eden, e particolarmente da alcuni passaggi, traspare marcato senso di freddezza nei riguardi Francia. Governo britannico è irritato per risposta insufficiente ed evasiva che Governo francese ha dato a Governo britannico quando questo ha cercato, nella scorsa settimana, di persuadere il Governo francese ad associarsi all'iniziativa per la revoca delle sanzioni, ed è ancor più irritato per gli incoraggiamenti che personalità del Governo socialista francese sembrano aver dato la scorsa settimana ai socialisti inglesi, ai quali è stato detto che Governo francese era favorevole mantenimento sanzioni.

Il Governo francese, in sostanza, mentre dichiarava al Governo britannico che «non era disposto prendere iniziativa per revoca sanzioni», (frase testuale del discorso di Eden), lasciava intendere ai sanzionisti inglesi che era addirittura pronto mantenimento del fronte sanzionista contro l'Italia.

Atteggiamento francese ha certamente reso ancora più difficile posizione politica interna del Governo britannico, ma ha prontamente provocato in Eden reazioni per manovre dei socialisti francesi che hanno contribuito a spingerlo verso deciso atteggiamento antisanzionista.

Stamane giungono da Parigi voci di irritazione francese per dichiarazioni di Eden che si vuole, d'altro canto, in Francia, aver lasciato Governo francese all'oscuro delle intenzioni britanniche. Governo britannico fa rispondere confermando le dichiarazioni di Eden alla Camera dei Comuni sull'atteggiamento francese.

In mia presenza inglesi non nascondono a loro volta irritazione perchè Francia, senza previa consultazione con l'Inghilterra, ha annunziato che aveva intenzione di procedere ad un cambiamento sostanziale del regime di mandato per la Siria, il che sembra aver determinato serie ripercussioni sulla già grave situazione in Palestina.

332

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5956/262 R. Berlino, 20 giugno 1936, ore 14,35 (per. ore 17,50).

Von Neurath, che ho visto stamane e che cordialmente ricambia saluto

V. E., telegramma di V. E. n. 2724 (1), mi ha comunicato aveva ieri Cancelliere finalmente deciso, resistendo alle insistenti pressioni di Londra, di non

rispondere per ora all'Inghilterra (1). Il concetto prevalso è che alla Germania non possa convenire prendere posizione di fronte ad una soluzione che la stessa Inghilterra, con le sue incertezze ed i suoi accenni ad orientamenti nuovi anche in questioni fondamentali come quelle della sicurezza, della S.d.N. ecc., contribuisce a tenere in uno stato «fluido». Commenti stampa apparsi in questo senso iersera ed oggi, sono tutti di diretta ispirazione ufficiosa.

Cancelilere è già ripartito iersera e rientrerà a Berlino il 26, giorno per il quale è stato fissato un consiglio di Gabinetto. Situazione sarà sottoposta a nuovo esame in quella occasione, ma è ormai da escludersi che risposta tedesca possa essere data prima della Assemblea del 30. Soltanto dopo questa data Germania prenderà propria decisione.

Nell'occasione von Neurath, che appare tuttora alquanto sofferente, mentre ha espresso sua soddisfazione per l'articolo del Giornale d'Italia sulla Germania, ha reiterato precise assicurazioni, di cui si trova larga e simpatica eco nella stampa di questi giorni, circa intendimenti tedeschi di non far niente (anche in materia di patti aerei) senza l'Italia.

(l) Con T. 2724/C. R. del 13 giugno, ore 24, Ciano, nell'assumere la carica di ministro degli esteri, aveva incaricato i rappresentanti diplomatici di portare il suo saluto al ministro degli esteri del Paese in cui erano accreditati.

333

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 5996/263 R. Berlino, 20 giugno 1936, ore 20,30 (per. ore 22,30).

Nella conversazione avuta con von Neurath oggi (2), gli ho domandato anche quale fosse esattamente pensiero Governo germanico in materia riconoscimento annessione Abissinia. Ho potuto così accertare che, effettivamente, quelle esposte da Goering (mio telegramma n. 250 del 14 corrente) (3) erano idee provenienti o comunque approvate da Hitler. Von Neurath ha però aggiunto che, avendo in questi giorni discusso personalmente della cosa con Hitler, aveva insistito con lui sulla convenienza che vi sarebbe di evitare procedimento iunctim, tanto più inopportuno quanto meno necessario.

Von Neurath ha aggiunto che, avendo fatto presentire V. E. da von Hassell sulla opportunità Germania prendere una iniziativa in materia abissina subito.

V.E. si sarebbe mostrata (gradirei per mia norma riceverne conferma) di parere contrario; cosa del resto che egli, Neurath, diceva comprendere benissimo.

Messa la conversazione su questo terreno, ho a mia volta creduto -a titolo puramente personale e confidenziale -di domandare a von Neurath se credesse oppure no giunto il momento per l'Italia prendere apertamente posizione di fronte al piano di Hitler (4).

Von Neurath ha risposto in massima di sì ma che preferiva, anche su questo punto, riesaminare con me la situazione dopo l'Assemblea della S.d.N. del trenta corrente.

(-4) Vedi p. 159, nota 2.
(l) -Si riferisce al questionario britannico del 7 maggio. vedi p. 44, nota 1. (2) -Vedi D. 332. (3) -VeC\i D. 265.
334

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5988/115 R. Bruxelles, 20 giugno 1936, ore 23,15 (per. ore 1,30 del 21).

La subitanea evoluzione britannica nella questione delle sanzioni ha profondamente irritato il partito socialista belga i cui organi vomitano ingiurie contro il Governo inglese incoraggiando apertamente la rivolta delle Potenze minori contro i traditori della causa di Ginevra.

Superata ormai di colpo la fase di un'eventuale iniziativa abolizionista da parte del Belgio, non resta adesso se non aderire, il più prontamente possibile, al gesto inglese e francese, ma a ciò si oppone (mio telegramma n. 106) (l) Vandervelde il quale va riacquistando prestigio ed approfitta degli scioperi e delle sue intelligenze con gli agenti sovietici per dominare la situazione ministeriale e tenere van Zeeland sotto la minaccia della creazione di un fronte popolare.

Stamane, in un primo colloquio con il nuovo ministro degli Affari Esteri (che, sebbene socialista, è avversario di Vandervelde), ho riportato la certezza del suo convincimento della necessità di riguadagnare al più presto le simpatie dell'Italia, ma resta da vedere se van Zeeland (che dietro le quinte non ha mai esitato ad adoperarsi in nostro favore) avrà il coraggio di affrontare e la forza di vincere la battaglia in seno Gabinetto.

335

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6034/626 R. Ginevra, 20 giugno 1936 (per. il 23).

Berio comunica quanto segue:

«Le dichiarazioni di Eden, in materia di sanzioni e il mutamento di rotta della politica britannica formano naturalmente l'oggetto di tutte le conversazioni negli ambienti del segretariato. La constatazione principale che se ne deduce è la seguente.

Il Governo britannico -allorchè gli interessi imperiali lo reclamavano ha, con tutti i mezzi possibili di pressione, trascinato piccoli, medi e grandi Stati nella politica sanzionista costringendoli spesso a far violenza sui loro stessi sentimenti. Non appena detti interessi sono venuti meno, il Governo britannico non ha esitato ad agire, di propria iniziativa e senza interpellare nessuno, in senso diametralmente opposto. La sostanza delle decisioni britan

niche corrisponde al desiderio e agli interessi della grande maggioranza dei Governi; ma la forma adottata a Londra ha provocato un malcelato senso di mortificazione e di malumore. I Paesi sanzionisti sono stati trattati per quello che valgono ed hanno avuto la lezione che meritava il loro atteggiamento di supino asservimento all'interesse britannico.

La morale della crisi svoltasi in questi otto mesi è dunque che la politica di piccoli, medi e anche grandi Paesi, come la Francia e l'U.R.S.S. è stata fatalmente sballottata fra gli interessi dell'Italia e quelli della Gran Bretagna, al di fuori e indipendentemente da ogni precisa volontà da parte di ogni singolo governo. Il clamoroso successo dell'Italia che ha vinto su tutti i fronti e l'attuale atteggiamento britannico danno il colpo di grazia alla finzione giuridica dell'uguaglianza dì tutti gli Stati a Ginevra e fanno sorgere in molti il ricordo dei principi inspiratori del Patto a Quattro.

Questi sentimenti, anche quando non siano apertamente confessati, scaturiscono dai commenti che si sentono nei corridoi del segretariato. Il Paese che maggiormente ne è colpito è la Francia che ha finito per perdere il suo prestigio di grande Potenza.

Comunque, nonostante l'ondata societaria da cui continua ad essere pervaso il Segretariato, si nota tra le persone più ragionevoli, un senso di sollievo: ne ho avuto la sensazione specialmente parlando con alcuni funzionari svizzeri, cecoslovacchi e jugoslavi.

Particolare rilievo veniva dato stamattina alla notizia Havas secondo cui il Governo britannico cercherebbe di scindere la questione delle sanzioni da quella del riconoscimento, rinviando quest'ultima a settembre insieme con il problema della riforma della Lega.

Circa l'abolizione delle sanzioni, alcuni facevano notare che il Cile terrà probabilmente a non perdere il merito della priorità (1), anche per i riflessi in America (specie nei confronti dell'Argentina) della sua politica ginevrina».

(l) Vedi D. 267.

336

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6070/020 R. Budapest, 20 giugno 1936 (per. il 24).

l. L'incaricato d'affari di Ungheria a Praga con telegramma qui giunto oggi avrebbe segnalato avergli quel ministro degli Affari Esteri detto che «in connessione con la riunione a Bucarest dei capi di Stato della Piccola Intesa» era stata decisa la conclusione di un trattato romeno-sovietico analogo in tutto anche nella cosiddetta clausola francese all'esistente trattato di mutua assistenza ceco-sovietico. Krofta avrebbe inoltre precisato che il Governo jugoslavo, pur confermando la sua avversione a concludere per sua parte qualche accordo del genere, aveva fatto conoscere questa volta di «comprendere i motivi che inducevano il Governo romeno a procedere alla stipulazione del tratato ».

2. Nel riferire a titolo strettamente riservato quanto precede questo direttore degli Affari Politici ha rilevato come, in considerazione dell'importanza che la questione riveste per l'Ungheria e della personalità dell'informatore il Governo ungherse sarebbe stato particolarmnte grato alla R. Legazione di ogni elemento il quale potesse apparire comunque utile per controllare il fondamento della notizia.

(l) Vedi D. 268.

337

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

T. 2895/57 R. Roma, 21 giugno 1936, ore 14.

Prego V. E. dirigere a codesto ministro Affari Esteri a mio nome seguente nota:

«Ho l'onore di riferirmi alla nota di V. E. del 29 aprile scorso (l) con la quale V. E. ha comunicato che gli Stati interessati erano d'accordo di riunirsi 1n conferenza a Montreux il 22 giugno ed ha invitato il R. Governo a inviare i suoi delegati per partecipare ai lavori.

In risposta a tale nota il R. ambasciatore in Ankara ha comunicato a

V. E. (2) i motivi per i quali il R. Governo non crede di poter intervenire alle riunioni che avranno inizio il 22 corrente.

Il mio Governo non ritiene cioè, come è noto a V. E., che l'attuale situazione sia la più favorevole all'esame di questioni di così grave interesse quali sono quelle che saranno oggetto della conferenza, e al raggiungimento di risultati conclusivi. Perciò il R. Governo aveva espresso l'avviso che la Conferenza, come era stato inizialmente proposto, avesse luogo ad una data posteriore a quella della prossima sessione del Consiglio della S.d.N.

Il R. Governo nel rimanere fermo in questo ordine di idee, conferma di essere pronto a partecipare ai lavori della conferenza non appena la situazione si chiarisca nei suoi vari aspetti. Nel frattempo il R. Governo, per l'interesse che annette quale Stato eminentemente mediterraneo a tutte le questioni concernenti il regime degli Stretti e nella sua qualità di firmatario della Conferenza di Losanna del 24 luglio 1923, non può non formulare le più esplicite riserve sui dibattiti che avranno luogo nelle prossime riunioni e sull'assieme dei problemi che vi saranno trattati.

Sarò grato a V. E. se vorrà comunicare la presente nota al presidente della conferenza di Montreux, con preghiera di volerne dare cortese comunicazione alle singole delegazioni.

Voglia gradire, Eccellenza, i sensi della più alta considerazione ». Poiché è da ritenersi che S. E. Rustu Aras abbia già lasciato Ankara, delegazione italiana Ginevra è stata incaricata rimettergli eguale nota a Montreux.

(l) -Non pubblicata. (2) -Vedi D. 224.
338

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 6013-6014/952-953 R. Londra, 21 giugno 1936, ore 18,04 (per. ore 0,40 del 22).

Mio fonostampa n. 325 (1).

Dò una esatta fotografia della situazione politica di oggi, sabato, che è stata effettivamente una giornata pesante.

Velenoso e veemente attacco di Lloyd George contro Eden, Baldwin ed intero Gabinetto conservatore (2) ha avuto effetto maggiore di quello che lo stesso Governo pensava. Mentre Eden si è battuto vigorosamente ed ha contrattaccato con coraggio (soltanto per questo è uscito in piedi dal dibattito), Baldwin ha dato una penosa impressione di accasciamento davanti colpi infertigli dal suo vendicativo avversario e nel blocco conservatore ha cominciato determinarsi subito uno stato di malessere contagioso e pericoloso del quale liberali, laburisti societari, pacifisti e antifascisti hanno cercato immediatamente di profittare per tentare una vera e propria insurrezione non solo dell'opinione pubblica ma anche del Parlamento e per creare una situazione analoga a quella del dicembre scorso che costrinse Gabinetto ad abbandonare precipitosamente proposte Hoare-Laval e con esse il proprio ministro degli Affari Esteri.

Le tre frasi culminanti, pronunciate da Lloyd George col dito puntato verso il banco dei Governo: «l'Inghilterra è sconfitta -l'Impero è battuto -Ecco li i vigliacchi! », riportate con i più grandi caratteri in tutti i giornali e gazzette delle provincie ed in tutti i manifesti murali e volanti distribuiti dai laburisti a milioni di copie nella notte di ieri e giornata di oggi, hanno determinato effettivamente in tutto il Paese e sopratutto nelle provincie una situazione un poco preoccupante.

Le prime defezioni nelle file della maggioranza sono cominciate naturalmente nel gruppo dei soliti sciacalli liberali nazionalisti, capeggiati da Simon e dall'ebreo Belisha, i quali hanno pensato che era venuto il momento di vendicarsi di Eden, rovesciare Baldwin, dividere i conservatori e sostituire alla coalizione governativa il nuovo << fronte popolare » composto dai laburisti, liberali nazionalisti, liberali puri, liberali indipendenti e conservatori di sinistra con un nuovo Governo avente alla testa Lloyd George.

La seconda defezione ha avuto luogo nel gruppo dei conservatori di sinistra, in rivolta contro «tradimento » di Eden che è stato fino a ieri il loro capo, preconizzato fino a ieri come futuro capo del nuovo «fronte popolare britannico». La rivolta di questi conservatori è capeggiata dal deputato ex generale Spears, noto francofilo e non meno noto agente a Londra del Governo francese e del Quai d'Orsay. Nell'emendamento al voto di censura proposto da Spears traspare infatti evidente quello che è stata nelle settimane scorse tutta

la propaganda francese a Londra, sintetizzata nella formula: « l'aggressione italiana non deve essere condonata e l'abbandono delle sanzioni deve essere condizionato a precise contropartite che debbono essere richieste all'Italia dall'Inghilterra e dalla Francia».

Di fronte al pericolo, abbastanza serio, ho, durante giornata, messo nuovamente in moto tutte le leve possibili ai Comuni e ai Lords e nella City.

Ho conferito di nuovo con tutti i capi di tutte tendenze movimento antisanzionista, sia favorevoli sia contrari al Governo di Baldwin, ed ho loro rappresentata necessità, improrogabile e urgente, di dimenticare almeno per qualche giorno le loro diverse tendenze e antipatie per Baldwin, Eden e per gli altri del Governo, e resistere tutti insieme con compatta decisione alla manovra di Lloyd George, tendente ad un solo fine, quello di rovesciare Governo conservatore e precipitare il Paese in un caos non dissimile a quello in cui trovansi attualmente Spagna e Belgio. Non si tratta in questo momento -ho insistito con tutti -di salvare soltanto Baldwin, il suo equipaggio e con essi revoca sanzioni, che Baldwin e Eden si sono finalmente decisi a proclamare in seguito alla vittoriosa campagna dell'antisanzionismo britannico. Si tratta di salvare in questo momento la barca del partito conservatore, ho detto. Se Baldwin e Eden fossero sconfitti nel voto di martedì -ho continuato -non è soltanto l'antisanzionismo, del quale, per un paradosso stridente, proprio Eden e Baldwin sono diventati oggi campioni, bensì tutti i partiti conservatori che sarebbero sconfitti e con essi la causa dell'ordine sociale e politico in Inghilterra e in Europa.

Stasera situazione era indubbiamente migliorata. Baldwin è partito per Glasgow, il maggiore centro industriale e laburista, per fare un pubblico discorso e difendere la politica antisanzionista di Eden e del Gabinetto. Quasi tutti i deputati fedeli al Governo sono partiti alla loro volta per le loro circoscrizioni per reagire con manifestazioni popolari e discorsi ai comizi organizzati per domani domenica nelle provincie da laburisti e liberali.

Domani sera è stata d'urgenza riunita assemblea plenaria dei conservatori in una sala privata della Camera dei Comuni, dove parleranno Austen Chamberlain, Lord Churchill, Winterton, Amery, Horne e tutti i leaders della destra e del centro e dove sarà concertata l'azione di contrattacco in difesa della politica antisanzionista del Gabinetto per la seduta di martedì.

Anche Lord Churchill, il cui odio catilinaria per Baldwin è noto, dopo aver declinato il mio invito mi ha promesso alla fine che parlerà nella seduta di martedì attaccando la persona di Baldwin, ma difendendo Eden e la necessità della revoca immediata e incondizionata delle sanzioni.

Liberali Brooke, Lord Rothermere, che sino avant'ieri insistevano nei loro giornali per le dimissioni di Baldwin e Eden, hanno riconosciuto che in questo momento bisogna tutto dimenticare per salvare, come ho detto loro, «la barca del partito conservatore». Mi hanno promesso ambedue stamane di agire in questo senso almeno sino alla prossima Assemblea di Ginevra e fare, sebbene contrariamente alle loro convinzioni, la campagna in appoggio di Baldwin.

Questa è la situazione di stanotte, alle ore 2, ora in cui scrivo rientrando questa ambasciata.

Nella giornata di domani domenica e lunedì continuerò intensamente mia azione fino a martedì sera. Battaglia non si può dire ancora vinta nel senso assoluto della parola. Ma io sono tranquillo e sicuro, se nulla avverrà di straordinario domani, sul suo esito finale.

(1) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 330.
339

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6009/116 R. Bruxelles, 21 giugno 1936, ore 20,20 (per. ore 22,30).

Mi riferisco al telegramma n. 115 (1).

Stamane ho potuto conferire a lungo anche con van Zeeland, che da una settimana è stato ininterrottamente assorbito dai negoziati per la composizione degli scioperi comunisti. Egli era però da vari giorni a conoscenza del contenuto del telegramma di V. E. n. 79 (2), che gli avevo fatto comunicare nel frattempo per mezzo di persona di fiducia. Non ho quindi avuto bisogno di molte parole per mettere in evidenza necessità che il Governo belga si affretti ad assumere un atteggiamento francamente antisanzionista.

II primo ministro si rende ben conto della delicatezza della situazione e mi ha pregato di dichiarare a V. E.: 1) che egli ha mantenuto la promessa datami un mese fa di adoperarsi a Londra e a Parigi per la levata delle sanzioni a mezzo continui discreti interventi, dei quali amerebbe che noi facessimo il controllo; 2) che il Governo belga è deciso, alla pari di quelli inglese e francese, a levare le sanzioni ed ha già tutto predisposto per l'eventualità che ciò possa verificarsi entro il mese; 3) che il Governo belga ha anche deciso di prendere posizione a Ginevra per la levata delle sanzioni e di esercitare pressioni in tal senso su quei membri della S.d.N. che si mostrassero esitanti.

Gli ho risposto che di tutto ciò potevamo bensì prendere atto con compiacimento, ma che l'opinione pubblica italiana, nella particolare e cronica sua irritazione contro il Belgio per il malaugurato invio di armi e di ufficiali all'€sercito etiopico e per l'infelice sua enfasi retorica dello scorso ottobre, attendeva ora una manifestazione riparatoria possibilmente isolata e antecedente alla riunione ginevrina, tanto più che nell'ambiente di quest'ultima i buoni propositi vanno spesso in fumo.

Van Zeeland mi ha detto che Io farebbe volentieri se gliene si porgesse il destro ma mi ha lasciato intendere che la sua attuale situazione di capo di Governo è ben più debole di quella di Blum e dello stesso Baldwin e che, nell'interesse di non compromettere la pronta levata delle sanzioni, trovasi costretto ad evitare nella forma ogni urto suscettibile di provocare opposizioni recise da parte di qualcuno dei suoi colleghi al Governo.

Questa confessione corrisponde alla realtà, secondo quanto ho recentemente riferito circa i maneggi di Vandervelde per sabotare il nuovo ministero..., ma, ciò nonostante, io ho replicato che il Belgio deve comunque, per l'avvenire dei suoi rapporti con l'Italia, trovare il modo di occupare senza indugio almeno il terzo posto nell'elenco degli Stati abolizionisti europei per far dimenticare di avere avuto il numero tre in quello dei sanzionisti e che io contavo vivamente su di una sollecita dimostrazione di buona volontà.

Poche ore dopo, il primo ministro inviava all'ambasciata il suo capo di Gabinetto per preannunziarmi che, salvo complicazioni imprevedibili, il Governo belga prenderà domani una deliberazione analoga a quella presa ieri l'altro dal Governo francese per la levata delle sanzioni (1).

340.

IL CAPO DELL'UFFICIO II DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, ROGERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 21 giugno 1936.

Questo incaricato d'affari di Francia, edotto dal suo Governo del fatto che il R. Governo si propone di dirigere una nota al presidente dell'Assemblea della S.d.N. convocata pel 30 corr., ha espresso il vivo desiderio di conoscere, qualche giorno prima che essa venga inviata a destinazione, il tenore, almeno per sommi capi.

Il signor Blondel si è affrettato a dichiarare che la sua richiesta non era ispirata ad altro motivo che a quello di permettere al suo Governo di deliberare tempestivamente circa la linea di condotta della propria delegazione a Ginevra in modo da armonizzarla coll'impostazione che il R. Governo credesse dare alla questione nella nota in parola; e ciò, naturalmente, nell'intento di collaborare ad una soluzione soddisfacente per l'Italia.

Si è risposto al signor Blondel che si doveva riservare l'accoglimento del suo desiderio alla decisione dell'E. V.

341.

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, PATERNò, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 5336/8 P. R. San Sebastiano, 22 giugno 1936, ore 12 (per. ore 16,30).

Per opportuna conoscenza di V. E. vengo informato in questo momento che è imminente movimento rivoluzionario destre tendente ad impadronirsi potere. Per recenti accordi interceduti fra tradizionalisti (d'accordo con esponenti altri partiti di destra) e von Ribbentropp, Germania seconderebbe movimento.

Re Alfonso si era offerto assumere comando insurrezione, ma, in recente riunione Parigi, è stato dissuaso; movimento sarà diretto noto generale Sanjurjo e non avrebbe momentaneamente tendenza restaurazione monarchica, ma instaurazione Governo forte e completo annientamento comunisti, socialisti rivoluzionari.

Data serietà persona che mi informa ho creduto dover informare V. E. urgenza.

342.

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5364/174 P.R. Buenos Aires, 22 giugno 1936, ore 19,53 (per. ore 6 del 23).

Telegramma di V. E. segreto 128 (1). Permettomi ringraziare per oltremodo interessanti comunicazioni delle quali mi valgo come autorevole norma assicurando massima segretezza.

Mentre riservomi di dare dettagli precisi seduta segreta Senato, che spero ottenere prontamente per interposta persona, informo già risulta concordemente che intonazione Sanchez Sorondo fu di magistrale filippica contro utopie societarie di Saavedra Lamas e violenta requisitoria per deleteria ripercussione sua politica personale sulle naturali tradizionali relazioni amicizia itala-argentine.

Ministro degli Affari Esteri rispose interpellanza con prolisso contorto discorso, col quale intese scagionarsi ogni accusa ostilità all'Italia fondando proprie giustificazioni su documenti non aver praticamente applicato sanzioni, nonostante obbligo societario ed evidente convenienza non disgustare Inghilterra con la quale vi sono trattative per rinnovare noto importantissimo accordo economico.

In merito iniziativa convocazione Assemblea confermo quanto già preannunziato circa sua abile manovra spostare discussione dal campo sanzionistico, sul quale opinione pubblica di ogni ceto è qui unanimemente contraria, verso terreno più vago ma meno ostico, della ineluttabile necessità di pronta riaffermazione dottrinaria Argentina, stimolando in pari tempo amor proprio e affinità nazionale coll'universale clamore creatosi intorno sua proposta.

Intanto giusta quanto riferitomi dal nunzio apostolico, da numerosi colleghi e membri del Governo, con cui mantengo stretti contatti, Saavedra Lamas continua fare attiva propaganda per tentare convincere opinione pubblica argentina, e specialmente vari Governi sud americani, che, a parte suddetta riaffermazione principio, atteggiamento Argentina a Ginevra sarà nel senso appoggiare proposta soppressione sanzioni e di aderire ricerca soluzione conciliativa.

Saavedra Lamas, il quale dimostra in questi giorni grande preoccupazione e nervosismo, ha a me rinnovato gli stessi concetti (che mi ha poi anche più estensivamente fatto ripetere dal sottosegretario di Stato) ma di fronte alla mia ferma obiezione che tutto resterebbe nel campo di vaga inutile astrazione

senza un gesto palpabile che provi praticamente cordiali propositi verso noi non è giunto a vere dichiarazioni al riguardo.

Pur continuando egli a cogliere tutte le possibili occasioni per ribattere con marcata insistenza che richiesta convocazione Assemblea S.d.N. fu iniziativa Argentina senza previo accordo specifico con Inghilterra, Saavedra Lamas mi ha del tutto spontaneamente detto che, contemporaneamente conversazioni con

V. E., ambasciatore d'Argentina Roma avrebbe mantenuto contatti con Drummond per possibile esame comune di una favorevole procedura e che, recatosi poi Londra, Cantilo vi avrebbe conferito con Eden.

Mentre è da tener presente costante ambizione di Saavedra Lamas cercare in ogni circostanza acquistare qualche merito anche solamente apparente di mediatore, considera molto utile contatti che, come V. E. informava con telegramma n. 126 (1), Cantilo potrà avere Londra col nostro ambasciatore giacché è da sperare successiva presenza stesso Cantilo Ginevra valga mitigare pure in istruzioni Saavedra Lamas, nota, esosa acredine personale sempre dimostrata da Ruiz Guinazu contro Italia.

(l) -Vedi D. 334. (2) -Vedi D. 255.

(l) Vedi D. 349. Per la decisione del governo francese si veda il D. 326.

(l) Non rinvenuto.

343

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6073/071 R. Vienna, 22 giugno 1936 (per. il 24).

Mio telegramma per corriere n. 068 del 18 giugno u.s. (2).

Cancelliere ha visto avantieri nuovamente von Papen. Avendo dovuto recasi subito dopo in Tirolo, Schuschnigg ha incaricato il direttore degli Affari politici, Horbostel, di ragguagliarmi sul colloquio, che qui riassumo.

Il colloquio era avvenuto per iniziativa dallo stesso Cancelliere. Ho potuto comprendere che questi, evidentemente preoccupato che la vivace reazione da lui mostrata pel rifiuto opposto dall'autorità tedesca alla venuta in Vienna del Maestro Knappertsbuch potesse essere interpretata a Berlino come un tentativo di sabotaggio delle conversazioni già iniziate per il noto modus vivendi, aveva tenuto a correre ai ripari, convocando personalmente il von Papen. Difatti a questi, richiamandosi ai recenti colloqui, Schuschnigg aveva rimesso un documento analogo a quello che Berger consegnò il l o ottobre scorso allo stesso von Papen, ed il cui testo trovasi annesso al mio teleposta riservatissimo

n. 2184 del 3 ottobre decorso (3). Nell'occasione, Schuschnigg aveva dichiarato al von Papen che, avendo sottoposto ad un attento personale esame il documento in parola (che era stato a suo tempo preparato da Hornbostel e che fu rimesso al von Papen, onde evitare ogni impegno, quale un personale punto di

vista del « referente ») lo aveva ritenuto atto a formare una possibile base di trattative.

Ho chiesto a Hornbostel se il documento corrispondesse o meno esattamente a quello dell'ottobre scorso. Ho potuto così accertare che il nuovo testo comporta due varianti. La prima, nel paragrafo concernente la stampa (punto III del vecchio progetto), che prevede l'eventuale immediata introduzione di due giornali tedeschi in Austria e di due giornali austriaci in Germania: ciò, mentre il vecchio progetto rimandava tale questione ad un «esame di avvenire in epoca non lontana»; la seconda, che è assai più importante, concerne una nuova interpretazione delle parole pronunciate dal Cancelliere Schuschnigg nel maggio 1935, ed invocate quale base delle proposte di accordo presentate nell'estate scorsa da von Papen, e che hanno formato, come è noto, l'inizio del negoziato (punto II del vecchio progetto).

Le parole pronunziate dal Cancelliere alla seduta della Dieta federale nel maggio 1935 furono: «L'Austria si professa quale Stato tedesco». L'interpretazione data da von Papen a tali parole nelle sue prime proposte di accordo fu la seguente: «il Governo austriaco, corrispondendo alle dichiarazioni del Cancelliere, e cioè che l'Austria si riconosce per uno Stato tedesco, conformerà la sua politica alle esigenze degli interessi pacifici di tutto il germanesimo ». (Mio telegramma per corriere n. 087 del 27 agosto 1935) (1).

Questa proposta di von Papen venne così modificata nella controproposta redatta da Hornbostel e consegnata nell'ottobre allo stesso von Papen: «Il Governo federale uniformerà in generale la sua politica, ed in particolare di fronte al Reich tedesco, alle dichiarazioni del Cancelliere del 29 maggio 1935, che l'Austria si professa quale Stato tedesco». Adesso, nel testo del documento nuovamente consegnato da Schuschnigg a von Papen, è stata riconosciuta l'opportunità da parte austriaca, di apportare una modifica alla predetta formula. ritenuta alquanto impegnativa e pericolosa. La modifica è nel senso che il Governo del Reich si dichiarerebbe consapevole che l'Austria ha più volte dichiarato di essere uno Stato a cultura germanica, e che a tale principio essa non mancherà di uniformarsi. A tal ultimo riguardo credo opportuno segnalare che Hornbostel ha evidentemente evitato di comunicarmi l'esatta redazione della formula, ricorrendo anzi a tortuose perifrasi, dalle quali ho creduto tuttavia poter dedurre la frase su indicata.

Hornbostel mi ha aggiunto che il documento era stato discusso abbastanza largamente da Schuschnigg e von Papen e che questi aveva finito per dichiarare che lo riteneva una buona base per negoziare. Von Papen si era peraltro mostrato esitante alla richiesta perentoria del Cancelliere, che ad accordo raggiunto dovesse seguire immediatamente la pubblicazione che gli appariva per lo meno inutile. Difatti, a. suo avviso, il documento si baserebbe sovrattutto sulle dichiarazioni già note di Hitler circa il rispetto dell'indipendenza austriaca; ed il fondamento di tale dichiarazione sembrava al von Papen fin troppo evidente e naturale per essere di nuovo consacrato in una «pubblica dichiarazione». Ma il Cancelliere aveva replicato vivacemente alle obiezioni del suo

interlocutore, esponendo le ragioni che lo inducevano ad esigere la pubblicazione; talché von Papen aveva finito coll'abbandonare le sue riserve.

Ad ogni buon fine riferisco pure che von Papen non aveva nascosto la sua meraviglia per il fatto che nel documento presentatogli da Schuschnigg non vi fosse cenno alcuno della questione relativa ai 1000 marchi, che ogni turista tedesco dovrebbe sborsare per recarsi in Austria. Osservazione alla quale Schuschnigg aveva creduto di rispondere seccamente, nel senso che se niente era stato scritto al riguardo, gli era perché al Governo austriaco non fa paura né lo stato attuale delle cose, né le conseguenze di una eventuale abrogazione della tassa in parola.

Ho potuto accertare infine che nel colloquio non era stato detto alcunché circa la partecipazione o meno di ministri «nazionali» all'attuale governo. Ho potuto rilevare come Hornbostel conservi a tal riguardo tutte le giustificate prevenzioni da lui sempre dimostrate nei rispetti di una eventuale collaborazione al Governo da parte di detti elementi, che egli considera del tutto trascurabili come forza politica, e per contro assai pericolosi come un tramite per una diretta ingerenza nazionalsocialista nell'amministrazione dello Stato austriaco.

Mi risulta che von Papen partirà domani mattina per Berlino onde sottomettere direttamente a Hitler il sopra riassunto documento rimessogli dal Cancelliere.

(l) -T. 2797/126 R. del 17 giugno, ore 24, informava del colloquio avuto da Ciano con l'ambasciatore d'Argentina, Cantilo, il 15 giugno (vedi D. 276). Ciano aggiungeva risultargli in modo sicuro che Cantilo si proponeva di svolgere tutta la sua azione come delegato alla Società delie Nazioni d'intesa con la Gran Bretagna. (2) -Con T. 5965/068 R. del 18 giugno Preziosi aveva riferito su una conversazione con Schuschnigg nel corso della quale il cancelliere gli aveva confermato che Il colloquio da lui avuto con von Papen la settimana prima non aveva portato alcun cambiamento allo stato delle trattative. (3) -Vedi serie ottava, vol. Il, D. 231.

(l) Vedi serie ottava, vol. I, D. 832.

344

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6075/072 R. Vienna, 22 giugno 1936 (per. il 24).

Giusta confidenze di Krofta, la Piccola Intesa avrebbe esaminato, nella recente riunione di Bucarest, l'insieme dei rapporti fra essa e l'Austria. In succinto sarebbe stato deciso: l) una perfetta solidarietà contro ogni tentativo di restaurazione absburgica; 2) una concorde opposizione ad ogni tentativo di Anschluss, da parte della Germania; 3) l'opportunità di riprendere la questione relativa al servizio obbligatorio militare austriaco, presentando a Ginevra una qualche protesta.

Circa tale ultima questione mi risulta che Krofta ha promesso al ministro d'Austria a Praga tutti i suoi buoni uffici presso i suoi colleghi della Piccola Intesa, onde moderarne le iniziative. Mi risulta altresì che Krofta ha declinato la confidenziale suggestione austriaca, secondo cui il Governo federale non avrebbe avuto speciali difficoltà ad adottare un atteggiamento analogo a quello usato nel 1934 allorquando l'Austria richiese un aumento delle sue forze militari. Krofta ha osservato che l'aumento sollecitato nel 1934 contemplava il raggiungimento delle forze regolari militari concesse all'Austria dallo stesso trattato di pace, mentre l'attuale questione, relativa al serviziO militare obbligatorio, non trova alcun appiglio nelle disposizioni del trattato di pace.

345

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6076/073 R. Vienna, 22 giugno 1936 (per. il 24). Le notizie comunicate a V. E. da codesto incaricato d'affari d'Austria circa un preteso accordo segreto fra la Romania e la Cecoslovacchia, relativamente alla libertà del passaggio, attraverso la Bucovina, alle truppe sovietiche (telespresso di V. E. n. 220386 del 17 corr.) (l) meritano particolare attenzione. A titolo del tutto confidenziale segnalo che le informazioni in parola sono state fornite al Governo federale dal principe Michele Sturdza, diplomatico rumeno attualmente in disponibilità, il quale mena da tempo una viva campagna contro il Titulescu in pieno accordo con alcuni uomini politici romeni, fra cui Giorgio Bratianu. Il principe Sturdza, che è in strette relazioni politiche con elementi francesi di destra, quali l'ex ministro Marin, il maresciallo Pétain ed altri, vorrebbe evitare, in piena solidarietà con i suoi affiliati politici romeni, che il Titulescu facesse assumere alla Romania impegni che potrebbero riuscire fatali alla sua integrità territoriale ed alla stessa sua indipendenza. Mi risulta

che lo Sturdza si recherà fra breve anche a Roma per opportuni contatti. In aggiunta poi alle informazioni contenute nel suindicato telespresso di

V. E. riferisco:

l) che Krofta, parlando di recente col ministro d'Austria a Praga, gli ha confidato che la Romania starebbe per concludere con l'U.R.S.S. un trattato del tutto analogo a quello franco-sovietico ed a quello ceco-sovietico. Al riguardo il Cancelliere ed il Ballplatz ritengono che Titulescu, adoperandosi per la conclusione di un siffatto trattato, ad altro non mirerebbe che a trovare una base giuridica atta a giustificare, presso il grosso dell'ostile opinione pubblica romena, la concessione del passaggio di truppe russe attraverso la Bucovina ed il sorvolo della medesima regione da parte di aeroplani sovietici. In altri termini Titulescu vorrebbe che la predetta concessione, da stipularsi nei particolari sotto forma di un accordo segreto fra gli Stati Maggiori romeno e cecoslovacco, apparisse come un obbligo derivante dalla mutua assistenza contemplata nel trattato che starebbe attualmente negoziando con Mosca.

2) Krofta, parlando ulteriormente con lo stesso suindicato diplomatico austriaco, avrebbe anche fatto intendere che Titulescu, preoccupato pel fatto che l'U.R.S.S., in caso di conflagrazione con la Germania, non esiterebbe a far transitare le sue truppe attraverso la Romania, vorrebbe che tale passaggio risultasse contemplato in un solenne trattato, e ciò al principale scopo di poter di esso usufruire, presso l'opinione pubblica europea, nel temuto caso della permanenza delle truppe sovietiche sul territorio romeno.

Segnalo infine che il Ballplatz, il quale dimostra un vivissimo interesse alla questione ed alle notizie suriassunte, spera ottenere dalla cortesia di V. E. ogni informazione che fosse per pervenirLe circa i disegni e l'attività del Titulescu, nei confronti dell'U.R.S.S. e della Cecoslovacchia.

(l) Ritrasmetteva il D. 279.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6222/0402 R. Londra, 22 giugno 1936 (per. il 27).

Confesso che non ho potuto trattenermi dal ridere un poco nel leggere il telegramma in data 19 corrente nel quale nostro R. ambasciatore a Parigi riferisce colloquio avuto con Léger, nella stessa data (1), e cioé nel giorno successivo al dibattito alla Camera dei Comuni, in cui Governo britannico ha proclamato la fine delle sanzioni:

«Léger mi ha detto che era stato malissimo impressionato della parte del discorso di Eden relativa alla impossibilità in cui il Governo inglese si era trovato di conoscere quali fossero le intenzioni della Francia circa sanzioni. Questo costituiva negazione assoluta della verità perché Delbos aveva cercato invano di poter conferire con Eden sia a Londra che altrove. Le risposte evasive ricevute al riguardo da Londra, mentre erano state in fondo accolte a Parigi come una prova dell'imbarazzo in cui si trovava il Governo inglese nel prendere una direttiva circa sanzioni, avevano d'altro canto impedito al Governo francese di informare il Governo italiano, sin dal primo giorno del suo avvento al potere, della intenzione che esso aveva di togliere le sanzioni. E questa era cosa che doveva essere deplorata».

Mi dispiace per il signor Léger, ma queste sue «deplorazioni » sono proprio le deplorazioni postume e tardive del coccodrillo. Aggiungo che se vi è qualcuno che deve essere deplorato, questo è proprio e soltanto il Governo francese.

Come V. E. sa, Lloyd George, nella sua violenta filippica sanzionista di giovedì 18 ai Comuni, allo scopo di dimostrare la malafede e la mancanza di coraggio di Eden e di Baldwin ha detto che la revoca delle sanzioni decisa dal Governo britannico era tanto più da condannarsi in quanto che tutti sapevano che il Governo socialista francese non si sarebbe opposto affatto al mantenimento e all'inasprimento delle sanzioni contro l'Italia. Eden lo ha interrotto energicamente per mettere le cose a posto, e in certo qual modo per difendere proprio quella che Léger proclama oggi, troppo tardivamente, ahimé, avrebbe voluto (io dico: avrebbe dovuto) essere fin dal primo giorno del suo avvento al potere, la segreta intenzione dell'attuale Governo francese. Naturalmente Eden nel dichiarare non risultargli che il Governo francese aveva intenzione di mantenere ed inasprire le sanzioni, come asseriva Loyd George, ha dovuto mettere anche in chiaro che: « ... più di una volta io ho avvicinato il Governo Francese sforzandomi di conoscere quali erano le sue intenzioni a proposito delle sanzioni. Il Governo francese mi ha fatto rispondere che esso non è affatto disposto a prendere alcuna iniziativa per la revoca delle sanzioni. Essi hanno dichiarato semplicemente la loro ansietà di seguire il Governo Britannico nella strada che quest'ultimo avrebbe scelto senza darmi tuttavia alcuna specifica indicazione... ».

30 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

Alle quali parole di Eden, Lloyd George ha ribattuto insistendo che quanto egli aveva detto circa l'attitudine del Governo socialista francese era esatta e che del resto le parole di Eden confermavano l'intenzione del Governo francese di seguire il Governo britannico in quella qualsivoglia linea di condotta che quest'ultimo avrebbe adottato.

Non capisco quindi perché Léger, anziché «deplorare» e dichiararsi «malissimo impressionato» di Eden il quale ha cercato di limitare la portata delle gravi dichiarazioni di Lloyd George circa la vera o presunta attitudine francese, non abbia «deplorato» invece Lloyd George, il quale ha cercato di trarre dall'asserita disposizione del Governo del Fronte Popolare francese a mantenere le sanzioni delle conclusioni tutt'altro che lusinghiere per la Francia medesima.

La verità è che il Quai d'Orsay (bastava del resto per convincersi di ciò, osservare giovedì sera le faccie lunghe e funeree dei francesi di Londra, dall'ambasciatore francese fino all'ultimo corrispondente dell'ultima gazzetta di Francia), è rimasto effettivamente «malissimo impressionato» non per l'interruzione di Eden a Loyd George, bensì per le decisioni antisanzioniste del Gabinetto Britannico, che hanno lasciato ai politicanti francesi, miopi e meschini come sono tutti i furbi e tutti gli avari, un pugno di mosche in mano e il sapore dell'amaro in bocca.

Io spero che il nostro ambasciatore a Parigi non si sarà lasciato sfuggire la buona occasione per rispondere a Léger quello che merita. Infatti l'attitudine francese quale il nostro ambasciatore ha segnalato nei suoi telegrammi, corrisponde esattamente a quanto il Governo britannico ha dichiarato ai Comuni.

Nel suo telegramma in data 11 corrente (n. 212 di codesto ministero (l) è detto:

«Dalle varie conversazioni che ho avuto occasione di avere in questi giorni con funzionari del Quai d'Orsay e con uomini politici del nuovo Gabinetto, ho avuto l impressione che se non è ancora decisa l'attitudine che assumerà la Francia nei riguardi delle sanzioni si può ritenere escluso tanto che essa prenda una iniziativa qualsiasi quanto che insista sul Governo inglese perché la assuma esso stesso».

È pittorescamente schizzata da Jules Veran dell'Eclair du Midi:

« ... c'est M. Delbos, à qui san discours anti-italien et surtout antimussolinien a valu le portefeuille des Affaires Etrangères, et M. Léon Blum, qui avait annoncé, il y a dix ans, que Mussolini était fini, qui vont etre obligés, pour suivre l'Angleterre, de voter l'abolition des sanctions... ».

Come ho avuto già occasione di riferire incidentalmente nei miei telegrammi delle scorse settimane, Delbos ha invitato Eden ad un incontro a Parigi, allo scopo di esaminare congiuntamente la questione delle sanzioni all'Italia e la questione della risposta tedesca al questionario britannico, e concordare nelle due questioni una politica comune.

Il Governo francese, come al solito, (e questa è proprio la politica in cui il signor Léger si è specializzato fin dal sorgere del conflitto italo-abissino), si è presentato a Londra offrendo ancora una volta di mercanteggiare colla Inghilterra la propria attitudine sanzionista verso l'Italia in cambio di un'attitudine inglese più ferma verso la Germania.

Senonché il Governo britannico ha inaspettatamente risposto, con vivo disappunto francese che il Governo britannico non desiderava in quel momento questo incontro, e che comunque le due questioni, quella italiana e quella tedesca, andavano esaminate separatamente. Eden ha fatto nel contempo domandare al Governo francese, pel tramite del proprio ambasciatore a Parigi, quali fossero le intenzioni francesi sul problema delle sanzioni.

Il Governo francese non soltanto si è ben guardato dall'esprimere, anche genericamente o vagamente, un avviso in senso favorevole alla levata delle sanzioni, ma si è anche rifiutato di rendersi conto del fatto, visibile in tutte le manifestazioni più tipiche della vita politica britannica e denunciato del resto giorno per giorno dalla stessa stampa francese, che un mutamento sostanziale andava operandosi nelle direttive della politica del Governo britannico. Il Governo francese ha voluto continuare a « giocare di fino»; ha risposto, in modo evasivo, che la Francia avrebbe seguito a Ginevra la linea che la Gran Bretagna avrebbe adottato; ha creduto così con tale risposta di aumentare gli imbarazzi del Governo britannico di fronte ai sanzionisti e alle proprie posizioni di politica interna, contando di costringerlo a venire ben presto a patti con Parigi.

La manovra non si è limitata qui. Infatti mentre il Governo francese rispondeva ufficialmente in modo evasivo, in pari tempo ambienti ufficiali del Governo socialista francese lasciavano chiaramente intendere ai capi del sanzionismo inglese, come Attlee, Cecil, Lloyd George, che il Governo francese era sostanzialmente favorevole al mantenimento e inasprimento dell sanzioni. Non vi è stato, durante le due scorse ultime settimane, nessuno dei numerosi « pellegrini inglesi del sanzionismo » che si sono recati espressamente a Parigi a consultare il nuovo oracolo Blum e i suoi preti rossi, che non sia ritornato direttamente o indirettamente incoraggiato a perseguire nella politica sanzionista, ad ostacolare le nuove tendenze antisanzioniste del Governo di Baldwin, e ad organizzare, contro il Governo di coalizione nazionale, la lega dei gruppi delle sinistre britanniche, il nuovo «Fronte Popolare britannico » sull'esempio e sul modello del vittorioso Fronte Popolare francese.

È infatti soltanto nelle due ultime settimane che è sorto improvvisamente in Inghilterra, come un fungo velenoso e fuori stagione cresciuto sul tronco infracidito del sanzionismo, l'idea di un «Fronte Popolare» dei partiti di sinistra britannici per rovesciare l'attuale Governo conservatore. L'idea è di diretta importazione parigina. Basta leggere, del resto l'intervista pubblicata da Lord Ceci! sullo Star di martedì u.s. La pericolosa proporzione assunta dall'agitazione laburista e liberale da giovedì ad oggi, ha confermato in tutti i conservatori la convinzione che Blum e suoi soci intendevano determinare una crisi di Governo e di partiti in Inghilterra, facendo leva sull'antifascismo

sanzionista contro l'Italia. Soltanto perché il partito conservatore e le grandi masse britanniche hanno avvertito in tempo il pericolo che loro sovrastava imminente ed hanno ad esso tempestivamente e vigorosamente reagito, il disegno accarezzato da Blum-Cecil-Lloyd George é clamorosamente fallito.

Nello stesso tempo il Quai d'Orsay, e questo lo sanno tutti a Londra anche coloro che non leggono le articolesse dei due agenti provocatori Pertinax e Tabouis (riprodotti ogni giorno a grandi caratteri nei giornali inglesi di sinistra) insisteva ufficiosamente a Londra attraverso i suoi numerosi e fidati agenti (il più autorevole di tutti il deputato Spears, notoriamente al servizio dei francesi, il quale ha capeggiato giovedì scorso apertamente ai Comuni la rivolta dei conservatori di sinistra contro Eden e Baldwin), fra i colonialisti britannici, per convincere questi ultimi del supremo interesse inglese a mettersi d'accordo colla Francia per marchander coll'Italia, in duri tempi di politica sia africana, che europea, un'eventuale abolizione delle sanzioni. Propaganda infruttuosa perché il Governo britannico, per le ovvie ragioni che ho a suo tempo esposto, ha preferito la revoca «immediata ed incondizionata » delle sanzioni.

Tutti questi armeggii sotterranei, tentati dalla Francia e diretti a creare sul terreno della politica antisanzionista ormai adottata dal Gabinetto degli ostacoli e delle difficoltà di politica interna e di politica estera al Governo di Baldwin, non ultimo quello di impedire od almeno ritardare, condizionandolo al proprio meschino vantaggio, un riavvicinamento diretto itala-inglese, non hanno avuto se non un risultato, quello di vieppiù irritare il Gabinetto britannico e di spingerlo ancora più decisamente a proseguire nella propria strada.

Il Quai d'Orsay, e proprio per primo il signor Léger, pur essendo perfettamente informati di quanto stava accadendo a Londra, non hanno voluto ancora tuttavia credere. Gli sembrava impossibile che la campagna anti-sanzionista in Inghilterra avrebbe prevalso nel Paese, nel Parlamento e nel Gabinetto, avrebbe battuto l'antifascismo sanzionista delle sinistre inglesi proprio nel momento in cui queste ultime si preparavano a dare ai conservatori la battaglia definitiva, ed avrebbe costretto il Governo, dopo un anno di mercanteggiamenti e di baratti colla Francia, a passare il Rubicone a visiera diritta.

Il Governo francese non vi ha creduto neppure dopo il discorso di Neville Chamberlain, che questo povero ambasciatore di Francia, prendendo alla lettera la imbarazzata risposta data il giorno dopo da Baldwin ai Comuni, ha definito «una opinione puramente personale », ripetendo così il famoso « rien d'important ce n'est arrivé aujourd'hui » scritto da Luigi XVI nel suo diario il giorno della presa della Bastiglia. Tanto il Governo francese contava ormai sulla vittoria delle sinistre e sulla «sollevazione sanzionista » nella Camera dei Comuni e nel Paese.

Così la politica francese, per volere sedere contemporaneamente sulla sedia inglese e sulla sedia italiana, ha finito -come doveva finire -col cascare per terra tra le due, liberando infine la generosa coscienza di qualche italiano da quel qualsiasi debito di riconoscenza che egli avesse in buona fede ritenuto di avere contratto colla Francia durante questi mesi tempestosi.

Ecco la vera autentica storia dei Paladini di Francia, la quale conferma la riflessione di Machiavelli «essere li Franzesi, per la loro avara natura, più tacagni che prudenti» (1).

(l) T. 5928/383 R. del 19 giugno, ore 21,10, non pubblicato. Il suo testo è qui riportato Integralmente.

(l) Riferimento errato: si tratta del T. 2735/313 R. del 14 giugno, ore 18. che ritrasmetteva il T. per COl'riere 5693/154 R. del 12 giugno da Parigi, non pubblicato. La ritrasmissione a Lon(:ra terminava con la seguente frase. contenuta nel T. da Parigi e non riportata qui da Grandi: «Si sta invece determinando una corrente favorevole a far prendere una iniziativa al riguardo da un piccolo stato ed ho compresJ che si tratterebbe del Belgio>>.

347

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4877/945. Washington, 22 giugno 1936 (per. il 7 luglio).

Mio telegramma n. 382 del 20 corrente (2).

Per opportuna documentazione di codesto ministero trasmetto il testo (3) dei due proclami coi quali il Presidente Roosevelt ha revocato le misure restrittive applicate all'Italia ed all'Etiopia in forza della legge della neutralità ed a seguito dei proclami presidenziali del 20 giugno 1936.

Con effetto dei proclami odierni vengono pertanto a cessare le misure che proibivano l'esportazione di armi e materiali da guerra ai belligeranti, mentre al tempo stesso viene annullata la dichiarazione del Presidente che ammoniva i cittadini americani di astenersi dal viaggiare sopra piroscafi degli Stati belligeranti. Cessano ugualmente di valere le dichiarazioni fatte dal Presidente il 5 ottobre 1935, il 30 ottobre 1935 e il 29 febbraio 1936 circa le transazioni commerciali che il Governo americano aveva espresso il desiderio venissero contenute nei «limiti normali».

Per quello che riguarda il divieto di prestiti agli Stati belligeranti, che è stato applicato automaticamente in forza della legge della neutralità, in seguito al proclama presidenziale del 29 febbraio, è evidente che questo divieto cessa pure automaticamente di essere in vigore coi proclami recenti. Rimane tuttavia sempre in vita la nota legge Johnson che proibisce prestiti ai Governi dei Paesi trovantisi in mora di pagamento dei debiti di guerra.

Nel comunicare alla stampa il testo dei proclami presidenziali, il Dipartimento di Stato ha diramato una dichiarazione del Presidente Roosevelt, pure qui acclusa, la quale mette in evidenza che la misura odierna è stata presa in conformità alle disposizioni della legge della neutralità e in seguito alla constatazione della cessazione di fatto dello stato di guerra in Etiopia.

È evidente che i proclami presidenziali hanno annullato pure le diverse dichiarazioni fatte dal Segretario di Stato relativamente all'applicazione ed alla interpretazione della legge sulla neutralità.

(l) -Con T. 7132/342 P.R. del 29 giugno, ore 24, Ciano telegrafava a Grand!: «11 tuo rapporto [sic] 402 è stato molto apprezzato e totalmente condiviso». (2) -T. uu. 5959/382 R. delle ore 19,55, non pubblicato. (3) -Non si pubblica.
348

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRA~A 6049/633 R. Ginevra, 23 giugno 1936, ore 19,45.

Dalla riunione odierna della conferenza di Montreux (l) sembrami possano trarre già le prime seguenti constatazioni: l) unanimità sul principio invocato da Turchia è raggiunta, ma non esiste alcun accordo circa accettazione progetto presentato da delegazione turca;

2) Turchia incontra difficoltà nella sua pretesa sopprimere completamente Commissione Stretti, che Inghilterra sembra decisa a far sopravvivere per non rinunciare ad ogni forma di controllo sulla zona;

3) Francia e U.R.S S. svolgono ampia manovra per assicurarsi possibilità concorso flotta sovietica nel Mediterraneo;

4) i sovieti con la chiusura degli Stretti intendono portare la loro prima vera difesa sui Dardanelli, mentre allontanano di fatto in caso di guerra nel Mediterraneo possibilità pratiche per i belligeranti di rifornirsi di petrolio e di cereali nel bacino del Mar Nero;

5) con la manovra franco-sovietica U.R.S.S. mira a diventare Potenza mediterranea.

Alcuni giornali della sera, come Journal de Genève sostengono le inquietudini turche che derivano dalla presenza di una potente base navale italiana a Lero. La potenza della tecnica italiana, vittoriosa in Etiopia, turberebbe i sonni turchi e spiegherebbe l'atteggiamento di Ankara che rimilitarizzando gli Stretti intenderebbe sopratutto sbarrare il cammino all'espansione italiana nel Mediterraneo Orientale.

Comunicati concernenti sedute della conferenza di ieri e di oggi vengono trasmessi per corriere (2).

349

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6060/117 R. Bruxelles, 23 giugno 1936, ore 20,50 (per. ore 0,45 del 24).

Mi riferisco al mio telegramma 112 (3). Giusta l'assicurazione datami sino da domenica, van Zeeland ha fatto iersera prendere dal consiglio dei ministri una deliberazione per la levata

sanzioni, concepita in termini identici a quelli adottati il 19 corrente dal Gabinetto francese, come V. E. avrà appreso nel frattempo dal relativo comunicato Stefani.

Oggi poi il primo ministro ed il ministro Affari Esteri mi hanno successivavamente convocato per farmene la comunicazione ufficiale con preghiera trasmetterla a V. E. Ambedue hanno tenuto a rilevare che, affrettandosi ad associarsi per i primi, ed anteriormente alla riunione di Ginevra, all'atteggiamento assunto dall'Inghilterra e dalla Francia, il Governo belga ha voluto dimostrare il suo vivo desiderio di vedere ristabilire i rapporti coll'Italia in un'atmosfera di cordialità.

Qualora V. E. giudicasse fare commentare dalla nostra stampa con qualche simpatia il gesto compiuto dal Belgio nei nostri riguardi, penso che tale segno di considerazione da parte nostra riuscirebbe qui molto gradito, specialmente in alto loco, dove nel presente momento l'opera mia ha costantemente incontrata piena comprensione.

(l) -La conferenza si era aperta Il 22 giugno. (2) -Non pubblicati. (3) -Vedi D. 339.
350

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, BELLARDI RICCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

•.r. 6072/64 R. Varsavia, 23 giugno 1936, ore 21,30 (per. ore 5,10 del 24).

Seguito al mio telegramma n. 63 (1).

Beck, essendo arrivato a Varsavia soltanto ieri e ripartendo stasera per Ginevra, ho conferito ieri e stamane con suo capo di Gabinetto e con sottosegretario di Stato Affari Esteri. Nel corso della conversazione ho trovato modo di fare presente ad entrambi, come mio avviso personale, che sarebbe sommamente logico che Polonia, anzichè mettersi alla coda delle altre Nazioni, assumesse senza indugio pubblica iniziativa per annullare definitivamente sistema sanzioni da essa oramai da tempo riconosciuto e dichiarato non solo assurdo, bensì illegale.

Capo di Gabinetto mi ha anzitutto ripetuto note affermazioni, che cioè Governo polacco aveva aderito alle sanzioni malvolentieri e non rigidamente, che si deve tener presente che durante tutto il conflitto esso non ha fornito neppure un fucile all'Etiopia, malgrado insistenti offerte oltremodo lucrative ricevute, ecc., ecc. Ha tenuto poi a dire inoltre che già sei settimane fa Beck aveva dichiarato a questo ambasciatore della Gran Bretagna che considerava ormai decaduta ogni base giuridica sanzioni e perciò assolutamente necessario abolirle entro corrente giugno. A questo proposito capo di Gabinetto non ha taciuto ritenere non potere escludere che questa dichiarazione di Beck abbia contribuito, in certo qual modo, a far maturare conversione britannica.

Nel corso della conversazione e in seguito mie argomentazioni e domande, capo di Gabinetto mi ha assicurato che Beck è pronto, se necessario, « a dare

un colpo di spalla » a Ginevra per concretare rapidamente azione definitiva a noi favorevole. Ha aggiunto prevedere però che, secondo desiderio Inghilterra, a Ginevra questione sanzioni sarà lasciata nell'ombra e sanzioni cadranno automaticamente senza necessità parlarne. Si assicura che sarà affidato al Comitato dei Diciotto l'incarico di annunziarne la sepoltura.

Sottosegretario per gli Affari Esteri mi ha ripetuto stesse argomentazioni affermandomi inoltre che abolizione qui è già decisa, che relativi decreti sono già pronti per essere messi in esecuzione immediatamente dopo che Beck avrà fatto -ove se ne presenti occasione -dichiarazione a Ginevra. Ma mi ha fatto comprendere che non è intenzione del ministro di procedere ad una pubblica dichiarazione prima della prossima riunione del Consiglio S.d.N.

Evidentemente Governo polacco, non avendo osato assumere a suo tempo iniziativa per abolizioni sanzioni vuole astenersi ora dal farlo pubblicamente -dopo altre Potenze ben più rigidamente sanzioniste -all'infuori di Ginevra.

(l) Vedi D. 298.

351

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. U. 6061/77 R. Praga, 23 giugno 1936, ore 22 (per. ore 0,45 del 24).

Benès, di ritorno viaggio presidenziale in Moravia, mi ha ricevuto stamane e mi ha confermato esattamente quanto ho riferito circa convegno Bucarest in seguito conversazioni questo ministro Affari Esteri (mio telegramma n. 71 e mio telegramma per corriere n. 21) (1). Ha insistito nel volere mettere in evidenza, riguardo conflitto italo-etiopico, correttezza Cecoslovacchia amichevolmente ispirata verso Italia anche se costretta, per disciplina societaria a seguire dettami Ginevra.

Nel constatare con sollievo imminente epilogo controversia si è detto convinto avere seguito giusta linea di condotta facendo conoscere anche da parte sua a Parigi e a Londra che iniziativa, per disfare quello che era stato fatto contro l'Italia, toccava precisamente alla Francia e all'Inghilterra che ne erano state autrici. Certo -ha continuato Benes -è una soddisfazione ben maggiore per l'Italia che il riconoscimento della fallita politica sanzionista venga proprio dalla grande Inghilterra, che l'ha voluta, anzichè dall'iniziativa di un qualsiasi altro piccolo Stato.

Mi ha riparlato dei noti punti di comune interesse fra l'Italia e la Cecoslovacchia ed ha espresso speranza che l'Italia torni al più presto a collaborare con tutto il suo prestigio alla soluzione del complesso problema centroeuropeo.

(l) Vedi DD. 284 e 290.

352

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALLE AMBASCIATE A BRUXELLES, MADRID, MOSCA, SANTIAGO, VARSAVIA, E ALLE LEGAZIONI A BERNA, BUDAPEST, LA PAZ, LIMA, MONTEVIDEO, PRAGA, QUITO E VIENNA

T. RR. 2933/C.R. Roma, 23 giugno 1936, ore 24.

Dacchè presa di posizione Inghilterra e altri Stati dovrà ormai portare soppressione sanzioni, elementi sanzionisti nei vari Paesi e a Ginevra -secondo segnalazioni ricevute -si stanno adoperando per ottenere nella prossima Assemblea deliberazione che confermi la condanna dell'Italia o una decisione collettiva che impegni gli Stati a non riconoscere l'annessione italiana dell'Etiopia. Tali manovre prenderebbero le mosse dall'iniziativa Argentina in favore di un dibattito sulla base dell'art. 10 del Patto relativo alla indipendenza e all'integrità degli Stati membri.

È chiaro che eventuali deliberazioni dell'Assemblea nel senso suddetto, col precludere alla Lega ogni possibilità di riavere la collaborazione dell'Italia, verrebbero ad annullare i risultati che si attendono dalla revoca delle sanzioni.

L'Italia non ha finora chiesto riconoscimento, ma non potrebbe ammettere una decisione che impegnasse i vari Stati a negarlo. Questa rappresenterebbe una sanzione morale, altrettanto grave delle precedenti, che imporrebbe all'Italia definitive determinazioni. Converrà che V. E. (V. S.) attiri l'attenzione di codesto Governo su quanto precede.

Prego riferire sollecitamente quanto al riguardo Le verrà risposto (l).

353

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO, DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6083/634 R. Ginevra, 23 giugno 1936 (per. il 24).

Seguito mio telegramma n. 630 del 22 corr. (2). Tevfik Aras per poter parlare liberamente con me ha voluto trattenermi a colazione con la sola presenza di Bumab Menemenli.

Mi ha pregato di dire a V. E. che La ringrazia per la comunicazione fattagli (3). Per quanto lo addolori il vedere che l'Italia non è presente a Montreux tiene a far sapere a V. E. che «comprende perfettamente le ragioni che determinano l'assenza italiana». Intende dichiarare in piena conferenza,

nel dare comunicazione della lettera di V. E., che egli spera nella prossima presenza dell'Italia e che sarà « felicissimo » se questo voto si realizzerà al più presto. Tevfik mi ha aggiunto che siccome ormai non fa più dubbio che le sanzioni saranno abolite a Ginevra egli conta che, dopo la soppressione delle sanzioni, l'Italia si farà rappresentare a Montreux.

Gli ho risposto che l'abolizione delle sanzioni non rimette l'Italia su quel piede di perfetta parità morale e politica in cui si trovano tutti gli Stati che siedono attorno al tavolo della conferenza. Sull'Italia pesa ancora una condanna ingiusta e su questo siamo certi, dato che i fatti ci hanno già dato piena ragione, che anche la S.d N. finirà per darcela. Ma vi è ancora qualche cosa di poco chiaro che non è certo fatto per indurre l'Italia a trovare facilmente la via della collaborazione. In qualche Paese ancora si parla di condizioni e di riserve. In qualche altro ancora si specula sul problema del non riconoscimento. Vi è nell'aria tutto un odor di complotti e nell'atteggiamento di molti Governi una così evidente riserva mentale che il Governo fascista, se tale situazione perdurerà, non potrà certo considerare che la situazione generale si è chiarita e che si è veramente disposti ad accettare il suo concorso,

(che pure tutti sanno determinante) senza sottintesi e secondi fini o, per essere più precisi, senza profittare della speciale situazione in cui ci troviamo per cercare di spingerei a concessioni o a prendere impegni in contropartita. Ora deve esser messo fine a questo giuoco di doppiezza politica che non potrà dare nessun risultato. Che cosa significa il fatto che l'Inghilterra e alcuni Stati del Mediterraneo considerano che gli accordi presi nel caso di un attacco italiano nel Mediterraneo in dipendenza dell'applicazione delle misure concordate a Ginevra continuano ad aver pieno vigore?

Tevfik risponde che Eden si è espresso chiaramente al riguardo, affermando che gli accordi presi devono continuare, per coprire il periodo d'incertezza che deve necessariamente seguire la fine dell'azione intrapresa in virtù dell'art. 16.

Ho risposto che una volta cessate le ostilità e abolite le sanzioni cadeva il presupposto che aveva giustificato l'adozione delle dette misure e cioé l'ipotesi di un attacco italiano. Se quindi gli accordi restavano in piedi, c'era un secondo fine -che credo egli stesso aveva definito ostile -su cui si voleva speculare, forse sopratutto a Montreux. Tevfik ha dichiarato che tutta la costruzione architettonica al riguardo era opera inglese non certo sua. Egli anzi, davanti alle richieste britanniche, era stato il solo ad opporsi per iscritto a che venissero adottate misure militari. Desiderava ripetermi quanto aveva dichiarato a S. E. Galli in proposito e teneva che Roma di questo prendesse atto.

Ho detto allora a Tevfik che desideravo esprimergli, con la massima fran

chezza, come, dopo esser vissuto per cinque anni in Turchia e dopo aver se

guito giorno per giorno dal 1927 al 1932 quanto il Governo italiano aveva fatto

per stabilire su basi fiduciose i rapporti italo-turchi, non potevo non amareg

giarmi sinceramente nel vedere come la politica di Ankara di fronte all'Italia

fosse oggi ispirata a sentimenti di ostilità e di diffidenza, che contrastavano

con le affermazioni di amicizia che ci venivano ripetute di quando in quando.

E a prescindere dalle constatazioni dirette e autorevoli che aveva potuto fare il nostro ambasciatore ad Ankara, potevo dire che nelle mie modeste funzioni avevo potuto controllare la cosa perfettamente, anche a Ginevra.

Ora come poteva proprio lui, Tevfik, che aveva avuto assicurazioni dirette e personali dal Duce, fin dal 1928, sulla lealtà e limpidezza della politica italiana, avere dimenticato: l) quanto l'Italia aveva fatto per risolvere il lungo dissidio greco-turco; 2) quanto l'Italia aveva fatto per stabilire, attraverso l'offerta di un patto a tre, su basi concrete la pace nel Mediterraneo orientale; 3) il concorso cordiale che l'Italia aveva sempre dato all'opera di ricostruzione della nuova Turchia, indipendentemente dagli appoggi che il Kemalismo aveva avuto nel corso della sua lotta? Perchè egli dunque non avrebbe coraggiosamente dichiarato la decadenza degli impegni assunti a dicembre nel Mediterraneo dal momento che le ostilità erano cessate e le sanzioni vnivano abolite?

Tevfik mi ha risposto che non aveva dimenticato quanto aveva fatto l'Italia per la Turchia. Ma vi erano stati nella politica italiana troppi eventi che avevano obbligato la Turchia a considerare la nostra amicizia «con molta prudenza». Anche egli voleva parlarmi con franchezza estrema ed enumerare tali eventi. La prima scossa alla fiducia turca verso l'Italia era stata inferta dal Patto a Quattro. E non tanto per il contenuto del Patto in sé, quanto per il fatto che esso era stato negoziato senza che l'Italia, Potenza amica della Turchia, avesse neppure prevenuto quest'ultima di un così decisivo avvenimento nella politica europea. La Russia -ha precisato Tevfik -mai avrebbe potuto negoziare un piano così rivoluzionario e importante senza darcene neppure conoscenza a titolo amichevole. Finito il Patto a Quattro, è stata la creazione della base navale a Leros che ha suscitato le più vive diffidenze in Turchia. «Noi non amiamo sentirei vicino dei cannoni, afferma Tewfik, anche se sono cannoni amici».

Obietto subito che il Patto a Quattro non poteva essere negoziato con la Turchia. Noi avevamo con la Turchia un patto a due (1). Se avessimo voluto aggiungere la Turchia al Patto a Quattro avremmo dovuto fare un patto a venti. Se egli si lamentava di non essere stato tenuto al corrente questo, caso mai, poteva essere motivo di censura da rivolgere eventualmente alla diplomazia italiana, non alla politica italiana che era stata definita perfettamente dal Duce, nei confronti di Ankara. Ricordavo peraltro benissimo che, raggiunto l'accordo, Ankara era stata subito informata. Quanto alla base navale di Leros era assurdo pensare che l'Italia, Paese eminentemente Mediterraneo, potesse privarsi di un punto di appoggio così importante per la sua flotta, come aveva fatto l'Inghiltera in tutti i mari del mondo. Roma era stata larghissima di assicurazioni e di chiarimenti con Ankara su questo problema. Quindi se si persisteva nella diffidenza era segno che non si credeva nella parola del Duce. E allora era inutile discutere anche di patto mediterraneo.

Tevfik ha colto la palla a balzo per affermare che se il Duce prendesse l'iniziativa di un patto mediterraneo, tutta l'atmosfera europea si schiarirebbe immediatamente.

Ho risposto che, a quanto mi consta, il Duce, non piglierà nessuna iniziativa fintanto che l'atmosfera non sarà schiarita dagli altri con la soppressione di

ogni vincolo, di ogni riserva, di ogni impegno più o meno chiaro. Se egli vuole adoperarsi in questo senso, potrà veramente facilitare la possibilità che i suoi voti per un patto mediterraneo maturino. Tewfik mi risponde che in fondo « è solo la Francia » che spinge per un patto mediterraneo. Egli ha l'impressione che l'Inghilterra «non ci tenga in modo particolare».

Se al patto mediterraneo non si arriverà, la situazione, a suo avviso, è chiarissima. Tutte le Potenze danubiane e balcaniche si orienteranno verso la Germania, salvo la Turchia che non può certo, per la sua amicizia con la Russia, mettersi su questa strada.

«Se Stresa non risorge e se non si farà un patto mediterraneo, afferma Tewfik, avremo tutti lavorato per la Germania. Già la Piccola Intesa, piuttosto che vedere gli Absburgo a Vienna, preferisce l'Anschluss. Non vi sarà che l'Italia che si opporà all'Anschluss, ma che cosa potrà essa fare isolata contro la preponderanza tedesca nel bacino danubiano?».

Non dovete dimenticare, voi, ho risposto a Tevfik che il giorno in cui questa preponderanza diventasse una realtà la Germania riprenderà il suo cammino verso Bagdad, con un itinerario che, se non mi sbaglio, passa attraverso gli Stretti. Quanto all'Italia, avrà sempre il modo di garantire la sua indipendenza politica ed economica, come provano luminosamente gli ultimi eventi.

Parlandomi infine della conferenza di Montreux, Tevfik mi ha detto che vi sono Stati che vogliono « mettere il Mar Nero su un piede di analogia col Mediterraneo » ed egli si sforzerà di seguirli sin dove gli sarà possibile.

Non ho ben capito il valore di questa frase.

Tevfik ha poi accennato all'insistenza sovietica e francese di assicurarsi la cooperazione delle loro due flotte nel Mediterraneo. Vì accennava come a una cosa naturalissima, malgrado l'articolo 9 del suo progetto, sorridendo, beato, da buon servo di Karakan qual è.

Nel complesso posso assicurare V. E. che Tevfik, come del resto gli altri delegati Suad, Numan e Necmeddin, sono preoccupati della nostra assenza e hanno insistito nella speranza che, abolite le sanzioni, l'Italia si faccia rappresentare alla conferenza degli Stretti.

Essi sentono chiaramente che qualunque impegno possa essere preso a Montreux, esso sarà, senza il concorso italiano, fittizio, parziale e inoperante.

(l) -Questo telegramma fu ritrasmesso contemporaneamente alle ambasciate a Londra e a Parigi ed alla delegazione presso la Società delle Nazioni con la seguente aggiunta per le due ambasciate: «Quanto precede per sua opportuna informazione e per l'azione che le sarà possibile svolgere >> (T. rr. 2937/C.R. del 23 giugno, ore 24). (2) -T. 6028/630 R., ore 20,08, non pubblicato: preannunciava il presente telegramma. (3) -Vedi D. 337.

(l) Vedi p. 16, nota 2.

354

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DELLA S.D.N., EDEN

L. Roma, 23 giugno 1936.

Au cours de la dernière session du Conseil, au moment de la discussion de l'ordre du jour, le représentant du Gouvernement italien a exposé les raisons qui empechaient la délégation italienne de participer aux travaux du Conseil.

J'ai l'honneur de faire connaitre à V. E. qu'étant donné la situation qui existe encore, la délégation italienne se trouve dans l'impossibilité de prendre part à la session convoquée pour le 26 courant. Pour la méme raison, elle ne pourra non plus prendre part à la discussion du point 3 de l'ordre du jour: «Traité de garantie mutuelle entre l'Allemagne, la Belgique, la France, la Grande-Bretagne et l'Italie, fait à Locarno le 16 octobre 1925 ».

En portant ce qui précède à la connaissance des Membres du Conseil, j'ai l'honneur d'exprimer l'espoir que, lorsque la situation actuelle sera éclaircie, le Gouvernement italien pourra reprendre sa collaboration avec la Société des Nations (2).

355

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1488/363. Bucarest, 23 giugno 1936 (per. il 27).

Il convegno di Bucarest dei capi di Stato della Piccola Intesa, a causa delle gravi incertezze che l'hanno preceduto e della manifesta cattiva volontà jugoslava a offrire un contributo attivo e di lavorare al successo del convegno, si è svolto tra il generale pessimismo di questi circoli politici. In questi circoli diplomatici si è ben presto dovuto concludere che due sole finalità principali rimanevano oramai al convegno: dare a Re Carol l'occasione di presentarsi al suo popolo in uniforme da Lohengrin contornato dai due capi di Stato suoi ospiti, e a Titulescu l'opportunità di pronunciare un gran discorso politico al banchetto offerto in onore di Krofta e di Spaho. Senonchè l'uniforme argentea del Re è rimasta imbrattata dal sangue del migliaio di vittime, tra morti e feriti, del crollo della tribuna -per cui si è detto che i romeni non sanno neanche costruire una tribuna -e il discorso di Titulescu essendo rimasto senza risposta, -Stojadinovic era assente, e l'altro ministro degli Esteri, Krofta, si è limitato ad alzare il calice alla salute, ecc. -è rimasto anche senza eco.

Che cosa nel convegno dei tre capi di Stato si sia deciso è difficile dirlo: non perchè le deliberazioni siano rimaste segrete, ma perchè è venuta in gran parte a mancare la materia su cui i tre potevano, di comune accordo, deliberare.

La sola decisione di qualche valore pratico è stata d'ordine negativo: quella di non prendere iniziative per la soppressione delle sanzioni. Nulla di fatto circa la Russia, che la Jugoslavia si ostina a non voler riconoscere. I tre si sono abbrancati alla questione della restaurazione asburgica, presentata come un avvenimento imminente, ed hanno quindi deliberato di com

mettere alla conferenza dei capi di Stato Maggiore lo studio dei piani di «intervento » in Austria.

Il convegno è riuscito invece a mettere in luce anche più cruda l'imbarazzo della Jugoslavia di fronte ai suoi alleati per quanto concerne i suoi rapporti con la Germania, nonchè la sua insoddisfazione per l'indifferenza degli altri due associati di fronte al problema dei suoi rapporti politici con l'Italia. « La Piccola Intesa ci lascia soli a fronteggiare l'Italia », questa è stata la querula, insistente obiezione del Principe Paolo a cui Benes e Titulescu hanno fatto rilevare che anche la Cecoslovacchia era esposta, sola, nei confronti della Germania, e la Romania era parimenti esposta, sola, nei confronti della Russia.

È noto che il congegno militare della Piccola Intesa giuoca soltanto in funzione del centro, cioè nel caso di conflitto con l'Ungheria, e non in funzione periferica, nel caso di attacco da parte di Potenza esterna, cioè Italia. Germania o Russia.

È possibile una evoluzione, anzi una trasformazione degli impegni militari della Piccola Intesa, in direzione periferica? Cioè tutti contro la Germania, tutti contro l'Italia e tutti contro la Russia? Io, personalmente, non lo credo.

È vero peraltro che Titulescu si sforza, da oltre due anni, di chiudere il cerchio intorno al germanismo. Egli sostiene che il vero pericolo per la stabilità dell'Europa Centrale è rappresentato dall'espansione germanica, e che quindi i tre membri della Piccola Intesa dovrebbero far causa comune per opporsi allo straripamento dell'ondata germanica giù nelle valli della Drava, della Sava e del Danubio. All'accerchiamento dovrebbero partecipare Francia, Piccola Intesa e Russia. Il fattore Italia, certamente utile, ma infido a causa delle simpatie verso i magiari, avrebbe dovuto essere sostituito dal fattore britannico. Senonché oltre a l'inaspettata dichiarazione di forfait da parte dell'Inghilterra, Titulescu va cozzando contro dure difficoltà proprio nel seno della Piccola Intesa a causa della riluttanza della Jugoslavia ove si pensa che la marea germanica potrebbe, dopo tutto, imboccare la sola valle del Danubio e scansare quelle della Drava e della Sava. Visto che i suoi alleati non sono in grado di garantirla dall'Italia è comprensibile che la Jugoslavia vada cercando questa garanzia dalla parte di Berlino!

È chiaro che Titulescu non abbandonerà così presto la manovra antigermanica: fallita la formula della sicurezza collettiva, egli sarà il primo, io credo, ad aggrapparsi alla formula, che sembra tornare in onore, dei patti regionali, e spingere a tutt'uomo alla conclusione di un patto tra Cecoslovacchia, Romania e Russia, assegnando alla Jugoslavia una funzione di benevola neutralità oltre che di copertura nei confronti della Bulgaria e dell'Ungheria.

Tale disegno è ancora molto fluido, dipendendo esso da numerose incognite e cioè dalla situazione interna francese, dalle riserve italiane, dall'ostilità polacca e dalla s~essa incertezza jugoslava; ma la fluidità del disegno è dovuta sopratutto alla inespressa, ma non perciò meno evidente, riluttanza sovietica a legarsi con un nuovo patto di cui Mosca, finché le incognite sopramenzionate non saranno risolute, vede tutta la inutilità o insufficienza.

Al convegno dei tre capi di Stato ha succeduto, sempre qui a Bucarest, la conferenza dei capi di Stato Maggiore della Piccola Intesa. La conferenza è stata un complemento del convegno, e in un 'certo senso ha avuto maggiore importanza perchè nel campo dei disegni militari si è potuto marciare più lontano che nel quadro politico. I militari, insomma, hanno camminato più dei Principi.

Per quanto concerne il fantasma della restaurazione i capi di Stato Maggiore hanno messo allo studio e, pare, adottato i piani d'operazione. Prego

V. E. considerare questa informazione come molto seria. È una notizia grave, se alla restaurazione Vienna stesse effettivamente lavorando. Per quanto riguarda questi signori, ho l'impressione che il fantasma della restaurazione sia stato artificiosamente montato anche e sopratutto nell'intento di trame motivo per decisioni ardite. Sono corse anche altre notizie di gravi decisioni. Da fonte diplomatica molto seria mi si è infatti assicurato che nella conferenza degli Stati Maggiori si sarebbe riusciti a costituire quel blocco unico, fronte alla Germania, fallito nella riunione dei Principi. Mi si dice che sarebbero state adottate tutte le misure militari per il passaggio delle truppe russe sul territorio romeno, nel caso di conflitto tra Germania e Cecoslovacchia, e mi si è dato persino, sempre da fonte molto autorevole, la sensazionale notizia che, in seguito alle constatazioni raggiunte dalla Conferenza militare, la Jugoslavia si sarebbe decisa a riconoscere i sovieti e a contribuire quindi attivamente alla manovra di fermo nei confronti della Germania.

Sebbene trattisi di fonte seria, e cioè l'addetto militare germanico, io non credo a tali notizie che non corrispondono alle informazioni, di prima mano, che ho potuto raccogliere da altre fonti.

È un fatto che Titulescu continua a ritenere l'accordo fra Romania e Russia

come una pietra basilare della sua politica. È anche un fatto ch'egli lavora,

febbrilmente, su tale direttiva. Egli aveva finora incontrato forti ostacoli sia

presso il Sovrano, sia presso i capi responsabili dell'esercito. Il Re alcuni mesi

or sono, V. E. lo ricorderà, aveva contribuito a seppellire l'accordo russo-rome

no, in avanzata gestazione, nell'intento di non pregiudicare l'alleanza tra la

Polonia e la Romania.

Ma Titulescu ha molte corde al suo arco. Battuto una prima volta, ha

ripreso l'azione. Molte mie informazioni concordano nel senso ch'egli è riuscito,

oggi, a guadagnare il Re. Restavano i capi dell'Esercito presso i quali ha seguito

una tattica avvolgente. Ha fatto cioè ordinare, da parte del Sovrano, lo studio

dal punto di vista tecnico delle possibilità e delle modalità di un eventuale pas

saggio di forze militari attraverso il territorio romeno, forze limitate in un

primo momento all'aviazione e all'armamento. Lo Stato Maggiore romeno si

è applicato all'esame del problema: qualche ufficiale superiore se ne è inve

stito e ne è rimasto sedotto. Sono stati presi taluni contatti con lo Stato Mag

giore russo e pare che ora si sarebbe andati più lontano, esaminando anche

l'eventualità del passaggio, per ferrovia, di contingenti di truppe.

Le notizie di questi studi sono trapelate, ed hanno riacceso la reazione dell'opinione pubblica. Lo spettro russo è uno dei motivi, e non degli ultimi, della reazione antigiudaica e anticomunista sferrata in questi giorm m Romania. Si sta già facendo alle botte nelle strade della capitale, e c'è qualche morto.

Comunque Titulescu è riuscito a impostare il problema. I militari, da loro parte, cominciano a sbirciare, con minor diffidenza, i piani dì collaborazione ceco-russa; lavorano già a quella ceco-romena, e ammettono di abbozzare i piani della collaborazione romeno-sovietica.

Questa è la situazione oggi.

Siamo però, come si vede, ancora piuttosto lontani dal colpo di scena che le informazioni cui ho sopra fatto allusione lascerebbero credere come imminente. Una vera e propria alleanza russo-romena, come corollario alle alleanze francoceca e russo-ceca, con attiva collaborazione jugoslava, anzi con riconoscimento jugoslavo della Russia, è a mio avviso ancora immatura. Ma ci si lavora. Titulescu la sogna. Perché questo sistema si realizzi occorre però che Mosca si dimostri decisa a partecipare a un conflitto armato per l'Europa Centrale. A mio avviso Mosca non è ancora pronta. Mosca in questo momento fa una politica di attesa: perché vuol rendersi conto di quale sarà la posizione definitiva, nei rispetti del problema dell'Europa Centrale, che assumerà Roma. In fondo la riuscita o meno del piano che Titulescu spinge, e che Mosca studia, dipende oggi sopratutto dall'Italia. Oserei dire che allo stato delle cose esso dipende esclusivamente dall'Italia (1).

(2) Per il seguito vedi D. 373.

356

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. u. 6093/79 R. Sofia, 24 giugno 1936, ore 19,30 (per. ore 21,50).

Presidente del Consiglio mi ha chiamato oggi per dirmi che, d'accordo con Sua Maestà, aveva già telegrafato alla delegazione bulgara a Ginevra istruzioni di associarsi immediatamente a qualunque iniziativa per levata sanzioni. Avendogli fatto osservare che mi sembrava utile e opportuno che questa decisione fosse resa di pubblica ragione al più presto, Kiosseivanov mi ha ringraziato per suggerimento e promesso che in serata avrebbe fatto una dichiarazione ai giornalisti. Corrispondente Stefani è già in rapporto con ufficio stampa per telegrafare, appena possibile, notizia.

Presidente del Consiglio mi ha detto inoltre che crede di potere varare quanto prima atteso rimpasto ministeriale e che subito dopo Sua Maestà partirebbe per l'Italia (si dice data sia fissata per sabato).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolinl.

357

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, BELLARDI RICCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6091/66 R. Varsavia, 24 giugno 1936, ore 21,07 (per. ore 0,15 del 25).

Questo ministro Ungheria, a titolo strettamente confidenziale e con preghiera di non --dico non -comunicare provenienza notizia, mi informa di aver saputo oggi che ministro degli Affari Esteri cecoslovacco ha detto a ministro di Ungheria a Praga che Romania sta sul punto di stipulare con

U.R.S.S. patto analogo a quello cecoslovacco-sovietico.

Jugoslavia, pur mantenendo suo attuale atteggiamento verso sovieti, avrebbe dato consenso alla negoziazione di tale patto.

358

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6102/977 R. Londra, 24 giugno 1936, ore 21,25 (per. ore 2,35 del 25).

Ho trasmesso stanotte riassunto dibattito di ieri e con posta aerea invio oggi resoconto stenografico.

Dibattito, cominciato ore 15, è finito ore 23,30 con votazione sulla mozione di censura alla politica antisanzionista del Governo. Come ho preveduto nei miei telegrammi di sabato (l) e di avantieri (2) Camera dei Comuni ha votato con una maggioranza schiacciante in favore politica antisanzionista del Governo. V. E. conosce certo a quest'ora le cifre: 384 deputati per il Governo, 170 contro; soltanto 2 (dico due) conservatori di sinistra hanno votato contro. Non si ricorda a Londra, dalle sedute al Parlamento durante la guerra, una con esito più importante e -per usare parola delle stesse cronache giornalistiche odierne -più memorabile di quella di ieri.

Partito conservatore, per la prima volta dopo molti anni di lotta intestina, si è raccolto in una disciplinata compattezza.

Gruppi conservatori di sinistra, capeggiati dal famigerato agente delle sinistre francesi Spears, hanno all'ultimo momento, ritirato loro mozione presentata sabato per dividere partito conservatore e promuovere, in presenza di crisi sulla politica antisanzionista del Governo, l'avvento del fronte popolare britannico.

Lo stesso hanno fatto i liberali di Simon, dai quali era partita venerdì scorso iniziativa della ribellione. Senonchè dopo le dimostrazioni vittoriose del movimento antisanzionista nella giornata di domenica, i liberali nazionali

31 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

hanno fatto precipitosamente macchina indietro ed hanno dato addirittura a Simon incarico di difendere, contro vecchio capo liberale Lloyd George, la politica antisanzionista di Eden e di Baldwin. Compito che Simon ha assolto ieri con un discorso avvocatesco ma di grande efficacia.

Contegno dei liberali nazionali in favore del Governo mostra ancora una volta che, quando uno si fa leone sul serio, gli sciacalli seguono sempre.

(l) -Vedi D. 338. (2) -Non rinvenuto.
359

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6217/016 R. Bucarest, 24 giugno 1936 (per. il 27).

Nella conferenza di Bucarest dei tre capi di Stato il Principe Paolo ha mantenuto un contegno pieno di riserva anzi di malcelata ostilità verso l'Italia. Questo mi è stato confidato da Titulescu, il quale però, come ho già fatto osservare altra volta, può essere interessato ad accrescere le diffidenze fra noi e la Jugoslavia. Sta però di fatto che io ho potuto dare un'occhiata al brouillon degli appunti, autografi, presi a lapis da Titulescu durante la conferenza dei tre capi di Stati, appunti che hanno poi formato la base dei verbali delle riunioni. Circa il problema delle sanzioni ho potuto leggere le seguenti frasi:

Re Carol. Le sanzioni si sono dimostrate dannose per la Romania. Anche per i vincoli di simpatia che ci legano all'Italia noi siamo per la soppressione. Non vedo però come vi possa essere iniziativa da parte della Piccola Intesa.

Principe Paolo: È d'accordo. Un'iniziativa da parte della Piccola Intesa,

o da parte di uno dei Paesi della Piccola Intesa farebbe in Jugoslavia una impressione «épouvantable ». Titulescu. Ma noi siamo contro un'iniziativa, ma non contro l'Italia. Principe Paolo. Neanche io sono contro l'Italia, che amo. Ricorda le sue visite alla Corte di Roma. Si decide di aspettare e di seguire una iniziativa anglo-francese. In caso però di disaccordo tra Francia e Inghilterra si decide di seguire l'Inghilterra.

Titulescu non ha esitato a dirmi che questa strabiliante decisione fu presa per sua proposta, ch'egli mi spiega in modo non poco tortuoso. Essendosi cioè accorto del malvolere del Principe Paolo, ed avendo già comunicazione, da Londra, che si marciava verso una iniziativa inglese ed essendo invece incerto, in quel momento, circa l'atteggiamento che avrebbe tenuto Léon Blum, egli ha preferito legare la Jugoslavia a marciare dietro l'atteggiamento inglese, anziché al rimorchio della Francia il cui atteggiamento era un'incognita. Titulescu ha aggiunto che quando egli avanzò la proposta di seguire l'atteggiamento britannico Re Carol, che non era stato ammaliziato, ebbe un gesto di sorpresa. «Come, l'Inghilterra? ». Ma Titulescu, che gli era di fronte, poté ammiccargli dell'occhio e Re Carol si tacque. Il Principe Paolo si affrettò ad aderire e Benes diede pure il suo consenso. Questa è la scena, fra Sovrani e Presidente di Repubblica, « regisseur ~ Titulescu, in cui si è deciso l'atteggiamento della Piccola Intesa circa il problema delle sanzioni.

Titulescu (ripeto la riserva espressa dianzi) mi ha illustrato che in questo momento domina in Jugoslavia un vero sentimento di panico verso l'Italia. Si ritiene che l'Italia potrebbe intendersi con la Germania, e consentire all'Anschluss dietro affidamenti per la Dalmazia.

Questo è, secondo Titulescu, uno dei principali motivi per cui la Jugoslavia tenta a sua volta di ingraziarsi Berlino.

360

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN (l)

APPUNTO. Roma, 24 giugno 1936.

Ho ricevuto oggi l'ambasciatore di Francia giunto ieri sera a Roma.

Egli mi ha subito parlato dell'abolizione delle sanzioni ed ha tenuto a far rilevare che, mentre il discorso di Eden conteneva qualche punto oscuro, nel discorso del signor Delbos questi non comparirebbero.

Egli mi ha detto che la Francia non avrebbe preso l'iniziativa dell'abolizione delle sanzioni per evitare che il Governo inglese facesse ricadere, di fronte alla propria opinione pubblica, la responsabilità sul Governo e sul popolo francese. Mi ha chiesto che cosa intendevamo fare nelle prossime riunioni di Ginevra e allora gli ho brevemente narrato quanto avevo già comunicato agli altri ambasciatori circa il memorandum che sarà da noi mandato alla Assemblea.

Mi ha parlato del patto mediterraneo.

Gli ho chiesto allora quale sia il suo punto di vista circa gli accordi stabiliti per la messa in vigore dell'art. 16. Nonostante quanto egli aveva detto prima circa il discorso di Delbos, non ha creduto di poter aggiungere che la Francia considera tali accordi senz'altro decaduti con l'abolizione delle sanzioni. Dopo alcune reticenze ha poi ammesso che la Francia li considera più o meno in

vigore fino al raggiungimento di un nuovo accordo generale cui dovrebbe partecipare anche l'Italia. Non gli ho affatto nascosto il mio disappunto per tale suo modo di vedere e gli ho aggiunto che prima condizione per cominciare a considerare la possibilità di un accordo mediterraneo dovrebbe essere quella di sgomberare il terreno dagli accordi passati che, conclusi al fine di esercitare pressioni contro l'Italia, non possono venire considerati da noi altro che ostilmente.

Chambrun ha insistito invece sul fatto che la Francia aveva aderito a questi accordi unicamente per trasformare l'azione inglese da «individuale:. in «collettiva~ e impedire maggiori complicazioni.

Ha concluso il suo colloquio dicendo di avere ricevuto istruzioni dal signor Delbos di farci sapere che egli desidera che i rapporti tra Francia e Italia siano sempre più cordiali, che l'intesa si stringa su basi pratiche e concrete e per garantirci infine che il Governo francese non farà mai questioni di politica interna e di partito.

L'ambasciatore pur dichiarando che per il futuro terrà i contatti unicamente col ministro degli Affari Esteri, mi ha fatto conoscere il desiderio di essere ricevuto in udienza dal Duce (l) .

(l) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 24-26.

361

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, CON L'AMBASCIATORE DI POLONIA A ROMA, WYSOCKI

APPUNTO. Roma, 24 giugno 1936.

L'ambasciatore di Polonia mi ha chiesto se ci preparavamo, in conseguenza della lettera da noi inviata alla presidenza della Conferenza di Montreux e della fine delle sanzioni -che egli considera ormai definitiva -a prendere parte anche noi ai lavori della conferenza degli Stretti.

Ho risposto di non conoscere le intenzioni del ministro al riguardo, ma gli facevo rimarcare che con la fine delle sanzioni non si ristabilisce affatto quella situazione che permette all'Italia di riprendere una collaborazione attiva alla soluzione di tutti i problemi internazionali, e richiamavo la sua attenzione particolarmente su questo punto in quanto mi pareva opportuno che egli lo sottolineasse con Beck. Gli ho fatto presente che Beck già una volta, quando gli fu sottoposto l'accordo antibellico del signor Saavedra Lamas (2), a mezzo del ministro di Argentina a Varsavia rispose che pure approvando in linea di massima le buone intenzioni del proponente, non riteneva opportuno di impegnare il suo paese senza un esame approfondito di quel progetto, esame che ancora dura...

Il signor Beck è dunque nelle migliori condizioni per dire una parola, che avrebbe naturalmente il suo peso, a impedire che alla prossima Assemblea ginevrina si creino nuove complicazioni facendo confusioni fra una affermazione di vaghi principi e una realtà immutabile la quale è scaturita dalla situazionç speciale che impegnava la dignità dell'Italia, la sicurezza delle sue colonie e il suo prestigio di Potenza coloniale.

Mi ha assicurato che avrebbe senz'altro fatto presente quanto sopra a Beck. Ha tcnu:o a sottolineare la grande quantità di questioni che solleva la nota turca presentata a Montreux (3), specialmente in connessione ai rapporti

(l} Il presente documento reca il visto di Mussolini.

particolari che esistono fra l'Unione Sovietica e la Turchia. Io ho detto che anche questo era un aspetto particolarmente interessante della questione, sul quale avremmo portato anche la nostra attenzione.

Conoscendo infine egli il mio vecchio desiderio che Beck prendesse un contatto diretto con Roma, ha voluto dirmi che egli sperava si potesse realizzare un viaggio del suo ministro degli Esteri nella capitale, per incontrarsi con S. E. Ciano e avere l'occasione di parlare col Duce.

Gli ho risposto che avevo sempre ritenuto utile una tale eventualità e che dinanzi alla vastità dei problemi internazionali ormai tutti sul tappeto, Beck aveva tenuto a ripetermi, nell'ultima conversazione da me avuta con lui, il suo vivissimo desiderio di stabilire con l'Italia una collaborazione cordiale, non vedendo egli motivi di disaccordo nella politica dei nostri due Paesi. Lo stesso desiderio mi era stato espresso durante la visita di congedo dal presidente della Repubblica. Questa è anche la mia convinzione. In tali condizioni io avrei con piacere collaborato con lui al fine accennato.

(2) Vedi p. 17, nota 3.

(3) Vedi Actes de la Con/érence de Montreux, 22 juin-20 juillet 1936. Parigi, Pedone, 1936, pp. 285-287.

362

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UU. 6166/78 R. Praga, 25 giugno 1936, ore 13,15 (per. ore 16,50 del 26).

Ho fatto a questo ministro degli Affari Esteri comunicazione prescrittami da V. E. col telegramma n. 2933/C (1).

Krofta mi ha detto: l) che, dati precedenti, gli sembra impossibile S.d.N. possa essere ora indotta riconoscere annessione Etiopia all'Italia; 2) che sarebbe perciò opportuno evitare Assemblea si pronunciasse al riguardo; 3) che, ove discussione fosse inevitabile, bisognerebbe escogitare formula che lasciasse questione insoluta ed impregiudicata.

In questo senso egli si propone di agire a Ginevra ove per la prima volta in qualità di ministro degli Esteri rappresenterà Cecoslovacchia. Giungerà colà lunedì 29 per prender preventivamente contatto con delegati francese ed inglese. Sarebbe utile Krofta fosse opportunamente avvicinato da qualcuno dei nostri.

(l) Vedi D. 352.

363

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. u. 6127/160 R. Ankara, 25 giugno 1936, ore 14,30 (per. ore 17,10).

Ho esaminato attentamente dettagliato progetto turco per nuova convenzione Stretti pubblicato questa stampa (1).

Attiro tutta l'attenzione di V. E. su secondo capoverso, articoli terzo e settimo. A parte che ciò corrisponde a già da me preannunziato disegno inglese di chiudere eventualmente in futuro anche la via degli Stretti per soffocare interamente nostri rifornimenti Mediterraneo (mio telespresso n. 315 del 14 aprile) (2), credo possibile sostenere che S.d.N. non ha nessuna ragione di intervenire per decisione chiusura Stretti, come non può, nè lo potrebbe per Suez o Gibilterra. Inoltre si è sempre sostenuto, anche per consentire al Giappone di aderirvi, che conferenza Montreux nulla aveva a che vedere con S.d.N. e perciò non si comprenderebbe qualsiasi legame della nuova convenzione con Ginevra. Stretti sono via internazionale di traffico, che deve avere ogni possibile garanzia di passaggio per traffici mercantili. Se si arriva a comprendere qualche limitazione nel caso della Turchia belligerante, non si comprenderebbe nessuna altra limitazione fuori di essa, quindi per deliberato sanzionista di Ginevra. Ed inoltre progetto conferma preannunziata ·totale abolizione Commissione degli Stretti.

Poichè impegni turchi offrono evidentemente scarse garanzie, sembra invece che alla rimilitarizzazione zona dovrebbe corrispondere aumento poteri Commissione, pur restando sua competenza nel campo del traffico marittimo conformemente progetto provvisorio da me trasmesso a suo tempo.

364

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6128-6141/392-393 R. Parigi, 25 giugno 1936, ore 18,45 (per. ore 23,30).

Telegramma di V. E. n. 2937 del 24 corrente (3).

Essendo annunziata per stasera la partenza del ministro degli Affari Esteri per Londra, e, contemporaneamente, un incontro con Eden, ho ritenuto di chiedere al direttore generale degli Affari Politici al Quai d'Orsay se poteva indicarmi quale fosse il pensiero e l'indirizzo del governo francese nei riguardi degli imminenti lavori di Ginevra.

Ho incontrato nel signor Bargeton la consueta ritrosia di linguaggio. Si è infatti circondato di molto riserbo e molto ne ha messo sul conto dell'atmosfera che si troverebbe a Ginevra e delle circostanze del momento. Mi è sembrato pure evidente la cautela di non pronunciarsi troppo, anche in vista delle risultanze eventuali dell'incontro Eden-Delbos di stasera. I due ministri, dopo il colloquio, proseguiranno insieme per Ginevra.

Per parlo su un terreno preciso ho svolto a Bargeton i concetti di cui al telegramma sopracitato e ho particolarmente insistito sulle necessità di evitare che si faccia luogo a conferma di decisioni o nuove deliberazioni principio che avrebbero potuto frustrare i risultati che la levata delle sanzioni sarebbe destinata a produrre.

Bargeton mi ha espresso il parere che la levata delle sanzioni è più che altro «un gesto di ordine pratico » per quanto, naturalmente, suscettibile di determinare una détente, ma che gli sembrava difficile che si potesse evitare una riaffermazione dei principi ginevrini che, secondo le sue parole, sono alla base dell'ordine internazionale presente; d'altra parte egli riteneva che il Governo non si attendesse di più.

Gli ho replicato subito che da parte del R. Governo supponevo non si attendesse, come imminente, un riconoscimento esplicito del fatto compiuto e ciò in ragione appunto delle ideologie, della suscettibilità delle procedure che sono tanta parte dell'organo ginevrino, ma che fra questo e un nuovo atto di Ginevra per la riaffermazione, più o meno solenne ed esplicita di principi, correva un divario enorme. Dovevo quindi metterlo in guardia sul rischio che, mentre da un lato si andava ad eliminare la nebbia per la parte sanzioni (cioè sopra una applicazione -secondo le parole dello stesso Bargeton -esecutiva del patto) si andava invece ad aggravare la situazione sul tema dei principi stessi. Lo pregavo perciò di segnalare queste considerazioni al ministro Delbos prima ancora dell'incontro con Eden.

Bargeton mi ha promesso che lo avrebbe fatto e che mi avrebbe fornito delle indicazioni sul pensiero del Governo francese.

Nel corso della conversazione ho avuto occasione di accennare che mi sembrava, come già Léger aveva detto a S. E. Cerruti ed in conformità di quanto Lavai aveva a suo tempo replicatamente assicurato, che la caduta delle sanzioni dovesse determinare altresì quella degli accordi particolari di assistenza navale e militare che erano stati stabiliti fra taluni Stati mediterranei sulla base dell'art. 16 in dipendenza delle sanzioni stesse e nella ipotesi di una eventuale azione armata da parte loro in rapporto all'applicazione delle sanzioni. Mi riferivo con ciò all'ultima parte del discorso di Eden ai Comuni che sembrava volesse concludere con la permanenza di quegli accordi, discorso, cui facevano riscontro certe affermazioni fatte ad Ankara da Aras (telespresso ministeriale 220556/C del 18 corrente) (1).

Bargeton mi ha detto che in principio così pareva a lui pure, ma che, d'altra parte, non poteva escludere che mantenimento di quegli accordi potesse protrarsi ancora per qualche tempo, e questo sopratutto nell'ipotesi sua

(l} Non rinvenuto, ma vedi D. 136.

personale di una possibile evoluzione di essi verso intese o patti più generali di sicurezza mediterranea.

Gli ho risposto che non ero in grado di pronunciarmi circa eventuali futuri patti mediterranei di sicurezza, ma che ritenevo di poter escludere in modo assoluto che quei particolari accordi, stabiliti per una circostanza ben determinata e sorta per giunta nell'ipotesi di funzionare contro l'Italia, possano ulteriormente costituire un punto di partenza per evoluzione nel senso da lui prospettata; né, d'altra parte, poteva concepirsi un patto mediterraneo di sicurezza all'infuori dell'Italia o al quale si riservasse firma ... (2) si attendesse l'accessione del'Italia sotto la pressione della situazione che era stata determinata con la stipulazione degli attuali accordi di mutua assistenza. Simili illusioni ... (l), pericolose e fallaci, era bene fossero prontamente messe da parte, se non si voleva anche da questo lato complicare, anziché chiarire, le cose. Comunque anche su questo avrei gradito qualche indicazione sul pensiero del Governo francese.

Bargeton mi ha assicurato che avrebbe intrattenuto Delbos anche di questi argomenti e che mi avrebbe tenuto informato.

Ho riportato, dal colloquio con Bargeton, l'impressione che il Quai d'Orsay si mantenga più che mai nella stretta ortodossia. È nella linea di sostegno del Patto l'azione che la Francia si prepara a svolgere a Ginevra, sempre in connessione con le direttive inglesi, e non credo ci sia da attendersi, per ora almeno, un atteggiamento di sostanziale revisione. In queste condizioni è lecito formulare dei dubbi su una aperta ed efficace resistenza della Francia alle eventuali manovre che potranno essere lanciate a Ginevra per impigliare maggiormente nelle reti societarie la questione etiopica. La intonazione del discorso del ministro Delbos alla Camera dei deputati sembra del resto confermare questi dubbi.

(l) -Vedi p. 413, nota 3. (2) -Non pubb.icato. (3) -Vedi p. 401, nota l.
365

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6143/64 R. Berna, 25 giugno 1936, ore 21,50 (per. ore 24).

Non ho potuto vedere Motta dopo arrivo telegramma circolare 2933 (2) perchè già partito. In una recente conversazione gli avevo però parlato della eventualità di manovra contraria al riconoscimento annessione accennando gravità conseguenze.

Motta si è dichiarato contrario qualunque azione che impedisse ripresa col

laborazione italiana. Egli ritiene opera geniale saggezza politica del Governo

restare, malgrado tutto, Ginevra assicurandone esistenza. Egli si opporrebbe

ad ogni azione che lo potesse allontanare. Egli è tanto convinto necessità per

{1) Gruppo indecifrato.

l'Assemblea della S.d.N. prendere atteggiamento favorevole Italia da mostrarsi non contrario assumere iniziativa sopprimere sanzioni, se gli altri non lo avessero fatto.

Avendo io detto possibilità piccoli Stati, specie ex-neutri, volessero ripetere affermazione non voler essere strumento interessi grandi Potenze, Motta rispondeva che a questo si opporrebbe facendo suo meglio per far sì che comprendano realtà dei fatti.

(2) Vedi D. 352.

366

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6132/126 R. Mosca, 25 giugno 1936, ore 22 (per. ore 24).

Ho domandato a Krestinski se egli non credesse utile che il Governo dell'U.R.S.S. trovasse il modo di fare qualche pubblica dichiarazione in senso antisanzionista a somiglianza di quanto è stato fatto a Londra ed a Parigi.

Krestinski mi ha detto che per parte sua non ne vedeva l'utilità pratica dopo quanto era stato fatto pubblicare in proposito da questa stampa fin dall'aprile scorso. Il pensiero del Governo sovietico era già noto sia a Roma (dichiarazioni Litvinov ad Aloisi e Stein a Suvich) (1), sia nelle altre principali capitali di Europa dove Litvinov stesso aveva avuto cura di far conoscere tempestivamente la posizione che l'U.R S S. si proponeva di assumere.

367

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL MINISTRO DI HAITI A ROMA, LARAQUE (2)

APPUNTO. Roma, 25 giugno 1936.

È venuto a vedermi il signor Laraque, ministro di Haiti, il quale mi ha fatto le seguenti dichiarazioni:

«II nostro atteggiamento a Ginevra fu dovuto unicamente a un errore personale del nostro delegato che, in mancanza di istruzioni da parte del Governo, ha preso l'iniziativa di una solidarietà razziale con gli abissini che il popolo di Haiti rifiuta».

Ha voluti quindi presentarmi le scuse formali a nome del suo governo, e dichiararmi che esso è pronto in futuro a fare qualsiasi gesto per riparare il mal fatto del suo delegato.

(l) Vedi DD. 14 e 116.

(2) Ed. !n L'Europa verso la catastrofe, p. 26.

368

IL CAPO DELL'UFFICIO II DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, ROGERI, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

TELESPR. 221426/216. Roma, 25 giugno 1936.

Si ha il pregio di trascrivere, per notizia, quanto ha comunicato in data 19 giugno 1936 il Comando Generale M.V.S.N. relativamente all'argomento in oggetto.

«Da fonte fiduciaria di oltre frontiera si hanno le notizie che qui di seguito si comunicano, a complemento e aggiornamento di precedenti informazioni sulla situazione interna della Jugoslavia.

La politica estera dello Stato jugoslavo è ora più che mai caratterizzata sopratutto da tentativi di liberazione da vecchi impegni internazionali e dal tentativo di ottenere, attraverso nuove intese, vantaggi di natura economicofinanziaria, tali, da recare sollievo alla esausta economia interna. Ottenere inoltre migliorate condizioni, per tentare la via della pacificazione interna.

Questa urgente necessità si è determinata per lo sviluppo della politica economica seguita per il fatto che lo Stato, fin dalla sua formazione, si era completamente appoggiato alla Francia e ne aveva secondato i disegni politici. Ma le conseguenze sono state disastrose ed ora occorre cambiare indirizzo.

Urgeva la necessità di aiuti e di collaborazione, economica da parte di Paesi esteri. Sulla Francia non vi era più nulla da sperare; essa vantava ingenti crediti e non dava più nulla; il commercio estero verso la Francia non era vantaggioso per la Jugoslavia. Da parte della Romania e della Cecoslovacchia nulla da fare. Si puntarono le carte sulle due pedine: Inghilterra e Germania.

I tedeschi avevano già iniziato da tempo la loro infiltrazione; sotto il precedente governo, essi erano stati molto aiutati da Zivkovic, mentre gli inglesi avevano incontrato ed incontrano il favore del Principe Paolo. Ma gli inglesi cercarono sin dall'inizio di tutto prendere e nulla dare. I tedeschi più accorti, agirono diversamente e ben presto presero il sopravvento nel campo economico, ostentando il completo disinteresse nel campo politico. I frutti non tardarono; i tedeschi videro aumentare le forti simpatie di cui già godevano, mentre verso gli inglesi non si nascose molta diffidenza.

Legami strettissimi si allacciarono con la Germania, legami che si tendeva ad affermare fossero soltanto di natura economica. La Romania e la Cecoslovacchia, unite alla Francia, videro con disappunto questo aumento di influenza tedesca in Jugoslavia e se ne preoccuparono.

Fu ad esse risposto che si trattava unicamente di interessi economici, ma che politicamente la Jugoslavia restava fedele ai suoi impegni. Intanto si giungeva alla periodica conferenza della Piccola Intesa dello scorso maggio a Belgrado. In questa conferenza sembrava che la Jugoslavia dovesse dare delle spiegazioni ai suoi alleati circa il suo comportamento troppo tedescofilo.

La conferenza stessa, a giudizio unanime, venne quasi diretta dalla rappresentanza diplomatica tedesca a Belgrado, che fu meta di visite di personalità partecipanti alla conferenza. Lo stesso Stojadinovic vi si recò, e non esitò a dire che i tedeschi avevano impresso il tono alla conferenza stessa a proprio vantaggio.

E, pur avendo i comunicati ufficiali riaffermata l'unità di intenti, di vedute, e lo spirito di perfetta collaborazione tra gli Stati partecipanti, sia durante i lavori, che nelle elaborazioni delle conclusioni da indiscrezioni trapelate risultò che la Romania e la Cecoslovacchia attraverso i loro delegati, avevano avuto l'impressione che la Jugoslavia, presto sarebbe stata perduta per la Piccola Intesa e per l'Intesa Balcanica.

Ed in effetti, la Jugoslavia si sta orientando verso l'orizzonte tedesco.

Si sente nell'aria, in tutto il Paese. L'ammirazione per il regime tedesco è forte. Ufficiali, commercianti, industriali, sono ammiratori di Hitler e del popolo tedesco. I tedeschi hanno lavorato con una propaganda silenziosa, metodica e costante. I loro agenti sono innumerevoli; qualunque tedesco, sia di nascita che di origine, è un agente di propaganda della Germania; in qualsiasi luogo ove sono riuniti almeno tre tedeschi, si è costituita una cellula.

I tedeschi allogeni, i tedeschi ex sudditi austro-ungarici ed attualmente cittadini jugoslavi, i tedeschi immigrati, sono tutti dediti alla propaganda per la Germania. E fra jugoslavi e germanici si concludono per ora intese commerciali; le politiche verranno in seguito. Si dichiara inoltre che, dati i legami ormai stretti fra le due economie tedesca e jugoslava, è necessario il confine comune, e ciò naturalmente a spese dell'Austria.

Attraverso una stretta intesa con la Germania, il Governo jugoslavo tende a migliorare le condizioni economiche del Paese. Questo gli serve, nei suoi intendimenti, per addivenire alla pacificazione interna, e formare della Jugoslavia uno Stato compatto ed omogeneo.

Il Governo intanto prosegue il suo programma, che è per ora di intese economiche con la Germania, in attesa di intese politiche; ed adagio adagio, tende a liberarsi dagli impegni che ha verso la Francia, l'Intesa Balcanica e la Piccola Intesa.

Il prestigio francese è ormai diminuito in misura forte. La recente visita di Franchet d'Esperey a Belgrado non ha dato più luogo a manifestazioni di entusiasmo, lungo le strade che ha percorso, gli sono state rivolte poche ed isolate grida di evviva. Ha predominato la freddezza.

La fine del conflitto itala-etiopico ha arrecato in vasti strati della popolazione un senso di sollievo poichè si temevano complicazioni e si disapprovano le sanzioni. A queste era favorevole il governo perchè pressato da impegni internazionali, dai partiti estremisti e perchè sopratutto attraverso il Reggente Paolo era spinto dal Governo inglese.

La fine delle sanzioni è auspicata, ma il Governo non si sa ancora decidere poichè non avendo ancora contratto nuove alleanze non può liberarsi dei vecchi impegni ed amicizie'>.

369

L'AMBASCIATORE .AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1319/580. Ankara, 25 giugno 1936 (per. il 2 luglio).

La stampa turca di ieri ha pubblicato quanto segue: «Le correspondant à Paris du Neue Freie Presse mande à son journal en date du 20 juin: « Les Agences ont annoncé la réception de M. T. Aras, ministre des affaires étrangères par M. Léon Blum; un banquet a été donné au Quai d'Orsay en son honneur.

Il se dit que la conclusion d'un pacte franco-turc est redevenue une question du jour. Une pareille tentative avait été entreprise, il y a un an à cet effet et elle avait été appuyée par Moscou et la Petite Entente; mais elle avait échoué.

La situation, cependant, s'est modifiée depuis. Il semble que des ébats seront entamés à Montreux entre la Turquie et la France pour la conclusion d'un pareil accord qui serait inclu dans le système du pacte franco-soviétique ».

Qui finora si ignora alcunché di tale progettato patto franco-turco (1). Conviene quindi riservare qualsiasi giudizio fino a dati più sicuri e precisi. Se la notizia ha un qualche fondamento e corrisponde a qualche trattativa iniziata fra Aras e Delbos essa potrebbe, per quanto può essere la prima impressione, avere quale scopo principale quello di contrapporre un fatto politico di significato antigermanico, al fatto economico finanziario commerciale culturale che è la enorme preponderanza della influenza germanica in Turchia in questi campi.

Ma poiché tale supposto patto si inquadrerebbe in tutto il congegno di sicurezza collettiva esposto da Blum e Delbos al Senato ed alla Camera, potrebbe anche avere un significato di riassicurazione anti-italiana da parte della Turchia.

Si tratta però per adesso di sole ipotesi sulla base di dette informazioni di stampa.

370

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. (2). Mosca, 25 giugno 1936.

L'assenza per quasi due mesi da Mosca di Litvinov non ha davvero agevolato il compito dei rappresentanti diplomatici qui accreditati. Nè è da atten

dersi alcunché di positivo dalle aride e circospette conversazioni del signor Krestinski comodo sostituto del commissario sovietico per gli Affari Esteri, il quale dirige da Marienbad le fila del Narkomindiel. Ne deriva che non è sempre possibile controllare direttamente la sua azione durante tutto questo tempo.

Comunque, si sa che l'U.R.S.S. da tempo desiderava sgomberare il terreno dall'affare abissino per avere maggiore libertà di puntare direttamente al bersaglio germanico.

Litvinov in sostanza desidera aprirsi una via per avanzare il concetto della sicurezza collettiva sulla vecchia pista ginevrina. E confortato dalla tendenza dell'attuale Governo francese a rafforzare le « massime basilari » del Covenant, ha preso posizione decisa nei riguardi di Londra sulla questione della riforma della Lega.

Così alcuni giornali sovietici hanno potuto scrivere che la divergenza fra l'Inghilterra e la Francia consiste principalmente in questo: per l'Inghilterra la sicurezza regionale è uno smembramento della sicurezza collettiva; per la Francia la sicurezza regionale è un mezzo per rafforzare la sicurezza collettiva. Il che permette di misurare tutta la distanza esistente fra il concetto che si ha a Londra e quello che si ha a Mosca sull'ormai troppo abusato tema della sicurezza collettiva.

Con il rapporto precedente (1), al quale mi riferisco, prospettavo all'E. V. la posizione sovietica di fronte alla S.d.N., affermando che il Kremlino non si sente di trovare altra copertura alla propria sicurezza che la speranza di rafforzare il Covenant nella sua interezza senza mutilazioni di sorta. La tenacia con cui viene ora sostenuta tale tesi rivela tutta la preoccupazione e la finalità dell'U.R.S.S. L'attitudine attuale sovietica dovrebbe quindi portare logicamente a scontrarsi con la politica britannica. Ma non sembra doversi peraltro concludere in tal senso finché non saranno chiaramente precisate le basi della collaborazione europea e societaria per la «pace indivisibile » proclamata dal

l'ideologia sovietica. Ciò che non impedisce intanto alla stampa di scagliare qualche freccia all'indirizzo dello stesso Eden che nei primi mesi del conflitto italo-abissino si faceva qui ostentatamente apparire come l'« amico» dell'U.R.S.S.

Scrivono i giornali sovietici:

«L'Inghilterra talvolta appoggia la sicurezza collettiva, tal'altra vi rinuncia a scapito della stessa Società delle Nazioni». Il mondo capitalista -si ribadisce pure -rivela tutta la sua impotenza a collaborare per la pace. « La duplice politica di Londra ha condotto alla sconfitta tanto dell'Inghilterra che della Società delle Nazioni». Eden in fondo continua la politica tradizionale del Regno Unito che consiste nell'assicurare, sotto l'aspetto della sicurezza collettiva, i propri interessi. Non per caso gode di una certa popolarità in Inghilterra l'idea di una riforma della Lega, cioè della sua trasformazione in un organo consultivo privato del diritto di prendere decisioni, ritenendosi colà preferibili i singoli accordi separati ad ogni politica di sicurezza collettiva.

Ma la polemica, già in corso da qualche settimana, verte sopratutto sulla questione della riforma della Lega. In quanto, se non si fanno obiezioni, ed anzi si è convinti della necessità della revoca delle sanzioni contro l'Italia, non si comprende però perchè l'Inghilterra, per il fatto della fulminea vittoria italiana, debba senz'altro condannare la Lega e con essa i mezzi di garanzia della pace.

In sostanza, il Governo sovietico fa questa discriminazione: se il crollo dell'impero abissino ha inciso su alcuni interessi particolaristici, il crollo delle sanzioni incide invece sugli interessi di tutti. La fine delle sanzioni contro l'Italia non può pertanto diminuire l'interesse che l'opinione pubblica internazionale ha per la sorte del Covenant. «Non sono le sanzioni che sono fallite ma la loro applicazione». Ergo, non si può condannare il principio della sicurezza collettiva insito nello stesso statuto della Lega.

Su questo punto fu ieri data la parola al Radek che nelle Isvestia ha tratteggiato il giuoco degli interessi delle grandi potenze durante la presente crisi, non risparmiando parole velenose all'indirizzo dell'Inghilterra. Tra l'altro egli afferma: «Il signor Baldwin fa il giuoco di coloro che credono che il leone britannico è diventato così debole che ciascuno può tirarlo per la coda». «L'Inghilterra perderà due volte Hong Kong prima che sì decida di difendere i propri interessi contro l'aggressività giapponese».

È ovvio che la polemica sia tutta una difesa dell'U.R.S.S. contro i « nemici di domani». Essa non cela per esempio il «dubbio» nè «il forte senso di timore» che suscita il recente discorso di Baldwin nel quale Radek intravede la possibilità di tentativi di accordi fra l'Inghilterra ed i suoi avversari (Germania, Giappone e Italia) sia separatamente, sia anche congiuntamente.

Il Journal de Moscou col suo editoriale ebdomandario interviene per dire che ogni dichiarazione pacifica del Governo tedesco è invariabilmente accompagnata da atti che non hanno nulla a che fare col pacifismo. La Germania non chiede nulla per ora all'Inghilterra, eccetto la libertà in Oriente; Ma se Rosenberg cerca adesso di coprire le pretese territoriali enunciate nel « Mein Kampf » e nelle « opere » naziste, affermando che le rivendicazioni politiche territoriali affacciate in passato «non hanno più importanza nella presente congiuntura internazionale», qui si risponde che dal punto di vista della pace, «la direzione dell'aggressione non ha importanza perché la pace è indivisibile »! Berlino si beffa di Londra e --come viene già esplicitamente detto dalla stampa polacca -non risponderà al questionario prima dell'autunno prossimo. Così nessuno pensa di risolvere verun problema alla vigilia delle decisioni di Ginevra. I problemi dell'Europa occidentale, dell'Europa orientale e del mediterraneo non hanno difatti avuto alcuna «definizione». Senza contatti e precisi obblighi e senza il rafforzamento del Covenant non potrà esistere sicurezza. E la causa di tale disagio è dovuta sopratutto alle esitazioni del Governo inglese.

Ho creduto dover passare in rassegna le idee che qui più circolano appunto per meglio far risaltare la divergenza che sta allontanando Mosca da Londra. Il perdurare degli obblighi assistenziali nel Mediterraneo, nonostante che il conflitto italo-abissino sia stato liquidato e che si sia andata determinando una distensione dei rapporti italo-inglesi, accresce ancora la sospettosità sovietica.

A tali sospetti si aggiunga la irriducibile diffidenza che quei problemi rimasti senza una « definizione >> possano determinare dei direttori internazionali ai quali l'URSS, grande Potenza, non si sentirebbe di dovere sottostare al pari di una piccola Potenza.

(l) -Su l'argomento si veda !l D. 376 che fu ricevuto ad Ankara quando !l presente documento era stato già inviato. (2) -Il testo del presente telespresso è stato tratto dalla ritrasmissione a Londra, Parigi,Berlino, Varsavia, Bruxelles, Madrid, Ankara, Tokio, Washington, Ginevra effettuata con telespr. 222523/C. del 4 luglio.

(l) Vedi D. 314.

371

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. POSTA R. 2365/371. Zagabria, 25 giugno 1936 (per. il 29).

Mi riferisco al telespresso di V. E. del 17 corrente mese n. 220387;c, Aff. Poi. Uff. II. (1), col quale V. E. mi domanda di comunicare quanto eventualmente mi risulti circa una richiesta fatta da questo console ungherese al proprio Governo, per ottenere copia di un giornale italiano contenente una cartina coi confini dell'Impero, che però non comprende la Dalmazia.

Questo mio collega d'Ungheria mi dice al riguardo che un suo fiduciario aveva sentito recentemente dal dott. Macek che lo stesso capo croato aveva vista in un certo non precisato giornale tedesco una cartina rappresentante il futuro Impero italiano, Impero che però non comprendeva la costa dalmata. Lo stesso dott. Macek supponeva che il giornale tedesco avesse riprodotto da un giornale o da una rivista italiana la carta stessa, e di qui la richiesta fatta.

Tutto quanto precede è legato ai fatti seguenti.

Specialmente negli ultimi 9 o 10 mesi e durante vari colloqui che io ebbi sia con personaggi del contorno di Macek sia con quelli che più strettamente fanno capo al partito frankiano e al dott. Pavelic, mi fu spesso accennato alla convinzione che qui si aveva, che l'Italia si disinteressasse della questione croata. Infatti da molti mesi nè la stampa nè la radio italiana e quella in lingua serbo-croata avevano accennato alla questione, mentre i croati delle due tendenze erano continuamente assillati, sia dai serbi che dai vari personaggi francesi e inglesi, che con loro parlavano, dall'argomento che l'Italia avrebbe fatto pagare il proprio aiuto ai croati, in caso che essi potessero ottenere l'assoluta indipendenza, pretendendo la cessione della Dalmazia. E mi si ripeteva: «perché il Governo italiano a mezzo dei suoi giornali e della sua radio, o meglio ancora, perché lo stesso capo del governo italiano non trova qualche occasione per fare una solenne dichiarazione che l'Italia, qualunque cosa succeda da queste parti, ha definitivamente rinunciato alla Dalmazia »?

In vari miei rapporti ho già accennato a tale argomento.

Ora, assunte altre informazioni, mi risulta che, oltre ai colloqui che il dott. Macek ha qui avuto nei mesi passati col ministro francese a Belgrado (mio rapporto del 6 corr. n. 2130/344) (l) e con i signori inglesi Steel (membro del Comitato per gli affari esteri) e Joung (mio rapporto del 26-5-1936

n. -2001/324) (1), questo console di Inghilterra avrebbe combinato, per uno dei prossimi giorni, un colloquio del suo ministro a Belgrado col dott. Macek, presso la sede di questo vescovado, e precisamente presso l'arcivescovo coadiutore monsignor Stepinac, press'a poco nella maniera, nel luogo e con le persone con cui si svolse il colloquio già accennato tra il ministro di Francia e il dott. Macek.

Dalle indiscrezioni che ho potuto sapere, scappate alle tante persone che si sono messe di mezzo per combinare il colloquio stesso, ma specialmente da discorsi che avrebbe fatto già questo stesso console inglese, il ministro britannico a Belgrado dovrebbe più o meno cercare di persuadere il dott. Macek di quanto segue.

L'Inghilterra, nonostante la fine del conflitto itala-etiopico e la prossima levata delle sanzioni, è fortemente impressionata dallo aumentato prestigio e potere dell'Italia nel Mediterraneo, e non intenderebbe che nei Paesi danubiani succedessero fatti per i quali l'Italia potesse ancora aumentare la sua influenza e il suo prestigio. Uno di questi fatti potrebbe essere lo sfasciamento della Jugoslavia e la costituzione di uno Stato indipendente croato, il quale potrebbe accedere ai Protocolli di Roma, come l'Austria e l'Ungheria. Gli inglesi pensano che l'assoluta indipendenza della Croazia non può essere ottenuta se non con l'aiuto dell'Italia, e che l'Italia riuscirà a farsi pagare tale aiuto dal nuovo Stato, o ottenendo l'intera Dalmazia o quantomeno qualche altra isola nell'Adriatico. In un modo o nell'altro l'Italia otterrebbe un enorme aumento del suo prestigio nei Balcani coll'avere accodati ai protocolli di Roma Austria, Ungheria e Croazia, e, sia ottenendo tutta la Dalmazia sia solo qualche isola, sarebbe tanto sicura in Adriatico da non aver più bisogno di mantenervi neanche una nave, conseguendo anche solo con ciò un enorme rinforzo per la sua Marina in tutto il Mediterraneo.

L'Inghilterra non vuole niente di tutto ciò e tutti questi messi britannici, ivi compreso anche il ministro a Belgrado, tendono ora a premere sul dott. Macek affinchè trovi una qualche strada per risolvere la questione croata entro la cerchia della Jugoslavia. Questa, tanto nella forma unitaria attuale quanto nella possibile forma federativa avvenire, costituisce per l'Inghilterra un baluardo di pace e un probabile forte avversario dell'Italia, per terra e per mare. E siccome e ai francesi e agli inglesi sono arcinote le generali simpatie della popolazione croata verso l'Italia essi, insieme con i serbi, adoperano a tutto spiano, davanti ai croati, lo spauracchio della perdita della Dalmazia, ingoiata dall'Impero italiano, per allontanarli da tali simpatie.

Ora la situazione reale, a quanto io almeno vedo, qui in Croazia, è la seguente: la quasi totalità della popolazione, nonostante tutte le campagne di stampa contro l'imperialismo e il fascismo italiano, è quanto mai favorevole all'Italia, poiché i croati vogliono la indipendenza delle loro regioni e sanno che solo l'Italia può far loro raggiungere tale indipendenza.

Il dott. Macek, ancora capo del partito croato, fosse per abito mentale, per temperamento e per la stessa età, non è favorevole al fascismo, né sarebbe assolutamente contrario a una Jugoslavia federalista, ma non si arrischia di

dichiararlo ai suoi croati per non diminuire ancora di più il numero dei suoi aderenti che, ripeto, sono nelle quasi totalità per l'assoluta indipendenza.

Il dott. Pavelic, che qui è ritenuto essere il capo del partito frankiano e l'uomo dell'avvenire (assoluta indipendenza), vede ogni giorno aumentare il numero dei suoi partigiani, specialmente fra i giovani, mentre la grande massa non ha ancora ben chiara la sensazione che tra esso Pavelic e il dott. Macek ci sia un qualche dissidio, e ritiene tuttora che i tentennamenti e le dichiarazioni piuttosto incerte del Macek non siano che mezzi, dovuti adoperare sul posto, per non inasprire ancora di più i serbi, ma che la meta dei due capi, Macek all'interno e Pavelic all'estero, sia la stessa.

V. E. sarà da me opportunamente informata quando il preannunciato colloquio tra il ministro inglese e il dott. Macek avrà avuto luogo.

Col presente rapporto ho spiegato come la questione della Dalmazia giuochi una importante parte in tutta la soluzione della questione croata.

V. E., secondo i programmi che Ella si propone da queste parti, vedrà quale conto sia da farsi del dott. Pavelic e dei suoi aderenti, nei loro confronti con la condotta locale del dott. Macek, e vedrà anche se non sia il caso di far accennare, sia dalla nostra stampa che dalla nostra radio, a qualche cosa intorno alla questione dalmata.

Per dare un esempio di come l'insieme di tali questioni sia sfruttato qui dai serbi, francesi e inglesi, riferisco che, dopo che il Duce proclamò l'Impero come una prima tappa, qui si ritiene che la seconda tappa della marcia italiana sarà precisamente l'occupazione della Dalmazia (1).

(l) -Non pubblicato.

(l) Non pubblicato.

372

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6170/118 R. Bruxelles, 26 giugno 1936, ore 13,25 (per. ore 16).

Telegramma circolare di V. E. n. 2933 (2).

Ho esposto ieri a questo ministro degli Affari Esteri situazione che verrebbe a crearsi se l'Assemblea della S.d.N. votasse impegno collettivo di non riconoscere annessione Etiopia. Ho trovato molta comprensione, ma anche qualche esitazione, sia per la solita difficoltà degli interni dissensi in consiglio dei ministri, sia per mancanza di sicuri indizi dell'atteggiamento in proposito da parte dell'Inghilterra e della Francia a cui Governo belga finirà, anche in questo caso, per aderire. Ho avuto poi sensazione dì una certa apprensione per il preteso nostro riavvicinamento alla Germania, sul quale mi risulta che questa ambasciata di Francia non manca dì suscitare diffidenza. Comunque nulla mi è stato chiesto e nulla pertanto ho detto su tale argomento.

Spero essere più preciso quanto prima circa atteggiamento del Belgio a Ginevra.

32 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 352.
373

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 6168/678 R. Ginevra, 26 giugno 1936, ore 17,30.

Telespresso di V. E. n. 221276 del 23 giugno (1).

Ho consegnato a Eden la lettera direttagli da V. E. in data 23 corr. (2). Eden l'ha letta con molta attenzione facendosela tradurre e alla fine mi ha pregato di ringraziare vivamente V. E. per la cortese comunicazione. Avendomi aggiunto sperare che sopratutto il voto emesso nell'ultimo capoverso della lettera potesse realizzarsi presto gli ho risposto che questo dipendeva da quanto avrebbero fatto Consiglio e Assemblea. Eden ha tenuto a precisarmi che non è assolutamente vero che egli abbia in animo di proporre la costituzione di una commissione di studio cui rimettere l'esame di tutto il problema etiopico. Ha aggiunto che la sola cosa che aveva divisato era una commissione di studio per la riforma del Patto. Quanto alla questione etiopica egli aveva espresso il suo punto di vista apertamente e chiaramente ai Comuni. Io ho risposto che se Consiglio ed Assemblea avessero affrontato la soluzione del problema con lo stesso coraggio e la stessa decisione con cui lo aveva lui affrontato davanti ai Comuni, il chiarimento della situazione, che egli stesso aveva auspicato leg

gendo la lettera di V. E., si sarebbe verificato. Eden mi ha detto che come presidente del Consiglio a lui non restava nel corso della seduta privata di oggi, che far rinviare la questione all'Assemblea.

Per quanto concerne il problema del riconoscimento era evidente che per la Gran Bretagna, come aveva dichiarato ai Comuni, non era questione di poter pronunciarsi in favore. Teneva a precisare che ancora non sapeva quali fossero i termini esatti del progetto di risoluzione e della dichiarazione argentina che tale progetto e tale dichiarazione esigevano. Egli non avrebbe preso nessuna iniziativa per la questione del riconoscimento. Avrebbe seguito la volon

tà dell'Assemblea.

Per il problema di Locarno mi ha precisato che ancora non aveva concor

dato con i delegati francesi e belga quali decisioni prendere.

Nel congedarmi mi ha detto che avrebbe oggi stesso portato a conoscenza

dei membri del Consiglio la lettera di V. E. e mi ha pregato di rinnovare a

V. E. i più vivi ringraziamenti per la comunicazione fattagli.

(l) -Non rinvenuto. (2) -Vedi D. 354.
374

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA

T. RR. 2971/83 R. Roma, 26 giugno 1936, ore 17,50.

Suo telegramma 635 (1).

Questi ministri di Svezia e di Norvegia mi hanno chiesto se R. Governo intende o meno di abrogare controsanzioni il giorno che sanzioni saranno soppresse. Ho risposto che controsanzioni cadranno automaticamente col cadere delle sanzioni. Per Sua notizia aggiungo che non ho nascosto loro che tutti i rapporti di commercio tra noi e gli altri Paesi saranno adeguati ai nuovi aspetti dell'economia nazionale, che in questi mesi di sanzioni ha rapidamente progredito sulla via dell'autarchia. Veda V. S. far circolare tale notizia negli ambienti delle delegazioni nella forma che riterrà più opportuna in modo da evitare che soppressione delle sanzioni sia subordinata alla condizione accennata nel 2" paragrafo del suo telegramma.

375

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6193/266 R. Berlino, 26 giugno 1936, ore 21,20 (per. ore 24).

Visita S. E. Valle (2) a Berlino si svolge ottimamente. Oggi egli è stato ospite onore di Goering il quale, durante brindisi pronunciato in presenza intero Stato Maggiore Aeronautica tedesca, ha tenuto a ricordare con parole molto simpatiche aiuto ricevuto da Aeronautica italiana quando Germania non aveva ancora riacquistato libertà proprio riarmamento. Ha infine esaltato opera nostra aviazione in Africa Orientale riportandone risultati alle direttive animatrici del Duce.

In una conversazione privata seguita subito dopo, Goering ha pregato

S. E. valle di far sapere al Duce (evidentemente in connessione con dichiarazioni di Duffand che qui hanno fatto cattiva impressione) Germania non ha legami «con nessuno» (alludendo all'Inghilterra) e che non rimane sorda alle

proclamate «estensioni delle frontiere (inglesi) al Reno». Essendogli stato fatto rilevare insinuazione del Temps odierno a proposito visita di S. E. Valle, Goering ha tenuto in risposta a dare speciale risalto alla colazione da lui offerta oggi, facendone oggetto di speciale comunicato alla stampa.

Domani mattina generale Valle sarà ricevuto da Hitler.

(l) -Con T. por corriere 6082/635 R. del 23 giugno, Bova Scappa aveva riferito, tra l'altro, che negli ambienti scandinavi e olandesi si parlava della possibilità di porre come condizione alla levata delle sanzioni l'abolizione delle controsanzioni da parte dell'Italia. (2) -Il generale Valle si recò in Germania dal 24 al 28 giugno su invito del sottosegretario all'aeronautica tedesco, Milch, allo scopo di visitare i più importanti stabilimenti aeronautici e di sottoscrivere un nuovo accordo relativo all'impianto e all'esercizio di linee di navigazione aerea. Durante la sua visita, Valle si incontrò, oltre che con Gi.iring, anche con Hitler dal quale fu ricevuto il 27 giugno.
376

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, GALLI, E A PARIGI, CERRUTI

T. PER CORRIERE 2981 R. Roma, 26 giugno 1936.

R. ambasciatore a Londra telegrafa (l) quanto segue:

«Richiamo l'attenzione di V. E. su quanto Gordon Lennox, che è di solito bene informato, ha inviato da Montreux al Daily Telegraph circa desiderio della Francia iniziare conversazioni per un accordo mediterraneo e consultazioni che hanno avuto luogo ieri fra Aras e Delbos su dì un progetto di patto mediterraneo, che Governo turco e francese avrebbero già approvato in linea di massima ».

D'altra parte Neue Freie Presse pubblica un telegramma da Parigi che in occasione visita a Parigi del ministro degli Esteri turco Aras si sarebbe accennato alla possibilità di un patto franco-turco. Sembrerebbe che dopo conferenza di Montreux dovrebbero essere iniziate trattative turco-francesi per la conclusione di un patto che dovrebbe inserirsi nel sistema del patto franco-russo.

Fregasi V. E. controllare e riferire (2).

377

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 6285/061 R. Belgrado, 26 giugno 1936 (per. il 29).

Telespresso di V. E. n. 220386/C del 17 corrente A.P.II Ris. (3).

Le informazioni fornite da codesto incaricato d'affari d'Austria circa un accordo ceco-romeno contemplante il passaggio di truppe sovietiche attraverso la Bucovina nonchè il sorvolo di forze aeree dell'U.R.S.S. sul territorio rumeno per assistere la Cecoslovacchia in caso di attacco tedesco o ungherese, trovano riscontro nelle notizie che ho avuto l'onore di riferire all'E. V. col mio telegramma per corriere n. 056 del 6 corrente (4).

Da informazioni ora attinte a fonte ineccepibile sono in grado di aggiungere che effettivamente Titulescu, vivamente a ciò spinto da Benès, intendeva sottoporre il progetto di detto accordo alla riunione dei capi di Stato a Bucarest, ma la Jugoslavia si è rifiutata di prestarsi all'esame del progetto; da qui la mancata partecipazione di Stojadinovic alla riunione e l'abbreviato soggiorno a Bucarest del Principe Reggente di Jugoslavia. Il progetto in parola sarebbe poi stato esaminato a due fra Titulescu e Benès appositamente trattenutosi a Bucarest altri due giorni. Nulla però sarebbe stato concluso, in seguito a personale determinazione negativa di Re Carol.

Sulla determinazione del sovrano rumeno avrebbero influito: -L'atteggiamento della Jugoslavia e il timore di aggiungere altro grave

motivo di divergenza in seno allft Piccola Intesa; -Una tempestiva azione polacca a Bucarest, secondata dalla Germania; -L'allarme gettato da Bratianu negli ambienti politici e diplomatici rume

ni contro i pericoli del progettato accordo; (il mio informatore mi ha dato visione di copia di un manifestino che Bratianu, impossibilitato a portare la questione davanti al Parlamento, ha diramato nei predetti ambienti, denunciando i termini dell'accordo; essi collimano con quelli contenuti nella segnalazione di codesto incaricato d'affari d'Austria.

Dalla medesima sicura fonte mi risulta inoltre: che il colonnello Beck nella sua visita degli ultimi di maggio a Belgrado avrebbe messo in guardia Stojadinovic circa le intenzioni di Titulescu e di Benès di portare il progetto di accordo alla riunione dei capi di Stato della Piccola Intesa e ne avrebbe avuto l'affidamento che la Jugoslavia non avrebbe consentito a discuterlo; che, dopo la riunione di Bucarest, questo ministro di Germania ha fatto un passo presso questo Governo per conoscere i veri termini dell'accordo e se la Jugoslavia vi avesse avuto parte; al che gli è stato risposto che la Jugoslavia si era tenuta assolutamente estranea e tale atteggiamento intendeva mantenere in avvenire, facendogli però presente che il transito di forze sovietiche su territorio rumeno, avrebbe potuto praticamente verificarsi, all'occorrenza, in applicazione dell'art. 16 al. III del Patto della S.d.N.

Secondo il mio informatore l'accennato progetto di accordo ceco-romenosovietico pur non essendo stato ora portato a conclusione non deve considerarsi abbandonato.

(l) -Con T. 6063/971 R. del 23 giugno, ore 21, pervenuto lo stesso giorno. (2) -Per le risposte di Galli e Cerruti vedi rispettivamente DD. 369 e 434. (3) -Ritrasmetteva il D. 279. (4) -Vedi D. 203.
378

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6513/022 R. Praga, 26 giugno 1936 (per. il 7 luglio).

Telespresso di V. E. n. 220386/C del 17 corr. (1).

Ho chiesto a questo ministro degli Affari Esteri che cosa ci fosse di vero nelle voci di un «accordo segreto ~ ceco-romeno che sarebbe stato concluso a Bucarest in occasione del convegno dei tre capi di Stato della Piccola Intesa. Krofta mi ha detto che nessun accordo segreto del genere è stato concluso ma che sono state riprese con buoni risultati le discussioni e le trattative per la conclusione del noto patto fra Romania e U. R.S.S. da tempo progettato e rimasto finora in sospeso.

A questo addetto militare è stato poi riferito dal suo collega di Germania rientrato ora da Bucarest, che secondo attendibili notizie confermate da comunicazioni confidenziali di Re Carol a quel ministro di Germania risulterebbe prossima la firma di un trattato di mutua assistenza fra Romania e U.R.S.S. previa reciproca garanzia delle attuali frontiere.

Da altra fonte risulterebbe poi che detto trattato sarebbe ricalcato su quello ceco-sovietico, che vi sarebbe contemplato il ventilato passaggio di truppe sovietiche attraverso il territorio di Czernowitz, che le difficoltà territoriali fra Romania e U.R.S S. sarebbero state risolte mediante una formula proposta da Benes in ordine alla questione della Bessarabia, che la Jugoslavia pur astenendosi di intervenire in tali trattative non vi avrebbe fatto opposizione.

Nei primi giorni del prossimo luglio dovrebbe giungere a Praga in forma ufficiale il capo dell'aviazione sovietica. Verrebbe per restituire la visita a Mosca fatta nello scorso anno dal capo dell'aviazione cecoslovacca· generale Faifr. È ben presumibile che in tale occasione saranno discussi problemi inerenti alla collaborazione militare dei due Paesi.

(l) Ritrasmetteva 11 D. 279.

379

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

APPUNTO. Roma, 26 giugno 1936.

L'ambasciatore d'Inghilterra mi ha espresso la speranza che i rapporti

itala-inglesi, dopo questo periodo di frizioni fra i due Paesi, si ristabiliscano

così cordiali come sono sempre stati.

Gli ho risposto che questo stesso augurio era stato espresso dal Duce in

varie occasioni e che era facile constatare come il Duce non avesse mai fatto

concessioni alla opinione pubblica italiana, nei periodi in cui questa si mostrava

maggiormente irritata a causa di certe manifestazioni inglesi.

Egli mi ha detto di sperare che, dopo la fine delle sanzioni, ormai decisa,

l'Italia prenderà parte alla Conferenza di Montreux, fornendo così all'opinione

pubblica inglese, che è piuttosto tardiva a modificare le proprie vedute, una

prova di più del desiderio italiano di collaborare ai problemi europei.

A un accenno vago che gli ho fatto in relazione a quanto farà l'Assemblea della S.d.N. dopo la proposta argentina, egli mi ha risposto nella maniera seguente:

-La questione del riconoscimento dell'Impero domanda un poco di tempo, sia in Inghilterra, sia negli altri Paesi. Non credo che l'Italia voglia forzare i tempi; non credo d'altra parte che questa questione debba essere compromessa dall'Assemblea di Ginevra. Bisogna però anche evitare che gli Stati sud-americani, i quali tengono molto alla dichiarazione Stimson (1), non abbandonino la

S.d.N. -A Ginevra sarà nominata una commissione per studiare la questione, specialmente in connessione con la nota che il Governo Italiano invierà (2). Dopo verrà riaffermato il pieno valore dell'Art. 10 del Patto senza peraltro mettere questa riaffermazione in relazione con la questione etiopica la quale, essendo stata già deferita allo studio della commissione suddetta, non può essere rimessa in discussione.

Egli spera che la nota italiana faciliterà il compito di questa commissione, fornendole argomenti e dati utili. Mi ha ripetuto che è necessario ancora guadagnare un po' di tempo per dar modo all'opinione inglese di compiere la sua evoluzione. È sua opinione che la situazione europea imponga all'Italia e all'Inghilterra una stretta collaborazione che, a suo avviso, non sarà difficile ristabilire. L'Inghilterra, come deve evitare l'isolamento per sé, ha interesse ad evitare anche l'isolamento sia dell'Italia che della Germania e della Francia.

Gli ho risposto che tutta la politica del Duce si era sempre ispirata al desiderio della collaborazione di questi quattro Paesi, di eliminare gli attriti fra loro e di fare sparire le discriminazioni, ristabilendo una atmosfera di fiducia, indispensabile alla normalità dei rapporti internazionali. Questo modo di vedere il Duce ha mostrato di non avere modificato in seguito alle circostanze degli ultimi tempi. L'Inghilterra doveva essere particolarmente lieta che, risolta la questione abissina, l'Italia ritenendosi soddisfatta, portasse nella collaborazione fiduciosa delle Potenze la sua piena adesione, senza riserve e senza ri vendicazioni.

Drummond mi ha risposto che l'Inghilterra desidera infatti l'Italia forte e tranquilla e che egli è convintissimo essere facile ai due Paesi di accordarsi, anche nel Mediterraneo, tenendo presenti i rispettivi interessi e le rispettive necessità.

Mi ha infine pregato di esaminare il caso della espulsione del cittadino inglese signor Vickers, ispettore dei tramvai a Taranto fin dal 1922, il quale il 31 maggio scorso ha dovuto lasciare la città, colpito da espulsione. Drummond assicura che il signor Vickers non ha mai svolto nella città alcuna attività, all'infuori di quella di ispettore dei tramvai.

(l) -Dichiarazione del Segretario di Stato americano Henry L. Stlmson del 7 gennaio 1932 con la quale si avvertiva che gli Stati Uniti non avrebbero riconosciuto modifiche territoriali ottenute con l'uso della forza. (2) -Vedi D. 404.
380

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6174/679 R. Ginevra, 27 giugno 1936, ore 1,10 (per. ore 4,15).

Cantilo ha chiesto oggi di vedermi.

Mi ha pregato di dire a V. E. che, da contatti avuti qui, si è fermamente convinto dell'avviamento Assemblea verso decisione favorevole alle nostre tesi

o che, per lo meno, non le compromettano; tutto dipenderà dal memorandum italiano. Ha aggiunto che le decisioni dell'Assemblea dipenderanno oltre che dalla sostanza della nostra nota anche dalla forma di essa. Egli si permette di suggerire che il nostro memorandum non abbia veste polemica, non riapra questione dell'ingiusta condanna -problema da risolvere più tardi -e sia il più possibile moderato nel tono. Cantilo afferma che il nostro memorandum avrà influenza capitale sulle decisioni dell'Assemblea. Ricorda gli affidamenti che il Duce e V. E. si sono compiaciuti di dargli sul contenuto della nota stessa e confida che il documento italiano, se sarà tale come egli si augura, gli permetterà di servire, come si propone, gli interessi del suo Paese e quelli dell'Italia.

Ho creduto opportuno di rassicurare Cantilo informandolo che, a quanto mi constava, documento italiano sarebbe stato un esposto fermo e dignitoso di fondo ma conciliante.

Per quanto concerne procedura, Cantilo suggerisce che, subito dopo che egli avrà pronunziato il suo discorso il presidente dell'Assemblea legga il documento italiano, il quale dovrebbe venire contemporaneamente distribuito in edizione francese a tutti i delegati. Con questo sistema, evitando una pubblicazione prematura e anteriore alla seduta dell'Assemblea, si eviterebbero le manovre, le critiche di stampa, le inevitabili controffensive anticipate.

Idea di Cantilo, come è noto a V. E., è di ottenere che, dopo l'esposto argentino e la lettura dell'esposto italiano, Assemblea si limiti emettere un voto di carattere generico senza adottare alcun progetto di risoluzione per il quale sarebbe necessaria unanimità. Trovandosi poi Assemblea di fronte ad elementi dottrinali argentini e incontestabili elementi di fatto italiani, essa dovrebbe procedere alla nomina di una commissione che esaminasse espedienti e coordinasse tali elementi e sottomettesse le sue conclusioni esclusivamente a una prossima Assemblea. In realtà con tale procedura -afferma Cantilo si eviterebbe che venisse posto in esame davanti Assemblea pr~I~rna concreto ed attuale del riconoscimento. Si tratterebbe in altre parole di una procedura di dilazione destinata a liquidare di fatto la questione.

Cantilo è convinto che gli inglesi lo aiuteranno nel suo proposito ed egli crede che questo è il solo modo per uscire da una situazione che altrimenti potrebbe complicarsi.

Mi ha pregato di tenermi in contatto con lui in forma riservata.

381

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6349/185 R. Shanghai, 27 giugno 1936, ore 12 (per. ore 23,40).

Non appena questo Governo, in ossequio alle prevedibili decisioni di Ginevra, avrà levato le sanzioni, è mio intendimento abbordare con Generalissimo, nonché con Kung e con ministro Affari Esteri, problema del ritorno delle relazioni itala-cinesi sul piano della preesistente cordialità chiusa parentesi causata dagli errori sanzionisti. In tale occasione, a meno ordini in contrario, mi propongo esprimermi verso i primi due con parole opportune che vorrei fare apparire come provenienti direttamente dalla persona di V. E. e come per espresso incarico ricevutone (1).

382

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6216/683 n. Ginevra, 27 giugno 1936, ore 13,55 (per. ore 14,10).

Delbos mi ha fatto chiamare stamane da Rochat per chiedermi quando il Governo fascista avrebbe presentato il suo memorandum a Ginevra (2). Gli ho risposto che ancora lo ignoravo, ma presumevo che ciò avvenisse contemporaneamente all'inizio dei lavori dell'Assemblea. Delbos mi ha chiesto se potevo indicargli per sommi capi il contenuto del memorandum.

Ho risposto che non ne conoscevo ancora i termini. Tutto quello che potevo dirgli era che sarebbe stato un documento che avrebbe pienamente e completamente giustificato il nostro operato in seguito alla inesistenza del Governo etiopico e riaffermato il fondamento morale, storico e politico della nostra impresa. Ho precisato che il memorandum sarebbe stato conciliante nel tono come nella forma e destinato quindi a mettere l'Assemblea nella necessità di prenderlo in esame, regolandosi in conseguenza.

Delbos mi ha dichiarato che si felicitava molto di questo. Mi ha pregato di chiedere a V. E. se potrebbe aver conoscenza del documento prima che esso fosse diramato alle altre delegazioni per regolare il suo discorso all'Assemblea in conseguenza. Teneva a confermare quanto aveva detto a S. E. Cerruti che Francia e Italia avevano stretta comunità di interessi e che indipendentemente dai regimi politici interni era la coincidenza di tali interessi che doveva finire col prevalere.

Ho risposto che, se egli avesse agitg a Ginevra avendo di mira questo proposito, le conseguenze sarebbero state felicissime.

«Oramai -ha precisato Delbos --la questione delle sanzioni può considerarsi liquidata. Il problema del riconoscimento non sarà compromesso. Assemblea non può ora smentire se stessa. Di questo a Roma se ne devono rendere conto. Ma ci orientiamo --ed io faccio ogni sforzo per riuscirei -nel senso di una dichiarazione astratta di principi e verso una procedura destinata a liquidare la questione col tempo e senza scosse per nessuno. Vorrei sapere se, liquidate le sanzioni e adottata questa formula, che deve essere accetta a Roma, il Governo fascista si farà rappresentare alla riunione di Locarno ».

Ho detto a Delbos di permettermi di esprimermi con assoluta franchezza. Mi sembrava che la liquidazione delle sanzioni e la formula sul problema del riconoscimento, di cui egli mi parlava, erano due elementi che avrebbero contribuito grandemente a favorire ritorno dell'Italia a Ginevra, ma non era tutto. Dichiarazioni di Eden ai Comuni sulla sopravvivenza degli accordi navali conclusi nel Mediterraneo durante il conflitto non erano destinate a chiarire situazione. Dal momento che sanzioni venivano abolite e che ostilità erano cessate da due mesi, non si capiva perchè tali accordi dovessero continuare a sussistere.

Delbos mi ha detto che non aveva ancora parlato di tale questione con Eden. Ha candidamente aggiunto però che tale accordo sarebbe di fatto cessato non appena l'Italia si fosse decisa a negoziare un patto mediterraneo, patto -ha precisato il ministro che l'Italia ha tutto l'interesse a vedere concluso.

Ho ribattutto che, a quanto mi constava, il Governo fascista in nessun caso avrebbe accettato di negoziare un patto mediterraneo, mentre vigevano tuttora impegni che per non avere più pretesto di sopravvivenza giuridica, dovevano considerarsi ostili all'Italia o quanto meno una riserva nelle mani della Francia e dell'Inghilterra per esercitare una pressione sopra di noi.

Delbos mi ha dichiarato che avrebbe conferito della cosa con Eden. Mi ha poi, con grande calore, parlato della necessità che gli 80 milioni di latini facciano blocco contro il germanesimo. « Altrimenti -ha precisato testualmente noi rischiamo di essere battuti gli unì dopo gli altri».

Ho sorriso con un certo scetticismo su questa affermazione e ho detto a Delbos che ritenevo oggi l'Italia mirasse a condurre Germania verso una politica di intesa e di accordo col resto dell'Europa così come era stato tentato all'epoca del Patto a Quattro.

Delbos ha risposto che in fondo questa è anche la sua idea e che lo aveva detto chiaramente alla Camera francese. Tuttavia il fatto che la Germania non avesse risposto al memorandum inglese (l) era un pessimo sintomo. Era evidente che ormai se la risposta non arrivava o se essa dovesse essere negativa si imponeva per la Francia e per l'Inghilterra di prendere misure in conseguenza.

Ho osservato che la Germania attendeva evidentemente a rispondere di vedere che cosa sarebbe stato fatto a Ginevra. Di qui necessità per la Francia di adoperarsi energicamente per una-liquidazione rapida della questione etiopica anche ai suoi stessi fini.

Delbos ha convenuto. Egli è stato di una grande cordialità e mi ha pregato di dire a V. E. che, se ha da comunicargli qualche idea e suggerimento, sarà ben lieto di riceverlo.

(l) -Non è stata trovata risposta in proposito da parte di Ciano. (2) -Vedi D. 404.

(l) Vedi p. 44, nota l.

383

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. U. 6235-6231/395-396 R. Parigi, 27 giugno 1936, ore 21,55 (per. ore 0,15 del 28).

Mio telegramma n. 384, mio telegramma per corriere 0160 e telegramma

n. 392 e 393 (1).

Ho veduto stamane Léger, il quale, riprendendo conversazioni avute meco, lettomi telegrammi che il Quai d'Orsay aveva inviato a Corbin per chiarire significato delle dichiarazioni di Baldwin e Eden al Parlamento britannico.

Il primo telegramma sosteneva impossibilità per la Francia di ammettere che si potesse addivenire tra Inghilterra, Francia e Germania ad una conferenza per esaminare pericolo di guerra in Europa senza che ad essa partecipassero pure Italia e Belgio, cioé tutti i firmatari trattato Locarno. Corbin aveva risposto che Eden gli aveva assicurato che Baldwin, nella sua improvvisazione alla Camera dei Comuni, aveva omesso di accennare all'Italia ed al Belgio per pura svista ma che era fermo intendimento del Governo britannico che alle eventuali conversazioni ulteriori circa sicurezza destinate a rafforzare impegni a Locarno fossero presenti anche Italia e Belgio.

Secondo telegramma partito da Parigi si riferiva alla frase di Eden secondo la quale egli si proponeva proporre a Ginevra che assistenza mutua per quanto concerne garanzie fra Francia, Inghilterra e altri Stati Mediterraneo durasse oltre soppressione sanzioni. Governo francese esprimeva parere nettamente contrario ad una simile sopravvivenza di garanzie, che erano state concesse dalla Francia per insistenti richieste Governo britannico ed a malincuore rilevando loro portata puramente teorica dato che il carattere dei provvedimenti adottati contro Stato aggressore permetteva di escludere che esso compisse qualche atto ostile verso uno solo degli Stati sanzionisti. Doveva rimanere bene inteso, aggiungeva telegramma, che, tolta pressione sanzioni, le garanzie di cui si tratta avrebbero cessato di rimanere in vigore anche perchè esse erano superflue dati gli obblighi che il Patto della S.d.N. impone a tutti gli Stati.

Corbin rispondeva che Eden gli aveva detto di aver pensato che qualcuno degli Stati minori, che avevano accettato di dare garanzie supplementari chiedendone di reciproche da parte dell'Inghilterra, potesse desiderare che impegno stesso rimanesse in vigore per qualche tempo ancora temendo forse che l'Italia si inducesse a compiere rappresaglie contro qualche singolo Stato sanzionista. Eden aveva osservato al riguardo che la Francia si trovava in una

situazione diversa dagli altri garanti .verchè essa non aveva chiesto di ottenere reciprocità di garanzie.

A questo proposito Léger dettomi che, quando Eden a Ginevra aveva chiesto a Lavai se egli credesse che l'Inghilterra garantisse la Francia di intervenire, assistendola, nel caso in cui l'Italia aggredisse flotta francese, Presidente del Consiglio del tempo aveva risposto in modo categoricamente negativo spiegando ad Eden che egli non aveva negato all'Inghilterra la garanzia richiesta insistentemente soltanto perché si trattava, a suo avviso, di una ipotesi che non si sarebbe mai verificata. Appunto per questa ragione e perché considerava assurdo pensare anche uno solo momento alla possibilità di un conflitto franco-italiano in seguito a quanto stava accadendo in Etiopia e come conseguenza dell'applicazione di un provvedimento a ve n te carattere collettivo come erano sanzioni, non chiedeva nessuna reciprocità di garanzia da parte dell'Inghilterra.

Légér mi ha detto pure che, siccome risposta di Eden non gli era sembrata pienamente soddisfacente, occorrerà insistere presso di lui a Ginevra per fargli abbandonare un proposito che non può essere condiviso dalla Francia.

Circa Stato che aveva potuto desiderare mantenimento in vigore delle garanzie suddette, Léger mi ha detto che non deve trattarsi della Turchia, perché Tevfik Aras nel suo recente passaggio per Parigi si era espresso anche con lui negli stessi termini ricevendo risposta analoga a quanto Governo francese aveva telegrafato a Londra.

Nel ringraziare Léger per informazioni suddette gli ho detto che esse mi riuscivano tanto più gradite in quanto che conversazioni avute da Talamo con Bargeton (l) mi avevano prodotto cattiva impressione lasciando supporre che politica francese si potesse invece irrigidire in un societarismo ad oltranza.

Léger ha osservato che doveva esservi stato qualche equivoco o quanto meno che Bargeton non avesse saputo esprimere esattamente pensiero del Quai d'Orsay. Una volta abbandonata linea di condotta assunta al principio del conflitto itala-etiopico e deciso abbandono delle sanzioni come primo mezzo per produrre la détente desiderata, era logico che la Francia desiderasse perseverare nella via intrapresa. Sarebbe stato pertanto assurdo seguire una politica che anziché agevolare opera suddetta, ponesse bastoni fra le ruote.

Quello che Francia desiderava oggi era dì trovare una via di uscita la quale ponesse fine ai provvedimenti collettivi adottati nei riguardi dell'Italia dato che il conflitto itala-etiopico era terminato e che tutti avevano interesse sommo a che l'Italia ritornasse a collaborare attivamente alla sicurezza dell'Europa.

Poiché era noto attaccamento della Francia alla S.d.N. e poiché era suo desiderio di escogitare modo di porre organo ginevrino a riparo da ulteriore insuccesso, era naturale che la Francia si preoccupasse di salvarne la faccia. Ma una cosa non escludeva affatto l'altra.

Léger aggiunse che, per quanto riguardava, ad esempio, proposito di Saavedra Lamas, Francia avrebbe agito in modo da evitare che fosse invocato precedente del Manciukuo (impegno di tutti gli Stati societari di non ricono

scere singolarroente stato di cose creato dal Giappone) e che quindi azione della delegazione francese si sarebbe probabilmente svolta nel senso di deferire studio della questione ad una commissione, che avrebbe potuto riferire eventualmente soltanto all'Assemblea di settembre. Cosi si sarebbe guadagnato del tempo, che sarebbe stato tutto in favore dell'Italia.

Léger mi ha chiesto con molto interesse se potevo dargli qualche informazione circa documento che Governo italiano avrebbe presentato all'Assemblea (1).

Gli ho dato indicazioni di ordine generale promettendogli di comunicargli, a titolo confidenziale, testo non appena lo avessi ricevuto. Gli ho detto ad ogni modo che documento, redatto con somma cura, avrebbe certamente prodotto migliore impressione su tutti.

(1) Vedi DD. 320, 326 e 364.

(l) Vedi D. 364.

384

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6342/397 R. Parigi, 27 giugno 1936, ore 20,55 (per. ore 22,25).

Léger mi ha chiesto quale atteggiamento avrebbe tenuto Italia nei riguardi conferenza degli Stretti.

Ho risposto che nessuna decisione era stata presa al riguardo, cosa del resto naturale, dato che atteggiamento del R. Governo sarebbe dipeso dal modo con cui si sarebbero svolte le riunioni di Ginevra, dalle assicurazioni che avesse ricevuto circa cessazione delle garanzie supplementari mediterranee chieste dall'Inghilterra ed ottenute negli ultimi mesi dell'anno scorso da Francia, Turchia, Grecia e Jugoslavia e dal ritiro della flotta inglese dal Mediterraneo. In altri termini noi non avremmo potuto partecipare a discussioni, che ci interessavano in sommo grado, dato che eravamo la massima Potenza mediterranea, sino a che non avessimo certezza che erano cessati di esistere accordi stipulati fra altri Stati a nostro danno, come corollario delle sanzioni.

Léger espresse la speranza che noi potessimo essere presenti a Montreux quando lavori fossero ripresi e che questo è, ad ogni modo, il vivo desiderio della Francia e che agirà quindi da parte sua per cercare di eliminare ostacoli che si potrebbero frapporre alla nostra partecipazione. Ha aggiunto che quando Tevfik Aras passò per Parigi egli gli domandò, in presenza Delbos, come mai avesse insistito per riunione della conferenza di Montreux alla data 22 giugno, dato che convocazione fatta prima delle riunioni di Ginevra non poteva riuscire gradita all'Italia per ragioni evidenti e che sua insistenza aveva apparenza di sgarbo fatto di proposito al R. Governo. Tevfik Aras aveva mostrato stupore per tali parole di Léger sostenendo che Italia non aveva manifestato alcun desiderio di proroga della data e nemmeno lasciato intendere che convoca?.ione alla data suddetta le avrebbe impedito di partecipare ai suoi lavori.

Léger mi ha detto di avere insistito sulla inopportunità da parte Tevfik Aras di non voler tener conto di uno stato d'animo italiano, che era evidente e pertanto noto agli altri Gabinetti.

(l) Vedi D. 404.

385

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6344/68 R. Bucarest, 27 giugno 1936, ore 22,45 (per. ore 5 del 28).

Mio rapporto n. 363 del 13 corrente in arrivo stasera a Roma (1).

Le informazioni in possesso di questo addetto militare germanico, che è accreditato anche a Praga, circa la imminenza della firma di un patto romenorusso (2), nonchè circa il prossimo riconoscimento dei so vieti da parte della Jugoslavia, sono di provenienza cecoslovacca: sarebbero state diffuse dallo stesso ministro degli Affari Esteri. Esse hanno provocato molta emozione a Berlino, il cui Governo ha ordinato a Bucarest di controllarle presso Re Carol.

Il Sovrano che ha testé ricevuto questo mio collega di Germania gli avrebbe dichiarato, secondo quanto mi viene riferito da buona fonte, che la Romania è disposta concludere con i sovieti un patto di non aggressione e di assistenza ma non collegato con il patto fra la Russia e la Cecoslovacchia e ciò per evitare il passaggio di truppe russe sul territorio romeno.

Sovrano avrebbe aggiunto che i sovieti non sembrano attualmente propensi a impegnarsi su una base così limitata ciò che conferma quanto da parte mia ho esposto a V. E. con mio telespresso suddetto. Risulta anche inesatto che Jugoslavia intenderebbe riconoscere Governo sovietico.

Governo di Belgrado avrebbe soltanto fatto conoscere di non aver nulla da obiettare ad eventuale intesa fra Russia e Romania.

386

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AI MINISTRI A BUDAPEST, COLONNA, A TIRANA, INDELLI, E A VIENNA, PREZIOSI

T. RR. 3002/C. R. Roma, 27 giugno 1936, ore 24.

Secondo informazioni provenienti da Ginevra sembra da escludersi nella prossima Assemblea un impegno collettivo di non riconoscere annessione dell'Etiopia. Comunque una decisione di tal genere non potrebbe essere presa che con voto all'unanimità. R. Governo non dubita che se tale eventualità si presentasse

(per Vienna) delegato austriaco, coerentemente con l'avvenuto riconoscimento dell'annessione da parte dell'Austria,

(per Budapest e Tirana> delegato ungherese (albanese), coerentemente con linea tenuta durante tutto lo sviluppo della questione etiopica, ,

(per tutti) ed in conformità ai vincoli che legano i nostri due Paesi, darebbe voto contrario, Semplice astensione non avrebbe alcuna efficacia giacché non impedirebbe unanimità, In tal senso vengono anche interessati Governi

(per Vienna) ungherese ed albanese.

(per Budapest) austriaco ed albanese.

(per Tirana) austriaco ed ungherese.

Vari Governi tra cui Polonia Cile Svizzera Perù Equatore Uruguay hanno dato assicurazione che si opporranno ogni azione che impedisca ripresa collaborazione italiana. A tal fine si va facendo strada principio che questione riconoscimento deve essere lasciata all'apprezzamento dei singoli Stati. In sostegno di tale principio sarebbe opportuno che delegato codesto Governo prendesse posizione già in sede di discussione qualora l'andamento del dibattito lo richiedesse. Delegazione potrà tenersi in contatto al riguardo con funzionari italiani a Ginevra.

Prego V. R intrattenere su quanto precede codesto Governo e comunicarmi sua risposta.

(l) -Non pubblicato. (2) -Si veda in proposito il D. 279. (3) -l! telegramma era indirizzato anche alla delegazione italiana presso la S.d.N.
387

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. RR. 3014/144 R. Roma, 27 giugno 1936, ore 24.

Nei colloqui avuti con ambasciatore Cantilo cui si riferiscono miei telegrammi 122 e 126 (l) si rimase d'accordo che, a seguito affidamenti dati da Governo argentino che sua iniziativa non aveva alcun carattere ostile all'Italia ma era diretta ad affrettare soluzione della crisi, R. Governo nella sua nota a Ginevra sulla questione etiopica avrebbe considerato opportunità d'inserire un accenno all'adesione da esso data al Patto Saavedra Lamas (2). Cantilo da parte sua dichiarò che delegazione argentina si sarebbe astenuta da portare questione del non riconoscimento su terreno concreto del conflitto itala-etiopico.

R. Governo ho ora provveduto nel senso promesso menzionando esplicitamente nella sua nota adesione italiana al patto predetto. A tale affermazione italiana dovrà corrispondere logicamente affermazione non meno esplicita del delegato argentino all'Assemblea nel senso che principi del non riconoscimento da lui affermati prescindono nettamente da caso concreto relativo all'Etiopia, per il quale non possono non essere prese in considerazione circostanze fatte valere da nota italiana.

V. E. nel dar dovuto rilievo a gesto di amicizia e di fiducia col quale

R. Governo ha inteso far credito ad affidamento datogli da Argentina dovrà far comprendere che ci attendiamo che a tale gesto venga risposto con uguale lealtà ed amicizia inspirando a tali sentimenti dichiarazione con la quale delegato argentino imposterà discussione alla prossima Assemblea (2).

(l) -Vedi D. 273 e p. 389, nota l. (2) -Vedi p. 17, nota 3.
388

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6246/062 R. Belgrado, 27 giugno 1936 (per. il 29).

Ho chiesto a Stojadinovic -nel corso di una conversazione occasionale se Aras gli avesse parlato di una sua concezione relativa alla sopravvivenza degli accordi di mutua assistenza militare fra Inghilterra e gli Stati mediterranei dopo l'abolizione delle sanzioni.

Mi ha risposto che Aras gli aveva -come al solito -parlato diffusamente e tumultuariamente di sicurezza turca e di sicurezza collettiva in Mediterraneo in modo tale che egli -Stojadinovic --doveva confessare non essere riuscito a farsi un'idea precisa circa il pensiero di Aras. Doveva però dirmi ~-in verità che i discorsi di Aras non avevano avuto un senso anti-ìtaliano all'infuori di qualche allusione alle consuete preoccupazioni turche per i nostri armamenti nel Dodecanneso e per la presunta minaccia italiana verso l'Asia Minore. Aras aveva anche insistito sulla necessità dell'amicizia inglese ma non in funzione anti-italiana, anzi aveva accennato alla possibilità di riprendere il vecchio progetto di patto mediterraneo con partecipazione dell'Italia; a v eva espresso la speranza che l'Italia finisse coll'intervenire a Montreux e che colà si fosse potuto parlare anche del patto.

Stojadinovic ha completamente convenuto con me che una sopravvivenza degli accordi di assistenza militare mediterranea dopo la levata delle sanzioni era destituita di ogni base giuridica e non poteva sostenersi senza assumere significato proprio di coalizione anti-italiana; a tal proposito ha tenuto a ricordare che impegno preso da Jugoslavia verso Inghilterra è espressamente subordinato al caso di attacco italiano in dipendenza dell'applicazione delle sanzioni, in altre parole -mi ha detto -~ «noi abbiamo risposto parafrasando il disposto dell'art. 16 alinea 3 del patto della S d N.». Ha anche convenuto che l'ipotesi di costruire un patto di sicurezza mediterranea coll'Italia, sulla base degli accordi occasionali intervenuti in relazione al conflitto itala-etiopico sarebbe giuridicamente e politicamente assurda.

Stojadinovic poi constatava che la situazione creatasi a Montreux dopo le prime discussioni era ormai ben diversa da quella auspicata da Aras nei discorsi fatti durante il suo passaggio a Belgrado; (secondo Aras la Turchia avrebbe assunto la guardia degli Stretti e del Mediterraneo orientale per conto della Russia e dell'Inghilterra con tutti gli annessi e connessi di aiuti finanziari e bellici (v. mio telegramma n. 46 del 19 corr.) (1). Il secolare contrasto storico anglo-russo si ripresentava invece in pieno.

a Belgrado rìguardo alla conferenza di Montreux.

(l) T. 5920/46 R. delle ore 15,10, non pubblicat.o: riferiva lP dichiarazioni fatte da,. Aras

389

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6357/689 R. Ginevra, 27 giugno 1936 (per. il 28).

Ho avuto una lunga conversazione con Titulescu. Ha cominciato col criticare Beck per la decisione <<a titolo retrospettivo» che aveva preso scrivendo la lettera in data di ieri al presidente del Consiglio in materia di sanzioni (l).

Ha poi continuato dicendomi di avere avuto oggi stesso un lungo colloquio coll'ambasciatore Cantilo, il quale gli aveva spiegato che si proponeva di fare una dichiarazione molto vaga in materia di principi, nel corso della quale non «avrebbe neppure fatto il nome dell'Italia e dell'Etiopia». Cantilo si proponeva di ottenere che l'Assemblea emettesse «un voto» relativo ai principi del patto Saavedra Lamas {2) «concernente soltanto l'avvenire».

Titulescu ha obiettato a Cantilo che questa formula gli sembra pericolosa, poiché non è da escludere che qualche delegato dichiari di voler esaminare come si sia regolata la S.d.N., in materia, nel passato e precisamente nel caso del conflitto itala-etiopico. Egli trovava quindi che la miglior cosa sarebbe che del problema del riconoscimento, per quanto concerne l'Etiopia, non si parlasse affatto e che la discussione in seno all'Assemblea si aggirasse esclusivamente attorno ai principi dottrinali dell'art. 10 e del patto di Rio de Janeiro.

Anche a Titulescu ho detto che la miglior cosa da fare sarebbe che l'Assemblea lasciasse ogni Stato libero di regolarsi come crede in materia di riconoscimento senza pregiudicare in nessun modo il problema. Titulescu trova fondata questa tesi anche in dottrina oltre che nella realtà dei fatti ma ha dichiarato che egli non può farsene il patrocinatore. Comunque, se l'Assemblea si orienterà in tal senso, egli la seguirà ben volentieri.

Parlandomi infine della situazione politica generale Titulescu mi ha fatto un lungo esposto con molti ricorsi storici lamentandosi che il Duce non lo consideri più un amico dell'Italia. «Mentre nel 1927 e nel 1928 -egli ha detto -io ho trovato nel Duce una comprensione altissima, a partire dal giorno in cui, per opera del Patto a Quattro, ho dovuto dichiarare che la Romania non poteva vedere di buon occhio la costituzione di un direttorio di grandi Potenze, ho la sensazione netta che il Duce non mi consideri più come un amico del suo Paese. Eppure quando dissi al Duce che Take Jonesco si era rivolto a Sforza per ottenere che l'Italia si mettesse alla testa della Piccola Intesa e che il ministro degli Esteri italiano dell'epoca si era rifiutato di aderire a tale offerta, il Duce mi dichiarò che Sforza era stato un imbecille. Malgrado che io abbia, in tempi anche recenti, come nel 1932, cercato di ottenere che l'Italia prendesse il posto della Francia nella direzione della Piccola Intesa, non ho

33 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

mai trovato da parte italiana che si desse seguito alle mie avances. Resto tuttavia convinto che la geo-politica dell'avvenire, anche prossimo, deve portare ad una intesa stretta dell'Italia con la Romania, la Cecoslovacchia, la Jugoslavia e la Grecia».

Mi sembra superfluo esporre le obiezioni che ho fatto a questo tortuoso atto di contrizione di Titulesco, tanto più che egli nel corso della sua lunga conversazione ha inserito altri paradossali argomenti come quello di un prossimo riavvicinamento tra la Germania e l'URSS. Sfrondando il lungo discorso di tutta la fraseologia vuota e inutile, restano i seguenti punti che mi sembrano di particolare rilievo: l) Titulesco si propone di criticare in Assemblea l'Inghilterra per l'atteggiamento da essa assunto in materia di sanzioni; 2) Titulesco intende difendere il Patto ad oltranza sostenendo come ha già fatto ieri in Consiglio, che il Patto, così come è redatto, può garantire la pace del mondo, sopratutto se si arriverà a creare dei patti regionali di mutua assistenza. Quello che necessita è che vi sia la volontà da parte degli uomini di Stato responsabili a seguire fino in fondo le obbligazioni che il Patto comporta; 3) avendo io chiesto come egli conciliava la sua nota politica antirevisionista con l'atteggiamento assunto dalla Romania di fronte alla questione degli Stretti, mi ha risposto confessandomi candidamente che aveva dovuto fare di necessità virtù per impedire di sottostare all'egemonia della Russia spalleggiata dalla Turchia.

(l) -II 26 giugno il ministro d<egli esteri polacco aveva consegnato al presidente del Consiglio della S.d.N. una nota in cui, dopo aver constatato che le sanzioni non avevano raggiunto il loro scopo, si affermava che mantenerle le avrebbe trasformate in misure di carattere punitivo, contrarie allo spirito dell'art. 16 del Patto e si comunicava la decisione del governo polacco di porre fine alle sanzioni. (2) -Vedi p. 17, nota 3.
390

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6359/691 R. Ginevra, 27 giugno 1936 (per. il 28).

V. E. avrà notato, da quanto mi son permesso di segnalare fino ad oggi, che la tendenza generale delle delegazioni è di non compromettere il problema del riconoscimento. Tutte le delegazioni, dei grandi come dei piccoli Stati, si sono rese perfettamente conto, in base all'attitudine ferma assunta dal R. Governo, che qualunque tentativo per continuare la vecchia manovra di mantenere l'Italia in stato di accusa a Ginevra è destinato a pregiudicare irreparabilmente non solo la pace e la sicurezza dell'Europa, ma anche la vita e l'avvenire stesso della S.d.N. la possibilità di una riforma del Patto, di una sistemazione, in altre parole, del mondo su basi nuove e più fiduciose.

Su quella che sarà la formula definitiva che l'Assemblea adotterà in materia di riconoscimento è ancora prematuro fare delle previsioni precise, dato che la giornata d'oggi è stata la prima di una vera intensa attività diplomatica intesa a permettere alle varie delegazioni di avvicinare i diversi punti di vista e di concordare una linea d'azione che possa essere accettata dalla maggioranza degli Stati senza offrire motivo a critiche e reazioni destinate a compromettere la lenta opera di costruzione che si va facendo qui ora per ora. Le tesi abbondano: progetto di costituzione di una commissione che dovrebbe sottoporre all'esame dell'Assemblea di settembre in qual modo i principi dell'art. 10 del Patto si applicano al caso concreto dell'Etiopia; progetto di rinvio puro e semplice di tutto il problema all'Assemblea di settembre: progetto di un semplice voto concernente questioni dottrinali e di principio senza interferire nel caso concreto dell'Etiopia: progetto di sostenere che il problema del riconoscimento deve essere riservato all'apprezzamento sovrano e individuale di ogni singolo Stato e via di seguito. Una cosa, in mezzo all'abbondare e al moltiplicarsi di tutti questi tentativi di soluzione, mi sembra certa ed è che nessuno parla più, salvo qualche fanatico incosciente, di non riconoscere, attraverso una decisione collettiva, il nuovo stato di cose creato dalla vittoria italiana in Africa Orientale.

La notizia, infine che un memoriale italiano sarà presentato all'Assemblea e che esso costituirà il gesto tanto atteso da parte del Duce verso l'Assemblea, è destinata ad avere effetti considerevolissimi, per non dire addirittura decisivi, sull'orientamento finale della Società delle Nazioni.

391

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI POLONIA A ROMA, WYSOCKI (l)

APPUNTO. Roma, 27 giugno 1936.

E' venuto a vedermi l'ambasciatore di Polonia che mi ha comunicato che nel Consiglio dei ministri di oggi a Varsavia è stato deciso di abolire senza meno le sanzioni. Sono già stati impartiti gli ordini per la messa in esecuzione di tale provvedimento e si prevede che entro pochissimi giorni le sanzioni saranno di fatto abolite.

Non ho mancato di esprimere all'ambasciatore di Polonia il nostro vivo compiacimento per tale gesto nonché per la comunicazione fatta ieri a Ginevra (2).

392

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UU. 6340/268 R. Berlino, 28 giugno 1936, ore 2,56 (per. ore 7).

Stasera, in assenza Goering, Cancelliere ha ordinato a sottosegretario di Stato Milch di recarsi lunedì Hendon per partecipare personalmente alla giornata dell'Ala Inglese. Sembra che presenza sottosegretario di Stato tedesco sia stata richiesta da Governo inglese per controbilanciare profonda impressione destata da visita generale Valle (3) e da accoglienze veramente eccezionali tributategli. Di tutto questo generale Milch ha tenuto dare lui stesso notizia a generale Valle accompagnandola con espressioni del più esplicito e sincero realismo per Italia e aviazione italiana. Valle riparte Roma domani mattina.

(l) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 26-27.

(2) -Vedi p. 441, nota l. (3) -Vedi p. 427 nota 2.
393

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA

T. 3015/92 R. Roma, 28 giugno 1936, ore 24.

Pregola esprimere S. E. Beck vivo compiacimento ed apprezzamento del

R. Governo per amichevole gesto revoca delle sanzioni (l). Aggiunga che

R. Governo ha apprezzato dichiarazione da lui fatta che si riserva di prendere posizione in Assemblea in merito iniziativa Argentina quando avrà conosciuto dichiarazioni delegato Argentina (2).

394

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6296/704 R. Ginevra, 28 giugno 1936 (per. il 30).

Telegramma di v. E. n. 92 (3). Sono andato da Beck ad esprimergli l'alto compiacimento ed apprezzamento di V. E., per il suo amichevole gesto.

Beck è stato molto sensibile a questa manifestazione e mi ha pregato di ringraziare vivamente V. E. affermandomi che egli aveva agito, oltre che in coerenza all'atteggiamento realistico che ispira la sua politica, anche in armonia con i sentimenti di viva amicizia che lo legano all'Italia.

Ho detto allora a Beck che V. E. mi aveva autorizzato a dargli conoscenza, in via confidenziale, della nota che Ella ha diretto al presidente dell'Assemblea (4). Nessuno ne aveva avuto ancora conoscenza. Egli era il primo a cui ne davamo comunicazione come prova di particolare amicizia.

Beck mi ha detto che era grato a V. E. di questo gesto. Ha letto attentamente la nota ed alla fine mi ha detto che gli pareva redatta con molta abilità e con argomenti di indubbia efficacia. A suo avviso la nota avrebbe avuto un effetto positivo sugli umori dell'Assemblea e sulle conseguenti sue decisioni. A proposito di queste ultime poteva dirmi che dai contatti che aveva avuto con Eden, Delbos e altri delegati gli sembrava poter dedurre che i sentimenti generali erano di arrivare ad una soluzione che in nessun modo compromettesse il problema del riconoscimento. Si parlava molto di una mozione che l'Assemblea avrebbe dovuto votare. A lui sembrava inutile e pericolosa una tale procedura. « Parole su carta -ha precisato -sono sempre più pericolose di

semplici parole. Mio avviso è che le delegazioni facciano le loro dichiarazioni e si impegnino in dibattiti sulla riforma del Patto, il che può costituire un diversivo dégageant la discussione dai suoi aspetti più pericolosi. Ancora ad ogni modo non vi è nulla di preciso.

Ho esposto a Beck l'opportunità che vi sarebbe a patrocinare la nota tesi dell'individualità dell'azione da parte dei singoli Stati chiarendogli i vantaggi che avrebbe tale procedura anche dal punto di vista della S.d.N.

Beck ha detto che la procedura gli sembrava ottima. Tutto però sarebbe dipeso dall'impostazione che avrebbero dato alla discussione gli argentini la cui iniziativa -ha affermato Beck -è, e resta, quanto mai inopportuna e pericolosa. Nel congedarmi Beck si è espresso in termini di particolare calda cordialità verso l'Italia, V. E. e S.E. Bastianini, e mi ha assicurato che avrebbe ispirato la sua azione in modo assolutamente amichevole verso l'Italia.

(l) -Vedi p. 441, nota l. (2) -Per il seguito dato da Bova Scoppa a queste istruzioni sl veda 11 D. 394. (3) -Vedi D. 393. (4) -Vedi D. 404.
395

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6262/709 R. Ginevra, 29 giugno 1936, ore 14,40 (per. ore 17,25).

Ho veduto Delbos. Mi ha detto che iersera, nel convegno tra lui, Blum e Eden hanno convenuto di adottare una soluzione per quanto concerne riconoscimento che, pur senza contraddire ai loro principii, sia accettabile per l'Italia. La cosa che li mette in imbarazzo è che essi non conoscono ancora quali saranno i termini esatti della dichiarazione Argentina. Tuttavia sono rimasti d'accordo che la migliore soluzione è sempre quella di nominare una commissione di studio per l'esame del caso speciale, formula che sembra a Delbos destinata a liquidare in forma che non sia brusca e antipatica per la S.d.N.

Ho detto che, se non era possibile adottare la soluzione auspicata da questa delegazione e cioè che, a parte dichiarazioni di principio, del problema concreto non si parlasse neppure, mi sembrava che, in ogni modo, la commissione avrebbe dovuto riferire della questione al Consiglio e non più all'Assemblea. Ho aggiunto che tutto dipendeva anche dalla composizione di una tale commissione, Delbos ha detto che su questo sarebbe stato l'accordo. Mi ha aggiunto sperare che l'Italia avrebbe accettata una simile soluzione, che non pregiudicava in nessun modo il problema.

Sono stato molto riservato nel rispondergli dicendogli che noi chiedevamo che in un modo o nell'altro la questione venisse di fatto liquidata.

Delbos mi ha poi detto che per quanto concerne Locarno, Inghilterra e Francia sono già d'accordo per una riunione a Brusselle, ma forse meglio a Ginevra e che sperava vivamente che l'Italia vi avrebbe partecipato.

Ho dato poi lettura a Delbos, a titolo personale e confidenziale, della nota codesto ministero diretta a presidente dell'Assemblea (1).

Delbos l'ha letta con molta attenzione. Ha sottolineato con evidente soddisfazione il punto dove è detto che l'Italia nel compimento della sua missione intende ispirarsi al Patto; il punto relativo alle prestazioni militari, l'impegno che l'Italia informerà la S.d.N. sui progressi dell'Etiopia e i punti relativi all'equo trattamento del commercio per tutti gli Stati. Ma sopratutto soddisfazione Delbos è stata per penultimo alinea della nota e della frase «intendendo valutarli alla stregua della loro più efficace rispondenza agli scopi di comune accordo perseguiti» affermando che tale frase era in armonia col suo punto di vista per quanto concerne riforma del Patto. Delbos ha voluto prendere alcune note sul contenuto del documento per rìferirne esattamente a Blum. Mi ha aggiunto che considerava il documento come destinato a facilitare il compito dell'Assemblea.

396

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 6257/710 R. Ginevra, 29 giugno 1936, ore 15,50.

Ho chiesto a Litvinov se fra U.R.S.S. ed Inghilterra si fosse raggiunto un

accordo per quanto riguardava il problema degli Stretti. Mi ha risposto che ac

cordo non era stato ancora completamente raggiunto, ma che si era fatto un

gran passo avanti nel riavvicinare le due tesi.

In sostanza il Governo sovietico mirava a conservare i principi sanciti

dalla convenzione di Losanna sul regime particolare da riservare agli Stati ri

vieraschi del Mar Nero. Così come si organizzava la sicurezza per gll Stretti,

occorreva pensare alla sicurezza del Mar Nero. Tale necessità era tanto più

evidente dopo il fallimento della Società delle Nazioni. L'accordo che si era

raggiunto ieri sera portava su questo. L'Inghilterra ha chiesto che il tonnel

laggio globale delle navi appartenenti a Paesi non rivieraschi, che può tro

varsi nel Mar Nero, sia portato a trenta (dico trenta mila tonnellate). Egli ed

i turchi avevano insistito perchè non superasse le ventotto mila tonnellate al

massimo, ma poi avevano finito col cedere.

Per quanto concerneva i Paesi che hanno basi nel Mediterraneo, egli era

disposto ad accordare un «regime speciale» mentre non voleva accordarlo a

Paesi che non avevano alcun interesse in detto mare. Gli inglesi però non

hanno voluto seguirlo su questa via.

Mi ha detto esplicitamente che la tesi che sosteneva il Giappone gli era

indifferente. Quello che lo preoccupava era l'atteggiamento dell'Italia. Aveva

notizie che l'Italia si sarebbe schierata contro la tesi sovietica.

Ho risposto che doveva trattarsi di notizie stampa. Finora il Governo itallano non si era pronunciato. Se avesse, in dipendenza del buon esito delle questioni e domandando una urgente soluzione a Ginevra, giudicato opportuno di partecipare ai lavori di Montreux, non avrebbe mancato di far valere quei punti di vista e di esaminare, con la comprensione di cui aveva dato numerose prove nei rapporti itala-sovietici, la tesi russa.

Litvinov mi ha aggiunto, siccome V. E. aveva fatte dichiarazioni esplicite a Stein, di voler avviare i rapporti itala-sovietici su basi fiduciose. Sperava che effettivamente avremmo potuto essere presenti presto a Montreux e dimostrare comprensione per la speciale posizione del suo Paese.

(l) Vedi D. 404.

397

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N. BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 6252/711 R. Ginevra, 29 giugno 1936, ore 15,50.

Ho fatto leggere a Litvinov in via confidenziale la nota di V. E. (1). L'ha trovata molto felice nel contenuto ma mi ha subito dichiarato che gli dispiaceva di non trovarvi un accenno esplicito all'organizzazione della sicurezza collettiva.

Gli ho detto che la frase che « Governo italiano dichiara che è pronto a ridare la sua volonterosa e pratica collaborazione alla S.d.N. in vista della risoluzione di gravi problemi dai quali dipende l'avvenire dell'Europa e del mondo » era un chiaro accenno al problema cui egli faceva allusione.

Mi ha risposto siccome anche Hitler afferma gli stessi principi senza volersi impegnare in forma concreta, avrebbe preferito una menzione esplicita. Gli ho detto che il Duce aveva dato prove manifeste del suo desiderio di pace; che aveva replicatamente dichiarato come, una volta liquidata la questione etiopica, l'Italia sarebbe stata pronta a dare il suo concorso all'organizzazione della sicurezza su basi da concertare, ispirandosi suo sincero desiderio di vedere una Europa migliore, fiduciosa, riorganizzata in contrasto al caos di oggi. Bastava credervi. Ho messo poi in risalto a Litvinov il tono della nota che evita ogni spunto polemico, con gli elementi concreti di collaborazione che offriamo alla Società delle Nazioni e gli impegni che intendiamo assumere circa le prestazioni militari e le informazioni che forniremo a Ginevra sull'Etiopia.

Litvinov ha ammesso che si tratta di elementi di grande importanza.

Avendogli detto, a proposito di quello che farà l'Assemblea e il riconoscimento, che la migliore cosa sarebbe stata di lasciare libertà di condotta ai Governi, mi ha detto che aveva caldamente sostenuto questa tesi, che era la sua, tanto presso Eden che presso Blum e Delbos. Ma aveva notato che essa non era ben accetta e che Francia e Inghilterra preferivano orientarsi verso la costituzione di una commissione di studio. In ogni modo gli sembrava che,

se i sud americani non avessero complicato le cose, anche una tale soluzione avrebbe potuto essere considerata soddisfacente per l'Italia. Gli ho risposto che bisognava aspettare di ben vedere còmpito, composizione e finalità precise della commissione prima di pronunciarsi.

Mi ha infine detto che si proponeva di fare una dichiarazione in Assemblea, ma aspettava per definirne i termini e sentire come sarebbe stato impostato il problema degli argentini.

(l) Vedi D. 404.

398

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. uu. 6269/187 R. Buenos Aires, 29 giugno 1396, ore 16,10 (per. ore 22,30).

Mi ha chiamato in questo momento al telefono Saavedra Lamas (l) e mi ha detto testualmente quanto segue: «Tengo ad assicurarLa che la dichiarazione che farà domani la delegazione argentina a Ginevra sarà unicamente una affermazione di principio, senza riferirsi in alcun modo specificatamente al caso itala-etiopico».

Confermo vedrò più tardi personalmente suddetto ministro degli Affari Esteri.

399

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 6264/713 R. Ginevra, 29 giugno 1936, ore 19.

Avendo chiesto ad Eden se avesse concordato una linea di azione comune ieri con Blum e Delbos, mi ha risposto di no. Gli ho detto che me ne stupivo molto perchè ad analoga domanda rivolta a Delbos questo mi aveva risposto di sì (2). Eden è rimasto interdetto. Mi ha allora detto che effettivamente un accordo non c'era; che lui intendeva vedere in qual modo l'Assemblea si sarebbe orientata. Quanto alla commissione di cui mi aveva parlato stamane Delbos gli sembrava che fosse inutile. (Ho messo questo diniego di Eden in relazione a quanto mi ha detto Monteiro e cioè che gli inglesi vogliono puramente e semplicemente rinviare il problema del riconoscimento davanti alla prima sessione dell'Assemblea di settembre innestandolo al problema della riforma del Patto). Le commissioni di studio, ha continuato Eden, non hanno più niente da stu

diare ormai sulla questione etiopica. Quanto al punto di vìsta inglese desiderava essere esplicito: l'Inghilterra non (dico non) avrebbe riconosciuto il nuovo stato di cose.

Avendomi poi detto che aveva sentito parlare della nota italiana (l) ma che non ne aveva avuta conoscenza, ho creduto opportuno, visto che, giusta gli ordini di V. E. ne avevo dato visione a Delbos, Litvinov, e Beck, di fargliela leggere, a titolo personale e confidenziale.

Eden ha esaminato la nota con molta cura. Alla fine mi ha detto testualmente «mi aspettavo qualche cosa di più». Gli ho risposto che nessuno certo si attendeva qualche cosa di più. Il gesto italiano così moderato, così pieno di senso di collaborazione, ispirato ad un così sincero desiderio di pace, era un'offerta generosa e addirittura insperata, dato come la S.d.N. si era regolata nei confronti dell'Italia. Noi speravamo che tale offerta avrebbe trovato una eco adeguata in Assemblea. Comunque non avevamo nulla da chiedere. Era all'Assemblea di accettare quello che offrivamo.

Eden mi ha allora detto che l'impegno di non levare un esercito indigeno in Etiopia era molto vago. Ho risposto che niente ci obbligava a prendere un tale impegno che le altre Potenze coloniali non avevano mai preso. Se avevamo fatto quella dichiarazione e in quei termini era stato appunto in uno spirito di pacificazione, e per calmare certe apprensioni che si erano manifestate in alcuni Paesi.

Eden ha aggiunto che la cosa comunque non avrebbe soddisfatto il Sud Africa. Ho risposto che me ne dolevo per il Sud Africa. Eden mi ha detto infine che si sarebbe riservato di studiare meglio la nota appena ne avesse avuta una copia.

In complesso il ministro degli Esteri inglese è stato piuttosto secco e mi è parso che l'atmosfera ginevrina stia ripigliando il sopravvento su di lui. Lo vedremo meglio durante l'Assemblea.

(l) -A seguito delle istruzioni ricevute (vedi D. 387) Arlotta aveva telegrafato di non aver potuto incontrare Saavedra Lamas a causa della giornata domenicale ma di averglifatto la comunicazione prescrittagli per lettera (T. 6242/185 R. del 29 giugno 1936, ore 1.52). (2) -In proposito vedi D. 395.
400

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6268/120 R. Bruxelles, 29 giugno 1936, ore 20 (per. ore 22).

Mio telegramma n. 119 (2). Ho veduto ministro degli Affari Esteri subito dopo un Consiglio di Gabinetto tenutosi stamane e poco prima della sua partenza per Ginevra.

Mi ha detto che delegazione belga all'Assemblea della S.d.N., animata dal convincimento della necessità di recuperare al più presto la collaborazione dell'Italia alla sicurezza europea, metterà ogni diligenza perchè nel dibattimento sia evitato tutto ciò che possa ostacolare tale ricupero e particolarmente

ogni discussione circa annessione dell'Etiopia. Anche il problema dell'ammissione dei delegati dell'ex Negus sarà, secondo lui, risolto negativamente, tale risultando essere anche intenzione dell'Inghilterra e della Francia. Con quest'ultima, il Belgio ha evidentemente a quest'ora una intesa preventiva non solo circa ogni singolo problema, ma anche circa tutto lo svolgimento della sessione dell'Assemblea sotto la presidenza di van Zeeland.

Il primo ministro ha occupato intera mattinata e intero pomeriggio nella discussione per il voto di fiducia alla Camera dei deputati, la quale siede in permanenza per permettergli di partire al più presto. Se voto potrà essere accelerato, van Zeeland partirà stasera stessa via Parigi.

Dalle recenti conversazioni avute con lui, dalle suddette assicurazioni del ministro degli Affari Esteri e dalle pressioni che la opinione pubblica del suo Paese esercita su di lui per una sistemazione pronta e definitiva della questione etiopica, sarebbe lecito attendersi che, nell'esercizio delle sue funzioni a Ginevra, van Zeeland si ispirerà a criteri pratici, astenendosi da pericolose affermazioni di principio e favorirà, nel peggiore dei casi, delle soluzioni di rinvio. Permane sempre tuttavia un certo rischio di deviazione da parte sua per i riflessi dell'ambiente societario, nonchè per la presenza del senatore belga Rolin della Seconda Internazionale. Mi permetto pertanto suggerire di utilizzare presso di lui, ad ogni buon fine, l'influenza di Beck, con il quale egli è divenuto assai intimo in seguito al recente avvicinamento politico belga-polacco.

Telegrafato Roma e Ginevra.

(l) -Vedi D. 404. (2) -Con T. 6251/119 R. del 29 giugno, ore 10,45, Vannutelli Rey aveva informato che, secondo notizie giunte a Bruxelles, molte delegazioni avevano dichiarato di essere favorevoli ad eleggere van Zeeland presidente dell'Assemblea della Società delle Nazioni.
401

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6288/65 R. Berna, 29 giugno 1936, ore 22,15 (per. ore 2,15 del 30).

Motta si fece oggi dare istruzioni dal Consiglio Federale favorevoli immediata e incondizionata levata sanzioni e favorevoli altresì, con riferimento questione riconoscimento nostro dominio in Etiopia, ad una azione non contraria desiderio Italia che renda possibile, senza ritardo, ripresa nostra collaborazione alla S.d.N. Consiglio Federale ha autorizzato Motta, quando ritenga opportuno, a fare dichiarazioni pubbliche in questo senso.

Avendo io detto che Eden avrebbe dichiarato non voler prendere iniziativa levata sanzioni, Motta ha detto che se altri non la prendesse e questi minacciasse soluzione contraria quella desiderata e quasi creduta sicura, egli vorrebbe ottenere autorizzazione Consiglio Federale presentare proposta necessaria per soppressione sanzioni. Egli mi sembra tema sinceramente decisione contraria nostri interessi e si proponga profittare sua partecipazione presidenza Assemblea per operare su larga scala nel senso accennato. Egli ha espresso già suo pensiero in proposito nelle due adunate degli Stati neutri, nelle quali dice che si sono trovati concordi su la levata sanzioni, su una soluzione sospensione circa affare riconoscimento Etiopia italiana, discordi invece sulla riforma S.d.N., avendo specialmente la Spagna dichiarato che il Patto non si deve toccare.

Ministro degli Affari Esteri olandese voleva non si levassero sanzioni senza avere ottenuto dall'Italia garanzia levata controsanzioni, ma ha prevalso opinione contraria ad ogni negoziato in materia, sostenuta da Motta. Il quale circa pretesa di non riconoscere annessione Etiopia, ha ricordato, con fervore, inutilità precedente del Manciukuo, rilevando che, fra poco, tutti saranno obbligati riconoscere questa situazione, malgrado tutti gli impegni.

Motta, che è contrario piano francese per riforma S.d.N., afferma che i ministri cosidetti Stati neutri, presenti seduta, erano tutti, ad eccezione Spagna, favorevoli abolizione del principio sanzionista. Madariaga è stato sconfessato in seduta da Barcia, che ha rifiutato i piani da lui presentati per una riforma della S.d.N.

402

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FoNOGRAMMA 6274/721 R. Ginevra, 29 giugno 1936, ore 23,30.

In base alle istruzioni di V. E. O) mi sono subito adoperato con tutti i mezzi e in tutti gli ambienti a mettere in risalto che l'Assemblea della S.d.N., per ragioni di dignità e di prestigio, non può ammettere che domani o dopo salga alla tribuna un ras schiavista e negriero che dopo avere disonorato il suo Paese, tradito il suo popolo, fatta incendiare la capitale, rubato il tesoro dello Stato, disertato davanti al nemico, venga ad impartire una lezione di morale politica, pseudo diritto e di male odorante filosofia a 52 Stati civili!

Sopratutto con Delbos e con Avenol (che mi hanno ricevuto subito) ho fatto valere le ragioni per cui l'Italia non può ammettere che, dopo averle fatto subire una condanna ingiusta, un assedio economico e morale e una minaccia di sanzioni sempre più gravi, Ginevra, proprio nel momento in cui il Governo fascista con una generosità senza precedenti fa un gesto di collaborazione leale ed una offerta di proporzioni di portata insperata, permetta a un transfuga barbaro di ricominciare con le accuse, le calunnie e gli insulti sotto il pretesto del diritto e sotto la copertura del Patto. Era giunta l'ora di finirla con le formule giuridiche che nascondevano una manovra ben chiara dei nostri avversari, di guadagnarsi cioè una apparente rivincita sul terreno morale, lasciando che il transfuga nero -che aveva salvato la pelle e defraudato l'oro dello Stato abbandonando il suo popolo -leggesse una delle consuete elucubrazioni antifasciste e pietistiche, redatte dal professore Jeze ad uso della galleria internazionale. Potevo assicurare entrambi che se, con la loro autorità, non si fossero adoperati immediatamente per impedire che si giungesse a questa indegna farsa, il Governo italiano avrebbe agito in conseguenza: ritirato il suo gesto amichevole ed abbandonato ogni speranza di intesa.

Delbos mi ha francamente detto che capiva la nostra reazione. Mi ha aggiunto che già, avendo avuto sentore della cosa, aveva chiamato Jeze per sconsigliargli di far parlare Tafari. Sembrava anche a lui che l'ex sovrano si esponesse a una situazione veramente grottesca salendo alla tribuna dell'Assemblea. Ho detto a Delbos che, visto che si era già adoperato in tal senso e teneva ad impedire che tutti gli sforzi fatti per arrivare ad un'intesa venissero frustrati, forse irreparabilmente, occorreva che egli interponesse la sua autorità e facesse valere la sua energia. Mi ha promesso di farlo, aggiungendo però che bisognava rendersi conto che se l'ex Negus avesse insistito per intervenire e parlare, l'Assemblea non avrebbe potuto espellerlo, né tanto meno prendere decisioni subito in materia, senza, di fatto, decidere sul merito del riconoscimento. Ho risposto che la soluzione poteva essere trovata agendo presso la Commissione di verifica dei poteri. Tutti i suoi membri mi avevano promesso di circondare la convalida dei poteri di riserve e di restrizioni. Se tali riserve avessero portata proprio sulla autorità personale di chi aveva rilasciato i poteri, si poteva togliere all'ex Negus ogni velleità di venire in Assemblea, e, al massimo, consentirgli di assistere dalle tribune del pubblico alle sedute, se proprio ci teneva. Delbos mi ha promesso che si sarebbe subito adoperato per cercare una soluzione.

Ad Avenol ho esposto gli stessi argomenti. Il segretario generale mi ha detto che comprendeva la nostra reazione. Tuttavia gli sembrava che non valesse la pena di sopravalutare l'importanza della cosa. Si trattava di un vinto che avrebbe recitato l'ultimo atto del suo dramma. Ho risposto che non si trattava di un vinto con l'onore delle armi ma di un disertore sul campo che si era squalificato moralmente davanti agli occhi dell'umanità. Avenol ha dovuto ammettere che questo era il sentimento di tutti i delegati. Una quarantina erano convenuti ad un the oggi presso di lui. Da nessuno aveva sentito parole di simpatia per il fuggiasco. Anzi Tevfik Aras aveva detto forte, in tono dispregiativo: «Noi turchi ammettiamo un sovrano che difenda il suo Paese alla testa delle truppe. Non ammettiamo chi lo difende nei salotti degli alberghi».

Ho detto ad Avenol che se questo era il sentimento unanime dei delegati, più facile sarebbe stato a lui, in quanto segretario generale della Lega, ottenere, attraverso i metodi che avesse giudicato i più opportuni, che non si distruggesse con una farsa indecorosa (nel corso della quale si sarebbe coperto, forse, di insulti l'esercito italiano) tutta l'opera ardua che stavamo facendo

per cercare di rasserenare l'ambiente e favorire una soluzione.

Avenol, pur facendo le consuete riserve di ordine giuridico (che gli ho suggerito di abbandonare per guardare in faccia la realtà) mi ha promesso di agire come potrà ed ha insistito perché analoga azione venga svolta presso Van Zeeland, che, come presidente dell'Assemblea, avrà da dire la sua parola al riguardo.

Vedrò Van Zeeland domattina e insisterò energicamente presso di lui.

V. E. voglia degnarsi tener presente, comunque, che sul discorso dell'ex Negus puntano, nella speranza di una rivincita curialesca, tutti i vinti, i disertori della verità e tutti gli incendiari dell'Europa.

(l) Vedi anche 11 D. 155.

403

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6373-6374/075-076 R. Vienna, 29 giugno 1936 (per. il 1° luglio).

Mio telegramma per corriere n. 071 del 22 giugno (1).

Cancelliere mi ha stamani detto che von Papen gli ha chiesto di vederlo nel corso di questa settimana, dovendosi recare subito dopo a Eerlino per conferire con Hitler. Cancelliere ha soggiunto di aver visto von Papen, per

pochi minuti, due giorni fa, e ài avergli ben chiarito che il modus vivendi, cui egli è disposto, è un negoziato che dovrà passare direttamente ed esclusivamente tra il Governo di Vienna e quello di Berlino, e cioè in modo affatto

indipendente dal partito nazionalsocialista.

Schuschnigg è incline a ritenere che questa imprescindibile sua condizione sia la vera causa delle resistenze che i nazisti austriaci ed i nazionalsocialisti tedeschi -specie il Gaufiihrer di Monaco -cercano di opporre al favorevole

sviluppo dei negoziati: i primi con i molteplici incidenti che continuano a provocare in Austria, i secondi tanto col consigliare tale ultima attività, quanto con una azione loro propria.

Nel corso del colloquio, Schuschnigg ha poi fatto qualche allusione alle ragioni che lo persuadono al modus vivendi con Berlino: «un vero e proprio modus vivendi -ha precisato -giacchè non può parlarsi d'altro con l'attuale Germania». Fra i motivi accennati, egli ha con insistenza menzionato l'attuale situazione politica interna della Francia e l'atteggiamento violento ed aggressivo del laburismo inglese, circostanze per cui l'Austria sente di dover ancora meno contare su Parigi e Londra. Cancelliere ha quindi accennato ai vantaggi che potrebbero derivare specialmente all'Europa centrale e balcanica da una qualche intesa fra i Paesi retti da regimi autoritari. Ma a tale ultimo riguardo egli si è schivato dal venire a precisazioni o dal definire in qualche modo il suo pensiero.

Ancora una volta Cancelliere ha voluto stamane accennarmi all'avvicinamento che egli crede vada delineandosi fra l'Ungheria e la Jugoslavia, quasi a corollario degli stretti legami che da tempo egli asserisce essersi formati, financo a mezzo di segreti trattati, fra la Jugoslavia e la Germania.

Questa volta Schuschnigg si è limitato a dirmi che, in fatto di modus vivenài, oltre a quello austro-tedesco, può prevedersene un altro: quello ungarojugoslavo, nei cui riguardi peraltro egli non ha saputo dirmi alcunchè di più concreto.

(l) Vedi D. 343.

404

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL PRESIDENTE DELL'ASSEMBLEA DELLA S.D.N., VAN ZEELAND

NOTA. Roma, 29 giugno 1936 (1).

A l'occasion de la réunion de l'Assemblée de la Société des Nations, j'ai l'honneur de prier V. E. de bien vouloir porter à la connaissance des Délegués des États Membres ce qui suit:

l. -Le Gouvernement Italien a précisé et documenté, dans une série de communications écrites et orales adressées au Conseil et à l'Assemblée de la Société des Nations, la situation existant en Ethiop1e, les circonstances qui ont précédé et provoqué l'action italienne, les condìtions dans lesquelles elle s'est déroulée, le but hautement politique et civil dont l'Italie s'est constamment inspirée. Le Gouvernement Italien, faisant suite aux dites communications auxquelles il a l'honneur de se référer, tient à rappeler et à préciser, méme par rapport aux événements les plus récents, les points qui suivent en vue d'une appréciation équitable de la situation.

2. -Le Gouvernement Italien tient tout d'abord à rappeler que son attitude à l'égard de la Société des Nations, malgré les mesures qui ont été appliquées pour la première fois par les États Membres contre l'Italie, a été caractérisée par la bonne volonté avec laquelle il s'est toujours déclaré disposé à examiner, dans un esprit favorable, toute initiative et à ne négliger aucune occasion permettant d'entamer des négociations en vue d'une solution.

Les tentatives qui ont été faites dans ce sens sont bien connues. Le plan Laval-Hoare, communiqué à Genève, à Rome et à Addis Abéba le 11 décembre 1935, et que le Gouvernement Italien se préparait à examiner avec la plus grande attention, n'eut aucune suite, parce qu'il fut rejeté par le Négus le 12 décembre; ce plan fut considéré comme caduc avant méme que le Gouvernement Italien se fut prononcé à son égard.

Le 3 mars 1936 le Comité des Treize adressait un appel aux Parties pour un règlement de conciliation. Le Gouvernement Italien répondit le 8 mars à cet appel, en se déclarant prét à entrer en négociations. Il y a lieu de rappeler qu'après l'appel du Comité des Treize et pendant le mois de mars tout entier, les troupes italiennes ne prirent aucune initiative dans les opérations militaires. Ce fut le Négus qui au début d'avril engagea ses troupes dans la bataille qui a été décisive, et, ensuite, croyant de pouvoir résister, il lança un nouvel appel de mobilisation qui resta sans réponse de la parte des populations.

Au cours des conversations qui eurent lieu à Genève les 15 et 16 avril, avec le Président du Comité des Treize, assisté du Secrétaire Général, le représentant du Gouvernement Italien précisa les modalités des négociations afin de les entamer dans des conditions susceptibles d'aboutir à des résultats

concrets. En suggérant la méthode des négociations directes comme étant la plus approprié aux circonstances, le Gouvernement Italien acceptait en meme temps que le Comité des Treize fù.t tenu au courant des développements des négociations en restant à la disposition des Parties pour toute collaboration qu'elles eussent estimée utile.

Le 16 avril le Gouvernement éthiopien opposa encore une fois un refus. Dans ces conditions le 18 avril 1936 le Conseil constatait l'échec de la tentative de conciliation. Il est aujourd'hui permis de révéler que le Gouvernement Italien avait cherché à activer des contacts confidentiels qui eurent lieu à Athènes et à Djibouti, entre des représentants des deux Parties.

3. -Deux semaines après le refus du délégué éthiopien à Genève, le Négus s'enfuyait d'Addis Abéba, suivi de quelques membres de son Gouvernement, et se réfugiait à l'étranger, convaincu qu'il était de ne pas avoir l'appui des populations et se sentant au contraire menacé par la révolte du peuple et des guerriers qu'il avait, lui-meme, mobilisés. Lors de la retraite de Dessié ce soulevement coutra en effet la vie à quelques personnages de la suite du Négus.

Avant meme que les troupes italiennes eussent atteint Addis Abéba, la rudimentaire organisation gouvernementale de l'Éthiopie avait cessé d'exister. La capitale de l'Éthiopie avait été délibérément abbandonnée au pillage et aux incendies; l'intervention italienne était invoquée pour la protection des Légations étrangères. L'Italie trouvait le pays livré à un désordre effroyable. Rarement dans l'histoire des peuples l'écroulement d'un régime et d'une dynastie tut sanctionné d'une manière aussi claire et nette par ses propres actes et par la volonté des populations.

Dès lors il était du devoir de l'Italie d'assumer les responsabilités que la situation lui imposait et d'instaurer un ordre nouveau répondant aux besoins et aux sentiments des populations, et propre à assurer la paix et le progrès.

Tous ces éléments éclairent d'une lumière définitive l'action de l'Italie.

4. -Un examen approfondi de la situation ne saurait évidemment faire abstraction des conditions qui sont propres à la plus grande partie du continent africain, et surtout du besoin incontestable des populations éthiopiennes d'etre protégées dans leurs droits élémentaires à la vie, à la liberté personnelle et religieuse, à l'intégrité de la famille et à la jouissance des biens, ainsi que de leur besoin d'etre acheminées, tout comme les autres populations africaines, vers ces formes d'organisation civile et de progrès économique, social et culture! que l'Éthiopie a irréfutablement démontré de n'etre pas à méme d'assurer par ses propres forces.

En annexe au Mémorandum du 4 septembre 1935 figurait une longue série de publications documentaires émanant d'auteurs de nationalités et de croyances politiques différentes, et qui prouvent d'une manière irréfutable les conditions de l'Abyssinie. Tout récemment il y a eu lieu d'enregistrer comme

étant spécialement significatifs les témoignages de personnalités de différents pays qui, ayant longtemps habité l'Éthiope et ayant parfois meme accompagné les troupes éthiopiennes en campagne, ont fait spontanément des déclarations touchant les conditions réelles de l'ancien régime et dévoilant les causes profondes de dissolution qui ont hiìté sa fin. La presse en relate chaque jour.

5. -Le besoin d'atteindre un niveau de vie plus humain est profondément ressenti et réclamé par les populations éthiopiennes, qui l'ont incontestablement démontré en se dressant contre le régime du Négus et en accueillant les troupes italiennes camme celles qui leur apportaient la liberté, la justice, la civilisation et l'ordre. Tous les chefs civils et religieux des pays traversés ont immédiatement donné leur adhésion et leur collaboration au Gouvernement Italien; après la fuite du Négus presque tous les principaux Ras de l'ancien Empire Éthiopien sont venus spontanément faire acte de soumission. Meme des régions !es plus éloignées de l'ouest et du sud de l'Éthiopie, des soumissions de chefs civils et militaires parviennent continuellement.

Ces sentiments des populations ont été confirmés d'une façon solennelle par la manifestation qui a en lieu le 9 juin dernier (l). Toutes !es notabilités civiles plusieurs anciens ministres aussi bien que les notabilités religieuses de l'Éthiopie, ayant à leur tete l'Abouna. !es représentants des couvents qui ont toupiurs été considérés en Éthiopie camme !es dépositaires de la tradition nationale, ont preté serment de fidélité au Roi d'Italie. Empereur d'Ethiopie. Cette manifestation constitue un témoignage irréfutable de la volonté des populations qui étaient soumises au Négus Hai"lé Selassié de répudier et de déclarer déchu le pouvoir de celui-ci et de manifester leur attachement et leur loyalisme au Roi d'Italie, Empereur d'Éthiopie.

La preuve que ces adhésions ont été faites dans un esprit de pleine confiance et tout à fait spontanément est fournie par le fait que la vie du pays a repris son cours paisible, les marchés leur aspect habituel, que !es demandes de travail parviennent sans cesse, que toutes !es classes de la population apportent leur concours à la grande oeuvre de civilisation et d'outillage du pays entreprise par l'Italie.

La volonté des populations et leur collaboration au nouveau régime constituent des éléments d'appréciation dont on ne saurait contester ou sous-estimer la signification et l'importance.

L'Italie, pour sa part, a pris l'engagement solenne!, vis-à-vis des populations de l'Éthiopie, d'assurer la paix, la justice, la sécurité et d'entreprendre dans le pays tout entier l'oeuvre la plus féconde d'élévation morale et matérielle conformément à ses traditions civilisatrices.

6. -L'Italie considère l'entreprise, à laquelle elle s'est vouée en Éthiopie, camme une mission sacrée de civilisation qu'elle entend accomplis en s'inspirant des principes du Pacte de la Société des Nations et des autres actes

internationaux qui ont défini la tiìche des Puissances ci.vilisatrices. L'Italie assure le traitement équitable des populations indigènes, en s'employant à développer leur bien-etre moral et matériel et en favorisant leur progrès social. Dans le but d'associer les populations intéressées à cette oeuvre de civilisation, des personnalités indigènes feront partie d'un Corps consultatif déjà institué auprès du Gouvernement général. Le respect des croyances religieuses et le libre exercice de tous les cultes qui ne soient pas contraires à l'ordre public et aux bonnes moeurs, sont pleinement garantis. Chacune des races habitant l'Éthiopie jouit du libre usage da sa propre langue. L'esclavage et le travail forcé qui constituaient une honte de l'ancien régime, ont été supprimés. Les charges fiscales qui seront prélevées sur les habitants seront exclusivement affectées aux besoins du territoire.

L'Italie est disposée à adhérer pour sa part au principe que les indigènes ne soient pas astreints à des obligations d'ordre militaire, si ce n'est pour assurer la police locale et la défense du territoire.

Les dispositions nécessaires seront prises pour assurer la garantie et le maintien de la liberté des communications et du transit ainsi qu'un traitement équitable du commerce de tous les États.

Ce sera un titre d'honneur pour l'Italie que d'informer la Société des Nations des progrès réalisés dans l'oeuvre de civilisation de l'Éthiopie, dont l'Italie a assumé la lourde responsabilité.

7. -Le Gouvernement italien est convaincu qu'une coopération loyale et effective entre les États répond à l'aspiration profonde des peuples vers un avenir plus haut et meilleur.

S'attendant à ce que la Société des Nations apprécie dans un esprit de juste compréhension la situation qui s'est produite en Éthiopie, le Gouvernement italien déclare qu'il est pret à apporter à nouveau sa collaboration effective à la Société des Nations en vue de la solution des graves problèmes dont dépend l'avenir de l'Europe et du monde. C'est dans cet esprit que l'Italie a adhéré entre autre au Traité de Rio de Janeiro du 10 octobre 1933.

Le Gouvernement Italien réaffirme la conviction, désormais généralement acceptée, que la Societé des Nations a besoin d'une réforme appropriée et il est pret à participer à son étude et à sa réalisation.

Conscient du ròle qui lui revient, ainsi que de la responsabilité dans la solution des problèmes dont dépend l'avenir des peuples, le Gouvernement Italien n'a pas d'idées préconçues ni de réserves préjudicielles à formuler, en ce qui concerne les formes et les instruments internationaux à adopter à cet eftet, se proposant de les apprécier uniquement au point de vue de leur efficacité par rapport aux buts poursuivis d'un commun accord.

Le Gouvernement Italien ne peut toutefois s'abstenir de rappeler la situation anormale dans laquelle l'Italie a été placé, ainsi que la nécessité d'écarter sans retard les obstacles qui ont entravé et continuent d'entraver la réali

34 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

sation de l'oeuvre de coopération internationale que l'Italie souhaite sincére ment et à laquelle elle est préte à apporter son concours concret en vue du maintien de la paix.

(l) La nota fu consegnata 11 30 giugno.

(l) Allude al giuramento di fedeltà di ras Hallù e di altri capi.

405

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN (l)

APPUNTO. Roma, 29 giugno 1936.

È venuto a vedermi Chambrun, il quale mi ha chiesto particolari ulteriori sulla nota da noi indirizzata a Ginevra (2).

Gli ho dato lettura degli ultimi due capoversi.

Egli ha dichiarato che il tono della nota e quanto in essa avevamo esposto, avrebbe determinato un'impressione molto favorevole a Ginevra.

Mi ha parlato poi del punto di vista francese circa l'eventualità di una riforma del Covenant. Mi ha più o meno esposto i concetti contenuti in un promemoria che sabato scorso aveva consegnato a S. E. Bastianini e che unisco al presente appunto (3).

In breve, il criterio di Chambrun, che espone a titolo personale e non per incarico ufficiale avuto dal suo Governo, sarebbe quello di limitare la riforma ad un'azione interpretativa di alcuni articoli. In pratica si tratterebbe di stabilire patti regionali di assistenza militare, col concorso di una applicazione generale di sanzioni economiche e finanziarie.

Per parte mia gli ho detto che noi non avevamo ancora proceduto ad uno studio circa la riforma del Patto ma ci eravamo limitati ad osservare, sulla base delle notizie apparse, i diversi punti di vista dei Governi che avevano già parlato in merito. Il criterio espresso dal Governo cileno e già sostenuto da altri Governi della localizzazione del conflitto, non ci appariva privo di interesse.

II signor Chambrun ha continuato la conversazione chiedendomi insistentemente se in questi ultimi tempi accordi politici e militari fossero intervenuti tra noi e la Germania. L'ho escluso, pur non nascondendo che la situazione come si era sviluppata particolarmente per l'azione svolta dall'Inghilterra e dalla Francia, aveva determinato molti elementi di mutua comprensione tra i due popoli.

Chambrun ha vivamente insistito con me sulla necessità di trovare un mezzo per riannodare in forma ancora più stretta i rapporti itala-francesi, ripetendo più volte un suo concetto personale, secondo il quale in Europa gli accordi «orizzontali » portano alla pace, mentre quelli «verticali » condurrebbero inevitabilmente a una guerra (4).

(-4) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

(l) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 27-28.

(2) -Vedi D. 404. (3) -Non pubblicato.
406

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON HASSELL (l)

APPUNTO RR. Roma, 29 giugno 1936.

Ho ricevuto questa sera von Hassell il quale, in via riservatissima e con preghiera di darne personale notizia al Duce, mi ha comunicato che il Fiihrer lo aveva incaricato di far conoscere che, quando si giudicherà matura la questione del riconoscimento, egli sarà disposto a prenderla senz'altro in favorevole considerazione e senza chiedere alcuna contropartita.

Non ho mancato di ringraziare von Hassell di tale comunicazione e di dirgli che essa costituisce un nuovo apporto alle buone relazioni italo-tedesche.

Ho richiamato l'attenzione di von Hassell sul discorso pronunciato a Parigi dal signor Duff Cooper (2) e gli ho fatto presente quanto il Duce mi disse due giorni or sono. Ciò ha vivamente impressionato von Hassell, il quale mi ha detto che per conto suo aveva già rilevato il contenuto indubbio del discorso Duff Cooper.

Ho dato infine lettura a von Hassell dell'ultima parte della nostra nota (3), che egli ha approvato (4).

407

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. R. P. l. Vienna, 29 giugno 1936.

Ritornato a Vienna venerdì, ho avuto lo stesso giorno e ieri due conversazioni circa le trattative in corso per un modus vivendi fra l'Austria e la Germania.

Contro le previsioni del mio amico di qui e contro le esperienze di precedenti tentativi, von Papen, al quale i testi degli schemi elaborati dal Cancelliere Schuschnigg (sui quali ebbi a riferire a Roma il 19 corr.) (5) erano stati consegnati il 20 corr., fu in grado, già il giorno 26 corr., non solo di dare a nome di Berlino una risposta di massima favorevole, ma di presentare un controprogetto.

(-4) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

Questa sollecitudine e l'esame del controprogetto germanico consentireb· bero un minore pessimismo sulle possibilità di raggiungere un accordo. Il controprogetto germanico presenta due sostanziali differenze:

la prima, là dove al riconoscimento, da parte del Governo del Reich, dell'indipendenza statale dell'Austria e del regime autoritario quivi vigente, fa seguire una riserva espressa per il diritto del popolo austriaco di decidere liberamente sul proprio avvenire sia come compagine statale sia come regime;

la seconda, là dove chiede maggiori libertà d'azione, non solo culturale, nell'ambito della Vaterltindische Front e più larga rappresentanza nel Governo (due ministri anzichè uno) per i gruppi «nazionali» dell'Austria.

La prima disposizione è ritenuta inaccettabile in quanto contrasterebbe con la Costituzione austriaca e si presterebbe ad agitazioni ed interventi a favore di un plebiscito che potrebbe annullare la stessa garanzia dell'indipendenza statale e aprire il varco, se non all'Anschluss puro e semplice, alla così detta Gleichschaltung dell'Austria al Reich, con conseguenze pratiche equivalenti, anche agli effetti internazionali.

La seconda disposizione è considerata suscettibile di esame ulteriore nei particolari e non dovrebbe costituire ostacolo insormontabile ad un accordo.

Il Cancelliere Schuschnigg sta redigendo un nuovo testo che -respinta la prima richiesta su accennata -tenga conto, nei limiti del possibile, delle osservazioni (alcune di carattere formale, altre di natura amministrativa ed economica, e non essenziali) del controprogetto del Reich. Egli ha fissato un nuovo colloquio con von Papen per domani martedì 30 corr.

Il Cancelliere, grato per le comunicazioni che ho potuto fargli in base al nostro colloquio del 19 corr., ha esaminato con me le parti del progetto che possono, direttamente o indirettamente, interessarci ed ha aderito ad alcune mie osservazioni e precisazioni. Così ha senz'altro riconosciuto l'opportunità di meglio determinare nel testo dell'accordo, là dove si accenna ai rapporti di politica estera tra la Germania e l'Austria, la posizione dell'Austria verso l'Italia.

Come Ella ricorderà, nel primo schema Schuschnigg, richiamandosi alla nota dichiarazione di Dollfuss secondo la quale l'Austria, in virtù e per effetto del suo carattere nazionale tedesco, non avrebbe mai agito internazionalmente contro gli interessi del popolo tedesco e della civiltà tedesca, si dichiarava che «il Governo Federale austriaco manterrà sempre la sua politica in generale, e in particolare rispetto al Reich tedesco, su di una linea fondamentale che corrisponda al fatto che l'Austria si riconosce come Stato tedesco». Mentre questa disposizione che dovrebbe disarmare i più tra i propugnatori dell'Anschluss, era contenuta nel vero e proprio modus vivendi a pubblicarsi, in un secondo atto, segreto, da scambiarsi all'atto della firma del primo, il Cancelilere austriaco avrebbe dovuto dichiarare che il Governo austriaco era pronto a tener conto.; nella sua politica estera, « delle tendenze pacifiche della politica estera del Governo del Reich, con che non sono toccati i Protocolli di Roma del 1934 e i protocolli aggiuntivi agli stessi del 1936 (l) ».

Avevo subito osservato: l) che quest'ultima riserva per i Protocolli di Roma avrebbe dovuto trovar posto per ovvie ragioni, di sostanza e anche « ottiche», nello stesso atto principale, dove si faceva la dichiarazione generale circa la politica estera dell'Austria rispetto al Reich; 2) che la riserva avrebbe dovuto non limitarsi alla citazione dei Protocolli di Roma del 1934 e 1936, ma anche ai loro ulteriori sviluppi, e in generale ai rapporti di amicizia e di collaborazione esistenti tra l'Austria e l'Italia (rispettivamente l'Ungheria).

Per caso, il controprogetto germanico propone pur esso di riunire in una sola sede le due dichiarazioni riguardanti la politica estera e precisamente nella dichiarazione da scambiarsi tra i due Cancelileri all'atto della firma del modus vivendi generale. Il Cancelliere Schuschnigg approfitterà di tale desiderio di Berlino per dare alla dichiarazione sulla politica estera una formulazione unitaria e nella sostanza terrà conto -così mi ha assicurato -di quanto ho ritenuto opportuno di prospettargli.

Per tal modo si avrebbe un implicito riconoscimento da parte del Governo del Reich dei rapporti esistenti tra l'Austria e l'Italia e in generale tra i firmatari dei Protocolli di Roma. L'Austria non solo confermerebbe i suoi impegni verso di noi nel momento stesso in cui regolerebbe i suoi rapporti di carattere internazionale col Reich, ma creerebbe con questo atto, senza nostro intervento, ma con nostro vantaggio, una specie di ponte, e insieme un limite, per un'eventuale collaborazione germanica alla politica danubiana sulla piattaforma della preesistente e prevalente amicizia dell'Austria verso l'Italia. Verrebbe così esclusa per l'avvenire ogni possibilità di conflitto tra la politica austrogermanica c la politica austro-italiana e si assicurerebbe che in caso di un contrasto d'interessi politici od economici tra i due gruppi l'Austria sarebbe vincolata, per questa sua nuova esplicita dichiarazione verso la Germania, agli obblighi risultanti dai suoi rapporti con l'Italia.

All'ottimismo che potrebbe essere giustificato allo stadio attuale di queste conversazioni, contrasta una certa ripresa di agitazioni naziste, che, se anche non si manifesta in fatti gravi, fa suppore che, almeno nei settori estremi del nazismo, si tenda a frustrare il tentativo di accomodamento. Il fatto che nel controprogetto presentato da von Papen, non si sia tenuto conto dei postulati estremisti dei gruppi nazionali austriaci, da me già riferiti (lettera mia a Suvich del 30 maggio scorso) (1), potrebbe essere sintomo favorevole, ma potrebbe anche far sospettare che pur in questo caso si manifesti un diverso atteggiamento (una «divisione di parti», come altra volta scrissi) tra il Fiihrer e il Governo del Reich dall'una parte e il partito nazionalsocialista germanico dall'altra, specialmente in questi organi e gruppi che da Monaco hanno maggiori contatti e influenze nella questione austriaca.

Come ho riferito in precedenti mie lettere a Suvich, è in ogni modo evidente il vantaggio di un modus vivendi tanto nei nostri riguardi (perchè alleggerirebbe la nostra posizione rispetto al Reich), quanto nei riguardi interni dell'Austria. In quest'ultimo riguardo, il modus vivendi non solo toglierebbe, almeno in gran parte, autorità e mezzi all'agitazione antiaustriaca, ma di fronte

a nuovi incidenti darebbe maggiore forza alla reazione e repressione del Governo federale austriaco e porrebbe dalla parte del torto, specialmente innanzi all'opinione pubblica internazionale, gli organi del Reich, che, dopo aver concluso il modus vivendi con l'Austria, tollerassero o non condannassero quelle agitazioni. Specialmente se resteranno nei testi definitivi del modus vivendi le disposizioni che impegnano non solo il Governo del Reich, ma anche il partito NSDAP e tutte le organizzazioni dello stesso.

Le recenti manifestazioni naziste di Graz, il ricomparire delle fiale lacrimogene (di accertata provenienza berlinese) in alcuni teatri e cinematografi viennesi, le nuove manomissioni di alcuni cippi e monumenti in onore di Dollfuss, fanno temere, in alcuni circoli, incidenti più gravi in occasione delle com~ memorazioni che con particolare solennità si vogliono celebrare a Vienna e nei capoluoghi dei Lander nella ricorrenza biennale dell'assassinio di Dollfuss.

Il Cancelliere federale sarebbe lieto se prima di quella data (25 luglio) potessero essere definite le conversazioni in corso. Ad ogni modo, sta prendendo ogni più energica misura.

Schuschnigg mi si è detto molto sodisfatto della rinnovata azione della Vaterliindische Front dopo la riorganizzazione unitaria. (Hanno introdotto, con altri nomi, il Dopolavoro e una specie di Carro di Tespi ed hanno intensificato l'organizzazione della gioventù). Ne attende risultati sempre migliori in estensione e profondità, come ha potuto accertare in viaggi e riunioni recenti nel Tirolo, nell'Austria superiore e inferiore, che si propone di proseguire nelle prossime settimane.

Anche l'ordinamento della Frontmiliz unica procederebbe bene, mercè l'accordo perfetto tra lui e il Vicecancelliere Baar che terrebbe continui contatti, utili, con Starhemberg, il cui nome egli ha volentieri consentito che fosse dato ad un battaglione d'assalto della nuova Milizia. I temuti conflitti con le Heimwehren non si sono verificati e sarebbero ormai esclusi.

La compagine dell'esercito è solida e affronta con molto fervore i problemi inerenti all'attuazione graduale della legge sul servizio obbligatorio. Le operazioni di leva dànno pur esse prova dello spirito patriottico delle giovani generazioni.

L'agitazione nazista non risparmia neppure l'esercito; ma, come mi ha assicurato il Cancelliere, senza alcun effetto. Dei manifestini sobillatori fatti recapitare clandestinamente agli ufficiali (in occasione del terzo annuale del divieto del nazismo in Austria, disposto da Dollfuss il 19 giugno 1933) sarebbero stati tutti subito consegnati dai destinatari ai propri superiori con deplorazione del fatto e riconferma di fedeltà e disciplina.

Avendo incontrato occasionalmente in questi giorni Baar e Zernatto, i due «heimwehristi » che fanno parte del Gabinetto con autorizzazione di Starhemberg, mi hanno manifestato la loro piena soddisfazione per il modo in cui si svolge la loro collaborazione con Schuschnigg, e il loro fiducioso ottimismo per l'avvenire.

Rivedrò il mio amico domani martedì, prima e dopo il suo nuovo colloquio con von Papen. Avrò modo così di trasmettere con il prossimo corriere le notizie sui nuovi testi e sull'ulteriore modus procedendi che Schuschnigg vorrebbe

concretare con il ministro di Germania in vista di una definizione possibilmente sollecita delle trattative.

Per espressa preghiera del Cancelliere Schuschnigg voglia caro Ciano presentare a S. E . .il Capo del Governo, al quale per il di Lei tramite queste comunicazioni sono riservate, i suoi omaggi più cordiali e devoti con la espressione della sua fiducia che questo suo tentativo abbia, come già in massima ebbe alla Rocca delle Caminate, l'alta approvazione del Duce.

Il Cancelliere m'incarica anche dei suoi più vivi saluti ed auguri per Lei, e non mi ha nascosto la speranza che, quando la situazione lo consenta, l'onore della prima o di una delle prime visite del nuovo ministro degli Affari Esteri d'Italia sia riservato a Vienna e all'Austria (1).

(l) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 28-29.

(2) -n 24 giugno il ministro della guerra britannico, Duff Cooper, aveva dichiarato in un discorso tenuto ad un banchetto in suo onore, a Parigi, che l'amicizia tra la Francia e la Gran Bretagna era di importanza vitale per i due Paesi ed aveva usato altre espressioniche, riesumando il concetto della frontiera britannica sul Reno, sembravano indicare la tendenza a realizzare un'alleanza tra Francia e Gran Bretagna in contrasto con gli impegnidi Locarno. Le dichiarazioni di Duff Cooper avevano avuto una vasta eco in Europa, soprattutto in Germania, e ne era seguito un dibattito alla Camera dei Comuni durante il quale il governo aveva confermato che il discorso era stato sottoposto preventivamente al Foreign Office che lo aveva approvato. (3) -Vedi D. 404. (5) -Vedi D. 327.

(l) Vedi p. 59, nota 2 e p. 112, nota l.

(2) Non rinvenuta.

408

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. R. P. 2. Vienna, 29 giugno 1936.

All'ultimo momento il mio amico mi fa sapere che nuove difficoltà sarebbero sopravvenute ad ostacolare una rapida prosecuzione delle trattative per il noto modus vivendi, a cui si riferisce la mia lettera odierna n. l (2).

Da fonte che non può non tenere in seria considerazione, gli sarebbe pervenuto il consiglio di non impegnarsi in un accordo pubblico con il Reich, che dovesse implicare, da parte di uno Stato profondamente e costituzionalmente cattolico come l'Austria, un riconoscimento esplicito del Regime nazista che sta, ideologicamente e praticamente, in contrasto aperto con la Chiesa Cattolica e la Santa Sede.

Il mio amico si vede perciò indotto a rivedere e rallentare le trattative con von Papen. Egli non intende però di rinunziare al tentativo di normalizzazione dei rapporti con il Reich e si propone di chiarire a chi gli ha recato quel consiglio, la portata e i limiti del progettato modus vivendi, già ideato in massima anche da Dollfuss. Si riserva di farmi più precise comunicazioni nei prossimi giorni, anche perchè intende prima controllare le notizie che gli pervengono da varie parti sia di un aperto dissidio tra Berlino e Monaco sulla convenienza dell'accordo con l'Austria, sia circa le prospettive che alla conclusione di un tale accordo formale con il Governo del Reich corrl.sponda in pratica una effettiva normalizzazione di rapporti anche da parte degli. organismi del partito nazista (1).

(l) -Il presente documento reca il visto d! Mussol!n!. (2) -Vedi D. 407.
409

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.d.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 6305/730 R. Ginevra, 30 giugno 1936 (1).

Ho avuto una lunga conversazione con van Zeeland, al quale ho consegnato a titolo di informazione personale copia della nota di V. E. (2) con riserva di presentargli il testo originale oggi stesso, appena sarà eletto presidente dell'Assemblea.

Ho richiamato l'attenzione del primo ministro belga sui punti del documento che egli ha trovato molto buono e destinato a contribuire ad una sicura giusta visione della situazione.

Ho detto poi a van Zeeland che il Governo italiano era lieto di saperlo eletto alla presidenza in quanto la sua nomina costituiva garanzia di imparzialità. Van Zeeland mi ha ringraziato affermando che per quanto era in lui avrebbe fatto tutto il possibile per avviare i lavori dell'Assemblea verso conclusioni che fossero accettabili per Italia e tali da far ristabilire rapidamente i rapporti fra essa e la S.d.N.

Ho chiarito allora a van Zeeland, riprendendo gli argomenti che avevo svolto ieri con Delbos ed Avenol (3), che tutto questo non sarebbe potuto accadere se l'Assemblea avesse ammesso Tafari a parlare. Facevo appello alla sua autorità di presidente ed al suo alto spirito di comprensione perché si rendesse conto che l'Italia non poteva più tollerare nè condanne, nè lezioni morali, nè ingiurie e tanto meno da una larva di uomo che si era screditato davanti agli occhi del mondo civile.

Van Zeeland mi ha risposto che si era reso conto di cw. Aveva incaricato i giuristi di esaminare se vi erano appigli che permettessero di opporsi alla nomina di Tafari come delegato. Non ve ne erano perchè egli come capo di Stato si era delegato da sé. Ho risposto che la questione non andava posta sul terreno giuridico ma sul terreno politico e che l'ex Negus non era più capo di Stato che per quella consorteria di nemici dell'Italia che volevano speculare sulla farsa indecorosa che qui si organizzava. Tenevo a segnalargli che, come presidente dell'Assemblea, egli avrebbe fatto bene ad impedire che il grottesco della situazione, in cui si sarebbe venuta a trovare l'Assemblea stessa, tramutasse quest'ultima in un teatro con sommo spasso per l'Europa intera.

Ad ogni buon fine tenevo a segnalargli che se Tafari avesse riscosso applausi da parte della sua coorte di ammiratori in seno all'Assemblea, un gruppo numeroso di giornalisti italiani avrebbe logicamente ed energicamente reagito contro tale provocazione. Ne sarebbe nata una gazzarra in cui sarebbero affogati la dignità e il prestigio dell'Assemblea.

Van Zeeland mi ha risposto che comprendeva benissimo questa situazione. Si era già adoperato per far capire a Tafari che l'Assemblea non gli avrebbe potuto riconoscere la qualifica di capo di Stato, ma semplicemente quella di capo di delegazione che chiede parità con tutti gli altri delegati e ciò dal momento che egli si era posto alla testa della cosiddetta delegazione etiopica. Sperava con questo di indurre l'ex sovrano a rendersi conto della situazione di disagio in cui si sarebbe venuto a trovare anche da un punto di vista protocollare ed indurlo a rinunciare al proposito manifestato. Avrebbe agito poi anche per altre vie. Teneva però a dirmi con la massima franchezza che egli non aveva potere per impedire al Negus di entrare all'Assemblea e di parlarvi se quest'ultimo avesse proprio insistito. Una decisione del Bureau dell'Assemblea avrebbe costituito una decisione sul fondo stesso del problema. Era quindi impossibile. Se malgrado tutti i suoi sforzi la cosa non avesse potuto essere evitata, pregava V. E. di non voler sopravalutare l'evento. Egli era d'avviso che era meglio che l'ascesso lo si svuotasse in una volta sola senza pensarvi poi più. Ho detto a van Zeeland che non potevo che riservare completamente l'atteggiamento del R. Governo per il caso l'eventualità, che entrambi deprecavamo, si fosse verificata. Confidavo tuttavia che egli con la sua autorità e nella sua veste di presidente avrebbe agito con la massima energia e secondo la procedura più opportuna per impedire che la situazione si complicasse di nuovo, forse irreparabilmente. Rivedrò van Zeeland nel pomeriggio.

(l) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. (2) -Vedi D. 404. (3) -Vedi D. 402.
410

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 6329/740 R. Ginevra, 30 giugno 1936, ore 22,15.

Nota italiana (l) prodotto impressione generale ottima.

Discorso di Cantilo ha posto chiaramente dilemma che se la S.d.N. non accetterà principi sud americani Argentina abbandonerà S.d.N.

Per quanto concerne discorso del Negus esso è stato letto tra l'indifferenza generale anche perchè pronunciato in lingua amarica. Notato l'attacco che egli ha sferrato alla S.d.N., alla Francia e all'Inghilterra e che ha creato un senso di disagio nell'Assemblea. Tafari è apparso sempre più a tutti uno strumento di Jèze che questi manovra ai fini del Fronte Popolare e per i suoi attacchi contro la politica di Laval: bisognava riconoscere che senza l'incidente sorto in seguito alla reazione spiegabilissima ed umana dei giornalisti italiani (2) l'effetto psicologico della seduta sarebbe stato favorevolissimo alla nostra tesi.

Naturalmente elementi giornalistici sono molto eccitati sopratutto negli ambienti francesi. È inutile aggiungere che il fermento è grande nei circoli a noi ostili tipicamente ginevrini i quali affermano, che è la prima volta nella storia della S.d.N. che avviene nell'aula dell'Assemblea una manifestazione simile. Dimenticano costoro che è la prima volta che la S.d.N. accoglie nel suo seno un disertore, ladro ed incendiario e gli manda allo ingresso un funzionario, il sig. Pastuhow, in tight per fargli da battistrada mentre il presidente lo onora nel dargli la parola chiamandolo « Sua Maestà il Negus Hailé Selassié ». Comunque sarebbe errato negare che l'impressione della reazione anticipata dei giornalisti italiani ha determinato un certo disagio. Mentre è unanime fra i delegati la preoccupazione che a quanto è successo possa seguire una reazione romana ancora più grave, c'è la tendenza sempre nelle delegazioni a non sopravalutare l'incidente e a guardare al fondo buono di questa prima seduta con l'augurio che, calmatesi le acque, i lavori dell'Assemblea possano riprendere verso le soluzioni favorevoli scontate da molti.

Mi adopero in tutti gli ambienti per mettere in luce: l) che avevo già prevenuto personalità responsabili delle conseguenze serie che avrebbero potuto derivare dal puntiglio di Tafari e sopratutto da quello dei suoi ispiratori a intervenire all'Assemblea per insolentire l'esercito italiano definito « massacratore di donne e bambini con mezzi barbari»; 2) che una prima provocazione è nata da qualche tentativo sia pur timido di manifestazione in favore di Tafari da parte di elementi locali; 3) che una provocazione grave per i giornalisti italiani, di cui alcuni reduci dall'A.O., era già costituita dalla presenza dell'ex Negus all'Assemblea proprio nel momento in cui l'Italia dava prova, con la sua nota, di così grande senso di moderazione e di così alto spirito di conciliazione, malgrado la sua vittoria definitiva e totale.

Tuttavia, ad onta dei miei sforzi intesi a chiarire gli avvenimenti per impedire la speculazione inevitabile che sarà tentata sulla stampa a noi ostile,

V. E. può essere certo che la reazione giornalistica sarà vivace. A molti che mi sono venuti a chiedere quali decisioni saranno adottate dal R. Governo, dichiaro che le reazioni a Roma saranno energiche contro questa immonda commedia che con tutti i mezzi abbiamo desiderato di evitare. Ed evito naturalmente le precisioni. Da notare che oggi all'atto del fermo dei giornalisti italiani erano proprio i loro colleghi stranieri che manifestavano la più viva indignazione.

In conclusione la giornata ai fini diplomatici è attiva per noi. Ai fini della morbosa sensibilità dell'antifascismo ginevrino presenta lati spettacolari e speculativi che saranno sfruttati dalla stampa e dagli ambienti a noi ostili. Con grande ansia si attende qui che cosa dirà Roma. Ginevra si agita ma sopratutto di paura.

(l) -Vedi D. 404. (2) -Non appena il Negus aveva iniziato a parlare davanti all'Assemblea della S.d.N., un gruppo di giornalisti italiani aveva cominciato a schiamazzare e a fischiarlo. I giornalisti erano stati allontanati ed alcuni di loro erano stati arrestati. Vedi anche il D. 413.
411

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND (l)

APPUNTO. Roma, 30 giugno 1936.

È venuto a vedermi l'Ambasciatore britannico, il quale, dopo avermi chiesto notizie della salute di Anna Maria (2), ha subito comunicato di essere spiacente di dovermi portare uno sgradevole messaggio.

Mi ha detto infatti che data la deposizione fatta nel processo di Malta dal noto D'Elia, il quale ha giurato di essere stato pagato dal Console Generale Ferrante per compiere atti di spionaggio nell'arsenale di Malta, il Governo britannico chiedeva l'immediato allontanamento di Ferrante da Malta riservandosi di procedere alla espulsione qualora entro un massimo di quattro giorni il Console Generale non avesse lasciato l'Isola.

L'ambasciatore britannico chiedeva una mia risposta immediata.

Gli ho detto invece che non potevo àargli nessuna risposta fino a tanto che non fossi stato in possesso di elementi forniti dal nostro Console Generale, ma che comunque facevo fin d'ora rilevare la gravità della richiesta basata su una testimonianza unilaterale senza prove materiali e senza dichiarazioni di sorta da parte del nostro R. Rappresentante.

Ho detto al signor Drummond, il quale mi ha lasciato il qui unito appunto (3), che la mia risposta gliela avrei fatta tenere non appena possibile. Ho approfittato dell'occasione per dar lettura al Drummond della nota diretta a Ginevra (4). Il signor Drummond l'ha approvata e mi ha detto che a suo parere essa servirà notevolmente a spianare la via.

Ho preso atto di questa sua dichiarazione, ma gli ho fatto rilevare che un nuovo ostacolo era rappresentato dall'intervento del Negus ai dibattiti dell'Assemblea. Ciò sul Governo e sul popolo italiano aveva prodotto una penosa impressione. Bisognava comunque che le Delegazioni responsabili a Ginevra si rendessero conto della gravità della cosa e impedissero ogni manifestazione che potesse suonare oltraggiosa per l'Italia, e che avrebbe potuto avere qui conseguenze gravi.

Il signor Drummond ha risposto che si rendeva conto di tale nostra impressione, che per parte sua ci consigliava di ignorare l'intervento del Negus che sarebbe passato senza rilievo, e che avrebbe comunque telegrafato alla sua Delegazione, affinchè questa si adoperasse ai fini di evitare manifestazioni favo~ revoli all'ex Imperatore di Etiopia.

(l) La seconda parte del presente documento, relativa alla nota italiana a Ginevra, è edita in L'Europa verso la catastrofe, p. 29.

(2) -Anna Maria Mussolini, figlia del Duce. (3) -Non pubblicato. (4) -Vedi D. 404.
412

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL MINISTRO DI SVIZZERA A ROMA, RUEGGER

APPUNTO. Roma, 30 giugno 1936.

Ho convocato il ministro di Svizzera al quale ho parlato in tono assai duro secondo le istruzioni ricevute dal Duce.

Egli ha cercato di giustificare l'atteggiamento della Svizzera dicendo che un gesto unilaterale analogo a quello polacco (l) avrebbe fatto perdere alla Svizzera tutta l'influenza che essa ancora esercita a Ginevra per facilitare la soluzione del problema delle sanzioni. Comunque gli argomenti addotti dal signor Ruegger erano molto deboli, né ho mancato di controbatterli opportunamente.

Il ministro di Svizzera è rimasto impressionato e mi ha detto che telegraferà subito a Motta e che è suo vivo desiderio che un gesto svizzero possa togliere subito dall'animo del Duce il risentimento contro il suo Paese (2).

413

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 30 giugno 1936.

I giornalisti italiani avevano avuto ordine tassativo di trattenersi e reagire soltanto se Tafari fosse stato applaudito e opponendo dopo una manifestazione contraria.

L'entrata nell'aula di Tafari è stata silenziosa. Quando invece è salito alla tribuna essendo anche qualche applauso partito dal pubblico, i giornalisti italiani non hanno resistito ed hanno fischiato. Sono stati espulsi. Qualcuno anche arrestato.

La cosa non ha avuto, pare, serie conseguenze, tranne qualche reazione di applausi. Bova Scoppa dice che nel complesso è valsa ad accentuare il lato farsesco della questione.

I giornalisti italiani sono stati subito liberati. Le proporzioni dell'incidente sono, secondo Bova, modeste. Egli, anzi osserva che la reazione dei corrispondenti italiani è stata tutt'altro che sfavorevolmente giudicata in relazione anche alla violenza del discorso di Tafari.

Degno di rilievo è l'atteggiamento della delegazione austriaca che, con PflUgel alla testa, non appena Tafari ha cominciato a parlare, ha lasciato l'aula dell'Assemblea.

(l) -Vedi D. 391. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl.
414

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2030/880. Madrid, 30 giugno 1936 (per. il 7 luglio).

Il 23 giugno u.s. il R. Console in San Sebastiano inviava contemporaneamente all'E. V. ed a questa R. Ambasciata il suo telegramma n. 8 (1), segnalando l'imminenza di un movimento rivoluzionario delle destre, sotto gli auspici della Germania.

Non ritenni di dare alcun seguito a tale segnalazione, rientrando nel novero delle voci che in !spagna quasi giornalmente circolano su imminenti colpi di scena da parte delle destre o dei comunisti, talvolta anche con precisazione dell'ora d'inizio del movimento.

Lo stato di anarchia che esiste nel Paese non esclude che da un momento all'altro abbia a prodursi un'azione diretta contro l'attuale Governo, cui si fa colpa di gran debolezza di fronte agli elementi più estremi, e da qualche tempo si insiste nel preannunziare una non lontana azione di Indalecio Prieto per la formazione, con lui a capo, di un Governo forte, possibilmente rafforzato dalla concessione di pieni poteri. Ma anche qui siamo nel campo delle voci.

Ho ritenuto peraltro opportuno invitare il marchese Paternò ad astenersi dal trasmettere direttamente all'E. V. notizie di carattere politico allarmistiche e non controllate. Il R. Console giustifica la sua urgente segnalazione con un rapporto (2) a base di informazioni a sfondo romanzesco, di cui, a titolo di amena curiosità, mi onoro di trasmettere copia qui unita a V. E.

La presente circostanza mi induce ad insistere sulla opportunità di una sollecita sostituzione del marchese Paternò, il quale potrebbe essere utilmente trasferito in altra sede che non richieda, come i R. Uffici in Spagna in questi momenti, serenità di giudizio e spiccato senso di responsabilità.

415

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, BELLARDI RICCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1737/600. Varsavia, 30 giugno 1936 (per. l'8 luglio).

Ho l'onore di segnalare a V. E. lo speciale interessamento che si sta dimostrando in questi ambienti politici e giornalistici circa l'orientamento delle relazioni italo-tedesche in vista delle informazioni diffuse dalla stampa estera sui presunti intensificati contatti fra Roma e Berlino. Si può in sintesi affermare che, sinora, almeno, si è qui di preferenza portati a credere che un effettivo e conclusivo avvicinamento fra l'Italia e la Germania non sia avvenuto.

12) Non rinvenuto.

Interessante è una corrispondenza da Berlino della Gazeta Polska in cui, affermando che gli allarmi di alcune capitali europee sugli accordi fra Roma e Berlino sono eccessivi ed esagerati, si sottolinea che non bisogna dare eccessiva importanza alle apparenze. La corrispondenza esamina in seguito gli interessi italiani e tedeschi che sono paralleli, ad eccezione di uno, il problema austriaco, problema di capitale importanza che non potrà essere risolto con soddisfazione delle due parti. Perciò -osserva la corrispondenza -è oggi interesse dell'Italia mantenere i buoni rapporti con la Germania onde allontanare una soluzione germanica del problema dell'Austria. Nel frattempo Francia ed Inghilterra potranno riflettere sulla situazione e forse tornare alla concezione del Patto a Quattro. La corrispondenza conclude affermando che Roma e Berlino si accorderebbero certo volentieri, ma ne sono impedite perché ognuna di esse vorrebbe veder risolta in suo favore la questione dell'Austria (1).

(l) Vedi D. 341.

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IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. P.R. 3. Vienna, 30 giugno 1936.

Ella avrà avuto in giornata da Preziosi la comunicazione ufficiale dell'invito rivolto da Eden e Delbos anche a nome di Blum al Cancelliere Federale Dr. Schuschnigg a recarsi d'urgenza a Ginevra a conferire con loro, e della risposta negativa del Cancelliere austriaco (2).

Schuschnigg ha tenuto oggi stesso a comunicarmi alcuni particolari, con preghiera di portarli a conoscenza, riservatamente, di S. E. il Duce e di Lei.

Il delegato permanente austriaco a Ginevra gli aveva telefonato che nelle intenzioni di Eden e Delbos, i quali avrebbero agito sotto l'influenza di Titulescu e di Puric, i colloqui a Ginevra avrebbero dovuto avere per oggetto i seguenti argomenti:

l) un allargamento della base politica interna in Austria, specialmente verso le sinistre democratiche, e una conseguente riforma della Costituzione; 2) i rapporti tra l'Austria e la Piccola Intesa; 3) le preoccupazioni per un preteso progetto austriaco di prossimo plebiscito per la restaurazione monarchica.

La conoscenza di questo programma ha raffermato il Cancelliere nel proposito di non dare seguito all'invito.

Egli ha incaricato il delegato austriaco a Ginevra di comunicare ai ministri degli affari esteri francese e inglese, in aggiunta alle ragioni d'indole formale indicate nella risposta ufficiale all'invito (comunicata oggi da lui ai ministri d'Italia, di Francia e d'Inghilterra a Vienna), che gli argomenti indicatigli non richiedevano nè giustificavano il suo viaggio a Ginevra, che in

nessun caso avrebbe potuto aver luogo, per l'argomento al n. 2, senza previa consultazione con Roma e Budapest sulla base dei Protocolli di Roma del '34 e '36. In particolare il Cancelliere fece dichiarare ai ministri degli Esteri francese e inglese:

ad l) che l'argomento, riguardando esclusivamente la politica interna dello Stato federale, non si prestava a una trattativa internazionale, ma che ad ogni modo egli non ravvisava alcun motivo per modificare le basi fondamentali della vita dello Stato, fissate nella nuova Costituzione che era in via di graduale, promettente realizzazione;

ad 2) che una modificazione, cioè un miglioramento dei rapporti con la Piccola Intesa dipendeva non dall'Austria, ma da alcuni degli Stati della Piccola Intesa stessa, i quali non avevano alcun motivo di allarmarsi nei confronti dell'Austria;

ad 3) che un preteso plebiscito in genere e in ispecie per la questione monarchica era un parto di fantasie malate, e che la questione della restaurazione monarchica continuava a «non essere d'attualità», non aveva fatto né avrebbe fatto nel prossimo avvenire alcun passo al di la delle note dichiarazioni pubbliche del Governo federale, il quale però si rifiutava di fare sull'argomento ulteriori dichiarazioni o assumere impegni, non previsti dai trattati vigenti.

Il Cancelliere non ha fatto alcun mistero, a Ginevra, del suo disappunto per la pubblicità data alla cosa attraverso l'Agenzia Havas ancora prima che l'invito gli fosse pervenuto; pubblicità che conferiva all'invito un carattere di «citazione perentoria » inconciliabile con i riguardi dovuti al capo del Governo di uno Stato indipendente.

Schuschnigg spera che a Roma si saprà apprezzare il modo con cui egli ha saputo sfuggire alla trappola -così egli si espresse -che gli si era tesa. Egli non crede estranea all'iniziativa franco-inglese l'intenzione di turbare le trattative in corso tra Vienna e Berlino e forse anche l'altra, di saggiare il funzionamento dei Protocolli di Roma in un momento in cui l'Italia è ancora formalmente assente da Ginevra. Anche per la fedeltà all'Italia egli ha creduto di dover sottrarsi all'invito.

Né s'è lasciato indurre a promesse quando oggi, fallito l'invito a Ginevra, gli si è fatto intendere che avrebbe potuto o dovuto essere presente al convegno di Montreux, successivo alle riunioni di Ginevra e dedicato alla ricostituzione di Locarno o Stresa. Gli si era fatto dire che sulla sua presenza a Montreux e sui colloqui con lui non si sarebbe pubblicato alcun comunicato!

Il Cancelliere non si sente di partecipare a convegni internazionali in tale forma misteriosa che può interpretarsi anche come una menomazione. Egli si riserva di pensarci, di seguire lo svolgimento della situazione e di tener conto dei consigli che potranno venirgli da Roma. Condizione assoluta per lui è che l'Italia sia presente a convegni internazionali a cui abbia a partecipare, in qualsiasi veste o forma, il Capo del Governo federale austriaco. Sia detto questo anche per l'eventuale suo intervento alla sessione normale della Società delle

Nazioni nel prossimo settembre.

Schuschnigg è convinto che questi inviti ginevrini e questo improvviso interessamento franco-inglese per le cose interne austriache provengano sopra tutto da una montatura della Piccola Intesa e più precisamente della Jugoslavia. In proposito egli si richiama all'attività di quel tale emissario iugoslavo presso gli emigrati socialisti austriaci e presso Paul-Boncour e compagni, da lui segnalatami tempo fa, e da me riferita a Suvich con lettera dell'8 giugno scorso (1).

La Cecoslovacchia non dovrebbe partecipare a questa manovra. Hodza ha fatto chiedere a Schuschnigg se gli sarebbe gradita una sua visita incagnitissime a Vienna, dove il presidente del consiglio cecoslovacco si reca più volte di nascosto per ragioni «intime». Il Cancelliere mi darà notizia dell'eventuale colloquio, di cui ci tiene a dare il preannunzio confidenziale a Roma per non essere -come altra volta è avvenuto per opera di inesatti informatori -sospettato di chi sa quali macchinazioni con la Cecoslovacchia.

Accludo la comunicazione ufficiosa che sarà pubblicata domattina dai giornali. Vi è abilmente espresso il disappunto per la forma usata da Ginevra, là dove si dice che dopo le informazioni dei giornali il desiderio dei ministri Delbos ed Eden è stato ieri effettivamente espresso in forma conveniente.

L'atteggiamento di Schuschnigg ha qui trovato approvazione ed è interpretato come un atto di indipendenza e di dignità e come uno scacco anglofrancese e un successo italiano. Lo riconoscono anche i giornalisti stranieri che parlano apertamente di gaffe di Ginevra.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -T. 6336/114 R. del 30 giugno, ore 21,15, da Vienna, non pubblicato.
417

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6388/274 R. Berlino, 1° luglio 1936, ore 13,45 (per. ore 15,40).

Telespresso di V. E. 221716 del 27 giugno (2).

Questo Governo, informato anche esso imminente conclusione Patto romenosovietico (3), ha incaricato proprio ministro a Bucarest di domandare in proposito spiegazioni tanto a Titulescu quanto al Re.

Titulescu ha da prima negato la notizia in pieno ma poi, messo di fronte alle dichiarazioni di Benès e Krofta, ha finito con l'ammetterla «ma non nella forma e nei termini riferiti». Analoga risposta ha dato il Re.

È inutile dire che qui la cosa secca moltissimo.

-o dall'esterno, avesse agito per minare il regime austriaco.
(l) -Non pubblicata. Nella lettera, Salata riferiva, per incarico di Schuschnigg, che il presidente del consiglio jugoslavo in persona aveva inviato un emissario per prendere contatto con i socialisti austriaci e organizzare una campagna contro il governo Schuschnigg di cui si temeva la tendenza ad una restaurazione absburgica. Lo stesso emissario avrebbe dovuto poiàVVicinare i socialisti francesi e indurii ad appoggiare qualsiasi movimento che dall'interno (2) -Non rinvenuto. (3) -Si veda in proposito Il D. 279.
418

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL lVIINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 6406/756 R. Ginevra, 1° luglio 1936, ore 20.

Van Zeeland mi ha fatto chiamare per pregarmi di dire a V. E.: l) che egli ieri aveva fatto tutti gli sforzi per impedire che l'ex Negus parlasse. Non vi era riuscito al «Bureau», dato che Motta aveva dichiarato che il precedente di aver egli seduto come capo di delegazione, mentre era anche capo di Stato, impediva che si sollevasse l'eccezione giuridica che un capo di Stato non può e non ha mai presieduto una delegazione. 2) che, data la parola a Tafari, egli aveva continuato a leggere una dichiarazione sulla traduzione del discorso dall'amarico nelle due lingue per Impedire che mentre egli parlava avessero luogo delle dimostrazioni; accortezza procedurale fatta per evitare delle dimostrazioni; 3) che aveva chiamato Tafari « S.M. il Negus Haillé Selassié » e non

«S.M. l'Imperatore d'Etiopia» e non « Hailé Selassié Primo». Il titolo di S. M. era una cortesia usata a tutti i sovrani decaduti ed egli non poteva ometterlo.

4) nella giornata odierna aveva fatto dichiarazioni intese ad impedire il ripetersi di manifestazioni sia ostili che in favore.

Malgrado la cura che aveva messo nell'impedire che le cose potessero prendere una piega antipatica per Roma e malgrado la pena che si era dato per ottenere che Tafari non parlasse, il servizio stampa gli segnalava che i giornali italiani di stamane lo avevano attaccato e avevano criticato il suo operato. Considerava così di essere mal ripagato dei suoi sforzi. Pregava vivamente

V. E. di impedire che tali attacchi si ripetessero nella stampa di domani.

Ho risposto a van Zeeland che non mi risultava che i giornali italiani lo avessero criticato ma che avrei segnalato immediatamente la cosa a V. E. perchè comunque non si ripetesse. Dovevo dargli atto io stesso che egli si era molto adoperato per aderire al nostro desiderio senza purtroppo riuscirvi.

Van Zeeland mi ha ringraziato aggiungendo che aveva fatto benissimo a far parlare Tafari ieri stesso. Oggi l'ex Negus non era ricomparso in Assemblea. L'incidente si sarebbe presto dimenticato. Il pallone si sgonfiava da solo come aveva previsto.

L'Assemblea ha lavorato oggi in una atmosfera molto più serena. Ho chiesto a van Zeeland come avrebbe orientato il seguito dei lavori. Mi ha detto:

l) che l'Assemblea terminerà sabato mattina; 2) che egli vuole evitare costituzione di commissioni e che si proponeva di delegare il Bureau a redigere il famoso voto richiesto dalla delegazione argentina; 3) sabato pomeriggio avrebbe convocato il Comitato di Coordinamento perché procedesse all'abolizione delle sanzioni; 4) per quanto concerneva il problema del «riconoscimento» non aveva ancora nulla deciso.

35 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

Gli ho detto che la miglior cosa era di non parlarne affatto. Van Zeeland ha convenuto che questa forse era la miglior soluzione e che si adopererà per ottenere che su questo problema si scivoli e che si rinvii a settembre solo il problema della riforma del Patto. Ho detto che questo mi sembrava il solo vero pratico sistema per liquidare la questione. Van Zeeland ha aggiunto che si sarebbe adoperato in tal senso, ma non poteva garantire che vi sarebbe riuscito.

Date le favorevoli disposizioni in nostro favore del primo ministro belga. permettomi suggerire che nostra stampa eviti critiche circa sua opera di presidente.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6433/759 R. Ginevra, 1° luglio 1936 (per. il 2).

Giusta gli ordini di V. E. (l) sono andato oggi da Titulescu. Prima che io avessi aperto bocca ha cominciato a raccontarmi lui stesso gli avvenimenti di ieri ed ha ammesso di aver detto «Fate cessare questi atti di selvaggeria », spiegandomi che la manifestazione, a suo avviso, era stata inopportuna; che se il Duce fosse stato presente nell'aula avrebbe disapprovato il gesto.

Dopo avergli chiarito i motivi psicologici della reazione italiana e il lavoro che si era fatto per impedire che si verificasse la sconcia commedia di vedere Tafari alla tribuna dell'Assemblea sputare veleno contro l'Italia, proprio nel momento in cui facevamo un gesto così significativo di pacificazione, ho detto a Titulescu che il suo grido contro i giornalisti italì.ani e l'espressione di «selvaggi» impiegata al loro indirizzo, avevano prodotto un'impressione di sdegno a Roma. V. E. mi aveva incaricato di dirglielo esplicitamente.

Titulescu mi ha allora attaccato un discorso di un'ora e mezzo per dirmi quanto riassumo nelle seguenti linee:

l) che egli ignorava che si trattasse di giornalisti italiani. Credeva che si fosse organizzata una dimostrazione anti-Nicole di elementi dell'Union Nationale. La sua reazione non era stata tanto contro i disturbatori come contro il presidente dell'Assemblea che era stato di una inerzia indecorosa. Il suo cuore di vecchio presidente si era inteso rivoltare contro tale impotenza e quindi aveva gridato a Van Zeeland «Fate cessare questi atti di selvaggeria », sperando di indurlo a scuotersi e a reagire.

2) Egli riconosceva di essere un impulsivo. Il suo scatto era una reazione del suo spirito sempre pronto a insorgere quando gli pareva che un'azione non fosse giusta. Ricordava d'aver assistito a un match di boxe ad Atene nel corso del quale aveva inveito contro il pugile greco che si batteva contro un russo

chiamandolo « cochon » mentre egli era ospite del governo greco! Se ieri invece di italiani si fosse trattato di francesi o di inglesi non si sarebbe regolato diversamente.

3) Disgraziatamente -ha aggiunto Titulescu --a Roma ogni mio gesto è interpretato come il gesto di un nemico.

Ho obiettato che veramente era ben difficile capire -come nei quadri di Serov -«dove finisse il corpo e cominciasse l'anima». Quale era il vero Titulescu, quello che preconizzava una nuova geopolitica con l'Italia alla testa, seguita dalla Piccola Intesa e dalla Grecia o quello che urlava «selvaggi» ai giornalisti italiani pochi giorni dopo; quello che strillava contro l'Italia perché aveva tentato di organizzare la pace in Europa col Patto a Quattro o quello che affermava di avere sabotato la sanzione sul petrolio col suo atteggiamento?

Desideravo essere franco e confessargli che, mentre potevo credere ai suoi scatti, perché avevo assistito ad altre manifestazioni del suo carattere impulsivo, non riuscivo a capire veramente quale fosse la sua politica. Titulescu ha allora fatto per una seconda volta il processo alla Francia con parole ancora più vibranti che la volta scorsa, dicendomi che egli non si sentiva affatto sorretto dalla Francia, la quale non era alleata che della Cecoslovacchia. Quanto ai serbi che flirtavano con la Germania, egli aveva dovuto replicate volte chiedere a Belgrado delle spiegazioni perché chiarissero il. loro vero atteggiamento. Blum affermava ora che il conflitto italo-etìopìco, era finito in Africa, ma non per la S.d.N. e mancava così dì serietà parlando in una Società «composta dì imbecillì e dì vigliacchi». Egli non era capito da noi perché voleva forse conciliare l'assurdo e cioè essere amico dell'Italia e salvare il Patto. Una politica simile era difficile. Il suo credo politico restava però quello che mi aveva esposto nel corso del nostro ultimo colloquio e cioè che non vi sarebbe stata pace per l'Europa, finché l'Italia non si fosse accordata con la Piccola Intesa. Quanto all'Austria e all'Ungheria la convivenza sarebbe stata possibile solo se il revisionismo ungherese fosse rimasto allo stato ideale « come era in fondo il revisionismo del Duce».

Ho detto a Titulescu che condividevo pienamente la sua definizione che l'Assemblea fosse per massima parte composta di laches et d'imbeciles. Non poteva definirsi in altro modo un consenso che pur non essendo riuscito a salvare quell'assurdo storico che era l'Etiopia, era per converso cosi egregiamente riuscito a inimicarsi l'Italia. I giornalisti itali.ani avevano appunto voluto manifestare il loro sdegno contro un'Assemblea -così bene qualificata da lui -che continuava a scherzare con la polvere, accordava la sua ospitalità a un povero negro divenuto pietoso strumento dell'antifascismo, si ostinava a perpetuare un equivoco assurdo con tutto lo scenario dì una farsa grottesca e sì rifiutava dì avere un dito di coraggio guardando in faccia la realtà delle

cose.

«Avete ragione -mi ha gridato Titulescu -quando io mi sono espresso, durante il pranzo dato l'altra sera da Delbos in senso analogo, sostenendo che bisognava finirla con questa commedia, se no avremmo continuato così anche a settembre e oltre, e che bisognava evitare alla delegazione etiopica d'intervenire, Tevfik Aras e Furie mi hanno dato sulla voce sostenendo che ciò era impossibile». (Come è commovente la solidarietà di questi tre compari della Piccola Intesa che si fanno la forca tra loro nel corso delle conversazioni private e poi sbandierano la fraternità fino alla morte nei periodici comunicati uffici ali ! ) .

«Comunque, ha proseguito Titulescu, voi dovete preferire il mio scatto generoso e senza significato antitaliano a quei delegati gesuiti che applaudivano il Negus con le mani sotto i banchi per non farsi vedere. Dite al conte Ciano che non faccio delle scuse, perchè ho la coscienza di non aver fatto nulla contro l'Italia, ma anzi di aver dato molte volte prove della mia amicizia che sono state sempre male interpretate. Del resto, ha concluso Titulescu, pur comprendendo le ragioni di sensibilità che spiegano la vostra démarche, devo dire che io, non mi sono mai offeso che il Corriere della Sera abbia un giorno scritto che si augurava che qualcuno «mi mettesse una palla nella testa», nè tanto meno quello che in grossi caratteri hanno pubblicato tutti i giornali italiani e cioé sono pederasta e per giunta passivo». Nel dirmi questo Titulescu rideva beato quasi a sostenere che simili verità non si possono scrivere.

Nel congedarmi mi ha quasi abbracciato ringranziandomi per la franchezza con cui gli avevo parlato e pregandomi di chiarire a V. E. l'equivoco successo e le parole che deplorava di aver pronunciato «in un eccesso di generosità>>.

(l) Nella documentazione non vi è traccia di istruzioni in proposito. Probab!lmente, le istruzioni furono date per telefono.

420

IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA

L. P. Roma, 1° luglio 1936.

Ho ricevuto il Suo piego del 29 u.s. (l) che ho provveduto a consegnare a

S. E. il Ministro. Ho poi nelle mie mani in questo momento la lettera per posta aerea del

29 scorso (2) ed eseguirò quanto Lei mi dice. Le istruzioni sono: « facilitare il modus vivendi » (3).

421

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. P. R. 4. Vienna, 1° luglio 1936.

Mi riferisco alla mia lettera n. 2 del 29 giugno scorso (l). Ho avuto dallo stesso Schuschnigg particolari precisi sull'intervento del Vaticano contro l'eventuale modus vivendi con il Reich (4).

La Segreteria di Stato, inesattamente informata sulle trattative in corso, ha incaricato giorni or sono la Nunziatura di manifestare al Cancelliere le preoccupazioni che destavano nella Santa Sede i progettati accordi con il Reich e il nazionalsocialismo, oltre che per se stessi, anche per l'abuso che se ne sarebbe

fatto dai nazisti in Germania e fuori, trattandosi di uno Stato essenzialmente cattolico e che come tale si proclama nella stessa sua Costituzione.

L'incaricato d'affari della N1.1nziatura Apostolica, che è il giovane segretario (non ancora uditore) Mons. Punzolo, da poche settimane quì, ha creduto di rivolgersi, anzichè al Cancelliere (col pretesto che questi era in quel giorno assente da Vienna) o al Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri, all'Arcivescovo di Vienna, Cardinale Innitzer. Questi a sua volta ne ha parlato al Presidente dello Stato Federale Miklas che, nel rassicurare il Cardinale nel merito, si è mostrato sorpreso dell'insolita via battuta e ne ha subito informato il Cancelliere.

Questi, saltando per giustificata reazione e il Cardmale e la Nunziatura, ha incaricato il Ministro d'Austria presso la Santa Sede di dare alla Segreteria di Stato precise assicurazioni sulla portata e i limiti delle trattative ed escludendo che gli accordi eventuali avrebbero potuto giustificare le apprensioni della Santa Sede.

Schuschnigg ha potuto accertare che l'allarme suscitato in certi circoli cattolici dall'infelice mossa della Nunziatura e del Cardinale non aveva avuto seguito e che egli avrebbe potuto contare, per l'eventuale modus vivendi, sulla piena approvazione dello stesso clero e delle organizzazioni cattoliche interne. Pertanto il Cancelliere non ha creduto di sospendere le conversazioni con von Papen, che riceverà (con un solo giorno di ritardo sul termine da me riferito con la lettera 29 giugno u.s.) oggi stesso nel pomeriggio.

Nelle sue comunicazioni alla Santa Sede Schuschnigg non ha accennato che S. E. il Duce era informato delle trattative in corso con Berlino, e lascia giudice S. E. il Capo dell'opportunità di concorrere da parte sua a chiarire la situazione alla Santa Sede, mettendo in rilievo i vantaggi diretti di un eventuale modus vivendi tra Vienna e Berlino, molto maggiori degli ipotetici indiretti inconvenienti temuti in un primo tempo dalla Segreteria di Stato in base ad informazioni evidentemente inesatte.

Tali informazioni il Cancelliere esclude che possano pervenire al Vaticano dall'Episcopato austriaco e sospetta che possano piuttosto trarre origine da alcuni elementi radicali viennesi dell'Azione Cattolica, che alla lor volta hanno contatti con gruppi estremisti cattolici di sinistra del Reich, facenti capo ai così detti Katholische Soziologen, che il 'Vaticano avrebbe ogni ragione di tenere in sospetto (1).

(l) -Vedi D. 408. (2) -Vedi D. 407. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (4) -In proposito vedi anche l DD. 439, 441 e 455.

(l) Il presen te documento reca il visto di Mussolini.

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IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L.P.R. 5. Vienna, 1° luglio 1936

Ieri Schuschnigg mi ha parlato di nuovo di un'eventuale visita ufficiale (Staatsbesuch, come qui dicono) italiana a Vienna (veda l'ultimo capoverso della mia lettera a Lei del 29 giugno u.s. n. l) (1). Mi ha detto, come confidandomi un grande segreto, che nell'incontro recente alla Rocca delle Caminate

S. E. il Capo del Governo gli aveva di sua iniziativa fatto sperare la visita ufficiale « di un rappresentante del Governo Fascista » a Vienna attorno alla metà di luglio. Qualora, come egli confida, questo proposito del Capo rimanga fermo, sarebbe necessario --dice il Cancelliere -che egli avesse la notizia precisa non all'ultimo momento (non ventiquattro ore prima, così egli disse), ma circa una settimana prima, se pure nella forma più rigorosamente segreta, e ciò per alcune predisposizioni che richiedono alcuni giorni e il cui scopo può facilmente coprirsi, anche per ì pochi iniziati, con ragioni verosimili di tutt'altro genere.

Nel ·pregarmi di portare a conoscenza del Duce questo suo desiderio, Schuschnigg ha insistito nell'esprimere la viva speranza che la visita a Vienna possa avere «tutta l'importanza fattagli balenare alla Rocca delle Caminate ».

Il Cancelliere richiama l'attenzione sul fatto che il 25 luglio si svolgeranno in tutta l'Austria le commemorazioni della morte di Dollfuss e che perciò quella data e il giorno immediatamente precedente e seguente non si presterebbero per la visita.

La prego di volermi mettere in condizione di dare al Dr. Schuschnigg qualche notizia al più presto possibile, come egli con molta insistenza ha mostrato di desiderare (2).

423

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA UU. 6431/765 R. Ginevra, 2 luglio 1936, ore 16,45.

Oggi giornata di disorientamento per le seguenti ragioni.

Cantilo mi ha detto che ieri Consiglio dei ministri argentino riunitosi ha

insistito perché Assemblea adotti progetto di risoluzione che riconfermi in modo

netto ed esplicito principio Patto Saavedra Lamas (3) senza di che Argentina

abbandonerà la Lega.

Delbos e Massigli mi hanno chiamato per dirmi che essi intendono presentare progetto di risoluzione che trasmetto qui di seguito e che a loro avviso presenta i seguenti vantaggi:

l) Riconferma i principi dell'art. 10 del Patto e del Patto Saavedra Lamas per dare soddisfazione ai Paesi sud americani; 2) prende atto delle comunicazioni del Governo italiano; 3) per impedire che problema venga risollevato in settembre e per liquidare la questione in maniera definitiva decide la nomina di una commissione che dovrebbe studiare comunicazioni e dichiarazioni italiane, come pure informazioni sulla situazione di fatto esistente in Etiopia e su tale base fare rapporto alla prossima Assemblea.

Delbos e Massigli aggiungono che tale formula presenta il vantaggio che permetterà ai Governi francese ed inglese di dare atto di fronte alla commissione di studi che un Governo etiopico non esiste più e che, per conseguenza, sulla base del rapporto che sarà così redatto, la commissione di verifica dei poteri all'Assemblea del settembre prossimo avrà fondamento legale per invalidare poteri sedicente delegazione etiopica. Con tale formula insomma il problema dovrebbe venire legalmente liquidato.

Ecco il testo del progetto di risoluzione francese (testo in francese già dettato per telefono da Ginevra al conte Vidau):

Avant projet de résolution

L' Assemblée,

résolue à sauvegarder les principes qui gouvement la S.d.N. et qui assignent pour but à celle-ci de développer la coopération entre les Nations et de leur garantir la paix et la securité;

unanimément convaincue de l'~mportance des principes qui s'expriment dans l'art. 10 du pacte et affirmant que l'observation de cet article garantie essentielle de l'existence des états membres, esclut le réglement par la force de questions territoriales:

consciente du danger qui menace la bonne entente entre les Nations dont la paix depend;

animée de la volonté d'assurer la réalisation des buts de la Société et à cet effet résolue à ne negliger aucun effort pour éliminer les discussions qui peuvent exister entre les états;

prenant acte de la communication du Gouvemement italien ainsi que des déclarations faites devant elle,

charge une commission composée de... d'étudier ces communications e:t déclarations, ainsi que les informations qu'elle pourrait recueillir sur la situation des faits existants en Éthiopie et sur cette base, de faire un rapport à la prochaine session de l'Assemblée.

Ho fatto osservare ai miei interlocutori che, qualora un tale progetto di risoluzione dovesse essere accettato, bisognerebbe che la commissione di studi riferisse al Consiglio e non più all'Assemblea. Ciò renderebbe molto più semplice la liquidazione del problema senza più riaprirlo da\ianti all'Assemblea.

Delbos e Massigli credono che per questo non ci sarebbero particolari difficoltà. Gli inglesi, che non volevano in un primo tempo commissioni di studio, hanno poi trovato fondate le argomentazioni francesi suesposte e sono quindi d'accordo.

Ho avuto poi copia del progetto di risoluzione de Madariaga che trascrivo

qui di seguito:

L'assemblée,

réunie sur l'initiative du Gouvernement de la République argentine pour examiner la situation creé par l'annexion de l'Éthiopie, ainsi que la situation en ce qui concerne les sanctions dechétées par la S.d.N.

constate que si les circonstances politiques ont empéché les membres de ,}a S.d.N. d'appliquer le pacte integralement, le principe du pacte reste entier, en pleine armonie avec la déclaration des états americains en date du 3 aout 1932,

constate que l'experience de seize années d'application du pacte, rend nécessaire un étude général du fonctionnement de la S.d.N., en vue de renforcer son autorité; invite les états membres à remettre au Secrétariat les observations à ce sujet, en vue d'un étude à faire par l'Assemblée lors de sa prochaine session;

invite le comité de coordination à proposer aux gouvernements la levée des mesures économiques et financières prises envers l'Italie et que les circonstances ont désormais rendues inutiles.

Questo progetto mi sembra migliore del progetto francese da questo punto di vista che esso non parla più del problema etiopico. Delbos e Massigli concordano su questa idea ma osservano che, lasciando la situazione così, si rischia di vederla risorgere in settembre attraverso la commissione di verifica dei poteri. Ho risposto che la commedia non dovrebbe poter continuare a settembre. La commissione di verifica dei poteri della prossima Assemblea, valendosi delle riserve già fatte nella sessione attuale sui poteri della sedicente delegazione etiopica, potrebbe benissimo dichiarare che i poteri di quella altra pseudo delegazione, che si presenterebbe a settembre, non sono validi perchè Governo etiopico non esiste più.

Ma a Ginevra gli scrupoli giuridici prevalgono e sopratutto Massigli, animato però dalle migliori intenzioni verso di noi, sostiene che una soluzione legale, attraverso una decisione della prossima Assemblea o del Consiglio, liquiderebbe per sempre la questione senza possibilità di sorprese. Delegati francesi aggiungono che loro formula dà una certa soddisfazione ai paesi nordici, che, a come ha detto stamane ministro Garcia, sono come un monolite. Alcuni delegati nordici affermano infatti stamane apertamente che i loro Paesi intendevano pronunciarsi per il non riconoscimento esplicitamente. Ma trattasi di agitazioni e di nervosismi che saranno ben fissati nella riunione che i neutri stanno avendo nel momento stesso in cui telefono.

Aggiungo che vi è un altro progetto di risoluzione che il presidente van Zeeland si propone di presentare a suo nome e che forse sarà una fusione di tutti i progetti in circolazione. Tuttavia Delbos e Massigli mi hanno chiesto opinione di V. E. che sarei grato farmi giungere in grande urgenza attraverso fonogramma (1).

(l) -Vedi D. 407. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (3) -Vedi p. 17, nota 3.

(l) Nella corrispondenza telegrafica non è stato rintracciato alcun documento in proposito.

424

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 6437/768 R. Ginevra, 2 luglio 1936, ore 18,26.

Seguito mio telegramma per corriere n. 759 del 1° luglio (1).

Titulescu mi ha chiamato stamane. Aveva ricevuto pochi istanti prima un telegramma dalla legazione romena a Roma in cui erano riprodotti stralci di articoli pubblicati sul Giornale d'Italia e sul Regime fascista. Era in uno stato di eccitazione grandissimo. Mi ha detto che nel colloquio di ieri mi aveva spiegato le origini e i momenti veri del suo intervento in Assemblea, che era diretto non contro i giornalisti italiani (2), ma contro dei disturbatori anonimi e sopratutto contro l'inerzia del presidente che tollerava senza reagire schiamazzi e trambusti nell'aula. Mi aveva anche messo in luce tutti i tentativi che aveva fatto per provare all'Italia i suoi sentimenti di amicizia; tentativi e manifestazioni che non avevano trovato mai risonanza alcuna. Malgrado questo la stampa italiana, che è controllata e che quindi scrive con autorizzazione del Governo, aveva pubblicato ieri:

l) che finché egli Titulescu sarà ministro degli Esteri ogni rapporto amichevole fra l'Italia e la Romania sarà impossibile; 2) che egli era peggio che un bandito e non di razza bianca ma figlio di un negro e di una asiatica. In questo modo -ha precisato Titulescu -io che mi. sono permesso di dire «fate cessare questi atti di selvaggeria » perchè mi sembrava assurdo che non si lasciasse neppure parlare un vinto e ciò indipendentemente dalla nazionalità di chi voleva impedirlo, sono ripagato con l'insulto più atroce perchè si afferma che mia madre era una concubina asiatica.

Ma la cosa che più mi esaspera -ha aggiunto Titulescu -è che il Giornale d'Italia affermi che non si è mai creduto alle mie manifestazioni di amicizia. Oggi l'Italia domanda la mia testa ed io devo naturalmente difendermi. So di non aver commesso nulla che giustifichi una simile reazione di così inaudita violenza. Vi prego perciò di dire al vostro Governo: l) che mi pento amaramente di tutto quello che ho fatto finora per l'Italia, ivi compreso il discorso tenuto in Consiglio martedì scorso, nonchè di tutto quello che ho detto in seno alla Intesa Balcanica per impedire che essa assumesse posizione contro di voi in Assemblea; 2) che nessuna notizia proveniente dall'Italia passerà più sulla stampa romena; 3) che mentre mi proponevo di agire in favore vostro a Ginevra, agirò con silenzio e restando fermo sulla stretta difesa del Patto.

Titulescu era eccitatissimo e nel leggermi le frasi riportate dal Regime Fascista aveva gli occhi pieni di lacrime e la voce commossa.

Gli ho risposto con molta freddezza:

l) che non si rendeva conto che all'origine dell'incidente vi erano il suo gesto inconsiderato e le sue frasi ingiuriose. Capivo perfettamente le giustificazioni che mi aveva dato ieri sulla sua intemperanza e sul suo carattere impulsivo. Ma se queste giustificazioni valevano per il signor Titulescu non valevano per il ministro degli Esteri di Romania mentre sedeva in tale veste all'Assemblea della S.d.N.;

2) che egli non si era reso conto e non se ne rendeva ancora che l'Assemblea ammettendo Tafari a parlare aveva già con tale misura assurda superato ogni limite e provocato lo sdegno italiano che era già al colmo, sapendosi quale sarebbe stato il tenore del discorso del Ras eviratore;

3) che la sua scenata e il suo intervento con la qualifica di <<selvaggeria » o di «selvaggi» diretta agli italiani che manifestavano contro l'oscena commedia aveva determinato in Italia una reazione ed uno sdegno più che giustificato. Se io comprendevo la sua reazione di fronte alle pubblicazioni della stampa italiana a suo riguardo, perché non voleva egli comprendere la reazione più che legittima dell'opinione pubblica del mio Paese? Nel primo caso si trattava di linguaggio giornalistico mentre nel secondo caso di gravi espressioni (anche se impulsive) pronunziate dal primo delegato di Romania! Gli accordavo tutte le circostanze attenuanti possibili data la natura del suo carattere ma questo non poteva impedire che in Italia si reagisse con sdegno proporzionato alla gravità del suo gesto. Non volevo tornare su «quanto egli aveva fatto per l'Italia». Volevo riferirmi solo alle due comunicazioni che mi aveva pregato di fare a V.E. e cioè sul minacciato embargo alle notizie italiane nella stampa romena e sul suo atteggiamento a Ginevra. Non potevo credere che egli basasse la sua politica di uomo di Stato sulla vendetta e sulle reazioni del carattere anziché sul freddo apprezzamento degli interessi del suo Paese. Da quando era al potere il Duce d'Italia era stato oggetto di attacchi ignobili ed ingiustificati da parte di molta stampa europea, eppure la politica di lui, non aveva avuto che una sola mira: gli interessi dell'Italia. Questi ultimi mesi, durante la guerra, che cosa si era scritto contro il Duce e l'Italia? Eppure la nostra politica non si era mai basata sulla meschineria e sulla vendetta. Ne stavamo dando prove palmari anche alla bassa consorteria ginevrina. Egli poteva beninteso regolarsi come credeva. Io non avevo certo da consigliarlo. Desideravo solo che si calmasse perchè non capivo come potessimo discutere dei problemi interessanti i nostri due Paesi in un'atmosfera di nervosismo e facendo un battibecco che non aveva nulla di diplomatico. Mi sembrava che un uomo di Stato abituato agli attacchi della stampa ed alle polemiche, come lui, esagerasse nel lamentarsi della reazione italiana ad uno scandalo che egli stesso aveva determinato. La responsabilità di tutto quello che succedeva risaliva a lui ed a lui solo. Questo era pacifico.

Titulescu nell'accennarmi al fatto che Sola alla più piccola allusione sfavorevole al Duce e all'Italia della stampa romena fa un passo presso di lui ha detto che avrebbe cercato di calmarsi ma che non poteva ammettere che l'Italia chiedesse la sua testa quando aveva coscienza di non aver fatto nulla contro di noi. Gli ho risposto che continuavamo a non intenderei. Se voleva condurre la politica estera del suo Paese secondo l'interesse e non secondo le reazioni del suo carattere, non si fermasse a considerare le parole dei giornali ma il pensiero chiaro ed esplicito di V. E. che mi aveva ordinato di fargli sentire in forma dignitosa e ferma come credevo di aver fatto ieri il suo sdegno per il gesto inconsiderato da lui compiuto. Non avevo altro da dire.

Titulescu che era avvolto in un ampio pijama scarlatto non ha più insistito ma nel congedarmi mi ha detto tristemente: «scusate di avermi trovato in questo costume asiatico! ».

(l) -Vedi D. 419. (2) -Sull'episodio vedi p. 465, nota 2.
425

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 6459/770 R. Ginevra, 2 luglio 1936, ore 21.

Sono andato da van Zeeland ed ho creduto opportuno di ringraziarlo per gli sforzi che mi consta sta facendo per cercare fare adottare un testo di risoluzione che sia il più anodino possibile. Gli ho detto, giusta istruzione di

V. E. (l), che, pur non avendo tesi nostra per un problema che la S.d.N. deve cercare di risolvere da sola sulla base della realtà dei fatti, tuttavia, sapendo che vi erano vari progetti in giro, tenevo a dirgli che migliore di tutti mi sembrava quello che non conteneva costituzione di commissioni e rinvio del problema alla prossima Assemblea.

Van Zeeland mi ha detto che questo era anche il suo pensiero. Egli aveva già sostenuto questa tesi e aveva molte speranze di farla trionfare. Contava fare approvare un testo che contenesse un preambolo con le note affermazioni di principio sotto la forma di consideranda e che terminasse, non proprio con un progetto di risoluzione, ma con un voto composto di due parti: l) abolizione delle sanzioni; 2) riforma del patto. Avrebbe chiesto la votazione di un tale testo, che sarebbe stato adottato a maggioranza non trattandosi di risoluzione.

Le difficoltà che esistevano derivavano ancora dalla delegazione argentina. Questa insisteva troppo sulla menzione dei principi Saavedra Lamas condizionando, a tale esplicita ferma menzione, la sua futura appartenenza alla Lega. Gli Stati nordici invece sostenevano che, se fossero inseriti tanto fermamente i principi, bisognava dedurre le logiche conclusioni di fatto per quanto concerneva il caso attuale. Erano inutili tante parole quando non si passava ai fatti. Comunque, egli sperava vivamente di conciliare gli estremi. Nella seduta di domani mattina sperava che le discussioni sarebbero finite. Se fosse rimasto qualche oratore per il pomeriggio, egli avrebbe, nel pomeriggio stesso, proposto che il Bureau si riunisse sotto veste di « Comitato di redazione » per appro

vare il testo che sperava fare adottare nel senso indicato. Questo testo sarebbe stato approvato nella seduta di sabato mattina, ma V. E. ne avrebbe conoscenza domani sera stessa in maniera da poter riferire Consiglio dei ministri di sabato. Nel pomeriggio di sabato si proponeva di far convocare il Comitato di Coordinamento, il quale avrebbe deciso di proporre agli Stati l'abolizione delle sanzioni.

Ho ringraziato van Zeeland in nome di V. E. per gli sforzi personali che sta svolgendo.

(l) Nella corrispondenza telegrafica non sono state rintracciate. Forse vennero Inviate pertelefono.

426

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER POSTA AEREA 7380/607/286 R. Rio de Janeiro, 2 Zuglio 1936 (per. il 29).

Miei telegrammi relativi alla annessione Etiopia (l).

Dopo che Camera deputati ha confermato che stabilimento nuovi eventuali rapporti con altri Stati è di competenza esclusiva del potere esecutivo commissione diplomazia trattati ha domandato al ministro Esteri se era disposto fornirle chiarimenti informativi relativamente principali problemi politici economici di attualità neìle relazioni internazionali del Brasile. Ministro Esteri ha acconsentito recandosi ieri sera nella commissione.

Problemi all'ordine del giorno erano seguenti: nuovi trattati commerciali in negoziazione, atteggiamento Brasile di fronte sovranità italiana sull'Etiopia, missione commerciale Sampaio in Europa, modus vivendi commerciale teuto-brasiliano e asserita protesta degli Stati Uniti. Tutti quesiti erano stati tendeziosamente presentati da deputati della minoranza di opposizione.

All'inizio riunione segreta deputati della maggioranza ministeriale pregarono ministro Esteri dire su ogni argomento soltanto quanto egli riteneva esporre non essendo possibile né necessario che politica estera venga dettagliatamente discussa da organi parlamentari. Ministro Esteri rispondeva che a norma costituzione egli non (dico non) ha nessun dovere fornire chiarimenti sulla politica estera alla commissione trattati. Tuttavia volentieri aveva accettato invito a titolo cortesia personale verso autorevoli deputati obiettivamente desiderosi conoscere orientamento Paese nei problemi generali. Inoltre egli non aveva ragione per nascondere direttive di Itamaraty, dal momento che esse rispondono sicuramente ad interessi e sentimenti del Paese. Ciò premesso, e invitando ascoltatori accontentarsi delle sue comunicazioni senza porre altre domande, Macedo Soares ha fornito, per quanto tocca il problema sollevato dalla sovranità italiana sull'Etiopia, i chiarimenti seguenti.

Il presidente della repubblica S. E. Vargas ha esaminato con il ministero degli Esteri la comunicazione italiana relativa all'annessione dell'Etiopia ed al conferimento del titolo di Imperatore a S. M. il Re d'Italia. È risultato da

tale esame che non è indispensabile rispondere subito alla comunicazione del Governo fascista. Pertanto il capo dello Stato ha concordato sull'opportunità di soprassedere per il momento, in attesa che gli avvenimenti si sviluppino in Europa, che la realtà dia il necessario orientamento e chr: i Paesi europei maggiormente interessati assumano in proposito un atteggiamento più definitivo. Il Brasile si riserva, in conclusione, piena libertà di azione, ed il governo è lieto di constatare con l'occasione che la sua condotta in proposito coincide con quella degli Stati Uniti.

La commissione ha accolto con manifesti segni di compiacimento, e con dichiarata approvazione finale, le dichiarazioni del ministro degli Esteri.

A questo punto il deputato di opposizione Souza Leao ha detto che la minoranza aveva ritenuto opportuno interrogare sul delicato argomento il Governo, poiché il discorso pronunciato dal ministro degli Esteri la sera del 15 giugno all'ordine degli Avvocati di Rio aveva data la sensazione, laddove aveva alluso alla necessità di riconoscere i vantaggi della politica forte, che il Governo brasiliano si preparasse a riconoscere precip1tosamente l'annessione italiana dell'Etiopia, in contrasto con i principi tradizionali che ispirano la politica estera del Paese e la sua Costituzione, e -ciò che più stupiva -prima che qualsiasi altro dei Paesi europei maggiormente interessati avesse assunto un definitivo atteggiamento in proposito.

Macedo Soares ha risposto che suo tanto commentato discorso pronunciato all'Ordine avvocati Rio -~ vedi mio rapporto n. 1407/406 (l) -, nulla aveva da vedere con annessione Etiopia, ma aveva costituito soltanto conferma della politica interna brasiliana contro comunismo, politica che è e sarà fondata unicamente sulla energia, anche qualora leggi vigenti non soccorrano.

Deputato Souza Leao ha preso atto che discorso del ministro all'Ordine avvocati non era stato preannunzio di precipitato riconoscimento della annessione Etiopia, ma ha constatato « con tristezza che ministro Esteri, di luminose origini democratiche, sembra ormai acquisito alle idee reazionarie». Macedo Soares ha risposto sorridendo.

Superfluo io metta in evidenza che: Macedo Soares ha conservata intatta la libertà d'azione che costantemente mi ha garantita nei riguardi della sovranità italiana sull'Etiopia; egli stesso mi ha detto che la Commissione ha approvato senz'altro le sue comunicazioni; ha inoltre reso noto che è d'accordo con gli Stati Uniti, ciò che concorre sempre a rassicurare l'opinione pubblica sui problemi esterni; si è fatto dare quasi un benestare dal Parlamento per lasciare aperta la porta a qualsiasi soluzione nei riguardi della annessione dell'Etiopia.

Spero di avere così, ancora soddisfatto le istruzioni impartitemi dalla E. V. di non compromettere la condotta del Brasile, ma di lasciare la posizione formalmente vergine: debbo aggiungere che essa è sostanzialmente, almeno per una larga percentuale, favorevole ai nostri fini. Ho detto a Macedo Soares che, personalmente, riconoscevo nell'attuale situazione ginevrina, internazionale e sud-americana, che il Brasile non avrebbe potuto far di p1ù per neutralizzare

la politica argentina. Con questa nuova dichiarazione il Brasile ci ha dato nuova prova di non decampare dalla posizione fin dal primo giorno assunta nei riguardi del conflitto itala-etiopico.

Sugli altri quesiti il ministro Macedo Soares ha dichiarato: quanto ad un'eventuale ritorno del Brasile nella Lega delle Nazioni, nessun passo in tal senso è stato fatto presso questo Governo, né direttamente né indirettamente, né da Paesi amici né dalla Lega stessa; il problema pertanto non esiste per il momento. Il Brasile continua a collaborare con alcuni organi tecnici della Lega, pur senza appartenere ad essa e rimane fedele ai principi generali che informano la Lega delle Nazioni. Su tutti gli altri quesiti sopra riferiti, Macedo Soares ha fornito spiegazioni che risultano da altri miei dispacci sugli argomenti.

Ho informato Buenos Aires, Montevideo, Santiago.

(l) Vedi DD. 20 e 58.

(l) Non pubblicato.

427

IL SOTTOSEGRETARIO ·AGLI ESTERI, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 2 luglio 1936.

L'ambasciatore dei Soviet mi ha fatto un lungo discorso sostenendo la necessità che l'Italia, appena saranno tolte le sanzioni, ritorni a collaborare, incominciando dalla Conferenza di Montreux (dove però egli teme che il punto di vista del suo Governo non s'incontri con quello del Governo italiano) con gli altri Paesi europei.

Egli crede sinceramente alla possibilità di uno sviluppo delle relazioni itala-sovietiche, anche nel campo economico. Mi ha accennato a delle costruzioni navali che il suo Paese desidererebbe fare in Italia. Mi ha detto di avere già fatto presente a V. E. che solo ostacolo a tale collaborazione sarebbe la rinascita del Patto a Quattro. Ha aggiunto che egli spera di vedere l'Italia tornare a collaborare con i Paesi soddisfatti e non nel gruppo opposto, poiché è ormai chiaro che l'Europa è divisa in due gruppi.

Gli ho risposto che non condividevo la sua opinione su questa divisione dell'Europa; che i due gruppi non esistevano ancora, che l'azione del Duce era stata proprio quella di evitare che si costituissero, che il nostro desiderio di collaborazione era stato ancora una volta riconfermato solennemente dal Duce, che il documento da noi inviato a Ginevra (l) era una nuova prova di questo desiderio italiano. Gli facevo però osservare che per collaborare bisogna essere in parecchi; che se da una parte si continuava a fare speculazioni antitaliane a Ginevra o altrove o si pretendeva perpetuare situazioni eccezionali nei nostri confronti, non si dava prova di volere sinceramente la collaborazione dell'Italia, la quale per essere franca, piena e leale, ha bisogno di trovare rispondenza franca, piena e leale.

Mi ha infine accennato al fatto che l'addetto navale sovietico avrebbe chiesto di vedere i piani delle due navi da battaglia, « Littorio » e «Vittorio Veneto», essendo intenzione dell'Unione Sovietica di ordinarne in Italia due o tre similari. Lo Stato Maggiore della Marina si sarebbe opposto a tale richiesta, ed egli mi pregava di intervenire per rimuovere tale opposizione.

Ho risposto che ne avrei fatto cenno a V. E., facendogli notare, peraltro, che una tale richiesta pareva a me un precedente del tutto nuovo negli usi fra gli Stati e che ritenevo che nessuno Stato Maggiore di nessun Paese consentirebbe a una tale richiesta. Gli ho fatto notare che l'Italia costruisce navi da guerra e mercantili per una grande quantità di Paesi stranieri, ma mai nessuno ha avanzato richieste del genere. Gli Stati che vogliono fare costruzioni navali indicano tutti gli estremi necessari, sulla base dei quali i cantieri preparano precisi progetti, senza nessuna comunicazione preventiva di piani di navi nazionali in corso di costruzione. Una volta concesso all'Unione Sovietica quello che l'ambasciatore mi domandava, uguale concessione si sarebbe dovuta fare a qualunque altro Paese che volesse costruire in Italia.

Ritenevo pertanto difficile l'accoglimento della sua richiesta.

(l) Vedi D. 404.

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L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. R. 496/212. Tokio, 2 luglio 1936 (per. l'11 agosto).

Da lunghissimi secoli il Giappone si crede e dice la terra degli dei, e quindi favorita più di ogni altra da essi. E invero appare quasi miracoloso come quest'impero abbia potuto in pochi decenni porsi a pari delle maggiori Potenze del mondo. Ne sono stati causa prima l'amore di patria, l'orgoglio di razza, la volontà di conoscere lavorare progredire eccellere. Altre cause tuttavia hanno contribuito a così rapida e alta ascesa, quali la propria posizione geografica, le rivalità le discordie le lotte fra i grandi stati occidentali, la debolezza delle altre nazioni asiatiche.

Premesso e ammesso tutto questo, occorre aggiungere che dietro la meravigliosa facciata non mancano nei muri interni macchie e crepe, che è utile esaminare con ogni possibile spassionatezza, e senza né accrescerne né diminuirne l'importanza, per giungere a una valutazione esatta di tutto l'edificio.

Non pochi e non lievi sono i problemi che si presentano oggi al Giappone così per l'interno come per l'estero. E quelli interni possono essere distinti in politici economici e militari; distinti per facilità d'esame, ma in verità connessi gli uni con gli altri, così come tutti con quelli esteri.

I problemi politici derivano dal contrasto fra i partigiani della restaurazione e quelli del rinnovamento, o fra antiparlamentari e parlamentari, anglofobi e anglofili, guerrafondai e pacifisti, militari e capitalisti; e l'enunciazione potrebbe continuare se ci si ponesse a esaminare altre facce della stessa situazione. Secondo i periodi hanno prevalso gli uni piuttosto che gli altri, quelli

usando la violenza e le armi, questi l'astuzia e il danaro. Negli ultimi anni il sopravvento è stato preso dai militari, ma senza che il contrasto possa dirsi composto o soppresso e il loro predominio accettato o subito pienamente dagli avversari. Neppure gli ultimi e più gravi eccidi della fine del febbraio scorso sembrano aver avuto efficacia risolutiva; e se v'è chi spera siano stati gli ultimi, altri e forse con maggior ragione teme non lo siano. La forza non basta quando non la guidino una volontà salda e uno scopo preciso. Non è apparso finora un duce che abbia saputo comprendere e esprimere i bisogni vari e i desideri confusi della nazione e, impostasi ai contendenti, avviarla a attuare, in nome d'un principio superiore alle loro opinioni, i supremi interessi dello Stato. Tutti parlano della necessità di riforme, ma il presidente del consiglio è uomo di quel passato governo contro cui si volse la furia dei congiurati; dal passato governo erano state redatte quasi tutte le leggi votate dalla recente Camera; nessun uomo nuovo e nessuna nuova idea si sono visti sorgere; i parlamentari continuano a intrigare, i militari restano una minaccia.

I problemi economici dipendono dal fatto che le risorse fiscali sono insufficienti e i carichi mal ripartiti. Quasi metà del bilancio è spesa in armamenti e l'altra metà non basta ai bisogni della nazione. Si vorrebbe accrescere i tributi e fare in modo che essi non gravassero in proporzione maggiore sui meno abbienti, ma si teme rallentare il ritmo della produzione industriale che deve lottare contro gli argini sempre più solidi posti dagli altri Stati al suo dilagare; e i più in pericolo, perché più ricchi, sono i più tutelati dal parlamento. Certo dal possesso della maggior parte dei capitali in pochi banchieri deriva una produzione più economica. Questa deriva però anche tra l'altro da salari che sempre bassi sono talvolta derisori, pur tenendo conto della maggiore potenza d'acquisto della moneta commisurata in oro con quella di altri Paesi, nonché dei vantaggi che l'operaio ritrae dal largo ordinamento familiare il quale lo compensa in parte anche della mancanza di provvidenze sociali. Ma voler dare all'industria uno sviluppo all'americana e serbare la tradizione del lavoro patriarcale di centinaia d'anni fa è una contraddizione che non potrà sussistere all'infinito. Né migliore è la condizione del contadino, sempre il più oppresso fin dai più antichi ordinamenti feudali giapponesi, il quale in molte provincie attende dal governo alleviamenti e soccorsi che questo non dà o dà in misura non sufficiente. La tubercolosi miete vite a centinaia di migliaia, e nelle ultime leve i giovani si sono presentati più alti ma meno nutriti e più deboli di vista, così che alcuni propongono un «ministero per la salute» e altri obiettano che esso mentre accrescerebbe le spese a nulla varrebbe se non potesse disporre di fondi adeguati. Il Giappone non ha dovuto ancora affrontare gravi lotte fra capitale e lavoro, forse perché l'industria vi si è sviluppata da poco, e il popolo tenuto soggiogato da secoli immemorabili non è ancora unito e consapevole della sua forza. e la propaganda degli agitatori sovversivi trova repressione spietata. Ma i tempi vanno mutando: una ventina di deputati socialisti è stata mandata alla camera dalle nuove elezioni politiche, cioè circa sei volte di più che nella precedente, e le posteriori elezioni amministrative di Tokio hanno dato risultati anche più considerevoli, e qualche volta gli stessi ufficiali giovani tengono ora alle reclute discorsi avversi ai capitalisti.

I problemi militari sono di doppio ordine, morali e materiali. I morali derivano dall'allentata disciplina, per la quale si sono più volte visti ufficiali uccidere, e l'ultima far anche uccidere da loro subordinati, non solo uomini politici ma altresì generali e ammiragli a riposo e persino generali in servizio, per quanto senza alcun interesse personale e per spirito d'amor di patria male inteso ma puro; nonché dalla volontà d'intervenire nelìa politica e dirigerla senza vederne chiari i fini e senza commisurare questi con i mezzi. E i materiali dipendono dalla preparazione non sufficiente, tanto meno sufficiente quando si considerino i vasti piani di dominio vagheggiati. Qui si vuole parlare specialmente dell'esercito, ché la marina appare assai più forte, e in ogni caso la conoscenza delle sue vere condizioni è molto più difficile perché essa riesce meglio a sfuggire all'esame degli stranieri. Ora l'esercito si mostra, a coloro fra questi che hanno esperienza a giudicarlo, non molto preparato non solo come istruzione, ché il sanguinoso ma efficace insegnamento di una grande guerra moderna gli è finora mancato, ma anche come armamento, malgrado gli ingenti carichi passati e presenti del bilancio, i quali fanno supporre, se paragonati con i risultati, che il pubblico danaro non è sempre speso in modo avveduto. Non si intende però, dicendo questo, diminuire troppo il valore dell'esercito nipponico. L'amor di patria, l'orgoglio nazionale, lo spirito aggressivo, ii disprezzo della morte devono essergli attribuite come qualità certe e efficaci. Inoltre il giorno in cui il Giappone affrontasse il suo più probabile nemico, cioè la Russia, il suo esercito si troverebbe a combattere truppe certo meglio armate ma non altrettanto sostenute dal proprio animo nonché da quello di tutto il resto della nazione, del che è utile si tenga conto. Ed è utile si tenga infine conto del fatto che, fino a quando la Germania continui a armarsi e a minacciare, nessuna grande Potenza europea è prevedibile voglia prendere iniziative che allontanino dalle sue terre e dai suoi mari truppe e navi per inviarle a combattere il Giappone nell'Oriente Estremo, sicché questo non ha da temere aggressioni mentre ancora non preparato.

Tali molteplici difficoltà di politica interna devono essere presenti allo spirito quando si passi a considerare la politica estera nipponica e le evidenti contraddizioni tra la sua forma e la sua sostanza. La politica estera del Giappone si eleva su alcune discutibili premesse spirituali e su alcune indiscutibili premesse materiali. Le prime derivano dalla missione che quest'impero si attribuisce traendole dalle sue antiche credenze e dai suoi progressi modet·ni; le seconde dai suoi bisogni di materie prime e di sbocchi commerciali nonché di territori per una popolazione che s'accresce di quasi un milione d'anime all'anno. Non può dirsi che progressi e bisogni abbiano suscitato dal nulla quella credenza nella sua missione, la quale ha radici se pur sottili nell'antica storia del pensiero giapponese, giacché credere che la propria missione soddisfi anche ai propri bisogni e sia dettata anche dai propri progressi non sigmfica non credere nel suo intrinseco fondamento; ma certo l'hanno vivificata consolidata diffusa.

Nel proclamare la sua missione liberatrice dell'Asia il Giappone non minaccia apertamente aggressioni e asserisce anzi che una libera e felice convivenza dell'occidente con l'oriente sarebbe possibile ove fossero attuati i propri principi di «dolcezza e benevolenza», dei quali tuttavia non si trova la base nei suoi

36 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

presenti ordinamenti o nelle sue passate vicende. Ciò vale però com'è evidente solo nella teoria, poiché siccome i dominatori non rinunciano al dominio se non costrettivi dalla forza, il Giappone deve in pratica, cominciando a contraddirsi, prepararsi all'attacco e alla lotta. Ora la lotta non dovrebbe in realtà essere menata contro tutte le Potenze d'occidente, perché solo alcune fra queste dominano l'Asia, e ov'esse ne fossero cacciate, il Giappone vi stabilirebbe, come il più forte Stato d'oriente, la propria prevalenza. Senonché per dare alla lotta base profonda e risonanza vasta, per giustificare il proprio intervento, per avere il concorso dei dominati contro i dominatori e sollevare quelli contro questi. il Giappone deve far leva sulle specifiche comuni caratteristiche asiatiche, razza religione cultura, e sostenerne una superiorità la quale, posta su queste basi, non può limitarsi a essere affermata contro i soli dominatori e principalmente contro l'Inghilterra e la Russia (battute le quali anche la Francia e l'Olanda non potrebbero più tener qui piede), bensì dev'essere fatalmente sostenuta anche di fronte a tutto il resto dell'Occidente. Da tale contegno anti-occidentale seguito dal Giappone in questi ultimi anni di accentuato nazionallsmo derivano alcune direttive formali della sua politica e della sua cultura. Il Giappone non solo non può ammettere d'apparire, di fronte al resto dell'Asia, inferiore a alcuna grande Potenza occidentale e perciò ha preteso la parità navale, ma gli riuscirebbe anche difficile concludere alcun aperto accordo con altri Stati dal quale non gli fosse riconosciuta una superiorità in Asia, che non solo l'Inghilterra e la Russia ma la stessa Cina non potrebbe ammettere. E persino con Stati come la Germania, con cui non ha contrasti ma anzi alcune fondamentali identità d'interessi, non gli sarebbe facile, senza la giustificazione di necessità evidenti e immediate, stipulare trattati politici che apparirebbero forse segno di forza non sufficiente a serbare la propria libertà d'azione, bisogno dell'aiuto di altre nazioni appartenenti a quello stesso Occidente il quale è avversato nel comune carattere e non potrebbe quindi essere considerato nel tempo stesso nemico o amico secondo i suoi Stati. Perciò, ritiratosi da Ginevra, dichiara aver poco interesse negli affari d'Europa e voler tenersi al di fuori dei viìuppi della politica di questa, fa mostra non occuparsene se non per riprovare le sue lotte e augurarne il componimento. Ma come, pur rifiutando a parole la cultura occidentale, si contraddice perché la studia con fervore specie nella parte scientifica e pratica e ne coglie frutti che crede utili a sé, esso continua a contraddirsi allorché si preoccupa molto di quella politica dell'occidente alla quale si dichiara estraneo, e spera che le contese di questo non che placarsi si esasperino: sa che un'Europa discorde gli assicura maggiore libertà in questa parte del mondo, e che senza un'Europa in guerra e senza la propria unione con qualcuna delle sue Potenze gli riuscirebbe pericoloso, anche a causa dei suoi problemi interni, affrontare l'Inghilterra e forse pure la Russia. Di tali condizioni e di tali contraddizioni appaiono i segni anche nella stampa, ove invano si cercherebbero parole d'aperta ammirazione verso qualsiasi Stato occidentale, verso quella stessa Germania che

per i militari è rimasta modello d'ordinamenti bellici e per molti civili è modello d'ordinamenti pubblici, e per moltissimi fra gli uni e gli altri è nel presente la Potenza più amica e nel futuro la più probabile alleata.

Secondo consegue da quanto si è sopra detto, uno Stato quale ch'esso fosse non potrebbe forse per ora stipulare formali trattati politici con il Giappone, e forse gli riuscirebbe soltanto con intese verbali e entro limiti però non molto vasti lavorare con esso, ove futuri scopi comuni fossero da entrambi considerati probabili, come fa appunto la Germania e, qualcuno suppone, in parte anche la Polonia. Lo Stato che creda verrà il giorno in cui avrà con il Giappone comuni interessi di lotta contro terzi può a ogni modo, se voglia migliorare le relazioni in maniera generale, operare nel campo dei rapporti di cultura: il giapponese non crede conosciuta e apprezzata a sufficienza la propria, e sente non solo la lode o il biasimo, ma anche l'interesse o l'indifferenza. Perciò mostra il desiderio di stringere tali rapporti con gli altri Stati: il mese scorso ne ha parlato alla Camera il presente ministro degli Affari Esteri, così come ne aveva parlato qualche mese prima il suo predecessore; speciali istituti sono stati costituiti e fondi forniti.

L'avvenire potrebbe serbare al Giappone crisi politiche e economiche, ma è da credere che se così fosse esso se ne trarrebbe fuori. Malgrado i difetti del suo popolo e dei suoi ordinamenti, esso possiede, secondo si è già accennato, patriottismo fierezza tenacia operosità vigore; non ha vicini temibili; i pericolosi sono lontani e in contrasto; e il suo annuale milione di vite [sic] gli dà il bisogno e la forza di lottare e espandersi.

Alle grandi Potenze d'occidente un Giappone forte o debole è desiderabile secondo la loro politica; forte per esempio alla Germania, debole alla Russia e anche all'Inghilterra. Nulla mi pare possa per adesso dirsi circa l'Italia, non essendo prevedibile da che parte questa si troverà all'inizio di una nuova grande guerra. Ma sino ad allora non le sarà inutile un Giappone che preoccupi la Russia, e anche meno inutile un Giappone che preoccupi l'Inghilterra: ciò diminuirà la loro forza e la libertà d'azione in Europa e vi accrescerà anche più il valore di un'Italia amica o nemica.

Il valore di essa s'è già accresciuto dopo la fine vittoriosa dell'impresa etiopica anche qui, quantunque pochi lo manifestino apertamente di fronte a stranieri, e nessuno ne scriva. A un popolo guerresco come questo nulla s'impone più della forza e del successo, specie un successo cosi rapido e completo, il quale ha fatto rimpiangere a parecchi che la spedizione in Manciuria sia stata condotta tanto diversamente e con risultati tanto diversi. Più che la vittoria sull'Etiopia ha colpito quella sull'Inghilterra, che ,alcuni ancora amano, molti ammirano, moltissimi continuano a temere; e non si sa su quali fra tutti questi tale vittoria abbia fatto impressione più profonda O).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussollni.

429

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. R. P. 6. Vienna, 2 luglio 1936.

Il colloquio di ieri sera tra Schuschnigg e von Papen portò alla formulazione dei nuovi testi del modus vivendi, che si ha motivo di ritenere definitiva, salvo in alcuni pochi punti sui quali il Ministro del Reich, pur aderendovi personalmente, riservò la decisione al suo Governo. Questi punti, non ancora definitivamente concordati, non sono, a mio avviso -salvo forse uno -di tale natura da compromettere ormai l'esito favorevole delle trattative. Tanto più che nel linguaggio e negli atteggiamenti di von Papen si è notata una precisa tendenza a raggiungere sollecitamente un accordo.

Sono stato, l'altro ieri e ieri sino a tarda ora, in diretto contatto con Schuschnigg e con il suo collaboratore più fidato, il Dr. Schmidt (è stato con lui anche alla Rocca delle Caminate), ed ho potuto seguire da vicino le singole fasi delle trattative. Credo di aver esercitato un'influenza la quale, assicurando la tutela del nostro interesse politico particolare, facilitì -secondo che a noi stessi deve consigliare la presente situazione generale -la conclusione dell'accordo, il cui valore e la cui ripercussione -qualunque sia per essere poi la pratica attuazione ---sarebbero certo notevoli nell'attuale momento politico.

Allo schema di accordo si è data la forma di un Gentlemans-Agreement che comprenderebbe tutta la materia, politica, amministrativa, economica ecc. Accanto a questo documento non destinato alla pubblicità, si è redatto lo schema di un Comunicato da pubblicarsi, nel quale si esporrebbero le ragioni e le basi fondamentali dell'accordo e se ne riprodurrebbero alcune disposizioni d'ordine politico generale. In questo Comunicato ho ottenuto (v. mia lettera 29 giugno, n. l) (l) che accanto alla dichiarazione generale sui rapporti di politica estera tra l'Austria e il Reich fosse riprodotto il passo relativo ai Protocolli di Roma e alla posizione dell'Austria rispetto all'Italia e all'Ungheria. Lo stesso passo è naturalmente anche nel Gentlemans-Agreement, nella forma seguente:

«Il Governo Federale austriaco dichiara di essere pronto a tener conto, nella propria politica estera, delle tendenze pacifiche della politica estera del Governo del Reich germanico. Si è d'accordo che i due Governi cureranno di caso in caso uno scambio d'idee sulle questioni di politica estera di comune interesse. Con ciò non vengono toccati i Protocolli di Roma del 1934 e i Protocolli aggiuntivi del 1936, come pure la posizione dell'Austria rispetto all'Italia e all'Ungheria come partecipanti a tali Protocolli».

La consultazione tra il Reich e l'Austria, limitata alle questioni di comune interesse, è cosi coordinata e subordinata al regime dei Protocolli di Roma e alla posizione generale dell'Austria verso gli altri due firmatari dei Protocolli stessi. Roma -così mi ha detto commentando Schuschnigg -resta per me

11 primo passo per ogni cosa importante; verrebbe poi al caso, come secondo passo, Berlino, per le cose di comune interesse austro-germaniche.

Accludo, in traduzione italiana, il testo dello schema del Comunicato (1).

I punti sui quali von Papen si riservò di comunicare l'adesione di Berlino, sono:

al n. 1: là dove al riconoscimento della sovranità dello Stato federale austriaco da parte del Governo del Reich il Cancelliere ha desiderato di aggiungere l'aggettivo « piena'> (sovranità), e là dove il Cancelliere non ha accettato l'aggiunta proposta da Berlino alle parole «Stato Federale austriaco »: « al cui popolo spetta come agli altri popoli il libero diritto d'autodecisione » e ciò per le ragioni evidenti, da me indicate nella lettera 29 giugno n. l (pag. 2). Il Cancelliere sostituì a tale passo quello che esprime la volontà dello Stato federale di mantenere la propria sovranità verso chiunque; che è una nuova riaffermazione così dell'indipendenza come del diritto e della volontà di farla valere contro chiunque.

al n. 2: là dove il Cancelliere ha voluto eliminato tanto l'accenno espresso nel testo germanico a « partiti» sostituendovi una frase generale, quanto l'accenno preciso ad un esistente partito austriaco NSDAP, che la legge interna austriaca non solo non riconosce, ma vieta, e vi ha sostituito una frase generica sulla «questione del nazionalsoCÌalismo austriaco», che va in ogni modo considerata e risolta come «una questione interna» dello Stato austriaco, con espressa esclusione d'ogni ingerenza diretta o indiretta del Reich.

A questo punto va rilevato che avendo Berlino sollevato difficoltà a riconoscere espressamente il regime autoritario vigente in Austria, il Cancelliere, anche da me sollecitato, ha ritirato la sua adesione a riconoscere il Nazionalsocialismo come dottrina fondamentale dello ::ltato germanico. Berlino non ha potuto che aderire a questa richiesta, mancando da parte sua la reciprocità, e però fu di comune accordo eliminato dai due documenti ogni accenno ai regimi dei due Stati, il cui riconoscimento di fatto è implicito e la cui situazione politica interna è, in conformità alle norme generali della convivenza internazionale, considerata e dichiarata affare interno di ogni singolo Stato con esclusione d'ogni ingerenza dell'altro Stato.

Su tutto il resto del Comunicato è stato accertato il pieno accordo tra le due parti. La soppressione del riconoscimento dell'ideologia nazista da parte del Governo austriaco facilita la comprensione dell'accordo da parte del Vaticano

(v. lettera mia l corr. n. 4) (2).

Lo schema del Gentleman-Agrèement, molto più ampio, si compone, oltre che di un breve preambolo, di dieci capitoli (l-X), di cui traduco qui i titoli:

l) Regolazione del trattamento dei cittadini germanici in Austria e dei cittadini austriaci nel Reich.

Il) Vicendevoli rapporti culturali.

l2) Vedi D. 421.

III) Stampa.

IV) Questione degli «emigranti~.

V) Emblemi e inni nazionali.

VI) Rapporti economici.

VII) Traffico turistico.

VIII) Politica estera.

IX) Politica interna (amnistia, partecipazione dei «nazionali>> in Austria alla vita politica ecc.).

X) Trattamento di incidenti e reclami.

Il più delle disposizioni del Gentlemens-Agreement corrisponde sostanzialmente ai propositi e alle formulazioni comunicatimi da Schuschnigg come risultato de' suoi contatti preliminari con von Papen e con il fiduciario dei «nazionali~ e da me riferiti, alla vigilia dell'incontro alla Rocca delle Carninate, con la lettera a Suvich del 30 maggio scorso (1).

In particolare osservo che nel preambolo è indicato come scopo dell'accordo confidenziale «il desiderio manifestato dalle due Parti dl ridare ai rapporti tra il Reich germanico e lo Stato Federale austriaco un carattere normale e amichevole>>. /

Di notevole importanza per gli eventuali sviluppi della situazione interna in Austria è che il Cancelliere ha saputo sottrarsi all'impegno, che era stato proposto da Berlino e dai «nazionali» austriaci, di accogliere nel Gabinetto due ministri « nazionali » con un mandato speciale di curare i rapporti con i loro consenzienti. Tutto si limita ad una dichiarazione del Cancelliere di essere pronto -allo scopo di promuovere l'opera di pacificazione -di ammettere rappresentanti della così detta opposizione nazionale in Austria a collaborare negli uffici di responsabilità politica, con espressa riserva che le persone chiamate a tali uffici (nel Governo solo un ministro; nella Vaterlandische Front; nei corpi consultivi ecc.) devono godere la fiducia personale del Cancelliere, il quale se ne riserva la libera scelta.

La formulazione di questo capitolo è stata molto laboriosa e su alcune frasi particolari von Papen si è riservato di pronunziarsi dopo sentito di nuovo Berlino. Dicasi altrettanto per alcuni incisi nei capitoli relativi al trattamento della stampa e degli «emigranti». Ma trattasi di differenze non essenziali, che secondo il pensiero di Schuschnigg (da me condiviso) non possono in nessun caso far ostacolo alla conclusione dell'accordo.

Von Papen ha trasmesso oggi stesso a Berlino gli schemi concretati ieri e si propone, dopo avutane conferma telegrafica, di incontrarsi di nuovo col Filhrer il 6 corr. Il Cancelliere ritiene che, non sopravvenendo difficoltà imprevedute, la conclusione del negoziato possa attendersi attorno al 10 corr. Egli, secondando quanto oggi ho potuto dirgli in seguito all'istruzione avuta per telefono da Roma, farà tutto il possibile per abbreviare i tempi. E mi terrà informato di ogni novità.

Qualora da Roma si credesse di poter influire su Berlino per la rapida accettazione dello schema come concretato ieri qui, sarà bene che si possa darne notizia a Schuschnigg, il quale su di una sola cosa non crede di poter transigere: sulla frase proposta da Berlino per proclamare il diritto di libera autodecisione del popolo austriaco: proclamazione (n. l del Comunicato) che sarebbe la negazione della base fondamentale dell'Accordo e ne frusterebbe ogni leale applicazione. Questo sarebbe, se mai, il punto per un nostro eventuale intervento a Berlino, questo solo essendo un ostacolo insormontabile (1).

ALLEGATO

SCHEMA DI UN COMUNICATO

Nel convincimento di portare un contributo prezioso allo sviluppo della situazione generaJle europea per il mantenimento della pace, come pure nella fiducia di servire con ciò, nel modo migliore, i molteplici vicendevoli interessi dei due Stati tedeschi, i Governi del Reich tedesco e dello Stato Federale d'Austria hanno deliberato di ridare ai loro rapporti un carattere di normalità e di amicizia. In questo incontro viene dichiarato:

l) In conformità alle constatazioni fatte dal Fiihrer e Cancelliere del Reich il 21 maggio 1935 (2) il Governo del Reich tedesco riconosce la piena sovranità dello Stato Federale d'Austria, che questo è risoluto a mantenere verso ogni parte.

2) Ciascuno dei due Governi considera la conformazione politica interna esistente nell'altro Stato -ivi compresa la questione del nazionalsocialismo austriaco -come un affare interno dell'altro Stato, su cui esso non prenderà alcuna ingerenza né direttamente né indirettamente.

3) Il Governo Federale austriaco manterrà sempre la sua politica in generale, come in particolare rispetto al Reich tedesco, su tale linea fondamentale che corrisponde al fatto che l'Austria si professa Stato tedesco.

Con ciò non sono toccati i ProtocolLi di Roma del 1934 e le aggiunte del 1936, come pure in generale la posizione dell'Austria verso l'Italia e l'Ungheria quali partecipanti a quei Protocolli.

Nella considerazione che la distensione desiderata da ambedue le parti può essere conseguita solo quando da parte dei Governi dei due Paesi siano create determinate premesse, il Governo del Reich come pure il Governo Federale d'Austria si accingeranno a costituire con una serie di provvedimenti particolari i presupposti a ciò necessari.

(l) Vedi D. 407.

(l) Non pubblicato.

(l) Non rinvenuta.

430

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 6484/S.N. R. Ginevra, 3 luglio 1936, ore 18.

Suno venuti a vedermi Massigli e Lagarde esperto francese per le sanzioni, i quali mi hanno confermato che Comitato di coordinamento si riunisce domani per decidere abolizione sanzioni attraverso formula che ne fissi data e moda

lità (1). Al riguardo essi hanno segnalato che si manifesterebbe da parte piccoli Stati (Belgio, Scandinavi) preoccupazione che nonostante abolizione sanzioni Governo italiano possa continuare ad esercitare controsanzioni.

Mi sono subito espresso nei termini di cui al telegramma di V. E. n. 83 del 26 giugno (2). Suddetti delegati francesi, pur prendendone atto, mi hanno fatto presente che proposta n. 5 del Comitato di coordinamento per cosi detta mutua assistenza potrebbe dare occasione a piccoli Stati di pretendere sopravvivenza anche temporanea di un qualche Comitato incaricato di vigilare che l'Italia non mantenga controsanzioni in confronto dei piccoli Stati in modo da assicurare a questi protezione delle grandi Potenze che a suo tempo li spinsero a prendere le sanzioni. Per evitare questo delegati francesi si proporrebbero di dare ogni assicurazione sull'infondatezza di tali apprensioni, e credono che potrebbe all'uopo giovare la possibilità di mostrare in Comitato una letterina indirizzata dalla segreteria della delegazione italiana alla delegazione francese e contenente le assicurazioni sopra ricordate.

Ho preso l'occasione per ricordare che Eden aveva parlato di mantenimento delle intese di mutua assistenza mediterranea, e che da parte francese sembrava che queste si ritenessero automaticamente caduche con la fine delle sanzioni. Perciò ad un'eventuale lettera come quella richiesta (sulla quale peraltro non potevo prendere nessun impegno) avrebbe dovuto per lo meno corrispondere un'assicurazione francese, ugualmente scritta, che assicuri che con la levata delle sanzioni cadranno anche gli accordi di mutua assistenza navale previsti per l'applicazione di esse.

Mi hanno risposto che qui trattasi di questione politica mentre il quesito era di ordine economico. Hanno insistito nel prospettarmì che, munita di una tale lettera, la delegazione francese potrebbe più agevolmente -come si propone di fare -sostenere in Comitato di Coordinamento l'assurdità di ogni dubbio che l'Italia intenda di mantenere le controsanzioni una volta abolite le sanzioni e quindi evitare la sopravvivenza di qualsiasi attività del Comitato di Coordinamento e dei suoi organi secondari.

Mi sono riservato una risposta (3).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Nota del documento: ''Hitler dichiarò il 21 maggio 1935: "La Germania non ha né l'intenzione né la volontà di immischiarsi nelle condizioni interne austriache né di annettere né comunque riunire a sé l'Austria">>.
431

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 6496/119 R. Vienna, 3 luglio 1936, ore 20,30 (per. ore 22,25).

Come reazione del rifiuto opposto dal Cancelliere Federale a recarsi a Ginevra (4) (rifiuto che questi circoli della Piccola Intesa insinuano sia dovuto

all'azione di questa Legazione) Romania getta allarme di un preteso imminente pericolo di restaurazione in Austria.

Difatti, giusta notizie pervenute testè al Ballplatz, Re Caro! avrebbe convocato stamane presidente del Consiglio romeno onde prendere accordi per misure militari da adottare in caso di tentativo legittimista a Vienna.

Allarmi romeni sono infondati. A riprova segnalo: l) che Cancelliere Federale ha convocato tre giorni fa capo dei legittimisti locali raccomandando di evitare ogni manifestazione e di usare la maggiore cautela; 2) che arciduca Ottone ha dichiarato settimana scorsa a due personalità austriache di essere ormai convinto che situazione internazionale, nonché atteggiamenti ostili Piccola Intesa, non consentono assolutamente pel momento alcuna eventuale azione.

(l) -Vedi p. 506, nota l. (2) -Vedi D. 374. (3) -Il documento reca la seguente annotazione del capo del servizio istituti internazionali, ministro Rocco: «A questo fonogramma, che ho ricevuto personalmente da Bova Scappa, ho subito risposto che, nel riservarmi di riferire a S. E. il ministro, mi sembrava, a titolo personale, che non vi fosse ragione o opportunità di rilasciare la lettera richiesta ». (4) -Vedi D. 416.
432

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6551/0164 R. Parigi, 3 luglio 1936 (per. il 6).

Telespresso di V. E. n. 220386/C Aff. Pol. Uff. II del 17 giugno 1936 (l).

Ho parlato della questione a Léger il quale ha detto che la Francia non ha avuto occasione di approvare l'intesa fra la Romania e la Cecoslovacchia per la ragione che fino al momento in cui mi parlava essa non ne aveva avuta notizia. Esaminando poi meco la situazione della Piccola Intesa nei riguardi dei suoi vicini e dei pericoli che potrebbero esistere per essa, Léger mi ha. detto che riteneva probabile che le recenti conversazioni fra i capi di Stato Maggiore romeno, jugoslavo e cecoslovacco avessero portato ad accordi positivi del genere di quelli menzionati nella corrispondenza da Bucarest in data del 14 giugno all'Agenzia Stefani.

Egli osservò che bisognava tener presente la circostanza che la Piccola Intesa aveva recentemente deciso, in caso di Anschluss dell'Austria al Reich, di mobilitare immediatamente senza nemmeno consultare la Francia. Era dunque logico che le Autorità militari competenti avessero deciso di prendere sin da ora tutti i provvedimenti necessari per procedere con la massima urgenza alla suddetta mobilitazione.

Léger non crede invece che sia stato firmato un accordo segreto tra Romania e Cecoslovacchia per consentire alle truppe sovietiche di raggiungere il territorio cecoslovacco attraversando la zona di Czernovitz od all'aviazione sovietica di sorvolare la Bucovina. Egli parte dal punto di vista che se il Reich e l'U.R.S.S., si trovassero in conflitto armato, la Piccola Intesa si dovrebbe fatalmente trovare dal lato dell'U.R.S S., cosicché le forze terrestri ed aeree sovietiche potrebbero, anzi dovrebbero, transitare liberamente attraverso la Romania.

A quale scopo quindi stipulare oggidi una convenzione la quale, ancorché segreta, finirebbe per essere conosciuta e susciterebbe in Germania un'ondata di sospetti che sarebbe sfruttata ai fini del Reich?

Ho obiettato che egli dava come certa l'adesione di tutta la Piccola Intesa ad un'azione bellica contro la Germania, mentre io mi permettevo ricordare i dubbi che si possono nutrire circa l'atteggiamento che in una simile circostanza potrebbe tenere la Jugoslavia. Léger mi ha risposto che, pur non volendo credere che la Jugoslavia potesse abbandonare la Romania e la Cecoslovacchia il giorno in cui la loro indipendenza fosse minacciata, lo stato di fatto da lui menzionato dianzi non mutava e cioè le Forze Armate e l'aviazione dell'U.R.S.S. avrebbero sempre dovuto passare per la Romania onde raggiungere la Cecoslovacchia

o comunque prendere posizione contro le forze tedesche operanti verso sud est.

Léger ricordò che, durante gli ultimi suoi soggiorni a Parigi, Titulescu parlò molto, anzi moltissimo degli sforzi che faceva per garantire la neutralità della Romania nel caso di un conflitto fra il Reich e l'U.R.S.S. Egli lo aveva sempre lasciato parlare a suo piacimento, avendo la sensazione che Titulescu volesse convincere anche se stesso della possibilità di realizzare un progetto, che sapeva perfettamente essere inattuabile. Per quanto concerne infine l'idea di Titulescu di concludere con l'U.R.S.S. un accordo analogo a quello di mutua assistenza e consultazione stipulati da quest'ultimo Stato con la Francia e la Cecoslovacchia, Léger ha osservato che è noto da vario tempo il desiderio del ministro degli Affari Esteri romeno e che ritiene possibile anzi probabile che un giorno o l'altro egli finisca per realizzarlo.

(l) Rltrasmetteva 11 D. 279.

433

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 6553/0166 R . Parigi, 3 luglio 1936 (per. il 6).

.teri Léger, nell'accogliermi, mi chiese scusa di avermi fatto attendere qualche minuto spiegandomi che aveva ricevuto prima della mia la visita del signor Campbell, ministro d'Inghilterra a Belgrado che fu per lunghi anni consigliere di questa ambasciata britannica. Questi, di passaggio per Parigi, si era recato ... vederlo essendo legato a lui da vincoli di antica e sincera amicizia e si era allungato a parlare dei poco soddisfacenti rapporti esistenti tra Roma e Belgrado, che causavano preoccupazione tanto a Londra che a Parigi.

Alla mia domanda intesa a conoscere quale fatto speciale avesse originato la situazione di cui si tratta, Léger rispose che non si poteva parlare di questo

o quel motivo specifico di malinteso, che viceversa esisteva una diffusa psicosi di diffidenza da parte degli jugoslavi contro l'Italia alla quale si attribuivano intenzioni disgregatrici della compagine del Regno.

Ripetei a Léger quanto gli avevo detto più di una volta a proposito di Pavelic e Kvaternik i quali, contrariamente a quanto andava dicendo il Governo jugoslavo, non erano affatto liberi di promuovere agitazioni contro Belgrado ma erano strettamente sorvegliati in Italia. Ricordai le ragioni per le quali non si era voluto fare ai due capi croati suddetti un processo che si sarebbe trasformato, per forza di cose, in una requisitoria contro il Governo jugoslavo e gli dissi che non potevo fare a meno di scorgere nei timori di Belgrado uno di quei fenomeni balcanici in base ai quali tutto un popolo si crede ad un dato momento minacciato nella propria esistenza. Era sintomatico che questa psicosi fosse manifestata all'indomani della fine della guerra itala-etiopica. Ciò poteva far ritenere che a Belgrado si credesse, in base a non so quali notizie, che l'Italia, libera da preoccupazioni di ordine militare in Africa Orientale, volesse senz'altro, menar le mani nei Balcani. Era anche sintomatico il fatto che la stessa psicosi si notava in Turchia o almeno presso taluni uomini di Stato turchi i quali intrattenevano relazioni cordialissime con Belgrado.

Léger convenne che vi era del vero in quanto gli avevo detto e mi domandò come mai il R. Governo non avesse fatto nulla per eliminare dei sospetti che davano origine allo stato di cose preoccupante di cui mi aveva parlato.

Osservai a titolo personale che noi non avevamo ragione di negare ciò che era inesistente. Sarebbe stato compito del ministro jugoslavo a Roma di riferire al suo Governo circa lo stato d'animo in Italia. Temevo che egli non lo facesse o che non avesse sufficiente autorità per convincere Belgrado.

Léger osservò che il Governo jugoslavo dispone di un numero esiguo di diplomatici abili ed ascoltati; ad ogni modo mi ass~curò che avrebbe tenuto presente quanto gli avevo detto.

434

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6549/0167 R. Parigi, 3 luglio 1936 (per. il 6).

Telegramma di V. E. per corriere n. 2981 R. (1).

Ho procurato di controllare le voci comunicatemi parlandone a Léger il quale mi ha detto che da due anni a questa parte ogni qualvolta Tevfik Aras passa per Parigi egli insiste perché si addivenga tra Francia e Turchia ad un patto. Il Quai d'Orsay ha dal suo lato sempre risposto che se Tevfik Aras desidera concludere un «patto di amicizia, conciliazione ed arbitrato», questo può essere preparato in poche ore dai propri uffici e firmato senz'altro. Tevfik Aras vuole peraltro di più ed insistette, ancorché non l'ultima volta, cioé pochi giorni or sono, perché si addivenisse tra Francia e Turchia ad un patto analogo a quello che la Francia ha concluso con la Jugoslavia, patto cioé non solo di amicizia, ma di consultazione ed assistenza mutua. La Francia non ha sinora scorto alcun interesse a concludere un tale accordo ed ha quindi costantemente dato risposte evasive a Tevfik Aras.

Léger ha aggiunto di non aver avuto sinora notizia che il ministro degli Affari Esteri turco, nelle sue conversazioni a Montreux con Paul-Boncour e coll'ambasciatore Ponsot abbia nuovamente accennato a tale sua antica idea. Ritiene che ciò non sia avvenuto perché ne sarebbe stato subito informato. Ad ogni modo l'accoglienza che il Quai d'Orsay farebbe ad una simile eventuale apertura non potrebbe essere diversa da quella anteriore, da lui specificatami.

(l) Vedi D. 376.

435

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. POSTA 3036/1150. Belgrado, 3 luglio 1936 (per. il 6).

La stampa jugoslava, specie quella controllata dal Governo, sembra in questi giorni concordemente intenta a porre in rilievo il processo di chiarificazione e di rinsaldamento che si sarebbe venuto determinando nei rapporti franco-jugoslavi dopo l'assunzione al governo del Fronte Popolare e particolarmente dopo le dichiarazioni sulla politica estera e societaria fatte da Blum e da Delbos a Parigi e a Ginevra.

Si stabiliscono raffronti col passato e si fa car!co ai precedenti governi francesi, e sopratutto a Lavai, di avere con la loro politica consentito che nei rapporti della Francia coi suoi amici ed alleati dell'est, in particolare con la Jugoslavia, si creasse un'atmosfera di equivoco e di dubbio. Blum ha tenuto un linguaggio sincero quale non si era abituati da tempo ad udire per ciò che concerne gli obblighi della Francia verso gli altri Paesi. Secondo la Politika il Capo del Governo francese ha voluto sentire a Ginevra direttamente dal corrispondente di questo giornale, quali fossero le doglianze della Jugoslavia verso i precedenti governi francesi e ha dato assicurazioni che l'avvenire sarà migliore autorizzando il corrispondente a pubblicare la seguente dichiarazione: «Noi apprezziamo interamente il valore dell'amicizia franco-jugoslava. La nostra politica con tutti gli Stati e particolarmente con quelli coi quali siamo legati da una provata amicizia, sarà una politica di assoluta franchezza e di leale fedeltà verso tutti i nostri impegni. In virtù di questa politica noi tutti insieme sapremo conservare la pace in Europa».

II Vreme a sua volta ha ottenuto un'altra breve e generica dichiarazione del signor Blum, che viene pubblicata nei termini seguenti:

«Sono felice di potere a mezzo del Vreme esprimere al popolo jugoslavo, nostro amico e alleato, la ferma volontà del mio Governo e di tutta la Nazione francese, di mantenere e di sviluppare i rapporti di amicizia e di reciproca confidenza che hanno sempre legato i nostri due popoli. Spero che questa collaborazione contribuirà al mantenimento e al rafforzamento della pace indivisibile della quale ho largamento sviluppato l'idea nel mio discorso davanti l'Assemblea della S.d.N. Tutti i colloqui elle ho avuti durante il mio breve soggiorno a Ginevra coi rappresentanti della Piccola Intesa e dell'Intesa Balcanica, hanno rinsaldato la mia convinzione che queste due organizzazioni politiche lavorano al rafforzamento della pace nell'Europa Centrale».

La Pravda riproduce poi un'informazione del suo corrispondente da Ginevra, secondo la quale, dopo i colloqui avuti da Puric con Blum e con Delbos, il Consiglio dei ministri francese in una delle sue recenti riunioni, occupandosi dei rapporti della Francia con la Piccola Intesa avrebbe fra l'altro deciso «la piena osservanza e la totale applicazione del patto di alleanza franco-jugoslavo, nonché lo stretto adempimento di tutti gli obblighi che esso comporta ».

Ora, secondo quanto qui risulta circa i colloqui che il ministro di Jugoslavia a Parigi ha avuti col Capo del Governo francese e con quel ministro degli Affari Esteri, Puric avrebbe cercato di avere aperte assicurazioni sull'adempimento degli impegni di assistenza della Francia nel caso di attacco delle frontiere jugoslave in generale; avrebbe fatto conoscere in forma energica il proposito della Jugoslavia di opporsi ad ogni tentativo di restaurazione absburgica ed avrebbe, a quanto si afferma, ottenuto l'incondizionato appoggio del Governo francese. In compenso, sempre per bocca del suo ministro a Parigi, la Jugoslavia avrebbe dato al governo francese ampi affidamenti diretti a dissipare le diffidenze provocate dagli orientamenti di Belgrado verso Berlino, orientamenti che negli ultimi tempi hanno assunto un ritmo sempre più intenso (l).

436

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRA~A 6499/784 R. Ginevra, 4 luglio 1936, ore 8.

Ieri sera tardi ha avuto luogo una riunione presso van Zeeland dei principali delegati i quali si sono di nuovo consultati, in base alla discussione che aveva avuto luogo nel pomeriggio in seno al «Bureau », sull'opportunità di redigere una bozza di testo che possa essere il più accettabile possibile per l'Italia. Contrariamente all'idea prevalsa in un primo tempo (vedi mio telegramma

n. 783 di ieri sera) (2) di redigere due progetti di risoluzione è stato ritenuto più utile di prepararne uno solo di cui trasmetto il testo integrale qui di seguito (3).

Delegati francese e belga mi hanno convocato a mezzanotte per chiarirmi:

l) che la parte relativa al ricordo delle contestazioni fatte e delle decisioni prese anteriormente dall'Assemblea -elemento che avevo trovato nel

SOl

corso delle conversazioni di ieri assolutamente inopportuno --è stato ridotto ai minimi termini contrariamente alle intenzioni di alcune delegazioni sud americane e nordiche;

2) che l'intransigenza di tali delegazioni aveva reso impossibile sopprimere ogni menzione al riguardo, come van Zeeland e Delbos avrebbero desiderato. Prova ne era la lettera del delegato messicano, che trasmetto con telegramma a parte, e che lasciava prevedere secessioni ancora più gravi;

3) che invece di dare al testo il carattere di un progetto di risoluzione gli si era data la veste di un voto.

Van Zeeland spera che questo testo, che egli stesso ha redatto e che hanno messo a punto Basdevant e Bourquin, possa essere adottato nella riunione di stamane del Bureau malgrado preveda delle difficoltà da parte degli elementi che sono noti a V. E. Egli prega V. E. di considerare: l) che il progetto ricorda nel paragrafo due anche la nota italiana. 2) che esso non pregiudica in merito il problema del riconoscimento, parola che non vi è neppure ricordata. 3) che esso risolve il problema delle sanzioni, che era il primo vero obbiettivo di questa Assemblea. 4) che non prevede affatto costituzione di commissioni e studi, come si era in un primo tempo desiderato da alcune delegazioni.

Se il progetto verrà accettato dal Bureau e dall'Assemblea questa mattina, van Zeeland e Delbos considerano che ciò costituirà un passo definitivo verso la conciliazione tra Roma e Ginevra.

Ho l'impressione che essi abbiano attivamente concorso attenuare testo del progetto in relazione alla decisione presa per Locarno e all'invito che sarà rivolto in proposito a V. E. (l).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolin!. (2) -Non pubblicato. (3) -Non pubbl!cato, ma vedi D. 438.
437

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6498/785 R. Ginevra, 4 luglio 1936, ore 8,20.

Ieri sera tardi si sono riuniti presso Eden il ministro degli Affari Esteri francese Delbos e van Zeeland. Essi hanno deciso pubblicare un comunicato in cui affermeranno di essere d'accordo sulla necessità di una riunione delle Potenze locarniste (2). La data non è stata ancora fissata. Un invito a partecipare alla riunione sarà rivolto al Governo italiano.

(l) Vedi D. 437.

(2) Più esattamente, era stato concordato di indire una riunione degli Stati locarnisti che avevano elaborato l'accordo del 19 marzo precedente, formula che comprendeva Gran Bretagna, Francia, Italia e Belgio ed escludeva la Germania. Van Zeeland era stato incaricato di diramare gli inviti. Per il testo del comunicato vedi Documenti di politica internazionale, p. 380.

438

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N., PILOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRA~A 6503/267 R. Ginevra, 4 luglio 1936, ore 11,40.

Comunico testo definitivo progetto risoluzione adottato dal Bureau e che sarà sottoposto all'Assemblea in riunione fissata per mezzogiorno (l).

L'Assemblea,

l) convocata nuovamente su iniziativa del Governo della Repubblica Argentina in seguito alla decisione dell'll ottobre 1935 di aggiornare la sua sessione per esaminare la situazione nata dal conflitto italo-etiopico;

2) prendendo atto delle comunicazioni e dichiarazioni che vi sono state fatte in merito; 3) constatando che diverse circostanze hanno impedito l'applicazione integrale del Patto della S.d.N.;

4) restando fermamente attaccata ai principi del Patto, principi che trovano egualmente la loro espressione in altri atti diplomatici come la dichiarazione degli Stati americani in data del 3 agosto 1932 che esclude il regolamento con la forza delle questioni territoriali;

5) desiderosa di rinforzare l'autorità della S.d.N. adattando l'applicazione di questi principi alle lezioni dell'esperienza; 6) persuasa che importa di accrescere l'efficacia reale delle garanzie di sicurezza che la Società offre ai suoi Membri; emette il voto che il Consiglio;

a) inviti i Governi dei membri della Società a far pervenire al Segretario Generale, possibilmente prima del lo settembre 1936 ogni proposta che ritengano dover presentare allo scopo di perfezionare nello spirito e nei limiti suesposti, la messa in opera dei principi del Patto;

b) incarichi il Segretario Generale di sottoporre ad un primo studio e specialmente di classificare le suddette proposte; c) faccia rapporto all'Assemblea, nella sua prossima sessione, sullo stato della questione.

II) L'Assemblea: prendendo atto delle comunicazioni e dichiarazioni che le sono state fatte in merito alla situazione nata dal conflitto italo-etiopico;

ricordando le constatazioni fatte e le decisioni prese anteriormente in occasione di questo conflitto;

emette il voto che il Comitato di coordinamento faccia ai Governi ogni proposta utile allo scopo di mettere fine alle misure da essi prese in esecuzione dell'art. 16 del Patto.

Il progetto di risoluzione è preceduto da un rapporto del Bureau così concepito:

l) Il Bureau dell'Assemblea ha tenuto due sedute allo scopo di compiere il lavoro di studio e di redazione che gli era stato affidato dall'Assemblea. La delegazione del Messico si è astenuta di partecipare ai lavori del Bureau per le ragioni esposte in una lettera indirizzata alla Presidenza e che è riprodotta nel Journal dell'Assemblea n.28 in data del 4 luglio 1936 (1).

La missione del Bureau consisteva nell'estrarre dalla discussione alla quale l'Assemblea aveva proceduto sul conflitto itala-etiopico i punti che potrebbero figurare in un progetto di testo destinato ad essere sottoposto all'Assemblea. Contemporaneamente il Bureau era stato incaricato dall'Assemblea di esaminare due progetti di risoluzione presentati dalla delegazione etiopica.

2) Il Bureau ha proceduto ad uno scambio di vedute sulle principali osservazioni e suggerimenti emessi nel corso della discussione, nonchè sui progetti di risoluzione presentati dalla delegazione etiopica. A seguito di questo esame il Bureau raccomanda unanimemente all'Assemblea il progetto di testo allegato. In uno di questi elementi, è tenuto conto delle vedute espresse nel corso dei dibattiti, questo testo risponde alla questione che fa oggetto [del progetto] di risoluzione della Delegazione etiopica.

Per ciò che riguarda il secondo di questi progetti di risoluzione il Bureau ha osservato che una richiesta simile era già stata sottoposta dalla delegazione dell'Etiopia al Consiglio; esso si riferisce in merito al rapporto del Comitato dei 13 del 25 gennaio 1936, approvato dal Consiglio.

(l) Vedi D. 440.

439

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. PER CORRIERE 5744/98 P. R. Roma, 4 luglio 1936, ore 18,30 (per. ore 21).

Ho intrattenuto monsignor Pizzardo, secondo le istruzioni impartitemi dal Gabinetto dell'E. V. (2).

Ho informato il segretario per gli Affari Ecclesiastici che sono in corso trattative per la conclusione di un modus vivendi austro-germanico. Ho soggiunto che l'accordo progettato incontra la nostra approvazione perchè inteso a mettere fine a una tensione pericolosa. La mia dichiarazione voleva anche dire che la nostra politica verso l'Austria non era mutata e in modo particolare che gli accordi di Roma mantenevano intero il loro valore.

Monsignor Pizzardo ha preso atto della mia comunicazione con evidente soddisfazione e mi ha voluto dare conoscenza delle notizie pervenute alla Segreteria di Stato. Un rapporto del 23 giugno, probabilmente dalla nunziatura a

Vienna, presentava le trattative austro-tedesche sotto una luce poco simpatica per il Governo austriaco. In esso è scritto, a tutte lettere, che le trattative stesse si svolgono all'insaputa dell'Italia.

Monsignor Pizzardo mi ha letto la risposta brevissima. La Segreteria di Stato si è limitata a domandare, prima di ogni altra cosa, che venisse appurata la fonte dell'informazione.

Ho avuto l'impressione che mons. Pizzardo si sia persuaso dell'opportunità di non intralciare le trattative in corso per la conclusione del modus vivendi. Egli ha tentato discretamente di avere notizie sull'accordo in gestazione. Gli ho risposto di ignorarne io stesso il contenuto. Ho domandato al mio interlocutore di conservare il segreto sulla nostra conversazione. Mi ha promesso di parlarne solo al Cardinale.

Spero che anche il Segretario di Stato, a malgrado la sua nota invincibile avversione per tutto quello che sa di nazismo, si renderà conto della convenienza che ha l'Austria di addolcire le sue relazioni con il Reich.

Riferirò ulteriormente (l).

(l) -Vedi p. 507, nota 3. (2) -Di tali istruzioni non vi è documentazione. Si tratta, probabllmente, di istruzioni verbali.
440

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FONOGRAMMA 6529/793 R. Ginevra, 4 luglio 1936, ore 20,40.

L'ultimo atto della commedia inscenata dalla S.d.N. si è chiuso con votazione odierna davanti all'Assemblea. Il progetto elaborato dal Bureau diviso in due parti, tale come comunicato stamane a V. E. (2), è stato messo ai voti da presidente van Zeeland. Esso ha ottenuto i seguenti risultati: voti favorevoli 44; contrario l (Etiopia); astenuti 4 (Sud Africa, Cile, Panama, Venezuela). Sud Africa e Panama hanno fatto brevi dichiarazioni per giustificare loro astensione. Sono risultati assenti all'appello nominale Messico, Repubblica Domenicana, Guatemala, Honduras, Liberia, Paraguay, San Salvador.

Delegato etiopico Nasibù ha fatto poi un lungo discorso per sostenere la necessità che l'Assemblea procedesse alla votazione dei due progetti di risoluzione etiopica.

Presidente ha sostenuto che il primo progetto poteva essere considerato coperto dal voto già espresso dall'Assemblea ed ha interpretato il silenzio di quest'ultima nel senso che essa approvava tale tesi. Ha messo quindi ai voti il secondo progetto relativo all'assistenza finanziaria all'Etiopia. Su tale progetto hanno votato contro 23 delegazioni, tra cui quelle della Francia, Inghilterra e U.R.S.S. Si sono invece astenute 25 delegazioni e precisamente: Afganistan, Africa del Sud, Argentina, Bolivia, Cile, Cina, Colombia, Repubblica

37 --Documenti diplomatici • Serie VIII • Vol. lV

Domenicana, Spagna, Estonia, Finlandia, Grecia, Haiti, Irak, Iran, Lituania, Norvegia, Panama, Romania, Siam, Svezia, Cecoslovacchia, Turchia, Venezuela e Jugoslavia. Il solo voto a favore è stato quello di Nasibù il cui «si» ha dato la nota saliente di comicità alla seduta. All'appello nominale sono risultati assenti gli stessi Stati di cui sopra.

Presidente van Zeeland ha quindi fatto un discorso di tono elevato, sostenendo la necessità di aver fede nell'avvenire della S.d.N. Egli ha rivolto parole calorose di simpatia all'Italia accennando ai sacrifici che il Belgio aveva dovuto fare per associarsi alle misure decretate dalla Lega.

Cantilo ha ringraziato il presidente a nome dell'Assemblea per l'imparzialità con cui aveva diretto i dibattiti.

Vista l'ora tarda e dato il fatto che il Consiglio ha dovuto riunirsi di nuovo, Comitato di Coordinamento che doveva essere convocato stasera, è stato rinviato a lunedì alle ore 10 (1).

(l) -Vedi D. 455. (2) -Vedi D. 438.
441

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6623/081 R. Vienna, 4 luglio 1936 (per. l'B).

Giusta confidenza di persona appartenente a questa nunziatura, il Vaticano, che è del tutto contrario alla conclusione di modus vivendi fra Vienna e Berlino, ha fatto anche di recente rappresentare al Cancelliere Schuschnigg tale suo punto di vista.

442

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN (2)

APPUNTO. Roma, 4 luglio 1936.

E' venuto a vedermi l'ambasciatore di Francia il quale mi ha comunicato di aver ricevuto una telefonata da Delbos che voleva farci sapere come la risoluzione adottata a Ginevra sia stata il risultato di un l.ungo lavoro compiuto dalla delegazione francese per fare accettare una formula per quanto possibile gradevole per l'Italia. Teneva a mettere in rilievo che se anche formalmente vi erano alcuni punti che avrebbero potuto riuscirei non simpatici, pure nella sostanza la risoluzione era stata del tutto favorevole a noi in quanto:

a) decretava l'abolizione delle sanzioni;

b) non faceva parola del riconoscimento lasciando quindi praticamente liberi gli Stati di aderire a qualsiasi provvedimento.

Mi sono limitato a ringraziare l'ambasciatore della sua comunicazione. Egli ha allora aggiunto che sarebbe stato opportuno, a giudizio del signor Delbos, che la stampa italiana non avesse attaccato la risoluzione per quanto poteva riuscirsi meno gradito, ma si fosse limitata a prendere atto del lato attivo.

Su questo ho fatto le mie riserve pur dicendogli che l'accademia ginevrina ci lasciava assolutamente indifferenti e che ogni manifestazione verbale e teorica dell'Assemblea avrebbe avuto ben poco peso sul nostro futuro indirizzo di politica estera (l).

(l) Il Comitato di Coordinamento costituito per la controversia italo-etiopica si riunì il 6 luglio ed indicò il 15 luglio successivo come data in cui abrogare le misure restrlttlve adottate nei confronti dell'Italia in base all'art. 16 del Patto.

(2) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, p. 31.

443

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL MINISTRO DEL MESSICO A ROMA, ORTIZ (2)

APPUNTO. Roma, 4 luglio 1936.

Ho ricevuto il signor Ortiz, ministro del Messico. Gli ho detto che l'atteggiamento tenuto dalla delegazione del suo Paese (3) non poteva avere che conseguenze sinistre sui rapporti italo-messicani, e che soltanto attraverso atti positivi da parte messicana noi avremmo potuto credere ancora alla vantata amicizia nei nostri riguardi.

Il ministro messicano è rimasto molto abbattuto in seguito alle mie parole e dal tono di estrema freddezza che ho usato nei suoi riguardi e mi ha detto che per parte sua farà di tutto per cancellare lo spiacevole ricordo dell'atteggiamento ginevrino della sua delegazione (1).

444

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU (4)

APPUNTO. Roma, 4 luglio 1936.

Ho visto il ministro di Romania, signor Lugosianu, il quale è venuto ad esprimere tutta la sua «amarezza» per la violenta campagna di stampa condotta contro il signor Titulescu. Gli ho risposto come si meritava ed ho aggiunto poi che per parte nostra avevamo mantenuto nei riguardi del signor Titulescu un assoluto riserbo durante due anni; che era stato lui a rompere la tregua con le sue escandescenze ginevrine; che quindi la nostra reazione era più che giustificata. Consideravo perciò la partita chiusa alla pari.

(l} Il presente documento reca il visto di Mussollni.

Il signor Lugosianu insisteva perché i nuovi attacchi non avessero luogo. Gli ho ripetuto che il passato era saldato. Ma gli ho mostrato alcune notizie di stampa e telegrammi che mi pervenivano da Ginevra ìn quel momento nei quali era affermato che Titulescu aveva assunto un atteggiamento contrario a noi nelle recenti riunioni del Bureau. Ciò avrebbe potuto determinare nuove reazioni da parte della stampa italiana.

Il signor Lugosianu ha nuovamente insistito per evitare che da un deplorevole incidente personale nascessero complicazioni nei rapporti tra i due Paesi: gli ho chiarito che il popolo italiano faceva una netta distinzione tra la Romania verso la quale i sentimenti si mantenevano immutati, ed il signor Titulescu che si era eletto a paladino dei negri per ingiuriarci (1).

(2) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 32-33.

(3) Il 3 luglio, la delegazione del Messico alla Società delle Nazioni aveva indirizzato una lettera al Presidente dell'Assemblea per comunicare che il Messico, non volendo mettere ostacoli all'unanimità dell'Assemblea per ciò che riguardava il conflitto itala-etiopico, preferiva non prendere parte ai lavori della S.d.N. concernenti quel conflitto.

(4) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, p. 32.

445

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, SUGIMURA

APPUNTO. Roma, 4 luglio 1936.

L'ambasciatore del Giappone è venuto a restituirmi la visita che gli avevo fatto, prendendo possesso della mia carica. Alla fine della conversazione egli mi ha detto di volere sottoporre alla mia attenzione due punti, sul secondo dei quali avevo già intrattenuto S. E. Suvich:

l) Egli ritiene che l'Italia tenga ad avere ad Addis Abeba dei consoli. al posto delle legazioni prima esistenti. Animato dal desiderio di venire incontro all'Italia in tale circostanza, egli studia la maniera migliore di procedere a una tale deliberazione da parte del suo Paese. Mi ha chiesto allora se nella concessione degli exequatur verrebbe adottata la formula S. M. il Re d'Italia ed Imperatore d'Etiopia.

Gli ho risposto che una legge dello Stato ha prescritto l'adozione, in tutti gli Atti, di tale formula, e che necessariamente essa sarebbe stata adottata anche nel caso a cui egli si riferiva.

2) Mi ha detto di avere già accennato a S. E. Suvich come il Governo del Manciukuò avesse mostrato un qualche risentimento per la maniera adottata dal Governo italiano per la nomina del console generale a Mukden, che fu notificata a Nanchino invece che a Hsin-King.

S. E. Suvich, a quanto l'ambasciatore mi ha riferito, avrebbe convenuto che era stato commesso un errore, e si sarebbe riservato di riesaminare la questione.

Nel corso della conversazione l'ambasciatore ha tenuto a mettere i due punti in relazione tra loro, in modo che si potesse comprendere chiaramente come il primo fosse in stretto rapporto con il secondo.

Evitando di dargli l'impressione di una accettazione anche vaga del suo punto di vista, gli ho detto che avrei esaminato per mio conto il secondo punto, non appena avessi avuto un po' di tempo, e che mi riservavo perciò di esprimergli al riguardo le mie idee personali quando me le fossi formate.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussollnl.

446

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

TELESPR. 222463/296. Roma, 4 luglio 1936.

Dal notiziario del R. Consolato in Valona in data 19 giugno u.s. (l) rilevo che circolano in quella città voci di un movimento insurrezionale «a sfondo antitaliano » che dovrebbe scoppiare verso il 15 del corrente mese di luglio. Quel R. Console aggiunge che, secondo le stesse voci, il movimento «sarebbe voluto e preparato ad istigazione del Re», mentre qualcun altro afferma che sarebbe voluto dall'Intesa balcanica per suggerimento di qualche grande Potenza europea.

Di fronte alla gravità di tali voci e in considerazione del fatto che segnalazioni, anche se non così precise, di movimenti rivoluzionari incombenti in Albania sono state recentemente fatte anche da altri RR. Uffici, prego la S. V. di voler invitare il R. Console a Valona ad approfondire e precisare le sue indagini per accertare quanto vi possa essere di vero nelle notizie suindicate.

In tale circostanza gradirò anche conoscere il giudizio della S. V. sulla fondatezza delle voci in questione sulla situazione politica interna albanese nell'attuale momento (2).

447

IL CAPO DELL'UFFICIO III DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 4 luglio 1936.

Il 6 maggio u.s. il generale Hertzog, primo ministro dell'Unione Sud Africana, pronunciò un discorso contenente le seguenti frasi offensive per l'Italia:

l) <<Are we to allow someone who has, contrary to international law, looted something, to remain in possession of his booty? ». 2) « The opposition want to encourage Italy in her criminal conduct; because, I assert, she has entered upon a criminal course of conduct ».

Prima di aver potuto prendere visione del testo ufficiale del discorso incriminato il R. Incaricato d'Affari a Capetown in data 8 maggio u.s. inviò al Governo del Sud Africa una nota con la quale dichiarava di presumere che « certain expressions (criminal, robber, robbery) which need no comment, have been arbitrarily used in the newspaper's report », e che egli «would therefore appreciate if you would take steps to have the relative rectification ».

Il Governo dell'Unione Sud Africana in data 23 maggio u.s. rispose a tale nuta dichiarando che «Generai Hertzog cannot admit that there is any legitimate ground for exception to what he has said in disapprovai of Italy's conduct against Abyssinia. While Italy herself has voluntarily agreed that agressive conduct such as hers against a fellow member-State of the League shall be deserving of international condemnation involving as punishment the application of sanctions, even of the severest kind, her own wrongful aggressive action towards Abyssinia cannot be held as undeserving of the expression of disapprovai given utterance to by him in the course of the fulfilment of his duty to Parliament ».

Dietro istruzioni di questo R. Ministero, il R. Incaricato d'Affari replicava in data 9 giugno u.s. protestando energicamente per le inammissibili espressioni usate dal primo ministro nel suo discorso del 6 maggio u.s. e dichiarando infondata l'asserzione che il Governo avesse commesso una aggressione. A tale scopo il R. Incaricato d'Affari si richiamava alle ripetute dichiarazioni fatte dal Governo italiano a Ginevra e alla nota del 15 novembre 1935 presentata dalla R. Legazione al Governo del Sud Africa (l).

In data 12 giugno u.s. il Governo Sud Africano rispondeva dichiarando di non aver nulla da aggiungere alla sua comunicazione del 23 maggio u.s.

(l) -Con notiziario 1072 A.I. Toffolo aveva riferito che correvano voci insistenti di un imminente movimento insurrezionale «a sfondo antitaliano », istigato secondo alcuni da Re Zog e secondo altri dall'Intesa Balcanica. (2) -Vedi D. 508.
448

IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA

L. s. 8069. Roma, 4 luglio 1936.

Le confermo la ricezione del piego e la relativa consegna a S. E. il ministro. Egli ha esaminato attentamente le quattro lettere (2) e le ha sottoposte al Capo.

Sono in grado perciò di farLe conoscere le istruzioni che mi ha dato. -Al n. 3 -Apprezzatissimo l'atteggiamento di Schuschnigg. Gli è stato anche fatto sapere.

-Al n. 4 -Il Ministro ha disposto la necessaria azione perchè la Santa

Sede si renda conto che il « modus vi vendi» conviene anche all'Austria e farà

rilevare in Vaticano i vantaggi dell'accordo tra Vienna e Berlino.

-Al n. 5 -La visita verrà fatta ma dopo la conclusione del « modus

vivendi» perciò non in questo mese. Se ne potrà parlare in agosto e in set

tembre. Dia perciò la risposta dilatoria che Lei stesso consigliava.

-Al n. 6 -Il Capo ed il ministro approvano la Sua azione. Sono d'ac

cordo circa i tempi dello svolgimento, circa le formule e le date. Non riten

gono [opportuno], però, per vari motivi, un passo a Berlino per influire, come

Lei propone, sulla rapida accettazione dello schema.

La chiamerò al telefono per sapere se ha ricevuto questa mia lettera.

(l) -Non pubbllcata. (2) -Vedi DD. 416, 421, 422 e 429.
449

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 976/635. Praga, 4 luglio 1936 (per. l'11).

Telespresso n. 885/578 del 22 giugno u.s. (1). Il partito dei tedeschi dei Sudeti attira sempre più l'attenzione di questo Governo e della stampa ceca. Uomini politici, ministri in carica e giornali non perdono alcuna occasione per attaccarne l'attività e le manifestazioni.

Il Governo però non si limita a polemizzare: le note leggi emanate per la difesa dello Stato, per lo scioglimento dei partiti politici e contro lo spionaggio (mio telespresso n. 889/581 del 24 giugno us.) (l) e l'ordinanza del ministro della Difesa Nazionale in materia di forniture (mio telespresso

n. 559/375 del 29 aprile u.s.) (l) sono state seguite da altre misure intese a combattere il partito di Henlein. Così nella seconda metà di giugno è stata decretata la sospensione per sei mesi del settimanale Die Rundschau, ed oggi è la volta del settimanale Der Riesengebirger, sospeso anche per sei mesi.

Le dichiarazioni fatte da Henlein nel congresso di Eger e segnalate nel rapporto in riferimento hanno avuto l'onore di una risposta del presidente del consiglio nella seduta del Senato del 2 luglio corrente. Hodza ha rigettato tutta la colpa del mancato accordo col partito dei tedeschi dei Sudeti sulla mancanza di buona volontà e di disposizioni concilianti da parte dei dirigenti del partito stesso, ed ha rimproverato a Henlein di aver voluto colle sue dichiarazioni erigere una barriera fra cechi e tedeschi. Dopo aver affermato che in Cecoslovacchia non si nutrono sentimenti di odio contro la Germania e che fra la Cecoslovacchia e la Germania esistono rapporti corretti di vicinato e di collaborazione culturale egli ha accusato Henlein di essersi sforzato, falsando ad arte gli elementi del problema, di fomentare la diffidenza e di accentuare gli ostacoli psicologici in un campo in cui sarebbe dovere di tutti di lavorare obiettivamente per la conciliazione e la pace. Contro la rivendicazione della autonomia per la minoranza germanica, Hodza ha obiettato che qualora si creasse una separazione amministrativa per i tedeschi si toglierebbe alla minoranza tedesca la possibilità di esercitare la missione politl.ca morale e civilizzatrice che le compete in questo Stato.

A Hodza ha subito replicato a nome del partito dei tedeschi dei Sudeti il senatore Pfrogner, protestando contro il sospetto affacciato da Hodza che il partito di Henlein viva dell'odio della Cecoslovacchia contro il Reich ed affermando che tale partito ha sempre dimostrato di aspirare anzitutto a una chiarificazione e a un miglioramento dei rapporti fra i due Stati. Il discorso di Henlein a Eger avrebbe appunto avuto lo scopo di rischiarare l'atmosfera. I tedeschi dei Sudeti non desiderano nulla più che di raggiungere un onesto accordo con lo Stato cecoslovacco: frattanto essi però non abbandoneranno

la linea della lotta senza compromessi per i loro bisogni vitali, e non cesseranno di segnalare e di combattere tutto ciò che si oppone a una effettiva e durevole pacificazione. Il governo gira attorno al problema evitando di affrontarne la discussione e la soluzione. Non bastano le assicurazioni di uomini responsabili. Occorre anzitutto por fine alla sistematica opera di snazionalizzazione perseguita in ogni campo dall'amministrazione. Occorre assicurare la autonomia culturale ed economica dei tedeschi. Non basta che siano riconosciuti i legami dei tedeschi dei Sudeti col germanesimo quando si cerca ad ogni occasione di spezzarli.

«Ai 500.000 carpatorussi, ha detto enfaticamente Pfrogner, l'autonomia è stata garantita dalla costituzione. E il partito di Hlinka chiede da anni l'autonomia per i due milioni di slovacchi senza che tale richiesta sia considerata come contraria all'unità dello Stato. La stessa richiesta fatta da tre milioni e mezzo di tedeschi è interpretata invece come alto tradimento».

Pfrogner ha chiuso il suo discorso rimproverando al Governo di seguire una politica estera che non esclude la possibilità che la Cecoslovacchia venga a trovarsi nel fronte antigermanico, e di permettere a giornali di partiti governativi e a giornali sovvenzionati di seguire un atteggiamento ostile alla Germania.

Che il pangermanismo di dentro e di fuori mini l'esistenza della Cecoslovacchia è un fatto indiscutibile, che la Cecoslovacchia ricorra a tutti i mezzi per difendersi è naturale, che in conseguenza il conflitto andrà assumendo proporzioni sempre più pericolose è anche prevedibile (1).

(l) Non pubblicato.

450

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6546/166 R. Beyoglu, 5 luglio 1936, ore 14,35 (per. ore 23,25).

Ambasciatore dell'U.R.S.S. mi ha detto che, essendosi raggiunto accordo per tonnellaggio, riteneva sarebbe stato raggiunto anche quello per passaggio navi sovietiche. Inghilterra aveva già ceduto e quindi cederebbe anche su resto domande Mosca. Ciò era interpretato quale segno di debolezza britannica, facilitata da assenza Italia. Però egli mancava di ultimissime notizie. Tuttavia prima tesi sovietica era chiusura completa degli Stretti per tutti e sarebbe, anche oggi, il postulato più desiderato da Litvinov. Articoli polemici giornali sovietici erano stati fatti per ricordare a Tevfik Riistii bey necessità non trascurare interessi sovietici avendo egli mostrato, negli ultimi giorni, tendenza sostenere con eccessivo calore tesi inglese. Mosca aveva voluto in tal modo esercitare pressioni su Ankara e credeva esservi riuscita.

Ho approfittato di questa sua affermazione per dimostrargli infida politica turca e ricordargli, ancora una volta, che Sovieti mostravano verso Ankara troppo ingenua fiducia.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussollni.

451

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6581/167 R. Istanbul, 6 luglio 1936, ore 18,20 (per. ore 21,50).

Nel colloquio di ieri (l) questo ambasciatore di Russia coerente a suo atteggiamento durante tutto conflitto itala-abissino si è rallegrato meco per abolizione sanzioni.

Gli ho fatto rilevare che se sanzioni erano tolte restavano però accordi Mediterraneo stipulati da Inghilterra nel dicembre 1935 ed ho marcato che dichiarazioni Eden (2) erano dovute ad iniziativa di Aras. Anche attitudine inglese a Montreux doveva da noi essere considerata sotto questo angolo visuale. Comunque ciò manteneva nel Mediterraneo una atmosfera di incertezza che a giudizio personale rendeva malagevole quel tratto di rapporti confidenziali indispensabili per risanare l'atmosfera europea turbata dall'ostinato errore ginevrino.

Ambasciatore dell'U.R.S.S. mi ha risposto essere stato stupito per dichiarazioni di Eden. Egli riteneva giuridicamente infondata ed impolitica qualsiasi continuazione di quell'accordo. Anche poco intelligente parlarne. Egli stimava che con la abolizione delle sanzioni un nuovo periodo dovesse iniziarsi fondato sulla chiarezza e sulla confidenza dei rapporti per passare applicazione patto mediterraneo.

Gli ho risposto prendere atto con compiacenza delle sue opinioni che dimostravano suo costante senso realistico ma a mio personale giudizio parevami difficile arrivare ad un patto mediterraneo partendo dalla situazione indicata da Eden. Si dimenticava evidentemente dall'Inghilterra e dai suoi alleati mediterranei quale era la vera forza e situazione dell'Italia in questo mare e quale la sua dignità.

Egli si è poi mostrato preoccupato per manifeste simpatie itala-tedesche. Confermo che esse non celavano alcun accordo ma erano lo sviluppo naturale e normale di una situazione che la maggioranza ginevrina aveva voluto stoltamente creare e pareva volesse seguitare a mantenere con la continuazione di accordi mediterranei.

(l) -Vedi D. 450. (2) -Il lo luglio, Eden aveva ripetuto all'Assemblea della Società delle Nazioni quanto da lui detto ai Comuni il 18 giugno precedente (vedi p. 364, nota l) circa gli accordi di assistenza con Jugoslavia, Grecia e Turchia che sarebbero rimasti in vigore anche dopo la cessazione delle sanzioni contro l'Italia.
452

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. uu. 6573/278 R. Berlino, 6 luglio 1936, ore 20,50

(per. ore 2,30 del 7).

Ho domandato oggi a Dieckhoff, facente funzioni segretario di Stato al ministero Esteri, se, qualora vi fosse invitata, Germania interverrebbe alla proposta «Conferenza nei locarnista di Bruxelles» (1).

Dieckhoff mi ha risposto di no. Egli crede che, dopo tutto, il momento per incominciare i negoziati non sarebbe forse ancora per la Germania il più opportuno. Mi ha domandato a sua volta se credevo che alla conferenza sarebbe intervenuta l'Italia. Gli ho risposto di non aver in proposito informazione alcuna, ma di desiderare appunto essere tempestivamente informato delle disposizioni tedesche per poterle opportunamente far presenti alla E. V. Dieckhoff ha allora soggiunto che, ove a Bruxelles non intervenisse Italia (ad esempio a causa noti accordi Mediterraneo), la Germania, coerente alla tesi sempre sostenuta della necessità della presenza dell'Italia, ne trarrebbe motivo per rispondere essa stessa che ogni discussione le sembrerebbe, nelle circostanze, impossibile.

Dieckhoff ha però detto tutto questo a titolo esclusivamente personale e sotto riserva decisioni von Neurath e Cancelliere. Von Neurath è atteso per domani. Continuerò ad informare (2).

453

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO

T. 3169/161 R. Roma, 6 luglio 1936, ore 24.

Nella seduta odierna del Comitato di Coordinamento il delegato cinese si è associato alla tesi argentina del non riconoscimento come nella riunione dell'Assemblea della S.d.N. si è astenuto dal votare contro proposta assistenza finanziaria all'Etiopia.

Siamo vivamente sorpresi e malcontenti. Lo dica efficacemente costì ed aggiunga che sarebbe opportuno un gesto che valesse a far conoscere che, come mi auguro, la responsabilità risale al delegato a Ginevra e non al Governo cinese (3).

(l) -Vedi D. 437. (2) -Vedi D. 472. (3) -Per la risposta vedi D. 482.
454

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA

T. 3171/149 R. Roma, 6 luglio 1936, ore 24.

Seduta odierna Comitato Coordinamento a Ginevra Ruiz Guinazu ha tenuto linguaggio estremamente antipatico nei riguardi italiani. Ha deplorato che l'Assemblea non abbia messo votazione il primo progetto di risoluzione etiopico concernente l'impegno del non riconoscimento dell'annessione, affermando che se la votazione avesse avuto luogo, l'Argentina l'avrebbe approvato. Tali dichiarazioni e l'atteggiamento tenuto dall'intera delegazione argentina a Ginevra non potranno non avere ripercussioni sui rapporti tra i due Paesi.

Si esprima in tal senso cogli elementi responsabili di codesto Governo Cl).

455

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6584/99 R. Roma, 6 luglio 1936 (per il 7).

Mio telegramma per corriere Gabinetto n. 98 del 4 corrente (2).

Ho incontrato nel pomeriggio il cardinale Segretario di Stato a un ricevimento dato dall'ambasciatore di Francia in onore dei cardinali Maglione e Tisserant. Il cardinale Pacelli mi ha detto che sapeva dei colloqui del Cancelliere austriaco con von Papen. Egli mi ha espresso, quindi la speranza che l'Italia non spinga von Schuschnigg a fare concessioni al nazismo. Ha soggiunto che le cose vanno male in Germania e mi ha domandato se non vi fosse modo di intervenire per moderare la persecuzione del nazismo germanico contro i cattolici. Il cardinale Segretario di Stato non ha precisato, né io ho creduto opportuno di incoraggiarlo ad andare oltre, non conoscendo le intenzioni della E. V.

E' probabile che il cardinale riprenda l'argomento quando lo rivedrò giovedì o venerdi. Mi limiterò eventualmente ad ascoltare per riferire, ma potrei, se fosse ritenuto opportuno, togliergli senz'altro la speranza di un nostro interessamento a Berlino.

Per quel che riguarda le trattative in corso per la conclusione di un modus vivendi austro-germanico, ho ripetuto al cardinale quello che ho detto, sabato 4 corr., a monsignor Pizzardo, confermandogli che il nostro atteggiamento ver

so l'Austria non è mutato. Noi crediamo tuttavia che nell'interesse particolare dell'Austria come nell'interesse generale della pace europea, si debba consigliare il Cancelliere di addivenire alla conclusione del modus vivendi con il Reich.

Il Segretario di Stato mi è sembrato rassicurato a metà. Egli teme che il progettato accordo rinforzi in Austria la influenza del nazismo il quale finirebbe per introdurre i suoi deprecati sistemi in quel Paese. Non vi è dubbio che il Segretario di Stato segue con sospetto le conversazioni Schuschnigg von Papen.

(l) -Per la risposta vedi D. 468. (2) -Vedi D. 439.
456

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6617/808 R. Ginevra, 6 luglio 1936 (per. l'B).

Madariaga mi ha detto che con la vittoria riportata anche su Ginevra l'arbitro dei destini d'Europa è ormai il Duce. Egli non vede nessun altro uomo che possa oggi portare l'Europa alla salvezza.

Il Fiihrer mira alla distruzione dell'ordine europeo perchè vuole la guerra, malgrado le sue affermazioni pacifiche. Il discorso di Greiser davanti al Consiglio (l) lo ha profondamente impressionato. Gli è parso un sintomo di estrema gravità. Madariaga non crede possibile un'intesa fra il Duce e il Fiihrer perché il destino del primo è di condurre e non potrà mai trascinare Hitler, mistico invasato della teoria della superiorità della razza germanica, a giuocare il ruolo di brillante secondo. La Germania nelle sue intese è portata a dominare. L'Italia d'oggi non accetterà mai di essere dominata anche in un eventuale sistema d'alleanza.

Madariaga crede che se non si arriva rapidamente a qualche cosa di concreto per organizzare la pace d'Europa la guerra scoppierà forse entro quest'anno. Da buon europeo sente una grande angoscia. Ha visitato in questi ultimi tempi l'Europa centrale e danubiana. È arrivato alle seguenti conclusioni: che occorra decidersi ad applicare il par. 2 dell'art. 11 del Patto prima che una minaccia seria di guerra sorga sull'Europa. Il Duce stesso è convinto che la guerra significherebbe la fine dell'Europa. Il Duce può impedire questa catastrofe. Egli è convinto che la minaccia più grave è data dal problema austriaco. Dopo avere lungamente studiato la questione, dopo avere conferito con

molti uomini responsabili nelle varie capitali interessate è arrivato alla conclusione che occorra giungere alla formazione di una confederazione austroungherese-cecoslovacca. Ridare a Vienna una funzione europea. Convincere la Germania che una tale confederazione non è in funzione antitedesca e non ha lo scopo di arrestare la marcia e l'espansione della Germania verso i Balcani. La Germania -afferma Madariaga -può accettare una soluzione del problema austriaco in senso europeo, non può accettarla in senso limitato ad interessi di terzi Paesi. Date alla Germania la sensazione che essa risolve il problema austriaco in favore di un'entità superiore alla stessa nazione germanica, in favore cioè dell'Europa e troverete spiriti disposti anche nel nazionalismo tedesco a seguirvi su questa strada. Il Consiglio, sotto l'ispirazione del Duce, dovrebbe sulla base del par. 2 dell'articolo 11, affrontare questo problema e risolverlo. Esso permetterebbe la messa in opera entro termini ragionevoli anche dell'art. 19. Il Consiglio dovrebbe nominare una commissione incaricata di affrontare la soluzione di questo problema. Ciò non è possibile che attraverso l'iniziativa del Duce. Jugoslavia e Romania, se Francia, Italia e Inghilterra fossero d'accordo, non potrebbero opporsi a questa sola logica sistemazione dell'Europa danubiana che rappresenta il focolaio acceso da cui altrimenti, partirà la scintilla incendiaria di domani.

Madariaga crede che occorra agire rapidamente e con mezzi chirurgici. Altrimenti l'Europa è destinata a naufragare e a far posto, dopo la catastrofe, al comunismo. Egli avrebbe amato parlare di questo col Duce, ma non gli è stato possibile. Spera però che liquidato il conflitto etiopico, il genio del Duce costruisca la pace dell'Europa che la Germania minaccia.

Mi sono limitato ad ascoltare facendo brevi osservazioni

(l) II 4 luglio, il presidente del Senato di Danzica. Greiser, aveva pronunciato davanti al Consiglio della Società delle Nazioni un violentissimo discorso di ispirazione nazista -Greiser aveva anche chiesto «a nome eli tutto il popolo tedesco» che il governo di Danzica fosse affidato al Senato della Città libera anziché ad un Alto Commissario nominato dalla S.d.N.

457

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6618/809 R. Ginevra, 6 luglio 1936 (per. l'B).

Ora che l'Assemblea ha finito (l) è permesso fare un piccolo bilancio di quello che si è svolto, bilancio che mi limiterò a ricapitolare brevemente.

l) La dimostrazione dei giornalisti italiani all'inizio dell'Assemblea (2), malgrado le reazioni che determinò in un primo tempo nell'Assemblea stessa

e nella stampa europea fu oltremodo salutare. Infatti essa indusse Tafari a non più intervenire, in seguito, alle sedute dell'Assemblea; ingenerò in tutti un stato d'animo di nervosismo e di inquietudine e sopratutto diffuse la preoccupazione che a quella prima manifestazione di sdegno da parte italiana, avrebbero potuto far seguito decisioni irreparabili da parte del Governo fascista nei suoi rapporti con la Lega.

2) L'atmosfera in cui i lavori si svolsero non fu mai -da che esiste la Lega -tanto torbida, agitata e inquieta come in questo periodo. Obbligata a non smentire se stessa in maniera aperta e clamorosa e nello stesso tempo convinta che da una decisione a noi ostile avrebbe potuto derivare la sua stessa condanna di morte, Ginevra si trovò di fronte ad un drammatico dilemma. Bisognava arrivare a una conclusione che fosse la meno grave possibile nei rispetti di queste due assolute e contrastanti esigenze.

3) Il dilemma sconcertante fu reso più grave dall'agitazione frenetica dei sud americani, costretti dalla sommazione argentina a manifestare in favore dei loro principi, e dall'isterismo trascendentale e iperboreo dei Paesi nordici che furono per vari giorni intrattabili e ostili a ogni forma di compromesso.

4) Come V. E. sa i progetti di risoluzione pullularono da tutte le parti. A un dato momento ve ne furono una ventina in circolazione. Una vera profluvie babelica di constatazioni, di principi, di voti, di affermazioni e contraddizioni che resero il compito del Bureau, trasformatosi in Comitato di redazione, particolarmente difficile. A ciò devesi aggiungere l'ostilità sorda di alcuni elementi del Segretariato e le reazioni personali di alcuni uomini politici che non furono certo elementi destinati a facilitare le cose.

5) Van Zeeland si adoperò con un tatto ed una buona volontà veramente eccezionali nel tentativo di salvare, sia pur in limiti ridottissimi, il prestigio della Società ma sopratutto nell'impedire che voti e progetti suonassero amari e fossero inaccettabili per l'Italia. Egli vi riuscì con la collaborazione attiva di Litvinov che si adoperò con un calore, insolito in lui, per arrivare ad una soluzione che potesse soddisfarei. La delegazione francese fu anche molto attiva e si può dire, senza andare errati, che furono gli sforzi personali di van Zeeland, Litvinov e Delbos (assistito da Massigli) che permisero il varo del testo adottato.

6) Sulla portata di questo testo mi permetto di richiamare l'attenzione di V. E., come ho già fatto per telefono, su un punto che mi sembra particolarmente importante.

Nella risoluzione II è detto:

L'Assemblea... Comissis) «ricordando le constatazioni fatte e le decisioni prese anteriormente in occasione di questo conflitto emette il voto che il Comitato di coordinamento faccia ai Governi ogni proposta utile per mettere fine alle misure prese in esecuzione dell'art. 16 del Patto».

L'inciso «ricordando le constatazioni fatte e le decisioni prese , è stato voluto da Eden con un evidente richiamo alla condanna dell'Italia.

Ma i redattori del testo non si sono accorti della flagrante contradizior.;; che in esso è insita. Se l'Assemblea ha ricordato le constatazioni fatte e le decisioni prese, per stabilire immediatamente dopo che le «decisioni, andavano abolite, essa ha con tale deliberazione implicitamente svalutato « le constatazioni fatte ». Le «decisioni prese » derivano dalle « constatazioni fatte ». Se le «decisioni» vengono revocate, perché fu un errore l'assumerle, ne deriva in maniera irrefutabile che anche le «constatazioni fatte» furono errate e la loro validità è infirmata dalle decisioni oggi prese.

7) Direttiva che V. E. aveva fissato per questa sessione dei lavori ginevrini era che le sanzioni venissero abolite e il problema del riconoscimento non compromesso. Le due tappe sono state raggiunte. Le difficoltà per raggiungerle, dato l'ambiente, i precedenti, le ostilità aperte e palesi sono state molte per le delegazioni interessate. Alcuni ministri si confidavano le loro impressioni dopo la votazione, nell'altro della sala del Batiment Electoral e dicevano « che Roma è ormai talmente abituata a vincere che non le avrebbe fatto nessun effetto la vittoria sul terreno ginevrino».

8) La realtà è che la sessione straordinaria dell'Assemblea ha marcato in pieno il trionfo della vittoria dell'Italia «contro Ginevra». Mai assemblea fu più umiliata e depressa di questa. Mai il prestigio della Lega ebbe a subire colpo più duro. Vedere adottate contro l'Etiopia le stesse alchimie procedurali che furono adottate nell'ottobre del 1935 contro l'Italia, dà la misura della vigliaccheria, della bassezza, della immoralità di quest'ambiente. Van Zeeland interpretò il silenzio dell'Assemblea come consenso alla sua tesi di non mettere in votazione la prima risoluzione della sedicente delegazione etiopica, nello stesso identico modo con cui Benes aveva interpretato il silenzio dell'Assemblea contro di noi nell'ottobre scorso. Fasti singolari delle procedure ginevrine!

9) Tutti i delegati erano nell'imbarazzo più evidente e il solo che ebbe il coraggio di dire la verità sulla situazione fu il delegato del Panama il quale disse: «Le due risoluzioni proposte non rispondono né al punto di vista italiano, né al punto di vista etiopico, né al punto di vista dei principi del diritto, né al punto di vista del prestigio della Società, né all'att.esa mondiale; esse non rispondono nemmeno a un vero e profondo desiderio di dare al conflitto una soluzione costruttiva. Si teme di far fronte coraggiosamente a una situazione netta quale che essa sia. La passività delle delegazioni, l'assenza di iniziative coraggiose e la tendenza ad evitare le discussioni chiare ed aperte hanno sempre caratterizzato le deliberazioni dell'Assemblea della S.d.N.! ».

C'è voluto il rappresentante del Panama per dire finalmente all'Assemblea quattro verità coraggiose. 10) Sui problemi della riforma del Patto che si sono fatti luce attraverso lunghe discussioni in seno all'Assemblea riferirò con rapporto a parte.

Quello che preme oggi è la constatazione del fallimento morale della Lega sentito e registrato da tutti, anche se coperto da parole di speranza per l'avvenire dell'istituzione.

11) Elemento di particolare valore che tengo a segnalare in modo speciale all'attenzione di V. E. è che mai come durante quest'Assemblea il blocco delle nazioni a noi amiche ha funzionato come una unità stretta e compatta. Le tre delegazioni albanese, austriaca e ungherese sono rimaste in continuo collegamento; hanno armonizzato tutta la loro azione; dietro ispirazione di quest'ufficio si sono riunite a convegno per regolare la loro linea di condotta e -fatto quanto mai significativo -hanno mantenuto contatto continuo anche con la delegazione bulgara, la quale ha mostrato il vivo desiderio di orientare la sua azione su quella del gruppo austro-ungaro-albanese.

Il ministro De Velics, che sedeva anche al Bureau, teneva regolarmente informati i suoi colleghi e tanto Fuad Aslani che Pfltigl e De Velics sono stati in quotidiani continui contatti diretti e telefonici con quest'ufficio. Così pure la delegazione bulgara mi ha sovente telefonato e i signori Momciloff e Nikolaieff sono venuti spesso a vedermi. Sulla necessità di mantenere quest'unità d'azione, strettissima come in questa circostanza, anche nell'avvenire, il ministro degli Esteri albanese mi ha detto che richiamerà l'attenzione di V. E. durante il suo prossimo viaggio a Roma.

Mi permetto di raccomandare vivamente ai servizi competenti del ministero di dare conoscenza a tempo e luogo opportuno di quelle che saranno le idee italiane in materia di riforma del Patto alle delegazioni anzidette, le quali intendono ispirare le loro proposte e la loro azione a Ginevra, su questo problema, alle tesi italiane, ma mi hanno espresso il desiderio di averne conoscenza tempestivamente.

12) L'ultimo atto della tragicommedia ginevrina relativa alla questione etiopica si è chiuso stamani con un episodio che da solo -senza bisogno di speciali commenti ---riassume tutto l'aspetto morale del conflitto, così come lo si è vissuto a Ginevra. Finita la seduta del Comitato di Coordinamento, che ha deciso l'abolizione delle sanzioni, il supersanzionista Vasconcellos è venuto al Bergues e mi ha pregato di far sapere al Duce quanto segue: «Egli aveva sempre diretto i lavori del Comitato con assoluta imparzialità. Aveva saputo che il Duce aveva ricevuto a Roma un giornalista portoghese al quale aveva detto come egli, Vasconcellos, si fosse espresso a Ginevra in termini ostili a Lui e all'Italia. Ebbene, teneva a dirmi che ciò non era vero e che egli era e restava un amico del nostro Paese»!

Avrei potuto ricordare a Vasconcellos quanto egli stesso aveva ammesso tre mesi fa nel corso d'un sermone che avevo avuto l'onore di tenergli. Ma ho avuto pietà dell'uomo che confessava la sua sconfitta e dell'ostetrico che voleva giustificare il suo aborto. Mi sono limitato a sorridere, ad assicurarlo che il Duce nella sua generosità, grande come il suo genio, avrebbe finito per dimenticare tutte le miserie ginevrine e che in ogni modo non avrei mancato di riferire a V. E. quanto egli mi diceva.

Ma in Vasconcellos che veniva a smentire le sue urla diffamatorie, il suo sadismo sanzionista e a protestare la sua amicizia per l'Italia era tutta la S.d.N. che veniva a mettersi a ginocchio davanti al Duce e a chiedere l'assoluzione! Per questa ragione ho preferito sorridere e prendere atto, accordando, con una stretta di mano al peccatore ginevrino, l'indulgenza plenaria nel nome del Duce.

(l) -Il 4 luglio l'Assemblea della S.d.N. aveva approvato la risoluzione che poneva fine alle sanzioni (per il testo della risoluzione si veda il D. 438). Il 6 luglio il Comitato di Coordinamento costituito per la controversia italo-etiopica indicò il 15 luglio come data in cui abrogare le misure restrittive adottate nei confronti dell'Italia. (2) -Vedi p. 465, nota 2.
458

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO PER LA STAMPA E PROPAGANDA, ALFIERI

TELESPR. R. 222611/520. Roma, 6 luglio 1936.

Si ha il pregio di trasmettere, qui unite in copia, per opportuna conoscenza, due segnalazioni del R. consolato generale in Gerusalemme su articoli che il giornale sionista Doar Hayom ha pubblicato il 16 giugno scorso relativamente all'atteggiamento della stampa italiana nei riguardi dei problemi politici della Palestina e del sionismo in particolare (l).

Pur non apparendo del tutto esatti i rilievi dei giornali sionisti sull'atteggiamento della stampa italiana, questo R. Ministero ritiene dover cogliere l'occasione per prospettare a codesto Regio Ministero la opportunità che la nostra stampa mantenga la più assoluta obbiettività nel considerare i problemi politici della Palestina.

Data la complessità della situazione conseguente alle disposizioni del mandato sulla Palestina, e di fronte all'acutizzarsi in questi momenti della lotta tra gli ebrei e gli arabi, è assolutamente necessario che le nostre riviste ed i quotidiani non prendano partito per alcuna delle parti in conflitto.

459

IL CONSOLE GENERALE A BARCELLONA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RR. 2482/695. Barcellona, 6 luglio 1936 (per. il 17).

Ho l'onore di comunicare all'E V., ad ogni buon fine e con tutte le riserve del caso, di aver appreso in questi giorni dal capitano Sanjurjo, figlio del noto generale già comandante della Guardia Civile, che nei prossimi giorni avrebbe

ebraico in Palestina.

38 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

inizio, salvo mutamenti dell'ultima ora, un vasto movimento insurrezionale dell'esercito spagnolo mirante a rovesciare l'attuale regime ed instaurare una dittatura militare.

I dirigenti del movimento contano su cinquanta probabilità su cento di riuscita e vogliono dare al medesimo un carattere estremamente rapido e violento; essi avrebbero preferito rinviarne ancora l'inizio per potere meglio organizzar lo, ma sembra che ogni ulteriore proroga diminuirebbe le probabilità di riuscita.

Il capitano Sanjurjo è partito oggi in automobile per Estoril (Portogallo), dove attualmente risiede suo padre. In caso di riuscita del movimento il potere sarebbe affidato al generale Sanjurjo medesimo.

Ho l'onore di riferire inoltre che altre attendibili voci sul movimento in questione mi sono pervenute in questi giorni: da queste risulterebbe che il medesimo sarebbe all'inizio limitato alle guarnigioni di tutto il nord della Spagna e della Catalogna, mentre non si conterebbe sull'appoggio della guarnigione di Madrid; la Guardia Civile collaborerebbe dappertutto con gli insorti. Il partito politico più largamente coinvolto sembrerebbe essere quello della Renovaciòn Espafwla (Monarchico puro) il cui capo Goicoechea avrebbe in questi giorni impartito disposizioni, riunendo a Madrid i capi regionali; peraltro tutte le destre vedrebbero con favore il movimento e non negherebbero il loro appoggio al medesimo.

Di quanto precede ho informato la R. ambasciata in Madrid.

(l) Il Doar Hayom aveva pubblicato due corrispondenze da Roma. Nella prima, si riferiva che Il Regime fascista ed Il Tevere conducevano una campagna antiebraica; nella seconda, che la rivista Gerarchia aveva pubblicato un lungo articolo favorevole alla creazione di uno Stato

460

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. R. P. 7. Vienna, 6 luglio 1936.

Ho avuto ieri sera, con il corriere speciale, la Sua del 4 corrente (segr. 8069) (l) ed ho fatto stamane a Schuschnigg le comunicazioni corrispondenti alle istruzioni datemi per i vari argomenti trattati nelle mie lettere nn. 3-6 (2).

Schuschnigg se n'è mostrato molto soddisfatto, -un po' meno forse per la visita, che, per il prestigio dell'Austria, avrebbe desiderato precedente alla conclusione del modus vivendi, pur riconoscendo poi le ragioni da me espostegli che consigliano, anche da questo lato, la dilazione.

Von Papen ha comunicato, fin da sabato sera, al Cancelliere l'adesione del Governo del Reich ai testi dei due documenti per il modus vivendi, come risultarono concretati nella conferenza del lo corr., (mia lettera 2 corr. n. 6), comprese le varianti avanzate da Schuschnigg. Ha dichiarato però che al punto l del Comunicato il Governo del Reich non poteva lasciar cadere del tutto ogni accenno al diritto d'autodecisione («Selbstbestimmungsrecht ») dopo il molto parlare che se n'era fatto dal Fiihrer e dal Partito nazionalsocialista.

Si attendeva da Schuschnigg un'altra formula che conciliasse due punti di vista.

Occorre in proposito considerare quanto segue:

Il pericolo non sta nel concetto dell'autodecisione, ma nell'attribuire questo diritto d'autodecisione al popolo austriaco quasi in contrapposto allo Stato. Preso a sè, il diritto d'autodecisione è uno degli elementi costitutivi della piena ed intera sovranità dello Stato. Ma l'esercizio di questo diritto deve spettare allo Stato e agli organi della volontà statale come sono previsti dalla Costituzione vigente dello Stato. Dire, come faceva la proposta originaria germanica, in forma assoluta, e come riconoscimento dei due Governi, austriaco e germanico, in un atto pubblico, che «al popolo austriaco spetta, come agli altri popoli, il libero diritto d'autodecisione», sarebbe stato veramente far sorgere contro la volontà dello Stato austriaco autoritario il diritto d'autodecisione del popolo sovrano secondo il concetto e l'esercizio della libertà vigenti in altri stati a base democratica, al di sopra e contro la precisa Costituzione che regge l'Austria attuale.

Questo né Schuschnigg poteva accettare né noi desiderare, e avrebbe, come ho detto in precedenti mie lettere, aperto il varco ad agitazioni, abusi e ingerenze di dentro e di fuori, frustrando nel punto cardinale e più delicato lo scopo precipuo dell'accordo.

Certo, sarebbe meglio che, dopo il tanto abuso fattone, di diritto di autodecisione non si parlasse affatto; ma se questa ha da essere la ragione del fallimento o anche solo di un procrastinamento delle trattative e se, dall'altra parte, a Berlino ci si adatta ad una formula pur che sia, ho creduto di poter confortare il Cancelliere, con i ragionamenti su esposti, a superare anche questo ostacolo. E se n'è trovata la espressione che -così ritengo -evita ogni pericolo.

Il punto l del Comunicato (si veda l'allegato alla mia lettera n. 6) suonerebbe pertanto come segue: «l. In conformità alle constatazioni fatte dal Fuhrer e Cancelliere del Reich il 21 maggio 1935, il Governo del Reich tedesco riconosce la piena sovranità dello Stato Federale d'Austria e con ciò il di lui diritto di disporre di sé stesso » (: «und somit dessen Recht aut Selbstbestimrnung »).

Tale diritto, secondo questa formula,

a) non spetta più al popolo, ma allo Stato;

b) è, anche verbalmente, connesso con la piena sovranità (affermata come fatto esistente, oltre che come diritto);

c) è riconosciuto, puramente e semplicemente, dal Governo del Reich come inerente alla piena sovranità dell'Austria, non ammesso o concesso -anche dal Governo Federale austriaco -come cosa pretesamente diversa e tanto meno contrastante allo Stato sovrano, come si sarebbe potuto ricavare dalla formula originaria germanica, dove il diritto di disporre da sé era riconosciuto al popolo, staccato o contrapposto allo Stato autoritario, e negli stessi modi sostenibili per altri popoli.

Questa interpretazione è poi avvalorata dal richiamo espresso, fatto nell'esordio del punto l, alle dichiarazioni di Hitler del maggio 1935, secondo cui «la Germania non ha né l'intenzione né la volontà di immischiarsi nelle condizioni interne austriache né di annettere né comunque riunire a sé l'Austria~.

Dal punto di vista internazionale potrà obiettarsi forse che questa affermazione va contro i limiti posti dal Trattato di San Germano, che è anche legge interna dell'Austria, al diritto dell'Austria di disporre da sé della propria esistenza. Ma anzitutto una dichiarazione politica dei due Governi (la formula del resto non ricorre affatto nel Gentleman-Agreement) non può prevalere sulla validità legale di un trattato che è legge internazionale e interna insieme; e poi, il complesso di diritti che si riassume nel concetto « Selbstbestimmungsrecht », non si esaurisce nel solo diritto all'indipendenza statale, ma riguarda il libero esercizio di ogni altro diritto in cui si afferma la piena sovranità, ivi compresa la forma di Governo, la restaurazione monarchica e così via (argomento questo, a cui potrà abilmente far ricorso, molto vantaggiosamente, Schuschnigg per guadagnare all'idea del modus vivendi larghi circoli della popolazione austriaca).

Data l'urgenza, ho creduto di potere, senza impegnare Roma, esprimere avviso favorevole acchè Schuschnigg offrisse senz'altro a von Papen la nuova formula del n. l del comunicato. Ciò è avvenuto ancora sabato sera. Oggi, lunedì, Schuschnigg è stato in grado di comunicarmi che la nuova formula era stata accettata, rapidissimamente, da Berlino che dimostra anche così la già accertata disposizione a stringere al più presto l'accordo.

Per la firma del medesimo, per la pubblicazione del Comunicato e in generale per la perfezione del modus vivendi, Berlino richiede però che prima Schuschnigg accerti, con diretti contatti con i gruppi meno accentuati dei «nazionali~ dell'Austria, la possibilità ed i limiti e modi della loro collaborazione prevista dal Gentleman-Agreement.

Si tratterebbe anzitutto di trovare una personalità di gradimento del Cancelliere, seria, moderata ma pur sempre rappresentativa dell'elemento « nazionale ~. che sia disposta ad entrare nel Gabinetto come ministro senza portafoglio, e poi altre persone, dello stesso tipo, che accettino la nomina a membri del Consiglio di Stato e degli altri Corpi consultivi dello Stato, in rappresentanza, per così dire, dei gruppi nazionali, ma accettando la piattaforma della VaterHindische Front.

Queste trattative, direttamente o traverso suoi uomini di fiducia, Schuschnigg ha iniziato oggi e spera di portar a conclusione entro mercoledì sera. Nel corso di questi negoziati risulterà:

a) se e quali rapporti sussistano tra l'azione ufficiale del Reich e del suo ministro a Vienna e gli ambienti «nazionali» dell'interno;

b) se e quali ostacoli riescano ad opporre alla volontà evidente del Fiihrer di concludere l'accordo i circoli estremisti del Partito nazionalsocialista nel Reich, influenzati dagli estremisti nazisti o nazionali austriaci.

Qualora dovessero risultare difficoltà qui insormontabili e di queste, contro ogni attuale previsione, Hitler non volesse o non potesse aver ragione e tendesse a differire la firma del modus vivendi, Schuschnigg si riserva di sottoporre per mio mezzo all'esame di S. E. il Duce tutti gli elementi necessari a decidere sulla opportunità di un nostro intervento a Berlino.

Ho esaminato con Schuschnigg anche le varie personalità «nazionali~ che potrebbero essere prese in vista per gli uffici e incarichi su accennati, e il Cancelliere ha mostrato di tener conto delle mie indicazioni od obiezioni.

Qualora fosse esaurita favorevolmente anche questa parte interna, von Papen vorrebbe andare dal Ftihrer a riferire e a farsi dare il mandato formale di firmare. Forse questo viaggio potrebbe essere evitato. Ad ogni modo però, in caso di esito favorevole anche di queste trattative interne, la conclusione e pubblicazione potrebbe aversi, se non entro il 10 corr., poco dopo.

Per conto suo, Schuschnigg ha preparato qui bene il suo terreno. Ha informato, sotto il sigillo del segreto, il Consiglio dei Ministri e ne ha avuto l'autorizzazione unanime, dopo qualche esitazione, poi superata, del ministro heimwehrista delle finanze Draxler. Il Presidente dello Stato Federale Miklas è pure pienamente consenziente. E così anche il Comitato direttivo della VaterUindische Front.

Ho consigliato Schuschnigg di non mettere Starhemberg di fronte al fatto compiuto e pubblicato, e di valersi di questa occasione per avere, a traverso Baar o Draxler, un incontro col Principe, utile anche per altri rispetti. Mi ha promesso di seguire il consiglio.

Abbiamo anche esaminato i modi nei quali, da parte italiana (comunicazioni ufficiose, giornali ecc.), si sarebbe potuto, all'atto della pubblicazione del comunicato ufficiale del modus vivendi, e solo allora, sottolineare il significato dell'accordo dal punto di vista italiano, nell'interesse politico italiano, messo in luce dal richiamo esplicito alla politica dei Protocolli di Roma; donde far conseguire la constatazione che il Governo austriaco agì anche questa volta dopo consultazione con l'Italia, iniziata alla Rocca delle Caminate e proseguita direttamente in ogni fase del negoziato con il Reich. Ma di ciò riferirò separatamente.

Non è escluso che per qualche indiscrezione di Berlino o di von Papen (sebbene ammonito al maggior riserbo fino a fatti compiuti) qualche cosa trapeli nei prossimi giorni fuori della Germania e dell'Austria. In questo caso,

Schuschnigg sarebbe grato se, prima di prendere posizione a fronte di tali anticipazioni, Roma prendesse contatto con lui sì da concordare il linguaggio ufficioso, tenendo conto della delicata situazione interna austriaca.

Per finire, dirò che sono allarmatissimi per le voci vaghe in corso gli ebrei locali, accresciuti di numero e potenza finanziaria dopo gli esodi dalla Germania. A ciò va attribuita qualche preoccupazione anche del Presidente della Banca Nazionale Dr. Kienbock. Anche in questo settore, importante per l'economia austriaca, Schuschnigg agirà abilmente nei prossimi giorni, e sono sicuro che la conoscenza esatta della portata e dei termini del modus vivendi -che tende ad escludere o almeno a procrastinare ogni colpo di mano verso l'Anschluss -tranquillizzerà gli allarmati circoli israelitici, che proprio nella prima patria del vecchio antisemitismo di luegeriana memoria dovevano trovare un cosi generoso asilo! (1).

(l) -Vedi D. 448. (2) -Vedi DD. 416, 421, 422 e 429.

(l) Il presente documento reca 11 visto di Mussolini.

461

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. R. P. 8. Vienna, 6 luglio 1936.

Schuschnigg si è doluto stamane con me che in alcuni circoli diplomatici e giornalistici stranieri di Vienna si attribuisca la sua risposta negativa al noto invito ginevrino di Delbos e Eden (l) a pressioni dovute esercitare su di lui dal Ministro d'Italia a Vienna.

Egli ci tiene a rivendicare esclusivamente a se stesso e alla sua pronta e libera determinazione quell'atteggiamento, che, appunto perché libero e spontaneo, deve avere, anche agli occhi dell'Italia, maggior valore.

Egli non ha neppure veduto il R. Ministro in quel giorno nè gli ha altrimenti parlato. Lo aveva veduto il giorno prima quando è venuto a fargli una comunicazione del suo governo circa le eventuali votazioni nell'Assemblea di Ginevra e non era ancora neppur partito da Ginevra l'invito o pubblicata la nota della Havas. Per evitare appunto interpretazioni inesatte, incaricò, il giorno dopo, il Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri di consegnare al Ministro Preziosi, come ai Ministri di Francia e d'Inghilterra, la comunicazione circa la risposta già data a Ginevra.

Per il caso che di questa versione fosse giunta l'eco a Roma, Schuschnigg mi pregò di esporre i fatti come si sono svolti. Egli -mi ripetè -spera che si apprezzi a Roma anche di più il suo contegno quando si sappia che -come effettivamente è avvenuto -egli non ha avuto bisogno di altrui, seppure amichevoli, mòniti per riconoscere e battere la via che gli è segnata dalla dignità sua e insieme dalla fedeltà verso l'Italia. Del resto egli si è richiamato alla sollecitudine ed ampiezza con cui ha comunicato a me, e solo a me perchè li trasmettessi a Roma, i particolari di quell'episodio.

Mi richiamo in proposito alla mia lettera del 30 giugno scorso n. 3 (2).

462

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. R. P. 9. Vienna, 6 luglio 1936.

Schuschnigg è molto grato per l'azione svolta presso la Santa Sede a chiarimento delle trattative in corso per il modus vivendi con il Reich. Quanto opportuna fosse questa azione, gli risulta anche da una confidenza fatta ad un suo intimo di qui da mons. Punzolo, Incaricato d'affari di questa Nunziatura, secondo il quale sarebbero state necessarie le insistenze della Nunzia

tura, a traverso il Cardinale Innitzer e il Presidente dello Stato Federale, per ricordare a lui, Schuschnigg, l'esistenza e i doveri dei Protocolli di Roma.

Se per avventura qualche cenno di questa infondata supposizione di mons. Punzolo fosse giunto a Roma, il Capo e Lei l'avranno giudicata per quel che merita. L'espressa riserva dei Protocolli di Roma era già nei primi schemi di Schuschnigg e già in quello da lui consegnatomi il 17 giugno (l) e su cui riferii a Roma durante la mia ultima permanenza. Egli poi aderì subito (e prima del passo inopportuno di mons. Punzolo) a dare migliore sede e più precisa formulazione a quella riserva, come ebbi occasione di riferire.

Che avessi ben presenti i Protocolli di Roma -mi diceva oggi il Cancelliere, -ho dimostrato, del resto, col fatto che prima di iniziare le trattative con von Papen, ho chiesto io di consultarmi con il Capo del Governo d'Italia, facendo di queste trattative l'argomento principale dell'incontro alla Rocca delle Caminate (2).

(l) -Vedi D. 416. (2) -Vedi D. 416. Il presente documento reca il visto di Mussolinl.
463

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UU. R. 6595/408 R. Parigi, 7 luglio 1936, ore 12,35 (per. ore 14,35).

Prendendo spunto da quanto Tevfik Aras disse a Galli (telespresso di

V. E. 220556/C del 18 giugno) (3) circa accordi per intensificazione dell'assistenza prevista dall'art. 16, conclusi ad insistenze dell'Inghilterra con Francia, Turchia, Grecia e Jugoslavia, intrattenni iersera Léger dell'argomento esponendo le varie ragioni per le quali non doveva più restare traccia degli accordi medesimi se si voleva che i rapporti degli Stati suddetti con l'Italia ritornassero normali e fossero improntati a fiducia reciproca.

Léger mi ha risposto che la Francia considera che il permanere in vigore degli accordi suddetti, un solo istante dopo la cessazione dell'applicazione dell'articolo 16, sarebbe non solo «una tattica falsa, ma addirittura inconcepibile». Confermò quindi quanto mi aveva già detto in proposito e che il Governo francese aveva anche comunicato alla Gran Bretagna. Aggiunse, a suo avviso, le parole pronunciate da Eden alla Camera dei Comuni (4) circa la permanenza in vigore degli accordi suddetti per qualche tempo ancora, essere in risposta ad una opportunità parlamentare del momento e non ad una reale intenzione del Governo britannico.

Dissi a Léger che il Governo italiano non poteva restare nel dubbio -anche un solo istante -dopo l'abolizione delle sanzioni. Lo pregavo di dirmi che cosa potessi, pertanto, far conoscere a Roma circa l'atteggiamento della Francia.

(-4) Vedi p. 364, nota l.

Senza alcuna esitazione, e premettendo che gli accordi stessi erano stati puramente verbali -cosicché non richiedevano alcuna denunzia scritta -Léger mi dettò le seguenti parole: «La risposta categorica e totale della Francia è che gli accordi di assistenza mediterranea, conclusi con l'Inghilterra, hanno cessato di esistere dal momento in cui è stato nostro interesse di non applicare più all'Italia l'articolo 16 del Patto della S.d.N. :..

Léger aggiunse che comprendeva benissimo come noi volessimo non nutrire dubbi al riguardo. Considerava quindi, non solo necessario, ma urgente che interpellassimo, in primo luogo, Londra e poi Angora, Atene e Belgrado. Potevamo valerci delle dichiarazioni, chiarissime, della Francia per ottenere, anche dagli altri Stati, analoghe categoriche assicurazioni.

(l) -Vedi D. 327. (2) -n presente documento reca il visto di Mussol!ni. (3) -Non rinvenuto ma vedi DD. 136 e 231.
464

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. u. 6592/410 R. Parigi, 7 luglio 1936, ore 12,30 (per. ore 15,30).

Telegramma di V. E. per corriere 3106/C (1).

Léger ha smentito che a Ginevra rappresentanti degli Stati locarniani avessero deciso su proposta dell'Inghilterra di chiedere da Berlino una risposta al questionario britannico fissando un termine per ottenerla.

A proposito della prossima riunione degli Stati locarniani (2) Léger mi ha indicato seguente procedura che sarà seguita: van Zeeland dovrà informarsi in primo luogo ufficialmente presso il Governo britannico se esso è pronto, come lo è quello francese, a partecipare ad una conferenza degU Stati suddetti da convocare al più presto possibile dopo il 14 luglio a Bruxelles. Le date di cui si parla sono il 16 ed il 20 luglio con preferenza per la prima.

Alla mia richiesta se l'Italia sarebbe stata pure invitata Léger rispose che lo era sempre stata in occasione delle precedenti riunioni indipendentemente dalla sua presenza collegata con le note ragioni che oggi fortunatamente non esistevano più, cosicché R. Governo avrebbe ricevuto anche questa volta l'invito e altri Stati nutrivano maggiori speranze che l'Italia lo accettasse.

Léger mi fece rilevare che nella situazione presente atteggiamento inglese aveva una importanza tutta speciale in quanto che si trattava di constatare se Londra intendesse o non, senza la presenza dei tedeschi, di trattare con gli altri Stati Iocarniani sulla base degli accordi conclusi a Londra che furono comunicati dall'Inghilterra al Governo del Reich.

p. -44, nota 1).

465.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UU. R. 6597-6599/412-413 R. Parigi, 7 luglio 1936, ore 13,15 (per. ore 16,55).

Annunziandomi decisioni testè prese di togliere sanzioni a datare dal 15 luglio, Léger mi espresse iersera sua soddisfazione per la chiusura faticosamente raggiunta di un lungo periodo penoso per tutti.

Occorreva adesso scordare ciò che aveva diviso per troppo tempo Stati destinati ad intendersi ed a procedere d'accordo per salvare pace del mondo. Egli mi aveva ripetuto a sazietà ragioni per cui Francia aveva creduto di attenersi strettamente, a costo di esporsi al rischio di inimicarsi Italia, alla politica della solidarietà collettiva. Era la sola che poteva, a suo giudizio, impedire all'Inghilterra e all'Italia, entrambe amiche della Francia, di entrare in conflitto. Questo scopo era stato raggiunto e doveva essere ragione di soddisfazione per tutti. Da oggi cominciava nuovo periodo che sarebbe stato caratterizzato da una maggiore libertà d'azione per i vari Stati, non più legati da una politica solidale. Governo francese era più che mai deciso di coltivare amicizia dell'Italia e voleva pertanto «agire '> in questo senso senza indugio.

Ho risposto a Léger che nessuno più di me si rallegrava della fine di un periodo in cui erano stati necessari sforzi immani per salvare il salvabile dell'amicizia itala-francese. Rendevo il dovuto omaggio alla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica francese, che non aveva approvato politica seguita dai vari suoi Governi e che col suo contegno di viva simpatia verso l'Italia, di comprensione per nostro atteggiamento e di giubilo per nostra vittoria militare e diplomatica costituiva una base su cui avrebbe potuto rinfrancarsi fratellanza latina. Se Francia voleva «agire'> lo doveva fare senza indugio togliendo di mezzo tutto ciò che si frapponeva fra l'Italia ed altri Stati ed impediva al Governo fascista di considerarsi interamente libero e sopra un piede di assoluta uguaglianza con gli altri Governi.

Léger rispose ricordando innanzi tutto dichiarazioni fattemi circa accordi di assistenza mediterranea (mio telegramma odierno n. 408) (l) circa la cui decadenza non potevano esistere dubbi.

Léger accennò poi alla speranza che Francia nutriva che l'Italia riprendesse proprio posto nella Conferenza degli Stati locarniani e quindi parlò della Conferenza di Montreux. Questa, disse, non ha ancora risolto i vari problemi sottoposti al suo esame. È urgente che l'Italia le dia suo concorso, che è indispensabile per ragioni politiche, geografiche, economiche. Italia è stata invitata. Non intervenne per ragioni comprensibili che fortunatamente non esistono più. Comunichi che interverrà a Montreux e sarà accolta con gioia dagli altri Stati.

Risposi a Léger che io gli avrei parlato a titolo personale mancando di istruzioni. Perché oggi dopo decisioni prese di togliere sanzioni, presidente

della Conferenza di Montreux non fa il gesto di rivolgere all'Italia invito cortese ed insistente di occupare il posto sino ad ora vacante per contribuire a risolvere un problema che le interessa più di ogni altro Stato mediterraneo? La Francia avrebbe potuto «agire» suggerendo una simile procedura ed il suo gesto sarebbe stato certamente apprezzato.

Léger mi assicurò che avrebbe esaminato d'urgenza la cosa perchè essa gli sembrava molto importante e mi promise tenermi informato.

(l) -T. per corriere 3106/C. R. del 2 luglio, rltrasmetteva Il Fon. 6380/749 R. del Jo luglio da Ginevra con Il quale Bova Scappa aveva riferito che l delegati di Francia, Gran Bretagna e Belgio si erano riuniti la sera precedente per discutere la questione di Locarno e che si erano proposti di sollecitare da Berlino una risposta al questionario britannico (per Il quale vedi (2) -Vedi D. 437.

(l) Vedi D. 463.

466

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. PER CORRIERE 6602/100 R. Roma, 7 luglio 1936, ore 19 (per. ore 20,05).

Mio telegramma per corriere n. 99 del 6 corrente (1).

Monsignor Pizzardo mi ha detto che il cardinale Innitzer, arcivescovo di Vienna, ha saputo delle conversazioni segrete in corso fra il signor Schuschnigg e von Papen. Il fatto che il Cancelliere ha circondato i colloqui del più grande mistero, ha destato sospetti. Si è temuto che Schuschnigg si fosse indotto a fare importanti concessioni alla Germania, Anche il ministro d'Austria presso la Santa Sede è stato tenuto all'oscuro di tutto.

Monsignor Pizzardo ha soggiunto che,· dopo le spiegazioni avute, egli è completamente rassicurato. Mi ha detto, in via confidenziale, che il Pontefice teme che l'Austria diverrà fatalmente preda della Germania e ne è addolorato.

Il Segretario per gli Affari Straordinari è perciò persuaso che il Papa non può non vedere con favore tutto quello che tende a diminuire la tensione fra la Germania e l'Austria. Mons. Pizzardo mi ha assicurato che la Santa Sede non intralcerà in alcun modo le trattative per il modus vivendi. Procurerò di farmi confermare quanto sopra dal cardinale Pacelli.

Mons. Pizzardo mi ha informato infine che alla Segreteria di Stato consta che il Governo austriaco non sarebbe alieno dal promuovere la restaurazione degli Absburgo. Pare che a Vienna si pensi che la posizione dell'Austria sarebbe rafforzata con il ritorno della monarchia. Mi è sembrato che da parte sua, il monsignore considerasse il rimedio molto rischioso e forse peggiore del male (2).

467

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6627/123 R. Vienna, 7 luglio 1936, ore 21,10 (per. ore 5 dell'B).

Mio telegramma n. 119 (3).

Cancelleria Federale ha inviato oggi a questi rappresentanti della Piccola Intesa un lungo promemoria che svolge i seguenti punti:

l) Le voci continue di restaurazione absburgica diffuse in diverse capitali estere, come pure visita Cancelliere a Ginevra, sono non solo infondate, ma inammissibili dopo le recise dichiarazioni fatte al riguardo dal Cancelliere federale ai rappresentanti esteri interessati.

2) Risultargli che tali voci sono messe in circolazione persino da circoli governativi e ufficiali esteri, i quali «continuano seriamente a parlare della restaurazione come di un tema attualità», occorre mettere fine a tale stato di cose.

3) Austria, desiderosa di pace e di buoni rapporti con i Paesi vicini, esige che sia evitata ogni cosa atta a turbare tali rapporti od il consolidamento di detti Paesi.

La stampa austriaca si è pertanto astenuta da ogni critica a loro riguardo. Cancelliere austriaco ritiene però dover reclamare una reciprocità, senza la quale non potrebbe esser a lungo mantenuto attuale atteggiamento.

4) Promemoria informa infine che i rappresentanti Italia Francia e Gran Bretagna vengono messi al corrente di quanto precede. Col prossimo corriere invierò testo nota rimessami dal Ballplatz (1).

(l) -Vedi D. 455. (2) -Il presente documento reca il visto e la seguente annotazione a margine di Mussolini: «Comunicare a Salata». (3) -Vedi D. 431.
468

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6619/204 R. Buenos Aires, 7 luglio 1936, ore 21,19 (per. ore 7,45 dell'B).

Appena giunto telegramma di V. E. n. 149 (2) (cui contenuto concorda integralmente colla impressione riportata in base notizia qui pubblicata circa dichiarazioni Ruiz Guinazu) ho redatto apposito promemoria fedelmente ispirato concetti ivi esposti e mi sono recato darne precisa, ferma, motivata lettura questo ministero degli Affari Esteri.

Saavedra Lamas, il quale ne ha preso nota con tutta dovuta attenzione, ha cercato scagionarsi dietro concreta abolizione sanzioni conseguita dall'Italia nonchè pretestando, come di consueto, un cumulo di differenti argomenti dei quali l'unico la cui verifica potrebbe forse presentare qualche interesse sarebbe stato quello di pretese istruzioni telegrafiche propri delegati non appena conosciute intenzioni Tafari assistere Assemblea S.d.N., nel senso fare tutto perchè se ne evitasse intervento.

Ho comunque procurato tagliare nettamente corto ad ulteriori discussioni dicendogli che per momento non avevo altro da comunicare, nè da accogliere giustificazione; che, se egli così anche Io giudicasse conveniente, poteva in

caricare proprio ambasciatore chiedere facoltà esporre, ove concessagli, direttamente a V. E.

Mentre ho dato ad ogni buon fine direttamente lettura e commentato suddetto promemoria anche competenti uffici, non mancherò portare a conoscenza opportuni ambienti politici impressione prodotta e punto di vista italiano in merito deplorato atteggiamento Argentina.

Mi riservo in seguito enumerare V. E. per dovere ufficio, altre considerazioni che Saavedra Lamas ha cercato porre innanzi per tentare giustificazione propria avventurosa politica personale.

(l) -Non pubblicata. (2) -Vedi D. 454.
469

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2718/968. Berlino, 7 luglio 1936 (per. il 10).

In seguito ad una conversazione avuta con Dieckhoff sono in grado di precisare come appresso le informazioni di fonte tedesca relativamente a pretesi accordi o patti rumeno-sovietici.

La notizia della imminente conclusione di un patto rumeno-sovietico sulla falsariga di quello ceco-sovietico fu data al ministro tedesco a Praga direttamente da Krojta, il quale autorizzò sembra, il ministro anche a valersene liberamente. Donde il passo tedesco a Bucarest di cui al mio telegramma 1° luglio

n. 274 (l) e i dinieghi prima di Titulescu e poi del Re.

A parziale rettifica di quanto dissi nel telegramma di cui sopra, preciso che tanto il Re quanto Titulescu si sarebbero, anche di fronte alle rivelazioni della origine della notizia, mantenuti nella negativa. Titulescu avrebbe, anzi, detto: «mi meraviglio come mai Krofta possa aver affermato una cosa si

mile~.

Qui si posano parecchi punti interrogativi. l) Come possono conciliarsi queste versioni così opposte? La sola spiegazione plausibile sembrerebbe trovarsi nelle informazioni, di

cui al telespresso di V. E. n. 222162 del 2 luglio (2), secondo le quali Titulescu e Benes avrebbero discusso la cosa fra loro due, lasciandosi nel convincimento reciproco che gli accordi sarebbero stati conclusi. Invece, dopo, forse per intervento del Re, le cose sarebbero andate altrimenti, ma ciò all'insaputa di Benes, che avrebbe quindi continuato a rimanere sotto l'impressione primitiva.

2) Quale sarebbe stato comunque l'interesse di Krofta a rivelare la notizia?

La spiegazione più plausibile sarebbe trovata nel desiderio della Cecoslovacchia di non apparire di fronte ai tedeschi come il solo Paese avente accordi politici con I'URSS.

(l) -Vedi D. 417. (2) -Non pubbllcato.
470

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. R. P. 10. Vienna, 7 luglio 1936.

Il Cancelliere mi ha parlato, ritenendo che potesse interessare Roma, di una sua conversazione avuta sabato con mons. Sarié, arcivescovo di Sarajevo, venuto da lui a chiedere il mantenimento di una promessa fattagli da Dollfuss di un contributo per la nuova grande cattedrale del capoluogo della Bosnia.

L'arcivescovo gli ha fatto un quadro molto fosco, pessimistico della situazione in Jugoslavia e specialmente dell'insanabile dissidio tra i serbi e tutte le altre nazionalità del Regno. Croati e mussulmani sarebbero alleati nell'intimo contro i serbi e il Governo centrale. Nessuna composizione pacifica sarebbe possibile del conflitto tra i croati e la Serbia e nessuna leale collaborazione di veri croati -come disse mons. Sarié -in un Governo di Belgrado. Mons. Korosec s'era completamente esautorato e addirittura squalificato non solo presso gli sloveni ma anche presso tutti i croati cattolici per avere, appunto, prima accettato di entrare nel Governo jugoslavo e poi per rimanervi ancora dopo il fallimento di ogni tentativo di riconciliazione. In caso di conflitto bellico o solo anche di mobilitazione la Jugoslavia si troverebbe dinanzi a difficoltà e conflitti gravissimi, specialmente se la mobilitazione fosse riv<-!lta contro l'Austria (per la questione degli Absburgo).

Ad ogni buon conto, Schuschnigg ha assicurato mons. Sarié che avrebbe mantenuto la promessa fatta da Dollfuss (1).

471

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. R. P. 11. Vienna, 7 luglio 1936.

Schuschnigg continlla a mostrarmisi, più che preoccupato, seccato dalla insistenza con cui da parte jugoslava e rumena si continuano a diffondere le notizie più allarmanti e più strane sull'Austria e specialmente su pretese predisposizioni per una imminente restaurazione absburgica. Mi ha mostrato una ultima notizia dell'Agenzia Avala che assume, per il carattere ufficioso di organo del governo di Belgrado, particolare gravità.

Egli si propone in uno di questi giorni, di farsi venire i Ministri di Jugoslavia e di Romania per richiamare in modo energico la loro attenzione sui pericoli di questa campagna e per invitarli a intervenire presso i loro Governi perché la facciano cessare. Ha in animo di accennare all'uno e all'altro dei due rappresentanti diplomatici che anche al Governo di Vienna giungono molte

notizie, più o meno controllabili, sul conto dei due Stati e la cui pubblicazione riuscirebbe molto spiacevole ai Governi di Belgrado e di Bucarest. Il Governo di Vienna ha sinora soppresso tali notizie, ma quando la campagna infondata contro l'Austria dovesse continuare, egli per legittima difesa e ritorsione troverebbe modo di ripagare con la stessa moneta.

Più tranquilla e corretta è la stampa cecoslovacca e più che corretto l'atteggiamento di quel Governo. Schuschnigg non ha ancora avuto il colloquio con Hodza, il cui preannunzio da lui datomi, ho riferito con la mia del 30 giugno n. 3 (pag. 4) (1).

(l) Il presente documento reca 11 visto di Mussolin1.

472

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6655/282 R. Berlino, 8 luglio 1936, ore 20,58 (per. ore 0,30 del 9). Mio telegramma n. 278 del 6 luglio (2).

Oggi ho visto anche von Neurath il quale però riparte subito per andare a trovare Hitler e decidere con lui sul da fare.

. l) Questionario inglese (3). Tutti i vecchi progetti di risposta essendo ormai superati, von Neurath ne avrebbe preparato uno nuovo, generico e dilatorio, insistendo per una presa in considerazione delle proposte Hitler. Ciò, per altro, non dovrebbe avvenire prima almeno del settembre e, forse, dell'ottobre. Frattanto Germania, secondo progetto Neurath, richiamerebbe attenzione dell'Inghilterra sui più recenti sviluppi -sviluppi pericolosi e, comunque, inaccettabili per la Germania -della concezione ginevrina della « sicurezza collettiva». (In proposito Neurath mi ha detto di avere apertamente dichiarato ad ambasciatore Francia che, con un articolo 16 rafforzato e un sistema di «patti regionali» uso quelli patrocinati dalla Francia, Germania non (dico non), rientrerebbe a Ginevra.

La risposta non entrerebbe nei dettagli del questionario inglese e quindi non menzionerebbe il Patto Orientale. Ove lo facesse, sarebbe soltanto per reiterare la irriducibile opposizione della Germania al patto stesso.

2) Conferenza di Bruxelles (4). Neurath, come Dieckhoff, sarebbero contrari a un intervento tedesco a Bruxelles. Egli sembra ritenere che anche l'Italia, per le stesse ragioni per le quali non è andata a Montreux, non andrà a Bruxelles. Intervento tedesco sarebbe, da ciò, messo fuori questione, Germania essendo decisa a nulla discutere senza l'Italia.

Mi ha pregato di tenerlo, quindi, cortesemente al corrente dei propositi nostri, a sua volta assicurandomi che, appena conferito con il Fuehrer, mi

informerà dei progetti tedeschi. Tanto l'Italia che la Germania, egli ha detto, possono sfruttare con reciproco vantaggio il solidarismo delle rispettive situazioni politiche.

Immagino che rivedrò Neurath a fine settimana. Per quella data pregherei

V. E. farmi cortesemente pervenire le istruzioni del caso (1).

(l) -Vedi D. 416. Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (2) -Vedi D. 452. (3) -Vedi p. 44, nota l. (4) -Vedi DD. 437, 452 e 464.
473

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 6646/283 R. Berlino, 8 luglio 1936, ore 20,50 (per. ore 22,10).

Anche oggi Neurath mi ha confermato che la Germania, quando R. Governo ne ritenesse giunto il momento, sarebbe pronta a riconoscere annessione dell'Abissinia.

Richiamo mio telegramma n. 263 del 20 giugno (2).

474

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, GALLI, E A PARIGI, CERRUTI, AI MINISTRI AD ATENE, BOSCARELLI, E A BELGRADO, VIOLA, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI

T. 3200/C. R. Roma, 8 luglio 1936, ore 24.

(Per Parigi) Nel trasmettere R. Rappresentanze Londra Ankara, Atene, Belgrado Suo telegramma 408 (3), ho aggiunto quanto segue:

(Per tutti) Riferendosi comunicazione Governo francese, pregola chiedere codesto Governo suo pensiero circa persistenza o meno accordi assistenza mediterranea conclusi sulla base articolo 16 (ora che anche col concorso codesto Governo è stata stabilita cessazione applicazione articolo medesimo): se cioè codesto Governo mantiene al riguardo un punto di vista diverso da quello francese.

(Per Parigi) Solo per Londra ho aggiunto:

(Per Londra e Parigi). Ho presenti dichiarazioni di Eden anche all'Assemblea, ma è evidente che, nonostante la migliore volontà, la persistenza degli accordi ostacola l'opera di chiarimento e di collaborazione (4).

(l) -Nella corrispondenza telegrafica non si sono rinvenute le istruzioni richieste dall'ambasciat ore Attolico. (2) -Vedi D. 333. (3) -Vedi D. 463. (4) -Da Ankara, Galli rispose con T. 6672/173 R. del 9 luglio di aver compiuto il passo prescrittogli presso il ministero degli Esteri dove si erano riservati di rispondere dopo aver interpellato il ministro Aras (allora in Svizzera) e dopo aver sentito il governo britannico. Per le altre risposte si vedano i DD. 485 (da Parigi), 484 e 498 (da Belgrado), 495 (da Atene) e 497 (da Londra).
475

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6705/048 R. Atene, 8 luglio 1936 (per. il 10).

A due riprese ho parlato a questo presidente del Consiglio della situazione nel Mediterraneo e dell'accenno fatto dal signor Eden circa il desiderio del Governo britannico di voler conservare in vigore anche dopo l'abolizione delle sanzioni le intese e gli accordi intervenuti nel gennaio scorso fra alcune Potenze mediterranee.

Il signor Metaxas mi ha ripetuto quanto a suo tempo mi aveva detto l'ex presidente del Consiglio signor Demerdzis e cioè che nessun accordo scritto era allora intervenuto fra l'Inghilterra e la Grecia e che la risposta data da questa ultima alla richiesta britannica aveva avuto carattere generico ed aveva considerato l'ipotesi d'aggressione prospettata dal Governo britannico esclusivamente nel quadro della Società delle Nazioni. D'allora ad oggi nessun nuovo passo al riguardo era stato fatto dal Governo britannico presso il Governo ellenico. Anche lui riteneva che l'intesa del gennaio scorso dovesse considerarsi limitata dall'ipotesi -ormai sorpassata -che uno degli Stati applicanti le sanzioni fosse stato vittima di un aggressore.

A suo modo di vedere nessuna intesa mediterranea efficace duratura poteva avere luogo senza la partecipazione dell'Italia.

476

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6750/023 R. Praga, 8 luglio 1936 (per. stesso giorno).

Questo ministro degli Affari Esteri, che ho visto oggi dopo il suo ritorno da Ginevra, si è detto soddisfatto dei risultati raggiunti in seno all'Assemblea a riguardo della questione etiopica. Mi ha accennato che nel prendere contatto con le principali delegazioni aveva trovato presso Blum e Delbos disposizioni completamente favorevoli all'Italia. Blum gli aveva fatto presente tutta la necessità per la Francia dell'amicizia dell'Italia anche se una tale politica riusciva a lui personalmente non molto agevole in conseguenza di non consone ideologie.

Breve conversazione con Eden il quale gli aveva sintetizzato il suo pensiero circa le determinazioni da prendersi in relazione alla controversia italiana in una schematica frase: «C'est triste, mais c'est nécessaire ». Litvinov avrebbe anche lui sostenuto la necessità di ricercare in qualunque modo l'amicizia dell'Italia contro il germanesimo invadente che prima o poi non potrà non scontrarsi con i postulati della difesa italiana.

Krofta, di carattere calmo e di natura non specialmente portata all'intrigo, mi è sembrato non eccessivamente entusiasta dopo la sua prima prova ginevrina. Egli mi ha ripetuto l'augurio che l'Italia, oramai soddisfatta come meglio non era possibile pel momento, possa subito riprendere a collaborare efficacemente in tutti i problemi che mantengono in ansia le sfere internazionali.

477

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6793/065 R. Bled, 8 luglio 1936 (per. il 13).

Stojadinovic ha parlato ieri in seno al comitato dell'Unione Radicale jugoslava di cui è presidente sulla politica interna ed estera del Paese. Dopo constatato l'insuccesso della politica societaria nel conflitto itala-etiopico e avere annunciato la soppressione delle sanzioni, ha riassunto le varie tendenze manifestatesi per la riforma della S.d.N. concludendo per la necessità di fare il massimo sforzo per la difesa armata del Paese. Ha dichiarato che la Jugoslavia è oggi, in senso relativo, più forte di quanto non sia mai stata.

Ha reso omaggio all'atteggiamento amichevole e cavalleresco della Gran Bretagna che nel periodo delle sanzioni ha offerto particolari agevolazioni commerciali alla Jugoslavia, ed ha ricordato le dichiarazioni di Eden a Londra e a Ginevra secondo le quali il Governo britannico «intende mantenere in vigore anche oltre la revoca delle sanzioni le sue garanzie per la sicurezza della Jugoslavia, della Turchia e della Grecia».

Ha citato anche le dichiarazioni di Blum per quella parte in cui è detto che la Francia guarda alla sicurezza della Jugoslavia come alla propria sicurezza. Se alle dichiarazioni di Eden e di Blum -ha detto Stojadinovic aggiungiamo le nostre alleanze cogli Stati della Piccola Intesa e della Intesa Balcanica, che contano 70 milioni di uomini, possiamo veramente dire che la Jugoslavia è in buona compagnia e non ha da preoccuparsi per lo sviluppo degli avvenimenti in Europa.

La faciloneria ottimistica di queste dichiarazioni mi dispensa da ogni commento inteso a dimostrare che esse sono fatte per uso interno e di partito tanto più se si consideri che la riunione del comitato centrale dell'U.R.J. era stata convocata d'urgenza per controbilanciare la recente adunata dei partiti jugoslavi a fondo nazionalista i quali hanno eletto a loro capo l'ex presidente del consiglio e ministro della Guerra, Generale Zivcovic, nome che rappresenta il più energico programma d'azione nel senso di un ritorno alla politica autoritaria di Governo e che dà molto da pensare al Governo di Stojadinovic e al suo partito.

39 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

Tuttavia, e per quanto lo stesso Stojadinovic sia personalmente persuaso della inammissibilità di una sopravvivenza degli accordi di assistenza mediterranea dopo abolite le sanzioni (v. mio telegramma per corriere n. 062 del 27 giugno) (l) è prevedibile che la Jugoslavia -seguendo in ciò la tesi e i suggerimenti di Ankara -tenda a resistere contro la decadenza dei predetti accordi, sia per conservarsi un atout di cui è venuta in possesso facilmente e senza gravi e reali rischi da parte sua, atout che essa potrà giuocare secondo i casi, sebbene non abbia chiaro, al presente, il modo di servirsene; sia per il desiderio di non rinunciare a un vincolo impegnativo che è venuto avventuratamente e impensatamente a stabilirsi fra essa e l'Inghilterra, dando forma concreta alla generica e sentimentale amicizia britannica, e nel quale essa Jugoslavia ravvisa -più che gli obblighi che le incomberebbero -i vantaggi che potrebbe ritrarne come elemento per la sua sicurezza. Non a caso, infatti, le riferite dichiarazioni di Stojadinovic accennano al proposito inglese di mantenere in vigore le garanzie di sicurezza date alla Jugoslavia, alla Turchia e alla Grecia. Non si parla della Francia che non ha chiesto nè ricevuto dall'Inghilterra alcuna garanzia in contropartita. Epperò è anche probabile che la Jugoslavia (nonché i predetti minori Stati mediterranei) non sia disposta ad uniformarsi, nella circostanza, all'atteggiamento della Francia, ma intenda tenere distinto il suo caso, in quanto esso importa una contropartita che non sarebbe conveniente abbandonare.

478

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 8 luglio 1936.

L'incaricato d'affari del Belgio mi ha comunicato l'invito del signor Van Zeeland a partecipare alla riunione delle Potenze locarniste, per la quale si lascia a noi di scegliere la data che sarebbe suggerita per il 22 luglio.

Ho chiesto se la Germania era stata invitata.

Mi ha risposto di no perché la prossima riunione sarebbe da considerarsi una «pre-Locarno » cioè una prosecuzione delle riunioni di Londra che portarono alla nota del 19 marzo.

L'incaricato d'affari del Belgio ha espresso, a nome del suo Governo, la viva speranza che l'Italia voglia intervenire effettivamente. La Francia e l'Inghilterra saranno rispettivamente rappresentate dai signori Eden e Delbos.

Ho preso atto dell'invito e ho risposto che faremo conoscere la nostra decisione entro breve tempo.

(l) Vedi D. 388.

479

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1616/403. Bucarest, 8 luglio 1936 (per. l'11).

Ringrazio V. E. per le numerose comunicazioni inviatemi con gli ultimi due corrieri circa quanto hanno segnalato le RR. Rappresentanze a Vienna, Budapest Varsavia e Belgrado sul progettato accordo segreto tra Romania e Cecoslovacchia -che sarebbe stato ventilato a Bucarest in occasione del recente incontro dei tre capi di Stato.

Col mio rapporto del 23 giugno n. 1488/363 e con il mio telegramma filo del 27 giugno n. 68 (1), nel riferire a V. E. le informazioni in mio possesso, ho anche espresso la mia opinione sul valore che occorreva dare alle informazioni stesse.

In sostanza, tutte le notizie corse circa l'imminente conclusione di un patto romeno-ceco destinato a consentire il passaggio delle truppe russe sul territorio romeno, nel caso di una aggressione germanica contro la Cecoslovacchia, sono di origine cecoslovacca. E' lo stesso ministro degli Esteri ceco, signor Krofta, che se ne è fatto propalatore. C'è da credere che di fronte alle ansiose domande che da tutte le parti vengono fatte ai circoli dirigenti cecoslovacchi circa i pericoli che la Cecoslovacchia corre nell'eventualità di un attacco germanico, il governo ceco, non essendo più in grado di offrire la consueta risposta che la Cecoslovacchia è garantita dalla Società delle Nazioni e dalla sicurezza collettiva, ente e formula che hanno fatto così modesta prova in occasione del conflitto itala-etiopico, si sforzi di accreditare la convinzione che la sicurezza della Cecoslovacchia è garantita dalle truppe sovietiche. Poiché tuttavia le forze russe non possono accorrere in soccorso della Cecoslovacchia se non attraverso il territorio polacco o romeno, occorre, in mancanza del beneplacito polacco, presentare come acquisito quello romeno.

Io ho ampiamente illustrato a V. E. il dramma che su questo argomento si svolge in Romania, ove Titulescu sostiene che bisogna concedere il passaggio anche perché se la Romania non lo offre di buona grazia si espone all'impiego della forza. Per coloro a cui tale risposta sembra troppo cinica egli ne ha un'altra pronta e cioè che il patto della S.d.N. (art. 16 par. III) fa obbligo alla Romania di prestarsi al transito delle truppe che accorrono a rintuzzare l'aggressione.

Ma la verità è che il popolo romeno paventa l'eventualità del passaggio e vi sono quindi forze istintive, che trovano espressione nella campagna di taluni uomini politici, nell'ostilità dei militari e nella perplessità del Sovrano, le quali lavorano in senso contrario; sicché la Romania, detto in una parola, non sembra ancora «matura » ad assumere gli impegni che le si domandano.

Sta poi il fatto, che credo aver messo nella debita luce in molteplici miei scritti, che la Russia stessa esita, in questo momento, a farsi parte sollecita per la domanda di tale passaggio, perché una sua precisa richiesta presupporrebbe anche e soprattutto una sua ferma decisione di intervento contro la Germania, decisione che, a mio avviso, la Russia non ha ancora definitivamente adottato.

Insomma si sta in questo momento menando scalpore intorno ad una sola manifestazione (passaggio delle truppe russe attraverso il territorio romeno) di quello che è il problema centrale del momento attuale europeo: perché se le discussioni, apparentemente, fervono sulle questioni del Reno, della Restaurazione o di Danzica, il problema davvero immanente è la «sicurezza in Europa centrale).

Un disegno, un quadro armonico, per la soluzione di tale problema esiste, per ora, solo nella mente dei suoi ideatori. Del quadro noi non vediamo però che pochi frammenti: l'accordo franco-russo, quello russo-cecoslovacco, ed ora ci si addita il «transito romeno».

Ma i complessi e gravi problemi inerenti al transito, non possono trovare la loro soluzione sulla limitata base di una intesa segreta ceco-romena come quella di cui, in ottemperanza al «segreto », si è fatto propalatore il signor Krofta. Il transito delle truppe russe non può non essere inquadrato in un accordo a tre fra Russia, Romania e Cecoslovacchia: siamo quindi, in pieno, nel problema dei patti regionali, verso cui sembra doversi orientare l'attività delle cancellerie nei prossimi mesi. Ma siamo anche, in pieno, nel problema della sicurezza dell'Europa centrale.

In quanto all'accordo a tre (Russia-Romania e Cecoslovacchia) è appena il caso di ricordare che esso non potrà realizzarsi fino a quando i rapporti romeno-sovietici non saranno stati chiariti: il riconoscimento della Bessarabia, la questione dell'alleanza polacco-romena e della garanzia internazionale che la Romania pretende nei confronti dello sgombero obbligatorio delle truppe russe ad azione finita, sono problemi senza la soluzione dei quali il patto regionale orientale non è concepibile.

In conclusione ritengo che le notizie propalate dal signor Krofta sono destinate soprattutto a calmare domande troppo ansiose e troppo imbarazzanti; servono cioè a diffondere un senso di sicurezza e di fiducia, sia pure momentaneo.

Il signor Krofta spera che il tempo possa lavorare a favore della Cecoslovacchia, specialmente se Ginevra avrà potuto rinforzare il Patto, ed avrà potuto tracciare gli schemi della sicurezza regionale (in mancanza di quella collettiva!) e si sarà raggiunto quell'equilibrio di forze che la diplomazia di oggi non vuole chiamare col suo vero nome, ma su cui, in sostanza, la Cecoslovacchia fonda ormai le sue speranze, le sue ultime speranze, perché venga evitato quel conflitto che essa sa bene riuscirebbe fatale per la sua esistenza.

(l) Vedi DD. 355 e 385.

480

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 7831/791. Budapest, 8 luglio 1936 (per. Z'11).

Secondo confidenzialmente riferito da questo direttore degli Affari Politici, risulterebbe al Governo ungherese che dichiarazioni analoghe a quelle fatte all'incaricato di affari di Ungheria (mio telecorriere n. 020 del 20 giugno u.s.) (1) ed al ministro d'Austria (telespresso di V. E. n. 221716/c del 20 giugno u.s.) (2) in merito alla prossima conclusione di un trattato romeno-sovietico sarebbero state rese dal signor Krofta anche al ministro di Germania a Praga.

Richiesto di chiarimenti in proposito dal ministro di Germania a Bucarest, il signor Titulescu avrebbe ammesso da parte sua che era imminente la conclusione di un trattato di mutua assistenza romeno-sovietico, ma si sarebbe al tempo stesso sforzato di convincere il suo interlocutore che tale trattato aveva carattere assolutamente diverso da quello dell'esistente trattato ceco-sovietico e non era per nulla pregiudizievole agli interessi tedeschi.

Fin qui nulla di sorprendente. Sorprendente era invece -osservava non senza disappunto il barone Bessenyei -che il Governo di Berlino sembrasse considerare tranquillizzanti e soddisfacenti le surriferite dichiarazioni del ministro degli Esteri di Romania (3).

481

IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI. CIANO

TELESPR. 1294/395. Lisbona, 8 luglio 1936 (per. il 22).

Mio rapporto n. 1111/356 del 12 giugno u.s. (4).

Il discorso che questo ministro degli Affari Esteri ha pronunziato all'Assemblea della Società delle Nazioni, e che questa stampa ha battezzato come il migliore che colà si sia ascoltato fra i tanti che sono stati pronunziati, prova come io sia stato facile profeta nel prevedere che il Portogallo avrebbe mostrato la sua riluttanza ad abbandonare le sanzioni e come nessun fondamento avessero le dichiarazioni fatte in proposito dal ministro del Portogallo in Berlino a quel nostro ambasciatore (5). Pur parlando quando era evidente

la decisione della abolizione delle sanzioni, pur presentandosi alla tribuna dopo Eden, vale a dire quando un suo discorso più comprensivo della nostra tesi non avrebbe potuto più offendere «la grande alleata», il dottor Monteiro ha voluto affermarsi più societario che mai ritenendo di poterei soddisfare con le solite frasi di amicizia per il nostro Paese con le quali ha iniziato il discorso. Egli dichiara che «a ultima cruzada acabou » (evidentemente gli infedeli eravamo noi), che il patto della S.d.N. non fu creato per mantenere la pace ma per assicurare l'indipendenza dei suoi membri anche con la guerra se necessaria, e che tutti gli Stati componenti la Società hanno mantenuto fede agli impegni assunti meno le grandi Potenze che dovevano fare la guerra e che preoccupate dei loro interessi materiali (!) non hanno saputo far rispettare il Patto. Ha conchiuso chiedendo che la riforma della Società sia tale da imporre obblighi ben definiti anche se gravissimi.

Le ragioni di tanto fervore societario non sono da ricercare nè nell'antifascismo nè nella setta (il dottor Monteiro non è massone) ma nel desiderio di aggrapparsi alla Società delle Nazioni e mostrarsi più « anglofilo degli inglesi ». E l'Inghilterra che conosce la vanità dell'uomo lo ha subito ricompensato facendo nominare il rappresentante del Portogallo nella Commissione a tre che deve controllare la questione di Danzica. Tale scelta è stata subito valorizzata nel Paese e la stampa ha dichiarato che essa dimostra il grado di prestigio che ha raggiunto il Portogallo nei consessi internazionali e come sia apprezzata l'opera e la persona del suo ministro degli Esteri.

(l) -Vedi D. 336. (2) -Non rinvenuto. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (4) -Vedi D. 249. (5) -Con T. 5343/236 R. del 3 giugno, ore 19,55, Attolico aveva comunicato che, secondo quanto aveva appreso dal ministro del Portogallo a Berl!no, il ministro degli Esteri portoghese, Monteiro, aveva dichiarato ad Eden di non essere più disposto a segu!rlo nella sua politica sanzionista. Da Lisbona Tuozzi aveva subito avvertito (T. 5453/24 R. del 6 giugno, ore 13,20) che la notizia non era attendibile perché era da escludere che Monteiro prendesse un atteggiamento non conforme al desideri del governo britannico.
482

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6720/202 R. Shanghai, 9 luglio 1936, ore 12 (per. ore 32).

Telegramma di V. E. n. 161 (l) si è incrociato col mio n. 200 (2), col quale ho segnalato a mia volta altre sgradevoli manifestazioni cinesi. Mentre esprimerò sorpresa e malcontento del R. Governo, come ordine di V. E., permettomi osservare che queste manifestazioni piuttosto che da atteggiamenti individuali

-o momentanei, derivano dall'interesse fondamentale della Cina di rimanere aggrappata disperatamente ad una concezione difensiva pacifista, nonchè da una mentalità antieroica in confronto alla quale nostra politica e nostra mentalità sono venute a rilevarsi antagonistiche. Sopra questo inevitabile fenomeno ho cercato sempre di riferire in termini quanto più aderenti alla realtà e privi di incertezze.

Se V. E. consente un remissivo parere, permettomi aggiungere che questa realtà costituisce per ora elemento fondamentale di cui nostra politica in Estremo Oriente non può non tener conto nella ricerca dei relativi rimedi. I quali, a mio avviso, risiedono nell'adozione di una politica che senza turbare deliberatamente i rapporti con Nanchino ma senza neppure sopravalutare ripercussione di una nostra minore fedeltà, . . . (l) più facili, più produttivi e più stabili. Operando in questa guisa potremmo aspirare ai vantaggi diretti della penetrazione stessa e sia al vantaggio di indurre Nanchino a darci maggior possibilità di lavoro, come è avvenuto nel caso della Germania, dopo che questa ha dimostrato sua spregiudicatezza in occasione dell'accordo concluso col Manciukuò.

In sostanza Nanchino, pur continuando nella differenziazione inevitabile della sua concezione politica da quella dell'Italia vittoriosa, potrebbe tornare a concederci qualche nuova possibilità non più per affermazione di idealità comuni ma per giuoco di interessi una volta che si accorgesse che nostri movimenti sono più liberi e possono pesare contro di essi nello scacchiere interno e internazionale.

Queste subordinate considerazioni possono riferirsi, fra l'altro, a decisioni che V. E. si è riservata di prendere circa contatti con Canton specialmente nella logica previsione che loro conclusione abbia ad avvenire dopo eliminati attuali pericoli di guerra civile. Poichè esse avranno per me prezioso significato per futuro orientamento, sarò grato V. E. se vorrà farmele pervenire appena adottate, sia pure in linea di massima, in vista delle mie progetta~e conversazioni chiarificatrici.

(l) -Vedi D. 453. (2) -T. 6663/200 R. dell'B luglio, ore 12: riferiva ! commenti della stampa cinese riguardoalle del!berazioni della S.d.N., sottolineando che erano !n genere contrar! per principio alla levata delle sanzioni.
483

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6665/129 R. Bruxelles, 9 luglio 1936, ore 15,50 (per. ore 17,15).

Perdura apprensione da me segnalata nel telegramma n. 126 (2) circa atteggiamento della Germania. Nella notte tra il 6 e il 7 corrente il capo dello Stato Maggiore dell'esercito belga è stato poi improvvisamente chiamato dal campo delle manovre nel Regburgo per conferire a Bruxelles col Governo.

Ieri sera anche questo mio collega francese mi ha manifestato sua preoccupazione per l'eventuale nostra assenza alla progettata conferenza delle Potenze di Locarno esprimendo avviso che Francia e Belgio dovrebbero esercitare decisa pressione su Londra perchè si affretti a dissipare nostra diffidenza per la sua politica in Mediterraneo.

(l) -Nota dell'Ufficio Cifra: «Manca>>. (2) -Con T. 6607/126 R. del 7 luglio, ore 20,50, Vannutelli aveva riferito che, secondo van Zeeland, l'assenza dell'Italia dalla conferenza delle Potenze locarniane avrebbe reso piùdifficile un accordo con la Germania il cui atteggiamento destava preoccupazioni sempre maggiori.
484

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6685/51 R. Bled, 9 luglio 1936, ore 20 (per. ore 23,50).

Telegramma di V. E. n. 3200, in data 8 luglio (1).

Riservomi riferire appena possibile risultato passo prescrittomi per accertare intenzioni di questo Governo circa persistenza o meno accordi assistenza Mediterraneo.

Debbo intanto segnalare che Stojadinovié, in sua esposizione sulla politica estera e politica interna jugoslava fatta il 7 corrente in seno al comitato centrale dell'Unione radicale (2), ha messo in rilievo le dichiarazioni di Eden a Londra e Ginevra circa mantenimento impegno assistenza Mediterraneo oltre abolizione sanzioni, interpretandolo come gesto amichevole dell'Inghilterra e come apprezzabile elemento per sicurezza jugoslava.

485

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6687/422 R. Parigi, 9 luglio 1936, ore 21,30 (per. ore 23,50).

Mio telegramma n. 408 (3).

Léger mi comunica di avere comunicato ai rappresentanti francesi a Londra, Angora, Atene e Belgrado il punto di vista del governo francese circa la categorica e totale cessazione degli «Accordi supplementari di assistenza mediterranea », impartendo loro istruzioni di portare le decisioni francesi a conoscenza dei rispettivi Governi ed invito ad assumere senza indugio atteggiamento analogo. Governo francese aveva insistito sopra opportunità ed urgenza di eliminare ogni ragione di sospetto o rancore da parte italiana anche per far sì che Italia potesse partecipare ai lavori di Montreux.

Léger aggiunse che egli si era mantenuto in relazione telefonica con Corbin che aveva particolarmente spinto ad agire su Governo inglese. Con sua sorpresa aveva appreso da una informazione recentissima di Corbin che sino ad ora ambasciata d'Italia non aveva compiuto alcun passo al Foreign Office per appurare pensiero del Governo inglese.

Ho risposto a Léger che da notizie giuntemi stamane la comunicazione esplicita della Francia era stata comunicata a Londra, Angora, Atene e Belgrado con istruzione ai nostri Rappresentanti di farsi dire dai rispettivi Governi se condividono pensiero del Governo francese. Ritenevo dunque che a Londra come nelle altre capitali sarebbe stato imminente il passo di cui si tratta.

Ho pure detto a Léger che mi aveva sorpreso il silenzio tenuto a riguardo dal Governo francese, mentre mi sarei atteso che esso avesse trovato modo di fare conoscere alla opinione pubblica del mondo in modo sollecito ed esplicito gesto compiuto. Soltanto stamane un articolo di Pertinax parlava della decisione del Governo francese in modo inatteso perché dice che accordi supplementari cesseranno di essere in vigore 15 luglio mentre io ritengo che essi siano decaduti dal momento in cui fu decisa abolizione delle sanzioni, cioè dal 6 luglio.

Léger ha risposto che aveva fatto chiamare ieri Pertinax e gli aveva comunicato decisione presa. Non aveva ancora letto suo articolo. Poteva ad ogni modo assicurarmi essere esatto che accordi avevano cessato di esistere dal 6 luglio.

(l) -Vedi D. 474. (2) -Vedi D. 477. (3) -Vedi D. 463.
486

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6683/423 R. Parigi, 9 luglio 1936, ore 21,20 (per. ore 23,50).

Miei telegrammi n. 412 e 413 (1).

Léger mi comunica di essersi posto subito in contatto con Paul-Boncour perché egli agisse sopra gli altri rappresentanti a Montreux per indurii a compiere verso l'Italia un gesto amichevole, rivolgendole invito ad unirsi ai lavori in corso o quanto meno esprimendo ferma speranza che essa comunichi al più presto la propria decisione di farsi rappresentare alla conferenza.

Dalle risposte ricevute risultava che Tevfik Riistii Aras sostiene che l'Italia fu formalmente invitata a Montreux e che in tal senso si era espresso avantieri con giornalisti stranieri dicendo che dipendeva pertanto dall'Italia decisione di partecipare ai lavori della conferenza e scelta del momento per aderirvi.

Paul-Boncour non aveva tralasciato di lavorare ulteriormente giusta istruzioni ricevute, sostenendo che in fondo non era stato rivolto ad alcun Governo un vero e proprio invito esplicito e scritto, così che un gesto che fosse compiuto oggi in nome della conferenza riunita avrebbe avuto un carattere amichevole, atto ad eliminare eventuali malintesi del passato, sopratutto se ora fosse accompagnato da dichiarazioni che chiarissero in modo categorico posizione dei vari Governi i quali avevano aderito agli accordi supplementari di assistenza mediterranea conformemente a quanto aveva fatto promettere Governo francese.

Fino ad ora peraltro sforzi di Paul-Boncour non avevano sorto risultato desiderato dal Quai d'Orsay, il quale non si lascia tuttavia scoraggiare ed ha nuovamente incoraggiato il suo primo delegato a perseverare nella sua azione persuasiva.

(l) Vedi D. 465

487

IL CONSOLE A OTTAWA, PETRUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7309/090 R. Ottawa, 9 luglio 1936 (per. il 27).

Mio telegramma n. 79 (1).

Un comunicato ufficiale di questo Governo annunzia che il presidente Roosevelt si recherà a Quebec il 31 luglio p.v. per fare una visita ufficiale a Lord Tweedsmuir, Governatore Generale del Canadà (2).

Un comunicato successivo ha annunziato che questo Primo Ministro, on. Mackenzie King, si recherà a Quebec per prendere parte al ricevimento di Roosevelt.

Tutta la stampa canadese ha pubblicato articoli per mettere in risalto i legami di amicizia e di buon vicinato fra Canadà e Stati. Uniti, di cui la visita predetta, la prima che un presidente degli Stati Uniti faccia ufficialmente al rappresentante di S. M. britannica in questo Dominio, sarebbe la prova più tangibile.

La stampa stessa si è mantenuta però in una linea di prudente riservatezza circa gli scopi e gli effetti della visita presidenziale, rispondendo certamente alla parola d'ordine venuta da questo Governo, che circonda del più grande mistero le conversazioni diplomatiche avvenute fra la Segreteria dello Stato di Washington dal giorno dell'avvento al potere del Governo liberale, e precisamente dalla visita che fece a Washington questo primo ministro nel novembre scorso.

Gli ultimi avvenimenti svoltisi intorno al conflitto itala-etiopico, ed in particolare il fallimento della Lega delle Nazioni, intorno alla quale questo giovane Stato aveva concentrato tutta la sua politica estera, hanno certamente dato un maggiore sviluppo ed estensione ai rapporti fra Canadà e Stati Uniti.

Colla visita a Quebec il presidente degli Stati Uniti viene a consacrare intanto il riconoscimento dell'indipendenza di questo Dominio dalla Madre Patria, riconoscimento già in atto dal momento in cui due paesi si scambiarono i ministri, ma mai affermato così solennemente e pubblicamente.

L'indebolirsi della Società delle Nazioni ed il tramontare della potenza della flotta britannica hanno poi posto brutalmente il popolo canadese di fronte al problema della sua difesa in questo Continente. Per quanto non vi siano pericoli imminenti di attacco da parte di una Potenza estera, tuttavia

la situazione nel Pacifico, dove le coste canadesi sono tuttora completamente indifese, rende necessario una decisione da parte di questo Dominio sulla politica estera da seguire per far fronte ad ogni evenienza futura. Ormai questa opinione pubblica si rende conto che il Canada, colle sue immense riserve di metalli preziosi, di materie prime e di prodotti agricoli, non può rimanere isolato ed indifeso.

Nelle conversazioni che avranno luogo a Quel::Jec, ed alle quali parteciperanno oltre al presidente Roosevelt ed al primo ministro Mackenzie King, anche Lord Tweedsmuir, quale vero rappresentante della Gran Bretagna, verrà quindi cercata la soluzione del problema estero canadese di fronte alla nuova situazione creatasi col venir meno della S.d.N., col tramontare del sistema della sicurezza collettiva, e colle nuove necessità per la difesa imperiale. Probabilmente si cercherà di giungere ad un compromesso in base al quale il Canada rimarrebbe nel sistema della Commonwelth delle nazioni britanniche, ma entrerebbe nello stesso tempo nell'orbita effettiva degli Stati Uniti, relegando la S.d.N. ad una parte del tutto secondaria.

Dopo l'annessione dell'Etiopia da parte dell'Italia, questa stampa, dietro evidente ispirazione ufficiale, pubblicò una serie di articoli per dimostrare che, avendo la S.d.N. fallito la sicurezza collettiva doveva essere attuata per mezzo di patti regionali, i quali però avrebbero portato i membri della Commonwelth in orbite diverse, se non contrastanti. Il Canada ad esempio avrebbe dovuto legarsi con un patto agli Stati Uniti d'America.

Questa campagna di stampa era evidentemente preparatoria agli avvenimenti che saranno per sviluppare nelle conversazioni di Queb~c. e che il primo ministro Mackenzie King cercherà poi di far trionfare nel suo prossimo viaggio a Londra prima e Ginevra poi per prendere parte all'Assemblea della Lega del prossimo settembre.

Tutto lascia supporre che la Gran Bretagna non solo non si opponga oggi ad un patto fra Stati Uniti e Canada, ma che lo favorisca anzi, a condizione però che questo patto rientri nel sistema dei patti regionaii sotto l'egida della

S.d.N. In tale modo gli Stati Uniti verrebbero, attraverso i suoi impegni con il Canada, a legarsi alla nuova organizzazione della sicurezza collettiva.

Intanto in questi giorni viene raddoppiata la propaganda attraverso la stampa ed i discorsi per magnificare il pacifismo, lo spirito democratico, i legami culturali e morali delle nazioni parlanti inglese, per giungere alla conclusione della necessità che le nazioni stesse si uniscano per far fronte alle minaccie che vengono dall'Europa e dall'Estremo Oriente.

Commentando la visita di Roosevelt il giornale Montreal Daily Star scrive: «le nazioni anglo-sassoni saranno molto probabilmente le sole a difendere effettivamente la libertà e la democrazia. A Quebec non si parlerà di alleanza ma di cooperazione amichevole e volontaria ».

Mi riservo di riferire ulteriormente al riguardo.

(l) -Non pubbl!cato (2) -In precedenza (TT. 3695/55 R. del 22 aprile e 3933/59 R. del 30 aprile), il console generale Petrucci, nel dare notizia di una prossima visita del presidente Roosevelt in Canadà, aveva sottolineato che essa coincideva con lo scacco subito dalla Società delle Nazioni nel conflitto !taio-etiopico e rappresentava un altro passo verso legami sempre più stretti tra Stati Uniti e Canada.
488

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN (l)

APPUNTO. Roma, 9 luglio 1936.

Ho ricevuto l'Ambasciatore di Francia il quale mi ha chiesto per prima cosa informazioni circa i negoziati di Vienna per un modus vivendi austrotedesco.

Gli ho dato risposta vaga e imprecisa dicendo che anche a noi risultava che erano in corso negoziati, ma che non potevo affermargli se qualche cosa di positivo fosse stato concluso.

Il signor Chambrun era preoccupato circa le voci di restaurazione monarchica in Austria. Su questo argomento ho creduto di potergli dare ampie assicurazioni, anzi ho aggiunto che il Governo di Vienna era annoiato della insistenza con cui la stampa della Piccola Intesa, e particolarmente romena e jugoslava, parlava dell'argomento. Di restaurazione absburgica non è adesso questione.

Accordi mediterranei. -L'Ambasciatore mi ha chiesto che cosa pensavo dell'atteggiamento francese in merito. Gli ho risposto che le dichiarazioni fatte da Léger a Cerruti, avevano prodotto da noi buona impressione. Mi riservavo però attraverso opportuni sondaggi fatti a Londra, Belgrado, Atene ed Ankara, di controllare se il punto di vista francese era condiviso anche dagli altrl.

Riunione di Brusselle. -Mi ha chiesto se l'Italia aveva deciso di accettare l'invito per Brusselle. Ho detto che, per quanto la decisione ancora non fosse presa, pur tuttavia mantenevo -anzi ampliavo -le riserve che avevo fatto nel nostro ultimo colloquio circa la possibilità di una nostra partecipazione ad una riunione « pre-locarnista », assente la Germania. Mi domandavo se riunioni di questo genere servivano la causa della pace o non valevano invece ad aumentare le fratture e le scissioni.

Il signor Chambrun ha infine insistito a titolo personale affinchè venisse riammesso nel Regno il Petit Niçois, giornale cui è particolarmente interessato il sottosegretario di Stato alla Presidenza, signor Tessan. Contro tale giornale non esiste un vero e proprio decreto di interdizione, ma le autorità di frontiera avevano avuto ordine di esercitare l'ostruzionismo. Ho detto a Chambrun che il giornale aveva tenuto in momenti difficili un contegno molto sgradevole per noi, ma che comunque, in via sperimentale, avremmo lasciato libertà al giornale.

Uscendo il signor Chambrun, a titolo di conversazione, mi ha fatto accenno alla utilità per l'Italia fascista di una «probità politica» che le permettesse di mantenere una linea di condotta diritta e sicura. Faceva accenno, evidentemente, alla nostra posizione di garanti per Locarno. Ho reagito con una certa vivacità dicendo che in fatto di probità politica, l'Italia fascista non aveva da

farsi fare la lezione da nessuno e che anzi anche nei recenti avvenimenti avevamo potuto constatare che la linearità della nostra condotta non trovava sempre corrispondenza da parte di altri.

Chambrun ha incassato (1).

(l) Ed. !n L'Europa verso la catastrofe, pp. 33-35.

489

IL VICE CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 9 luglio 1936.

Schuschnigg ha fatto oggi la nota comunicazione al R. Ministro a Vienna.

Nonostante che, come ieri ha riferito il Senatore Salata, la Cancelleria Federale avesse concordato di dare contemporanea conoscenza della cosa ai Ministri di Francia ed Inghilterra, Schuschnigg, aderendo alle nostre indicazioni di ieri, ha voluto fare oggi soltanto la comunicazione al Ministro d'Italia, riservandosi, domani, di farla agli altri. La comunicazione si aggira sui termini del comunicato già noto a V. E. ed inviato dal Senatore Salata (2).

Stasera von Papen parte per Berlino per sottoporre il testo dell'accordo al Fiihrer.

Per accelerare l'accordo Salata mi domanda inoltre che si telegrafi a Preziosi perché informi ufficialmente Schuschnigg che da parte nostra non vi è nessuna obiezione alla nomina di Gleise a Ministro senza portafoglio (3).

Il telegramma potrebbe essere redatto nei seguenti termini:

«Qualora Cancelliere Federale dovesse chiederle se nulla osti da nostra parte a che il Colonnello Glaise Horstenau entri a far parte del Gabinetto come Ministro senza portafoglio, S. V. potrà dirgli da parte mia che nulla osta in principio».

Salata mi informa inoltre che è possibile che 1'11 sera si arnv1 alla firma dell'accordo e non mancherà di tenermi informato domani in giornata (1).

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO (4). Parigi, 9 luglio 1936.

Ho veduto Laval. Circa la situazione interna mi ha detto che considera molto difficile fare pronostici. Giudica il ministero Blum prigioniero dei co

munisti. Le dichiarazioni del ministro dell'Interno Salengro al Senato furono una mossa tattica parlamentare. Esse non sono sincere. Governo di Blum non oserebbe impedire occupazioni degli stabilimenti qualora esse fossero ordinate dai comunisti. D'altro lato i comunisti mostrano di non essere affatto sicuri di poter contare sopra consenso del Paese. Considera utili eccessi compiuti perché essi hanno aperto gli occhi di molta gente. La reazione è forte; agisce non in profondità ma in estensione e mi può assicurare che in taluni casi essa si è esercitata con fermezza ed ha avuto ragione dei comunisti. Mi cita il caso di una officina meccanica a Chateldon, dove ha la sua proprietà. Essa appartiene a quattro fratelli scapoli che l'ereditarono dal padre che la fondò e che la svilupparono molto bene. L'officina venne occupata dagli operai. I proprietari chiesero che fosse fatta evacuare senza ottenere soddisfazione. Telefonarono allora al commissariato di polizia di mandare sul posto assistenza pubblica perché ci sarebbero stati certamente dei feriti avendo essi deciso di cacciare con la forza propria gli operai dalla officina. Il commissario ne informò Lavai che accorse sul posto e trovò i quattro fratelli proprietari armati ciascuno di una rivoltella che gli dichiararono di essere decisi a cacciare fuori dal loro stabilimento gli occupanti colle armi. Di fronte a questo atto di energia gli operai se ne andarono e dopo pochi giorni tutto tornò nella normalità. Loda il colonnello de la Rocque di non avere impiegato la forza perché ritiene che non avrebbe potuto prevalere ed il Governo di Blum ne sarebbe stato rafforzato. Considera che quest'ultimo perde invece terreno ogni giorno che passa. Crede ad un ministero Daladier-Chautemps. Alla mia osservazione che se i radicali credono di poter governare come hanno fatto sinora sbagliano, Lavai risponde che un ministero Daladier-Chautemps potrebbe essere concepibile soltanto qualora contasse sopra tutte le frazioni del Parlamento, inclusi i socialisti dissidenti, tranne i comunisti ed i socialisti. Dice che egli se ne sta più che può assente da Parigi e che ciò non astante viene accusato di trescare con de la Rocque e con Doriot per ritornare al potere con un Gabinetto autoritario. Non ha veduto de la Rocque da molto tempo, cosicché non ha notizie precise sul movimento delle Croix de feu. A suo giudizio queste costituiscono sempre ancora un elemento di forza molto apprezzabile. Circa Doriot dice che è un uomo che potrebbe avere seguito perché ha delle idee chiare. In politica interna egli vorrebbe dare alle classi operaie tutto ciò che i comunisti hanno accordato loro nell'U.R.S.S. In politica estera è viceversa un nemico accanito dei Soviet e quindi dell'accordo franco-sovietico. Viceversa vorrebbe l'intesa con la Germania sulla base della comune difesa contro il bolscevismo. Sono idee che si possono sostenere e che troverebbero una certa eco in Francia.

Passando alla politica estera Lavai mi dice che ha deplorato che la Francia abbia tolto le sanzioni dopo l'Inghilterra. Gli rispondo che non è stato possibile indurre il Governo francese a fare un gesto che mostrasse una iniziativa propria. Blum mi aveva però detto che non aveva voluto seguire le orme di Sarraut e negoziare con l'Italia la levata delle sanzioni, ottenendo o per lo meno cercando di ottenere una contropartita. Egli aveva deciso che le sanzioni sarebbero state tolte senza mercateggiamento. Noi non avremmo ac

cettato di negoziare; ma in ogni caso era doveroso riconoscere che Blum era stato più amichevole o per lo meno più avveduto di Sarraut al riguardo, perchè non pensando a mercanteggiare evitò di ottenere dall'Italia un rifiuto che non gli avrebbe impedito di consentire ugualmente alla levata delle sanzioni.

Lavai mi dice di avere in una sala del Senato detto a Paul-Boncour che non era riuscito a diventare ministro degli Esteri con Blum per due errori da lui commessi: il primo era quello di non aver combattuto la politica fatta da esso Lavai, il secondo era quello di non avere avuto il coraggio di imporre a Sarraut ed a Flandin di fare nei riguardi dell'Italia il gesto di togliere le sanzioni in modo che Blum assumendo il potere avesse già trovato il terreno sbarazzato da questo problema molto imbarazzante per lui. Paul-Boncour rispose che egli aveva combattuto Lavai sino al 7 marzo. Dopo quella data aveva seguito in tutto e per tutto la sua politica di amicizia verso l'Italia. Lavai ribattè che egli aveva fatto la politica di amicizia verso l'Italia perchè prevedeva che si sarebbe verificato quanto accadde il 7 marzo e sapeva che l'Inghilterra avrebbe lasciato in asso la Francia.

Dico a Lavai che ho appreso soltanto recentemente da Léger che a Ginevra, nell'ottobre scorso, egli rifiutò la contropartita offertagli da Eden sotto forma di garanzia dell'Inghilterra per il caso in cui la flotta francese fosse stata attaccata da quella italiana in seguito alla applicazione all'Italia dell'art. 16 del Patto della S.d.N. Lo ringrazio a titolo personale per questa prova di fiducia data all'Italia, tanto più che non avendomene egli mai parlato ciò prova che agì senza alcuno scopo inteso a cattivarsi la riconoscenza italiana.

Lavai mi risponde che effettivamente non me ne volle parlare così come non mi parlò di varie altre cose che fece in favore dell'Italia. Sapeva che in Italia vi era stato un forte movimento di opinione pubblica contro di lui, ritenuto tiepido fautore dell'amicizia franco-italiana. Non se ne stupiva più che tanto perchè era abituato agli alti e bassi della popolarità. Il bello però era che egli era certamente l'uomo politico francese che fu ed è probabilmente tuttora maggiormente inviso in Inghilterra dove gli si attribuiscono ogni specie di favoritismi verso l'Italia. Gli sembrava di avermi accennato una volta alle serie divergenze avute con il Governo britannico. Non aveva però creduto dirmi allora tutta la verità. Me l'avrebbe detta ora. Ad un dato momento le conversazioni fra Parigi e Londra circa il modo di considerare il conflitto italaetiopico divennero criticissime. Non dovevo credere che le sue conversazioni con Sir George Clerk fossero state inspirate alla stessa cordialità di quelle fra lui e me. Clerk si era recato una volta al Quai d'Orsay e gli aveva tenuto un linguaggio comminatorio che egli aveva respinto categoricamente. Il Governo britannico gli fece allora rimettere una nota redatta in termini di cui il meno che poteva dire è che erano !ungi dall'essere cortesi. Aveva dal suo lato risposto immediatamente con altra nota redatta in termini durissimi dichiarando di non essere affatto disposto a seguire la politica della Gran Bretagna. Quali che fossero le pubblicazioni di documenti diplomatici che il Governo inglese potrebbe indursi un giorno a fare, potevo essere sicuro che nella collezione

non saranno compresi nè la nota inviatagli dal Governo britannico nè la sua risposta: la prima non sarà pubblicata mai perchè non si vorrà nè potrà rendere pubblica la risposta ricevuta dal Governo francese.

Lavai conclude col dirmi che egli è più convinto che mai che la sola politica saggia che può fare la Francia consiste nell'amicizia con l'Italia, senza perciò dover perdere l'amicizia dell'Inghilterra, la quale all'atto pratico conta però relativamente. Mentre tanta gente in Francia si offusca per i numerosi e' sempre più appariscenti segni di intimità nei rapporti fra l'Italia e la Germania, egli non vi fa gran caso perchè la sua esperienza gli insegna che i tedeschi, che hanno molte qualità ma non la finezza ed il tatto, fanno cortesie e buon viso agli altri popoli sperando in tal modo di accaparrarne l'amicizia e di averli come clienti. Quando si accorgono peraltro di avere fatto un calcolo sbagliato, l'ira teutonica si manifesta con tutta la brutalità nota al mondo intiero. Ora gli italiani sono troppo consci di quello che sono e fanno troppo gran conto della cultura latina per lasciarsi abbindolare dai discendenti degli abitatori della selva, sopratutto nel momento in cui vengono rievocate e magnificate le virtù della stirpe teutonica.

Quanto alla Germania Lavai teme che nonostante tutto essa possa indursi a fare la guerra alla Francia. Alla mia espressione di stupore soggiunge che la premessa di tale guerra dovrebbe essere il trionfo del comunismo in Francia. In un simile caso la guerra potrebbe sembrare una necessità assoluta per infrangere la tenaglia bolscevica prima che essa si sia rafforzata e si rinserri sulla Germania.

Domando a Lavai se egli crede alla possibilità di un trionfo comunista in Francia. Risponde che, a fil di logica, Io si dovrebbe escludere per molteplici ragioni: apoliticità assoluta dell'Esercito, profondo sentimento nazionale (in opposizione quindi alla concezione dell'internazionale socialista), senso di proprietà estesissimo in ogni classe sociale. Deve però aggiungere che egli non si sente di fare dei pronostici su quanto accadrà. Si riferisce a quanto mi ha detto dianzi, cioè al fatto che Blum è prigioniero dei comunisti ed alla circostanza che il governo del Fronte Popolare dimostra ogni giorno maggiormente di non possedere autorità. In tali condizioni tutto è possibile, anche che la Francia debba sottostare ad un esperimento comunista. Questo non significherebbe che essa diverrebbe una delle numerose repubbliche dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche guidate da Mosca; significherebbe peraltro, almeno a suo giudizio, una probabilità grandissima di guerra da parte della Germania (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (2) -Vedi D. 429.

(3) Nella sua lettera n. 13, del 7 luglio, Salata aveva già fatto presente l'opportunità di comunicare a Schuschnigg che da parte italiana non vi erano obiezioni a che Glaise Horstenau entrasse a far parte del governo austriaco, nonostante qualche suo atteggiamento poco amichevole VP.l"~O l 'Italia.

(4) Il presente appunto fu trasmesso in allegato al rapporto 5364/1739 del 22 luglio, non pubblicato.

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IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 8008/805. Budapest, 9 Zuglio 1936 (per. il 15).

Giunto a Budapest iermattina in compagnia della corsorte e del suo aiutante di campo, altgravio Salm-Reifferscheidt, il Vicecancelliere austriaco ne è

ripartito nel pomeriggio di oggi dopo aver fatto l'annunziata visita al gen. Gombos, convalescente nella sua proprietà di Nagytétény, ed aver avuto le conversazioni panoramiche di rito con il vice-presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri e gli altri membri del Governo attualmente in sede. v. E. conosce già il comunicato che informa come «in un colloquio durato un'ora e mezza e svoltosi nello spirito dei protocolli di Roma» siano stati esaminati i probH•mi politici generali interessanti i due Paesi «constatando con piacere che cuca essi l'opinione dei due Governi concorda perfettamente».

Secondo mi risulta, la visita è stata originata dal fatto che, avendo il barone Baar-Baarenfels manifestato un paio di settimane fa a Vienna ad un giornalista l'intenzione di assistere ad una serata organizzata a Budapest dalla locale <<Società austro-ungherese», questo governo gli aveva fatto sapere che avrebbe preferito egli si recasse a Budapest quale suo ospite. Il barone Baar è giunto così in Ungheria «per portare al Presidente Gombos il saluto e l'augurio del Cancelliere Schuschnigg ». Alla determinazione di effettuare il viaggio pare non sia stato, infine, del tutto estraneo il desiderio del barone Baar di ottenere la gran croce del Merito Ungherese ...

Come che sia, le conversazioni con il signor Kànya hanno dato modo al Vicecancelliere d'Austria d'informare sia pure in maniera alquanto approssimativa, il Governo ungherese circa l'ultima fase dei negoziati in corso tra i signori Schuschnigg e von Papen per un accordo austro-germanico negoziati che -secondo confidato da Schuschnigg a Baar e da questo ripetuto a Kànya -potrebbero considerarsi ormai virtualmente conclusi in maniera del tutto soddisfacente per l'Austria.

Il barone Baar ha pure approfittato dell'occasione per rinnovare qui formali assicurazioni nel senso che il Governo austriaco continua a non considerare di attualità la questione della restaurazione « checché vadano insinuando e ripetendo allarmisti più o meno interessati»: assicurazioni che il Governo ungherese stima sincere.

Nel confermare le informazioni che precedono in merito ai colloqui qui avuti dal barone Baar e che erano già state confidenzialmente riferite a questo R. ufficio da questa legazione d'Austria, questo vice-ministro degli Affari Esteri ha fatto intendere stasera che alla decisione della Germania di porre finalmente termine ai suoi contrasti con l'Austria poteva forse non essere estranea l'opera di Kànya, il quale, in una recente conversazione con il signor von Mackensen, si era adoperato ancora una volta in favore dell'avvicinamento tra Berlino e Vienna, facendo valere tra l'altro l'argomento -riaffiorato pochi giorni dopo in conversazioni di personalità responsabile a Berlino -che se Francia e Piccola Intesa tanto paventavano l'avvicinamento stesso, questo doveva essere di indiscutibile vantaggio per il Reich ...

40 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolln!.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6708/834 R.. Ginevra, 10 luglio 1936, ore 11,50.

Come ho segnalato ieri (l) la conferenza ha terminato virtualmente la prima fase del suo lavoro con bilancio ben magro. Infatti se l'accordo ha potuto (ssere raggiunto in alcuni articoli del progetto inglese, sui quali lavorano per la messa a punto i comitati tecnici e di redazione, restano ancora sospesi glt articoli essenziali della Convenzione, quelli che costituiscono il substrato pGiitico aellr, lotta e l'ossatura vera di tutto l'accordo.

Il bilancio in poche parole è il seguente:

l) Non vi è nessun accordo per la questione della Commissione degli Stretti. Inghilterra e Francia insistono per il suo mantenimento; la Turchia è decisamente ostile a ogni sopravvivenza di quell'organismo anche nella forma suggerita dalla delegazione jugoslava intesa a lasciare ai consoli esteri a Istambul una funzione di collaborazione con le autorità turche.

2) Non vi è nessun accordo sull'art. 16, il tentativo di Paul-Boncour di trovare una formula transazionale è completamente fallito.

3) Non vi è nessun accordo sull'art. 23. L'emendamento sovietico il cui testo ho comunicato stamane con mio telegramma n. 033 (2) ha suscitato ieri una vera battaglia di principi. I giapponesi chiedono quale è il rapporto tra patti regionali e Covenant. Gli inglesi e i turchi si preoccuparono di sapere se l'inclusione nel testo dell'emendamento sovietico dei patti di assistenza non costituisse un pregiudizio, un pericolo manifesto per la Turchia. Litvinov sostenne che la Turchia essendo un membro della S.d.N. essa deve sostenere tutti i rischi eventuali per aiutare l'aggredito contro l'aggressore. Tali rischi, osservò Litvinov, non sarebbero gravi poiché per il gioco stesso della mutua assistenza, tale assistenza verrebbe estesa alla Turchia, se essa venisse attaccata per aver compiuto gli obblighi derivantile della Convenzione.

Rendel chiese quale differenza esiste fra patti di assistenza conclusi nel quadro della S.d.N. e patti di assistenza conclusi fuori di tale quadro. Litvinov chiara che la differenza risiede nel fatto che i patti di assistenza conclusi nel quadro della S.d.N. non prevedono l'assistenza che nel caso di una aggressione ingiustificata, mentre i patti conclusi fuori di tale quadro ammettono l'assistenza all'aggressore.

Rende! pose il quesito seguente: la Turchia vota in Consiglio contro la designazione dell'aggressore. L'art. 15 alinea 7, essendo applicabile, un Paese vincolato da un patto di mutua assistenza con il Paese che la Turchia non ha voluto riconoscere come ingiustamente attaccato dichiara di volere inviare

la sua flotta attraverso gli Stretti. La Turchia sarà così portata ad aprire gli Stretti contrariamente all'opinione espressa in Consiglio.

Politis intervenne per dichiarare che in pratica il caso non può porsi poiché da una parte la Turchia è legata con l'U.R.S.S. da un Patto che definisce l'aggressore e dall'altra è legata alle altre Potenze rivierasche del Mar Nero dal Patto Balcanico che prevede la mutua assistenza. Politis dimenticò evidentemente la Bulgaria.

Titulescu intervenne a sua volta -come ho segnalato ieri sera -denunziando la politica inglese per la sua duplicità a Ginevra, dove si pronunzia in favore del rafforzamento del Patto e le intese regionali e a Montreux dove nega queste ultime. Titulescu dichiarò a conclusione del suo discorso che la Romania non può rinunziare a che la Francia intervenga ad assisterla.

Rendel promise di riferire al suo governo le opinioni di Titulescu.

E ieri sera stessa Rendel è partito per Londra.

Come V. E. vede, l'Inghilterra ha preso posizione ben netta e ostile di fronte ai patti regionali. Alcuni sostenevano ieri sera che tale atteggiamento si giustificasse col desiderio inglese di ménager la Germania che vede nel patto franco-sovietico il punto cruciale di tutta la situazione europea.

Comunque la conferenza è ancora in alto mare e in un mare pieno di scogli.

Si prevede che essa riprenderà i suoi lavori plenari solo lunedì o martedì.

(l) -Con fonogramma 6669/832 R. delle ore 21,55, non pubblicato. (2) -Non pubblicato.
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IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6725/836 R. Ginevra, 10 luglio 1936, ore 19,45.

Seguito mio telegramma n. 830 (1).

l) Segretario generale delegazione francese mi ha oggi confermato che effettivamente Politis nel corso di conversazioni private ha proposto che gli accordi di mutua assistenza nel Mediterraneo si trasformassero da provvisori in definitivi, invitando l'Italia ad aderirvi.

Nel pensiero di Politis, come nel pensiero di altre delegazioni, il solo mezzo per far ammettere al Governo britannico la validità dei patti regionali per il passaggio delle navi attraverso gli Stretti, sarebbe quello di impegnare l'Inghilterra in un patto mediterraneo di cui gli accordi predetti potrebbero costituire il primo elemento. L'Inghilterra però ha mostrato di essere assolutamente restia ad impegnarsi sulla strada suggerita da Politis.

2) Sempre dalla stessa fonte ho appreso che i tedeschi avrebbero fatto presente a Londra che, ammettendo il libero passaggio della flotta russa, attraverso gli Stretti, in base al principio dei patti regionali, i sovietici potrebbero spostare la loro flotta dal Mar Nero nel Baltico, il che obbliga la Germania a riconsiderare il patto navale anglo-tedesco (1).

Spitzmuller mi assicura che malgrado la notizia di qualche giornale, Berlino avrebbe già agito a Londra in tal senso. Il mio interlocutore trova che i tedeschi agiscono in questo caso in perfetta malafede perchè la Convenzione di Losanna, che è tuttora in vigore, permette il libero transito della flotta sovietica attraverso gli Stretti e la Germania ha negoziato e stipulato l'accordo navale con l'Inghilterra sotto il regime liberista della Convenzione di Losanna. Secondo Spitzmuller nulla muta per i tedeschi con il progetto di convenzione che anzi è restrittivo per quanto riguarda in genere tutte le flotte militari.

3) Di particolare interesse è quanto mi ha detto Spitzmuller circa la Commissione degli Stretti che i turchi non intendono in nessun modo conservare. Chi ha appoggiato e appoggia calorosamente i turchi in questo loro disegno è Titulescu il quale sostiene che l'abolizione della Commissione degli Stretti porrà immediatamente per la Romania il problema dell'abolizione della Commissione del Danubio che egli si propone di sollevare al più presto possibile.

4) Spitzmuller mi ha accennato al vivo malumore che regna negli ambienti sovietici contro i turchi, accusati non solo di avere concertato a Ginevra con gli inglesi il progetto di convenzione britannico, ma anche di non aver appoggiato affatto le tesi sostenute dalla delegazione sovietica nel corso della conferenza. I sovieti inoltre rimproverano ai turchi di ritornare lentamente sotto l'egemonia militare tedesca. Infatti il riarmo degli Stretti per quanto concerne le grosse artiglierie è affidato alla Casa Krupp, mentre ufficiali di Stato Maggiore tedeschi dell'esercito e della marina fanno da consiglieri segreti allo Stato Maggiore turco e ufficiali turchi vengono inviati a seguire le scuole militari tedesche.

L'atteggiamento generale della delegazione turca è percw causa di profondo malcontento tra i membri della delegazione sovietica che non nascondono tali loro sentimenti.

5) Il segretario generale della delegazione francese mi ha infine detto che negli ambienti della conferenza aveva prodotto favorevole impressione la notizia del richiamo della Home Fleet dal Mediterraneo (2) e la notizia che per il Governo francese gli accordi di mutua assistenza navale devono considerarsi

come decaduti (1). Negli stessi ambienti si metteva in rapporto il breve riposo preso dal ministro Eden con questi fatti. Comunque egli riteneva che i vari Governi interessati avrebbero seguito la decisione francese. Mi ha chiesto se qualora ciò fossesi verificato, l'Italia si sarebbe fatta rappresentare a Montreux dove, a suo avviso, i lavori dureranno ancora una settimana o dieci giorni e dove senza l'Italia «non si vede chiaro». Ho risposto naturalmente di ignorarlo.

6) Spitzmuller mi ha infine confermato che tendenza generale delle delegazioni, qualora non si arrivasse ad un accordo sui principi e quindi ad una firma della convenzione, è di orientarsi verso la conclusione di un protocollo speciale per consentire alla Turchia il riarmo degli Stretti. Mi sono limitato ad osservare che la firma di un tale accordo senza l'adesione dell'Italia, non avrebbe che un valore molto limitato e non legherebbe naturalmente il Governo italiano per il quale il problema restava aperto.

7) Spiztmuller mi ha anche detto che da varie parti si era ventilata l'idea perché la conferenza rivolgesse un invito al Governo italiano a farsi rappresentare a Montreux.

La delegazione turca e greca pur riconfermando « il grande piacere » che avrebbero avuto a vedere l'Italia a Montreux avevano, nelle conversazioni private, sostenuto l'inopportunità di un tale gesto dato, che inviti speciali non erano stati rivolti a nessuno e che se certe determinate condizioni si fossero verificate l'Italia avrebbe annunziato da sola il suo divisamento di intervenire alla conferenza. Era quindi inutile esporsi ad un rifiuto preventivato.

8) Quasi tutti i delegati principali si assentano per questa fine settimana. Paul-Boncour è ripartito nel pomeriggio di oggi per Parigi per andare a consultare il suo Governo.

La conferenza non riprenderà i suoi lavori che lunedì o martedì ma permane vivo un senso generale di scetticismo sulle sue possibili conclusioni.

(l) T. 6667/830 R. del 9 luglio, ore 19, non pubblicato: 1l contenuto è riassunto nel presente telegramma.

(l) -Del 18 giugno 1935. (2) -L'8 luglio precedente era stato annunciato a Londra che la Home Fleet sarebbe stata ritirata dal Mediterraneo. In proposito, l'incaricato d'affari a Londra, Vitetti, aveva telegrafato:<<In relazione motivi pubblicati oggi dai giornali, Ammiragliato mi ha fatto conoscere che Home Fleet tornerà prossimamente in Inghilterra per le vacanze estive. Contemporaneamente sarà provveduto ad una riduzione delle forze navali nel Mediterraneo, col ritiro di un certo numero di incrociatori e di cacciatorpediniere. L'intenzione dell'Ammiragliato sarebbe, secondo quanto mi è stato detto, di riportare flotta inglese nel Mediterraneo al suo livello normale» (T. 66781009 R. del 10 luglio, ore 0,46). Si veda in proposito anche il D. 535.
494

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6733/80 R. Bucarest, 10 luglio 1936, ore 21,50 (per. ore 1,15 dell'11).

La situazione personale di Titulescu appare molto scossa per la reazione contro la sua politica dei circoli di opposizione parlamentare e per la insofferenza dello stesso Governo che disapprova sua ingerenza nella politica interna e stigmatizza le sue gaffes in politica estera.

Da parte mia in lunga conversazione con presidente del consiglio nulla ho trascurato per mettere in luce che la presenza di Titulescu al Governo esclude ogni possibilità di conversione della Romania verso l'Italia.

Presidente del consiglio ha deplorato gesto Titulescu contro i giornalisti italiani (l) dicendo che il Governo ne è mortificato e facendo capire che tutti ormai avevano le tasche piene del loro ministro degli Affari Esteri.

Titulescu accortosi che sta perdendo terreno ha minacciato da Montreux di presentare le sue dimissioni ma si precipita domani in Paese per tentare ristabilire sua posizione e presentarsi ancora come l'insostituibile. Questa volta però se egli tirerà troppo la corda rischia di rimanere a terra anche perchè l'incidente di Ginevra lo ha seriamente danneggiato.

Continuo miei contatti sia con i membri del Governo sia con i più influenti capi dell'opposizione parlamentare.

(l) Vedi D. 485.

495

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, GUGLIELMINETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5914/117 P. R. Atene, 10 luglio 1936, ore 22,30 (per. ore 0,24 dell'11).

Telegramma di V. E. n. 3200 (2).

Ho chiesto stamane al funzionario di questo ministero Affari Esteri che sostituisce il segretario generale assente quale fosse il pensiero del Governo greco in merito persistenza o meno accordo con assistenza mediterranea.

Oltre ad accennare alle comunicazioni fatte dal signor Léger al R. Ambasciatore a Parigi (3), ho ricordato quanto aveva già dichiarato ex sottosegretario di Stato Metaxas al ministro Boscarelli (telegramma per corriere di questa Legazione n. 048) (4) ed ho fatto rilevare che dopo tali dichiarazioni situazione è cambiata oltre che per netta presa di posizione della Francia anche per mutato atteggiamento inglese.

Predetto funzionario dopo avere conferito con il presidente del consiglio mi ha detto quanto segue: «Le assicurazioni da noi date all'Inghilterra che ci saremmo conformati alle obbligazioni per noi derivanti dall'articolo 16, paragrafo 3° del Patto delle S.d.N. (telegramma di questa Legazione del 12 gennaio u.s.) (5) divengono automaticamente senza oggetto dopo la levata delle sanzioni, dato che non può più farsi luogo all'applicazione di detto articolo (6).

(l) -Vedi DD. 419 e 424. (2) -Vedi D. 474. (3) -Vedi D. 485. (4) -Vedi D. 475. (5) -Vedi serie ottava, vol. III, D. 46. (6) -La stessa dichiarazione venne ripetuta a Palazzo Chigi dal ministro di Grecia a Roma Il 14 luglio successivo (appunto non firmato in pari data, recante il visto di Mussollnl).
496

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. R. P. 17. Vienna, 10 luglio 1936.

Per notizia di S. E. il Capo del Governo e di S. E. il Ministro degli Affari Esteri per il caso che ricevano o vedano il Principe Starhemberg che trovasi a Roma per il Campo Austria:

Il Principe Starhemberg è stato tenuto al corrente delle trattative con la Germania a traverso il Vicecancelliere Baar, heimwehrista. Della conclusione e della imminente firma dell'Accordo il Baar, per incarico del Dr. Schuschnigg ha informato il Principe (assente da Vienna prima a Venezia e poi a Roma) con una lettera confidenziale inviatagli ieri sera con corriere speciale. Conviene secondo me che il Principe sappia in modo preciso che noi approviamo l'Accordo e che riteniamo opportuno affrontare lealmente e senza pessimismi, se pure con vigile attenzione, l'esecuzione, come si propone di fare Schuschnigg di pieno accordo con gli stessi Ministri heimwehristi (l).

497

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. U. 6744/1015 R. Londra, 11 luglio 1936, ore 2,21 (per. ore 7,45).

In conformità alle istruzioni di V. E. con telegramma n. 3200 (2) ho intrattenuto a lungo ieri Sargent e oggi Vansittart sulla questione accordi assistenza mediterranea concluso in base articolo 16. Ambedue mi hanno detto che questi accordi si devono ritenere esauriti. Con abolizione sanzioni sono venute automaticamente a cadere le ragioni di misure diplomatiche e militari che erano connesse al regime sanzionista. «Prova di questo -mi ha detto Vansittart -è data dalla decisione presa da Governo britannico ieri stesso di riportare forze navali nel Mediterraneo al loro livello normale~. Per quanto riguarda dichiarazioni fatte da Eden 1° corr. all'Assemblea della S.d.N. (3) queste, secondo Vansittart, non dico non, si debbono intendere nel senso che gli accordi mutua assistenza restano in vigore, ma che Governo britannico da parte sua, con un gesto che ha carattere puramente unilaterale, ha voluto dare ad alcuni Stati mediterranei l'assicurazione verbale che, qualora l'Italia iniziasse contro di loro una azione di rappresaglia armata, l'Inghilterra li soccorrerebbe. Tale assicurazione -mi ha detto Vansittart -ha carattere unilaterale e provvisorio. Essa è limitata al solo caso che l'Italia attaccasse qualche Stato per rappresaglia delle sanzioni o per conseguenza della politica san

zionista. Una ipotesi puramente teorica che come ha detto Baldwin non ha probabilità di verificarsi e che si riferisce comunque solo al periodo transitorio ch3 segue abolizione sanzioni. Vansittart aggiunto che le dichiarazioni di Eden all'Assemblea furono fatte in parte per calmare apprensione di alcuni governi Paesi mediterranei, in parte per ragioni politico-parlamentari inglesi. «Abbiamo dovuto portare la nostra opinione pubblica e gli Stati sanzionisti su posizion3 nuova e fare delle concessioni di forma. Ma dite al vostro Governo di non attribuire a queste concessioni un significato e valore che esse non hanno».

Ho fatto cenno allora a Vansittart delle voci raccolte da Bova Scappa circa possibili~à che gli accordi venissero registrati alla S.d.N. e resi permanenti.

Vansittart ha risposto che tutto ciò gli era assolutamente nuovo. Gli accordi mutua assistenza sono esauriti e non possono quindi essere nè prolungati nè resi permanenti; e quanto alle dichiarazioni di Eden si tratta, egli mi ha ripetuto, di un gesto unilaterale per il quale Governo britannico non ha neppure consultato i Governi interessati: in nessun modo ha carattere di un accordo.

Ho detto a Vansittart che avrei oggi stesso telefonato a V. E. le sue dichiarazioni, mettendo in luce la distinzione che il Governo britannico fa tra «accordi mutua assistenza» e «dichiarazione unilaterale». Dovevo tuttavia per mio conto osservare che tale distinzione era assai sottile, si prestava ad ogni sorta di equivoci. Tanto è vero che i giornali inglesi continuano a parlare tutti i giorni del mantenimento e finanche del prolungamento degli accordi stessi. Per poter chiarire la situazione e portare nel Mediterraneo la tranquillità e la fiducia bisogna spazzare via completamente ogni e qualsiasi traccia della politica sanzionista e dei pericoli che l'hanno accompagnata.

Vansittart ha replicato che il Governo britannico era già su questa strada colla riduzione delle forze armate nel Mediterraneo, riduzione che sarà operata non solo per quanto riguarda unità navali, ma anche forze aeree e terrestri. Egli mi ha poi particolarmente pregato di assicurare il Duce e V. E. che in nessun modo l'Inghilterra pensa seguire nel Mediterraneo, una politica di accordi contro l'Italia o ad esclusione dell'Italia e che al contrario è nei desideri e nei voti del Governo britannico che si possa procedere rapidamente sulla via del miglioramento dei rapporti itala-inglesi.

Vansittart mi ha ricevuto dopo aver avuto un lungo colloquio con Re Edoardo al Buckingham Palace.

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolini. (2) -Vedi D. 474. (3) -Vedi p. 513, nota 2.
498

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6779/59 R. Belgrado, 11 luglio 1936, ore 15,30 (per. ore 19,50).

Telegramma di V. E. n. 3200 R. {1).

Questo Ministro aggiunto Affari Esteri, a mia richiesta formale, ha dichiarato che Governo jugoslavo colla data 15 corrente si considera sciolto da ogni impegno assistenza Mediterraneo verso Inghilterra in dipendenza articolo 16.

In relazione alle dichiarazioni Eden circa mantenimento accordi assistenza Mediterraneo, Governo jugoslavo ha interpellato Governo inglese per sapere se questo intendesse che obblighi jugoslavi verso Inghilterra dovessero permanere oltre abolizione sanzioni. Governo inglese ha risposto dichiarando che Jugoslavia Turchia e Grecia erano sciolte da ogni impegno nei suoi riguardi simultaneamente abolizione sanzioni, ma che considerava suo dovere mantenere, almeno temporaneamente, garanzia assunta a favore questi Stati.

Martinatz ha dichiarato che decisione inglese è unilaterale e spontanea e viene interpretata da Governo jugoslavo come gesto amichevole e cavalleresco dell'Inghilterra verso minori Potenze mediterranee. Mi riferisco in proposito a mio telegramma per corriere n. 062 dell'8 corrente (1).

(l) Vedi D. 474.

499

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 6772/130 R. Vienna, 11 luglio 1936, ore 20,45 (per. ore 23,35).

Faccio seguito a mio odierno messaggio telefonico al capo di Gabinetto di V. E. (2).

Cancelliere Federale mi ha detto che commenterà questa sera alla radio comunicato ufficiale relativo modus vivendi (3), riferendosi specialmente ai protocolli di Roma. Accennerà pure che, mentre resta in pieno vigore la proibizione da cui è colpito partito nazionalsocialista austriaco, continuerà, d'altra parte, ad essere severamente vietata ogni propaganda diretta ed indi

«Sono lieto di comunicare a V. E. che ho firmato or ora col Ministro di Germania, a ciò autorizzato dal Flihrer e Cancelliere del Relch germanico, un accordo che è destinato a rendere nuovamente normali ed amichevall i rapporti fra l'Austria e la Germania. In questo momento ricordo con gioia i ripetuti colloqui straordinariamente preziosi avuti con V. E. ultimamente alla Rocca delle Caminate. Sono convinto che V. E. consentirà con me nel compiacimento per l'accordo raggiunto che vuole rappresentare un nuovo efficace contributo all'operagenerale della pace. Desidero cogliere questa occasione per assicurare nuovamente l'E. V. della mia sincera amicizia e del mio fermo volere di proseguire anche nell'avvenire in pieno accordo con l'E. V. sulla base degli sperimentati Protocolli di Roma, la collaborazione con l'Italia, che procede sotto la guida forte e coronata di successo, dell'E. V. Schuschnigg ».

«Ringrazio E. V. Suo cortese telegramma. L'accordo che l'E. V. ha firmato col Rappresentante del Flihrer e Cancelliere del Reich deve essere salutato con soddisfazione da quantihanno a cuore la causa della pace. Esso segna un notevole passo innanzi sulla via della ricostruzione europea e dei Paesi danubiani. E' in questo spirito che, come Ella ricorda, la questione fu discussa nel convegno di Rocca delle Caminate e successivamente esaminata sulla base degli accordi italo-austro-magiari. Sono particolarmente lieto di contraccambiare le assicurazioni della perfetta amicizia e della collaborazione dell'Italia col Governo Federale in conformità anche ai Protocolli di Roma l quali continueranno ad essere la base dei rapporti tra l'Italia e l'Austria nella nuova definizione dei spoi rapporti col Reich, avvenimenti che Governo e popolo italiano salutano con simpatia. Mussolini ».

retta per Anschluss. Cancelliere mi ha comunicato inoltre aver concordato con von Papen:

l) che l'uso bandiera ufficiale del Reich sarà provvisoriamente consentito sui pubblici edifici sullo stesso piede delle altre nazioni (in Austria è proibita soltanto esposizione bandiera comunista) ;

2) che la locale colonia tedesca potrà fare eseguire inni nazionali e nazisti solo in locali chiusi.

Cancelliere Federale si è poi diffuso a parlarmi dei motivi che lo hanno principalmente indotto alla conclusione del modus vivendi.

l) Impossibilità poter contare, a causa sua attuale situazione interna e del colore politico del suo Governo, sulla Francia; 2) caotica politica estera britannica ed agitata attività del laburismo; 3) intima persuasione che Dollfuss avrebbe anche egli concluso modus vivendi del genere di quello ormai raggiunto col Reich, subordinandolo, cioè, alle stesse condizioni e cautele; 4) assoluta identità del primo Gabinetto Dollfuss in cui figuravano, assieme ai cattolici ed heimwehristi, anche due esponenti « nazionali », con quello che risulterà formato da questa sera, con la nomina di un ministro nazionale, cioè il generale Glaise. A questo riguardo Cancelliere Federale mi ha detto che predetto generale, che è persona a lui devota, pronuncerà fra breve discorso contenente espressioni amicizia e stima per l'Italia.

Infine Cancelliere Federale mi ha confidenzialmente manifestato suoi << dubbi » sui probabili effettivi risultati modus vivendi. Egli, in fondo, ritiene che, malgrado predetto accordo, propaganda e propositi nazisti circa Austria non verranno meno. Cancelliere Federale ha concluso che, ad ogni modo, egli ha voluto dimostrare di aver fatto di tutto per ottenere una détente «non potendosi assolutamente parlare dell'instaurazione di relazioni di amicizia con l'attuale Germania nazista ».

(l) -Riferimento errato: il T. 062 è in realtà del 27 giugno. Vedi D. 388. (2) -Il ministro Preziosi aveva telefonato per informare che il comunicato circa il modus vivendi austro-tedesco sarebbe stato diramato la sera stessa (appunto di Anfuso dell'll luglio). (3) -In questa occasione, fu reso pubblico il seguente scambio di telegrammi tra Schuschnigg e Mussolini:
500

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS

T. 7638/35 P.R. Roma, 11 luglio 1936, ore 21.

Telespresso V. S. n. 889/581 del 24 giugno u. s. (1).

Prego V. S. preparare e inviare sollecitamente articolo di propaganda con elementi che mettano in particolare rilievo pregiudizio che nuova legge di difesa dello Stato (2) arreca sopratutto alle minoran~e ungheresi nel territorio di codesta Repubblica, provocando giustificate reazioni e quindi stati d'animo nocivi agli interessi della pace.

(l) -Non pubblicato. Vedi nota seguente. (2) -La legge di difesa dello Stato approvata dal Parlamento cecoslovacco era stata oggetto di ripetute segnalazioni da parte della legazione a Praga (telespress! n. 549/366 del 25 aprile, 889/581 del 24 giugno e 909/592 del 10 luglio. mentre la legazione a Budapest aveva dato notizia di un'iniziativa del governo ungherese per promuovere con Varsavia, Berlino e Vienna un'azione comune contro una legge che si affermava essere contraria ai diritti delle minoranze perché sottoponeva ad un regime pa~ticolarmente rigido le regioni di frontiera (Telespr. 6515/665 del 6 giugno da Budapest).
501

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UU. 6769/82 R. Bucarest, 11 luglio 1936, ore 21,45 (per. ore 23,25).

Un autorevole membro del Governo ha tenuto ad informarmi in questo momento che Titulescu è dimissionario e che suo successore sarebbe attuale ministro delle Finanze Antonescu. Nel caso dimissioni di Titulescu diventassero definitive mi sembrerebbe che commenti nostra stampa, come con grande abilità è stato fatto in occasione incidente Ginevra, distinguano fra Titulescu e popolo romeno. Il Governo è stato sensibilissimo a tale frustata e di ciò è prova il fatto che mi tiene costantemente al corrente della situazione.

Il conflitto «apparente» fra Titulescu ed il Governo si impernia sulle proteste che egli ha fatto pervenire da Montreux a nome di Litvinov e di Delbos circa gli atteggiamenti antidemocratici della stampa di destra e per la condanna a gravi pene di un gruppo di comunisti che Titulescu definisce invece come innocui dissidenti mentre Governo respinge questo intervento fatto a nome delle Potenze straniere.

Il conflitto «sostanziale» deriva da tutta la politica seguita da Titulescu negli ultimi tre anni e di cui tutti constatano ormai il completo fallimento. Negli ultimi giorni della conferenza di Montreux è apparso evidente un conflitto d'interessi fra Romania ed Inghilterra, nonostante che Titulescu avesse negli ultimi mesi imperniata la sua politica più ancora su Londra che su Parigi.

Benché qui sia stato celato all'opinione pubblica, l'incidente di Ginevra coi giornalisti italiani tuttavia ha dimostrato al Governo che i nervi non erano normali. Il gesto di Titulescu è stato stigmatizzato dal Governo, come ho già fatto conoscere a V. E.

Da parte mia nulla ho trascurato per far sentire a questo Governo che la nostra collaborazione con la Romania era pregiudicata proprio dalla presenza di Titulescu al dicastero degli Esteri, e l'ho fatto in modo che questo mio giudizio pervenisse al Re, attraverso due uomini politici e per mezzo dello stesso presidente del consiglio.

502

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN (l)

APPUNTO. Roma, 11 luglio 1936.

Ho ricevuto l'Ambasciatore di Francia il quale mi ha fatto presente che il Maresciallo Graziani ha convocato il Ministro Bodard e lo ha trattato molto duramente «di nemico dell'Italia». Anche per quanto concerne la radio, il

Maresciallo Graziani ha assunto un atteggiamento «nervoso e duro» nei confronti del rappresentante francese, affermando che egli si valeva della radio per propagare notizie allarmistiche.

Il signor Chambrun mi ha detto che non intendeva fare una questione di stato per questa azione di Graziani ma che comunque era costretto a richiamare seriamente l'attenzione del Governo fascista sull'atteggiamento del Vicerè.

Ho dato lettura al signor Chambrun della nota da noi inviata all'Incaricato d'Affari del Belgio (1). Non ha attribuito troppa importanza al paragrafo concernente gli accordi tuttora esistenti nel Mediterraneo, ma si è invece soffermato sulla questione da noi sollevata circa la necessità dell'invito anche alla Germania.

Mi ha domandato due cose:

a) se avevamo concordato tale risposta con l'Ambasciatore tedesco;

b) se esisteva un accordo di qualsiasi genere con la Germania.

All'una ed all'altra domanda ho potuto rispondere di no.

Mi ha chiesto infine, qualora alla Conferenza «Pre-Locarno » la Germania venisse invitata e si verificassero tutte le condizioni per la nostra partecipazione, se io sarei disposto ad avere con lui uno scambio di vedute in via del tutto personale prima dell'eventuale riunione. Gli ho detto che per parte mia, in principio, nulla ostava.

Nei riguardi del modus vivendi austro-tedesco di cui egli aveva vaghe notizie, mi sono limitato a dirgli che per parte nostra vedevamo con simpatia la realizzazione di tale accordo, del quale avevamo seguito l'origine e lo sviluppo (2).

(l) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 35-36.

503

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON HASSELL

PROMEMORIA (3). Roma, 11 luglio 1936.

Il Duce ha ricevuto sabato 11 luglio l'Ambasciatore di Germania alla mia presenza. L'Ambasciatore di Germania ha toccato i seguenti argomenti:

l) riconoscimento etiopico. Ha ripetuto che la Germania è pronta a riconoscere l'Impero quando lo vorremo. Il Duce ha detto che il riconoscimento può avvenire in molte forme e che per ora non è necessario un gesto solenne. Basterà al momento opportuno trasformare la Legazione in Consolato e com

piere qualche altro gesto che tenda a cancellare l'Etiopia dall'elenco degli Stati effettivi.

2) Austria. Von Hassell ha dato notizia dell'accordo che sarà firmato in serata. Il Duce ha detto di essere, non solo al corrente, ma di avere anzi suggerito a Schuschnigg, durante il colloquio alle Caminate, tale soluzione del problema austro-tedesco. Si è dichiarato molto compiaciuto che il modus vivendi sia stato raggiunto perché ciò viene a togliere l'unico punto di attrito fra Italia e Germania.

Locarno. Il Duce ha letto a von Hassell il testo della nota da noi diretta all'Incaricato d'Affari del Belgio (l). Von Hassel ha risposto che anche la loro linea di condotta è identica e che comunque, anche se invitati alla conferenza non vi andranno qualora non sia loro fatto conoscere il programma.

Ha parlato del pericolo che rappresenta per la pace d'Europa la stretta collaborazione tra la Cecoslovacchia, la Russia e la Francia. L'azione russa in Cecoslovacchia è talvolta addirittura provocatoria e minacciosa per la Germania. Il Duce ha concordato con von Hassell ed ha anche fatto rilevare come sia difficile raggiungere tra le Potenze di Locarno un accordo effettivo e pratico, tenendo presente l'esistenza del patto franco-russo.

Sono state anche esaminate le questioni relative a Montreux ed a Danzica. Per quanto concerne Montreux von Hassell ha datto presente che l'amicizia russo-turca è seriamente compromessa dall'andamento della conferenza e ha trovato opportuno che noi si continui la politica astensionista. Per Danzica ha detto che intendimento principale della Germania è quello di evitare un serio attrito con la Polonia in questo momento. Il Duce ha fatto presente a von Hassell come lui in ogni momento abbia sempre considerato che la Germania ha ragione nella questione di Danzica. Prova di questo nostro stato d'animo è l'atteggiamento della stampa per il quale l'Ambasciatore di Germania ha ringraziato il Duce.

(l) -Vedi D. 513. (2) -Il presente documento reca !l visto di Mussol!n!. (3) -Il promemoria non è firmato ma probabilmente fu redatto da Ciano.
504

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND (2)

APPUNTO. Roma, 11 luglio 1936.

L'Ambasciatore d'Inghilterra mi ha comunicato in forma ufficiale il ritiro della flotta navale e la diminuzione delle forze aeree inglesi nel Mediterraneo (3). Mi ha espresso la fiducia e l'augurio che questo gesto inglese valga a determinare una forte distensione nei rapporti itala-britannici.

Accordi mediterranei. Su questo argomento mi ha detto che esiste forse un malinteso. Gli accordi mediterranei veri e propri sono decaduti col decadere delle sanzioni. L'Inghilterra invece considera tuttora in forza le dichiarazioni

unilaterali fatte per l'assistenza delle Potenze minori (Grecia, Turchia, Jugoslavia) in caso di aggressione da parte nostra. Tali dichiarazioni di assistenza britannica non comportano alcuna contropartita; perciò, a giudizio di Drummond, non si può parlare di accordi mediterranei. Gli ho fatto allora rilevare come accordi e dichiarazioni ripetevano indubbiamente la loro origine dalla tensione verificatasi nel Mediterraneo in seguito al conflitto italo-etiopico. Ho aggiunto che per chiarire definitivamente l'atmosfera bisognava che anche queste dichiarazioni, le quali per la loro stessa natura gettano sospetti di intenzioni aggressive sull'Italia, venissero eliminate.

Drummond ha obiettato che non riteneva facile che si potesse addivenire a ciò immediatamente poichè, da parte delle piccole Potenze, esisteva uno stato d'animo di viva preoccupazione per un eventuale atto di aggressione o di vendetta italiana. Egli ha detto che qualsiasi dichiarazione nostra che potesse togliere questo timore alla Grecia, alla Turchia e alla Jugoslavia varrebbe certamente a facilitare una distensione e l'Inghilterra potrebbe più facilmente annullare le dichiarazioni esistenti. Gli ho risposto che mi riservavo di considerare il suo suggerimento e che all'istante non potevo dargli alcuna risposta precisa.

Addis Abeba. Anche Drummond si è lamentato per l'atteggiamento e il contegno che Graziani tiene nei confronti dei rappresentanti diplomatici inglesi ed ha protestato per l'invio di alcuni carabinieri nei locali della Legazione e per la soppressione dell'uso della radio. A questo proposito mi ha lasciato due note che ho passato agli uffici per l'esame e l'eventuale risposta.

Locarno. Ho dato lettura a Drummond della nota inviata all'Incaricato

d'Affari del Belgio (1). Per quanto concerne il primo motivo del nostro rifiuto a partecipare e cioè l'esistenza di accordi mediterranei, la questione era già stata discussa precedentemente. Per quanto concerneva invece il mancato invito alla Germania, Drummond ha fatto rilevare che la Germania non può venire considerata alla stregua degli altri Paesi locarnisti, in quanto essa ha mancato ai suoi impegni derivanti da Locarno (2).

(l) Vedi D. 513.

(2) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 37-38.

(3) Vedi p. 556, nota 2.

505

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU (3)

APPUNTO. Roma, 11 luglio 1936.

Il ministro di Romania ha fatto presente: l) che Titulescu ha ricevuto una lettera dai suoi colleghi della Piccola Intesa e dell'Intesa Balcanica diretta a scagionarlo dalla responsabilità del

\lJ Vedi D. 513.

l'incidente ginevrino (l) in quanto -essi affermano -egli non avrebbe indirizzato agli italiani le note parole offensive. Gli ho risposto che tali frasi gli erano state attribuite da tutta la stampa internazionale e particolarmente di Ginevra e che Titulescu non aveva opposto alcuna smentita. Una semplice smentita sarebbe bastata a soffocare l'incidente fino dal suo sorgere. Ma in realtà la smentita non è mai venuta.

2) Mi ha fatto presente la sospensione totale di ordinativi per il petrolio in Romania e mi ha chiesto la ragione di questa nostra decisione. Gli ho detto che essa era strettamente connessa alle necessità italiane di rivedere tutta la politica economica dopo otto mesi di assedio sanzionista; che senza dubbio l'attrito determinato dall'atteggiamento e dalle parole del signor Titulescu non era certo servito a renderei più favorevolmente disposti verso un'attiva ripresa di rapporti commerciali con la Romania stessa. Comunque consigliavo al signor Lugosianu di attendere, di suggerire al suo Governo una politica amichevole nei confronti dell'Italia, essendo questo il solo mezzo atto a facilitare e a determinare una piena ripresa di scambi col nostro Paese.

(2) Il presente documento reca il visto di Mussollni. Il 13 luglio ebbe luogo un altro colloquio tra Ciano e Drummond. In quella occasione Ciano comunicò all'ambasciatore britannico che, seguendo i suoi suggerimenti, i rappresentanti italiani in Turchia, Grecia e Jugoslavia erano stati incaricati di assicurare che la politica italiana verso quei Paesi sarebbe stata condotta in uno spirito di mutua collaborazione e di fiducia. Il verbale di questo colloquio non è stato ritrovato negli archivi italiani, ma si veda B D, serle seconda, vol. XVI, D. 445.

(3) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 36-37.

506

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 11 luglio 1936.

Su istruzioni testé pervenutegli dal suo Governo, questo incaricato d'affari d'Austria è venuto a portare a conoscenza del R. Governo quanto segue:

I Governi austriaco e germanico hanno convenuto di rendere di pubblica ragione, sia a Vienna che a Berlino, nella serata di oggi, 11 luglio, i principi fondamentali sui quali i due Governi si sono trovati d'accordo per addivenire alla normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi.

Tali principii sono i seguenti:

-chiaro ed indubbio riconoscimento dell'indipendenza (Unabhiingigkeit) ed autonomia (Selbstandigkeit) dell'Austria da parte del Reich;

-accettazione da parte del Reich del principio della «non ingerenza » negli affari interni dello Stato austriaco;

-esplicita presa in considerazione da parte del Reich del fatto che i protocolli di Roma 1934 e 1936 (2) costituiscono la base fondamentale ed immutabile della politica estera dell'Austria;

-chiara affermazione che il nazionalsocialismo non entra in considerazione per l'Austria nè come fattore politico (interno), nè come parte contraente (degli accordi austro-germanici).

Il Governo austriaco apprezzerebbe che nulla più fosse dato per ora a conoscere pubblicamente da parte degli uffici competenti italiani (ministero Affari Esteri e ministero Stampa e Propaganda) circa le note trattative in corso tra i Governi di Vienna e di Berlino, per concretare praticamente la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi.

(l) -Vedi p. 59, nota 2 e p. 112, nota l. (2) -Vedi p. 465, nota 2, e il D. 419.
507

L'UFFICIO IV DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 11 luglio 1936.

Estrato del rapporto n. 166 in data 29 maggio u.s. (l) del R. addetto militare in Tokio:

«L'Ufficiale di S. M. mi rivolse alcune domande circa i nostri aviatori militari che trovansi attualmente in Cina e circa gli aeroplani da noi venduti a tale Paese. Notai in tutti un certo rammarico -espresso con molto riguardo -per gli aiuti da noi dati alla Cina. Feci osservare che la Germania, l'America ed altri Paesi hanno fatto e fanno in Cina molto di più di quello che non abbia fatto l'Italia».

508

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 1802/770. Tirana, 11 luglio 1936 (per. il 13).

Telespresso di V. E. n. 222463/296 del 4 corrente (2).

Il R. Console a Valona ha già rettificato le informazioni del suo notiziario del 19 giugno scorso, con un successivo rapporto che ho comunicato a V. E. col mio telespresso n. 1712/730 del 4 corrente (3).

In data 8 corrente, poi, egli mi ha riferito:

<<Sciogliendo la riserva contenuta nel mio telespresso sopra riferito, informo V. E. che nel mio recente viaggio nel sud dell'Albania, ho potuto constatare, dai contatti avuti con persone che vivono sul luogo e di attendibile

serietà, che la situazione è ovunque calma. Vi è dappertutto una certa propaganda contro il regime ma questa non raccoglie molti fautori nè molte adesioni. Vi è anche del malumore diffuso in ogni ceto della popolazione e, specie nella povera, per la miseria in conseguenza del mancato raccolto del suolo, ma difficilmente questi due fattori potranno avere la forza di sollevare quelle popolazioni contro il regime. E oltre tutto il popolo ha paura delle misure che potrebbero venire prese.

Nella zona di Valona i propagandisti ed il Trajazi in specie sono tenuti d'occhio da queste autorità. Non mancherò di segnalare al proposito ogni utile notizia».

Le notizie rassicuranti del R. Console a Valona, che mi vengono, del resto, fino a questo momento, confermate anche dagli altri centri del Paese -se si eccettua il Dibrano, ove gli armati di Dino e di Murat Caloshi hanno avuto, in questi giorni, nuovi scambi di fucilate -se possono far apparire le voci segnalate come una delle solite manifestazioni di speranza del malcontento popolare, sobillato, ora più che mai, dagli agitatori di oltre confine, non debbono far perdere di vista che la situazione interna rimane, in sostanza, immutata nelle linee che ebbi a riassumere all'E. V. nel mio telespresso n. 252/101 del 27 gennaio scorso (l):

-disagio economico gravissimo della popolazione; che in alcuni settori raggiunge i limiti dell'estrema miseria e che, specie nelle attuali eccezionali circostanze, richiederebbe provvidenze illuminate e di vasta portata, che qui non si è in grado nè in capacità di prendere. -Tale disagio è ragione di diffuso, crescente malcontento che si appunta contro il regime di Re Zog, colla caratteristica secolare di questa gente primitiva che, nell'agitazione politica, trova soluzione e sfogo della propria indigenza. Ciò crea nel Paese uno stato permanente di «ricettività », sul quale fanno facile presa, anche a prescindere dalle sobillazioni straniere, le idee comuniste o quelle di un nazionalismo «sui generis » che i giovani albanesi reduci dall'estero, specie dalle Università, recano fra i conterranei, espressione, sopratutto, del loro sordo rancore e del loro spirito di rivolta contro le larghezze di vita e di mezzi riscontrate altrove, contro le ristrettezze e le miserie trovate in patria. -In queste condizioni di cose, è sulla quotidiana previsione di avvenimenti interni od internazionali catastrofici che si appoggiano aspettative e speranze di avvenire.

-Re Zog non si interessa, in dettaglio, delle questioni concernenti l'economia del Paese. Ha detto a me, più di una volta, che di argomenti economici egli si riconosce incompetente. Così, essi restano affidati a ministri di precaria esistenza, di autonomia più che limitata, di cultura e di esperienza anche più limitate, che, per giunta, sono tenuti a sottomettersi alle esigenze di per

41 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

sone ed all'accaparramento di interessi, che sono proprio quelli contro i quali si appuntano le maggiori ire del Paese. Il Re, per mezzo delle pochissime persone cui ha fiducia per la sua sicurezza personale, e che dominano la vita locale, dedica il meglio della sua innegabile abilità e della sua attività alle alchimie delle rivalità, delle vendette, delle avidità personali, per giungere a neutralizzare le velleità avversarie. Opera ristretta di difesa quotidiana, non opera di costruzione. In questo ordine di idee, egli preferisce governare per mezzo dei suoi vecchi strumenti di polizia -di cui è prototipo l'ex-ministro dell'Interno Mussa Juka -e, costretto, dalla necessità di offrire una soddisfazione alla agitazione dei giovani albanesi, dopo la rivolta di Fieri, dell'estate 1935, a chiamare al governo l'attuale Gabinetto « modernista », ne ha già abilmente sabotato la situazione di fronte al Paese, per poterlo prossimamente mandare a casa e tornare all'antico. Lo stesso Sovrano, alternando le sue manovre di difesa, anche nel campo delle relazioni internazionali dell'Albania, attende, con certo fatalismo musulmano, che avvenimenti di determinante portata -egli mi ha più volte detto di ritenere imminente una conflagrazione europea risolvano, eventualmente con profitto, i problemi del Paese e del regime. Cosi stando le cose, pur conoscendo lo stato di progressiva infezione del Paese, pur rendendosi conto che l'amministrazione è incapace ed impotente, che qui si vive un po' alla giornata, per iniziative individuali degli istinti di conservazione del popolo, il Sovrano non ama ascoltare i consigli di nessuno, ed, indubbiamente, neppure quelli che gli pervengono da parte nostra. Egli è, e sarà sempre, nei nostri riguardi, malgrado ogni favorevole orientamente, in istato permanente di diffidenza e di difesa (v. mio rapporto riservato n. 1900/717 del 20 luglio 1935 (1). Ciò, pur rendendosi conto che la sua sorte è, ormai,

legata a quella della nostra situazione di fronte all'Albania.

-Sopratutto, il Re non è ancora sufficientemente convinto che le tendenze «antiitaliane » della gioventù albanese, assai più che una manifestazione di insofferenza di un'egemonia straniera, sono essenzialmente dirette contro di lui, contro le persone che lo circondano, contro il suo regime. Non potendosi gridare «abbasso Zog », si parla male dell'Italia. E questo perchè, agli occhi di una gran parte del Paese, noi abbiamo una colpa -che mi è stata spesso rinfacciata -quella di contribuire potentemente a sorreggere, coi nostri aiuti politici e materiali, per finalità nostre, Sovrano e regime. Questa è la vera ragione per la quale a molti i nostri recenti accordi, pur benefici e presentati in forma inequivoca, sono spiaciuti.

Una simile situazione interna presenta, indubbiamente, elementi di non lieve pericolo. Non ritengo, tuttavia, che, a meno di avvenimenti imprevisti, di carattere grave e determinante, interni ed internazionali, che diano fuoco alla miccia, il malcontento albanese abbia, sul momento, serie possibilità di organizzazione e di azione non prontamente reprimibili. Ma lo stato di pericolo esiste, ed il fuoco può manifestarsi non appena l'occasione se ne presentasse, specie se si presentasse in seguito ad avvenimenti di oltre frontiera (2).

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 446. (3) -In realtà, il console Toffolo confermava che correvano sempre più apertamente voci di un movimento di cui si precisava anche la data d'inizio: il 15 luglio. Restava comunque come dato d! fatto, riferiva !l console, che vi era un'intensa opera di propaganda contro 11 regime e contro l'Italia alla quale non sembravano essere estranei il console jugoslavo e quello greco e l'organizzatore inglese della gendarmeria. Peraltro a Valona la situazione era tranquilla. Il telespresso di Indell! reca !l visto di Mussolini.

(l) Vedi serie ottava, vol. III, D. 125.

(l) -Non pubblicato. (2) -Il presen te documento reca il visto di Mussolini.
509

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. R. P. 16 (1). Vienna, 11 luglio 1936.

Il Governo ungherese è stato informato nei giorni scorsi dell'andamento delle trattative col Reich per mezzo del Vicecancelliere Baar, in occasione della visita di quest'ultimo a Budapest. Kanya si mostrò al corrente delle prime fasi delle trattative, con particolari che non potevano essergli pervenuti se non da fonte germanica.

Evidentemente, la stessa fonte non deve essere arrivata in tempo ad informarlo dell'ultima fase conclusiva, il cui preannunzio come quasi sicuro, fattogli da Baar, il Ministro ungherese degli Esteri ritenne frutto di eccessivo ottimismo, escludendo egli per conto suo ogni possibilità di conclusione prima dell'autunno.

Si mostrò ad ogni modo molto felice di un eventuale accordo. Eguale giudizio fece, con maggiore espansione, Gombos, il quale esclamò che avrebbe salutato il giorno dell'accordo austro-germanico con vivo entusiasmo, pur osservando (ma di questo il mio amico di quì non si mostrava del tutto sicuro e convinto) che l'Ungheria si sarebbe trovata a fianco dell'Austria in ogni evenienza, con o senza il modus vivendi.

Kanya confidò a Baar che da parte jugoslava era stato offerto all'Ungheria negli ultimi giorni un patto d'amicizia con accenni chiari ad un'eventuale vera e propria alleanza offensiva e difensiva, alla condizione però che l'Ungheria facesse causa comune con la Jugoslavia (anche a mano armata) contro l'Austria per il caso di una restaurazione absburgica. Kanya non avrebbe accettato l'offerta e sopratutto avrebbe respinto ogni ingerenza antiaustriaca per l'affare dinastico, che, per non creare un precedente contro la stessa Ungheria, doveva considerare come questione interna d'ogni singolo Stato.

Le conversazioni ungaro-jugoslave non avrebbero avuto seguito (2).

510

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6787/77 R. Budapest, 12 luglio 1936, ore 16,15 (per. ore 20,15).

Conclusione accordo tedesco-austriaco sembra avere alquanto sorpreso Governo ungherese che, nonostante generico preannuncio qui datone giovedì scorso dal Vice Cancelliere austriaco, continuava considerarne con qualche scetticismo

possibilità immediata. Ciò nulla toglie tuttavia sua viva soddisfaztone, per avvenimento di evidente vantaggio sua politica, sia internazionale, sia interna.

Vice ministro Esteri mi ha manifestato impressione accordo sia pienamente favorevole Austria ed arrendevolezza Germania possa attribuirsi al fatto che Hitler, di fronte inattesa sfolgorante vittoria italiana, abbia preferito riconoscere spontaneamente indipendenza austriaca ed assicurarsi così appoggio Italia, anzichè essere costretto riconoscimento, nell'attuale fase riorganizzazione Reichswehr, da un fronte unico antitedesco.

(l) -Si sono ordinati i documenti in base alla data e non in base al numero della raccolta delle lettere di Salata. (2) -Di questa vicenda diede notizia, in termini analoghi, anche Preziosi con T. per corriere 6869/86 R. del 12 luglio, non pubblicato.
511

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6870/087 R. Vienna, 12 luglio 1936 (per. il 15).

Parlando della sua recente visita a Budapest, il Vice Cancelliere Baar ha rilevato che il Cancelliere, in occasione del resoconto da lui fatto circa i colloqui avuti con Goemboes, aveva mostrato uno speciale interesse a conoscere lo stato dei rapporti intercedenti fra Budapest e Varsavia, dichiarandosi assai soddisfatto della loro attuale cordialità. Baar ha aggiunto che il Cancelliere, da qualche tempo in qua, mostra voler egli stesso perseguire una politica di particolare amicizia verso la Polonia, il che andava spiegato col nuovo indirizzo politico generale.

512

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6802/178 R. Ankara, 13 luglio 1936, ore 14,15 (per. ore 17,30).

Ho ieri lungamente intrattenuto personalità turca competente e che stava per vedere Ghazi, dei rapporti itala-turchi e, separatamente, degli accordi mediterranei il cui perdurare era nettamente insostenibile, e sopra tutto in netto contrasto con patto amicizia itala-turco (1). Gli ho esposto tutta ambigua politica di Aras e contrasto con l'attitudine, sotto ogni rapporto onesta e leale, di Ismet Pascià e di Sukru Kaya. Ho concluso per la necessità di un diretto intervento del Ghazi per rettificarla, ispirandola a quei sensi di amicizia verso l'Italia che non avrebbero dovuto mai venir meno.

Il mio interlocutore ha promesso riferire al Ghazi mio colloquio.

(l) Vedi p. 16, nota 2.

513

LA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI ALLE AMBASCIATE A BERLINO, BRUXELLES, LONDRA, MOSCA, PARIGI, VARSAVIA E WASHINGTON

T. PER CORRIERE 3246/c. R. Roma, 13 luglio 1936.

Si ha il pregio di trascrivere il testo della nota con cui questo incaricato d'affari del Belgio ha trasmesso l'invito del presidente del Consiglio dei Ministri del Belgio signor van Zeeland a partecipare alla riunione di Bruxelles delle Potenze firmatarie del Trattato di Locarno (l):

« D'après les instructions de mon Gouvernement, j'ai l'honneur de faire savoir à V. E. qu'une nouvelle réunion des Puissances signataires du Traité de Locarno ayant participé à l'arrangement de Londres du 19 mars -c'està-dire de l'Angleterre, de la Belgique, de la France et de l'Italie -a été envisagée au cours des dernières conversations, la date et le lieu de la réunion locarnienne projetée n'ont pas encore été arrétés, de manière à pouvoir tenir compte des convenances du Gouvernement Royal italien.

Comme Monsieur van Zeeland a été chargé d'envoyer les invitations après s'étre mis en rapport avec les Puissances intéressées, j'ai l'honneur, Monsieur le Ministre, de recourir en son nom à l'obligeant intermédiaire de V. E. en vue de prier le Gouvernement Royal italien de se faire représenter à la réunion projetée et de proposer qu'elle ait lieu à Bruxelles vers le 20 juillet. Le 21 juillet étant féte nationale belge, la date du 23 conviendrait particulièrement pour l'ouverture de cette réunion.

En remerciant d'avance V. E. de la réponse qu'Elle voudra bien donner à l'invitation de Monsieur van Zeeland, je saisi cette occasion, Monsieur le Ivlinistre, de renouveler à V. E. les assurances de la plus haute considération ».

Il R. Ministero ha risposto in data 11 corr. con la Nota di cui di seguito si trascrive il testo:

«Ho l'onore di riferirmi alla Nota dell'8 corr. con la quale la S. V. mi ha trasmesso l'invito del Presidente del Consiglio dei Ministri del Belgio Signor van Zeeland a partecipare alla riunione delle Potenze firmatarie del Trattato di Locarno che hanno preso parte alle riunioni del marzo scorso, cioé a dire il Belgio, la Francia, l'Inghilterra e l'Italia.

Ringrazio la S. V. per la cortese comunicazione e la prego di volersi rendere interprete presso il signor Van Zeeland dei ringraziamenti del Governo italiano.

Nel corso del colloquio che ho avuto con la S. V. al riguardo, e rispondendo ad analoga domanda da me rivoltale, Ella ha avuto a precisare quello che risulta d'altronde dalla nota stessa, e cioè che la prossima riunione sarebbe da considerarsi come una prosecuzione di quelle di Londra e pertanto destinata ad avere carattere preparatorio.

Come ho avuto occasione di indicare nella mia nota del 29 giugno scorso, diretta al Presidente della 16a Assemblea della S.d.N. (1), il Governo fascista è costretto a tener conto dell'anormale situazione in cui è posta tuttora l'Italia. Intendo riferirmi all'esistenza di taluni impegni mediterranei che trovarono la loro prima origine nell'applicazione dell'articolo 16. Il Governo fascista conferma la necessità che tali ostacoli, ancorché provvisori, siano rimossi perché venga ripresa l'opera di cooperazione internazionale che l'Italia sinceramente auspica ed alla quale è pronta a dare un contributo concreto per garantire la pace.

Ho l'onore d'informare inoltre la S. V. che il Governo italiano ritiene che convenga invitare la Germania anche alla fase preparatoria della prossima riunione nell'interesse della sua riuscita, e per cercare di giungere a risultati positivi. Il Governo italiano è infatti persuaso che l'assenza di uno degli Stati firmatari del Trattato di Locarno complicherebbe invece di distendere e di chiarire, la situazione esistente. Ciò che nelle attuali condizioni potrebbe essere di grave pregiudizio.

Voglia gradire, Signor Incaricato d'affari, gli atti della mia alta considerazione ~.

(l) Vedi D. 478.

514

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 3253/182 R. (2). Roma, 13 luglio 1936, ore 17,40.

Fai sapere al Fiihrer che il Duce ha molto apprezzato la realizzazione degli accordi austro-tedeschi e che ritiene ch'essi consentiranno lo svolgimento di una politica parallela dei due regimi e delle due Nazioni.

515

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6844/182 R. Ankara, 13 luglio 1936, ore 20,45 (per. ore 1,30 del 14). Mio telegramma n. 173 (3).

Ho avuto colloquio con questo ministro degli Affari Esteri ad interim. Gli ho domandato se poteva rispondere a quesito postogli fin dal 10 corrente. Mi ha risposto che Tevfik Riistii bey non aveva ancora fatto conoscere parere, che nè Londra, nè Belgrado avevano fornito notizie, solo Atene si era

espressa favorevolmente per cessazione impegni assunti data cessazione sanzioni.

Ho allora svolto tutti gli argomenti che dimostrano impossibilità continuare impegni e loro significato ostile all'Italia e concluso col metterlo al corrente sommarie dichiarazioni fatte da Londra e Atene (telegramma di V. E. 3234 (l) e 3235) (2).

Egli è rimasto sorpreso ed imbarazzato ed ha replicato che Turchia era fedele ad impegni assunti, che questi legavano reciprocamente tutti, che nessuno poteva disimpegnarsi senza consenso di tutti i partecipanti, che, perciò, noi dovevamo tenere anzitutto conto della onestà della Turchia e dell'onore che faceva alla sua firma, anche se essa ora si trovava in situazione penosa perché partecipanti ad un impegno comune se ne sottraevano senza consultarla.

Gli ho replicato che Turchia era anche firmataria del patto di amicizia italo-turco (3) e noi avevamo impressione che esso non fosse stato sempre ricordato in tutta la recente crisi. Non si dolesse se questo ritardo nella risposta turca (ed ho ricordato dichiarazioni di Aras del 29 maggio, mio telegramma

n. 126) (4) se era frutto di onestà turca finiva però con l'aggravare ed aggiungersi a tutte le impressioni sgradevoli che V. E. aveva avuto dal dicembre scorso. Ho concluso che tutti stavano mollando Turchia, che finiva pagare pei più furbi e più pronti. Ciò gli dicevo nell'interesse relazioni itala-turche.

Ministro degli Esteri ad interim ha concluso affermando solleciterebbe risposta Londra e Belgrado sentirebbe stasera stesso Mustafa Kemal e sperava darmi definitiva risposta turca.

Dopo di me è stato ricevuto ambasciatore di Inghilterra.

(l) -Vedi D. 404. (2) -Minuta autografa. (3) -Vedi p. 535, nota 4.
516

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6827/168 R San Sebastiano, 13 luglio 1936, ore 22,50 (per. ore 6 del 14).

In seguito ad uccisione da parte, sembra, di elementi di destra, di rossi indicati come organizzatori milizie specialiste, stanotte per rappresaglia elementi comunisti accompagnati da ufficiale e da alcune guardie d'assalto, dopo aver tratto in arresto, a mezzo di falso mandato di cattura, deputato monarchico capo di Renovacion Espafwla Calvo Sotelo, lo hanno assassinato in automobile, abbandonando poi in campagna suo cadavere, rinvenuto stamane orribilmente massacrato.

Fatto, di cui censura non consente ancora divulgazione, ma cui notizia sta rapidamente circolando, ha causato vivissima impressione e si rileva grande

effervescenza in tutti gli ambienti. Truppe sono rigorosamente consegnate. A Madrid, pur non essendo stato finora turbato ordine pubblico, situazione considerasi torbida dati anche scioperi in corso. Esequi avranno luogo colà domani mattina.

Circola diffusamente voce, per ora incontrollata, circa ripercussioni politiche cui potrà dar luogo luttuoso evento. Ne segnalo principali: l) reazione ambienti militari con conseguente pronunciamentos; a tale proposito vi è chi afferma che lo stesso presidente della Repubblica d'accordo con alcuni generali e appoggiato da elemento sottufficiali, preconizzerebbe tale movimento; 2) rimpasto ministeriale con sostituzione ministro dell'Interno o addirittura formazione nuovo Governo, con pieni poteri e chiusura Cortes. Questa ultima soluzione è del resto da tempo auspicata in vari ambienti, come ho già avuto occasione riferire.

(l) -T. 3234/C.R. dell'll luglio, ore 23, ritrasmeteva il D. 475. (2) -T. 3235/C.R. del 12 luglio ore l, ritrasmetteva il D. 497. (3) -Vedi p. 16, nota 2. (4) -Non pubblicato, ma vedi D. 136.
517

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6889/067 R. Belgrado, 13 luglio 1936 (per. il 15).

Ho intrattenuto oggi Stojadniovic sulla questione del mantenimento delle

garanzie di assistenza ai minori Stati Mediterranei da parte della Gran Bre

tagna. Il presidente del consiglio mi ha confermato che per la Jugoslavia non

era mai stato dubbio che gli accordi dello scorso dicembre dovevano consi

derarsi decaduti simultaneamente all'abolizione delle sanzioni. Si è richiamato

all'avviso già espressomi in proposito ancor prima delle dichiarazioni di Eden

a Ginevra (v. mio telegramma per corriere n. 062 del 27 giugno) (l): quegli

accordi, dunque, non esistevano più: rimaneva oggi una assicurazione data

unilateralmente e spontaneamente dalla Gran Bretagna attraverso le dichia

razioni del suo ministro degli Esteri, assicurazione che la Jugoslavia non aveva

certo -per quanto la riguarda -sollecitato. Mi ha precisato in qual forma

tale assicurazione è stata data: questo ministro di Gran Bretagna gli ha

rimesso una comunicazione scritta riproducente la dichiarazione di Eden ai

Comuni (2) che, cioè, «durante il periodo transizionale post-sanzionistico l'In

ghilterra avrebbe continuato la garanzia di assistenza a Jugoslavia, Turchia

e Grecia contro un ipotetico attacco italiano in dipendenza delle sanzioni ».

Tale garanzia sarebbe durata sino a tanto che l'Inghilterra avesse deciso di

revocarla. Nessuna contropartita era stata richiesta dall'Inghilterra nemmeno

era stata richiesta una risposta.

Ho osservato a Stojadinovic che questo «gesto generoso e disinteressato»

difficilmente si poteva giustificare coll'ipotesi di un attacco da parte dell'Italia

in dipendenza delle sanzioni, dal momento che le sanzioni erano abolite. Vo

levasi supporre che noi avessimo l'intenzione di vendicarci del passato? Tuttociò era da escludere e Stojadinovic ne conviene con convinzione: anzi, mi fa presente che ha già dato istruzioni al dipartimento economico degli Esteri di informarsi circa regime scambi che sarà adottato da Italia verso Jugoslavia a questo regime in amichevole corrispondenza.

Gli faccio notare in proposito che mentre per tutti gli altri Stati non rimarrà più nulla delle misure coercitive prese contro l'Italia, Inghilterra, Jugoslavia, Turchia e Grecia, saranno i soli Paesi a far sopravvivere lo spirito dell'art. 16 nei riguardi dell'Italia e gli esprimo -a titolo personale -il dubbio che ciò imponga all'Italia un criterio di discriminazione verso i Paesi stessi per quanto concerne una sollecita ripresa dei rapporti economici. È innegabile che il gesto inglese fa permanere uno stato di tensione e di equivoco tale da ritardare la normalizzazione dei rapporti in Mediterraneo e particolarmente coi nostri vicini jugoslavi. Nè varrebbe obbiettare che gli accordi del dicembre sono decaduti e che ora si tratta solamente di una assicurazione unilaterale data dall'Inghilterra e -in certo modo -subita dai tre Stati mediterranei. Anche i regali e i benefici -osservo al mio interlocutore -si possono rifiutare, tanto più se non servono a nulla o, peggio, creano degli imbarazzi.

Dichiaro al presidente del consiglio che non ho difficoltà a credere che la Jugoslavia non abbia sollecitato le assicurazioni inglesi; ma mi permetto di esprimergli il dubbio che altrettanto non possa dirsi nei riguardi della Turchia della quale sono note anche a lui le costanti diffidenze e timori circa le intenzioni italiane. (Ciò dicendo ho ben presente che i timori jugoslavi vanno di pari passo con quelli turchi, e che Turchia e Jugoslavia si sono tenute a stretto contatto di gomito in tutta la vicenda mediterranea determinata dal conflitto itala-etiopico). Il gesto inglese -aggiungo -è in se stesso così destituito di fondamento giuridico e di oggetto pratico che, a spiegarlo, sono state affacciate nella stampa internazionale varie ipotesi; tra l'altro, il desiderio inglese di avere con sè la Turchia nella opposizione della tesi britannica e sovietica sul regime degli Stretti; o il proposito di tenere in vita -sotto una nuova forma ·-gli accordi mediterranei del dicembre come nucleo e punto di partenza per un patto mediterraneo generale. Nel primo caso non vedevo un reale e diretto interesse della Jugoslavia a prestarsi al giuoco; nel secondo, dovevo ripetergli quanto gli avevo detto in altra occasione e cioè che l'Italia non avrebbe mai aderito a un patto costruito sulla base di accordi precostituiti in dipendenza della «condanna» di Ginevra, e contro di essa. D'altronde tutta la recente politica italiana deve aver dato a tutti la precisa sensazione che la collaborazione dell'Italia ai problemi della pace non potrà essere determinata da qualsiasi forma di pressione e che -in Mediterraneo come altrove -l'Italia non uscirà dalla sua necessaria riserva per accettare alcuna situazione precostituita.

Stojadinovic crede di poter escludere le ipotesi accennate come movente del gesto britannico. Secondo lui, l'Inghilterra ha stimato suo dovere morale, come grande Potenza, di non abbandonare d'un tratto gli Stati minori dai quali essa aveva sollecitato l'osservanza degli obblighi derivanti dal Covenant e che si erano per tal modo « esposti » ad un rischio; si tratta di una ragione

di princ1p10 alla quale si aggiunge, probabilmente, una preoccupazione di po

litica interna e parlamentare che la consiglia di procedere per gradi nella

smobilitazione della politica societaria. Ma Stojadnovic riconosce che l'ipotesi

che dovrebbe far giuocare la garanzia inglese è da escludersi e che perciò il

gesto della Gran Bretagna non ha che un valore platonico. Tanto più -re

plico io -esso deve essere revocato se non ha alcuna portata pratica ed as

sumere soltanto un significato, per quanto teorico, di coalizione anti-italiana . allontanando la possibilità di una rapida normalizzazione.

Il presidente del consiglio dice che non vede come gli sarebbe possibile

di respingere le garanzie inglesi, il che, d'altronde, non potrebbe essere fatto

se non d'accordo con Turchia e Grecia. (Ma certamente non si pensa di farlo).

Mi si assicura che la Jugoslavia sarebbe indifferente davanti al ritiro, da parte

dell'Inghilterra, delle assicurazioni date spontaneamente e senza previa con

sultazione.

(l) -Vedi D. 388. Inoltre, p. 508, nota 2. (2) -Del 18 giugno precedente. Vedi p. 364, nota l.
518

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 2502/1308. Vienna, 13 luglio 1936 (1}.

Il Cancelliere, nel prospettarmi avant'ieri le ripercussioni che potrà ave

re sulla situazione interna il raggiunto accordo austro-tedesco, insistette sul

punto che questo sarebbe senza dubbio riuscito assai ostico alle ali estre

miste del nazionalsocialismo austriaco e tedesco. Aggiunse che con ogni pro

babilità a tale preoccupazione dovevasi la circostanza che il governo del Reich

aveva designato proprio il Goebbels per annunziare e commentare alla radio

di Berlino il noto modus vivendi.

Questo accenno del Cancelliere, per quanto riguarda l'Austria, trova con

ferma in informazioni testè pervenutemi, e giusta le quali la parte più avanzata

dei nazisti austriaci, «sentendosi tradita» dal raggiunto accordo fra Vienna e

Berlino, mostrerebbe velleità di viva reazione.

Sono informato del pari che il «Fronte dei nazionalsocialisti rivoluzionari

dell'Austria», costituitosi circa un mese fa, avrebbe fatto atto d'adesione al

noto «Fronte Nero», formato dai nazisti tedeschi dissidenti e diretto da Otto

Strasser, attualmente emigrato in Cecoslovacchia.

Sempre giusta la predetta informazione la polizia viennese sarebbe venuta

di recente in possesso d'una lista di aderenti al «Fronte Nero» dello Strasser,

e dimoranti in Germania. Si tratterebbe di 20.000 nomi.

Alla reazione degli estremisti nazisti austriaci fa poi riscontro quella, non

meno viva, degli ebrei locali e dei fuorusciti tedeschi, riparati in Austria.

(l) Manca l'indicazione della data d'arrivo.

519

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6818-6821/1028-1029 R. Londra, 14 luguo 1936, ore 0,21 (pm. ere 6J.

Conclusione accordo austro-tedesco è stata accolta in Inghilterra con favore, come un passo avanti poichè è possibilità di un generale miglioramento nei rapporti tra le grandi Potenze.

È opinione generale che accordo si deve al consiglio ed all'azione del Duce e che esso rappresenta una nuova vittoria diplomatica per l'Italia, che è riuscita non solo ad ottenere da Hitler quello che Hitler si era costantemente rifiutato di dare, e cioè una garanzia positiva dell'indipendenza austriaca, ma è riuscita a realizzare il riavvicinamento italo-tedesco senza nulla sacrificare dei Protocolli di Roma (l) e della sua politica danubiana.

Con l'accordo austro-tedesco la posizione dell'Italia -si aggiunge -è in Europa potentemente rafforzata. Non solo il Duce è riuscito ad eliminare pericolo immediato di un attacco tedesco all'Austria, che avrebbe potuto precipitare una nuova crisi europea, ma egli ha sottratto la difesa dell'indipendenza austriaca alla necessità di un accordo con la Francia, dando alla politica italiana una libertà di iniziativa e di movimento quale in questo momento nessun altro Paese d'Europa possiede.

Dal mio fonogramma 254 (2) V. E. potrà rilevare come alcuni giornali esprimono convinzione che l'accordo austro-tedesco segni inizio di una intima collaborazione italo-tedesca che dovrebbe portare alla creazione di un blocco politico dell'Europa Centrale e rinnoverebbe sotto altra forma la Triplice Alleanza.

Ho potuto rilevare infine che questa preoccupazione esiste anche al Foreign Office il quale si domanda quali impegni abbia dovuto assumere l'Italia per ottenere da Hitler concessioni così precise e cosi gravi e se accordo austro-tedesco non segni inizio di una politica comune italo-tedesca in Europa.

Questo ministro d'Austria si è recato vedere Vansittart e l'ha informato dell'accordo raggiunto. Vansittart ha detto che il Governo britannico accoglieva con piacere accordo, nella certezza che con esso spariva un pericolo immediato per la pace Europa. Gli ha chiesto tuttavia significato affermazione che l'Austria è Paese germanico, sembrandogli che tale affermazione si prestasse ad una interpretazione ambigua.

Ministro d'Austria ha fatto su questo punto una dichiarazione ai giornali che trasmetto con telegramma a parte, e in base istruzioni ricevute da Vienna ha fatto pubblicare nel Times illustrazione dell'accordo austro-tedesco che ho riassunto nel mio telegramma n. 5726 (3).

(l) -Vedi p. 59, nota 2 e p. 112, nota l. (2) -Non pubblicato. (3) -Riferimento errato: si tratta in realtà del T. 2936/1026 R.S. del 13 luglio, non pubblicato.
520

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, GALLI, A LONDRA, GRANDI, A PARIGI, CERRUTI E A WASHINGTON, ROSSO, E AI MINISTRI AD ATENE, BOSCARELLI, E A BELGRADO, VIOLA

T. 3263/C. R. Roma, 14 luglio 1936, ore 2.

(Solo per Parigi Washington e Londra) Ho telegrafato RR. Rappresentanze Ankara Atene Belgrado quanto segue:

(Per tutti) Come V. S. avrà rilevato da mio telegramma n. 3235 (l) anche Governo britannico considera decadute intese mediterranee di assistenza, ma mantiene ferma la dichiarazione unilaterale di assistenza a vantaggio di codesto Governo, se pure a carattere provvisorio per l'attuale periodo che esso chiama di incertezza.

La sottile distinzione britannica, se da una parte attenua il valore dell'assistenza, dall'altra ne mette in luce un aspetto che la fa apparire ancora meno giustificata; in quanto essa viene motivata da persistenti preoccupazioni che avrebbe codesto governo circa una presunta rappresaglia armata dell'Italia contro i minori Stati sanzionisti. Pensare che l'Italia possa passare a rappresaglie contro Turchia Grecia Jugoslavia, ora che sanzioni sono state tolte, è ipotesi ancor più arbitraria di quella che era stata sinora posta a base delle intese di assistenza; ed è del tutto ingiustificata.

Non è ben chiaro quindi quello che l'Inghilterra si sia effettivamente proposta con la sua dichiarazione unilaterale, tanto più se essa è stata fatta come affermato -senza previa consultazione con codesto Governo, e per semplice atto di solidarietà per l'eventualità di una minaccia che non esiste.

Da parte nostra sono già stati ripetutamente e ufficialmente affermati i propositi più espliciti di considerare come definitivamente tramontato il periodo sanzionista e di costruire l'avvenire con spirito di fiducia e mutua collaborazione da tutti i popoli.

In ogni modo, Ella potrà dichiarare nel modo più esplicito a codesto governo che questi sono i sentimenti da cui il R. Governo è animato verso i tre Stati mediterranei. Con la Turchia e la Grecia esistono due patti di amicizia (2) a cui non siamo mai venuti meno ed a cui intendiamo attenerci. Con la Jugoslavia, come del resto con la Grecia e la Turchia, l'Italia intende mantenere e sviluppare rapporti di buon vicinato.

V. S. vorrà naturalmente fare tali dichiarazioni nei riguardi soltanto di codesto Governo, ma vorrà accennare che analoghe dichiarazioni vengano fatte presso gli altri due Governi interessati.

Telegrafato Ankara Atene Belgrado (3).

(l) -Vedi p. 575, nota 2. (2) -Trattato di neutralità tra Italia e Turchia. vedi p. 16, nota 2 e trattato di amicizia. di conciliazione e di regolamento giudiziario fra Italia e Grecia del 23 settembre 1928, vedi Trattati e Convenzioni, vol. XXXVIII, pp. 480-488. (3) -Per le risposte vedi DD. 432, 547 e 550. Si veda inoltre il D. 544.
521

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6846/183 R. Istanbul, 14 luglio 1936, ore 14,30 (per. ore 17,30).

Mio telegramma n. 178 (1).

Da fonte confidenzialissima apprendo Saracoglu è rimasto colpito dalla mia comunicazione e che dichiarazione fattaci dall'Inghilterra senza accordarsi con Turchia (2) è considerata vero e proprio tradimento. Si tocca finalmente con mano partigiana politica fatta nostro riguardo e si teme che risentimento italiano, aggiungendosi al sovietico per condotta turca favorevole in un primo tempo a Montreux a postulati inglesi (con la speranza sostegno britannico contro l'Italia) possa pesare sulla futura politica turca.

Qui si riteneva accordi dicembre scorso fossero durati anche oltre occasione circostanza che li aveva determinati e si considerava sussistesse con Inghilterra un durevole impegno su cui contare fino a che fosse sostituito da un Patto mediterraneo. Concitazione enorme disillusione e preoccupazione non indifferenti.

Risposta Atene era prevista, poichè Governo greco aveva fatto già conoscere che non riteneva più valido impegno, mi assicura che saranno probabilmente fatte rimostranze Atene per averla data senza preventivo consenso Turchia.

Da fonte medesima ho appreso pure dichiarazioni Eden Ginevra (3) furono testualmente trascritte in un memorandum consegnato pochi giorni dopo da ambasciata Inghilterra a Governo turco che aveva segnato ricevuta per iscritto. Ciò aveva confermato più che mai Governo turco nella sua convinzione di legame continuativo con Inghilterra. Uguale comunicazione sarebbe stata fatta Belgrado e Atene.

522

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6852/292 R. Berlino, 14 luglio 1936, ore 20,52 (per. ore 23).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 182 del 13 corr. (4).

Ho comunicato immediatamente l'apprezzamento del Duce per il Fuehrer. L'ho fatto a mezzo di Dieckhoff, l'unico che in questo momento si trovi a Berlino. L'apprezzamento del Duce giungerà tanto più gradito in quanto la realizzazione degli accordi austro-tedeschi è stata veramente voluta dal Fuehrer, all'infuori di ogni ingerenza del Partito, al quale l'avvenimento, ha causato sorpresa e disinganno, in parecchi casi assai amari. Sintomatica, la comunicazione a suo

tempo fatta dell'avvenimento, alla radio da Goebbels (Hess, originalmente designato per essa dal Fuehrer risultò « irreperibile ») in termini rassomiglianti assai da vicino ad una comunicazione «per debito d'ufficio».

Francamente favorevole alla cosa, ed alle sue ripercussioni nei riguardi italiani, è invece questo ministero degli Affari Esteri.

(l) -Vedi D. 512. (2) -Vedi D. 504. (3) -Vedi p. 513, nota 2. (4) -Vedi D. 514.
523

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6851/132 R. Bruxelles, 14 luglio 1936, ore 21 (per. ore 23,40).

La nostra risposta all'invito di questo primo ministro per la «conferenza locarniana » (l) ha naturalmente prodotto qui un disappunto, reso più vivo dalla coincidenza dell'accordo austro-tedesco, dal quale la posizione della Germania esce rafforzata e quindi ancora più temibile sul fronte renano. È da prevedere, tuttavia, che il Belgio farà buon viso a qualsiasi eventuale proposta conciliativa

o dilatoria da parte britannica e lavorerà per convincere la Francia ad aderirvi.

524

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6890/070 R. Bled, 14 luglio 1936 (per. il 17).

Ho chiesto a Stojadinovic le sue impressioni sull'accordo austro-tedesco: egli con aria maliziosa ha ritorto a me la domanda osservando «che io avrei dovuto essere meglio informato di lui ». Tuttavia il presidente del consiglio è stato pronto a dichiararmi che l'impressione prodotta dall'accordo sul Governo jugoslavo è buona e che chiunque deve ravvisarvi un. elemento di primissima importanza per il mantenimento della pace in Europa centrale e per la ricostruzione danubiana.

Chiestogli se considerava che il riavvicinamento austro-tedesco valesse a tranquillizzare la Piccola Intesa e specie la Jugoslavia per quanto si riferiva alla restaurazione, ha rilevato che l'accordo non esclude necessariamente la possibilità di restaurazione. Viceversa egli vede nell'accordo una forma di Anschluss virtuale.

Devo desumerne che malgrado si faccia qui buon viso a cattivo gioco l'intesa austro-tedesca (anche perchè non vi si credeva e perchè è riuscita alquanto inaspettata) non può riuscire di completo gradimento. Nei riguardi della restaurazione, si pensa che essa sia per ora allontanata, e si respira, giacchè il pensiero

dell'eventuale mobilitazione era piuttosto preoccupante in questo momento, tanto più che il peso ne sarebbe ricaduto principalmente sulla Jugoslavia la quale ha conservato sempre in tale questione l'atteggiamento più deciso e minaccioso ma non ha mai avuto, checché si dica, la completa sicurezza circa il concorso pratico dei suoi alleati della Piccola Intesa. Si ammette che il pericolo sia allontanato ma non del tutto rimosso.

Per ciò che concerne l'Anschluss, sia che l'accordo austro-tedesco lo renda impossibile, sia che, come si pensa, ne faciliti l'attuazione «per assimilazione progressiva», la Jugoslavia vede comunque dileguarsi le possibilità, su cui contava, di conseguire i noti vantaggi territoriali.

La stampa, in generale, commenta favorevolmente l'accordo pur insinuando che esso rappresenta la sostituzione di Berlino a Roma nelle cose di Vienna e preconizzando la formazione di un fronte: Berlino, Varsavia, Vienna, Budapest, Roma.

(l) Vedi D. 513.

525

IL CAPO DELL'UFFICIO III DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, GUARNASCHELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 14 luglio 1936.

Nel mese di ottobre u.s., dopo la constatazione ginevrina che l'Italia aveva «violato» l'art. 12 del Patto (ricorso illegale alla guerra) e la conseguente applicazione dell'art. 16 del Patto, il Governo britannico si rivolse a quello francese per conoscere se questo, come il Governo britannico, interpretasse il paragrafo 3 dell'art. 16 del Patto come comportante l'obbligo di provvedere per

un'assistenza concreta per resistere a speciali misure di carattere militare che dallo Stato in rottura di patto fossero intraprese verso gli Stati applicanti le sanzioni.

La risposta verbale data il 14 ottobre dal Governo francese non fu ritenuta esauriente dal Governo britannico, che richiese ulteriori delucidazioni, fornite dal Governo francese con una lunga Nota in data 18 ottobre, il cui testo completo non è noto, e che rappresentò l'intesa fra i due Governi, perfezionata poi a Parigi con accordi di carattere militare.

Tale intesa conteneva --a quanto si sa -i seguenti due punti fondamentali secondo risulta dal discorso Laval alla Camera francese del 28 dicembre u.s.:

a) l'impegno del Governo inglese a non ricorrere a sanzioni militari, misure di blocco, chiusura del Canale di Suez o qualunque altro atto che avrebbe potuto costituire causa immediata di ostilità;

b) l'impegno del Governo francese di prestare assistenza all'Inghilterra per mare, per aria e per terra, nel caso in cui quest'ultima venisse attaccata dall'Italia per le misure decise di comune accordo dalla S.d.N. in base all'art. 16 del Patto.

Il Governo francese non richiese al Governo britannico un'assicurazione reciproca di assistenza, nel caso di attacco da parte dell'Italia nelle stesse contingenze.

Il Governo britannico, oltre che al Governo francese, richiese anche ai Governi turco, greco e jugoslavo assicurazioni analoghe di assistenza, attenendone risposte affermative, e cioè che i detti Governi avrebbero tenuto piena fede agli impegni di mutuo appoggio risultanti dal paragrafo 3, art. 16 del Patto.

I tre Governi anzidetti richiesero però a loro volta al Governo britannico assicurazioni reciproche, che vennero loro fornite.

In data 22 gennaio 1936 il Governo britannico inviava al Presidente del Comitato di Coordinamento un Memorandum, nel quale si comunicavano gli scambi di vedute intercorsi al riguardo fra lo stesso Governo britannico ed i Governi francese, turco, greco e jugoslavo (allegato n. l) (1).

Lettere analoghe venivano inviate alla stessa data al Presidente del Comitato di Coordinamento dalle Delegazioni francese, turca, greca e jugoslava.

In data 24 gennaio, con Nota identica diretta ai Governi di tutti gli Stati sanzionisti, il Governo Italiano elevava riserve e proteste circa gli accordi risultanti dalla corrispondenza inviata al Presidente del Comitato di Coordinamento.

I Governi francese e britannico rispondevano a tale Nota riconfermando puramente e semplicemente il proprio punto di vista (allegato n. 2). Il Governo Italiano replicava constatando che nessun nuovo argomento era stato addotto per rispondere alle osservazioni italiane, e riconfermando le proprie proteste e riserve (allegato n. 3).

È opportuno rilevare che, mentre le sanzioni economiche e finanziarie furono adottate dai singoli Stati sulla base dei suggerimenti avanzati dal Comitato di Coordinamento, i suddetti accordi di mutua assistenza hanno la loro origine da una iniziativa assunta dal Governo britannico fuori di Ginevra, alla quale gli altri Governi interpellati aderirono; ed essi vennero comunicati, con le su accennate lettere 22 gennaio 1936, dai singoli Stati al Presidente del Comitato di Coordinamento, il quale si limitò a far circolare le suddette lettere fra i membri del Comitato stesso.

Sia nella discussione alla Camera dei Comuni che precedette l'ultima Assemblea della S.d.N., sia nella seduta del lo corrente della detta Assemblea, il Ministro britannico degli Affari Esteri dichiarò -ricordando il Memorandum britannico diretto il 22 gennaio 1936 al Presidente del Comitato di Coordinamento -che «se si fosse deciso di porre fine alle sanzioni esistenti, il Governo britannico considerava che le assicurazioni di assistenza da esso date ai Governi turco, greco, jugoslavo non dovevano prendere fine con la cessazione delle sanzioni, ma dovevano continuare a coprire il periodo temporaneo di incertezza che potesse seguirne ». Aggiunse il Sig. Eden che «il Governo di S. M. Britannica dichiara in conseguenza che è pronto a conformarsi a tali assicurazioni nel caso in cui si trovasse in presenza di una situazione che avesse comportato la loro applicazione se le misure prese in virtù dell'art. 16

fossero ancora in vigore». Per spiegare i motivi di tale dichiarazione il Sig. Eden precisava che essa « ha lo scopo di mettere fine a talune preoccupazioni che possono affacciarsi durante l'attuale periodo di transizione, e che essa non è operante che per il tempo per il quale, secondo il parere del Governo britannico, essa resterà appropriata alle circostanze esistenti».

Il R. Ambasciatore a Parigi, avendo interpellato il 7 luglio in proposito il Signor Léger per sapere quale fosse la posizione francese, il Signor Léger fece a Cerruti la seguente dichiarazione:

«La risposta categorica e formale della Francia è che gli accordi di assistenza mediterranea, conclusi con l'Inghilterra, hanno cessato di esistere dal momento in cui è stato nostro interesse di non applicare più all'Italia l'art. 16 del Patto».

Il contenuto di tale dichiarazione veniva poi confermato da un comunicato

Havas.

La Regia Ambasciata a Londra, su istruzioni del R. Ministero, e riferendosi alla dichiarazione francese, chiese al Governo inglese il suo pensiero sulla questione.

Vansittart chiarì la posizione del Governo di Londra nel modo seguente: il Governo britannico considera che gli accordi di mutua assistenza sono decaduti e non esistono più; quindi sono false le notizie di un loro prolungamento

o di una loro trasformazione in accordi a carattere permanente. È invece in forza una dichiarazione unilaterale britannica, fatta ad iniziativa del Governo inglese senza consultazione con gli altri Governi interessati, e di carattere provvisorio. Secondo tale dichiarazione che ha lo scopo di calmare le apprensioni degli Stati minori mediterranei, il Governo britannico ha pubblicamente affermato che l'Inghilterra avrebbe soccorso tali Governi nell'eventualità puramente ipotetica -che l'Italia avesse ad attaccarli per rappresaglia in relazione all'applicazione delle sanzioni da parte loro.

Il Governo italiano portò anche la dichiarazione francese a conoscenza dei Governi turco, greco e jugoslavo, chiedendo quale fosse il loro punto di vista.

La risposta greca è contenuta nella seguente dichiarazione fatta al R. Incaricato d'Affari ad Atene:

« Le assicurazioni da noi date all'Inghilterra che ci saremmo conformati alle obbligazioni derivanti dal paragrafo 3 articolo 16 del Patto divengono automaticamente senza oggetto dopo la levata delle sanzioni, dato che non può più farsi luogo all'applicazione di tale articolo ».

La risposta jugoslava è nel senso che il Governo di Belgrado, con la data del 15 corr., si considera assolto da ogni impegno di assistenza mediterranea verso l'Inghilterra in dipendenza dell'art. 16 del Patto. Il Governo jugoslavo si è assicurato che anche il Governo inglese è dell'opinione che la Jugoslavia, la Turchia e la Grecia erano sciolte da ogni impegno nei suoi riguardi simultaneamente all'abolizione delle sanzioni. La dichiarazione unilaterale e spontanea britannica, attualmente in forza, viene interpretata dal Governo jugoslavo come un gesto amichevole e cavalleresco dell'Inghilterra verso le minori Potenze mediterranee.

42 -LJo<·umenti diplomatici -Aerie VIII -Vol. IV

La risposta turca non è stata ancora data. Una nota del Populaire riprodotta da una Havas del 13 corr. dà le seguenti precisazioni circa la posizione del Governo francese in argomento:

«La stampa tedesca ed una parte della stampa inglese fanno molto chiasso alla pretesa decisione del Governo francese relativa agli accordi mediterranei del dicembre 1935. Si sa che questi accordi, conclusi fra l'Inghilterra e gli Stati che posseggono porti nel Mediterraneo, prevedono la possibilità per la flotta britannica di utilizzare questi porti nel caso in cui la Home Fleet fosse stata attaccata dagli italiani in seguito all'applicazione delle sanzioni decise dalla

S.d.N. Crediamo potere affermare che la notizia della decisione del nostro Governo è priva di ogni fondamento. Il Governo francese non ha preso nessuna decisione riguardo agli accordi di dicembre. Si indovina facilmente lo scopo di questa campagna».

Riassumendo quanto precede si possono fissare i seguenti punti: l) sono esistite due serie di accordi: accordi fra Inghilterra e Francia, e cioè impegni di assistenza unilaterale della Francia verso l'Inghilterra; accordi fra Inghilterra, Jugoslavia, Grecia e Turchia, dove l'impegno di assistenza è invece bilaterale; 2) tutti tali impegni sono stati basati sull'art. 16 e in relazione alla sua applicazione. Pertanto col cadere dell'applicazione di tale articolo sono o dovrebbero ritenersi automaticamente caduti tanto gli accordi presi dalla Francia, quanto quelli reciproci tra l'Inghilterra e gli altri tre Stati. Questo è il punto di vista del Governo britannico. Si vedano le dichiarazioni Vansittart citate di sopra etc.; 3) l'Inghilterra agli impegni contratti in periodo sanzionista ha sostituito verso la Jugoslavia, la Grecia e la Turchia una dichiarazione unilaterale e

provvisoria non più fondata sul Patto; ma «giustificata» coll'esistenza di uno stato di incertezza successivo alla cessazione dell'applicazione delle sanzioni; 4) mentre per le sanzioni si è venuti alla loro abolizione con decisioni

dei singoli Stati, preceduti però da un voto dell'Assemblea e del Comitato di Coordinamento, la dichiarazione unilaterale inglese dovrebbe venire a cessare con un'altra dichiarazione inglese parimenti unilaterale.

È ragionevole supporre (e del resto se ne trova un'indicazione anche nel discorso di Eden citato di sopra) che la dichiarazione unilaterale inglese sia stata fatta su sollecitazioni altrui e forse esclusivamente su sollecitazioni della Turchia, sempre gravemente preoccupata dell'Italia e in serie difficoltà per sostituire un regime nazionale degli Stretti, al regime internazionale attual

mente vigente, con interessi contrastanti propri, inglesi e russi; 5) quanto agli impegni della Francia verso l'Inghilterra essi pure dovrebbero considerarsi decaduti col decadere dell'applicazione dell'art. 16. Léger e il comunicato Havas di giorni fa hanno indicato chiaramente che il Governo francese li dichiarava infatti decaduti. Non si capisce pertanto (o si capisce troppo bene) la speculazione di politica interna ed estera dell'articolo del Populaire e dell'Havas che lo riprende e che deliberatamente equivocano su una mancata decisione per far credere tuttora all'esistenza aegn 1mpegm rrance::H.

(l) Gli allegati non si pubblicano.

526

IL SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO (l) . Roma, 14 luglio 1936.

l) Tentativi britannici per una collaborazione antitaliana nel Mediterraneo, prima dell'applicazione delle sanzioni.

In data 24 settembre 1935 -e cioè prima che a Ginevra fosse constatata la violazione del Patto da parte dell'Italia -il ministro degli Esteri britannico chiese a Lava! quale sarebbe stato l'atteggiamento del governo francese nel caso in cui un membro della S.d.N. che si dichiara pronto ad osservare i suoi obblighi a termini dell'art. 16 del Patto e che si prepara in conseguenza, fosse attaccato prima che detto articolo diventi applicabile cioè prima che gli altri membri siano espressamente tenuti a prestargli l'appoggio mutuo stipulato contro uno Stato in rottura del Patto.

La domanda britannica era fatta in relazione alla situazione determinatasi nel Mediterraneo in seguito all'invio della flotta inglese in detto mare.

La risposta francese si dichiarò favorevole al principio dell'assistenza sotto riserva delle seguenti condizioni: a) estensione dell'assistenza anche al campo terrestre e aereo, oltrechè a quello navale; b) consultazione preventiva fra i Governi impegnati all'assistenza su ogni misura che potrebbe dar luogo a reazione da parte dello Stato contro il quale si è in procinto di applicare le misure previste nell'art. 16. Con quest'ultima condizione si escludeva implicitamente l'assistenza della Francia alla Gran Bretagna relativamente alle misure unilateralmente prese da quest'ultima con l'invio della flotta nel Mediterraneo.

2) Nuovi passi britannici, dopo la constatazione della pretesa violazione del Patto da parte dell'Italia.

Il 10 ottobre, l'ambasciatore britannico a Parigi pose nuovamente a Laval ed in termini più concreti e perentori -la questione dell'assistenza da parte della Francia alla Gran Bretagna nel caso di attacco alla flotta inglese da parte di quella italiana nel Mediterraneo.

Il 18 ottobre Lava! dava una risposta favorevole al quesito inglese nel senso che riconobbe l'obbligo dell'appoggio mutuo in base al n. 3 dell'art. 16 del Patto, abbandonando la condizione che l'attacco dello Stato aggressore contro un Paese sanzionista non avrebbe dovuto essere provocato da misure unilateralmente prese da quest'ultimo.

In seguito a tale accordo di massima furono iniziate trattative fra gli esperti francesi ed inglesi per preparare una conferenza navale ed esaminare i problemi tecnici che assicurino la cooperazione navale franco-inglese nel Mediterraneo.

Poichè gli impegni fra i due Governi andavano assumendo un carattere di alleanza difensiva nel Mediterraneo, allontanandosi dal quadro dell'art. 16, per il fatto che si riconosceva l'obbligo dell'assistenza anche per la protezione di misure prese unilateralmente dalla Gran Bretagna al di fuori di ogni deliberazione societaria, l'ambasciatore Cerruti rimise a Lavai, in data 9 novembre (1), un memorandum che mentre chiedeva più precisi chiarimenti, formulava anche le riserve del R. Governo circa la compatibilità degli accordi navali franco-britannici cogli accordi di Roma itala-francesi del 7 gennaio 1935, che prevedevano la consultazione dei due Governi per l'adozione di ogni misura di carattere militare.

In data 14 novembre il Signor Léger rimetteva all'ambasciatore Cerruti una nota di risposta (2) nella quale si ribadiva il concetto che gli impegni assunti dalla Francia e dall'Inghilterra si riferivano unicamente al principio dell'assistenza mutua prevista nell'alinea 3 dell'art. 16, come risultava dalla risposta francese al Governo britannico in data 25 ottobre nella quale fu chiarito che «il ne s'agissait en aucune manière, pour la France, de contracter des engagements nouveaux, mais seulement de confirmer, à l'occasion d'une procédure en cours à Genève, la portée, qu'elle a constamment reconnue à certaines obligations du Pacte ».

Nonostante tali precise assicurazioni, le intese franco-britanniche andavano assumendo sempre più il carattere di alleanza militare, tanto da provocare in Germania la più viva reazione per lo spostamento dell'equilibrio delle forze in Europa sul quale si basava il Trattato di Locarno. Anche alla Germania furono date assicurazioni -che a Hitler non sembrarono affatto soddisfacenti -che gli accordi franco-britannici si riferivano esclusivamente all'ipotesi dell'applicazione del n. 3 dell'art. 16 del Patto.

3) Spostamento a Ginevra dell'attività britannica pel Mediterraneo. Il 22 gennaio il Governo inglese comunicò al presidente del Comitato di Coordinamento un memorandum sui risultati degli scambi di opinioni che hanno avuto luogo fra il Governo di S. M. Britannica e il Governo francese e successivamente con altri Governi, a proposito dell'applicazione del p~ragr. 3 dell'art. 16 del Patto. La procedura di fare la comunicazione al presidente del Comitato, anziché fare una dichiarazione in seno al Comitato dei Diciotto -come in un primo tempo era prevista -fu seguita sopratutto per la considerazione che l'Italia, non essendo rappresentata in seno al Comitato dei Diciotto, non avrebbe avuto la possibilità di rispondere in quella stessa sede. La giustificazione data da Eden circa la presentazione del memoriale britannico fu quella di calmare le apprensioni tedesche. Ma il memoriale aveva anche lo scopo di legittimare in sede societaria le misure e le attività britanniche nel Mediterraneo. Comunque -quale che fosse lo scopo del memoriale britannico -esso è unicamente imperniato sulla base del n. 3 dell'art. 16 del Patto, e gli accordi

intervenuti con la Francia, la Turchia, la Jugoslavia, la Grecia sono presentati come una « coopération spéciale des Membres de la Société qui, en raison de leur situation militaire ou de leur position géographique, sont plus directement intéressés:. nel caso « où une action de caractère militaire serait dirigée par l'Etat en rupture de Pacte contre un Membre de la Société participant à des mesures économiques et financières en vertu de l'article 16 ». Il carattere di specie dell'accordo risultava non tanto dal riferimento ai Paesi che per loro situazione geografica erano più direttamente interessati a reagire contro una azione di rappresaglia dello Stato che in concreto era stato dichiarato in rottura del Patto, ma anche dalla esplicita dichiarazione contenuta nel memorandum (pag. 2) che nella specie «il Governo di S.M. del Regno Unito desiderava sapere, in fatto, se il Governo francese, greco, turco e jugoslavo, nell'ipotesi che delle misure speciali di carattere militare fossero dirette contro la Gran Bretagna dall'Italia, fossero disposti, in caso di necessità, a prestare il loro concorso per resistere a tali misure, e se fossero in grado di farlo ».

I singoli accordi coi varii Stati sono così presentati nel memorandum britannico:

a) Francia. Il Governo inglese domandò a quello francese se esso interpretava il paragrafo 3 dell'art. 16 allo stesso modo del Governo britannico nel senso sopra precisato. Il Governo francese rispose favorevolmente al principio dell'assistenza mutua precisando però, in una nota del 18 ottobre 1935,

«qu'il concevait naturellement cette obligation camme déterminée par les mesures prises en exécution de l'art. 16, dans les limites de son application »

nel senso cioè di escludere dal gioco dell'assistenza qualsiasi iniziativa unilateralmente presa contro l'Italia. La risposta francese del 18 ottobre -riportata per esteso nel memorandum britannico -terminava assicurando che il Governo francese confermava «nel caso concreto previsto nell'ultima comunicazione dell'ambasciatore di Gran Bretagna, e cioè nella specie in caso di attacco eventuale dell'Italia contro la Gran Bretagna, in occasione della sua collaborazione all'azione internazionale della Società delle Nazioni perseguita di concreto con la Francia, che l'appoggio della Francia alla Gran Bretagna le era anticipatamente e pienamente assicurato in tutta l'accezione che i Governi dei due Paesi sono d'accordo per riconoscere a questo obbligo dell'art. 16 del Patto».

Il memoriale britannico dichiara che « l'accord fut ainsi realisé entre les deux Gouvernements ».

Nel paragrafo 7 del memoriale è nuovamente ribadito il concetto che l'azione comune franco-britannica è stata prevista unicamente nel caso che «des hostilités éclateraient, dans la Méditerranée par suite de l'application des sanctions dans le différend actuel ».

In una lettera del 22 gennaio indirizzata dalla delegazione francese al presidente del Comitato di Coordinamento, si conferma l'esposizione fatta nel memoriale britannico e si precisa ancora una volta che gli scambi di vista intervenuti tra Francia e Gran Bretagna non sorpassano « en rien le champ d'application des obligations communes publiquement contractées par tous les Membres de la S.d.N. ».

b) Turchia, Grecia e Jugoslavia. Nel dicembre 1935 -dichiara il memoriale britannico -il Governo inglese procedette a delle inchieste similari presso i Governi dei tre Paesi anzidetti, i quali risposero «in termini che non lasciavano alcun dubbio che essi erano pronti a adempiere fedelmente a tutti gli impegni che loro incombono in virtù del Patto, in seguito alle misure prese in applicazione dell'art. 16 ». Questi tre Paesi domandarono e ottennero analoga garanzia della Gran Bretagna.

Gli accordi con la Turchia, la Grecia e la Jugoslavia presentano pertanto, a differenza di quelli franco-britannici, carattere di reciprocità nel caso di specie.

Tali accordi, nel senso spiegato nel memoriale britannico, furono singolarmente confermati con lettere in data 22 gennaio singolarmente Indirizzate, da ciascuna delle delegazioni dei tre Paesi al presidente del Comitato di Coordinamento. Nella lettera del delegato greco si precisa che il Governo greco non riteneva incompatibile col trattato di amicizia con l'Italia la sua azione di assistenza mutua in esecuzione degli obblighi derivanti dal Patto della S.d.N. Inoltre, la delegazione cecoslovacca comunicò che la risposta del Governo jugoslavo era stata data in pieno accordo con la Cecoslovacchia.

4) Risposta italiana.

Con nota verbale del 24 gennaio 1936, singolarmente indirizzata ai 51 Paesi sanzionisti, il R. Governo: l) rinnovò le sue riserve sull'applicabilità del paragrafo 3 dell'art. 16 alle misure unilateralmente prese dalla Gran Bretagna; 2) protestò contro gli accordi presi in quanto essi si riferivano ad una ipotesi arbitraria e inconsistente quale quella di un attacco italiano contro la Gran Bretagna.

Le risposte dei Governi più interessati si limitano a richiamarsi al memoriale britannico ritenendo che questo abbia sufficientemente chiarito la portata degli obblighi assunti dai vari Stati in applicazione del Patto societario.

5) Discorso di Eden ai Comuni.

Nel suo discorso del 18 maggio u.s. (l) alla Camera del Comuni il sig. Eden, dopo di aver ricordato che nel dicembre 1935 furono presi accordi «di carattere difensivo» con varie Nazioni del Mediterraneo, in base al paragrafo 3 dell'art. 16 del Patto, e che in virtù di questi accordi la Gran Bretagna aveva promesso a quelle Nazioni di cooperare con loro nel caso che fossero aggredite in conseguenza della loro azione fondata sull'applicazione dell'art. 16 del Covenant, affermò che « queste garanzie rimarranno in vigore anche dopo la revoca delle sanzioni e fino a che potrà perdurare il periodo di incertezza che potrà seguire alla revoca medesima».

In tale dichiarazione il sig. Eden, sottolineò soltanto la protezione accordata dalla Gran Bretagna lasciando nell'ombra la garanzia data da quei Paesi alla stessa Gran Bretagna, mentre gli accordi avevano avuto ongme dalla richiesta di assistenza a favore soltanto della Gran Bretagna e solo

in un secondo tempo divennero reciproci. Inoltre egli tentò di sganciare gli accordi dalla situazione di specie per la quale furono stipulati, prevedendone l'applicazione alla situazione che si sarebbe potuta determinare in seguito alla revoca delle sanzioni.

6) Conclusione.

Gli accordi mediterranei furono stipulati, come risulta in modo univoco dalle dichiarazioni di tutti i Governi interessati ner il caso che l'Italia avesse attaccato uno dei Paesi mediterranei in conseguenza della loro partecipazione alle sanzioni economiche e finanziarie deliberate a Ginevra contro l'Italia stessa. Quindi dovrebbero essere considerati decaduti, per il venir meno dell'ipotesi alla quale essi furono esplicitamente collegati e cioè per il venir meno della possibilità -anche soltanto teorica -che l'Italia potesse attaccare una Potenza per rappresaglia contro le sanzioni.

Occorre infine ricordare che all'occorrenza potrebbe essere eventualmente utilizzata la risoluzione dell'Assemblea della S.d.N. che nel pronunciarsi in favore dell'abolizione delle sanzioni, emise il voto che il Comitato di coordinamento raccomandasse ai Governi l'abolizione di tutte le misure da essi prese in applicazione dell'art. 16.

Si potrebbe quindi sostenere -ove le circostanze lo consigliassero -che il Comitato di coordinamento è competente anche a raccomandare ai Governi di riconoscere la decadenza degli accordi mediterranei.

(l) Questo documento è intitolato: «Accordi di collaborazione navale nel Mediterraneo».

(l) -Vedi serie ottava, vol. n, D. 572. (2) -Ibid., D. 640.

(l) Errato per 18 giugno.

527

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2370/512. Roma, 14 luglio 1936 (per. il 16).

Telespresso ministeriale del 10 corr. n. 223214 (1). L'informazione riferita nell'ultima parte del rapporto del R. Console Generale a Gerusalemme, in data del 1° corrente, è sostanzialmente esatta (2).

In un primo tempo la causa degli ebrei era vista con simpatia ed era anche appoggiata in Vaticano. Da qualche tempo il giudizio che la Santa Sede dà degli avvenimenti è radicalmente mutato a favore degli arabi. La causa araba è giudicata forte. Gli arabi di Palestina ricevono notevoli aiuti in denaro, senza che se ne sappia la provenienza.

D'altra parte la Santa Sede non ha simpatia alcuna per le autorità che rappresentano in luogo la Potenza mandataria. I cattolici. nel Paese, sono pochi e male organizzati, lo si sa. La Potenza mandataria non na nessuna conside

razione per essi, appunto perchè sono pochi. Le autorità della Potenza mandataria non riflettono, però, che i pochi cattolici residenti in Palestina sono gli esponenti di un potere spirituale fra i più forti del mondo.

La Santa Sede si risente di tale difetto di considerazione.

(l) -Non pubblicato, ritrasmetteva la rassegna della stampa palestinese inviata H 10 lugllo dal Consolato Generale a Gerusalemme. (2) -Riferiva quanto pubblicato dal giornale arabo di Giaffa, Palastin. Il giornale affermava, riprendendo la notizia dalla stampa americana, che H Vaticano, pur disapprovando l'aggressione contro gli ebrei, aveva assunto un atteggiamento di riserbo verso H movimento sionista perché convinto che imporre una minoranza alla maggioranza degli abitanti del Paese avrebbe provocato disordini.
528

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 2384/513. Roma, 14 luglio 1936 (per. il 16).

In relazione alle notizie comunicatemi con il telespresso ministeriale numero 223307/G dell'H corrente (l) posso aggiungere che in Santa Sede sono preparati al peggio. Ho avuto occasione di riferire a varie rmrese che il cardinale segretario di Stato vede fosco nei riguardi del rapporti futuri fra la Santa Sede e il Reich. Il pessimismo va estendendosi negli ambienti della Segreteria di Stato anche fra gli elementi più calmi. Negli ultimi tempi è corsa la voce che la Germania, accentuandosi la tensione, finirebbe per denunciare il Concordato per essere più libera nel condurre a fondo la sua azione anti-cattolica.

Di positivo v'è la preparazione di un attacco contro i Gesuiti. Il Padre Generale mi ha detto che sono in corso interrogatori di membri della Compagnia condotti con il proposito di farli cadere in contraddizione. Pare che le autorità tedesche abbiano accumulato buon numero di documenti. Si tratta, anche in questo caso, di contrabbando delle divise. L'inchiesta è fatta risalire a un periodo di circa cinquant'anni. Pare che i Gesuiti abbiano i loro seminari nei Paesi Bassi. I giovani tedeschi sono mandati, da tempo, nei seminari dell'Olanda e l'Orùine trasferisce in quel Paese il denaro necessario per il mantenimento dei suoi istituti. Non è cosa d'oggi, ma del passato. Come ho detto le indagini si svolgono su un periodo di circa cinquant'anni. II nadre Ledocnowski nel raccontarmi quanto sopra ha soggiunto di non prevedere come finirà la cosa.

Egli ha avuto parole di fuoco contro Goebbels e Rosenberg, mentre ha risparmiato Hitler, lasciando intendere non essere escluso cne la campagna contro gli Ordini religiosi cattolici abbia la sua tolleranza. ma non Ia sua approvazione.

Il Padre Generale mi ha detto poi che, in Germania, sotto il nazismo cova il comunismo che accresce le sue forze giornalmente. I comunisti si sarebbero insinuati nelle file del nazismo, e perfino alcuni dirigentl sarebbero guadagnati alla setta. Secondo il padre gesuita vi sarebbero in Germania ben 300 giornali comunisti.

Riferisco quello che mi è stato detto; non ho modo di controllare. È pos

sibile, e forse anche probabile, che il Generale dei Gesuiti abbia pour cause,

caricato le tinte.

(l) Riportava le notizie, Inviate dall'ambasciata a Berlino, circa Imminenti processi In Germania contro la Congregazione del Francescani, accusata d! !rodi valutarie e fiscali.

529

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.U. 6859/81 R. Praga, 15 luglio 1936, ore 0,22 (per. ore 3,30).

Prime impressioni sorpresa destate da accordi austro-germanico e segnalate con Stetani del 12 e 13 corr. sono oggi segmte aa amm commenti tutta la stampa locale intonati ostentata calma.

Giornali ufficiosi dichiarano Cecoslovacchia soddisfatta accordo che elimina complicazioni minaccianti pace europea, considerano allontanamento dell'Anschluss e della restaurazione absburgica indiscutibilmente vantaggiosi per la Cecoslovacchia e la Piccola Intesa; mettono 1n r1Uevo che Hitler aveva offerto accordo transitorio Austria e Cecoslovacchia e che impegno non ingerenza assunto da Germania dovrebbe servire da precedente per analoga intesa con altri suoi vicini. Concludono Cecoslovacchia si riserva definitivo giudizio accordo secondo sviluppi che esso sarà per avere.

La verità è che inatteso avvenimento ha prodotto qui disappunto e preoccupazione. Politica cecoslovacca imperniata su sistema accerchiamento Germania rimane travolta da soluzione problema austriaco con Germania e non contro Germania, soluzione quest'ultima che avrebbe dovuto comportare simultaneamente garanzia integrità Cecoslovacchia, la quale invece sentesi oggi più che mai allo scoperto di fronte minaccia tedesco-magiara e polacca.

Ministro degli Affari Esteri ha detto a questo lncarlcato di affari di Ungheria accordo austro-tedesco costituisce Anschluss morale e via sicura per meglio realizzare nel tempo dovuto e pacmcamente quello materiale. A ministro d'Austria ha espresso scettico compiacimento, augurando che dall'accordo non debbano derivare complicazioni d'altro genere.

Questo ministro di Germania m1 accennava soamane cne non sarebbe possibile accordo del genere con Cecoslovacchia anzitutto perchè termini questione sono differenti e poi perchè non vi è buona fede nel Governo cecoslovacco che, mentre dichiara voler mantenere buoni rapporti con Berlino emette prestiti per armamenti contro Germania e emana legge per difesa dello Stato diretta specialmente contro minoranza tedesca. Collega tedesco esprimeva poi fiducia che Ungheria non voglia profittare nuova situazione per tentare intempestive rivendicazioni che provocherebbero formazione blocchi contrastanti con imprevedibili conseguenze fra cui ulteriore penetrazione sovietica centro Europa.

Nelle locali sfere politiche si sottolinea influenza decisiva esercitata negli avvenimenti del giorno dall'Italia che dovreooero mettere tn guardia dall'infido insinuarsi della Germania a soppiantare postztonl italiane nel bacino danubiano e ad aprirsi varco per larga penetrazione nei Balcani.

530

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6947/214 R. Shanghai, 15 lugtìo 1936, ore 13 {per. ore 22,30).

Nelle dichiarazioni di Chiang-Kai-shek a Comitato Centrale esecutivo sono notevoli due punti: il primo punto è costituito da persistente idea fissa di presentare al popolo cinese esempio Etiopia come monito nazionale con effetto di rendere meno favorevoli all'Italia quelle poche correnti politiche che esistono in questo Paese. Avendo espresso a Kung penosa Impressione che queste manifestazioni faranno al Governo italiano in aggiunta alle altre, di cui al telegramma di V. E. n. 161 (1), Kung mi ha pregato spiegare che atteggiamento Generalissimo dipende unicamente dal fatto che questo travasi sotto gran preoccupazione di nuove mosse giapponesi ed è costretto servirsi dell'esempio Abissinia come arma morale e come strumento giuridico destinato impegnare

S.d.N. alla difesa della Cina; con che è escluso che egli intenda fare solamente gesto sgradevole verso nostro Paese. Secondo punto notevole è quello che esclude riconoscimento Manchukuo anche a costo di ricorrere alla guerra.

Queste dichiarazioni erano necessarie dal punto di vista della politica interna e del conflitto con Canton per allontanare accuse di eccessiva arrendevolezza a Giappone ma non può che scuscitare a Tokio idea che sia impossibile trattare con Governo cinese alcune amichevoli combinazioni se il primo dei punti della politica pacifica, che il Governo giapponese dice di voler stabilire viene respinto in maniera così categorica.

531

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6927/169 R. San Sebastiano, 15 luglio 1936, ore 16 (per. ore 2 del 16).

Mio telegramma n. 168 (2).

Presidente della Repubblica, valendosi facoltà accordatagli da Costituzione, ha sospeso per otto giorni sedute Cortes. Si afferma che dopo tale termine Cortes si riunirebbero soltanto per decidere rinvio ottobre propri lavori. Governo procede numerosissimi arresti di elementi estremisti, sia falangisti, sia monarchici, disponendo chiusura rispettivi centri. Con assenso presidenziale, Cortes hanno anche prorogato per aitn ... t.3J mesl stato di allarme.

Dopo esequie Calvo Sotelo svoltesi ieri nell'interno cimitero, si è verificato qualche scontro tra gruppi dimostranti reduci da funerali e guardie d'assalto

con morti e feriti. Stamane situazione ordine pubblico sembra, almeno apparentemente, tornata normale nella caonare mentre ln nrovincia si registrano numerosi incidenti.

Governo è anche preoccupato causa esistente atteggiamento Confederazione Nazionale Lavoro (anarchico-sindacale) che non consente ripresa lavori costruzioni Madrid, nonostante accettazione da parte dell'Unione Generale Lavoro lodo governativo per non provocare incidenti. Si parla insistentemente di cambiamento ministeriale con Governo coalizione comprendente ancne sociallsti e centristi.

(l) -Vedi D. 453. (2) -Vedi D. 516. (3) -Nota dell'Ufficio Cifra: «Manca».
532

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6928/120 R. Atene. 15 lualio 1936. ore 21 ('Der. nre 21.40).

Ho fatto personalmente a questo presidente del consiglio dichiarazioni di cui al telegramma di V. E. n. 3263 (1).

Il signor Metaxas ne ha preso atto col più vivo compiacimento e mi ha esplicitamente dichiarato (autorizzando codesto ministero a servirsi -se necessario -di tale sua dichiarazione) che «la Grecia non aveva mai manifestato a chicchessia la più piccola preoccupazione circa una rappresaglia armata dell'Italia contro di essa, né a cagione delle sanzioni né per qualsiasi altra ragione, sopratutto perchè non aveva mai avuto tale preoccupazione». Egli non si rendeva poi conto come l'Inghilterra potesse invocare tale pretesto per mantenimento intese assistenza mediterranea. Ha poi ricordato dichiarazione da lui fatta fare a Guglielminetti il 10 corrente (telegramma di questa Legazione n. 117) (2) ed ha aggiunto che tale dichiarazione era stata fatta immediatamente, senza consultare nè gli alleati, nè l'Inghilterra; che, anzi gli risultava che quest'ultima era rimasta alquanto dispiaciuta di essa.

Mi ha infine mostrato un telegramma da Londra pubblicato stamane da Agenzia di Atene, nel quale è detto che la Grecia avendo fatto conoscere a Londra che essa non considerava più necessario prolungarsi degli accordi mediterranei di assistenza, tali accordi dovevano considerarsi annullati nei suoi riguardi.

533

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 6896/438 R. Parigi, 15 luglio 1936, ore 22,10 (per. ore 0,15 del 16).

Mi sono espresso con Léger giusta istruzioni impartitemi telefonicamente dall'E. V. 13 corrente, dicendogli cioè che il R. Governo considerava accordo

austro-tedesco come destinato a costituire chiarimento di una situazione, m un settore particolarmente delicato dell'Europa. Non doveva, viceversa, attribuirsi importanza ai vari commenti cervellotici che erano stati pubblicati al riguardo.

Léger mi rispose che Schuschnigg aveva dato assicurazione al ministro di Francia circa la libertà che l'Austria si sarebbe riservata di accedere ad un «Patto collettivo dell'Europa Centrale», quale era stato previsto negli accordi stipulati a Roma fra il Duce e Lavai nel gennaio 1935 (1). Poiché, viceversa, questa riserva non figura nelle dichiarazioni fatte da Schuschnigg, Quai d'Orsay ritiene che Austria abbia dovuto piegare il capo dinanzi alla volontà di Berlino, contraria agli «accordi collettivi» e favorevole, soltanto, ad «accordi bilaterali». Questo stato di cose non poteva riuscire gradito alla Francia.

(l) -Vedi D. 520. (2) -Vedi D. 495.
534

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7021/017 R. Bucarest, 15 luglio 1936 (per. il 18).

Per quanto a questo ministero degli Esteri fossero senza dubbio pervenute informazioni circa i contatti che si erano stabiliti a Vienna tra von Papen e Schuschnigg è molto probabile che esso non abbia creduto alla possibilità, di un risultato pratico.

È certo che l'opinione pubblica romena non è stata in alcuna guisa preparata all'avvenimento, anzi fino a pochi giorni or sono, come ebbi occasione di segnalare, venivano fatte circolare le più drammatiche notizie circa l'imminenza della restaurazione absburgica e la stampa non si peritava di scrivere che in tal caso i cannoni della Piccola Intesa (non mi è noto che la Romania ne possegga in numero apprezzabile) avrebbero tuonato. È giunta invece la notizia dell'accordo tra Reich ed Austria. L'opinione pubblica è completamente disorientata. In quanto al governo, pur dovendo far mostra di compiacersi di questo atto pacifico, che allontana, per alcun tempo, il pericolo dell'Anschluss, è chiaro tuttavia che l'avvenimento lo ha profondamente turbato, anzi irritato, perchè nonostante l'insuccesso dei maneggi parigini del gennaio scorso, di Hodza e di Titulescu, si continuava qui a sperare che il problema austriaco potesse essere risolto al di fuori dell'Italia, per opera e virtù della Piccola Intesa sotto gli auspici della Francia e della Russia e con l'assistenza benevola di Londra, mecca dei più recenti pellegrinaggi di Titulescu.

Per farsi una idea precisa dei sentimenti di questo Governo basterà leggere del resto il comunicato fatto diramare attraverso l'agenzia Havas, redatto in forma piuttosto ponderata, ma comunque trasparente, nonché il comunicato dell'Agenzia Sud-Est, datato da Belgrado ma fabbricato d'accordo,

ritengo, fra i tre governi della Piccola Intesa e che in tono violento e provocatorio rivela la profonda irritazione di questi signori. L'accordo fra il Reich e l'Austria è presentato nel comunicato dell'Agenzia Sud-Est come un proemio dell'Anschluss quindi come un trionfo del Reich che ha imposto la sua volontà: l'Italia ha docilmente seguito. Il comunicato contiene poi una domanda

angosciosa: contro chi si indirizzerà l'azione futura del Reich? È evidente che si allude a un possibile conflitto fra la Germania e la Cecoslovacchia.

Ma questa fatale eventualità non viene presentata in maniera così cruda da parte dei circoli che fanno capo a Titulescu i quali anzi, sottacendo la Cecoslovacchia, lasciano intendere che il futuro conflitto scoppierà tra Germania e Russia donde la necessità per la Romania di avvicinarsi vieppiù a Mosca per ristabilire con essa opportune intese al fine di garantire alla Cecoslovacchia l'appoggio di cui potrà avere presto bisogno.

Nei circoli politici di opposizione questa presentazione della situazione, fatta dai portavoce del ministro degli Affari Esteri romeno, accentua le inquietudini tanto più in quanto ha come presupposto la paventata eventualità che la Romania debba essere, presto o tardi, trascinata in un conflitto.

Quale sia la parte avuta dall'Italia nell'accordo tra il Reich e l'Austria è la prima e più pungente domanda che viene presentata nei circoli governativi. Come ho esposto più sopra la tendenza è di voler vedere nel riavvicinamento

austro-germanico piuttosto una prova della debolezza dell'Italia, che una nuova dimostrazione della sicura indipendenza della sua politica. La Romania sa che per opera del suo ministro degli Affari Esteri essa ha troppe colpe sulla coscienza, troppi peccati da scontare nei nostri confronti: istintivamente quindi è tentata di dire che l'accordo di Vienna non è una nuova prova della situazione arbitrale assunta in Europa da Roma (qui non si vuoi venire a Canossa ed ogni argomento è buono per tentare di convincersi che non è il caso di venire a Canossa), bensì una testimonianza di impotenza da nostra parte a garantire l'indipendenza austriaca con i metodi impiegati con successo nel luglio del 1934.

Quale sarà l'azione della Piccola Intesa nei confronti del fatto compiuto tra Austria e Reich è difficile dire anche forse perchè è difficile che una qualsiasi seria azione possa essere instaurata dal gruppo come tale. Resta invece da vedersi come la Piccola Intesa reagirà: ma anche questa reazione, io ritengo, non sarà collettiva perché ciascuno dei tre Paesi tenterà, nei con

fronti della Germania, quelle conversioni o manovre dirette ad allontanare, possibilmente, una crisi che ormai sembra disegnarsi come fatale. Potremo quindi assistere alle più impreviste mosse sia di riavvicinamento con il Reich sia di disperati tentativi di opposizione.

La prima a tentare di mettersi sulla via di Berlino, seguendo l'esempio di Belgrado, sarà probabilmente la Cecoslovacchia. Finché Titulescu durerà, e sembra che egli debba durare, egli cercherà invece di sbarrare la strada al germanesimo, spingendo la nota manovra basata su Mosca e su Parigi.

Ma non è escluso che anche lui, a corto di fiato, tenti, in epoca non lontana, una pirouette verso Berlino.

(l) Vedi p. 82, nota 3.

535

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7046/0433 R. Londra, 15 luglio 1936 (per. il 18).

Ho avuto oggi un colloquio con il Primo Lord del Mare, Sir Ernie Chatfield. Egli mi ha parlato del ritiro della Home Fleet dal Mediterraneo (1), del miglioramento nei rapporti anglo-italiani, e del ritorno da parte dell'Italia e della Inghilterra a una politica di amicizia e di collaborazione nel Mediterraneo, che egli mi ha detto augurarsi sarà presto un fatto compiuto.

«Nel periodo del conflitto itala-abissino, egli mi ha aggiunto, l'Inghilterra ha svolto un'azione contraria ai suoi vitali interessi e contraria a quelle che sono le basi naturali e permanenti della politica britannica. Trascinata dall'ideologia societaria essa ha abbandonato la linea della sua tradizione, e compromessi i rapporti con l'Italia che costituiscono uno dei caposaldi di questa tradizione. Ora per fortuna tutto ciò è liquidato e l'Inghilterra deve ritornare al più presto alla sua politica naturale di amicizia e di collaborazione coll'Italia, che è la sola politica colla quale si possa veramente mantenere la pace in Europa e la tranquillità nel Mediterraneo».

Chatfield mi ha poi chiesto se era vero che vi era stato in Italia un certo allarme per le dichiarazioni fatte da Eden all'Assemblea della S.d.N. sui così detti accordi di assistenza nel Mediterraneo (2).

Gli ho risposto che non era affatto il caso di parlare di allarme, ma che le dichiarazioni di Eden avevano indubbiamente ritardato il ritorno alla normalità nel Mediterraneo, e avevano creato un grave equivoco sulle intenzioni dell'Inghilterra, equivoco che non era ancora chiarito.

Chatfield mi ha replicato che egli sperava che ogni equivoco e ogni malinteso tra l'Italia e l'Inghilterra sarebbe presto eliminato. «So -egll mi ha aggiunto -che sono state messe in circolazione ad Ankara e a Montreux voci di accordi che noi avremmo raggiunto o vorremmo raggiungere con i Paesi del Mediterraneo orientale. Tali voci sono delle deliberate bugie (deliberate lies). Noi vogliamo nel Mediterraneo sicurezza e tranquillità, perché il Mediterraneo è un'arteria vitale dell'Impero, e desideriamo quindi essere nei migliori rapporti con tutti i Paesi mediterranei; ma noi consideriamo che la miglior forma di sicurezza e tranquillità sia costituita dalle nostre buone relazioni con l'Italia, e in nessun caso poi entreremo in accordi o in intese che potessero essere di pregiudizio all'amicizia italiana ».

Il colloquio con Chatfield ha avuto un carattere puramente personale ma ho pensato di riferirne a V. E. non solo per l'influenza grandissima che Chatfield ha nel Governo ma anche per i sentimenti che egli ha sempre dimostrato verso l'Italia.

(l) -Vedi p. 556, nota 2. (2) -Vedi p. 513, nota 2.
536

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1469/659. Istanbul, 15 luglio 1936 (per. il 22).

Il recente accordo austro-tedesco ha qui prodotto profonda e generale impressione. Mi risulta che furono dati subito ordini alla stampa di astenersi da commenti e quindi i giornali si sono limitati perciò a riprodurre le notizie di agenzie e giornali stranieri, dandovi grande rilievo tipografico.

La «République » di oggi espone primo fra i giornali turchi, e con la sua consueta malafede, lo sviluppo degli avvenimenti che hanno condotto a questa situazione nuova, per concludere che l'intesa fra Roma e Berlino è provvisoria e che l'Anschluss è sul punto di avvenire pacificamente. Lo stesso giornale riproduce i commenti della stampa italiana ed ungherese sotto il titolo molto significativo: «Il blocco italo-tedesco-polacco-austro-ungherese è virtualmente formato. La questione degli Asburgo è rinviata sine die. La stampa italiana ritiene che le Potenze debbano rinunciare a coalizioni con gli Stati secondari». Allego ad ogni buon fine una copia del predetto giornale che, anche nella sua espressione tipografica, può dare la misura del nervosismo che regna in questi ambienti.

In questi ambienti politici e diplomatici non si nasconde la contrarietà prodotta dall'evidente successo diplomatico italiano e la preoccupazione dei riflessi che tale nuovo atto potrà avere sulla Piccola Intesa e, per conseguenza, sull'Intesa Balcanica.

Dell'accordo mi ha sopratutto intrattenuto, e con palese preoccupazione, questo ambasciatore sovietico, Karakhan. Egli ha fissato tre punti:

a) la politica italiana gli sembra diretta ad evitare una stabilità di posizioni per mantenere una assoluta libertà di movimento sì da trame il maggior profitto. Aveva prima posto come condizione alla ripresa del suo contributo per la pace europea la soppressione delle sanzioni, poi la fine dei patti mediterranei di mutua assistenza. Non si sapeva se porrebbe altre condizioni successive: riconoscimento della proclamazione dell'Impero etiopico, poi un prestito etc. etc.;

b) L'accordo austro-tedesco era stato fatto dall'Italia ed alla chetichella, mentre interessava tutta l'Europa ed avrebbe dovuto perciò essere concluso con la conoscenza di tutti gli interessati;

c) La Germania libera della questione austriaca avrebbe rivolto tutti i suoi sforzi a risolvere altre questioni che possono turbare la tranquillità europea, poi avrebbe rivolto ogni sua energia ai problemi baltici contro i Soviet, quello di Danzica, e forse sospinto la Polonia in Ukraina.

Gli ho risposto:

a) essere assolutamente inesatto che l'Italia non cercasse una stabilizzazione europea. Tutte le dichiarazioni del Duce marcavano anzi che egli tendeva proprio a questa, e non da oggi soltanto. Solo differivano i metodi. Quelli del Duce non erano ispirati ad ideologie che avevano fin qui dato

prova di pieno fallimento, ma alla considerazione della realtà e delle forze esistenti.

Se dopo la fine delle sanzioni si chiedeva la cessazione degli accordi di reciproca garanzia in Mediterraneo ciò era perchè nessuno poteva immaginare che vi fossero Potenze interessate a mantenerli contro ogni base giuridica, malgrado la loro insostenibilità societaria ed in contrasto con ogni sano concetto di opportunità politica. Egli stesso del resto me lo aveva riconosciuto (mio telegramma n. 167 del 6 corr) (1). Quanto alla possibilità che fossero formulate nuove esigenze si trattava di ipotesi gratuite che dovevo respingere. Più di tutte quelle del prestito, favola che ritornava ad ogni momento sulla stampa. Se v'era una cosa di cui l'Italia non aveva proprio bisogno, questa era appunto il prestito.

b) L'accordo austro-germanico riguardava Austria e Germania Paesi finitimi. Essi avevano ogni diritto di negoziare quello che credevano senza informarne nessuno, e ciò con tanto più diritto da parte austriaca in quanto le trattative e l'accordo miravano appunto a togliere dall'orizzonte internazionale una delle questioni che erano sembrate più minacciose per la pace europea e proprio nel senso desiderato dall'Europa: garanzia dell'indipendenza austriaca.

Era ovvio che questo accordo era considerato con estrema simpatia dall'Italia e si poteva anche pensare che l'Italia ne avesse avuta previa conoscenza dati i suoi legami con l'Austria. Ma l'Italia aveva ancora minori obblighi dei contraenti di informarne terze parti.

c) ero di avviso del tutto contrario al suo. Ritenevo fermamente che la soluzione di questa grossa questione faciliterebbe le altre che si ponessero ::mccessivamente. Esse si avvierebbero ancora più agevolmente ad una soluzione pacifica e per la normalizzazione europea (2). Credere a priori il contrario era rendere malagevole la soluzione di altri problemi. Mi era poi impossibile discutere visioni catastrofiche quali quelle che egli mi formulava. Lo potevo tanto poco seguire che anzi, pur rendendomi conto della estrema difficoltà e dei grossi ostacoli che vi si frapponevano, lo pregavo rispondermi se egli poteva escludere in via assoluta la possibilità della normalizzazione dei rapporti germano-sovietici, già cosi eccellenti nel primo decennio del nuovo regime dei soviet. Al che egli ha risposto che non poteva negare tale possibilità.

Ed allora ho concluso: perchè volete negare che gli accordi austro-germanici non siano un vero passo concreto per la pacificazione dell'Europa ed un normale svolgersi della coesistenza delle Potenze europee?

537

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2212/877. Mosca, 15 luglio 1936 (per. il 20).

È nota all'E. V. la posizione dell'URSS nei confronti della Germania qui ormai considerata come il massimo pericolo incombente sulla sicurezza dell'Euro

pa Orientale in generale e della Unione Sovietica in particolare. Questa pregiudiziale influenza tutta la politica moscovita che è pertanto portata a giudicare gli eventi europei in relazione ai profitti e alle perdite che da essi può trarre la Germania.

Così, la notizia dell'accordo austro-germanico, giunta a Mosca come un fulmine a ciel sereno, ha vivamente impressionato il Kremlino, il quale non ha mancato di considerarlo come un grande passo in avanti dell'espansionismo germanico.

Si teme qui infatti che Berlino, sfruttando abilmente le varie clausole dell'accordo, possa non solo prendere a poco a poco saldo piede in Austria preparando l'Anschluss, ma attraverso il ponte austriaco e l'amica Budapest, allarghi sempre più la propria penetrazione nei Balcani.

Quanto all'Italia, si vuole a Mosca ritenere che Roma abbia acconsentito all'accordo austro-tedesco sia in considerazione della necessità di evitare complicazioni colla Germania nell'attuale momento quando si sta procedendo all'occupazione ed alla sistemazione dell'Etiopia, sia come arma di pressione sull'Inghilterra e sulla Francia per ottenere il riconoscimento dell'Impero e la liquidazione degli accordi mediterranei di mutua assistenza. Da parte sua, la Germania -sempre secondo il pensiero moscovita -non avrebbe nessun interesse a legarsi definitivamente all'Italia, ma farebbe anche essa balenare di fronte all'Inghilterra la probabilità di una alleanza con Roma, per ottenere da Londra delle concessioni, quale, ad esempio, l'assicurazione di una neutralità britannica nel caso di un conflitto tra la Germania da una parte e la Francia e l'URSS dall'altra.

Queste supposizioni lasciano naturalmente adito a speranze sia di un nuovo futuro irrigidimento di Roma di fronte a Berlino qualora la Germania intendesse sfruttare a fondo l'accordo austro-tedesco, sia comunque di una precarietà dell'attuale intesa fra i due Stati. Speranze che vengono, more sovietico, mascherate con tortuosi ragionamenti ed arzigogolii, i quali si sforzano di dimostrare come, almeno per quanto riguarda i rapporti italo-germanici, nulla vi è ancora di definitivo e che l'Italia potrà anzi tornare ad aderire al fronte anti-tedesco...

Sono note, a tale ultimo proposito, le direttive della politica estera sovietica dal 7 marzo in poi. In seguito all'amara delusione inflitta a Mosca dalla politica inglese nella faccenda renana, il Kremlino aveva fatto macchina indietro a tutta forza nella questione abissina. Sarebbe superfluo ricordare a riguardo le varie iniziative di Litvinov dalle riunioni londinesi del marzo all'ultima assemblea della S.d.N. per facilitare la liquidazione etiopica e ricondurre così l'Italia, ormai «Potenza soddisfatta», all'opera della cosidetta «sicurezza collettiva», ossia, ad una collaborazione anti-germanica.

È quindi naturale che in tale situazione di cose l'accordo austro-tedesco ed in particolare la soddisfazione dimostrata dalla stampa italiana per la conclusione di esso non possa avere qui una buona accoglienza (1).

43 ---Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

538.

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1016/658. Praga, 15 luglio 1936 (per. il 18).

Ieri è stato qui firmato da questo ministro delle Finanze dott. Kalfus e dal sottosegretario di Stato al ministero romeno delle Finanze signor Badulescu una convenzione, in base alla quale la Cecoslovacchia apre alla Romania un credito di circa 200 milioni di corone per finanziare acquisti di prodotti cecoslovacchi. La Romania dovrà estinguere tale debito entro dieci anni.

Già prima della firma dell'accordo si era detto che la somma in questione avrebbe dovuto servire a pagare forniture di materiale bellico di fabbriche cecoslovacche alla Romania. Oggi tale notizia viene anche confermata dall'ufficiosa Prager Presse. La conclusione dell'accordo è una manifestazione della collaborazione economica fra i Paesi della Piccola Intesa i quali, come è noto, tendono a raggiungere per quanto possibile una collaborazione anche negli armamenti (l).

539.

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2546/1318. Vienna, 15 luglio 1936 (per. il 18).

Passata la prima viva impressione suscitata dall'annunzio del raggiunto accordo austro-tedesco, cominciano a delinearsi varie tendenze nella valutazione di esso e delle sue eventuali conseguenze.

Naturalmente, dette tendenze corrispondono a determinate categorie politiche e sociali, e sono influenzate, come è del resto ovvio, dagli ideali politici e dai particolari interessi d'ogni singola categoria.

Premesso che il valore dell'accordo dipenderà in realtà dalla resistenza che l'Austria saprà opporre, come già alle ostili minaccie, agli allettamenti amichevoli del nazionalsocialismo tedesco, può dirsi in genere che gli elementi cristiano-sociali sono i più entusiasti del raggiunto accordo, da essi attribuito esclusivamente alla sagacia politica del dott. Schuschnigg ed alla libertà di movimento procacciatasi dopo l'ultimo rimpasto ministeriale, mercé l'allontanamento del principe Starhemberg dal governo e la sparizione d'ogni dualismo.

Del pari mostransi soddisfatti gli elementi moderati «nazionali», che non nascondono la loro gratitudine al dott. Schuschnigg pel fatto di aver ad essi pensato fin dal giorno della costituzione del suo terzo ministero. Senonché, a quanto mi è stato riferito, la parte più radicale del movimento sarebbe assai insoddisfatta, lamentando vivamente che la partecipazione dei «nazionali » non

(l} Il presente documento reca il visto di Mussolini.

sia restata strettamente subordinata all'accoglimento, da parte del Cancelliere, delle condizioni essenziali sempre state enunciate come contropartita alla loro collaborazione al governo. Come a V. E. è noto, il gruppo dei «nazionali» è assai ristretto, ed è composto da persone aventi più situazioni di prestigio personale, che largo seguito politico.

Anche soddisfatte sono tutte le categorie industriali e commerciali (tranne naturalmente le ebraiche), che sperano in un imminente aumento dei loro traffici. Tra queste categorie sono da segnalarsi quelle degli albergatori, grandi e piccoli, particolarmente del Tirolo e del Salisburghese, i quali confidano di poter presto contare su di un numeroso turismo tedesco.

Ben diverso appare l'atteggiamento dei nazisti, delle Heimwehren, degli ebrei e dei legittimisti.

Circa i nazisti, da tutti i Lander mi viene segnalato che essi si mostrano assai insoddisfatti dell'accordo, che definiscono di vero e proprio tradimento. Comunque, come ho già riferito a V. E., non si sono verificate fin'oggi gravi reazioni. Per quanto riguarda Vienna, oltre al lancio di manifestini inneggianti a Hitler, che ebbe luogo due notti fa, si è prodotta ieri una distribuzione di foglietti volanti in cui viene affermato che Hitler ha tradito il nazionalsocialismo austriaco. In Alta Austria sarebbero state dipinte grandi croci uncinate e scritte contro gli Asburgo. Nella Stiria, dove peraltro prevarrebbe una grande calma, sarebbero stati lanciati qua e là manifestini dalle croci uncinate. Nulla di speciale mi è stato segnalato dal Tirolo e dalla Carinzia.

Circa le Heimwehren, la situazione è più delicata. Sull'argomento riferisco con teleposta riservato dal numero seguente (1).

Circa gli elementi ebraici è da segnalarsi che essi sono in preda ad un vero panico, temendo che presto o tardi si formerà a Vienna un governo completamente influenzato dal nazionalsocialismo tedesco, che non mancherebbe di prendere contro di essi provvedimenti analoghi a quelli vigenti in Germania. I fuorusciti dal Reich, pervasi dalla stessa preoccupazione, temono ancora maggiori rigori ai loro danni.

Circa i legittimisti può dirsi che essi sono in preda ad una malcelata apprensione ed irritazione, ritenendo che l'accordo potrà avere serie conseguenze nei riguardi della loro causa. Ciò pertanto, giusta una informazione di buona fonte, essi vorrebbero rendersi conto di quanto il Cancelliere sia disposto, nella nuova situazione, a conceder loro: avrebbero così l'idea di chiedergli che un loro rappresentante sia chiamato a far parte del governo, stante che in questo

sono ormai rappresentati tutti i gruppi politici del Paese.

Intanto si fa correre la voce -e non mi è stato dato di precisare se dalla stessa parte legittimista ovvero dai cristiano-sociali -che poiché nell'accordo è consacrato il principio della non ingerenza del Reich negli affari interni dell'Austria, e poiché la questione della restaurazione è esclusivamente una questione interna del Paese, così è rimasta già virtualmente stabilita una piena libertà d'azione del governo in tutto quanto concerne il legittimismo. Altra voce sostiene che il Cancelliere, nei suoi negoziati con Papen, abbia

trattato la questione asburgica, ottenendo il pieno riconoscimento del carattere interno di essa: ma questa voce non ha fondamento, giacché, come mi è stato ancora ieri accennato al Ballplatz, la questione asburgica, pel suo stesso carattere strettamente austriaco, non sarebbe stata in alcuna guisa accennata

o sollevata dal Cancelliere (l) .

(l) -Vedi D. 451. (2) -Sic.

(l) Il presente documento reca 11 visto di Mussollni.

(l) Non pubblicato.

540

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, BELLARDI RICCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1898/662. Varsavia, 15 luglio 1936 (per. il 20).

L'annunzio dell'accordo austro-tedesco, anche qui giunto inatteso, è stato accolto in un primo momento a Varsavia con un senso piuttosto di disorientamento, al quale incomincia oggi a succedere una più reale valutazione della situazione.

L'atteggiamento sinora manifestato dalla Polonia nei riguardi del problema austriaco è noto a V. E. Malgrado le voci corse circa presunte affermazioni fatte da Beck ancora recentemente a Belgrado, secondo le quali sarebbe apparso che il ministro degli Esteri polacco intravedesse l'« Anschluss » come l'unica soluzione possibile del problema stesso (Telespresso di V. E. n. 218811/C del 4 giugno u.s.) (2), è al contrario fondamentale da ritenersi che il Governo di Varsavia abbia sempre al riguardo mantenuto un apprezzamento e seguito un atteggiamento piuttosto di indifferenza, preoccupato come esso era di non mettersi contro né a Roma né a Berlino in una questione che effettivamente non lo interessava in modo diretto.

L'accordo raggiunto tra Germania ed Austria ha dunque trovato Varsavia in questa situazione che si potrebbe dire neutrale. Su di esso, in assenza del ministro Beck, che trovasi da qualche giorno a Gdynia e non rientrerà a Varsavia che dopo la cerimonia della presentazione delle credenziali di S. E. il Regio ambasciatore a Cracovia, ho parlato ieri con il sottosegretario agli Esteri, conte Szembek, il quale pur mantenendosi, come d'altronde abitualmente usa, sulle generali, mi ha affermato che la normalizzazione dei rapporti tra Vienna e Berlino è vista a Varsavia molto favorevolmente, come tutto ciò che può contribuire a rischiarare l'orizzonte europeo ed a raggiungere quella pacifica collaborazione internazionale che la Polonia ha sempre auspicato. D'altronde, ha aggiunto, questa non può che congratularsi dell'intesa sopravvenuta tra due Stati che le sono vicini e con entrambi i quali essa intrattiene ottime relazioni. Nel corso della conversazione il conte Szembek ha accennato alla sua convinzione che l'accordo è dovuto in parte assai rilevante ad iniziativa del Duce e segna perciò un nuovo notevole successo della sua politica. Altro non mi ha detto, o meglio non mi ha saputo dire in assenza del ministro. So che pressap

poco negli stessi termini egli si è espresso pure ieri con questo ambasciatore di Germania e con l'incaricato d'affari di Austria.

La stampa polacca ha dato subito grande rilievo all'inatteso avvenimento affermando fra l'altro che esso deve essere salutato dall'opinione pubblica polacca come la più importante effettiva garanzia di pace europea dopo l'accordo polono-tedesco del 1934 (1). È stato messo in genere in risalto la parte che l'Italia vi ha avuto indubbiamente. Segnatamente l'Express Poranny del 13 corrente ha sottolineato doversi tener presente che l'accordo è stato in effetto concluso tra Roma e Berlino, alla cui reciproca collaborazione l'Austria costituiva finora l'ostacolo. Ed ha aggiunto che «chi ha vinto oggi è l'Italia la quale, da accusata che era, sta diventando mediatrice tra Germania Inghilterra e Francia». È pure rilevato . che mentre l'accordo tra Berlino e Vienna è un grave colpo inferto alla Lega delle Nazioni, alla politica francese, alla Piccola Intesa e alla Gran Bretagna, oggi, liberatasi dalla preoccupazione austriaca, l'Italia può volgere liberamente tutta la sua attenzione agli altri problemi importanti che la concernono.

D'altra parte, non si è tardato a sottolineare che l'accordo germanoaustriaco crea una nuova situazione di fronte alla quale gli Stati interessati direttamente od indirettamente al problema danubiano, dovranno assumere un atteggiamento rispondente ai propri interessi nazionali. Così il Czas, osservando che con l'accordo attuale viene a delinearsi un grande blocco che taglia e separa l'Europa occidentale da quella orientale, ha sostenuto che la Polonia, legata alla Francia da un trattato di alleanza e alla Germania da un patto di non aggressione, non può permettere che i problemi internazionali attuali siano risolti all'infuori di essa. E qui è apparso subito chiaramente quello che ha sempre costituito e costituisce lo spauracchio per la Polonia: la possibile riapparizione del Patto a Quattro. Parecchi giornali ne hanno parlato, deprecando la possibilità di una paventata egemonia delle grandi Potenze, da cui la Polonia fosse lasciata fuori. A questo proposito, talun giornale -come il Warszawski Dziennik Narodowy -ha affermato che la Polonia deve appoggiare la politica italiana, che non è quella di costituire due blocchi antagonistici, bensì di assicurare all'Europa la sicurezza e la pace mediante la collaborazione e l'accordo tra le grandi Potenze, ciò che permette all'Italia stessa di non legarsi a nessuna di esse. Ciò naturalmente -ha sottolineato il Warszawski Dziennik Narodowy-a condizione che fra le grandi potenze sia ammessa anche la Polonia a parità di condizioni e di diritti. La politica di Varsavia deve collaborare con gli sforzi della diplomazia italiana per attrarre nel concerto europeo Russia e Germania. Soltanto un patto a sei sarebbe concreto ed efficace e dovrebbe trovare il pieno appoggio della politica polacca.

Occorre tener presente che il timore di essere lasciata fuori costituisce la principale preoccupazione attuale della Polonia, di fronte alla nuova e più intensa attività diplomatica che si apre all'indomani dell'accordo austro-tedesco. Infatti, qualche altro allarme apparso isolatamente, in questi primi giorni,

sulla possibilità che, rinunziato almeno per ora all'Austria, la Germania possa premere sulla Polonia minacciandone l'integrità territoriale, oppure sopratutto su Danzica, è rimasto senza seguito, ed ha anzi avuto stamane una «messa a punto» dall'Express Poranny, evidentemente ispirata, a quanto mi si assicura, da questo Ministero degli Affari Esteri. In essa è infatti deplorato che «gli

allarmisti di professione abbiano colto quest'occasione per diffondere il panico nell'opinione pubblica polacca affermando che l'accordo austro-tedesco sia contrarlo agli interessi della Polonia e reclamando un cambiamento di direzione della politica estera polacca». Tali allarmi sono qualificati «infondati ed insensati». «Il fatto» -sottolinea in seguito questo quotidiano -«che la Germania abbia fatto macchina indietro nel problema di Danzica sta a dimostrare che a Berlino si è capito perfettamente che la Polonia è decisa a difendere con tutti i mezzi i suoi diritti sulla Città Libera, diritti che costituiscono la garanzia e la condizione basilare dei buoni rapporti con la Polonia».

È da rilevare peraltro, fra i commenti, che non si è mancato di cogliere l'occasione per lanciare una frecciata contro la Cecoslovacchia.

Vari giornali hanno rilevato infatti con evidente compiacimento che l'accordo austro-tedesco sta a confermare la tendenza del Reich all'espansione verso Sud, ciò che non può non inquietare considerevolmente Praga. Il filogovernativo Kurjer Codzienny Ilustrowany ha addirittura affermato che «la Cecoslovacchia, in seguito all'accordo, viene a trovarsi in una situazione disperata. La pressione germanica sulle province tedesche della Cecoslovacchia aumenterà di giorno in giorno».

Concludendo, l'atteggiamento che qui si può rilevare in questi primi giorni di fronte all'importantissimo avvenimento è, in complesso di attesa accompagnata dal marcato desiderio che dallo sviluppo che ne seguirà nelle grandi linee della politica europea la Polonia non debba rimanere assente.

Caratteristico -e ne riferisco a titolo di cronaca -l'atteggiamento personale manifestato dai vari rappresentanti diplomatici qui accreditati, almeno dai pochi rimasti in sede durante l'attuale periodo di ferie estive. L'ambasciatore di Germania, signor von Moltke, ha dimostrato una contenuta soddisfazione insistendo specialmente nel sottolineare che l'accordo con l'Austria prova in modo inequivocabile la buona volontà della Germania ed il suo sincero desiderio di pace. Di uno sconfortante pessimismo ha dato invece immediatamente sentore questo ambasciatore di Francia, signor No1H, il quale non ha taciuto la propria convinzione che Berlino, nel riconoscere l'indipendenza dell'Austria, ha agito in malafede: si sa d'altronde -ha aggiunto il signor Noel -che Hitler ha più volte dichiarato che per arrivare all'« Anschluss » bastava lasciar l'Austria libera di sé. Fra gli altri diplomatici, raggiante naturalmente l'incaricato d'affari d'Austria e visibilmente contento il ministro d'Ungheria, signor de Hory. Quanto ai ministri di Cecoslovacchia e di Rumania, palesemente impressionati ed inquieti. Un po' acido, il ministro di Grecia, signor Collas; ma forse questo è un suo abito mentale, già manifestato in varie occasioni nei nostri riguardi durante il conflitto itala-etiopico, segnatamente -a quanto mi risulta -durante la fase definitiva (1).

(l) -Il documento reca il visto di Mussolin!. (2) -Non pubblicato.

(l) Dichiarazione di non aggressione e di intesa tra Germania e Polonia del 26 gennaio 1934 (in DDT, serie c, vol. II, l. D. 219).

(l) Il presente documento reca il visto eli Mussollni.

541

IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6946/166 R. Tangeri, 16 luglio 1936, ore 12,15 (per. ore 15,15).

Informatore comunicami che in seguito uccisione deputato Calvo Sotelo, sarebbe in preparazione in !spagna nuova sollevazione che sarà diretta da generale Franco, oggi governatore Canarie. Pronunciamento dovrebbe aver inizio Tetuan a mezzo della legione straniera.

542

L'AMBASCIATORE IN CINA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7010/215 R. Shanghai, 16 luglio 1936, ore 14 (per. ore 24).

Riferisco colloquio avuto a Nanchino con Kung. Dopo aver espresso sorpresa e malcontento del R. Governo per recenti manifestazioni del Governo di Nanchino, come da mio telegramma n. 214 di ieri (1), ho detto che, malgrado tutto, Governo italiano avrebbe potuto riannodarsi alla politica di stretta amicizia esistente tra i due Paesi e non avrebbe avuto difficoltà a considerare chiusa la parentesi sanzioni e a venire incontro al Governo cinese, sempre che gesto fosse ricambiato di buona voglia e con chiara manifestazione che simile indirizzo politico rispondesse al libero desiderio del Governo cinese. Ho aggiunto che trattasi di mettere nuovamente in atto nostra collaborazione. Cina non doveva avere ritegno a suggerire forme che meglio gradiva o ad apportare modifiche a quelle esistenti.

Kung mi ha risposto che la Cina era profondamente sensibile a questo modo di presentare le cose e non poteva che esternare identico desiderio di ritornare allo spirito amicizia preesistente. In quanto alle forme di collaborazione oggi in atto esso le gradiva e spererebbe poterle sviluppare.

Gli ho allora accennato alle difficoltà incontrate sinora dalla nostra missione aeronautica, invitandolo a dirmi con sincerità se Governo cinese avesse nulla contro sua esistenza, ovvero avesse da suggerire modifiche al suo carattere attuale.

Ha risposto missione aveva dovuto superare alcune asperità e che sua opera era stata intralciata da constatati difetti di alcuni nostri fornitori ma che non vi era oggi alcuna abbiezione al suo funzionamento, nè si avevano da chiedere modifiche di alcun genere.

Nel ringraziare Kung di questa dichiarazione gli ho detto che bisognava, tuttavia, dare alla collaborazione un peso più tangibile mediante sviluppo

acquisti in Italia di prodotti della nostra industria di genere con eventuale contropartita di acquisti di materie prime cinesi da parte dell'Italia e gli ho domandato se non fosse disposto a studiare qualche combinazione di scambio, visto che Governo cinese si dimostrava proclive in questo senso verso altri Paesi europei. Gli ho detto che presto avremmo avuto qui un addetto commerciale che avrebbe potuto concorrere a questi studi.

Kung ha risposto in massima favorevolmente a questi miei assaggi e mi ha detto che, come prima cosa, bisognava compilare lista prodotti che Italia e Cina potevano reciprocamente offrirsi e che dava disposizioni per cominciare questo studio presso organi competenti cinesi.

Al saluto che gli ho porto in nome V. E. illustrandogli il valore della partecipazione di V. E. a qualsiasi conversazione europea che possa riguardare la Cina, egli mi ha risposto con eguale calore.

Ho avuto impressione che Kung cercasse attenuare presso Governo italiano effetti sfavorevoli delle manifestazioni del Generalissimo e volesse veramente dedicarsi con qualche diligenza a migliorare relazioni italo-cinesi, possibilmente con qualche tangibile incremento al volume dei commerci. Della sincerità di questo proposito potremo convincerci all'atto pratico.

Kung mi ha detto che avrebbe riferito a Chiang-Kai-shek nostro colloquio e che avrebbe potuto così disporre per un incontro fra me e Chiang-Kaishek al ritorno di questi da Kulin in momento più sereno e con opportuna preparazione, senza della quale è notorio che colloqui con Generalissimo rimangono sterili.

(l) Vedi D. 530.

543

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6949/298 R. Berlino, 16 luglio 1936, ore 20,40 (per. ore 21,55).

Incaricato di affari tedesco a Londra ha visto pomeriggio di ieri Vansittart e gli ha domandato intenzioni inglesi circa conferenza di Bruxelles. Vansittart, pur dichiarandosi genericamente favorevole ad una «Conferenza a cinque», non ha detto nulla di impegnativo. Bismarck allora gli ha fatto osservare che Germania, ove non fosse invitata fin dall'inizio, difficilmente potrebbe intervenire poi. Vansittart, apparentemente colpito da questa dichiarazione, si sarebbe affrettato a rispondere che se anche una conferenza preliminare avesse luogo, essa avrebbe carattere puramente «formale».

Sulle altre date possibili per una «Conferenza a cinque», sarebbero stati menzionati i primi giorni di settembre, oppure di ottobre.

Ministro del Belgio a Berlino mi assicura che anche suo Governo ritiene una « Conferenza a tre » senza scopo, ma che Francia insiste ancora, per «qualche cosa». Anche François-Poncet dice che ormai Francia si contenterebbe di una riunione puramente formale e preliminare, intesa soltanto a fissare data di una riunione a cinque.

544

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6954-6981/870-871 R. Ginevra, 16 luglio 1936, ore 21,50 (per. ore 7 del 17).

Ho dato conoscenza ad Aras di quanto contenuto nel telegramma di V. E.

n. 113 (1). Aras ha preso qualche appunto e mi ha dichiarato che era molto grato a V. E. di tale comunicazione che giudicava di grande importanza. Gli ho chiesto quale risposta avrei potuto dare a V. E. circa atteggiamento

Turchia nei confronti della dichiarazione unilaterale britannica. Aras mi fece un lungo esposto di cui riassumo punti principali.

l) Egli intende, non appena la convenzione per gli Stretti sarà firmata, prendere contatti con V. E. per ottenere che l'Italia o aderisca alla convenzione

o accetti di negoziare un patto bilaterale che potrebbe essere diverso quanto alla forma, ma che dovrebbe essere, quanto alla portata, nel quadro della convenzione stessa.

2) Le sue dichiarazioni circa la ratifica e l'entrata in vigore della convenzione erano state erroneamente interpretate dalla stampa francese poiché esse non avevano nessun carattere men che riguardoso per l'Italia. Nella seduta odierna si proponeva di dichiarare che l'adesione alla convenzione sarà aperta solo ai firmatari della convenzione di Losanna: quindi solo all'Italia.

3) Suo programma è di riavvicinare Italia all'Inghilterra il suo Paese non potendo essere sicuro nel Mediterraneo che sulla base di una politica di amicizia itala-inglese. Si propone quindi, appena firmata convenzione, di andare magari a Londra per cercare di realizzare ed ottenere suo desiderio. Ad ogni modo, a convenzione firmata, affronterà con l'Inghilterra il problema dell'assistenza unilaterale. Egli non può denunziare una protezione che gli è stata generosamente offerta.

Ho detto ad Aras che se non si affrettava a prendere posizione chiara ed esplicita su questo punto, dopo le dichiarazioni leali e amichevoli che gli avevo fatto nel nome di V. E., le ripercussioni sarebbero state disastrose a Roma. Egli aveva ampia giustificazione per dichiarare agli stipulanti che loro assistenza non aveva più motivo di sussistere dopo le chiarissime assicurazioni avute da Roma e sopratutto in vista del desiderio che egli manifestava di volere, subito dopo la firma della convenzione, intavolare trattative dirette con l'Italia. Ogni trattativa era da escludere finché l'orizzonte mediterraneo non fosse assolutamente terso.

Aras mi ha allora detto che le dichiarazioni che gli avevo fatto per ordine di V. E. erano importantissime: che le avrebbe meditate col proposito di far qualche cosa, che si sarebbe consultato anche con Belgrado ed Atene. Ho avuto però netta l'impressione che Aras si senta le mani legate.

4) Ho chiesto ad Aras come mai l'Inghilterra avesse cambiato così improvvisamente idea per quanto concerneva inserzione dei patti di mutua assistenza nella convenzione.

Aras mi ha risposto con un delizioso candore che tutto il merito di tale metamorfosi era dovuto a lui, perché l'Ammiragliato in lotta col Foreign Office aveva voluto cortesemente accedere ai punti di vista da lui fatti presente ripetute volte a Stanley. Tuttavia tale menzione non doveva, né poteva, preoccupare nessuno. «La realtà -ha aggiunto testualmente Aras -è che praticamente gli Stretti saranno chiusi a tutti i belligeranti. Li potrà aprire solo nel caso di un impegno diretto della Turchia; ma in questo caso sarò belligerante anche io (1). All'ora attuale la Turchia non ha che un patto di cui è firmataria: il Balcanico, e questo non ci imporrà l'apertura degli Stretti, perché una guerra balcanica si svolgerà per terra e non per mare. Esiste poi il patto unilaterale (l) mediterraneo, ma questo sarà prima o poi liquidato. Per quanto concerne il protocollo per la definizione dell'aggressore, codesto è patto di non aggressione e non di mutua assistenza~ (sic).

Ho allora osservato che se questo concerneva il bilancio passato vi era il bilancio dell'avvenire e già sapevo che egli stava trattando per un patto con la Francia che non avrebbe certo mancato di fare registrare alla S.d.N., secondo quanto prevedeva l'articolo 18 della nuova convenzione.

Aras ha protestato « che questa era la volontà degli altri e non la sua e che la cosa era ancora molto vaga».

Gli ho risposto che in mezzo a tutti questi impegni passati e a quelli che si profilavano per l'avvenire l'Italia, come grande Potenza mediterranea e interessata più di ogni altra alla pace e all'equilibrio di questo mare, doveva conservarsi la più ampia libertà d'azione su quanto si concordava a Montreux in sua assenza e fare quindi le più ampie riserve sulla portata di tutte le intese negoziate con fini non perfettamente a noi chiari.

Aras ha risposto che egli aveva tenuto sempre presente l'Italia durante tutto il corso della Conferenza. Non vi era nulla nella convenzione, già accettabile per la Russia, la Francia, l'Inghilterra e gli altri Paesi mediterranei, che non potesse essere accettabile per l'Italia. Egli cercherà diplomaticamente stabilire anzi che l'accordo non entri in vigore se non dopo raccolte sei ratifiche su dieci firmatari e, nel suo pensiero, la sesta ratifica dovrebbe essere quella dell'Italia. Ha insistito nel dire poi che nella dichiarazione di V.E. egli vedeva una occasione felice per migliorare non solo le relazioni itala-turche, ma anche

quelle itala-inglesi. Con la sua inesauribile facondia Aras ha aggiunto che non solo egli spera di essere il trait-d'union fra l'Italia e l'Inghilterra ma anche quello fra Germania e Russia, date le ottime relazioni che egli mantiene con entrambi i Paesi. Panacea per tutti i mali insomma, come V. E. vede.

5) Aras spera che la convenzione possa essere firmata lunedì. Per il riarmo degli Stretti spera che possa essere redatto un protocollo a parte in modo che la Turchia sia subito autorizzata a riarmare. Le linee di navigazione Giappone sarebbero favorevoli su tutti i punti (1). Avrebbe fatto solo delle riserve circa le menzioni relative alla S.d.N., forse in un protocollo a parte al momento della firma (1). Quanto delegazione Bulgaria Aras ha assicurato che sarà favorevole, «la Bulgaria avendo agito con lui come se fosse un aderente al Patto balcanico».

6) Come V. E. vede Aras non ha precisato che l'accordo di assistenza unilaterale è per lui decaduto. Il fatto che egli sia stato molto reticente e si sia riservato di esaminare la questione, pur abbondando in ringraziamenti per la nostra comunicazione, la sua idea fissa di intervenire a Londra per una risoluzione generale del problema, quasi a farsi forte dell'influenza che egli può avere sull'Inghilterra, mi lasciano supporre che tra Ankara e Londra non vi sia solo un patto unilaterale di assistenza ma probabilmente qualche accordo più preciso.

(l) T. 3289/113 R. del 15 luglio, ore 24. trasmetteva alla delegazione a Ginevra il contenuto del D. 520.

(l) Sic.

545

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 2856/1020. Berlino, 16 luglio 1936 (per. il 18).

Con mio telegramma n. 292 del 14 corr. (2) ho già informato V. E. della reazione prodotta qui, in certi circoli del partito, dall'accordo austro-tedesco.

È indubitato che, nella massa più o meno amorfa, l'avvenimento ha dovuto essere salutato con un senso direi quasi di sollievo: quello di una preoccupazione e di un ostacolo di meno sulla via della pace e della tranquillità del Paese. Non così, invece, nei circoli più dinamici del partito, i quali -come conseguenza dei fatti del 7 marzo e delle continue, progressive conquiste ed affermazioni della Germania hitleriana nel campo della politica estera -si trovavano come in preda ad un processo di sempre più intensa elevazione spirituale e nazionale. Donde una ripresa -innegabile -nelle diverse forme di propaganda nazista all'estero e, da ultimo, gli stessi fatti di Danzica e le esplosioni del signor Greiser (3). Per quanto riguarda l'Austria in particolare, quegli stessi circoli vede

vano, nella distensione dei rapporti italo-tedeschi, una garanzia ed un auspic1o, ma nel senso -tuttavia -che l'Italia, rabbonita dall'antisanzionismo tedesco, avrebbe finito col «comprendere» le ragioni ed il punto di vista della Germania e si sarebbe resa conto che l'interesse suo ad una soluzione -per dir così italiana -della questione era sopravanzato dai vantaggi che l'amicizia e l'appoggio della Germania in tutti gli altri campi avrebbe potuto portarle.

Donde le reticenze e la estrema cautela osservata sempre con me, in materia, da tutti gli esponenti maggiori del partito compreso lo stesso Gi.iring (che pure ne rappresenta l'ala più italofila), illuminate, quasi a sprazzi, da qualche piccola indiscrezione di Frank, di qualche esponente minore della Casa Bruna, di qualche giornalista. Per tutti costoro, il massimo dei sacrifici che la Germania potesse fare per l'Italia era rappresentato dal Sud Tirolo, non ostante che verso di esso protendesse tuttora, in un senso di naturale solidarietà, tutta l'anima del popolo tedesco.

È appunto in questa situazione di spiriti che, mentre non si era ancora spenta l'eco dei gesti ginevrini di Greiser e della nuova ondata nazionalistica seguitane, è scoppiata la bomba di Vienna. Tutti erano fuori: fuori il Fiihrer, fuori Gi.iring, fuori Hess, fuori -e non col Fiihrer -lo stesso Ribbentrop. Quasi lo stesso giorno le Deutsch-Oesterreichische Nachrichten, organo degli emigrati austriaci in Germania, pubblicavano, su tutta la prima pagina a lutto, l'elenco delle condanne a morte ed al carcere pronunciate a tutt'oggi in Austria contro nazionalsocialisti, invocando a favore delle vittime lo sdegno e la memoria ultrice del partito!

L'accordo austro-tedesco consacra:

1) la piena sovranità austriaca;

2) la non ingerenza;

3) il carattere interno del problema nazista austriaco; ,

4) i patti, anteriori e posteriori, di Roma.

La Germania -si osserva però -riconosce la sovranità, ma non l'indipendenza dell'Austria. Questo è sofisma: nei 4 punti consacrati dall'accordo sono racchiusi tutti gli attributi essenziali della indipendenza austriaca. Se si considera che la non ingerenza arriva alla pratica sconfessione del partito nazista austriaco -il quale viene così formalmente sottratto ad ogni legame e dipendenza da Monaco -si ha la giusta misura del sacrificio compiuto da Hitler e della disillusione inflitta agli estremisti del partito, disillusione che il pur espresso riconoscimento dell'Austria come Stato tedesco -per quanto di indubbia portata morale -non ha affatto attenuato agli occhi del partito.

Conscio di questo, Hitler volle che l'annunzio dell'accordo fosse dato, non dall'Auswartiges Amt, ma dal maggiore gerarca del Partito: Hess. Questi essendo risultato irreperibile, subentrò, sempre per ordine del Fiihrer, Goebbels. Ma questi, mentre faceva alla radio delle dichiarazioni di una sobrietà che era in stridente contrasto colla soddisfazione e quasi la gioia mostrata da Schuschnigg, imponeva pure alla stessa stampa un tono direi quasi minore e di relativo riserbo che si è mantenuto e mantiene tuttora. È la prima volta che un fatto di politica estera non viene, nella Germania nazista, sfruttato a scopi di politica interna. V. E. avrà pure rilevato che, in un primo momento, la stampa tedesca ha anche cercato, evidentemente per ispira?.ione superiore, di escludere dall'accordo ogni collaborazione ed ingerenza altrui. Degna di molta nota è pure la circostanza che -eccezione fatta per una modesta allusione del modestissimo Frick -nessuno dei pur numerosi e loquaci uomini di Governo e di Partito ha preso la parola non dico per esaltare, ma soltanto per ricordare e salutare. l'avvenimento.

Del resto, v'è chi dice che lo stesso Goebbels non abbia saputo nulla dell'accordo se non al momento in cui ricevette l'ordine di comunicarlo. Inde irae ...

Il colpo portato al partito -colpo che, ripeto, l'auto-riconoscimento dell'Austria come Stato tedesco non riesce ad intaccare seriamente -appare tanto duro da non escludere ch'esso possa richiedere una qualche reazione. Almeno in un primo tempo, lo stesso Fuhrer sarà forse costretto a mostrare che il riconoscimento della indipendenza austriaca non menoma la legittimità del movimento per una unione « spirituale » e culturale di tutti i tedeschi. Ma, a parte questa, che sarà una concessione prevalentemente tattica, un'altra reazione assai più importante è da attendersi nel campo della politica estera ed è che, compressa in una delle espressioni fondamentali della propria Weltanschauung, la Germania nazista concentri ora la somma dei propri sforzi e quasi la stessa sua ragione d'essere nella crociata contro il bolscevismo. Già da parte sovietica si intuisce, quasi istintivamente, che l'avere la Germania chiuso -o almeno socchiuso -le vie occidentali della propria espansione, ha fatalmente per risultato quello di spingerla a tener aperte quelle orientali. Se, quindi, la Germania nazista si è sempre mostrata restia a compromessi e ad intese con la Russia bolscevica, è da presumere che si irrigidirà in questa posizione sempre più e sempre più fatalmente, limitando così, sensibilmente, il campo della collaborazione europea.

L'accordo austro-tedesco costituisce, nello spirito dello stesso Hitler, una definitiva rinunzia alle aspirazioni tedesche sull'Austria? No. Soltanto, il compimento di queste aspirazioni -se e quando esso sarà possibile -è lasciato al solo gioco delle forze naturali. Il problema austriaco, in quanto problema internazionale, viene coll'accordo di Vienna, riconosciuto di fatto come non attuale. È per lo meno una «pausa» che si offre alla sua soluzione, pausa la cui lunghezza dipenderà, sopra tutto, dalla stessa Austria. Il problema della indipendenza austriaca sarà, ora più che mai, un problema «interno». Se l'Austria, cosciente della sua missione storica, vorrà rimanere indipendente potrà farlo. Se, decisamente, non lo vorrà, nulla potrà impedirlo. È vano pensare di poter

mettere il sale... sulla coda della storia. Né, comunque, sarà, in fatto di autonomia politica interna ed estera, da attendersi da una Austria del dopoguerra qualcosa di molto diverso o di più di quanto si mostrava capace di dare l'Austria, pur indipendente e sovrana, dell'anteguerra.

Per ragioni psicologiche facili a intuirsi, Hitler ha dato all'Austria, negoziando direttamente con essa, assai di più di quanto avrebbe dato in una negozìazione plurima. D'altra parte, Hitler ha pure compreso che -con una Italia uscita trionfalmente dalla prova della guerra abissina e potenziata da una vittoria assai più rapida e completa di quanto egli stesso si attendesse -avrebbe dovuto: o rinunziare per sempre ad una qualunque soluzione del problema austriaco e compromettere irrimediabilmente il suo sogno di una dorsale centroeuropea, oppure cedere. Ed ha -anche sotto l'assillo della preoccupazione antiasburgica -ceduto.

E, mentre ha negoziato e concluso con l'Austria, ha ceduto... all'Italia! (1).

(l) -Sic. (2) -Vedi D. 522. (3) -Vedi p. 516, nota l.
546

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 8150/820. Budapest, 16 luglio 1936 (per. il 18).

Secondo mi conferma questo R. addetto militare, che ha direttamente riferito in proposito al R. Ministero della Guerra le relazioni tra esercito tedesco e ungherese continuano particolarmente attive, con lo scambio di visite di ufficiali per studiare determinati problemi, per compiere servizio presso unità di truppe, per assistere ad esercitazioni o ad esibizione di nuovi materiali.

La collaborazione tra i due Stati Maggiori è rivolta essenzialmente contro la Cecoslovacchia e si esplica -secondo risulta al tenente colonnello Mattioli nello scambio pressoché integrale delle informazioni concernenti tale Stato, oltreché -verosimilmente -in accordi di carattere operativo per un'eventuale azione contro di esso.

Particolarmente frequenti sono i contatti tra ufficiali dei servizi tecnici, contatti che ha motivo di ritenere siano sollecitati principalmente da parte ungherese per avere dati e notizie sulla più progredita attrezzatura dell'Esercito germanico. Queste autorità militari non nascondono che le loro richieste sono

sempre accolte di buon grado da parte tedesca.

Al riguardo va rilevato la visita compiuta in questi ultimi tempi a Budapest da una missione di tecnici militari tedeschi agli ordini del gen. Becker, e quella del gen. Sachs per assistere ad alcune esercitazioni di collegamento radio. A

quanto consta quest'ultimo, conversando con ufficiali ungheresi, avrebbe detto che «la Germania vuole espandersi verso est e non verso sud-est» e che, pur di mettersi d'accordo con l'Italia, non.avrebbe esitato a «cederle la Carinzia» (1).

(l) Il presente docnmento reca il visto di Mussolini.

547

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6979/188 R. Ankara, 17 luglio 1936, ore 0,25 (per. ore 7).

Telegramma di V. E. n. 3263/C (2) e mio telegramma n. 185 (3). Ho veduto Saracoglu.

Mi sono espresso conforme alle istruzioni di V. E., sviluppando seguente punto di vista (4) programma pacificazione europea voluto da S. E. il capo del governo dopo assicurati obiettivi abissini. A questo tutte le Potenze dovevano contribuire compresa Turchia con soppressione ogni accordo mediterraneo antitaliano in relazione sanzioni abolite da ieri.

Inghilterra ci aveva fatto sapere che accordi bilaterali cessavano dal 15 corr.; ma restava suo impegno unilaterale ed i timori espressi da alcuni Stati mediterranei. Ciò peggiorava situazione anziché chiarirla. Ipotesi sulla vendetta e rappresaglia era, oltre che offensiva, contraria ad ogni nostra possibile intenzione che era poi quella di tenere fermi nostri rapporti amicizia con Turchia e fede al patto d'amicizia che avevamo con essa. Ciò ero incaricato far conoscere al Governo turco nel modo più preciso e solenne. Una garanzia inglese a difesa degli Stati mediterranei sarebbe stata inutile ed il suo mantenimento gettava un'ombra intollerabile sulla nostra lealtà e ritardava la desiderata pacificazione. Gli ho esposto tutta la storia rapporti italo-turchi e segnatamente dall'ottobre in poi per dimostrargli che eravamo, se mai, noi a doverci dispiacere di un oblio del patto di amicizia da parte Ankara, mentre di tutte nostre profferte amichevoli al Governo turco non erasi tenuto alcun conto.

Fatto poi lungamente soffermare sulla possibilità che un nostro accrescimento di potenza giustificasse il diffuso timore turco, che ho dimostrato essere del tutto infondato, confermando Turchia nulla aveva da temere di supposte nostre mire di espansione ineffettuabili e cervellotiche. Mi sono poi diffuso sulla funzione del Dodecanneso che, a mio modo di vedere non può minacciare Turchia. Ho concluso pregandolo prendere atto mie dichiarazioni e rispondere alla domanda fatta il 10 corr.

Ministro degli Affari Esteri ad interim che ha stenografato mie dichiarazioni, mi ha risposto soltanto stamane aveva avuto, con la Grecia e la Jugoslavia, la risposta inglese che era appunto quella çhe gli dicevo. Egli riteneva, personalmente, che Turchia risponderà come Grecia o Jugoslavia, ma non poteva dire ciò ufficialmente senza prima parlare con Ismet e avere una decisione di Gabinetto. Avrebbe risposto anche alle mie dichiarazioni, delle quali, del resto, egli personalmente si dichiarava lieto e soddisfatto.

Gli ho allora replicato che se mie dichiarazioni fossero trovate soddisfacenti conclusione logica era, che come Inghilterra aveva rinunziato a garanzie domandate ai Turchi nel dicembre u.s., cosi la Turchia potrebbe ora rinunziare a quello che l'Inghilterra gli offriva.

Vedrò domani Ismet ed avrò nuovo colloquio con ministro degli Affari Esteri ad interim (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolin1. (2) -Vedi D. 520. (3) -T. 6854/185 R. del 14 luglio. ore 21.15: preannunciava il colloquio oggetto del presente telegramma. (4) -Sic.
548

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6964/189 R. Ankara, 17 luglio 1936, ore 0,22 (per. ore 4).

Notizie da Montreux fanno credere che accordo si sta per realizzare. Alto funzionario di questo ministero degli Affari Esteri ha detto a ministro d'Austria che a componimento del dissenso anglo-russo ha spinto timore di un blocco itala-tedesco come conseguenza degli accordi austro-tedeschi.

Ministro degli Affari Esteri ad interim mi ha confermato notizie ottimiste, aggiungendo che si sperava arrivare alla firma della Convenzione lunedì, che, come pubblicato da queste Agenzie, Aras avrebbe proposto che Convenzione non fosse aperta che a Stati che avevano partecipato alla discussione (ciò che avrebbe avuto significato nettamente ostile a noi) ma che poi Aras aveva dichiarato privatamente che avrebbe aperto a tutti firmatari di Losanna. Egli si era soltanto opposto a che messa in vigore fosse condizionata alla ratifica di tutti i firmatari, ciò che avrebbe potuto ritardare indefinitivamente l'inizio.

549

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UU. 6950/299 R. Berlino, 17 luglio 1936, ore 1,26 (per. ore 4).

Per il sottosegretario di Stato per la Stampa e la Propaganda. Per opportuna notizia di V. E. informo che, in vista delle crescenti -per quanto artificiose -preoccupazioni di pretesi «blocchi» itala-tedeschi e «com

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binazione » centro-europea (preoccupazioni che risulterebbero particolarmente sfruttate da parte dei sovieti), questo ministro degli Affari Esteri ha dato istruzioni alla stampa:

l) da una parte di nulla smentire, lasciando pure che gli altri pensino quello che vogliono; 2) dall'altra, di non alimentare le preoccupazioni in parola con troppe «spinte » ed evidente parallelismo di attitudine e di linguaggio. Credo che sarebbe opportuno tener conto di quanto precede, anche agli effetti di eventuali istruzioni alla stampa nostra.

550.

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7008/53 R. Bled, 17 luglio 1936, ore 20 (per. ore 4,15 del 18).

Telegramma di V. E. n. 3263 (1).

In assenza Stojadinovié, trovandosi viaggio ispezione Serbia meridionale, Capranica ha fatto a questo ministro aggiunto per Affari Esteri le dichiarazioni prescritte.

Martinaz ha accolto nostre assicurazioni con aperta soddisfazione e ne ha preso appunto scritto per riferirne al presidente. Ha assicurato per conto suo che avrebbe prospettata al presidente la possibilità di un passo a Londra per far sapere che, in base nostre assicurazioni, Jugoslavia considerava finito il periodo di incertezza con cui Inghilterra motivava mantenimento suoi impegni di assistenza e, perciò, revocabili gli impegni stessi.

Ha confidato che avrebbe, però, dovuto essersi concertato con gli altri e degli interessati, Martinatz non ha nascosto probabile difficoltà da parte Turchia ma ha convenuto che il chiaro atteggiamento ormai assunto dalla Grecia accentuava la possibilità di una presa di posizione individuale della Jugoslavia nel senso desiderato.

551.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 7002/301 R. Berlino, 17 luglio 1936, ore 20,05 (per. ore 21,40).

Dieckhoff mi ha ieri messo al corrente di quanto il Duce ha dichiarato ultimamente ad Hassell in materia di riconoscimento annessione Abissinia. Egli mi ha tuttavia prospettato possibilità che, nell'attesa, Germania trasformi attuale rappresentanza tedesca Addis Abeba da legazione in consolato generale. Riserva trasformazione, già per se stessa consona al nuovo stato di cose creatosi

44 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

in Etiopia, sarebbe intesa a rendere praticamente più facile esplicazione attività rappresentanza tedesca, specie in materia commerciale ed economica. Al riguardo Dieckhoff mi ha aggiunto che trasformazione in parola non dovrebbe intendersi pregiudicare in nulla interessi economici tedeschi in Etiopia, comprese eventuali «concessioni», naturalmente se e in quanto esse legittimamente esistano.

Domanda formale, nel senso sopra indicato, sarà probabilmente avanzata fra breve a mezzo Hassell ed io ne informo anticipatamente V. E. ad ogni buon fine.

(l) Vedi D. 560.

(l) Vedi D. 520.

552

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7040/0434 R. Londra, 17 luglio 1936 (per. il 19).

Mio telegramma per corriere n. 0419 dell'8 luglio u.s. (1).

V. E. avrà rilevato dalle mie recenti segnalazioni stampa, l'immediata e profonda reazione che, sopratutto in questi ambienti imperialisti e colonialisti, hanno provocato le recenti dichiarazioni fatte al suo ritorno a Pretoria dal ministro della Difesa del Sud-Africa circa una eventuale desiderabile restituzione di colonie alla Germania.

«Ambienti molto influenti in Gran Bretagna -avrebbe affermato Pirow ad un corrispondente Reuter -sono d'accordo che non vi può essere una base permanente per una intesa pacifica con i tedeschi, a meno che non venga dato a questa ultima un adeguato compenso per le colonie perdute. Intendo dire compenso territoriale; e non in altre parti del mondo ma in Africa».

Quali sono questi «ambienti molto influenti», e quali esattamente i « territori in Africa» cui Pirow allude? Alla seconda domanda ha già dato egli stesso una risposta negativa: né il Tanganika né il territorio dell'Africa Sud Occidentale. Apparentemente -e questa è l'impressione riportata dai vari redattori diplomatici -si tratterebbe del Togoland, del Cameroon (ambedue per la maggior parte sotto mandato francese), della colonia portoghese dell'Angola, e forse anche di un pezzo del Congo Belga. Oltre a mostrarsi generoso donatore dei beni altrui, Pirow ha avuto buona cura, nel suo progetto, di mantenere la Germania lontana dalle sponde dell'Oceano Indiano. È anche da supporre che la preferenza mostrata nei riguardi dell'Angola non sia estranea alle note ambizioni che il Sud Africa nutre nei riguardi dell'altra colonia portoghese del Mozambico. I caustici commenti con cui, persino in questa stampa, è stata rilevata l'imprudenza di questo aspetto delle proposte di Pirow, sono troppo evidenti perché meritino essere segnalati.

Sta di fatto però che le dichiarazioni di Pirow, fatte al momento del suo ritorno da Londra dove, come noto, egli era appositamente venuto, ed in veste

ufficiale, per discutere questioni di difesa imperiale e dove egli ha avuto una serie di diretti contatti con membri del Governo e personalità politiche, acquistano un significato che non può essere senz'altro ignorato, classificandole come semplici manifestazioni verbali di un figlio di tedeschi e di un notorio grande ammiratore del nazismo.

Che in seno allo stesso Gabinetto vi sia una tendenza non aliena ad una restituzione di colonie alla Germania, è cosa ben nota. Si tratta, beninteso ed almeno per ora, solamente di una piccola minoranza di cui è esponente fra gli altri Lord Halifax: ma è anche noto come tale corrente sia fortemente appoggiata da elementi attualmente fuori del Governo, intensamente desiderosi di un accordo con la Germania e realisticamente disposti ad esaminarne le eventuali buone ragioni. Non è forse senza significato, a questo riguardo, la coincidenza delle dichiarazioni di Pirow con quelle del liberale Lord Lothian, una delle << eminenze grige » del Times, il quale in occasione del recentissimo pranzo alla Anglo-German Fellowship (vedi mio telegramma per corriere n. 0428 del 15 corr.) (1), pur escludendo una cessione diretta ed esclusiva di mandati inglesi, ha avanzato la proposta di una generale contribuzione delle Potenze coloniali verso opportuni trasferimenti territoriali alla Germania. Occorre poi non dimenticare la elegante ma non convincente casistica con la quale il Governo ha da un po' di tempo a questa parte nettamente evitato di lasciarsi trarre in dichiarazioni impegnative nei riguardi del suo atteggiamento di fronte alla questione della eventuale restituzione o cessione di mandati alla Germania. «Il Governo -ebbe a dichiarare il 12 febbraio scorso l'allora ministro delle Colonie Thomas -non ha considerato e non sta consider.ando la possibilità della cessione di territori coloniali britannici ad una Potenza straniera». E dietro questa formula negativa il Governo ha continuato a trincerarsi da allora in poi.

Frattanto, e mentre in alcuni ambienti si parla con insistenza di una probabile iniziativa inglese per la convocazione di una conferenza coloniale, con la quale il Governo da un lato giustificherebbe sue eventuali rinuncie territoriali (ammesso bene inteso che si decidesse mai a farlo), dall'altro e sopratutto cercherebbe il modo di dividere la spesa del banchetto tedesco tra il maggior numero possibile di contribuenti, gli elementi colonialisti ed imperialisti preparano la loro decisa resistenza ad ogni e qualsiasi proposta di «smembramento » del territorio dell'Impero.

Con telegrammi per corriere n. 0409 del 25 giugno e n. 0419 de11'8 corr. (2) questa ambasciata ha messo in rilievo la netta presa di posizione di tali elementi nei riguardi dell'avvenire dei territori coloniali inglesi, e la loro preoccupazione per «il carattere ambiguo delle recenti dichiarazioni del Primo Ministro e di altri Ministri in carica».

L'intervista di Pirow, confermando anche troppo chiaramente tali preoccupazioni con i suoi espliciti riferimenti alla opinione di «ambienti molto influenti», ha provocato, come era facile prevedere, una immediata reazione, ed un vero e proprio «sbarramento » di interrogazioni intese ad ottenere dal Gover

no una risposta esauriente e categorica circa le sue intenzioni per l'avvenire. Le risposte di Baldwin hanno però continuato a rimanere evasive (mio telegramma per corriere n. 0432) (1). Nel parlare di « ambienti molto influenti » favorevoli ad un compenso territoriale alla Germania, il signor Pirow -ha spiegato piuttosto debolmente Baldwin -ha voluto riferirsi a sue impressioni personali, e non a «colloqui con membri del Governo»; no, il Governo non aveva detto al signor Pirow « l'impressione che le eventuali richieste della Germania per la restituzione delle sue ex-colonie sarebbe stata considerata con simpatia»; il Governo «non aveva niente da aggiungere alle sue precedenti dichiarazioni in merito».

Che tali risposte non sono certo valse a dissipare i sospetti degli ambienti interessati è più che evidente dai commenti odierni dei redattori parlamentari, i quali anzi raccolgono la voce della intenzione che avrebbe una forte sezione del partito conservatore di promuovere sull'argomento, e prima ancora della chiusura dell'attuale sessione, un vero e proprio dibattito che valga almeno ad impedire al Governo di preparare qualche « brutta sorpresa » durante il periodo estivo di chiusura del Parlamento.

(l) T. per corriere 6755/0419 R., riferiva circa le reazioni di alcuni ambienti britannici alla ripresa della campagna tedesca per la restituzione alla Germania delle sue ex colonie.

(l) -T. per corriere 7043/0428 R., non pubblicato. (2) -Telegrammi per corriere 6479/0409 R. e 6755/0419 R., non pubblicati.
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L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7072/047 R. Bruxelles, 17 luglio 1936 (per. il 20).

Come accennai a V. E. nel mio telegramma n. 132 del 14 corrente (2), la prima impressione della nostra nota (3) e relativo comunicato dell'll corrente (4), fu di disappunto, accentuato dalla insinuazione, per opera di agenti rrancesl, di una nostra collusione « machiavellica » con piani di espansione e di aggressione della Germania.

Nessuna manifestazione in tal senso mi fu fatta, ad onor del vero, dagli ambienti ufficiali; ma da più parti, di solito bene informate, mi venne riferito che la delusione del Governo belga per la mancata accettazione dell'invito da parte nostra era originata dalla impressione, riportata a Ginevra, che l'Italia avrebbe consentito la propria partecipazione alla riunione di Bruxelles dal momento che aveva ottenuto che l'Assemblea della S.d.N. si astenesse da dichiarazioni formali in senso contrario all'annessione dell'Etiopia.

Mi affrettai a spiegare a quei miei informatori -i quali certamente riferirono tale spiegazione in opportuna sede -che a Ginevra, come dappertutto, l'Italia ha semplicemente ammonito che qualsiasi atto il quale compromettesse il futuro riconoscimento del suo nuovo Impero avrebbe reso impossibile la sua collaborazione al consolidamento della pace europea, senza peraltro minimamente impegnarsi in anticipo circa le modalità di tale collaborazione.

Ieri, poi, dopo aver ricevuto per corriere, col telegramma posta n. 3246/RC (1), copia del testo della nostra nota, trovai lo spunto per recarmi a vedere il ministro degli Affari Esteri e chiedergli, a puro titolo di curiosità, quale sviluppo gli risultasse avessero avuto le conversazioni tra Londra e Parigi a riguardo della progettata conferenza.

Il signor Spaak non fece il minimo accenno al surriferito malinteso ed ho quindi ragione di ritenere che esso sia completamente dissipato. Non mi nascose però che il Belgio avrebbe preferito che la riunione a quattro avesse potuto aver luogo, sembrandogli che la nostra carenza al riguardo prolungasse uno stato di penosa incertezza ed incoraggiasse oltre misura le pretese germaniche. Ma, a parte ciò, il governo e il popolo belga -egli dichiarò -si rendono perfettamente conto che da parte francese si è troppo intransigenti e, come al solito, poco pratici. E smentì vivacemente sia i comunicati ufficiosi della Havas sia gli articoli della stampa parigina, tendenti a far credere che il Belgio siasi associato alla Francia nel chiedere la convocazione ad ogni costo di una conferenza a tre, anche senza la presenza dell'Italia, per non parlare della Germania.

Mi fu facile convincerlo, con il testo della nostra risposta alla mano, della limpidità e della giustezza del nostro punto di vista e gli feci particolarmente apprezzare la frase, nella quale è detto che «l'assenza di uno degli Stati firmatari di Locarno complicherebbe, invece di distendere e di chiarire, la situazione esistente». In questa frase appunto si contiene (a parte la questione degli accordi mediterranei che non può concernere il Belgio) la spiegazione della nostra riluttanza a partecipare alla riunione preparatoria, nella certezza matematica che escluderne la Germania equivarrebbe a maggiormente irritarla dopo che è stata già irritata dalla intempestiva pubblicazione del questionario britannico.

Del resto, questo modo di vedere dovrebbe essere condiviso, nel suo beninteso interesse, dalla Francia stessa. L'idea fissa della Francia di procedere a constatazioni successive dei cosidetti mancamenti germanici (i quali non sono se non un ritorno progressivo alla realtà, conculcata dalle clausole in gran parte assurde e ineseguibili del trattato di Versaglia) non ha infatti provocato che successivi smacchi, onde è necessario anzitutto evitare che se ne produca uno nuovo e più clamoroso proprio nel momento in cui da ogni parte si desidera di ristabilire su salde basi l'equilibrio europeo.

Spaak ha convenuto con me su tutto questo ed ha altresì convenuto che sarebbe stato forse meglio se van Zeeland invece di rivolgere in tutta fretta a

V. E. l'invito alla conferenza appena tornato da Ginevra, avesse fatto prima sondare costì il terreno, sia per il tramite di codesta ambasciata del Belgio, sia per quello di questa ambasciata. Comunque, egli mi confermava che il Governo belga non avrebbe insistito per nessuna soluzione intransigente ed avrebbe seguito i prevedibili suggerimenti di transazione del Gabinetto di Londra cercando di indurre la Francia ad associarvisi.

Per quanto riguarda il Belgio, l'interesse alla riunione locarniana può riassumersi in tre punti.

In primo luogo la sicurezza. Come ho riferito a V. E. con i telegrammi n. 126 e 129 (1), questo Paese vive da quindici giorni, e precisamente dall'indomani del colpo di scena di Greiser al Consiglio della S.d.N. (2) in uno stato di vero e malcelato allarme. Il primo ministro non ha esitato a dichiarare in Senato, il 9 corrente, che «le forze da cui il Belgio è minacciato sono così grandi e così vicine da provarne dell'angoscia» e che «si è sentito avanzare il pericolo della guerra». Successivamente, alla Camera, egli ha dichiarato, il 14 corrente, che «la situazione internazionale crea l'obbligo di prendere delle precauzioni» ed ha fatto votare il prolungamento della permanenza sotto le armi dei militari che avrebbero dovuto essere congedati tra pochi giorni alla fine delle grandi manovre, provvedimento che è riuscito sommamente impopolare in questo Paese ultra pacifista. Il Belgio, quindi, conta sulla riunione locarniana sopratutto perché spera che in essa, nella peggiore delle ipotesi, si concreti finalmente, sotto forma di disposizioni positive, quell'accordo difensivo con Francia e Inghilterra, rimasto finora allo stadio di scambio di vedute fra i tre Stati Maggiori.

In secondo luogo, la necessità, che purtroppo ancora sussiste per questo Governo, come per quelli francese e britannico, di fare quotidianamente i conti con la propria opinione pubblica, la quale si esplica sotto la triplice forma della pressione parlamentare, della libertà di stampa e del controllo anonimo e ossessionante dell'uomo della strada. Sostituire esclusivamente la conferenza con negoziati diplomatici segreti non soddisferebbe infatti la sullodata opinione, ancora abituata alle coreografie di Ginevra e avida pertanto di affermazioni in piazza.

Da ultimo, il desiderio di prendere posizione, tra locarnisti « fedeli » prima di convocare la Germania, sorge nell'animo dei belgi dal timore che la Germania, convocata in condizioni di parità iniziale e non costretta entro un programma tassativamente fissato in anticipo, non soltanto si rifiuti di ammettere discussioni sulla rioccupazione e sul riarmamento della riva sinistra del Reno, ma introduca improvvisamente nuove pretese, particolarmente nel campo coloniale. Il pericolo che sia ufficialmente messa in gioco l'integrità del Congo, dove si concentrano enormi interessi di tutto il capitalismo belga, è qui talmente sentito e le reazioni sono così rapide e vivaci da obbligare il governo a tener conto anche di una ipotesi siffatta.

Secondo le ultime notizie, sembra stasera a questo Governo che la odierna proposta del governo inglese di una riunione meno formale possa sostituire quella di una conferenza preparatoria a tre e che la vera e propria conferenza plenaria di tutti i firmatari di Locarno abbia così probabilità di riunirsi un poco più tardi, sopratutto se nel frattempo, come appare da qualche sintomo, i rapporti tra il Reich e la Gran Bretagna entreranno in una fase di distensione e Londra troverà d'altra parte modo, nei nostri riguardi di farla finita con gli accordi mediterranei.

Trattasi, beninteso, di mere speranze, che io registro unicamente per debito d'ufficio e che mi guardo accuratamente di coltivare prima che abbiano subito il confronto di volontà ben più forti e decisive dell'equilibrio continentale.

(l) -T. per corriere 7045/0432 R., non pubblicato. (2) -Vedi D. 523. (3) -Vedi D. 513.

(4) Il testo del comunicato è in Documenti di politica internazionale, pp. 380-381.

(l) Non pubblicato.

(l) -Vedi p. 543, nota 2 e D. 483. (2) -Vedi p. 516, nota l.
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IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7075/014 R. Tirana, 17 luglio 1936 (per. il 20).

La notizia dell'accordo austro-tedesco ha prodotto qui impressione vivissima. Ma anche un senso di grande disorientamento. Si ha la sensazione esatta dell'eccezionale importanza di un avvenimento che è suscettibile di esercitare un peso determinante, in particolare sulla situazione della Balcania. E si teme qui, ciò stante, che la nuova sistemazione centro-europea finisca coll'imporre, inesorabilmente, alla Jugoslavia un avvicinamento all'Italia. Con conseguente svalutazione dell'interesse pratico, per noi, del terreno albanese e progressiva eliminazione dei vantaggi ritratti, nei nostri confronti, in ragione di tale interesse. Si teme, inoltre, che il nuovo centro di gravitazione balcanica ponga l'Albania in pieno alla mercé dell'Italia, senza possibilità di ricorsi, dei quali questo Paese ha fatto finora largo uso, a vigilanze od influenze vicine o lontane.

Queste le impressioni pressoché generali che circolano in Albania, anche negli ambienti responsabili e vicini al Sovrano. Delle stesse i malcontenti non mancano di farsi un'arma contro la politica del regime.

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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. POSTA 3112/38. Bled, 17 luglio 1936 (per. il 20).

L'inattesa conclusione dell'accordo austro-tedesco ha provocato enorme sensazione in questi ambienti politici, ma non sembra però aver destato inquietitudine ave si eccettuino le solite voci malevole ed ispirate ad avversione per l'Italia e per il fascismo che tendono a far apparire l'accordo stesso come una manovra combinata tra la Germania e l'Italia per l'accerchiamento progressivo della Piccola Intesa e dei Paesi balcanici.

L'opinione pubblica, che recentemente era stata tenuta in allarme in seguito alle insistenti notizie circa una prossima restaurazione degli As_burgo, ha accolto quasi con soddisfazione l'intesa austriaca con la Germania, ravvisandone immediatamente l'aspetto più favorevole e cioè l'eliminazione -almeno per ora del pericolo absburgico. Tutti sono concordi nell'affermare che l'accordo è opera di Mussolini e si ritiene come probabile l'adesione della Germania agli accordi romani. Naturalmente si nota la tendenza in certi settori dell'opinione pubblica e della stampa, a concludere che le posizioni italiane in Austria sono rimaste pregiudicate e menomate a profitto della Germania.

L'atteggiamento jugoslavo in generale può definirsi un atteggiamento di attesa; con sintomi di orientamento favorevole se pure condizionato a qualche riserva. Notevoli, fra gli altri, sono i commenti della Pravda, la quale saluta con soddisfazione l'accordo identificandolo con l'inizio dell'emancipazione dell'Austria dalla tutela italiana che le impediva di accordarsi con i suoi VlCllll, e quelli dello Slovenec che confuta l'opinione di coloro che vedono nell'accordo di Vienna un elemento destinato a mettere l'Europa in subbuglio e si rallegra sinceramente dell'intesa intervenuta tra l'Austria e la Germania, la quale «contribuisce a purificare l'atmosfera politica mediante l'eliminazione di quei motivi di attrito che hanno spesso danneggiato anche gli stessi Stati della Piccola Intesa rendendo impossibile un accordo tra di loro ».

In alcuni circoli politici si noterebbe poi una tendenza ad influire sul Governo affinché esso si orienti verso il blocco romano e ciò in vista di imprescindibili necessità economiche. Se la Germania --si dice -aderirà agli accordi romani per iniziare la riorganizzazione economica del bacino danubiano, la Jugoslavia dovrà pure aderire a tale blocco. Questa tendenza però è vivamente combattuta dai circoli francofili ed anglofili. Non è escluso, a questo proposito, che quanto prima si sviluppi una forte campagna antitaliana provocata e guidata dalle correnti della massoneria (l'atteggiamento assunto in materia dalle Novosti di Zagabria ne è già un sintomo) e del fuoruscitismo allo scopo di impressionare l'opinione pubblica ed influire sul governo nel senso di spingerlo a persistere in una politica antitaliana e di impedire qualsiasi eventuale avvicinamento agli Stati del blocco romano.

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IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4252/1116. Berna, 17 luglio 1936 (per. il 20).

L'accordo austro-germanico ha costituito una grande sorpresa per la Svizzera, che al primo momento ne è rimasta stupita. In un secondo tempo quest'opinione pubblica, attraverso numerosissimi commenti di giornali, ha mostrato profonda diffidenza: ha voluto cioè dichiarare, salvo poche eccezioni, che non ha fiducia nelle promesse germaniche e che il nuovo accordo è un ca vallo di Troia che riporterà i nazisti in Austria. La Svizzera vorrebbe credere e spera che l'accordo assicuri la tranquillità in una regione così delicata dell'Europa e in fondo sarebbe contenta di poter credere alla stabilizzazione dell'indipendenza austriaca, alla quale è essenzialmente interessata. Ma l'opinione pubblica è così montata contro la Germania nazista che non sa considerare l'inatteso avvenimento se

non con scetticismo, in parte sincero, in parte artificiale. Di più, la Svizzera tedesca si difende contro il temuto assorbimento da parte del Reich con la sua aspra ostilità contro il nazismo e contro tutta la vita politica e spirituale della Germania: istintivamente o coscientemente, essa si differenzia in modo deciso rifiutando lo spirito germanico. Essa pensa quindi che anche l'Austria non possa difendersi contro l'assorbimento germanico se non mantenendosi in una posizione di lotta contro il Reich: stima pertanto che il nuovo accordo abbatta delle barriere necessarie e renda possibile all'Austria di essere permeata dallo spirito germanico e quindi «assorbita a freddo » o annessa moralmente. Da alcuni anni la Svizzera tedesca si sentiva, per così dire, su una stessa linea con l'Austria di fronte alla Germania: prova ora un malessere a vedersi sola su quella linea. A questa sensazione si aggiunge una più generale preoccupazione risentita nella maggior parte della Svizzera: come si può arguire anche da ripetuti cenni a me fatti dall'on. Motta, la Svizzera vede di malocchio un riavvicinamento tra la Germania e l'Italia. Teme di essere presa in mezzo fra i due colossi: teme anche perché, specie causa la sua frenesia democratica, sa di non essere spiritualmente neutrale né di fronte all'uno né di fronte all'altro. La Svizzera romanda, a questo riguardo, riflette interamente l'opinione pubblica francese, sopratutto quella dei partiti di destra francesi: si differenzia nel fatto che più vivamente riconosce negli errori franco-inglesi l'origine della situazione attuale. Anche in una gran parte della stampa tedesca nella Svizzera si riflettono influssi francesi: qualche giornale, come la National Zeitung di Basilea, si direbbe agli ordini della Francia. Inoltre nel suo pacifismo di gente satolla che non vuol noie e, oggi, nell'assillante turbamento prodotto da vaghe minaccie che sospetta incombenti sulle sue frontiere e sulla sua stessa esistenza, la Svizzera teme la formazione di due blocchi in Europa, poiché è convinta che porterebbe alla guerra, nel cui vortice essa potrebbe essere attratta.

La stampa della Svizzera tedesca, che, come i suoi lettori, ha poche simpatie per l'Italia e anche in occasione dell'affare dei giornalisti italiani a Ginevra (l) mostrò un livore fegatoso, che rispondeva bene ai suoi sentimenti, la stampa della Svizzera tedesca dicevo, ha dato poco rilievo all'azione del Duce nel riavvicinamento austro-germanico. Qualche giornale mise addirittura in dubbio un'azione italiana, e più d'uno scrisse che in fondo l'Italia non doveva essere contenta di detto accordo perché esso, favorendo la penetrazione germanica in Austria, metteva un argine alla penetrazione italiana (2).

557

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4272/1136. Berna, 17 luglio 1936 (per. il 20).

Anche nella Svizzera, come negli altri piccoli Stati che si sono lasciati ingannare nell'affare delle sanzioni, c'è un profondo malcontento, che deriva sopratutto dal constatare il danno avuto senza alcun vantaggio, nemmeno quello teorico di poter contare sulla protezione della Società delle Nazioni in caso di pericolo. Tutte le conseguenze non sono ancora visibili. Ma la Svizzera s'accorgerà un giorno di essere uscita dalla Cfisi societario-etiopica senza avere saputo guadagnarsi una sola ragione di riconoscenza da parte dell'Italia. Essa non ha saputo distaccarsi a tempo dal viscoso fronte sanzionista, né preferire una solida amicizia italiana alle prestigiose illusioni societarie, né approfittare di alcuna di quelle occasioni che le avevamo offerte per avvicinarsi a noi. Nel primo periodo con una violenta campagna di stampa aveva violato spiritualmente

la sua neutralità obbligatoria: nel secondo, sedati in parte i furori giornalistici, la potemmo ritenere poco osservante della sua neutralità per cieco zelo societario. Lo scorso novembre si lasciò convincere a moderare il suo sanzionismo con alcuni riguardi alla sua neutralità. Nell'applicazione delle sanzioni finanziarie obbedì alla coalizione societaria, in quella delle sanzioni economiche solo al suo interesse e specialmente alle necessità del Ticino. Poi, quasi spaurita di non ver obbedito pienamente alle ingiunzioni anglo-francesi, rimase attaccata al fronte ginevrino anche contro le sue convinzioni con timida rassegnazione. L'on. Motta, che nel novembre aveva creduto alla sconfitta dell'Italia e dubitato della resistenza del Regime, ebbe poi una sola angosciosa preoccupazione: salvare l'esistenza e il prestigio della S.d.N., a qualunque costo, certo anche, se occorreva, a spese dell'Italia. Tenuto sotto pressione dalla R. Legazione, fece sentir la sua contrarietà all'inasprimento delle sanzioni, sopratutto perché lo si era impaurito presentandogli l'uscita dell'Italia dalla S.d.N., come conseguenza inevitabile: quindi, a guerra finita, denunciato il suo sanzionismo come azione fuori della neutralità, si lasciò andare a parecchie dichiarazioni contrarie al prolungamento delle sanzioni. Ma non si poté persuadere a nessun fatto positivo. Questo voluto passivo nei rapporti con l'Italia, invece d'essere alleggerito con un gesto, fu se mai completato con l'atteggiamento tenuto nell'affare dei

giornalisti. I sentimenti della Svizzera tedesca, che ha poche simpatie per il popolo italiano e nessuna per il Fascismo, furono intorbidati verso la fine della guerra da certe pubblicazioni irredentistiche riguardanti il Ticino, che porsero il destro a un'amplissima campagna di stampa di carattere nettamente antitaliano. Ma l'imperiale vittoria nostra diede un contenuto pauroso al problema del Ticino e molti svizzeri compresero che bisognava affrontarlo in senso favorevole all'italianità: l'on. Motta, che finalmente s'era convinto che l'Italia era

una Potenza almeno eguale a quelle da lui sino allora più temute, fece delle dichiarazioni d'italianità quali nessuno aveva da lui prima udite.

Nella valutazione delle condizioni della Svizzera rispetto all'Italia dopo le sanzioni, bisogna tener conto che circa il terzo della popolazione segue i partiti socialista e comunista e che questi, delusi nelle loro criminali speranze, costretti a vedere il fascismo più potente che mai, fanno propaganda di odio fra le masse, additando l'Italia quasi come un nemico del genere umano. E la parte « borghese » della società è infrollita da gruppi umanitaristi, pacifisti, pietisti, sentimentalisti, a da sette pseudoreligiose d'origine anglosassone, nonché da fanatici pastori protestanti alla Canterbury, che tutti non ci perdonano ancora

d'aver combattuto e di aver vinto.

Ma non sta soltanto nei raP.porti con l'Italia il passivo del sanzionismo svizzero. L'opinione pubblica ha avuto l'impressione che l'adesione incondizionata alla S.d.N. può trascinarla in conflitti contrari ai suoi stessi interessi. Il problema «neutralità differenziale» (cioè diminuita dai doveri verso la S.d.N. e dalla dichiarazione di Londra del 1920) (l) o « neutralità assoluta » quale fu sino

al 1920, agita profondamente questi ambienti politici e non si può negare che la corrente antisocietaria s'ingrossa sempre più fuori dei partiti marxisti, che ora sono il sostegno più deciso del societarlsmo e dei suoi miti. Il ritorno alla neutralità assoluta, eventualmente con l'uscita dalla S.d.N. è largamente predicato nella stampa minore: la maggiore non nasconde la necessità di riesaminare la posizione della Svizzera nella S.d.N. La sconfitta del sistema ginevrino ha tolto ogni fiducia nell'attuale ordinamento e la domanda di una riforma del Patto è generale in quanti osano ancora credere alla cosidetta «sicurezza collettiva». Il sanzionismo ha creato una situazione così difficile in Europa, che la Svizzera è stata costretta a ingenti spese per armamenti: malumore quindi contro l'Italia ritenuta prima causa della crisi europea, ma anche contro

le altre Potenze che hanno fatto della S.d.N. un mero strumento dei loro interessi egoistici. In realtà, se si domandasse, quale delle grandi Potenze goda oggi la simpatia della Svizzera, si dovrebbe rispondere: nessuna. Per quanto riguarda la Francia, si teme venga da essa ripresa la questione -già sollevata nel novembre 1935 -per il libero passaggio del materiale bellico in caso di guerra: qualcuno vorrebbe però che la Svizzera stessa, in sede di discussione della riforma della S.d.N., affrontasse il problema chiedendo una soluzione contraria alle pretese francesi. Ma più di questo, si vuole generalmente che sia creata un'assoluta chiarezza circa la neutralità della Confederazione e la sua posizione societaria. Non c'è dubbio che la maggioranza del Paese respingerebbe ogni proposta che intaccasse ancora la neutralità e aumentasse gli impegni della Svizzera. Credo che un'eguale maggioranza sia contraria a un'eventuale ripetizione dell'esperimento sanzionista.

Il Paese ha l'impressione di uscire dalla crisi europea prodotta dagli errori delle grandi Potenze sanzioniste in condizioni molto difficili: l'avvenire è scrutato con pessimismo. La democrazia svizzera, si dice qui, si trova ora circondata da tre parti da «Stati dittatoriali», di cui uno, la Germania, ha saputo approfittare della crisi per aumentare la sua potenza in misura minacciosa, l'altro, l'Italia, ha accresciuto la sua forza portandola a un grado inaspettato e formidabile, il terzo si è unito agli altri due. Che cosa può opporsi o attendersi da occidente? La Francia sta adottando forme democratiche che non sono punto accettabili per i partiti democratici nazionali della Svizzera, anzi, si avvia forse verso un sistema di dittatura proletaria, che costituirà una grave minaccia per la costituzione federale e per la società svizzera, perché eserciterà un'enorme pressione rivoluzionaria sulla politica interna del Paese. L'atteggiamento dei socialisti ginevrini, ormai proni dinanzi al Front populaire francese, dà un saggio di ciò che si può attendere. Ma, si domandano qui, tollererebbero « le dittature » una Svizzera che fosse campo di turbolenta attività rivoluzionaria,

magari centro di irritante propaganda contro «le dittature» stesse? Un nuovo problema s'impone sempre più: quello della neutralità spirituale. La Svizzera, sia di fronte alla guerra etiopica, sia di fronte al nazismo (affare Gustloff (1).

riarmamento della Renania) ha gravemente mancato ai suoi doveri, arrivando a tali eccessi di stampa contro l'Italia e contro la Germania, da impensierire vivamente alcuni elementi responsabili. La Svizzera, abituata a giudicare gli altri con arroganza e presunzione, aveva abbandonato da tempo la neutralità spirituale: ma mai ha mostrato tanta partigianeria come nell'ultimo anno, con patente violazione dei suoi doveri di neutrale. Minaccie sono venute dalla Germania e la R. Legazione ha denunciato più volte al Governo federale il grave fatto, rispetto all'Italia. Ora, i socialisti ginevrini, come ho più su accennato, agiscono in pieno accordo col Fronte Popolare francese e commettono un'altra e più grave violazione della neutralità svizzera. Come rimediare a questo pericolo, che potrebbe portare la Confederazione a situazioni difficilissime? È pressoché impossibile elevare un argine contro il dilagare della libertà di stampa e dell'anarchismo pennaiolo. La Svizzera può essere irreparabilmente trascinata a un punto dove sconterebbe dolorosamente la prosopopea e la sicumera con cui i suoi giornalisti e i suoi politici hanno creduto poter sentenziare sulla politica interna e estera degli Stati vicini. Richiami alla neutralità spirituale si fanno ora più frequenti e il problema è posto, anche come conseguenza degli errori commessi durante il tempo delle sanzioni.

Ne esce quindi la Svizzera sfiduciata, variàmente e intimamente turbata, con la sensazione di essere esposta a pericoli prima mai conosciuti e di aver fatto la parte del gonzo dove le grandi Potenze hanno difeso i loro interessi imperiali. Sente la necessità di chiarire la sua neutralità, ma troppe forze discordanti agitano il suo spirito, perché possa fermarsi in una posizione statica di neutralità assoluta. Rimane quindi in una situazione di disagio morale, esprimendo in molti modi le preoccupazioni da cui è dominata la sua esistenza (D.

(l) -Vedi p. 465, nota 2. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussollni.

(l) Dichiarazione delle grandi Potenze del 13 febbraio 1920 che, tenuto conto del regimedi neutralità della Confederazione Svizzera, limitava la sua partecipazione a provvedimenticoercitivi presi dalla S.d.N. nei confronti di uno Stato che avesse violato il Covenant.

(l) Il capo del nazlstl svizzeri, Wilhelm Oustloff, era stato ucciso il 4 febbraio 1936 da un giovane jugoslavo studente In Svizzera. Ne era seguita una vivace polemica fra la stampadel due Paesi e, sotto la pressione dell'opinione pubblica, il governo federale aveva imposto delle restrizioni all'organizzazione del movimento nazionalsocialista in Svizzera.

558

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 8246/827. Budapest, 17 luglio 1936 (per. il 22).

Questo ministro degli Affari Esteri nel corso di una conversazione mi ha ieri confidenzialmente detto d'aver chiesto recentemente al mio collega di Jugoslavia, «allo scopo di metterlo in imbarazzo», se fosse vero quanto egli aveva sentito dire circa un accordo germanico-jugoslavo che prevederebbe, per l'ipotesi di un'annessione dell'Austria alla Germania, la cessione alla Jugoslavia della parte meridionale della Carinzia.

Il signor Vukcevic avrebbe risposto di non essere a conoscenza di un accordo del genere, aggiungendo tuttavia che «in Jugoslavia non vi è alcun sentimento ostile verso la Germania, mentre lo stesso non può dirsi per l'Austria, cui gli jugoslavi sono sempre stati contrari» (l).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

559

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. U. 2215/568. Londra, 17 luglio 1936 (per. il 18).

Con mio telegramma odierno n. 1060 (l) ho riferito a V. E. la conversazione che ho oggi avuto con Sargent. Come V. E. ha potuto rilevare Sargent mi ha pregato di fargli avere un appunto con la sostanza delle istruzioni che V. E. ha impartito ai RR. Rappresentanti ad Ankara, Belgrado ed Atene (2). Gli ho risposto che io non avevo avuto altro incarico che quello di fare una generica comunicazione verbale e non mi sentivo autorizzato a !asciargli un appunto senza specifiche istruzioni di V. E.

Egli mi ha pregato di chiedere subito tale autorizzazione, perchè è nel desiderio del Foreign Office che Eden porti al più presto la cosa davanti al Gabinetto e si venga a una rapida decisione. Del nostro appunto Eden dovrebbe servirsi per spiegare e documentare al Gabinetto le ragioni che consigliano l'abbandono delle assicurazioni mediterranee.

Gli ho promesso che avrei chiesto istruzioni telegrafiche. Intanto ho preparato un progetto che qui accludo per l'eventualità che V. E. voglia darmi istruzioni in questo senso (3).

ALLEGATO

L'AMBASCIATA D'ITALIA AL MINISTERO DEGLI ESTERI BRITANNICO

PROGETTO DI APPUNTO. Londra, 17 luglio 1936.

Acting on instructions from Count Ciano the Italian Ambassador at Ankara and the Italian Ministers at Belgrade and Athens respectively, have approached the Turkish, Jugoslav and Greek Government, and have given to each of these three Governments the most clear assurances that Italy has never contemplated, nor is contemplating, an aggressive action against any of them, in retaliation for their past sanctionist policy. No such danger -they have pointed out -exists or ever existed, and the hypothetical suggestion of an Italian attack is to be considered as absolutely unwarranted and unjustified.

In expressing these views, the Italian representatives at Ankara, Beigrade and Athens have also emphasized that Italy considers the sanction chapter as being com

pletely and definitely over and that she looks confidently'"ahead towards a new period of mutuai cooperation amongst all nations.

They have also recalled that between Italy and Greece and between Italy and Turkey, Treaties of Friendship are in existence with which Italy has never failed to comply, and which the Italian Governement intends fully to respect. With Jugoslavia Italy intends no less to develop the same good relationship she enjoys with Turkey and Greece.

(l) -Vedi D. 561. (2) -Vedi D. 520. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl. Una copia del rapporto fu inviata da Vitetti al capo dell'ufficio III della Direzione generale degli Affari Politici, Guarnaschelli, accompagnata dalla seguente lettera: «Fammi il piacere di farmi rispondere subito a questo rapporto, magari per telefono. Bisogna far presto a sbarazzarsi degli accordi mediterranei. Eden morde il freno e Vansittart vuole spingerlo a porre fine a questa storia che non so se piùsinistra o più grottesca. Qui acclusa ti mando copia del rapporto che spedisco al Ministero. L'appunto che ho preparato è nient'altro che il telegramma di istruzioni. Sargent lo vuole per forzare un po' la mano di Eden. Ma insomma mi rimetto al giudizio del superiore Ministero. Sarò felicissimo il giorno in cui potrò telegrafare che quest'ultima appendice sanzionista è stata tagliata».
560

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7017/192 R. Ankara, 18 luglio 1936, ore 0,15 (per. ore 11,15).

Mio telegramma n. 188 (1).

Ho avuto lunga conversazione Inonii Ismet.

Gli ho svolto argomenti già sviluppati ieri a Saracoglu, gli ho comunicato per notizia risposta data da Metaxas a Boscarelli e di cui al telegramma di

V. E. n. 3309 (2) giunto oggi. Ho concluso che malgrado avessimo seri motivi di disappunto per la condotta Turchia non volevamo tenerne conto e ho concluso con le prescrittemi dichiarazioni solenni e precise circa patto di amicizia.

Mi ha risposto scusando anzitutto ritardo nella risposta. Ciò era dovuto prima a gravi preoccupazioni Montreux poi a difettoso funzionamento ministero degli Affari Esteri dato che personale più importante travasi Montreux. Ankara aveva cominciato a muoversi soltanto dopo sollecitazioni da me fatte a Istambul a Saracoglu (mio telegramma n. 188); egli dava tutto il valore che meritavano alle mie dichiarazioni e ne ringraziava V. E. dichiarandosene soddisfattissimo.

Turchia aveva cominciato a dare sua adesione a richiesta inglese nel dicembre in omaggio suoi doveri verso Covenant, ma senza alcuna intenzione di prendere attitudine antitaliana. Poi situazione si era sviluppata in modo diverso e contro ogni volontà turca, che era stata trascinata dalle circostanze. Comprendeva che noi fossimo stati turbati da qualche aspetto degli atteggiamenti turchi ed era lieto che ora tutto fosse cancellato e liquidato per dar luogo soltanto allo sviluppo dell'amicizia itala-turca. Perciò teneva a dichiararmi che accordi del dicembre di mutua garanzia erano finiti e che Turchia non chiedeva e non sentiva bisogno di alcuna altra garanzia. Ha saggiunto che in sostanza Turchia aveva cercato e cercava stabilire quello che V. E. pensava su questo punto.

Gli ho risposto che V. E. cercava la pace e la normalizzazione europea ed Europa era anche il Mediterraneo. Gli accordi austro-tedeschi che il capo del

Governo aveva favorito erano il primo passo sicuro verso la normalizzazione e per quanto mi risultava da Belgrado e da Londra tale era il significato che si dava agli accordi austro-tedeschi ed alla azione italiana. Non vi era dubbio per me che V. E. volesse una piena e completa sicurezza anche nel Mediterraneo.

Egli allora mi ha detto che continuavano notizie di nostri rafforzamenti nel Dodecanneso sopratutto di artiglieria costiera e di grandi depositi di benzina e di gas asfissianti.

Gli ho risposto che non sapevo dettagli ma in ogni caso ciò corrispondeva al rafforzamento strategico e agli armamenti inglesi nel Mediterraneo orientale. Ad ogni modo se le sue notizie erano vere avevano soltanto carattere difensivo ed era stupido continuare ad affermare che il Dodecanneso poteva essere una base di operazioni contro l'Anatolia. E gli ho riepilogato tutti gli sforzi da noi fatti per mantenere intatta amicizia italo-turca e togliere ogni ragione di sospetto fino offrire nostra cooperazione per aviazione turca e soppressione consolato Adalia proprio nei più acuti (momenti) della recente crisi. Gli ho promesso mandargli noto articolo Gazzetta del Popolo (1). Nel congedarmi Ismet espressosi con calorosi auguri per ripresa dei rapporti amichevoli italo-turchi e ferma volontà cooperarvi con ogni suo mezzo.

(l) -Vedi D. 547. (2) -T.r. 3309/C.R. del 16 luglio, ore 23, ritrasmetteva a Londra, Parigi, Ankara, Washington e Belgrado il D. 532.
561

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7015/1060 R. Londra, 18 luglio 1936, ore 2,44

(per. ore 8,30).

In conformità delle istruzioni di V. E. impartite con telegramma n. 369 (2), ho informato stamane Sargent, in relazione alla conversazione avuta da V. E. con Drummond (3), che V. E. aveva fatto fornire assicurazioni ai Governi turco, greco e jugoslavo in una forma tale che non sussiste alcun dubbio sulle intenzioni dell'Italia. Gli ho poi ricordato che nel nostro ultimo colloquio egli aveva convenuto che la dichiarazione britannica, essendo stata unicamente unilaterale, l'Inghilterra poteva sempre di sua iniziativa revocarla.

Sargent conferma essere pienamente d'accordo. Aggiunto che Drummond aveva già informato circa tenore assicurazioni che V. E. si proponeva dare alla

Grecia, Turchia, Jugoslavia e mi ha pregato ringraziare per le informazioni che V. E. mi aveva incaricato di fare al Foreign Office. La situazione -egli mi ha detto -è ormai molto semplificata e credo potremo procedere rapidamente e sbarazzarci da così dette assicurazioni mediterranee. Sargent mi ha chiesto quindi se potevo fargli avere un appunto al riguardo delle istruzioni impartite alla R. Rappresentanza ad Angora, Belgrado ed Atene. Ho risposto non avere autorizzazione farla. Sargent mi ha detto che intanto avrebbe messo al corrente Eden di quanto gli avevo detto. Per conto suo dopo colloquio di V. E. con Drummond e in seguito mia comunicazione, egli personalmente riteneva questione ormai avviata ad una pratica soluzione. Si tratta trovare il modo e occasione per procedere alla revoca assicurazioni date alla Grecia, Turchia e Jugoslavia.

« Revoca assicurazioni dovrebbe a tal fine essere annunziata pubblicamente. Credo che Eden potrebbe farlo nei prossimi giorni per mezzo dichiarazione alla Camera dei Comuni. Una tale dichiarazione sarebbe molto facilitata se nello stesso tempo Governo italiano facesse dare notizia nei giornali dei passi fatti a Atene, Ankara, Belgrado, ovvero autorizzasse Eden farne cenno alla Camera dei Comuni al momento in cui dovrà annunziare revoca assicurazioni assistenza mediterranea».

Gli ho risposto che su questo punto io non conoscevo quali erano intenzioni di V. E. Presumevo che se il Governo italiano intendeva dare notizia pubblica delle assicurazioni date ai tre Paesi mediterranei, avrebbe preferito farlo esso stesso. Gli ho fatto anche notare come stampa italiana abbia messo già in chiaro che l'Italia non intende esercitare alcuna rappresaglia armata contro i Paesi sanzionisti; e gli ho mostrato articolo Giornale d'Italia, nel quale si ricorda trattati di amicizia con Grecia (l) e Turchia (2) che l'Italia intende rispettare, e cordialità con la quale nostra stampa ha accennato rapporti buon vicinato con Jugoslavia. «Non so -ho aggiunto ·-se mio Governo abbia intenzione di dare notizia pubblica delle assicurazioni date in questi giorni ai Governi Grecia, Turchia e Jugoslavia ma di fronte opinione pubblica credo che ormai atteggiamento Italia è inequivocabile e che nessuno crede più -se pure qualcuno ha creduto mai -a questa stupida storia delle rappresaglie armate».

Siamo rimasti d'accordo con Sargent che intanto avrei chiesto a V. E. se ero autorizzato rimettere al Foreign Office breve appunto che egli mi domandava sui passi ordinati da V. E. ai Rappresentanti in Ankara, Belgrado e Atene. Egli da parte sua, una volta ricevuto nostro appunto, avrebbe suggerito a Eden di impartire istruzioni a Drummond perchè prospettasse a V. E. forma nella quale Governo inglese si proporrebbe dichiarare che assicurazioni unilaterali e provvisorie di assistenza date alla Grecia, Turchia e Jugoslavia non hanno più ragione di esistere e si intendono esaurite o cadute.

Da quanto Sargent mi ha detto, presumo che Drummond chiederà a V. E. consentire che Eden, per giustificare decisione Governo britannico revoca assicurazioni, possa dire alla Camera dei Comuni che il Governo britannico è giunto a questa decisione in seguito constatazione che circostanze alle quali si era, in via puramente ipotetica, riferito, in realtà non esistevano, e possa esplicitamente riferirsi ai nostri passi ed alle nostre assicurazioni a Belgrado, Atene. Ankara. Quanto alla forma con la quale il Governo britannico comunicherà poi alla Grecia, Turchia, Jugoslavia la sua decisione di revocare assicurazioni Mediterraneo, Sargent non mi ha detto nulla. Gli ho tuttavia già accennato che il Governo britannico che ebbe a notificare ai tre Governi interessati le dichiarazioni fatte Assemblea, segua per la revoca la stessa procedura e la stessa forma.

Mi riservo ritornare su questo punto non appena Foreign Office mi avrà assicurato che revoca assicurazioni Mediterraneo è decisa definitivamente.

(l) -Si riferisce, probabilmente. all'articolo La funzione delle nostre isole dell'Egeo nella politica navale italiana apparso su la Gazzetta del Popolo del 7 luglio, nel quale si affermava che le isole non costituivano una minaccia per la Turchia ma avevano una funzione difensiva e di equilibrio mediterraneo. (2) -Con T. 3288/369 R. del 15 luglio, ore 24, Ciano aveva incaricato Vitetti di informare il Foreign Office che l'Italia aveva assicurato i governi turco, greco e jugoslavo di voler mantenere con essi rapporti di amicizia. (3) -Vedi p. 566, nota 2. (l) -Vedi p. 580, nota 2. (2) -Vedi p. 16, nota 2.
562

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7050/54 R. Belgrado, 18 luglio 1936, ore 11,30 (per. ore 19).

Questo ministro di Turchia. rientrato qui oggi da Costantinopoli, dopo breve sosta a Belgrado, ha tenuto a spiegarmi che il Governo turco era convinto che mantenimento da parte della Gran Bretagna delle garanzie assistenza Mediterraneo a favore Turchia, Jugoslavia e Grecia importasse reciproco obbligo da parte di questi Stati e che perciò Turchia si considerava tenuta fare onore ai propri impegni. Ambasciatore di Inghilterra ad Ankara avrebbe notificato a questo Governo mantenimento garanzie senza precisare che non era richiesta la reciprocità.

Discorso tenutomi da collega turco risponde evidentemente a parola d'or

dine e si basa su equivoco sostenuto in malafede da suo Governo come già

segnalato da Galli. Collega turco ha aggiunto che soltanto ora dopo aver par

lato a Belgrado con Martinatz gli era stato chiarito che assicurazioni inglesi

erano unilaterali; si era affrettato a telegrafare in tal senso al suo Governo

e riteneva che questo non avrebbe tardato a considerare decaduto accordo del

dicembre. Nel medesimo tempo però questo ministro di Turchia si è fatto eco

del senso di delusione e di risentimento provocato nel suo Governo dalla posi

zione presa dalla Grecia senza consultarsi con gli altri interessati.

Gli ho risposto che nella questione del mantenimento dell'assistenza medi

terranea noi avevamo ormai avuto modo di discriminare e di graduare le dispo

sizioni dei tre Stati a nostro riguardo. Grecia si era condotta in maniera logica

e conforme ai suoi impegni verso di noi: Jugoslavia pur non legata all'Italia

45 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

da patto amicizia e pur accogliendo le assicurazioni britanniche, aveva almeno riconosciuto onestamente la decadenza degli accordi del dicembre: Turchia cercava con ogni mezzo fare sopravvivere predetti accordi e cioè assumeva evidente significato sistematicamente ostile.

563

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7029/172 R. San Sebastiano, 18 luglio 1936, ore 13,30 (per. ore 19,30).

Miei telegrammi 168 e 169 (1).

Secondo le notizie che mi vengono confermate anche ufficialmente, truppe spagnuole Marocco si sono sollevate contro il Governo. Altri disordini sarebbero scoppiati in varie parti, tra cui Pamplona e stessa Madrid. Sono interrotte da stanotte comunicazioni telefoniche interprovinciali e internazionali con sola eccezione quelle italiane (2).

564

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLl, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7031/124 R. Atene, 18 luglio 1936, ore 14 (per. ore 19). Suo telegramma n. 3294 (3).

Con riferimento ed a conferma generale di quanto telegrafò R. Ambasciatore ad Ankara informo che, parlando della sopravvivenza degli accordi mediterranei, voluta da Eden, questo segretario generale degli Affari Esteri, recentemente ritornato da Montreux, mi ha detto:

l) che, a suo avviso, il ritardo apportato dalla Turchia a rispondere nostre domande circa la decadenza di detti accordi doveva attribuirsi al desiderio turco di cattivarsi la benevolenza britannica per indurre l'Inghilterra ad arrivare ad un compromesso con l'URSS nella questione degli Stretti;

2) che egli non escludeva che effettivamente qualcuna delle Potenze mediterranee avesse domandato al Governo di Londra il mantenimento degli accordi

medesimi; che questa Potenza non era certamente la Grecia che aveva immediatamente risposto nostra domanda senza consultare i suoi alleati; che -a suo avviso -non doveva essere neanche la Jugoslavia perché da quanto gli risultava l'atteggiamento jugoslavo a riguardo era analogo a quello greco.

(l) -Vedi DD. 516 e 531. (2) -La notizia era già pervenuta a Roma dall'addetto militare a Tangeri, Luccardi (telegramma 448 del 18 luglio) e da quello a Madrid, Gabrielli (telegramma 512 in pari data pervenuto alle 15,46) che ne avevano dato comunicazione al ministero della Guerra. I due documenti sono nell'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (3) -Del 16 luglio, ore 13, non pubblicato. Ritrasmetteva a Londra, Atene e Belgrado i DD. 515 e 521.
565

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7127-7124/173-174 R. San Sebastiano, 18 luglio 1936

(per. il 22).

Mio telegramma n. 172 (l).

Il movimento in corso in !spagna è di carattere insieme militare e civile ed è patrocinato da tutte le forze di destra unite e da molti comandi di guarnigioni residenti nelle varie città di provincia. Esso è stato organizzato dal generale Sanjurjo, che risiede a Lisbona ma che pare sia già in viaggio per la Spagna, in pieno accordo col comando della « Legione Straniera » (sollevata dai terroristi [sic] marocchini) e con i capi partito dei gruppi monarchici ai quali si è unito anche Gìl Robles dopo un colloquio avuto negli scorsi giorni a Saint Jean de Luz col segretario dei traditionalisti Fal Conde. Anche il repubblicano moderato Miche! Maura avrebbe aderito al movimento.

Il piano dei rivoluzionari è il seguente: sollevamento della «Legione Straniera» in Marocco, (già avvenuto); passaggio della «Legione» a Malaga, per mezzo di navi da guerra, che da due giorni sarebbero partite per accogliere i ribelli e condurli in !spagna; marcia dei ribelli su Madrid e, nel medesimo tempo, sollevamento delle guarnigioni di Burgos, Valladolid e Pamplona al comando del generale Mola, luogotenente di Sànjurjo.

Se il Governo cede e sarebbe desiderabile che il comando del paese... (2), il movimento sarebbe limitato a questo programma, in caso contrario entrerebbero in azione numerosi elementi civili e sopratutto formazioni militari tradizionaliste che hanno allenamento ed attitudine a combattere per prendere Madrid colla forza. La sollevazione delle guarnigioni del Nord dovrebbe avvenire solo domani per impegnare prima l'attenzione del Governo verso il sud.

I rivoluzionari contano sopra le truppe nella capitale, dove il Governo ha ammassato circa 5000 guardie di assalto e si dice deciso a vincere qualsiasi resistenza.

I capi sono già d'accordo per formare, in caso di vittoria, un Governo dittatoriale militare provvisorio con spiccato carattere corporativo e anti-sovversivo.

Nessuno può dire se il movimento abbia o no probabilità di riuscita, ma è certo che qualunque sia suo esito Spagna entra in grave e violento periodo di convulsione. Infatti se il movimento trionfasse, repressione contro elementi sinistra, che hanno governato Spagna in questi ultimi due mesi col terrore e col sangue, sarebbe inesorabile anche per vendicare numerosi assassini politici commessi dagli elementi di Governo quale quello recentissimo di Calvo Sotelo. Se invece movimento non riesce, repressione sarà ugualmente inesorabile dal lato opposto, che ha dimostrato di agire senza pietà contro avversari del Regime attuale. Non bisogna dimenticare che sono nel giuoco le forze armate del... (l) e le masse fanatizzate delle sinistre che in certe zone quali le Asturie, sono già allenate rivoluzione. Certo democrazia spagnuola sta annegando nella guerra civile per far posto o ad una reazione ambienti militari o ad una radicalizzazione socialista di tipo sempre più bolscevico.

Per il caso che, dato attuale momento politico, questi Uffici telegrafici non abbiano provveduto loro inoltro a codesto R. Ministero, affido al corriere in partenza, in allegato al presente telegramma: l) copia in chiaro del mio telegramma di stamane n. 172, cifrato in codice semplice; 2) copia in cifra (doppia) del mio telegramma del pomeriggio n. 173.

Prima di chiudere il plico, aggiungo, alle notizie comunicate con i predetti telegrammi, che, mentre giornali di stasera sono stati autorizzati dalla censura a pubblicare soltanto un trafiletto d'intonazione ufficiale e di carattere ottimistico, mi risulta, da altre fonti: a) che il movimento militare era fino a stamane completamente riuscito in Marocco ave la Legione Straniera si è impadronita anche della radio emittente di Ce uta; b) che il movimento stesso si è rapidamente esteso a molte provincie spagnole nelle quali è stato dichiarato lo stato di guerra; c) che l'Unione Generale dei Lavoratori ha dichiarato in tali provincie lo sciopero generale; d) che il partito socialista e quello comunista hanno diretto un manifesto al Paese, diffuso dalla Union Radio di Madrid nel quale si dichiara la gravità del momento, si invitano i lavoratori a rispondere colla forza alla provocazione «fascista» riunendosi presso le rispettive organizzazioni pronti a scendere in piazza e si denunziano quali promotori del movimento stesso il sig. Gil Robles e il generale Franco; e) che sarebbe caduto in mano del Governo un aeroplano straniero (portoghese?) con a bordo uno dei capi del movimento (Sanjurjo?) che tornava in patria per prendervi parte.

(l) -Vedi D. 563. (2) -Nota dell'Ufficio Cifra: «Manca».
566

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2266/587. Londra, 18 luglio 1936 (per. il 24).

Garvin mi ha detto che qualche giorno fa aveva visto Baldwin, e Baldwin gli aveva fatto cenno della possibilità di un'intesa itala-russa nel Mediterraneo.

Garvin mi ha aggiunto che una tale possibilità aveva allarmato gli ambienti conservatori inglesi, non vedendosi in una intesa Mediterranea italo-russa altro scopo che quello di un accordo anti-britannico. Ad ogni modo queste preoccupazioni sono scomparse con la conclusione dell'accordo austro-tedesco.

Che esse tuttavia siano veramente esistite mi è stato confermato da Gwynne, il quale mi ha detto all'incirca le stesse cose che mi ha detto Garvin.

Richiamo poi l'attenzione di V. E. sulla seguente nota pubblicata ieri mattina dalla Morning Post: «Apprendo da ottima fonte che una delle ragioni che hanno indotto Hitler a venir a patti coll'Austria sarebbe stato il timore d'un riavvicinamento italo-russo. Sembra che durante le settimane che hanno preceduto l'accordo, il Duce avrebbe esaminato seriamente la possibilità d'una intesa con i soviet che avrebbe portato l'Italia a schierarsi dalla parte della Francia e della Russia completando l'isolamento della Germania. Di fronte a questa nuova minaccia Hitler si sarebbe reso conto che l'unico modo per evitarla sarebbe stato il fare all'Italia delle concessioni relative all'Austria. Egli pertanto avrebbe autorizzato la conclusione di un accordo in cui, per la prima volta dopo l'assassinio di Dollfuss la Germania riconosce la sovranità dell'Austria. In premio per queste e altre concessioni la Germania ricevette l'appoggio dell'Italia nella questione della progettata conferenza delle Potenze di Locarno. Vi è tuttavia ragione di credere che la soddisfazione del Duce per l'accordo austro-tedesco è già alquanto diminuita e diminuirà progressivamente di mano in mano che le conseguenze dell'accordo saranno manifeste. È pertanto possibile che, in queste circostanze, si possa avere una ripresa dei contatti fra Russia ed Italia parallelamente ad un allontanamento graduale fra Roma e Berlino ».

(l) Nota dell'Ufficio Cifra: «Manca».

567

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7205/175 R. San Sebastiano, 19 luglio 1936, ore 14,30 (per. ore 16 del 24).

Mio telegramma n. 173 (l). Riassumo notizie che mi pervengono da varie fonti circa situazione: l) Movimento militare era, almeno fino a ieri, riuscito in Marocco nonostante repressione tentata anche a mezzo aerei;

2) Legione straniera, imbarcata su sei navi spagnuole, avrebbe tentato sbarcare Malaga ma ne sarebbe stata impedita da reazione locale e anche, si dice, da intervento nave da guerra francese;

3) Movimento si è rapidamente esteso ad altre provincie spagnuole, dove è stato dichiarato da esercito stato di guerra e da organizzazione operai, scioperi generali;

4) Centro insurrezione sembra sia ora Siviglia, ove forze ribelli sarebbero padrone della situazione; 5) A Barcellona si sarebbe ingaggiata lotta vivissima e cruenta tra forze ribelli e quelle fedeli al Governo con esito tuttora incerto; 6) A Madrid situazione sembra attraversi fase di calma ed è fino ad oggi controllata da governo;

7) A San Sebastiano e sembra per tutto Nord Ovest Spagna, forze di polizia e milizia socialiste hanno per ora prevenuto movimento militare scendendo in piazza e procedendo arresti capi;

8) Viene stamane annunziata formazione nuovo Governo presieduto da Martinez Barrio con Barcia ministro dell'Interno e Azcarate Florez che già fu amnistiato e già funzionario S.d.N., al ministero degli Affari Esteri; sua fisonomia è molto simile a quella precedente salvo indiscutibile autorità nuovo presidente del consiglio;

9) Continua totale interruzione comunicazioni telefoniche e anche ferro

viarie: non posso pertanto mettermi in comunicazione con Uffici dipendenti,

cui ho impartito istruzioni telegrafare ove sia possibile, direttamente anche

a V. E. circa situazione locale; per il resto nessun incidente relativo connazio

nali mi è stato finora segnalato.

(l) Vedi D. 565.

568

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7062/194 R. Ankara, 19 luglio 1936, ore 20,20 (per. ore 6 del 20).

Mio telegramma n. 192 (1).

Agenzia Anatolia ha pubblicato stamane comunicato che patti bilaterali

finiscono con sanzioni ma perdura assicurazione unilaterale inglese. Poiché ciò

non corrispondeva seconda parte mia conversazione con Ismet Inonii e dato che

questi era tornato stamane Istambul (come già dettomi ieri l'altro) per predi

sporre solennità per riarmo zona, ho cercato vederlo subito ma non è stato

possibile.

Ho potuto vedere ministro degli Affari Esteri ad interim pure arrivato oggi.

Chiestogli chiarimenti, mi ha risposto che comunicato era stato discusso e

aeciso in Consiglio dei ministri ieri al quale era stata data notizia delle mie

dichiarazioni (2) che erano state accolte con immensa soddisfazione. Se prima

parte comunicato voleva dare risposta esauriente a prima mia domanda, per

la seconda Consiglio dei ministri aveva ritenuto che, per ragioni giuridiche e

morali non si poteva che tener conto del gesto cavalleresco dell'Inghilterra e ripetere sue parole lasciando Londra decidere altrimenti.

Gli ho risposto che Turchia diveniva Nazione protetta e l'ho informato della risposta greca e di quella preliminare di disinteresse della Jugoslavia (telegramma di V. E. n. 3348) (l) che dimostrava buona volontà e desiderio di arrivare rapidamente ad un chiarimento. Da parte Turchia tale buona volontà e tale premura non avevo mai incontrate.

Discussione vivissima è durata un'ora durante la quale, come di consueto, mio interlocutore ha stenografato mie argomentazioni senza nulla obbiettare dovendo solo servire portare a conoscenza Ismet Pascià e (su mia richiesta) presidente della Repubblica che travasi stesso albergo dove avveniva colloquio ed al cui intervento chiarificatore ho fatto caldo appello. Ho principalmente insistito perché ministro degli Affari Esteri ad interim promettesse almeno di appoggiare un passo come quello promesso da Martinaz a Belgrado.

Si è limitato a dire che sperava domani o dopodomani darmi una risposta.

A sua domanda di passare a patto mediterraneo gli ho risposto categoricamente che fino a che durasse anche un'ombra dei patti del dicembre scorso, Governo turco non si facesse illusioni: non avremmo mai negoziato patti di nessun genere. Era inutile quindi che Tevfik Riistii Bey chiedesse firma alla nuova convenzione Stretti od un qualsiasi nuovo accordo ad esso relativo come accennato a Bova Scappa.

Realtà della situazione è che: l) il timore dell'Italia è psicosi difficilmente guaribile; 2) dichiarazioni Eden sono state provocate, come è noto, da Tevfik Riistii bey; 3) l'Inghilterra ha insinuato in ogni possibile modo idea della aggressività italiana con mire Anatolia. Terreno favorevole delle dichiarazioni unilaterali risulta nettamente in queste previsioni e così conserva Turchia nel quadro delle finalità inglesi in Mediterraneo Orientale; 4) fra il mio colloquio con Ismet Pascià del 17 corrente ed il comunicato di stamane, così differente d~:o.lle assicurazioni datemi, è intervenuto certamente Tevfik Riistii bey come provato dal colloquio Tevfik Rilstii bey -Bova Scappa (telegramma di V. E.

n. 3347) (2) come devo dedurre anche da indiretti accenni del Ministro degli Affari Esteri ad interim.

(l) -Vedi D. 560. (2) -Vedi D. 547.
569

L'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI, AL MINISTERO DELLA GUERRA (3)

T. s. 449. Tangeri, 19 luglio 1936 (4).

Seguito mio telegramma n. 448 in data 18 corrente mese (5).

Movimento iniziato 17 luglio ore 17 esteso tutto Marocco spagnolo. Tutti i reparti vi hanno partecipato ad eccezione aviazione Tetuan e alcuni militari isolati. Aviazione è stata subito ridotta impotenza con impiego artiglieria.

Recatomi 18 mattina a Tetuan per protezione colonia italiana ho potuto rientrare soltanto pomeriggio 19 corrente.

Mentre reparti legione straniera assicurano possesso Ceuta et Melilla reparti di Règulares, le Mehalle e parte Legione straniera vengono sbarcati Algeciras, Cadice, Malaga per avanzare verso Madrid.

Alle ore 18,30 giorno 18 aeroplano proveniente Rio de Oro dopo bombardato Tetuan, producendo perdite nella popolazione civile è stato abbattuto ad Alcazarquibir.

Diciannove mattina giunto Tetuan dalle Canarie generale Franco diretto Ceuta.

Movimento sta estendendosi Spagna. Hanno già aderito numerose unità marina, seconda et quinta divisione nonché sembra guarnigioni Pamplona, Burgos, Malaga, Valladolid, Almeria, Bilbao.

(l) -T. 3348/C.R. del 18 luglio, or.: 24. ritrasmetteva alle ambasciate a Londra, Parigi, Ankara e Washington e alla legazione ad Atene il D. 550. (2) -Del 18 luglio: ritrasmetteva il D. 544. (3) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (4) -Manca l'indicazione delle ore di partenza e di arrivo. (5) -Vedi p. 634, nota 2.
570

L'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI, AL MINISTERO DELLA GUERRA (l)

T. 451. Tangeri, 20 luglio 1936, ore 12,15 (per. ore 24).

Generale Franco capo movimento spagnolo mi ha fatto chiedere se Governo italiano fosse disposto cedere mediante trattative private aeroplani da trasporto truppe. Urge risposta nelle 24 ore.

Movimento procede faticosamente per forte resistenza che incontra e per contegno navi da guerra che ostacolano invio nuove truppe dal Marocco alla Spagna. Qualora riuscita movimento interessasse occorrerebbe aderire richiesta più presto possibile (2).

571

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7069/196 R. Istanbul, 20 luglio 1936, ore 14,25 (per. ore 15,45).

Mio telegramma n. 187 (3). Pur continuando confermare che ne m questi ambienti diplomatici, né presso i governativi nulla ancora risulta di un eventuale patto franco-turco,

-

580 del 25 giugno (vedi D. 369).

devo rilevare che la voce persistente anche questa stampa deve essere presa in qualche considerazione essendo assai verosimile che dato nuovo meccanismo convenzione Stretti e principalmente quanto riferiscesi diritto passaggio in rapporto patti regionali si possa pensare ad un patto franco-turco integratore di quello franco-sovietico.

Turchia sarebbe però in tal modo assai vincolata alla politica Mosca-Parigi e verrebbe a perdere quella libertà di movimento che è stata fino ad ora forza sua maggiore ed il giuoco suo prevalente, mentre prospettato nuovo accordo assumerebbe aspetto nettamente anti germanico.

(l) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (2) -Con successivo telegramma n. 453, in pari data, il maggiore Luccard! comunicava che Franco assumeva l'impegno che gl! aerei sarebbero stati pagati. Per i successivi sviluppi si (3) -Con T. 6898/187 R. del 15 luglio, ore 19,20, l'ambasciatore Galli aveva informato circa voci giornalistiche di una «possibile conclusione di un patto franco-turco nel quadro degliimpegni derivanti dal Covenant della Società delle Nazioni », aggiungendo però che ad Ankara non risultava niente di più d! quanto egl! aveva già comunicato con Il suo telespresso
572

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7082/176 R. San Sebastiano, 20 luglio 1936, ore 15,30 (per. ore 20,55).

Mio telegramma n. 175 (1).

Ministero, di cui Martinez Barrio aveva accettato presidenza a condizione suo compito consistesse adoperarsi conciliazione con Forze [armate], non essendo riuscito suo intento causa rifiuto di queste ultime, si è dimesso. È stato sostituito da Gabinetto di composizione simile, con presidente del Consiglio Giral (già ministro della Marina) e ministro dell'Interno generale Pozas, con incarico di reprimere movimento militare servendosi ogni mezzo e anche « milizia rossa » all'uopo armata da Governo.

Circa situazione pervengono notizie le più contraddittorie: sembra accertato che Siviglia e zona più a sud con Marocco siano sempre in mano ribelli e così anche zona Pamplona, Burgos, Valladolid; a Barcellona movimento militare sarebbe stato soffocato.

Madrid, San Sebastiano e zona nord ovest sono controllate dal Governo e da «milizia rossa» armata e scesa in piazza.

573

L'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI, AL MINISTERO DELLA GUERRA (2)

T. 452. Tangeri, 20 luglio 1936, ore 20 (per. ore 9 del 21).

Generale Franco mi ha chiesto di potere mediante stazione radiotelegrafica clandestina e cifrario speciale stabilire collegamento segreto con me. Desidero sapere come rispondere (3).

(l) -Vedi D. 567. (2) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (3) -Per la risposta vedi D. 583.
574

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA. AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7107/889 R. Ginevra, 20 luglio 1936 (per. il 21).

La Conferenza di Montreux si è chiusa stasera con la firma della nuova convenzione. Naturalmente da parte di alcune Potenze firmatarie si parla di «grande successo » e questa soddisfazione è comprensibile se si considera che la conferenza si è iniziata non certo sotto lieti auspici e col grave handicap dell'assenza italiana.

«Revisione legale d'un trattato diventato inapplicabile» -si conclama da parte francese -. «Questa conferenza prova -ha dichiarato Paul-Boncour in piena seduta finale -che è possibile nella pace, nella regola internazionale e nel rispetto della legge internazionale di adattare alle circostanze quelle disposizioni dei Trattati di pace che si rivelano inadatte alle circostanze». E Bruce ha aggiunto che la Turchia era «il vessillifero della legalità».

Ma la realtà è che la revisione di un trattato senza il consenso dl tutti i firmatari è una revisione unilaterale. Quindi il « grande successo » da un punto di vista giuridico è quanto meno discutibile. Lord Stanley per suo conto ha parlato di miracolo per il risultato ottenuto. Ma se un miracolo vi è stato lo si deve proprio a lui e alla sua delegazione per l'improvviso cambiamento di rotta adottato dall'Inghilterra nel corso dei lavori della conferenza.

Non ho mancato di far presente a V. E. durante le discussioni di Montreux che alcuni uomini politici, come alcuni giornali, avevano attribuito il cambiamento britannico al crearsi di una nuova situazione in Europa Centrale in seguito all'accordo austro-tedesco dell'll luglio. L'Inghilterra, preoccupata dell'intesa italo-tedesca, non avrebbe più voluto opporsi alle tesi franco-sovietiche per timore di trovarsi isolata e sarebbe entrata così sulla via delle concessioni. Quest'ipotesi mi sembra avere scarso fondamento e alla luce dei fatti trova poco credito. L'Inghilterra negli ultimi tempi, pur preoccupandosi per l'eccessivo sviluppo delle forze aeree tedesche, ha sempre mostrato di volere accordarsi con la Germania e nulla ha fatto che potesse ferire la suscettibilità tedesca. Ne è prova eloquente l'atteggiamento seguito dal Foreign Office anche di fronte alla questione di Locarno.

La mia impressione, che mi permetto di sottoporre rispettosamente a V. E. è che l'Inghilterra abbia ceduto per due ordini di considerazioni. Innanzi tutto per evitare che, fallita la conferenza, si assistesse -ciò che sembrava inevitabile -~~ alla ripresa della libertà d'azione da parte della Turchia, la quale non avrebbe mancato di dichiarare unilateralmente decaduta per lei la convenzione di Losanna e avrebbe proceduto senz'altro al riarmo degli Stretti. In secondo luogo l'Inghilterra ha voluto, sulla linea creata dal precedente degli accordi navali di mutua assistenza, conservare una intesa -potenziale anche se non consacrata in un esplicito accordo scritto -con la Turchia, sottraendola in parte all'eccessiva influenza sovietica e assicurandole, forse, una garanzia di assistenza per l'avvenire, a condizione di mantenerla nella sua orbita politica. D'altra parte, concessa alla Turchia la possibilità di rioccupare militarmente e fortificare le coste e le isole neutralizzate dalla Convenzione di Losanna, il principio della libertà degli Stretti in tempo di guerra, la Turchia essendo neutra, perdeva di tatto molto del suo valore. L'ostinarsi sulla linea intransigente seguita da Palmerston e da Disraeli per sbarrare le porte alla flotta russa sul Mediterraneo non avrebbe avuto alcun risultato pratico; la Turchia essendo legata ai Soviet da stretti accordi e ridiventando padrona assoluta degli Stretti col riarmarli.

Litvinov ha tentato fin dall'inizio di far riguadagnare al suo Paese i vantaggi che gli erano derivati dal Trattato di Unkiar-Skelessi (l) e che erano stati perduti dagli Zar. Ma se egli faceva valere gli interessi vitali del suo Paese, la sua tesi da un punto di vista giuridico era insostenibile. È stato Paul-Boncour che ha cercato di valorizzare davanti alla conferenza le considerazioni d'ordine superiore, che potevano rendere legali, entro certi limiti, le pretese sovietiche. E così è nata la formula che in tempo di guerra gli Stretti saranno chiusi ai battelli delle Potenze belligeranti salvo nel caso di assistenza dovuta ad uno Stato vittima d'aggressione, in virtù di un patto d'assistenza che impegni la Turchia e che sia registrato alla Società delle Nazioni. Formula che naturalmente mette gli Stretti in caso di guerra a servizio dell'Intesa Balcanica, della Russia e della Francia attraverso l'accordo che quest'ultima tenta di concludere con la Turchia come appendice al patto franco-sovietico.

Tuttavia, malgrado il clamore della stampa interessata su questa grande prova del revisionismo legale, l'impressione di molti è che la nuova convenzione sia posta su basi piuttosto fragili. A parte il fatto che essa andrà in pezzi al primo colpo di cannone che sarà sparato nel Mediterraneo, resta grave, per un accordo che doveva essere il preludio del famoso Patto Mediterraneo, desiderato sopratutto dalla Turchia, dalla Grecia e dalla Jugoslavia, la circostanza essenziale che l'Italia non solo non ha preso parte al negoziato per la sua conclusione ma ha ripetutamente espresso le sue riserve per quanto concerne le sue stipulazioni e il suo contenuto.

È in sostanza tutto il problema del Mediterraneo che con la nostra assenza è rimasto aperto.

L'assistenza unilaterale inglese ha giustificato l'atteggiamento astensionista italiano. La nostra mancata adesione alla nuova convenzione di Montreux ci dà ora la possibilità di avere in mano, di fronte alla Turchia, una carta da giuocare e che potrà servirei anche ai fini della politica generale italiana nel Mediterraneo.

A chi mi ha fatto osservare che se fossimo stati presenti a Montreux avremmo potuto sostenere l'intransigenza bulgara, che si è sentita sopraffatta dalle pressioni delle grandi Potenze, e tonificare le riserve giapponesi, ho risposto che l'esperienza degli ultimi anni di storia non solo italiana ma anche europea ha reso ormai dogma d'ordine internazionale il credo del popolo italiano e cioè «che il Duce ha sempre ragione ». E con qualche benevolo sorriso tutti i miei interlocutori -per lo più ginevrini addomesticati dall'esperienza hanno dovuto ammettere che questo che potrebbe essere un paradosso per orecchie straniere è storia consacrata su tavole di ordine romano.

(l) Trattato di Unklar Skelessl tra l'Impero russo e la Porta ottomana del 9 luglio 1833 (MARTENS, Nouveau Recucil dc Traités, vol. XI. pp. 655-661).

575

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. S. N. San Sebastiano, 20 luglio 1936 (1).

Da San Sebastiano ho mandato negli ultimi giorni alcuni telegrammi cifrati che però non credo siano stati trasmessi dalla amministrazione telegrafica spagnuola e credo che tanto meno saranno trasmessi nei giorni che verranno, perché la confusione e lo spavento e il caos del Paese aumentano mano a mano che la minaccia dei ribelli si fa più precisa e avanza verso la capitale. D'altra parte le comunicazioni con Madrid e col resto della Spagna sono interrotte e così pure le comunicazioni di qualunque genere coll'estero. Lo stesso ministero degli Esteri non riesce a comunicare con Madrid. Siamo isolati e, per avere notizie, per sapere un poco di verità, occorre andare oltre la vicina frontiera di Francia. Vengo quindi ad impostare a Saint Jean de Luz questo rapporto perché il Ministero non resti privo di informazioni intorno alle convulsioni iberiche.

Al momento nel quale scrivo la situazione è tale che non si può fare alcuna profezia su chi sarà il vincitore e su chi sarà il vinto, ma è certo che la azione dei ribelli (nonostante i comunicati di Madrid) è in pieno corso, aumenta per ora in vigore, è padrona del Sud spagnuolo, si allarga nella zona di Navarra, di Burgos e punta ormai sulla capitale, mentre è stata sopraffatta in Catalogna.

Debbo avvertire che la rivoluzione non è un semplice colpo di mano militare come i precedenti, e non ha carattere monarchico. È una vera e propria ribellione di buona parte delle Forze Armate e di molta parte del Paese contro la tirannia del Fronte Popolare che ha reso la vita impossibile a quasi la metà degli spagnuoli e che si è disonorato con gli assassinii politici, ultimo dei quali è stato quello dell'uomo più stimato che avesse la destra: Calvo Sotelo.

Per cui, accanto ai soldati del Marocco ed alle guarnigioni di Pamplona, d1 Burgos e di altri centri, marciano ottomila volontari tradizionalisti che da Pamplona, al comando del generale Mola, sono scesi verso Burgos per poi dirigersi a Madrid. La ribellione raggruppa insieme ai monarchici della Renovaci6n ed ai tradizionalisti molti repubblicani moderati quali i partigiani cattolici di Gil Robles (CEDA) quelli di Miguel Maura che fu ministro degli Interni collo ste.sso Azafi.a, gli amici dell'ex presidente Alcalà Zamora, il cui parente e stretto amico generale Queipo de Llano è a capo della rivolta a Siviglia. I fascisti di Primo De Rivera, nonostante la prigionia del loro animatore, sono dappertutto coi rivoltosi e soprattutto fanno una azione terroristica.

Il quadro si presenta dunque così: da un lato il Fronte Popolare, dall'altro le altre forze della nazione che non ne possono più. Agricoltori stanchi delle invasioni delle turbe bolsceviche nei campi, costruttori stanchi dell'eterno sciopero, piccola borghesia satura di agitazioni, cattolici e clero minacciati ogni giorno nella vita e negli averi, questo è il blocco che si coagula intorno all'esercito ribelle il quale ha alla sua testa i generali più noti e popolari della Spagna. D'altra parte però, il Fronte Popolare, minacciato dalla rivolta nelle sue posizioni di comando e di privilegio, si è immediatamente organizzato per impedire la riuscita del movimento. È noto che socialisti e comunisti hanno formazioni militari organizzate da tempo, che avrebbero dovuto servire per un colpo in favore dei soviets e che invece serviranno alla resistenza. Non sono forze disprezzabili perché le anima una mistica fervida ed hanno il coraggio comune a tutti i partigiani spagnuoli, e bisogna aggiungere che sono armati non solo col loro armamento clandestino, ma con armi che ha loro fornito il Governo, preso dal panico. Infatti il Governo, sorpreso dagli avvenimenti, ha dato prova in tre giorni di essere passato attraverso le fasi più grottesche della paura e della irresponsabilità. In un primo tempo ha cercato di opporre ai ribelli forze di polizia che hanno risposto abbastanza bene dappertutto e specialmente a Barcellona, ma quando ha veduto che negli altri luoghi i ribelli avanzavano e l'esercito fedele non valeva un granché, ha creduto di poter trattare coi ribelli sacrificando immediatamente gli uomini più compromessi ed invisi alle destre: Casares Quiroga, autore morale dell'assassinio di Calvo Sotelo ed il ministro degli Interni, Moles, inetto. Si è cosi formato un ministero presieduto dal mite ed apprezzato Martinez Barrio, presidente delle Cortes, avente agli Interni l'altro elemento moderato Barcia, che aveva prima il portafoglio degli Esteri. Compito di questo ministero era trattare coi ribelli sulla base di un onorevole

compromesso di carattere repubblicano. Il Governo non si rendeva conto che una crisi di tale natura davanti al nemico in armi era una confessione gravissima di impotenza, né d'altronde raggiungeva lo scopo perché alle proposte del nuovo ministero i ribelli rispondevano con un deciso rifiuto. Si ebbe in tal modo, dopo dodici ore, una seconda crisi, perché Martinez Barrio non volle restare in un ministero di guerra civile e Barcia assunse il suo medesimo atteggiamento. n Governo scelse allora a presidente il farmacista Giral, già ministro della Marina, uomo fanatico ed energico, e si mise agli Interni un generale, ii generale Pozas. Programma: lotta a morte contro la rivoluzione.

Con quali forze? Sull'esercito non poteva contare, le forze di polizia per quanto abbastanza fedeli erano insufficienti, ed allora il ministero decise di armare il popolo. Tutti i governatori ebbero ordine di dare alle formazioni bolsceviche e socialiste armi e munizioni. A Madrid si sono dati alle turbe persino cannoni, mentre scrivo, il governatore di San Sebastiano ordina la mobilitazione generale dei cittadini agli ordini del Fronte Popolare, la requisizione di tutte le automobili private, ed avverte che coloro che non si presenteranno alla Casa del Popolo saranno considerati come nemici e ribelli. La Spagna viene così divisa in due campi armati che si urteranno a morte e che hanno uguali propositi di non dare quartiere agli avversari. Lo spettacolo dei camions pieni di operai armati che vigilano anche la strada della frontiera, che perquisiscono persino i diplomatici, che rilasciano, dopo esose vessazioni. permessi intestati al Fronte Popolare, è sinistro. Sono soprattutto minacciati gli ecclesiastici. Cito a questo proposito a titolo di onore il gesto della marchesa Paternò, consorte del nostro console a San Sebastiano, che ha voluto accogliere e nascondere a casa sua quattro suore italiane fuggite dal loro convento minacciato. Previsioni? Non si possono fare. In una lotta come questa l'esito dipende da infiniti elementi imponderabili. Il generale Sanjurjo giunto oggi a Pamplona per via aerea è sicuro della vittoria e così pure il generale Franco. Elementi tradizionalisti che mi informano quotidianamente sono ugualmente fiduciosi. Ma anche gli elementi di sinistra hanno un grande fervore e non sono disposti a lasciare il passo.

In ogni modo, chiunque vince, ripeto quello che ho già telegrafato: la Spagna va verso un periodo di tirannia partigiana, verso una triste ed oscura epoca di persecuzioni e di sangue dal quale uscirà per lungo tempo sfibrata.

Spero mandare ancora notizie domani. Se non giungessero significa che non abbiamo mezzo di uscirne dal confine o di comunicare. Devo avvertire che, almeno per ora, nessun interesse italiano è minacciato.

Chiedo scusa anche della forma e delle scorrettezze di questo rapporto, ma bisogna arrangiarsi per fare a tempo ad impostare (1).

(l) Manca l'indicazione della data d'arrivo. Probabilmente arrivò Il 24 luglio.

576

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 8436/858. Budapest, 20 luglio 1936 (per. il 25).

Mio telegramma n. 77 del 12 corrente (2).

l. Gli argomenti che esprimono la soddisfazione del Governo ungherese per l'accordo austro-tedesco -quali mi sono stati a più riprese sviluppati in que

sti giorni, in primo luogo dal signor Kànya -~ si aggirano sovratutto attorno a quella concezione dell'asse Roma-Berlino, che nel corso travagliato di questi due ultimi anni ha continuato, più o meno palesemente a seconda delle vicende favorevoli o contrarie, a costituire l'aspirazione della politica estera ungherese.

Stimo inutile ripetere a V. E. la rievocazione che Kànya ha voluto farmi dei numerosi -ed aggiungo sfortunati perchè quasi sempre intempestivi -tentativi ungheresi di indurre la Germania ad una definizione dei suoi rapporti con l'Austria nello spirito dell'accordo tripartito di Roma.

Col telespresso n. 1085 del 26 luglio 1935 O), cosi riassumevo la posizione del Governo ungherese in materia: « Kànya, da quando si è convinto che la posizione di isolamento della Germania non può portare sicuri vantaggi all'Ungheria, ha saputo tenere quel riserbo di atteggiamento che riesce così difficile al presidente Goemboes, il quale non rinunzia alla concezione dell'« asse RomaBerlino», su cui ha impostato, non soltanto la sua politica estera (revisionismo), ma anche la sua politica militare (parità degli armamenti), quella interna (opposizione alla restaurazione e governo autoritario, tendenzialmente corporativo e antisemita) e quella economica (valorizzazione della produzione agricola di fronte a quella industriale) ».

A distanza di un anno non saprei meglio sintetizzare le ragioni che motivano la soddisfazione di questo Governo per l'accordo austro-germanico che, -nell'interpretazione dei circoli responsabili --eliminando l'unico serio ostacolo ad un profondo avvicinamento italo-germanico, ha aperto più vasti orizzonti alla politica ungherese, e con ciò --secondo scrivono i giornali governativi -reso più possibile la realizzazione delle aspirazioni nazionali magiare.

Dai fonogrammi Stejani di questa ultima settimana V. E. avrà potuto rilevare che la stampa in genere ha accolto l'avvenimento come «uno dei magg1ori successi della politica estera ungherese», ed anche qualche organo di opposizione ha fatto omaggio al « senso politico di Goemboes, la cui azione è stata sempre ispirata al desiderio di appianare le divergenze tra Italia e Germania e Germania ed Austria».

2. Circa il contenuto, gli effetti prossimi e lontani e la vitalità dell'accordo non mancano tuttavia le disparità di vedute, che riflettono del resto le diversità di orientamento dei singoli ambienti. Concorde è il riconoscimento che l'indipendenza dell'Austria resta « ttncorata » all'accordo tripartito di Roma, e quindi all'azione dell'Italia. È questo in fondo -anche se non apertamente confessato, come nella stampa di sinistra -il motivo prevalente che sopisce alquanto dubbi e preoccupazioni sulle possibilità di una ripresa «in forme subdole» dell'azione nazista in Austria. Le stesse spiegazioni che si dànno anche negli ambienti governativi all'improvvisa arrendevolezza di Hitler (rapidità ed imponenza della vittoria delle armi italiane in Etiopia, necessità di condurre tranquilla

mente avanti il lavoro di riorganizzazione della Reichswehr, opportunità di evitare il ricostituirsi di un fronte unico antitedesco, ecc.) indicano più uno spostamento nella graduatoria degli obiettivi della politica nazista che non una rinunzia all'Anschluss.

Poca importanza si dà qui alle difficoltà della pratica applicazione dell'accordo. Kànya considera unico pericolo prevedibile che l'accordo non venga rispettato «da elementi irresponsabili » tedeschi od austriaci, che potrebbero farsi iniziatori di qualche colpo di testa. Per il resto ha fiducia tanto in Hitler quanto in Schuschnigg. Il regolamento di qualche questione di dettaglio presenterà delle difficoltà, che tuttavia non saranno insolubili. A proposito della Legione austriaca gli risulterebbe da Baar de Baarenfels che essa non ha mai raggiunto i 50.000 componenti, ma al massimo 30.000, di cui circa 15.000 sono rientrati in Austria alla spicciolata perché scontenti del trattamento loro fatto in Germania. Sempre a parere di Kànya, Schuschnigg potrà trovare un serio appoggio nei «nazionali» austriaci, che non hanno debolezze nei confronti del nazismo tedesco.

3. A parte il riserbo dei circoli legittimisti che vedono con l'accordo austrogermanico allontanate le possibilità di una restaurazione, e degli ambienti ebraici che si preoccupano sovratutto di un possibile accentuarsi delle tendenze antisemitiche in Ungheria, non vi è chi non si compiaccia di constatare che l'accordo colpisce in primo luogo la Cecoslovacchia, circondata ora da Stati che cooperano sul terreno politico ed economico.

La stampa governativa non lesina accenni più o meno velati alle nuove possibilità che si offrono alla politica ungherese da quel lato.

Diverso è tuttavia il linguaggio prevalente nei circoli responsabili, i quali continuano a ritenere che la Germania non pensa ad impegnarsi in situazioni difficili nell'attuale fase di riorganizzazione della Reichswehr.

(l) -Il presente documPnto reca l'annotazione a margine: «Visto da S.E. !l Ministro>>. (2) -Vedi D. 510.

(l) Vedi serie ottava, vol. I, D. 619.

577

L'EX RE DI SPAGNA, ALFONSO XIII, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. ..., 20 luglio 1936 (l).

Le supongo enterado de la enorme importancia del movimiento espafiol. Faltan elementos modernos de aviaci6n y con objeto de adquirirlos van a Roma Juan La Cierva (inventar del autogiro) y Luis Bolin personas de mi entera confianza.

El Marqués de Viana portador de la presente le explicara todos los detalles y la ayuda que espero nos prestara.

Aprovecho esta ocasiòn para de nuevo felicitarle por sus nuevos éxitos que consolidan su labor formidable y gloriosa. Agradeciéndole lo que seguramente han\ quedo su afmo. amigo y admirador que le abraza (1).

(l) La lettera non reca l'indicazione del luogo di provenienza.

578

L'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI, AL MINISTERO DELLA GUERRA (2)

T. uu. 456. Tangeri, 21 luglio 1936, ore 18,30 {per. ore 22,30).

Urge risposta positiva o negativa telegramma 451 (3). Movimento militare fascista procede incontrando viva resistenza ed ha bisogno urgente materiale richiesto. Reparti regulares sbarcati a Cadice sono giunti a Siviglia e procedono su Cordova. Malaga in possesso ancora comunisti è distrutta da incendi e saccheggi. Marocco spagnolo in completo possesso degli insorti è tranquillo ad eccezione di un breve bombardamento di Ceuta che non ha causato danni.

579

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7125/417 R. Washington, 21 luglio 1936, ore 19,19 (per. ore 6,35 del 22).

In una conversazione avuta stamane col signor Sayre, il quale dirige tutti lavori relativi alle trattative commerciali, ho cercato di sondare intenzioni americane nei riguardi dell'Italia. Assistente Segretario di Stato mi ha confermato quanto ho già riferito a

V. E. e cioè che Governo degli Stati Uniti non intende prendere iniziative per aprire un nuovo negoziato con Paesi esteri prima delle elezioni presidenziali del novembre p.v.. Parlandomi a titolo confidenziale ha però aggiunto che Dipartimento di Stato si preoccupa della tendenza italiana ad irrigidirsi anzichè allentare controllo governativo su importazione dall'estero e sulla esportazione della valuta. Esso si rende conto dei gravi problemi che Italia deve affrontare a causa della sua bilancia commerciale sfavorevole, ma deve constatare che politica degli scambi bilanciati, da noi perseguita, è in aperto contrasto con

46 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

politica americana, basata su applicazione estensiva del trattamento della nazione più favorita. Accennando poi alle misure prese contro Germania ed Australia, che sono state private del trattamento della nazione più favorita perché non assicurano agli S.U.A. perfetta uguaglianza non tanto in materia tariffaria quanto nella attribuzione dei contingentamenti o della valuta, Assistente Segretario di Stato mi ha detto: «Anche Italia è considerata con sospetto: situazione dovrà essere chiarita».

Ho creduto di capire che nuovo ambasciatore americano a Roma avrà fra suoi primi incarichi quello di risollevare questione di principio, già dibattuta nel passato, e di insistere nella nota richiesta di denunziare comune accordo vigente trattato commerciale onde accordarsi su nuova formulazione dell'articolo riguardante trattamento della nazione più favorita.

Tanto ho creduto doveroso riferire anche per opportuno orientamento del mio successore.

(l) -Non vi è documentazione sui contatti avuti a Roma da Luis Bolin. In proposito, si veda L. BoLIN Espana. Los anos vitales, Madrid, Espana Calpe, 1976, pp. 176 e segg. (2) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (3) -Vedi D. 570.
580

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7108/198 R. Beyoglu, 21 luglio 1936, ore 19,30

(per. ore 21,10).

Mio telegramma n. 194 (1).

Mi risulta in modo sicuro che Governo turco ha prospettato a Belgrado (2)

opportunità mantenimento patto bilaterale, attenendone peraltro risposta ne

gativa.

581

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A MADRID, DE CIUTIIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7128/05 R. Madrid, 21 luglio 1936, ore 23

(per. ore 14,40 del 22).

Mio telegramma n. 001 (3).

Iersera milizie social comuniste, padrone città, si sono abbandonate violento

fuoco fucileria nelle strade e contro gli elementi di destra. Quattro chiese incen

diate. Notte trascorsa abbastanza tranquilla.

Repressione reggimenti Madrid ha permesso Governo dominare situazione nella capitale e preparare forte resistenza contro attacco da parte truppe insorte nelle provincie che voci non controllate affermano essere già giunte presso Madrid. Parlamento sospeso attività venti giorni. Governo requisiti principali giornali di destra, che riappariranno con nuova direzione. Continua interruzione comunicazione telegrafica, telefonica fuori città che rimane isolata.

Intervenuto nuovamente ripetutamente presso ministero degli Affari Esteri e direzione polizia per assicurare protezione connazionali. Nuovamente per iscritto per assicurare maggiore protezione sede, ove sto raccogliendo una parte locale colonia.

Telegrafato Roma e San Sebastiano.

(l) -Vedi D. 568. (2) -Sic. rn realtà: a Londra. Si veda in proposito rnche !a precisazione contenuta nel D. 590. (3) -T. 7208/001 R. de! 20 luglio, ore 22. Dava notizia che Il giorno precedente si erano sollevati alcuni reparti di stanza a Madrid ma che li tentativo era stato soffocato dalle truppe fedeli al governo.
582

IL CAPO DEL SERVIZIO INFORMAZIONI MILITARE, ROATTA, ALL'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI (l)

T. 7758. Roma, 21 luglio 1936 (2).

Risposta 451 (3) e 453 (4).

Queste autorità non ritengono sia il caso aderire richiesta acquisto aerei da parte generale Franco. Se crede attenui risposta negativa motivandola indisponibilità apparecchi tipo richiesto.

583

IL CAPO DEL SERVIZIO INFORMAZIONI MILITARE, ROATTA, ALL'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI (l)

T. I./2440. Roma, 21 luglio 1936 (2).

Suo 452 (5). Non sembra opportuno che V. S. attui collegamento richiesto. Risposta negativa o dilatoria, cui non mancano motivi plausibili, sia fatta titolo personale scopo evitare che V. S. figuri tramite tra generale e autorità italiane responsabili.

(l) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (2) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. (3) -Vedi D. 570. (4) -Non rinvenuto. (5) -Vedi D. 573.
584

L'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI,

AL MINISTERO DELLA GUERRA (l)

T. s. 458-459. Tangeri, 21 luglio 1936 (2).

Essendomi recato a Tetuan per controllare notizia di una eventuale occupazione di Tangeri da parte truppe generale Franco, detto generale saputo da posto di frontiera mio arrivo, ha voluto conferire con me. Egli mi ha detto:

l) intende instaurare governo repubblicano tipo fascista adattato popolo spagnolo;

2) attualmente dispone quattro armate: Andalusia, Burgos, Valladolid, Saragozza. Conta più di tutto su quella Burgos comandata generale Mola e Andalusia da lui diretta;

3) lotta dura ma che bisogna condurre per evitare stato sovietico; 4) mancata adesione flotta obbliga trasporto aereo truppe per cui disponendo tre Foker può trasportare solo una compagnia e mezza al giorno. accorrerebbero otto aeroplani da inviare Melilla con personale civile italiano. L'arrivo di tali apparecchi sarebbe ritenuto come decisivo per riuscita movimento; 5) se Italia favorisce, future relazioni saranno più che amichevoli. Ritornato Tangeri ore 20 ho saputo che generale Franco ha inviato ultimatum Comitato di controllo Zona Internazionale con cui avverte che se entro tre ore navi da guerra spagnole ancorate in porto di Tangeri non partiranno, saranno bombardate entro il porto. Non è da escludere una eventuale occupazione di Tangeri da parte truppe generale Franco in caso di atti ostili dei marinai contro sue truppe. In seguito minaccia occupazione Tangeri questo consolato generale è stato presidiato da un drappello di 20 marinai della nave «Città di Milano». Generale Franco ha telegrafato che per aderire desiderio ministro plenipotenziario d'Italia non operava nella notte sul 22 corrente contro la città attendendo di avere con lui colloquio mattino 22 corrente mese. Accompagnerò ministro plenipotenziario colloquio riservandomi riferire (3).

585

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7194/0438 R. Londra, 21 luglio 1936 (per. il 24).

In occasione dell'annuncio delle intenzioni di questo Governo di ridurre le forze navali inglesi dislocate nello scacchiere del Mediterraneo ho pregato questo

R. addetto navale, comandante Capponi, di recarsi all'Ammiragliato per assu

mere informazioni dirette circa gli intendimenti dell'Ammiragliato in merito alla questione.

Il comandante Capponi, dopo aver conferito con il sottocapo di Stato Maggiore, mi ha riferito quanto segue: l'Ammiragliato ha dato ordine a tutte le unità appartenenti a stazioni fuori Mediterraneo e che si erano dislocate in quel mare nell'autunno scorso di rientrare nelle loro sedi normali. Nei riguardi della Home Fleet, che in parte aveva rinforzato le unità della flotta del Mediterraneo e in parte era rimasta da vari mesi stazionaria a Gibilterra, l'Ammiragliato ha dichiarato che essa verrà tutta ritirata nelle acque metropolitane.

L'Ammiragliato ha assicurato il comandante Capponi che la definitiva consistenza della flotta del Mediterraneo non sarà variata da quella che era prima della crisi abissina ad eccezione di quelle modificazioni che furono annunciate in sede di presentazione del bilancio nel marzo dello scorso anno e che riguardano la distribuzione delle navi di linea e degli incrociatori da battaglia. Queste varianti, come noto, consistono nell'aver assegnato alla flotta del Mediterraneo anziché le .5 corazzate del tipo Royal Oak, le 5 tipo Queen Elizabeth ed, inoltre, i tre incrociatori da battaglia che prima facevano parte della Home Fleet. Le ragioni a suo tempo ufficialmente addotte per questo cambiamento sono, come noto, che il turno dei grandi lavori delle grosse navi nei prossimi anni inciderà fortemente sui tipi Queen Elizabeth le quali pertanto non potranno far parte attiva della Mediterranean Fleet; appunto per sopperire a questa deficienza vengono assegnati a questa forza navale i 3 incrociatori da battaglia (Hood, Repulse, Renown).

L'ammiraglio James ha pure informato il comandante Capponi che durante la conclusione del trattato anglo-egiziano rimarrà ad Alessandria una grossa unità, la ragione addotta è che un ufficiale superiore imbarcato su questa unità deve prendere parte ai negoziati relativi al trattato in parola. Alcune unità navali rimarranno pure ad Haifa data la situazione in Palestina.

Dopo l'annuncio dato dalla stampa della smobilitazione delle forze navali inglesi nel Mediterraneo, sono apparse numerose corrispondenze intese a dimostrare che veniva bensì diminuita la forza navale britannica nel Mediterraneo e scacchieri adiacenti ma che la Mediterranean Fleet alla conclusione di questi movimenti di unità navali sarebbe rimasta, in definitiva, notevolmente rinforzata rispetto alla sua consistenza pre-esistente alla crisi italaabissina. In particolare, il corrispondente navale del Daily Telegraph signor Bywater pubblicava nel predetto giornale, in data 18 corrente un articolo in cui, equivocando sui fatti, si cercava di dare l'impressione che la flotta del Mediterraneo sarebbe stata, fra l'altro, rinforzata notevolmente di naviglio silurante.

Dato il perdurare di queste voci ho pregato nuovamente il comandante Capponi di appurare i fatti presso l'Ammiragliato. Il sottocapo di Stato Maggiore ha confermato al comandante Capponi che tutte le navi inviate in Mediterraneo in occasione della guerra itala-abissina sarebbero state ritirate e, del resto, molti dei movimenti erano già in corso. Egli ha anche confermato che la consistenza definitiva della flotta del Mediterraneo non sarà superiore a quella pre-esistente alla guerra itala-abissina con le varianti gìà note.

Naturalmente con l'aumento delle forze britanniche negli anni prossimi è facile prevedere che la consistenza della flotta del Mediterraneo sarà aumentata, ma per il momento l'Ammiragliato dichiara che esso non intende di lasciare in Mediterraneo forze navali oltre quella normalmente ivi destinate.

Il comandante Capponi ha poi informato telegraficamente il R. Ministero della Marina di quanto precede.

586.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. RR. 5338/1728. Parigi, 21 luglio 1936 (1).

Ho l'onore d'informare in via del tutto riservata l'E. V. che una persona amica ritornata in questi giorni da Londra, dove aveva avuto occasione di incontrare l'ambasciatore britannico a Berlino, nel recarmi i suoi saluti aggiunse che Sir Eric Phipps si esprimeva nel senso che i circoli dirigenti del Reich non fanno assolutamente alcun conto della Francia che considerano un Paese finito dal punto di vista nazionale e militare, destinato a divenire preda del bolscevismo a breve scadenza.

L'ambasciatore britannico a Berlino avrebbe aggiunto che questa scarsa valutazione della Francia avrebbe potuto produrre le conseguenze più funeste, perchè i circoli dirigenti del Reich e pertanto una parte dell'opinione pubblica consideravano come possibile, anzi necessaria la guerra contro la Francia in funzione di difesa contro il bolscevismo invadente. Sir Eric Phipps, i cui sentimenti di amicizia per la Francia sono profondi anche perchè è figlio di una francese, gettava quindi alte grida di allarme e faceva presente il pericolo a cui sarebbe stata esposta anche l'Inghilterra in tempo forse assai vicino, perchè era evidente l'interesse che la Germania avrebbe avuto di scatenare la guerra sintantochè il programma di riarmamento britannico non fosse portato a termine.

La delicatezza dell'argomento e la riservatezza della fonte mi inducono a pregare V. E. di considerare confidenziale questa mia comunicazione e di non indicare quindi che essa proviene da Parigi (2).

587.

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7115/1070 R. Londra, 22 luglio 1936, ore 0,30 (per. ore 5,15).

Eden mi ha pregato stamane passare da lui e mi ha dato lettura comunicato che trasmetto con telegramma n. 1069 (3). Aggiungo che aveva desi

derato vedermi per richiamare particolarmente la mia attenzione sul carattere puramente preliminare che aveva riunione anglo-franco-belga, carattere che è messo in luce dal comunicato là dove è detto che scopo di tale riunione è di esaminare la situazione e per considerare come meglio dare effetto al desiderio delle tre Potenze di consolidare pace Europa per mezzo di un regolamento di carattere generale.

«Noi desideriamo -Eden ha aggiunto -solo compiere un esame preparatorio e sommario e per questo la nostra riunione non durerà più di un giorno. Alla fine riunione vi informerò come essa si è svolta e sua conclusione. Vi prego particolarmente mettere in chiaro che nella riunione non intendiamo affrontare nessun problema. Esame dei problemi che interessano consolidamento pace Europa dovrà essere fatto solo quando vi sarà anche la partecipazione dell'Italia».

La stessa comunicazione, per quanto riguarda Germania, Eden ha fatta oggi all'incaricato d'affari tedesco.

(l) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (2) -Manca l'indicazione delle ore di partenza e di arrivo. (3) -Vedi D. 592. (l) -Manca I'lndlcazlone della data d'arrivo. (2) -Il presente documento reca Il visto di Mussollnl. (3) -T. 7116/1069 R. del 21 Jugllo, ore 19,08, non pubbllcato. Per Il testo del comunicato vedi Documenti di politica internazionale, p. 381.
588

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7151/200 R. Istanbul, 22 luglio 1936, ore 13,15 (per. ore 17,30).

Con mio telegramma n. 192 del 17 corr. (l) da Ankara informai V. E. che, dopo lunga conversazione, Ismet Pascià mi aveva affermato che patti bilaterali erano decaduti e che, dopo ampie spiegazioni e dichiarazioni da me fatte, Turchia non sentiva bisogno di alcuna garanzia. Data sordità mio interlocutore mi feci ripetere tali dichiarazioni che mi furono confermate e che ora riconfermo a V. E. In ogni modo per ogni maggiore chiarezza, avevo per iscritto fissata mia domanda circa validità patti bilaterali.

Con memorandum 21 corr. (2), rimessomi oggi, ministero degli Affari Esteri mi fa sapere, « che il Governo Repubblica turca, pur ritenendo ipotetica e improbabile eventualità, durante il periodo che segue levata sanzioni, dei casi considerati dalle note assicurazioni, considera tuttavia che assicurazioni Turchia verso Gran Bretagna continuano esistere in maniera unilaterale».

Memorandum è accompagnato da una dichiarazione allo scopo di chiarire che assicurazioni turche verso Gran Bretagna differiscono da quelle date nel dicembre scorso e sviluppante argomento che, pur ritenendo Turchia improbabile eventualità di un accordo diretto contro l'Inghilterra nel periodo successivo abolizione sanzioni, Governo turco ritiene mantenere sue assicurazioni verso Gran Bretagna per ragioni politiche, giuridiche e morali. Dichiarazione, riferendosi « interesse » destato dagli importanti affidamenti dati dall'Italia, conclude auspicando essi possano costituire felice preludio alla creazione in

Mediterraneo di una atmosfera di calma, sicurezza e di collaborazione nella fiducia e nella pace cui Turchia è pronta collaborare.

Contemporaneamente ufficiosa «Agenzia Anatolia» pubblica una nota esplicativa dichiarando che i circoli ufficiali smentiscono che Turchia avrebbe denunziato accordo Mediterraneo concluso dicembre scorso e che assicurazioni allora date continuano aver vigore unilateralmente da parte della Turchia verso Inghilterra.

In altri termini accordo bilaterale si è scisso per volere delle parti in due garanzie unilaterali.

Dato tale divario e le altre dichiarazioni verbali circa risposta scritta ho chiesto di vedere immediatamente Saracoglu, cui chiederò spiegazione che mi riservo telegrafare V. E. (1).

589.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE UU. SS. 7131/451-452 R. Parigi, 22 luglio 1936, ore 14,40 (per. ore 16,20).

Da fonte assolutamente certa, R. addetto navale apprende quanto segue:

« Governo spagnuolo ha inviato due ufficiali dei partiti di sinistra per immediato acquisto dal Governo francese di 25 apparecchi da bombardamento con relative munizioni, nonchè cannoni da 75, mitragliatrici e altri armamenti con numeroso munizionamento.

Mentre Blum e Cot dimostransi favorevoli tale richiesta, ministro degli

Affari Esteri Delbos esita per timore complicazioni internazionali. Questa am

basciata di Spagna, in maggioranza [favorevole] Franco, cerca sottomano sa

botare richiesta Governo Madrid.

2) Flotta spagnuola, che era stata inviata contro Franco in Marocco, in

seguito abile inganno degli Stati Maggiori verso equipaggi, ha potuto, durante

tre giorni, trasbordare truppe insorte da Marocco in !spagna ed ha pure bom

bardato La Linea. Avendo di poi equipaggi scoperto inganno si rivoltarono

contro gli ufficiali impadronendosi delle navi che si trovano ora a Tangeri

senza rifornimenti. Autorità internazionali Tangeri esitano accordarli per ti

more reazione Franco e possibile occupazione zona internazionale (mio tele

gramma n. 450) (2).

3) Medesima fonte, sotto vincolo assoluto segreto, e richiamando simpa

tia, idealità del fascismo con insorti anticomunisti spagnuoli, ha vivamente

pregato intervenire presso il Governo di Roma perchè venga studiato rapida

mente modo di aiutare nascostamente in armi, munizioni e aeroplani, truppe

generale Franco in Marocco. È stata in particolare messa in rilievo situazione

flotta spagnuola porto Tangeri, cui rifornimenti sarebbero grave colpo per

insorti. Inoltre è stato chiesto di mettere in allarme opinione pubblica e stam

pa di destra francese e internazionale, contro disposizioni favorevoli del Governo popolare francese verso il Governo Madrid. È stato naturalmente mantenuto con summenzionato emissario il più rigoroso riserbo (1).

(l) -Vedi D. 560. (2) -Non pubbl!cato. (l) -Vedi D. 590. (2) -Non pubblicato.
590

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7163-7166/201-202 R. Istanbul, 22 luglio 1936, ore 20,20 (per. ore 1,15 del 23).

Mio telegramma n. 200 (2).

Ho veduto ministro degli Affari Esteri ad interim e gli ho ripetuto testualmente quanto dettomi e rispostomi da Ismet Pascià. Trattandosi presidente del Consiglio dovevo ritenere, ho affermato, che le sue frasi ed affermazioni avessero valore definitivo. Mi sorprendeva quindi ora smentita. Più ancora ho mostrato stupore per la garanzia unilaterale della Turchia all'Inghilterra che non si basava su alcuna ragione, fatto, motivo od argomento ma che tendeva a fare rivivere, sotto forma speciosa di due garanzie unilaterali, un patto bilaterale che si dichiarava in pari tempo decaduto. Si manteneva così una situazione di sospetto in Mediterraneo, che impediva qualunque nuovo sviluppo verso una normalizzazione. L'Italia voleva arrivare a chiara collaborazione europea e Turchia portava la sua parte di responsabilità di un ritardo.

Ho affermato che stavo esaminando se e quale possibilità di coesistenza vi fosse fra patto amicizia itala-turco (3) e questa ostinata attitudine turca così poco amichevole per noi. In ogni modo partivamo da punti diametralmente opposti poichè noi volevamo completare sparizione di quanto poteva riannodarsi a periodo ora finito, mentre, aspettando, Turchia voleva passare da noti accordi a maggiorE:' patto mediterraneo, il che per noi non era in nessun caso possibile.

Ministro degli Affari Esteri ad interim nulla ha risposto circa dichiarazione fatta da Ismet Pascià limitandosi stenografare come sempre. Ma ha voluto provarmi che Consiglio dei ministri non aveva ritenuto possibile lasciare Inghilterra senza contropartita, sia per ragioni morali, sia per non mettere Turchia in condizioni di inferiorità; che dichiarazioni unilaterali erano valide soltanto ad libitum del dichiarante quindi non potevano sostituire dichiarazioni bilaterali obbligatorie per contraente; che fine patto bilaterale erasi riconosciuto anche dalla Turchia; che si trattava di un nuovo passo verso la normalizzazione ed il mantenimento della pace che la Turchia desiderava vivissimamente e ne era prova la conclusione della nota esplicativa (l) dove, affermando che le mie dichiarazioni erano felice preludio per la creazione di un'atmosfera di fiducia nel Mediterraneo, si aggiungeva che il Governo della Repubblica voleva collaborare sinceramente. Ed ha concluso che per questo passaggio a questa collaborazione di pace non chiedeva mantenimento di nulla aggravante preesistente.

Gli ho detto che vi era contraddizione fra quanto dettomi ed il mantenimento anche soltanto di dichiarazione unilaterale turca verso l'Inghilterra; che in ogni caso ciò si prestava ad un grave ed inesplicabile equivoco; che a nulla valeva affermare che le nostre dichiarazioni erano bene accolte se, invece di una effettiva utilità, si camminava invece a ritroso; che sembrava che la Turchia volesse costruire il patto mediterraneo con la stessa tecnica col quale aveva fatto patto balcanico.

Interlocutore ha concluso che per ottenere dovuti effetti possibili dalla mia dichiarazione e per corrispondere a mia richiesta comunicherebbe oggi a Londra e a Belgrado testo memorandum e nota esplicativa.

Trasmetto questi testi a V. E. per posta raccomandata (2).

Tutte le repliche e giustificazioni di Saracoglu sono state deboli ed illogiche. Stesso suo tono sembrava imbarazzato e la esposizione era incerta e zoppicante. A tener presenti tutte le circostanze precedenti ed ultime informazioni di sicurissima fonte (mio telegramma n. 198) (3), notizia che Aras ha cercato anche recentissimamente a Londra, (ripeto a Londra, non Belgrado come cifrato erroneamente in mio telegramma n. 198) mantenimento Patto bilaterale è mio avviso plausibile sopratutto ricordando costanti affermazioni di Aras di considerarsi quasi alleato dell'Inghilterra; se ne deve dedurre che novissima dichiarazione turca è sforzo per mantenere quanto più lungamente possibile in essere quei legami che la politica turca ha voluto creare con il facile pretesto di una aggressività italiana che l'Inghilterra non si è mai stancata di mettere in evidenza ad Angora.

Tale dichiarazione rappresenta anche in qualche modo quella contropartita che la Turchia può ancora offrire all'Inghilterra dopo che a Montreux è stata costretta ad abbandonare le prime posizioni concordate con Londra per sostenere in pieno la tesi sovietica.

(l) -Il presente documento reca !l visto di Mussollni. Con T. posta 5370/1745 del 22 luglio(perv. il 24 luglio), l'ambasciatore Cerruti trasmetteva copia del rapporto n. 188 C.I./I, in paridata, dell'addetto navale Ferreri che, per quanto concerneva l'atteggiamento del governo francese nei riguardi della situazione spagnola, scriveva: <<Da fonte sicura ho avuto le seguentinotizie: Il Governo spagnolo il 20 corrente ha ordinato telegraficamente all'Ambasciata di Spagna a Parigi di cercare di acquistare subito dal Governo francese 25 grandi aeroplani da bombardamento di un tipo già in servizio con il relativo munizionamento e di inviarli immediatamente in volo all'aerodromo di Barcellona possibilmente con personale francese perguadagnare tempo. Con altro telegramma è giunto ordine di acquistare dei cannoni da 75 col relativo munizionamento, parecchie mitragliatrici e 12 milioni di cartucce per mitragliatrici.L'Ambasciatore spagnolo, che con gli Addetti militare e navale in cuor suo parteggia per gliinsorti, ha lasciato passare qualche ora e solo il 21 mattina ha parlato del progettato acquisto con il Presidente del Consiglio francese, On. Blum, che si è espresso in termini amichevoli verso il Governo spagnolo ed ha promesso di far esaminare nel modo più rapido e più benevolo la questione dagli organi competenti. Dal suo canto l'Addetto militare si è recato al Ministero della guerra ove al 2ème bureau ha trovato degli Ufficiali simpatizzanti per i partiti di destra che gli hanno promesso di dilazionare, per quanto possibile, la pratica. Il 21 nel pomeriggio, con un aeroplano commerciale, sono giunti a Parigi due Ufficiali aviatori spagnoli: i Comandanti Warletta e Avoal, aventi per missione di accelerare l'acquisto dei 25 apparecchi. Da notizie avute questa mattina dovrebbesi ritenere che l'On. Blum ed il Ministro dell'Aria Cot sono favorevoli alla cessione degli aeroplani alla Spagna mentre il Ministro degliEsteri Delbos avrebbe avanzato qualche difficoltà per tema di complicazioni internazionali. I servizi del Ministero dell'Aria si mostrano poco propensi alla vendita. In ogni modo questamattina alle ore 9, con automobile inviata dal Ministro Cot, gli Ufficiali aviatori spagnolisi sono recati sui campi di aviazione per vedere gli apparecchi». (2) -Vedi D. 588. (3) -Vedi p 16, nota 2. (l) -Si tratta della dichiarazione che accompagnava il memorandum del governo turco in data 21 luglio. Si veda in proposito il D. 588. (2) -Non pubblicati. (3) -Vedi D. 580.
591

IL CONSOLE GENERALE A BARCELLONA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7154/S.N.R. Barcellona, 22 luglio 1936, ore 23,05 (per. ore 24 del 23).

Con riferimento a telegramma di V. E. n. 3388/C (l) comunico che questo Governo ha definitivamente sedato la rivolta militare in Barcellona fino dalla mattina del 20. Risulta che in tutta la Catalogna ogni rivolta è finita, mentre a Saragozza e in Navarra truppe dominerebbero tuttora situazione. Da Barcellona partono ininterrottamente colonne di automobili di guardie di assalto e estremisti direzione Saragozza.

Da ieri Governo Generalità perso controllo situazione a vantaggio massa anarchico-comunista armata, che domina città saccheggiando negozi bruciando tutte le chiese cattoliche, arrestando arbitrariamente. Morti stimati 1000, feriti oltre 5000.

Ho conferito con Espafia, ministro dell'Interno governo locale, che mostrasi molto pessimista e incapace controllare situazione.

Dato predominio anarchico-comunista moltiplicansi attentati, minaccia contro beni, persone connazionali, provocati da noti elementi fuorusciti. Connazionale Dolioti, ucciso ieri in circostanze non precisate. Negozi e uffici italiani devastati. Coppadoro, direttore della Società Pirelli, depredato. Connazionali residenti Manresa e Sitges isolati. Tenterò oggi farli affluire Barcellona.

A seguito mie energiche proteste, Governo locale concesse guardia polizia Casa degli Italiani, alla mia persona, vice console, altri connazionali più minacciati. È dubbio se tale protezione potrà essere mantenuta efficacemente.

Questo consolato generale America del Nord ha chiesto formale protezione italiana per cittadini Stati Uniti di America del Nord e permesso imbarcare su nave italiana da me concesso nei limiti spazio. Numerosi altri stranieri confidano in protezione italiana.

592

L'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI, AL MINISTERO DELLA GUERRA (2)

T. 461 Tangeri, 22 luglio 1936 (3).

Riferimento telegramma di cotesto Servizio n. 7758 (4) e seguito mio telegramma n. 459 (5).

Durante colloquio ministro d'Italia, presidente Comitato di controllo zona internazionale, con generale Franco ho parlato con generale accennando vagamente che concessione aeroplani è difficile dato che situazione politica internazionale e servizio aereo in Etiopia durante stagione pioggie obbligano nostro governo a considerare indisponibili gli apparecchi.

Generale Franco ha insistito affermando che anche uno o due grossi aeroplani da trasporto civili o militari pure se non modernissimi sarebbero preziosi perché permetterebbero aumentare invio in Spagna reparti rimasti Marocco e volontari arabi che effettivamente desiderano arruolarsi in gran numero. Anche in Spagna secondo il generale affluenza volontari è soddisfacente. Un simile servizio, fatto occultamente dall'Italia, non sarebbe mai dimenticato.

Per attestazione di simpatia verso Italia generale ha sospeso qualsiasi azione contro Tangeri nonostante che ciò porti danno alla sua azione. Mattina 22 corrente davanti Cadice aerei hanno affondato una nave ed hanno danneggiato incrociatore Libertad et cacciatorpediniere Churruca.

Secondo notizie pervenute da varie fonti movimento militare per quanto lentamente continua a progredire rendendo sempre più critica situazione governo di Madrid.

(l) -Con tale telegramma del 21 luglio, ore 24, Ciano aveva comunicato alle ambasciate a r"ondra, Parigi e Madrid e al consolato generale a Barcellona di aver disposto l'invio a Barcellona di due navi da guerra per l'eventuale imbarco degli italiani in pericolo. L'ambasciàta a Madrid era stata incaricata di dare comunicazione di quanto sopra al governospagnolo. (2) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (3) -Manca l'indicazione delle ore di partenza e di arrivo. (4) -Vedi D. 582. (5) -Vedi D. 584.
593

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7234/018 R. Bucarest, 22 luglio 1936 (per. il 25).

Soltanto ora sono in grado di dare informazioni più precise circa la «crisi Titulescu » della settimana scorsa.

Il ministro degli Esteri non si è qui precipitato da Montreux per chiedere la tesa dtel suo collega degli Interni, signor Inculetz, come da principio era sembrato, bensì con un disegno più vasto, e cioè per trascinare, con le sue dimissioni, quelle dell'intero Gabinetto e portare al Governo i nazionalcontadini dimostratisi in questi ultimi tempi più ligi alle direttive di Parigi e più disposti a far buon viso agli ordini di Mosca.

E così, quello stesso Titulescu che nel novembre del 1933, protestando l'appoggio dato dal Governo nazional-tzaranista al movimento dì destra e facendosi portavoce dei malumori di Parigi era riuscito, sempre con il sistema delle dimissioni, a rovesciare il Gabinetto di Vajda Voedod ed installare al suo posto quello dei liberali di Duca e di Tatarescu, oggi, sempre a nome della Francia e sempre col pretesto dell'appoggio del Governo ai movimenti di destra, ha dì nuovo tentato con le sue dimissioni di cacciare i liberali e di ricondurre al potere i nazional-contadini. Senonchè questa volta egli ha trovato il pubblico désenchanté e sopratutto ha trovato che lo stesso sovrano, su cui egli faceva assegnamento non era disposto a ripetere il giochetto del novembre 1933. Quando perciò Titulescu ha presentato le sue dimissioni, ha, con sua sorpresa, constatato che tutti erano disposti ad accettarle e che l'opinione pubblica non sembrava affatto sorpresa che l'uomo, la cui politica estera appariva a tutti come fallimentare, dovesse andarsene.

Come più volte ho riferito all'E.V., né il Governo, né il Re, né l'opinione pubblica considerano come fondamentali per la Romania i rapporti con Roma. Tuttavia la scenata di Ginevra (l) ha avuto influenza decisiva nel creare intorno a Titulescu un'atmosfera di sfiducia e quasi di rivolta. La Romania ha profondamente «sentito» che la sua condotta sanzionista era stata falsa ed ingenerosa. Essa quindi si era preparata alla fine delle sanzioni come qualcuno che mettendo fine a una cattiva azione è desideroso di farla dimenticare al più presto. La scenata di Titulescu complicando, invece, con una nota personale i rapporti già così difficili con Roma è quindi apparsa a tutti come una imperdonabile gaffe.

Si è quindi detto che Titulescu, ministro che vuole passare come « tecnico » indispensabile nei rapporti internazionali, non può essere, non deve essere un gaffeur.

Quando Titulescu si è reso conto di tutto ciò, quando ha visto che nessuna delle condizioni da lui poste per rimanere nel Gabinetto era accettata, quando s1 e accorto che il Re era perfettamente disposto a privarsi dei suoi preziosi servizi, egli ha fatto la sola cosa che in tali circostanze gli restava da fare, e cioè ritirare le sue dimissioni. E così è terminata la cns1.

Proprio ieri il ministro delle Finanze, signor Antonescu, che era stato designato alla successione di Titulescu mi ha confermato che tutto il Gabinetto era convinto che Titulescu non avrebbe potuto uscire dall'impasse in cui si era cacciato. Il signor Antonescu ha aggiunto, e la sua opinione è divisa da quasi tutti i membri del Governo, che la posizione di Titulescu è ormai così indebolita che egli non potrà durare fino all'ottobre. È interessante rilevare che anche i nazional-contadini che hanno per un momento sperato di riacciuffare il Governo mediante lo sgambetto di Titulescu, sono oggi indignati contro di lui e considerano il ritiro delle sue dimissioni come un atto di «tradimento».

Ad indebolire la posizione di Titulescu hanno fortemente contribuito i miei passi presso vari membri del Governo e presso il signor Tatarescu, presidente del Consiglio, a cui ho fatto chiaramente intendere che se la Romania voleva riprendere cordiali rapporti con l'Italia il signor Titulescu non era lo strumento più indicato.

Da parte mia non oso far previsioni. Sto qui da tre anni e mezzo: Titulescu si è dimesso tre volte e tre volte è rimasto al timone della politica estera della Romania.

594

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI SPAGNA A ROMA, GOMEZ OCERIN (2)

APPUNTO. Roma, 22 luglio 1936.

Ho convocato stamane l'Ambasciatore di Spagna.

Gli ho dato comunicazione del telegamma ricevuto ieri dal R. console generale in Barcellona (1), prospettandogli come il Governo italiano si era visto nella necessità di provvedere all'invio di due navi da guerra per la protezione e l'eventuale imbarco dei connazionali residenti in quella città.

Gli ho detto che, fin da ieri sera, il R. Ambasciatore in Madrid era stato telegraficamente invitato ad informare ufficialmente il Governo spagnolo (2). Comunque, qualora si fossero avute notizie ancora più allarmanti sulla situazione in Barcellona, non sarebbe stato possibile attendere il preventivo compimento di tutte le formalità richieste e le navi sarebbero entrate nel porto, per assicurare la tempestiva protezione della nostra colonia in quella città ed evitare così inconvenienti più gravi.

L'ambasciatore mi ha risposto che si rendeva conto di tutto quanto io gli avevo detto, mi ringraziava e mi assicurava che il Governo spagnuolo non avrebbe avuto alcuna ragione di attribuire un carattere meno che amichevole al nostro gesto.

Egli ha convenuto che la situazione in !spagna era grave e mi ha pregato di passare alla stampa un comunicato contenente le notizie autentiche pervenutegli ieri dal Governo di Madrid, raccomandandosi affinché i giornali e la radio mantenessero sul succedersi degli avvenimenti un atteggiamento obiettivo.

Gli ho dato assicurazioni.

(l) Vedi D. 419.

(2) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 39-40.

595

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7156/1077 R. Londra, 23 luglio 1936, ore 1,33 (per. ore 6).

In conformità delle istruzioni di V. E. (3), ieri stesso ho rimesso a Eden appunto scritto circa assicurazione che V. E. ha dato ai Governi di Ankara, Atene e Belgrado il cui testo ho già trasmesso con mio rapporto n. 568 (4).

Eden mi ha pregato oggi di passare da lui e mi ha detto che aveva esaminato stamane coi suoi colleghi di Gabinetto appunto rimessogli ieri e che assicurazioni da noi date a Grecia, Turchia e Jugoslavia erano così precise e soddisfacenti che il Governo britannico non (dico non) vedeva più alcuna ragione per mantenere assicurazione che aveva creduto doveroso dare ai tre Paesi mediterranei. « Vi prego -egli mi ha aggiunto -di ringraziare a mio nome conte Ciano per la sua cortese comunicazione, che il Gabinetto ha molto apprezzato e di informarlo che lunedì prossimo, in occasione dibattito politica estera che avrà luogo Camera dei Comuni, annunzierò senz'altro decisione che vi ho comunicato. Io dovrò naturalmente spiegare ai Comuni ragioni di questa decisione e vorrei valermi delle informazioni che il conte Ciano

(~l Non è stato rinvvnuto alcun documento in proposito. È da ritenere che tali istruzioni siano state date per telefono.

mi ha fatto comunicare per poter dire che, in seguito assicurazioni spontaneamente date dal Governo italiano alla Grecia, Turchia e Jugoslavia, le circostanze sono mutate e Governo britannico non vede più ragione per mantenere garanzia mediterranea».

Eden ha soggiunto: «Desidero però fare tale comunicazione ai Comuni in una forma che sia di gradimento del Governo italiano e perciò stasera stessa mvierò istruzioni a Drummond perché egli comunichi al conte Ciano la nostra decisione di revocare assicurazione mediterranea e gli chieda di autorizzarmi, nel mio discorso alla Camera dei Comuni, di fare menzione delle assicurazioni spontaneamente date dall'Italia alla Grecia, Turchia e Jugoslavia e negli stessi termini nei quali Voi, per incarico del conte Ciano, me ne avete informato. Anzi, per maggiore esattezza, vorrei servirmi dello stesso appunto che mi avete comunicato. Ho dato però ancora incarico a Drummond di accertare quali 3ono desideri del conte Ciano e di prendere accordi con lui».

Ho assicurato Eden che stasera stessa avrei informato V. E. della sua comunicazione e gli avrei preannunziato istruzioni impartite a Drummond (1). Eden mi ha pregato tuttavia di tenere segreto decisione del Gabinetto sino a quando egli non la annunzierà ai Comuni (2).

(l) -Il console generale a Barcellona. Bossi aveva telegrafato: <<Disordini anarchici provocati da elementi antifascisti italiani in continuo aumento. Stamane saccheggiati uffici 3ocietà Navigazione Italia. Molti connazionali minacciati nelle persone e nei beni. Ritengo assoiutamcntc opportuno immediato invio navi da guerra» (T. 7103/87-47 del 21 luglio, ore 13,05). (2) -Si veda p. 659, nota l.

(4) Vedi D. 559.

596

L'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI, AL MINISTERO DELLA GUERRA

T. 462. Tangeri, 23 luglio 1936 (3).

Per dovere d'ufficio comunico fonte sicura mi informa che Generale Franco si è lamentato di non adesione invio immediato aerei qualificandola miopia politica. Adesione in caso riuscita movimento avrebbe permesso su futura politica spagnola prevalenza influenza Roma anziché Berlino (4).

597

L'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI, AL MINISTERO DELLA GUERRA (5)

T. 463. Tangeri, 23 luglio 1936, ore 13 (per. ore 16,30).

Ventidue corrente mese progressi insorti in Spagna sono stati lievi mentre si nota invece tentativo di reazione militare da Madrid. Insorti avrebbero ieri

occupato Pontevedra, Vigo ed altre località della Galizia, Leon; non risulta abbiano ottenuto nuovi vantaggi verso Madrid. Per riuscita movimento Franco occorre intervenire d'urgenza. In via riservatissima comunico che ministro De Rossi mi ha fatto comprendere che ministro Affari Esteri non sarebbe contrario.

(l) -Con T. 3414/389 R. del 24 luglio, Ciano comunicava a Vitetti di avere autorizzato l'incaricato d'affari britannico a telegrafare che, nelle sue dichiarazioni ai Comuni, Eden poteva avvalersi dell'appunto consegnatogli da Vitettl. (2) -n 27 luglio Eden dichiarò ai Comuni che dopo le assicurazioni fornite dall'Italia il governo britannico riteneva che non vi fosse più alcun bisogno di mantenere le garanzie date a Grecia, Jugoslavia e Turchia. (3) -Manca l'indicazione delle ore di partenza e di arrivo. Si colloca qui in base al numero di protocollo. (4) -Con T. 464, stessa data, il maggiore Luccardi comunicava: «Fonte attendibile comunica che Germania avrebbe già inviato un aeroplano trimotore a Tetuan ». (5) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato maggiore dell'Esercito.
598

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. uu. 7165/457 R. Parigi, 23 luglio 1936, ore 21,05 (per. ore 22,45).

Mio telegramma n. 451 (1).

In modo certo mi risulta che Blum e Cot di propria iniziativa e senza consultare Gabinetto hanno deciso favore richiesta Governo Madrid.

Venticinque Potez da bombardamento con personale francese saranno inviati prossimamente in volo a Madrid. Personale francese resterà a disposizione Governo Madrid per istruire aviatori civili spagnuoli.

Oggi stesso partono per ferrovia dirette a Marsiglia ventimila bombe per aeroplani da dieci chilogrammi che saranno imbarcate piroscafo spagnuolo Ciudad de Tarragona e inviate subito Spagna.

Ritengo che insorti spagnuoli non abbiano potuto essere informati di quanto precede.

599

IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.s. 7184-7187/196-197 R. Tangeri, 23 luglio 1936, ore 21,30 (per. ore 0,30 del 24).

Mio telegramma n. 193 (2).

Generale Franco, col quale sono in cordiali discrete relazioni, mi ha pregato comunicare V. E. aver preso direzione movimento non per intenzione partitaria ma per salvare Spagna dal bolscevismo e darle Governo su tipo fascista. Egli è convinto combattere non solo per avvenire suo Paese ma per pace popoli latini e questo settore Mediterraneo, poichè venuta bolscevismo in Spagna trascinerebbe sicuramente nel disordine grave Portogallo, ancora impari difendersi, e vacillante compagine francese.

Se fede ed entusiasmo suoi camerati sono senza limiti, egli non può nascondere che suoi mezzi sono limitati per far fronte così grande impresa conquista, con quasi senza trasporti marittimi e aerei, Paese già profondamente inquinato bolscevismo cui giungono vasti aiuti da Fronte Popolare francese e da comunismo internazionale. Egli chiede pertanto che il Governo Fascista

si interessi sua lotta fascista e lo voglia discretamente e rapidamente aiutare per dare colpo decisivo agli avversari.

Da insieme informazioni raccolte credo solo poter dedurre che spedizione Generale Franco, per quanto animata da entusiasmo grande e patriottismo profondo, potrebbe fra breve trovarsi difficile posizione se non arriva a sbarazzarsi rapidamente della pressione della flotta governativa che ha per base Tangeri e se non arriva procurarsi presto mezzi trasporto marittimi ed aerei necessari, dei quali manca quasi totalmente,. e per potere con assoluta sicurezza mantenere collegamento Spagna e inviare nuove truppe da Marocco.

Come presidente Comitato di Controllo ho fatto sino ad ora il possibile, sotto pretesto neutralità Tangeri, per impedire che navi da guerra spagnuole governative qui ancorate potessero essere rifornite nafta per poi andare compiere azioni belliche e ritornare poscia al sicuro sotto garanzia neutralità zona internazionale.

Sono inoltre riuscito vincere indecisione Comitato di Controllo occuparsi seriamente questione neutralità Tangeri facendo redigere telegramma collettivo a Potenze mandatarie di cui al mio telegramma n. 194 (l) affinché siano presi accordi per impedire che porto Tangeri continui servire base navale spagnuola e campo di battaglia. Se flotta spagnuola governativa dovesse infatti fare a meno base Tangeri perderebbe in gran parte sua efficienza perchè sarebbe in questo settore priva di rifugio e rifornimenti.

Circa mezzi di trasporto di cui necessita generale Franco, egli ha dettagliatamente messo al corrente addetto militare, maggiore Luccardi, che ne riferirà telegraficamente e eventualmente venendo anche per via aerea (2).

Dal complesso informazioni raccolte ho sensazione che situazione sia ancora per il momento incerta, perchè bolscevismo internazionale, cui debbonsi indubbiamente tutte agitazioni spagnuole ed Africa Settentrionale, non tralascerà mezzo per soffocare tentativo generale Franco di riportare ordine Spagna e anche perchè non escludo che Francia non pensi profittare eventuale scacco Generale Franco per occupare zona confinante del Marocco spagnuolo sotto pretesto conservare ordine pubblico (3).

(l) -Vedi D. 589. (2) -T. 7161/193 R. del 23 luglio, ore 2, non pubblicato.
600

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. (4). [Istanbul], 23 luglio 1936.

Con la firma della Convenzione la Turchia acquista l'immediato diritto di riarmare le zone dichiarate disarmate dalla convenzione del 1923 raggiun

47 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

gendo così il massimo suo postulato posto in ogni differente occasione e sollevato ufficialmente con la nota diretta alle Potenze firmatarie della Convenzione di Losanna, 1'11 aprile 1936 (1). Venendo così a possedere senza limitazioni la possibilità di chiudere la grande via marittima fra Mar Nero e Mediterraneo è da credere che oltre ed al di fuori di qualsiasi clausola della Convenzione la Turchia potrà essere indotta ad usare eli questa sua forza secondo quelle maggiori convenienze che potranno vcrificarsi in una nuova crisi bellica.

Dietro il ripetersi periodico della rivendicazione turca è stata sempre la repubblica dei Sovieti con la finalità di regolare secondo i suoi obbiettivi storicamente costanti il diritto di transito delle navi da guerra e secondo due differenti formule: chiusura automatica degli Stretti a tutte le marine da guerra, compresa la sovietica ed in qualsiasi direzione, oppure diritto alle navi sovietiche di passare col minimo di limitazioni in Mediterraneo contro il diritto parallelo per ogni flotta di penetrare nel Mar Nero ma col massimo di limitazioni possibili.

È la seconda formula che ha avuto ragione. Perciò i due primi punti del nuovo giuoco nella formidabile partita che intorno agli Stretti si svolge fra le grandi Potenze sono stati nettamente vinti da Turchia e Soviet.

La Turchia che è così debole entità militare e politica rispetto alle grandi Potenze, col possesso armato e fortificato degli Stretti viene ad esercitare sempre plù una pressione ricattatoria sui grandi interessi europei, sproporzionata al suo armamento ed al suo sviluppo civile, quindi al suo reale peso sui contrasti europei. Essa si sente perciò inorgoglita ed esaltata dal recente successo fino al punto di ritenere fermamente di essere chiamata ad una grande funzione mediatrice degli interessi europei in contrasto.

I Soviet annullando praticamente ogni pericolo di attacco in Mar Nero da parte di flotte non rivierasche, ed ottenuto invece l'incommensurabile vantaggio di far passare le proprie navi da guerra in Mediterraneo si vedono accresciute le possibilità offensive contro Germania e Giappone, e divengono almeno potenzialmente e virtualmente Potenza che farà o potrà fare sentire un suo peso nelle controversie mediterranee.

Ma le tendenze particolarmente variabili della Turchia, considerato il recente passato della Grande Guerra e la posizione economica e culturale che la Germania si è già riconquistata nell~ repubblica turca, facilitano la nuova disposizione che in caso di guerra, la Turchia essendo neutra, possano entrare negli Stretti navi di belligeranti in virtù di patti di assistenza. Si tende in tal modo ad evitare che la Turchia all'ultimo momento possa operare uno di quei rapidi voltafaccia ai quali nella sua storia è stata sempre proclive e che ha ripetuto, così fatale per gli alleati, nel 1914.

Questo nuovo meccanismo può quindi permettere alla Francia che ha avuto parte cosi viva nelle discussioni, di concludere un patto franco-turco da

inserire nel quadro del franco-sovietico e che, garantendo i legami strategicologistici franco-sovietici, finisce col dare alla nuova convenzione una punta antigermanica, tanto più che la Francia mira a riprendere in Turchia una funzione sì gravemente decaduta in questo ultimo quadriennio durante il quale si è operato un progressivo sistematico cadere di ogni posizione economicofinanziaria e culturale francese.

Con questa formula si tende principalmente a vincolare la Turchia, sulla quale graverà sempre la minaccia delle truppe sovietiche dalle provincie orientali se tenti sgarrare dalla decennale alleanza con Mosca (ed è questa l':::.rma di cui i Soviet si sentono più sicuri), ad una netta e precisa politica dominata dai comuni interessi sovietico-francesi, sicchè per questa parte e per questo settore di contrasti la Turchia è sospinta sempre più a prendere una marcata e decisa fisionomia col blocco antigermanico.

La tesi sovietica del passaggio delle sue navi in Mediterraneo e della chiusura del Mar Nero con le limitazioni di massimo e di minimo e di qualità stabilite dettagliatamente dalla nuova convenzione, il sistema combinato di convenzione di Montreux-Pato della S.p.N. e patti di mutua assistenza, il completo incontrollato esercizio della sovranità marittima da parte della Turchia, sono dovuti prevalentemente al rapido ripiegamento delle posizioni assunte dalla Gran Bretagna con la presentazione del suo progetto il 4 luglio (l) del quale la Turchia accettò lettura e discussione. Sono state date molte ragioni di questa curiosa capitolazione che delle varie vicende e fasi della conferenza è quanto ha più singolarmente colpito.

Si è detto di debolezza della politica inglese e del suo disorientamento, si è parlato di timore che l'Inghilterra potesse portare la responsabilità della rottura della conferenza di fronte alla recisa dichiarazione sovietica di lasciare Montreux se i suoi postulati non fossero stati accolti; si è affermato che l'Inghilterra forte dell'iniziale appoggio turco credesse in un più facile riuscire del suo progetto quando invece di fronte alla minacciosa pressione sovietica l'Inghilterra non ha avuto più il turibolario Aras a sostenerla, poiché rapidamente ripiegato sotto l'ala moscovita; si è creduto vedere nell'accordo anglosovietico l'effetto di quelli austro-germanici o spettro di una piena intesa itala-germanica. Nessuna delle ragioni che sono circolate in questi ambienti soddisfa interamente, ma forse in ognuna vi è un elemento di verità. In ogni caso il fatto è.

Ma questo cedimento verso i postulati sovietici, quando invece continua la preesistente tendenza a mantenersi fra Inghilterra e Turchia i noti patti del dicembre 1935, indicano l'altro aspetto della politica turca in Mediterraneo, e la funzione che anche da Inghilterra si è voluta attribuire alla conferenza di Montreux. Che è anti italiana.

Fu subito chiara questa finalità non appena si ebbe vago sentore di accordi anglo-turchi per il riarmo delle zone, e le vicende hanno mostrato quali armi anti-italiane (anti-italiane in primo tempo se pure antisovietiche in secondo) l'Inghilterra voleva crearsi col progettato art. 16.

Se questo è caduto ed ha dato luogo a quello approvato, non per questo lo spirito animatore è cessato, e non mancano altre armi. Basta pensare alla creazione di una nuova situazione di diritto internazionale; lo stato di minaccia di guerra, che non è più quello di pace e non è ancora quello di guerra, stati inequivoci.

Ognuno vede di quanto elastica interpretazione possa essere oggetto e soggetto una situazione cosi indefinita ed indefinibile quale lo «stato di minaccia», e quale arma esso possa divenire in mano della Potenza che detiene in mano sua gli Stretti o di una coalizione che possa fare pressione sulla Turchia.

L'altro punto è che gli Stretti in caso di guerra possono essere chiusi a tutti gli Stati che non adempiono agli obblighi societari. Altra formula equivoca ed elastica, la quale però prova sempre più come la S.d.N. tenda a divenire, nelle condizioni attuali, la matrice di una alleanza di alcune grandi Potenze con attivo seguito di molte minori.

Ciò ci conduce ad esaminare i risultati della conferenza nei riguardi specifici dell'Italia.

Da un certo punto di vista sembrerebbe che il nostro interesse maggiore avrebbe potuto coincidere con la prima formula sovietica. Data la nostra massima necessità logistica per i nostri rifornimenti in Mar Nero, è chiaro che sussiste anche quella contemporanea di sottrarre il Mar Nero a qualsiasi vicenda bellica. In pari tempo abbiamo interesse ad evitare che la flotta sovietica possa agire in Mediterraneo poiché la sua presenza sarebbe di scarso aiuto alla nostra forza navale, mentre potrebbe unirsi efficacemente ad aggruppamenti a noi ostili.

Ne segue l'altro indiscutibile criterio che la Turchia non abbia possibilità di chiudere gli Stretti e che genericamente non sia agevolata nel suo sviluppo militare.

Ma questi sono ormai enunciati teorici.

In realtà il riarmo degli Stretti è cosa ormai fatta, e con gli Stretti quello delle Isole.

Così i nostri rifornimenti in Mar Nero possono esserci preclusi, e la funzione strategica del nostro possedimento in Egeo diminuita ed indebolita.

Certo si può anche supporre che l'Inghilterra di fronte all'impetuoso crescere della forza italiana possa domandarsi se non sia meglio deviarlo su altri obiettivi che non siano di diretto interesse inglese. Certo si può supporre che al predominio schiacciante di ogni altra forza in Mediterraneo, Londra possa preferire la sicurezza in questo mare per garantirsi la via ai possessi estremo orientali, garanzia pari alla nostra verso l'Africa Orientale. Sono ipotesi poco probabili per un prossimo avvenire.

Ma in ogni caso (poiché non certo spetta a me esaminare quale possa essere la politica inglese nei nostri riguardi) le formulo solo per concludere che se l'Inghilterra debba e voglia e creda continuare ad esserci ostile e farci pagare lo smacco che l'ha colpita così duramente (le parole di Lloyd George ai Comuni sono la espressione ineducata di quanto educatamente e con esercizio di ogni forza inibitoria sente però, ogni inglese) avrà sicuramente e sempre la Turchia dalla sua parte, e con ogni mezzo ed arma che le saranno concessi.

Quindi anche questo della convenzione di Montreux la quale così come è ora congegnata può assai agevolmente essere adoperata contro ogni nostra legittima libertà di movimento e di azione. Il che peraltro non impedirà mai che l'Italia indistruttibile molo ed immenso campo di aviazione gettato a mezzo Mediterraneo possa, anche con la chiusura del Canale di Sicilia frustrare molti scopi jugolatori di qualcheduno dei sottoscrittori.

Credo quindi sia prudenziale atteggiamento quello di considerare d'ora in poi la Turchia sempre più nel campo a noi avverso. Tanto più che essa, per gli interessi inglesi, rappresenta la terza postazione di difesa e di offesa nel Mediterraneo orientale contro di noi, mentre dal canto suo per quell'« imponderabile minaccioso » che, secondo quanto mi ha detto stamani questo ambasciatore d'Inghilterra è nella politica italiana (non è rimasto senza risposta in questo colloquio accaduto qualche ora fa fra un inglese che perde la calma ed un italiano che non perde la sua. E quanto non celata e quasi villana ira per la frase del Capo del Governo che ha osato parlare di «bandiera bianca » alzata dalle nazioni sanzioniste!) giustifica quella concessione linearmente militare della sua politica che ricerca affannosamente appoggio e solidarietà inglese.

Queste sono le principali osservazioni che sulla conferenza di Montreux si possono oggi fare da questo osservatorio.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 609. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (4) -Il testo del presente rapporto, del quale non è stato possibile rintracciare l'originale, è ricavato dalla ritrasmissione a Parigi, Londra, Berlino, Mosca, Washington, Tokio, Belgrado, Bucarest, Sofia, Atene e alla delegazione a Ginevra effettuata con il telespr. 225859 del 31 luglio.

(l) In realtà, datata 10 aprile. Testo in Documenti di pulitica internazionale, pp. 211-213.

(l) Vedi B IJ, serie seconda, vol. XVI, D. 517, allegato.

601

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. s. P. 5408/1765. Parigi, 23 luglio 1936 (l).

Mi riferisco ai miei telegrammi segreti n. 451 e 452 in data 22 corrente (2) e mi onoro portare a conoscenza di V. E. alcune notizie ricevute oggi dalla medesima fonte sicura che mi comunicò le informazioni di cui ai miei telegrammi sopracitati:

«Oltre agli aeroplani, ai cannoni da 75, alle mitragliere ed al relativo munizionamento, il Governo spagnolo ha domandato al Governo francese di vendergli 1.000 fucili Lebel e 10 milioni di cartuccie da consegnare in Spagna

o a Bordeaux.

Il presidente del Consiglio on. Blum ed il ministro dell'Aria Cot, senza riunire il Gabinetto, hanno deciso di aderire, per quanto possibile, ai desiderata del Governo spagnolo: hanno rinunciato alla pretesa avanzata ieri che i pagamenti avvenissero in franchi francesi prima del ritiro della merce, e si accontentano oggi che la pesetas non è più quotata alla Borsa francese di pagamenti in chèques.

Gli uffici del ministero della Guerra, non favorevoli alla vendita progettata, cercano di mandare in lungo le pratiche.

Il ministro Cot si è messo d'accordo con i comandanti Warletta ed Avoal per l'invio in volo a Madrid di 25 aeroplani da bombardamento «Potez » (anno 1925) con personale francese. Detto personale rimarrà al termine del viaggio a disposizione del Governo spagnolo per istruire gli aviatori spagnoli che essendo per la maggior parte civili non hanno pratica dell'utilizzazione bellica degli apparecchi.

Non è ancora precisata la data di partenza di detti apparecchi.

Partono quest'oggi, a cura del ministero dell'Aria, per ferrovia, dirette a Marsiglia: 20 mila bombe per aerei del peso di 10 kg. l'una, che debbono essere imbarcate sul piroscafo Ciudad de Tarragona che deve giungere in giornata a Marsiglia.

L'ambasciatore di Spagna S. E. Cardenas y Rodriguez de Riva ha lasciato quest'oggi il suo ufficio (avrebbe dovuto normalmente !asciarlo il 25 c.m.) ed è rimasto come chargé d'attaires il ministro Cristobal del Castillo che aveva in passato funzioni di consigliere.

Questa mattina è giunto in volo da Ginevra Mr. Fernando de los Rios, socialista avanzato e personalità fidata del Governo, che non ha titoli ufficiali ma che in realtà assumerà la direzione dell'ambasciata che il Governo spagnolo ritiene evidentemente guadagnata alle idee di destra».

Ho disposto nel modo più riservato che il R. consolato generale in Marsiglia accerti l'arrivo il carico e la partenza del piroscafo Ciudad de Tarragona e mi riservo di riferire immediatamente a V. E. l'esito di tali indagini (1).

(l) -Manca l'Indicazione della data d'arrivo. (2) -Vedi D. 589.
602

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 8540/867. Budapest, 23 luglio 1936 (per. il 29J.

Telespresso ministeriale n. 224002/C del 17 c.m. (2).

l. -Nel confermare i termini delle confidenze di Kànya al Vice-Cancelliere Baar -quali riferiti dal R. Ministro a Vienna -circa una proposta di «accordo» fatta da Belgrado a Budapest, che avrebbe comportato anche l'impegno dei due Governi di armonizzare la loro azione in materia di restaurazione monarchica in Austria, ritengo non inutile precisare che i motivi per cui questo Governo ha declinato tale proposta -anche se genericamente formulati al Baar col principio della «non ingerenza » -vanno piuttosto ricercati nella costante direttiva ungherese di non far nulla che possa pregiudicare internazionalmente la possibilità di una restaurazione in Ungheria.

È noto del resto che, in forma più generica e personale, la stessa proposta fu fatta dal signor Stojadinovic al presidente Goemboes circa un anno fa (mio telegramma per corriere n. 037 del 7 settembre u.s.) (l). Accadde allora che, avendo Goemboes -nel declinare le relative profferte -dato una risposta che risentiva troppo della sua avversione alla restaurazione degli Asburgo in Austria come in Ungheria, il signor Kànya dovette affrettarsi a raddrizzare, per via diplomatica, la comunicazione nel senso della suricordata direttiva. Va pure tenuto presente, a tal proposito, che -a parte altre considerazioni -lo stesso regime Horthy-Goemboes --per definizione anti-asburgico -sente che l'opinione pubblica ungherese non tollererebbe una compromissione e per giunta sul terreno internazionale, della possibilità di un ritorno degli Asburgo sul trono di Santo Stefano.

Sta di fatto comunque che l'avversione alla restaurazione -sia pure per ragioni del tutto diverse -è stata, da un anno a questa parte, un pratico punto di incontro della politica jugoslava con l'indirizzo rappresentato dal presidente Goemboes.

2. Ho avuto più volte occasione di segnalare a codesto R. Ministero che, dall'indomani della definizione della questione dell'attentato di Marsiglia (2) l'Ungheria è stata portata -prima dalle aperture personali del signor Stojadinovic, poi (al momento dello scambio di discorsi fra il conte Viola ed il principe Paolo) dall'attesa di una ripresa di amichevoli rapporti tra Italia e Jugoslavia, successivamente dagli insistenti incoraggiamenti di Berlino, ed infine dagli inizi di un avvicinamento fra Austria e Cecoslovacchia -a considerare i vantaggi che potrebbero venirle da una rottura a Belgrado del fronte anti-magiaro della Piccola Intesa.

Ritengo tuttavia che di positivo, finora, non vi sia che il proposito dell'una e dell'altra parte di lasciar maturare una situazione favorevole allo stabilimento di rapporti di amicizia, quindi: buone relazioni normali, appoggiate a scambi di cortesie; molta cura reciproca nell'evitare gli incidenti di frontiera e nel non drammatizzare quelli che inevitabilmente si producono

su una frontiera cosi infelicemente tracciata; controllo nei limiti del possibile dell'atteggiamento della stampa, ecc.

Certo hanno contribuito a facilitare tale processo di maturazione l'intensificarsi dei rapporti germano-jugoslavi e, più recentemente, l'avvicinamento tra Polonia e Jugoslavia, non solo perché Berlino ed ora anche Varsavia fanno a Budapest sollecitazioni sempre più premurose, ma sovratutto perché risponde all'idea del Governo ungherese di fare apparire un eventuale accordo col Governo jugoslavo come il naturale portato di una situazione generale che consenta alla politica magiara favorevoli sviluppi in altre direzioni, specialmente verso la Cecoslovacchia. In tal senso ritengo che il recente accordo austro-germanico -anche perché evita, almeno per il momento, ai Governi di Belgrado e Budapest di prospettarsi eventualità che li porrebbero in netto contrasto -potrebbe alla lunga rappresentare una contingenza favorevole per l'ulteriore approfondimento dei loro rapporti.

Ho l'impressione tuttavia che il Governo ungherese non pensi di spingersi molto avanti su questa strada senza il consenso del R. Governo. Segno di tale divisamento può ritenersi il passo che il barone Villani -secondo mi informa questo vice-ministro degli Esteri -è stato incaricato di fare presso V. E., per metterLa al corrente delle intensificate premure germaniche e polacche nel senso di un accordo ungaro-jugoslavo e per conoscere l'avviso del R. Governo in proposito (1). Apor mi ha pure detto che Villani non avrebbe trovato a ciò contrarietà in V. E., che avrebbe anzi ammesso la possibilità di un sensibile miglioramento dei rapporti fra l'Italia e la Jugoslavia, ove Belgrado ne prendesse l'iniziativa (2).

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussollnl. (2) -Rltrasmetteva 11 D. 511. (l) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 63. (2) -Si riferisce all'uccisione del Re Alessandro I di Jugoslavia e del ministro degli esteri francese, Jean-Louis Barthou avvenuta a Marsiglia il 9 ottobre 1934.
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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2980/1068. Berlino, 23 luglio 1936 (per. il 25).

Ho desiderato chiedere al direttore ministeriale Dieckhoff, che regge tuttora la Wilhelmstrasse nell'assenza del barone von Neurath, cosa vi fosse di vero nelle tante voci che hanno circolato, in questi ultimi tempi, circa una possibile non lontana visita a Berlino di personalità responsabili del Governo britannico e particolarmente di Lord Halifax.

Il signor Dieckhoff nell'assicurarmi che, almeno per il momento, non esiste alcun fondamento per le voci stesse, ha aggiunto che, nei rapporti tra

Germania ed Inghilterra, non si nota alcun mutamento: nel campo diplomatico resta sempre pendente, come è noto, la ormai famosa questione della mancata risposta tedesca al questionario britannico. La circostanza, accennata nel mio telegramma n. 309 (l) che, durante le

celebrazioni wagneriane di Bayreuth, il Cancelliere Hitler ha avuto occasione di avere presso di sè contemporaneamente tutti gli elementi responsabili della politica estera ed interna del Reich, von Neurath, von Ribbentrop, Goring, Goebbels etc. e che conseguentemente egli ha potuto avere, dopo un lungo

periodo di assenza da Berlino, tutti i necessari contatti e scambi di idee con i suoi principali collaboratori, ha rimesso appunto sul tappeto la questione della risposta. E naturalmente sono corse nuovamente in giro le voci che questa non si farebbe oramai ulteriormente attendere: voci delle quali si è fatta eco in questi ultimissimi giorni anche la stampa straniera.

Ha a ciò contribuito senza dubbio la circostanza della presenza, a Bayreuth, di Ward Price, del Daily Mail, elemento oramai divenuto indispensabile, particolarmente per l'ambasciatore von Ribbentrop, nei momenti più interessanti dei rapporti anglo-tedeschi. Si dovrebbe anzi supporre in proposito che sia stata a Bayreuth preparata una nuova intervista del Flihrer con il Daily Mail, atta ad eventualmente integrare la parola ufficiale del Governo del Reich. La risposta quindi, specie se limitata ad una forma interlocutoria, non dovrebbe forse, questa volta, troppo tardare. Come è noto, essa, nelle sue linee essenziali, pure disposte dalla Wllhelmstrasse, già esiste ma, al pari di tutte le questioni essenziali della politica estera germanica, dipende interamente e unicamente dalla volontà del Fiihrer di approvarla, di modificarla o addirittura di sostanzialmente mutarla a seconda degli avvenimenti.

Ora evidentemente l'elemento dominante, come mi accennava lo stesso signor Dieckhoff (mio telegramma n. 308) (2) è costituito in materia dalla riunione odierna di Londra (3). Solamente infatti dalle decisioni della conferenza

a tre e dalla loro presentazione all'opinione pubblica mondiale, potrà dipendere l'atteggiamento tedesco.

Ci siamo trovati in proposito nei giorni scorsi di fronte ad una nuova presa di contatto britannica intesa a calmare le apprensioni tedesche. Il linguaggio tenuto dallo stesso signor Eden all'incaricato d'affari di Germania a Londra, principe Bismarck, nel colloquio già da me riferito con il mio telegramma n. 308, appare in tale campo oltremodo significativo. L'effettiva preoccupazione infatti del ministro inglese è stata quella di ottenere che la stampa germanica mantenesse nei confronti della riunione londinese un contegno calmo e sereno e non desse spunti a polemiche e a contrasti. In realtà istruzioni in tale senso sono state già date a Berlino ed è caratteristico il silenzio assoluto mantenuto dai principali giornali tedeschi nelle giornate di ieri ed

oggi nei r:onfronli della riunione. Alla osservazione del principe Bismarck che in seguito ratteggiamento della stampa germanica sarebbe dipeso interamente dai risultati della riunione, il signor Eden ha risposto assicurando nuovamente che non vi s:crcbbe stata anche allora alcuna ragione di irritazione da parte tedesca, t2rminando la conversazione con le parole: <<I do not ask any more».

Del resto occorre riconoscere che l'Inghilterra non si può certamente lamentare del contegno della stampa tedesca. Nelle ultime due settimane, ad esempio, la pre-sentazione al pubblico germanico, con espressioni di ammirazione assoluta per la persona del Sovrano, dell'attentato di Londra contro il Re Edoardo, e il rumore fatto, con evidente compiacimento, intorno al banchetto tenui;osi a Londra in onore del duca e della duchessa di Braunschweig per iniziativa della Società anglo-tedesca, con relativo solito discorso di Lord Lothian, sono gli ultimi e più appariscenti episodi di un tale atteggiamento. A questo del resto concorre l'azione di non pochi elementi di primo piano del Reich tra i quali, sempre all'avanguardia, von Ribbentrop.

Mi si dice anche che il generale Milch, serr,retario di Stato per l'Aeronautica del Reich che ha assistito alla giornata aviatoria di Hendon, sia ritornato dall'Inghilterra con l'impressione che, per i nuovi armamenti aerei inglesi, alla Germania convenga in ogni caso, anche senza ragioni di simpatia e solamente per puro interesse, non inimicarsi il Governo di Londra.

Ma con questo atteggiamento ufficiale e di stampa comincia a contrastare in certo modo l'impressione che il grosso pubblico tedesco ha in questo momento dell'Inghilterra. Anche in Germania e forse sopratutto in Germania, dove riesce sempre ad imporsi e a riscuotere simpatie colui che fa valere effettivamente la sua forza e che con la forza difende le proprie ragioni, il prestigio della Gran Bretagna, attraverso il conflitto italo-etiopico apparso sostanzialmente, specie in taluni momenti quale conflitto itala-britannico, ha subito

infatti un colpo non lieve.

-------~~-

Mi sembra interessante riferire in proposito la frase che mi è stata detta proprio ieri dal capo delle organizzazioni naziste all'estero Gauleiter Bohle (mio rapporto n. 2951!1055 del 21 corr. (1), il quale, perché nato nell'Africa del Sud, è egli stesso tuttora in possesso di un passaporto britannico.

Il giovane, attivo cd influente gerarca nazista, che è quello tra gli esponenti del nazionalsocialismo che mantiene maggiori contatti con l'estero si è espresso esattamente così: «Che tracollo per l'Inghilterra! Come vedete, non rispondiamo neanche al questionario e non nominiamo neanche il nostro ambasciatore a Londra! Chi lo avrebbe detto due anni fa! ».

Sta di fatto che, dinanzi alla catastrofe ginevrina e alla ritirata britannica che si è ripercossa anche (episodio molto significativo agli occhi dei tedeschi) nella conferenza di Montreux, le esigenze germaniche nei confronti della Gran Bretagna si sono inavvertitamente accresciute. Se ne fa eco qui a Berlino e contribuisce ad accrescere tale disagio la stessa ambasciata britannica con il suo contegno apatico e si può oramai quasi dire astioso nei

confronti dei tedeschi. Essa infatti negli ultimi mesi, anche con la scusa del lutto di Corte, si è veramente astratta dagli avvenimenti di questo Paese. Del resto è nota in proposito l'avversione che il maggiore esponente della politica

filo-britannica in Germania e cioè von Ribbentrop porta per l'ambasciatore Phipps, che è poi il cognato di Vansittart.

Anche qui mi sembra interessante riferire l'ultimo episodio. Proprio in questi giorni l'organo ufficiale del partito nazionalsocialista il Volkischer Beobachter, si è rivolto ai rappresentanti diplomatici delle principali nazioni chiedendo loro un pensiero, da pubblicarsi in un numero speciale del giornale, contenente un saluto agli atleti convenuti a Berlino per i Giochi Olimpici. Ora anche in un campo così perfettamente apolitico, l'ambasciata di S. M. britannica ha ritenuto opportuno negare tale collaborazione e lasciare cadere completamente la cosa, con evidente disappunto del massimo organo ufficiale del nazismo.

A Berlino del resto il collegamento tra l'ambasciata di Francia e quella di Gran Bretagna è sempre strettissimo e tutto ciò non può certamente piacere al Cancelliere ed al Governo del Reich.

In conclusione quindi, volendo riassumere la situazione attuale dei rapporti anglo-tedeschi può dirsi che persiste tuttora negli elementi responsabili tedeschi quella impressione, dovuta alla storia recente, che almeno per qualche tempo e finchè gli armamenti germanici in terra, in cielo ed in mare non siano giunti al loro più alto livello, un assioma politico necessario per la politica germanica è l'amicizia o almeno la neutralità benevola della Gran Bretagna. Ma a poco a poco e par~icolarmente, come ho sopra accennato, attraverso la grave crisi che ha segnato l'insuccesso della politica britannica, comincia a farsi qui strada la sensazione che potrebbe anche avvenire un rovesciamento nella situazione e che cioè, un bel giorno, fosse la Gran Bretagna nella condizione di sollecitare l'amicizia della Germania. Occorre dire in proposito che forse qualche sintomo già esiste e che questa riapparizione della Russia sovietica nelle faccende d'Europa, potrebbe affrettare l'evoluzione.

E naturalmente i tedeschi, come effettivamente dimostra l'odierna faccenda, oramai leggendaria, della mancata risposta al questionario britannico, esempio quasi unico della storia dei rapporti diplomatici internazionali, non mancano di cominciare a mostrarsi particolarmente esigenti (1).

(l) -Non vi è alcuna documentazione circa li passo di cui era stato incaricato il ministro d'Ungheria a Roma. (2) -Il presente documento reca li visto di Mussolinl. (l) -T. 7145/309 R. del 22 luglio, ore 19,03, non pubblicato. (2) -T. 7146/308 R. del 22 luglio, ore 14,03, non pubblicato. (3) -Si tratta della riunione degli Stati locarnisti, precedentemente fissata per il 22 luglio a Bruxelles, poi rinviata al giorno successivo e spostata a Londra. Vedi anche il D. 587.

(l) Non pubblicato.

604

L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2295/906. Mosca, 23 luglio 1936 (per. il 27).

Le vivaci reazioni moscovite agli avvenimenti spagnuoli offrono interessante materia di osservazione.

Cosi, gli ambienti comunisti locali che seguono con enorme attenzione il corso degli eventi, nell'apprendere la notizia che il Governo ha armato le masse operaie, facendo fulcro su di esse per la resistenza contro le forze rivoltose, stabilisce senz'altro un parallelo fra l'odierna situazione spagnuola e quella verificatasi a Pietrogrado nel luglio 1917 (repressione del tentativo insurrezionale di Kornilov da parte del Governo Kerenski), che creò le premesse della rivoluzione bolscevica di ottobre, per dedurne che ormai anche la Spagna è alla vigilia di analoghi avvenimenti.

La Terza Internazionale, invece, frenata dalla sua tattica dei «fronti unici» colla borghesia radicaleggiante, non vede senza apprensione lo svolgersi della guerra civile in Spagna. Il precipitare degli eventi la pone peraltro nella necessità di seguire ed appoggiare il partito comunista spagnuolo. Da ciò gli appelli agli operai diffusi dalla potente stazione radiomoscovita della « Komintern » costretta a far onore, in contrasto coi suoi «legittimi» desideri, alla bandiera della rivoluzione.

Da parte sua, il Governo sovietico si vede nel più grande imbarazzo. Un trionfo degli insorti, oltre porre fine adesso alle grandi speranze nutrite nel primogenito «fronte popolare spagnuolo » non mancherebbe infatti di avere adeguate ripercussioni nella vicina Francia, compromettendo anche colà la politica dei suddetti «fronti popolari» e minando le basi della correlazione franco-sovietica cui nelle attuali circostanze internazionali il Governo dell'URSS tiene in sommo grado. Per contro una vittoria degli operai armati, che qui si ritiene non potrebbe non essere seguita da una rapida sovietizzazione della Spagna, mentre accrescerebbe l'odierna incertezza europea, rafforzerebbe le correnti antibolsceviche nel mondo intero, ponendo nel più serio pericolo l'opera di normalizzazione iniziata da più anni dalla diplomazia sovietica e sopratutto i legami di collaborazione allacciati da Litvinov con tutti quegli Stati ostili alla Germania di Hitler ed all'espansionismo giapponese. L'instaurazione dei soviet in Spagna incontrerebbe certamente -sempre secondo il pensiero di questi dirigenti --una aperta ostilità da parte sia dei Paesi vicini alla Spagna (sopratutto l'Italia) sia degli altri Stati aventi forti interessi nel Mediterraneo (Inghilterra), mentre poi la propaganda antibolscevica, e specialmente quella nazista, non mancherebbe di giovarsene. Quindi, qualora da parte degli Stati interessati si riprendesse, col frutto della passata esperienza, la politica di interventi del 1918-920, fiancheggiata da una nuova crociata internazionale contro l'URSS, salvo sussidi finanziari, quale serio aiuto potrà dare in tal caso l'URSS alla Spagna?

In tali prospettive, il Governo sovietico cerca già sin d'ora di sforzarsi di dimostrare che esso non abbandonerà, succeda quel che succeda, una comoda posizione ufficiale di prudente neutralità. Un portavoce di questi circoli dirigenti giusto ora mi confermava che al Kremlino si era molto annoiati e perplessi pei fatti di Spagna e che in nessun caso il Governo sovietico si sarebbe immischiato nelle vicende interne della penisola dove esso ha tutto da perdere e nulla da guadagnare. Egli aggiungeva cinicamente che Mosca si sarebbe tutt'al più limitata a far pubblicare dalla stampa qualche articolo di platonica simpatia, evitando sino agli estremi limiti ogni ufficiale presa di posizione.

Dove si dimostra che la tattica dei « fronti popolari», malgrado i superficiali successi vantati dalla Terza Internazionale, si risolve sempre in un boomerang contro la Russia di Stalin, portato, dalla sua stessa opera di normalizzazione, a temere i risultati di una possibile rivoluzione, provocata suo malgrado, proprio dai satelliti dell'addomesticata Komintern (l).

(l) II presente documento reca Il visto dl Mussolini.

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L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2297/908. Mosca, 23 luglio 1936 (per. il 29).

Rapporto di questa ambasciata n. 1641/645 (2) e telegrammi n. 113 e

n. 146 (3).

L'accordo sul nuovo regime degli Stretti, raggiunto a Montreux dopo tanti sforzi, è stato accolto a Mosca con vivis3ima soddisfazione. Le vicissitudini della conferenza ed in ispecie gli atteggiamenti assunti nella prima fase di essa, sopratutto dalla delegazione inglese, ma anche da quella turca, in opposizione alle principali richieste sovietiche, avevano, infatti, destato in queste sfere dirigenti un senso di preoccupazione e di nervosismo, accentuatosi ancora negli ultimi giorni di lavori del convegno. Il successo strappato alla fine dalla delegazione sovietica, grazie a varie circostanze poli ti che ed alla tenacia ed abilità manovriera di Litvinov, è stato quindi tanto più apprezzato dal Kremlino in questi ultimi tempi più amareggiato che confortato dalla piega degli avvenimenti internazionali. Da parte sua, poi, l'opinione pubblica -ossia gli intellettuali ed i gerarchi del partito e dell'amministrazione statale -ha appreso con grande gioia ed ha sentito come un successo nazionale l'ottenuto riconoscimento della libertà di passaggio attraverso gli Stretti per la propria marina da guerra. Il che dimostra ancora una volta come, malgrado nuove ideologie, i tradizionali fattori geografici e storici esercitino sempre lo stesso peso sulle intime aspirazioni di questo popolo e come il bolscevismo staliniano vada ormai risolvendosi, nonostante le sue fraseologie comuniste pseudo internazionalistiche, in una nuova formula del nazionalismo russo. Va, però, riconosciuto come questa legittima esultanza per i successi di Montreux sia stata abilmente contenuta evitandosi ogni manifestazione di stampa (tranne l'esplicito editoriale delle Isvestia telegrafato in riassunto colla Stejani n. 61 del 21 corrente); e ciò evidentemente nell'intento di non urtare le suscet

tibilità dell'Inghilterra e sopratutto la vanità della Turchia. La soddisfazione del Governo e dell'opinione pubblica si è espressa invece, in modo indiretto, attraverso le speciali onoranze tributate a Litvinov, in occasione del suo sessantesimo compleanno caduto opportunamente il 17 corrente (vedasi separato rapporto) (1).

Col rapporto citato in riferimento, questa R. Ambasciata ebbe già diffusamente a riferire circa la posizione iniziale dell'URSS nella questione degli Stretti in relazione anche ai rapporti russo-turchi ed alla situazione nel Mediterraneo orientale. Circa, poi, i lavori della conferenza di Montreux, essi sono stati già dettagliatamente illustrati delle interessanti relazioni della nostra delegazione a Ginevra. Si ritiene quindi superfluo ritornare ancora e sull'una e sugli altri e si rileveranno soltanto i risultati conseguiti dall'URSS mercè la nuova convenzione sugli Stretti. E3si possono così sintetizzarsi:

l) L'URSS, vincendo ostinata resistenza inglesi ed ostacoli turchi, è riuscita ad assicurare alle flotte militari delle Potenze rivierasche del Mar Nero (ossia in pratica alla propria flotta, data la scarsa entità delle forze navali degli altri tre Stati rivieraschi) il diritto praticamente illimitato di far passare le proprie navi attraverso gli Stretti. Questo privilegio dei rivieraschi è ancora accresciuto dalle limitazioni stabilite per l'ingresso nel Mar Nero delle flotte degli altri Stati, e che sono rese in pratica ancora più sensibili dal complicato sistema adottato circa il «tonnellaggio globale». Nel fare accettare tutte queste limitazioni per le flotte degli altri Stati, Litvinov, in pratica, è riuscito a far accogliere, per quanto le esigenze della realtà potessero consentirlo, i noti vecchi desiderata sovietici, mentre poi l'URSS si è sottratta, in tempo di pace, all'arbitrio della Turchia di concedere o meno il passaggio degli Stretti a suo talento.

2) L'URSS è riuscita non solo a far respingere le richieste inglesi pel riconoscimento dei diritti dei belligeranti, ma per giunta a far accogliere invece il principio della previa legittimità del passaggio degli Stretti in tempo di guerra da parte delle flotte dei firmatari dei patti di mutua assistenza che vadano in soccorso del cofirmatario aggredito.

Malgrado le apparenti limitazioni che accompagnano tale diritto (necessità che la Turchia sia firmataria dei patti, che questi siano redatti nella cornice del Covenant, registrati, etc. etc.), l'aver fatto accogliere questo principio ottenendo altresì che detti patti di mutua assistenza venissero posti sullo stesso piede del Covenant, costituisce indubbiamente un importantissimo successo di Litvinov.

È strano come l'Inghilterra abbia potuto acconciarsi ad accettare un siffatto impegno e non abbia visto come esso andasse a tutto detrimento suo, per non parlare della S.d.N. Infatti, questi patti di mutua assistenza, tutti più o meno automatici, potrebbero giocare anche quando i membri della

S.d.N. giudicassero, a maggioranza, che una determinata azione di uno Stato non è un «atto di aggressione». Superfluo osservare come l'unanimità sia in casi del genere difficilissima a raggiungersi a Ginevra. In sostanza, con l'azione svolta a Montreux, Litvinov è riuscito ad assicurarsi una garanzia contro la eventualità, forse ora del tutto improbabile, che una S.d.N., azionata dall'Inghilterra, potesse assumere un atteggiamento contrario agli interessi dei Soviet. In tal caso, egli sostituirebbe all'azione inefficace e tarda della S.d.N. quella ben più rapida ed energica dei patti di mutua assistenza ossia delle nuove camuffate alleanze...

Il successo sovietico di Montreux ha molto impressionato questo Corpo Diplomatico. Il mutato atteggiamento della Turchia, nella seconda fase della conferenza allontanatasi dalla posizione inglese per avvicinarsi a quella sovietica, e che certamente ha giovato parecchio a Litvinov, viene generalmente spiegato con una diminuita fiducia di Ankara nella Gran Bretagna, dopo il ritiro di parte della flotta inglese dal Mediterraneo e requivoco contegno di Londra nei riguardi dei patti di mutua assistenza mediterranei. Anluxa, intimorita dalle rampogne sovietiche e paventando di essere sacrificata dall'Inghilterra ad un riavvicinamento itala-britannico e di trovarsi così isolata di fronte al giusto risentimento italiano, avrebbe cioè cercato di far macchina indietro e di riequilibrare le proprie posizioni rispetto a Mosca.

Qui non si riesce peraltro a rendersi conto dell'improvvisa remissività inglese nei confronti dell'U.R.S.S. e si fanno in proposito le ipotesi più disparate. Si ritiene dagli uni che mentre l'intransigemla inglese nella prima fase della conferenza fosse dovuta all'Ammiragliato ed in particolare a Hoare, lasciato arbitro dal Governo di decidere la posizione britannica a Montreux, il cambiamento intervenuto nella seconda fase fosse da attribuire ad energiche pressioni del Foreign Office, preoccupato degli attacchi fatti al societarismo britannico da Litvinov e da Titulescu. Altri invece pensa che la improvvisa remissività britannica sia da porsi in relazione all'accordo austrotedesco ed al conseguente riavvicinamento itala-germanico: Londra cioè avrebbe dovuto cedere a pressioni francesi ed alla necessità di non trovarsi isolata in Europa. Inoltre si fa qui un gran parlare della probabilità di una prossima rifioritura di patti di assistenza mutua: patto franco-turco, che sarebbe vivamente desiderato da Tevfik Aras per assicurarsi una nuova garanzia nel Mediterraneo, sostanzialmente antitaliana, e che dovrebbe esercitare una nuova pressione sull'Italia per indurla alla conclusione del famigerato patto mediterraneo. Patto del Mar Nero, caldeggiato sopratutto da Titulescu il quale desidererebbe giungere in tal modo al tanto sospirato patto collettivo col

l'URSS già inutilmente tentato e così vincere pure la resistenza di vari partiti politici romeni ad uno stretto riavvicinameno con Mosca, etc. etc.

Un ultimo rilievo. Malgrado la resipiscenza della Turchia, il Kremlino sarebbe ancora molto sdegnato per l'atteggiamento tenuto da Ankara nella questione degli Stretti, e che verrebbe qui definito come della più «nera ingratitudine». La fiducia che qui si aveva nell'« amico» Governo di Ankara è profondamente scossa. Tutto cfò lascerà prevedibilmente una traccia.

La sospettosità ed il realismo, perfino esagerato, della politica moscovita sono troppo noti perché occorra soffermarsi su questo argomento. Basterà in proposito ricordare la parte conclusiva del già accennato articolo delle Isvestia dedicato alla conferenza di Montreux.

«Sarebbe una inammissibile illusione ritenere che il nuovo accordo decida definitivamente la questione degli Stretti. In caso di guerra, tutto dipenderà dall'efficienza e dall'atteggiamento della S.d.N., dalla correlazione di forze nel Mediterraneo e dalla politica delle Potenze rivierasche del Mar Nero» (chiaro accenno tra l'altro alla Turchia!).

(l) -Il presente documento reca il Yisto di Mussolini. (2) -Non rinvenuto. (3) -T. 5354/113 R. del 3 giugno, ore 23.30, e T. G853/l4G R. del J.1 luglio. ore 23,50, non pubblicati.

(l) Nun puhblicato.

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IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, PITTALIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. S. 5519/405. Monaco di Baviera, 23 luglio 1936 (per. il 25).

Telespresso n. 9407 del 16 corr. (1). Non posso che smentire, nella forma in cui essa è redatta, l'informazione fiduciaria di cui al telespresso sopracitato.

Per iscarico di coscienza ho voluto in questi giorni, e come del resto son sempre solito fare, nuovamente interrogare gli ambienti anche più modesti della collettività italiana per appurare se dai loro contatti con questa popolazione potesse in qualche modo risultare giustificata una così grave asserzione come quella di «messa in ridicolo sia pubblicamente che privatamente e di frasi offensive per l'Italia il Governo fascista e l'esercito italiano».

Ed anche da tale indagine mi è risultata concordemente smentita una siffatta affermazione.

Sullo stato d'animo pubblico, così come sull'atteggiamento sia della stampa che di elementi responsabili locali nei nostri riguardi ho riferito frequentemente, specie dopo l'inizio del conflitto itala-etiopico. E mi sono sforzato di farlo il più obiettivamente ed ampiamente possibile, senza nulla tacere. Citerò ad esempio ~e segnalazioni quasi settimanali che ho allora fatte sull'atteggiamento di stan1pa, manifestatosi a quegli inizi spesso sfavorevole e tendenzioso nei nostri riguardi.

E segnalai anche, quanto a manifestazioni pubbliche, il caso, del resto isolato, di allusioni offensive alla nostra guerra e al nostro esercito fatto da uno dei cosidetti «conferenzieri» umoristici che costituiscono qui il numero centrale degli spettacoli di varietà e che hanno di sovente consimili allusioni verso tutti i Paesi esteri, ed oggi in ispecie verso l'Inghilterra e il Negus.

In quel caso ebbi immediata soddisfazione colla sospensione, a partire dal giorno stesso del mio reclamo, delle f;·asi da me segnalate a questa Cancelleria di Stato.

Ciò avveniva nel febbraio scorso, e da allora non ebbi a lamentare altri incidenti del genere in alcun pubblico locale, nemmeno da parte di privati.

L'opinione pubblica locale, che certo agli inizi del conflitto era generalmente poco favorevole, andò poi sempre più modificandosi, ed il contegno della sua maggiore ispiratrice, la stampa, divenne, a sua volta, sempre più corretto, giungendo poi, sulla fine del conflitto medesimo, ad essere pressochè esclusivamente di consenso e di elogio al nostro magnifico sforzo ed alla nostra piena vittoria politica e diplomatica.

Riferii anche, d'altro canto, come nelle periodiche riunioni delle varie organizzazioni naziste in cui viene da sottogerarchi trattata anche l'attualità politica, la parola d'ordine fosse divenuta quella di spiegare come di fronte al pericolo comune costituito dal fronte comunista antifascista, fosse da augurarsi la vittoria italiana.

Quanto, in particolare, al giudizio sul nostro esercito mi basti ricordare gli interessanti articoli di uno scrittore militare, il colonnello von Neuffer da me segnalati con vari periodici rapporti nei quali facevo presente che gli articoli stessi venivano riprodotti in un numeroso gruppo editoriale di giornali di Baviera. È di ieri, poi, l'articolo di uno scrittore militare sul Voelkischer Beobachter (vedi mia segnalazione Stetani del 18 corr.).

E fra le varie pubbliche conferenze in cui l'opinione pubblica bavarese, lungi dall'esser stata fuorviata, è stata anzi illuminata sul valore della nostra campagna abissina, mi basti egualmente citare quella del prof. Gruehl e, recentissimamente, quella dei due corrispondenti del Voelkischer Beobachter, Zimmermann e von Strunk, nell'Aula Magna dell'Università, gremita di molte migliaia di spettatori, conferenza che fu ampiamente riportata da tutta la stampa locale.

Che la Baviera, in un primo tempo, potesse mostrarsi e fosse portata ad essere più diffidente ed ostile, forse, che altre parti del Reich, si spiega colla speciale mentalità di questo Paese, quale più volte mi sono sforzato di lumeggiare, e colla sua speciale psicologia specie nei confronti delle due questioni più delicate in fatto di rapporti itala-germanici e che qui sono più particolarmente sentite: la questione austriaca e la questione dell'Alto Adige.

Per questo in un recente rapporto (n. 5272/389 del 15 corr.) (l) ed anche a costo di esser sospettato di voler fare dello spirito di più o meno buon gusto, mi sono dilungato sino a particolari più o meno lepidi sul vestiario bavarese e sulle vive passioni «montagnarde » di questo paese; l'ho fatto appunto per cercare di spiegare la speciale e più sensibile psicologia dei bavaresi nelle questioni austriaca ed altoatesina.

Ma ne ho anche concluso che, ad esempio, il sopraggiunto accordo austrogermanico, alla luce di questa loro speciale psicologia, è stato in complesso assai meglio accolto dai bavaresi di quanto l'intransigenza abituale di questi ambienti non potesse far temere.

Certo bisognerà tener conto, oggi come domani, di tutte le riserve e di tutte le occulte speranze di cui l'accoglienza del patto da parte di certi am

48 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

bienti è, per così dire, foderata, e del modo con cui essi tenteranno di applicarlo e di sfruttarlo o, se si vuole di frustrarlo.

Ma, in ogni modo, esso, ad eccezione di qualche circolo di partito o di legionari austriaci più accesamente intransigenti, sembra aver già apportato anche in Baviera una distensione di quella che si considerava la ferita ancora aperta nei rapporti coll'Italia, pur così sensibilmente migliorati nel giro di questi ultimi mesi.

E se, per tante considerazioni più volte accennate bisogna tener pure conto che, diffidenti come tutti i montanari, i bavaresi più facilmente che altri affacciano, ad ogni allarme, sospetti sulle nostre intenzioni, nel ricordo non ancora del tutto assopito, di quello che essi chiamavano il nostro «tradimento in guerra», nulla tuttavia, del loro atteggiamento attuale, autorizza a confermare le informazioni riportate nel telespresso cui col presente rapporto rispondo.

(l) Non rinvenuto.

(l) Non pubblicato.

607

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. R. P. 19. Vienna, 22-23 luglio 1936.

Ho veduto oggi Schuschnigg che mi si è mostrato molto soddisfatto della mia designazione alle funzioni di R. Ministro a Vienna e mi ha detto, tra altre cose lusinghiere e assicurazioni promettenti per la nostra più stretta collaborazione, che apprezzava tale designazione come un atto di particolare benevolenza e riguardo di S. E. il Capo del Governo e di V. E. per la sua persona e per l'opera sua in questo delicato momento.

Il Cancelliere è molto soddisfatto per l'accoglienza avuta, all'interno e all'estero, dell'Accordo austro-germanico dell'll luglio corr. Anche della stampa germanica non può dolersi, pur essendogli noto quanto l'Accordo sia riuscito ostico a vasti settori del partito nazista, tenuto da Hitler all'oscuro delle trattative fin all'ultimo momento.

Von Papen, ritornato ieri da Berlino e Bayreuth, ha riferito che Hitler è ora più contento del fatto compiuto che non il giorno precedente alla firma. Evidentemente, riconosce i vantaggi che dall'Accordo gli son venuti nei riguardi internazionali. Ha dato mano libera al suo Ministro a Vienna per gli accordi da prendere per i provvedimenti esecutivi. S'incomincerà domani con la costituzione del comitato misto per le questioni economiche, ivi compresi il traffico di frontiera e il concorso di forestieri.

Von Papen ha smentito le voci di sua prossima destinazione ad un'Ambasciata (a Londra o a Roma). Il titolare per Londra sarebbe già prescelto e a Roma si lascerebbe von Hassell. Si veda il discorso di von Papen ai giornalisti americani e inglesi pubblicato stamane e di cui sarà stata data notizia dalla R. Legazione.

All'interno, un certo malumore tra il Heimatschutz sarebbe stato eliminato. Starhemberg si sarebbe bensì doluto di non essere stato tenuto al corrente delle trattative, ma ne avrebbe attribuita la colpa più a Baar che a Schuschnigg, il quale aveva difatti, anche per mio consiglio (mia lettera 6 luglio corr.

n. 7) (1), incaricato il Vice-Cancelliere di informare in tempo il Principe della conclusione imminente.

Ad ogni modo, di fronte a varie tendenze manifestatesi nella recente riunione dei Fiihrer del Heimatschutz, tra cui una avrebbe voluto organizzare con i legittimisti, pure scontenti, una aperta opposizione all'Accordo e al Governo, e un'altra sarebbe stata propensa a passare in massa ai «nazionali» per assicurarsi, molto praticamente, l'avvenire per ogni evento, Starhemberg avrebbe smontato ambedue le opposizioni e ricondotto tutti a riconoscere che in passato più volte egli stesso aveva tentato l'Accordo nè poteva rinnegarlo solo perchè era riuscito a concluderlo, senza di lui, Schuschnigg. E abilmente lanciò la parola d'ordine del blocco interno e internazionale (tra gli Stati autoritari) contro il bolscevismo sulla piattaforma fascista.

Starhemberg sarebbe rimasto, personalmente, alquanto pessimista sull'esecuzione dell'Accordo e sul mantenimento della parola data da Hitler. Ma non farà nulla che possa contrastare l'opera del Governo, nel quale rimangono tre suoi fiduciari, molto soddisfatti di Schuschnigg e della propria posizione. Il Cancelliere è convinto che Starhemberg è remissivo, oltre che per patriottismo, anche per la coscienza che ha della propria impotenza nel paese. Subito dopo la riunione de' suoi Fiihrer, il Principe se n'è ripartito per il Lido di Venezia. Qualora egli venisse a Roma per visitarvi il Campo Austria, prego di voler tener presente quanto scrivevo nel mio appunto del 10 corr. n. 17 (2).

In quanto ai legittimisti, Schuschnigg non s'impressiona granché delle riserve manifestate da von Wiesner (si veda l'articolo suo sull'ultimo fascicolo di Der Oesterreicher, 17 luglio, che sarà stato riassunto dalla R. Legazione). Tanto a traverso Glaise-Horstenau quanto a traverso Guido Schmidt, il Cancelliere ha fatto in quei circoli opera chiarificatrice per dimostrare che l'Accordo non pregiudicava affatto, né in teoria né in pratica, la questione della restaurazione, se pur doveva riconoscere che questa era divenuta, per effetto dell'Accordo, forse ancora un po' «meno di attualità~ di quel che non fosse già prima.

Schuschnigg mi ha mostrato una lettera scrittagli dal Principe Elia di Borbone, tutto soddisfatto dell'Accordo, che, secondo lui, spianava la via «ai più rosei sogni per l'avvenire della Patria austriaca». Dall'altro campo, quello dei heimwehristi, è sintomatica una lettera pervenuta al Cancelliere dal noto capo tirolese heimwehrista Steidle, console generale d'Austria a Trieste, il quale gli offre l'attiva collaborazione, in caso di complicazioni interne, della vecchia guardia del Heimatschutz anche contro eventuali velleità degli attuali reggitori delle Heimwehren.

Richiamo l'attenzione sul passo delle dichiarazioni di von Wiesner circa «una garanzia da parte dell'Italia» che, secondo lui, si sarebbe dovuta pre

vedere per l'esecuzione dell'impegno, assunto dal Reich, di rispettare la piena sovranità dello Stato federale d'Austria, e che, se richiesta, sarebbe stata, secondo lui, assunta dall'Italia e consentita da Hitler. Ragionandone con Schuschnigg, ho trovato modo di osservare li per lì come cosa mia personale, che un intervento formale, diretto, dell'Italia nell'Accordo austro-germanico avrebbe dato luogo a complicazioni e che, ad ogni modo, alla garanzia di cui si parlava, poteva equivalere indirettamente l'espresso richiamo ai Protocolli di Roma, accettato anche dal Reich, e dei quali l'esistenza dello Stato indipendente e sovrano d'Austria era la premessa di diritto e di fatto. Del resto, o i nostri rapporti con la Germania durano quali sono ora o più stretti, e allora funziona di per sé, implicita, una garanzia italiana dell'Accordo austro-germanico, almeno per le cose essenziali. Oppure i rapporti itala-germanici mutano, e in tal caso risorgerebbero automaticamente l'interesse e la volontà dell'Italia di proteggere l'indipendenza dell'Austria contro ogni minaccia, così come è avvenuto il 25 luglio 1934.

Concordando in queste considerazioni, Schuschnigg accennò anche alle prime impressioni di certi circoli che all'annunzio dell'Accordo sussurravano che l'Italia aveva «tradito» o «sacrificato» l'Austria alla Germania. I telegrammi scambiati in quell'occasione tra il Duce e lui (l) -e mi rinnovò la sua gratitudine per l'idea che gliene avevo data -agirono in modo egregio contro tali interpretazioni del tutto infondate. Egli del resto -mi disse -ricordava con viva gratitudine e piena fiducia quanto il Duce gli aveva detto a Rocca delle Caminate (2) e più specialmente le parole con le quali lo aveva assicurato che, con o senza accordo con la Germania, l'Austria poteva stare certa di avere alle sue spalle e al suo fianco l'Italia.

Dell'atteggiamento dell'Episcopato austriaco che in forma pubblica e solenne attestò la sua approvazione e il suo plauso per l'Accordo, il Cancelliere dà gran parte di merito all'Italia che esercitò opera di chiarificazione in alcuni ambienti della Santa Sede.

Restano le difficoltà insite nella situazione interna, le inevitabili incertezze e complicazioni nell'esecuzione dell'Accordo dell'll corr. e il giuoco delle forze politiche e delle ideologie nel nuovo clima creato dalla stessa normalizzazione dei rapporti tra i due Stati tedeschi. Il controllo di questa situazione e de' suoi sviluppi e l'azione appropriata alla tutela del nostro interesse politico sono appunto il compito precipuo della missione che l'E. V., con l'approvazione del Duce, ha voluto qui affidarmi.

P. S. 23 luglio 1936-XIV. Stamane -come mi aveva detto ieri Schuschniggè data notizia ufficiale della larga amnistia, prevista dall'Accordo austrogermanico e promessa dal Cancelliere nel discorso dell'll corr. L'atto di grazia comprende anche i socialisti nella proporzione, mi disse Schuschnigg, del 10 % sul numero complessivo degli amnistiati. L'amnistia è presentata come un atto di forza del Regime e di fiducia in sé. Sarà eseguita il 23 e 24, alla vigilia dell'anniversario della morte di Dollfuss (3).

(l) -Vedi D. 460. (2) -Vedi D. 496. (l) -Vedi p. 561, nota 3. (2) -Vedi D. 192. (3) -Il presente documento reca l'annotazione a margine: «Visto da S.E. il Ministro».
608

IL DIRETTORE DELL'ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO IN VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. R. P. 21. Vienna, 23 luglio 1936.

Il Cancelliere Federale Dr. Schuschnigg, il quale, come ho riferito con la lettera 30 giugno n. 3 (l) mi aveva a suo tempo preannunziato il suo probabile incontro incagnitissime col Presidente del Consiglio cecoslovacco, non mi ha fatto ieri alcun mistero dell'avvenuto colloquio. A mettere in pace la sua coscienza di fronte alla smentita ufficiale delle voci di tale incontro pubblicate all'estero, Schuschnigg mi disse che la smentita si riferiva ad un colloquio «alla Cancelleria Federale», che effettivamente non aveva avuto luogo; perché egli aveva ricevuto il Dr. Hodza nella sua abitazione privata al Belvedere superiore!

Hodza, pur facendo trasparire che questo poteva non essere il giudizio unanime de' suoi colleghi del Gabinetto e forse neanche del Presidente Benes, si mostrò convinto dell'utilità generale dell'Accordo austro-germanico e della piena conciliabilità di esso con gli interessi essenziali del suo paese. L'Accordo avrebbe facilitato il suo noto proposito di promuovere un ravvicinamento tra gli Stati dei Protocolli di Roma e quelli della Piccola Intesa. Egli si disse già fin d'ora autorizzato da questi ultimi ad iniziare nel prossimo autunno contatti concreti con Roma e con Berlino per un piano organico e completo di regolazione dei problemi economici del Bacino Danubiano. Non entrò in particolari, ma espresse la speranza che Vienna possa ora, più liberamente e efficacemente, partecipare a questo tentativo.

Interrogato da Schuschnigg sui rapporti tra Cecoslovacchia e Russia che avrebbero potuto complicare e ostacolare un'intesa danubiana sotto gli auspici di Roma e Berlino, Hodza tenne a far credere esagerate le notizie correnti in proposito, evitò precisazioni e solo smentì le voci di impianti sovietici di vario genere in Cecoslovacchia. Ammise però che, finchè durino e qualora si accentuino i propositi ostili di alcuni degli Stati confinanti contro l'integrità territoriale e l'esistenza stessa della sua patria, la Cecoslovacchia (per quanto, ideologicamente, i suoi reggitori possano sentirne avversione) non ravvisava altra salvezza che nell'alleanza armata con la Russia, pur non contestando i pericoli congiunti con un intervento militare sovietico nel centro d'Europa. Gli avvenimenti di Spagna e le prospettive in Francia destavano serie preoccupazioni nell'animo evidentemente perplesso di Hodza, sebbene poi tenesse a protestare la sua tranquillità per la situazione interna e internazionale con l'annunziare che lasciava il paese per un viaggio di riposo e diporto in !svizzera per un mese intero.

Problemi concreti di attualità non sono stati trattati nel colloquio (2).

{l) Vedi D. 416.

{2) Il presente documento reca la seguente annotazione a margine: «Visto da S.E. 11 Ministro».

609

L'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI, AL MINISTERO DELLA GUERRA (l)

T. uu. 465. Tangeri, 24 luglio 1936, ore 6 (per. ore 12,05).

Alle ore 12 del 23 corrente mese piroscafo petroliera inglese veniva bombardato entrata porto Tangeri da aeroplano spagnolo ribelli. Cacciatorpediniere inglese sparava sei colpi di cannone in difesa nave inglese. Nel pomeriggio ufficiali nave Città di Milano constatarono che petroliera riforniva di contrabbando navi spagnole. Nonostante ciò in seguito a protesta verbale del presidente Comitato Controllo generale Franco inviò scuse ufficiali assicurando di aver emanato ordini assoluti perché l'incidente non si ripetesse. Nello stesso tempo con franchezza avvertì in via confidenziale il ministro de Rossi e sottoscritto che la sua situazione peggiora per impossibilità trasportare nella penisola 30.000 uomini disponibili in Marocco a causa navi pirate che dopo imprigionati loro ufficiali scorrazzano per lo stretto bombardando città aperte mentre governo francese aizza arabi Marocco, invia apertamente da Marsiglia a Barcellona piroscafo carico 25 apparecchi e bombe per aeroplani ed è pronto rifornire ancora governo Madrid che dimentico dignità nazionale avrebbe richiesto intervento Francia per ristabilire ordine in Marocco.

Per dare esatta idea della mancanza assoluta di autorità costituite nelle provincie non ancora occupate che proteggano popolazioni, ha consegnato seguente telegramma pervenuto 23 corrente alle ore 18 dal comandante guardia civile di Cordova: «In Guadix, località di questa provincia, dodicimila marxisti armati mitragliatrici, bombe et altri esplosivi hanno saccheggiato ed incendiato detto centro assassinando popolazione, distruggendo caserma guardia civile e causandovi numerose vittime nonostante eroica difesa. Inoltre si hanno notizie che marxisti provenienti da Malaga, fuggono verso Granada formando forti colonne che cercano in unione a quelli di Guardix di razziare la provincia d'accordo con i marxisti di Almeria che sono entrati nella provincia da Albufiol devastando tutto al loro passaggio. È necessario urgentissimo invio di aeroplani da bombardamento unico mezzo efficace per combattere colonne marxiste ed evitare che tutta la provincia cada nelle loro mani non potendo da Cordova inviare soccorsi essendo saltati i ponti et non avendo forze disponibili».

Tale situazione è simile a quella di tante altre provincie. Il generale ha dichiarato di non disporre di aerei da inviare in aiuto provincie disponendo dello stretto numero necessario per difesa sue truppe.

Questa bella e generosa figura di soldato che aspramente contrastò pretese inglesi come capo di Stato Maggiore spagnuolo durante conflitto abissino, fa «estremo appello» alla potenza dell'ordine perché intervenga subito per spingere potenze europee a cooperare per il disarmo squadra pirata e render libera navigazione Stretto in modo che possa far passare truppe Africa disponibili per ristabilire situazione e per proteggere popolazioni da barbarie rossa che brutalmente fa strage vittime innocenti e possibilimente gli invii aerei richiesti che gli faciliterebbero il compito pcrmettendogli di vincere la partita.

(l) In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

610

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI

T. GAB. 3421/51 R. Roma, 24 luglio 1936, ore 12,45.

Cerchi di farsi dire con preciSione dal generale Franco attuale situazione militare delle forze rivoluzionarie e mi dica il suo apprezzamento, allo stato dei fatti, sulle possibilità di successo o almeno di resistenza del movimento insurrezionale (l).

611

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI

T. GAB. S. 3423/52 R. (2). Roma, 24 luglio 1936, ore 12,45.

Si accerti e mi telegrafi subito se aeroporto di Melilla è saldamente tenuto da forze del generale Franco (3).

612

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI

T. S. 12975/54 P.G. Roma, 24 luglio 1936, ore 12,30.

Decifri da solo.

Prenda contatto con generale Franco e gli faccia sapere in via del tutto segreta che ogni intervento in suo favore sarebbe facilitato s'egli assumesse una veste legale; cioè, se in contrapposizione al Governo di Madrid, costituisse subito in nome del popolo spagnolo, un Governo al Marocco e ne desse formale notizia a tutte le Potenze. Lo consigli ad agire in tal senso con la massima urgenza (4).

(l) -Per la risposta vedi D. 617. (2) -Minuta autografa. (3) -Per la risposta vedi D. 616. (4) -Con T.s. 7255/221 R. del 25 luglio, ore 20,30, il console De Rossi comunicava che Franco gli aveva dato notizia della costituzione a Burgos di una giunta militare presieduta dal generaleCabanellas. Successivamente, Ciano incaricava il console De Rossi di far presente a Franco l'opportunità di notificare alle varie Potenze la formazione del nuovo governo, sottolineando la circostanza che le rappresentanze del governo di Madrid avevano praticamente cessato di funzionare e che in molte di esse il personale simpatizzava per il movimento rivoluzionario, ciò che costituiva una riprova del disfacimento del regime combattuto da Franco (T.s. 3478/58 R. del 27 luglio, ore 22,20). Con T.s. 7375/247 R. del 29 luglio, ore 12, De Rossi rispondeva di avere effettuato il passo prescrittogll e di avere avuto da Franco assicurazioni nel senso desiderato.
613

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7232/111 R. Roma, 24 luglio 1936 (per. il 25).

Il cardinale Segretario di Stato mi ha parlato a lungo della situazione insostenibile fatta ai cattolici in Germania. Ha detto che si trattava di una vera e propria persecuzione che si accanisce ogni giorno di più. Ha accennato, in modo speciale, al processo che si sta imbastendo contro la Compagnia di Gesù e mi ha ripetuto quello che mi disse il padre Ledochowski (mio telespresso

n. 2384/513 del 14 corr.) (l) L'inchiesta, che ha preso ormai forma di istruttoria, è fatta risalire al 1880. Si fa colpa ai gesuiti di aver creato delle società anonime fittizie, in frode alla legge. Alcuni membri della Compagnia sono stati sottoposti a interrogatori durati fino trenta ore per stancarli e farli cadere in contraddizione con sè stessi o con deposizioni di loro colleghi, rese in circostanze analoghe.

Il cardinale Pacelli ha concluso che se si farà il processo pubblico, la ripercussione sarà enorme e la Germania intera ne sarà scossa. Come di consueto, quando parla delle cose di Germania, il Segretario di Stato si è espresso con veemenza.

614

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA, CHAMBRUN, E CON GLI INCARICATI D'AFFARI DEL BELGIO, CHASTEL, E DI GRAN BRETAGNA, INGRAM (2)

APPUNTO. Roma, 24 luglio 1936.

Ho ricevuto l'Ambasciatore di Francia e gli Incaricati di Affari di Inghilterra e del Belgio, i quali mi hanno rimesso le qui unite tre identiche note (3).

Nel consegnarmi la nota, l'Ambasciatore di Francia, che parlava anche a nome degli altri due Rappresentanti, ha informato che analoga comunicazione veniva fatta anche al Governo del Reich, al quale pure veniva rivolto invito di partecipare ad una prossima Conferenza delle Cinque Potenze.

L'Ambasciatore Chambrun formulava il voto che il Governo italiano avrebbe

senz'altro voluto accettare tale invito per contribuire con la sua opera alla

pacifica ricostruzione in Europa.

Nel ricevere le note ho formulato la riserva di informare opportunamente il Duce e ho detto che, in linea di massima, qualora gli ostacoli che avevamo

indicati nella nostra nota diretta al Governo belga (l) fossero stati eliminati e cioè aboliti gli accordi del Mediterraneo e fatto l'invito anche alla Germania -l'Italia non avrebbe avuto difficoltà alcuna a riprendere quella effettiva politica di collaborazione e di ricostruzione che aveva sempre e tradizionalmente seguita.

Ho detto che avrei fatto conoscere una risposta ufficiale entro breve tempo.

(1) Vedi D. 528.

(2) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 41-42.

(3) Non pubblicate. Vedi DDF, serle seconda, vol. III, D. 20.

615

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7229/1080 R. Londra, 25 luglio 1936, ore 1,30 (per. ore 5,15).

Eden mi ha pregato oggi di passare da lui e mi ha detto che desiderava io mettessi al corrente V.E. delle sue impressioni sulla riunione di ieri (2). « Credo -egli mi ha detto -che noi siamo riusciti a dare alla riunione di ieri carattere che volevamo che avesse: una pura e semplice consultazione dalla quale non doveva risultare altro che i desideri nostri, della Francia e del Belgio di sottoporre all'Italia ed alla Germania convenienza di tenere una conferenza tra le cinque Potenze di Locarno.

I francesi sono stati abbastanza concilianti. Comunque, essi hanno potuto rendersi conto benissimo di quelle che sono le nostre direttive: noi vogliamo sbarazzare il terreno di tutti gli ingombri che si sono accumulati, metterei al lavoro ex-nova e far sì che le relazioni tra le grandi Potenze siano poste sopra un piano di collaborazione mutua, abbandonando ed eliminando qualunque idea di divisione e di blocco di natura qualsiasi. Vi prego particolarmente, ha soggiunto Eden, di mettere in rilievo questo punto col vostro Governo, anche perchè penso che, se l'Italia deciderà rispondere favorevolmente alla nostra proposta e al nostro invito, tra l'Italia e l'Inghilterra sarebbe utile uno scambio di idee sui lavori della conferenza. Noi siamo i due Paesi garanti di Locarno e abbiamo problemi comuni che credo sarebbe utile esaminare direttamente tra noi».

Ho assicurato Eden che avrei subito informato V. E. di quanto egli mi aveva detto e gli ho chiesto se, nella riunione di ieri, vi erano stati scambi di idee sulla procedura circa eventuale convocazione e lavori della conferenza

Eden mi ha risposto che tutto quanto riguarda lavori conferenza era stato lasciato deliberatamente nel vago. «Non abbiamo voluto -egli mi ha aggiunto -entrare in alcun particolare nè circa luogo riunione, nè circa data, nè circa programma dei lavori. Bisogna prima vedere se l'Italia e la Germania decidono partecipare alla conferenza. In questo caso i cinque Paesi potranno avere per via diplomatica degli scambi d'idee su tutte le questioni che interessano i lavori della conferenza. Per nostro conto noi vorremmo che la conferenza si riunisse al più presto e prima dell'Assemblea della S.d.N., ma non

sappiamo se questo sarà praticamente possibile dato pochissimo tempo a nostra disposizione e le difficoltà rinviare Assemblea, fissata per 21 settembre prossimo».

Ho chiesto a Eden, in relazione al punto 5 del comunicato di ieri, se Governo britannico aveva qualche idea precisa sulla maniera con la quale conferenza sarebbe eventualmente allargata con la partecipazione di altri Stati oltre alle cinque Potenze locarniste.

Eden mi ha risposto che Governo britannico aveva insistito perché questo problema fosse lasciato impregiudicato. Se parole del comunicato erano così vaghe, questo si doveva proprio al deliberato proposito di non entrare ln merito ad una questione che non potrebbe essere esaminata che dalla conferenza. <<Noi pensiamo che la conferenza dovrebbe essere una riunione delle cinque Potenze di Locarno ed essere impostata come un negoziato fra queste cinque Potenze. Sono queste cinque Potenze che nel corso stesso dei loro negoziati potranno e dovranno decidere se e quando conviene che a tali negoziati prendano parte altri Stati. Questo dipenderà dall'andamento dei loro lavori e da considerazioni di opportunità, che saranno dettate dalle circostanze. Per ora, la sola cosa importante è conoscere le decisioni dell'Italia e non vi nascondo -egli mi ha aggiunto -che siamo ansiosissimi di conoscere questa decisione». E mi ha detto quindi di avere ricevuto stamane un telegramma incaricato di affari britannico a Roma circa colloquio che egli avrebbe avuto con V. E. (l) e mi ha pregato ringraziare V. E. della autorizzazione che gli ha dato di servirsi, nel suo discorso alla Camera dei Comuni dell'appunto che io ebbi a rimettergli martedì scorso (2).

(l) -Vedi D. 513. (2) -Vedi p. 673, nota 3.
616

IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7221/207 R. Tangeri, 25 luglio 1936, ore 6,30 (per. ore 7,30).

Mi riferisco al telegramma di V. E. Gab. n. 52 (3) Melilla con aeroporto è in indisturbato possesso generale Franco.

617

IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PRECEDENZA ASSOLUTA 7233/208 R. Tangeri, 25 luglio 1936, ore 6,30

(per. ore 11,35).

Telegramma di V. E. n. 51 (4). Segreto per Gabinetto del ministro. Generale Franco dichiara che di 8 Divisioni regionali spagnuole 5 sono in suo possesso e cioè Galizia, Burgos, Valladolid, Saragozza, Siviglia. Inoltre

\3) Vedi D. 611.

sono in suo possesso presidi Baleari e Canarie e tutta zona Protettorato Marocco nonché presidio Prima Divisione Badajoz. Ha inoltre occupato base navale Cadice e Ferrol.

Generale Mola ha saldamente occupato displuviale Guadarrama e resta momentaneamente tale posizione per organizzarvi forze militari volontariamente colà affluenti prima di riprendere marcia per Madrid. Assicura poter resistere per tempo illimitato su tali posizioni.

Suoi bisogni massimi di materiali sono seguenti: dodici aeroplani trasporto, dieci aeroplani caccia e dodici aeroplani ricognizione; mille bombe aeroplani da 100 chili e duemila da 50; quaranta cannoni antiaerei (l) da 13 aut 25 millimetri; aeroplani ricognizione e caccia armati mitragliatrici dovrebbero essere dotati munizionamento adeguato. Per trasporti truppe da Marocco a Spagna occorrergli provvisoriamente qualche piroscafo da 4 a 5 mila tonnellate.

Generale Franco mi assicura che con tale materiale e con forze armate e con armi di cui dispone è sicuro successo anche se francesi continuino fornire armi suoi avversari col ritmo attuale.

Impressione mia e addetto militare è che, data sincerità con la quale generale Franco mi ha sempre esposto situazione, debbasi prestare fede suindicate sue dichiarazioni.

Generale Franco mi ha aggiunto che più sollecitamente potrà avere materiale di guerra occorrentegli, più rapido e più sicuro potrà essere suo successo (2).

(l) -Vedi D. 614. (2) -Vedi D. 595. (4) -Vecll D. 610.
618

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7269-7274/209-210 R. Beyoglu, 25 luglio 1936, ore 21 (per. ore 2 del 26).

Con Aras, tornato ieri da Montreux, ho avuto stamane colloquio.

Principalmente egli:

l) Ha sostenuto legittimità dichiarazione garanzie unilaterali Turchia verso l'Inghilterra che egli non ritirerà fino all'Assemblea S.d.N. settembre prossimo anche se Inghilterra dovesse nel frattempo ritirare la sua.

2) Tale dichiarazione indica, secondo lui, necessità in Mediterraneo di una più precisa sistemazione sicurezza. Vi si è già avviati, ma non compiutamente.

Ciò lo giustifica dal non entrare nel patto continentale, come previsto dalla nuova Convenzione, e che potrebbe indurre ad una politica di blocchi.

3) Egli ha rifiutato nettamente aderire patto multiplo, franco-sovieticointesista, formulato da Titulescu in una colazione da Delbos; patto nettamente anti-germanico, che gli è stato proposto formalmente ma che potrebbe avere anche significato anti-italiano.

4) Di un patto franco-turco gli è stata fatta parola ma non proposta formale come pel precedente.

5) Jugoslavia starebbe per deliberare suo patto con la Francia e pare con clausole in modo specifico reciprocità, assistenza, garanzia.

6) Non ha avuto alcuna proposta patto con Inghilterra. Afferma poi egli non ha nulla di scritto oltre quanto sappiamo, ma solo un legame morale in via quotidiano sviluppo; legame saldissimo e basato unicamente sulla reciproca fiduciosa onestà. All'Inghilterra, cui avendo voluto rifiutare appoggio per cedere all'amicizia sovietica egli deve provare che Turchia sarà sempre con lei nelle questioni Mediterraneo e che gli Stretti non saranno base anti-inglese.

7) Di questi rapporti egli vuole valersi per tentare a suo tempo un deciso miglioramento nelle relazioni anglo-italiane. Il permanere o l'aggravarsi dell'ostilità anglo-italiana sarebbe grave pericolo per la Turchia.

8) Ha accennato vagamente evento mondiale che potrebbe verificarsi entro un paio di settimane, ma non ha voluto precisare malgrado insistente richiesta.

9) Esporrà situazione politica Parlamento Ankara 31 corrente. lvi egli dirà astensione Italia Montreux, tenendo conto ripetute assicurazioni inequivocabile atteggiamento amichevole non corrisponde spirito amicizia. Data anche questa astensione egli si sente ora giustificato nell'affermare che situazione Mediterraneo non è ancora del tutto chiarita.

Gli ho obbiettato: l) Dichiarazione inglese circa impegno unilaterale mirava chiarimento Mediterraneo; spettava quindi a tre Potenze Mediterranee, da esso garantite, comportarsi analogamente. Dichiarazione Turchia perpetuava dannosissima sensazione incertezza. Era di speciale significato gravità sua odierna dichiarazione volere continuare garanzia unilaterale fino settembre prossimo. Su quali basi? Non potevo non manifestare estremo stupore. 2) Ho energicamente insistito dimostrando politica italiana non mirava né facilitava in alcun caso formazione blocchi. 3) Che relazione con Londra andavano rapidamente distendendosi, né esigevano intervento di alcuno. Del resto, rapporti anglo-italiani e itala-turchi erano su piano talmente diverso che era impossibile guardarli da un punto

comune. Che la nostra astensione Montreux non era determinata da ostilità verso alcuno, ma da giusta considerazione generale e in rapporto con esistenza sanzioni e para-sanzioni. Se Turchia se ne doleva, anche Inghilterra e URSS dovrebbero dolersene nella supposizione nostra presenza avrebbe potuto facilitare sia una che altra tesi. Dovevo poi metterlo in guardia sul discorso che egli pronuncerà Ankara. Frasi poco accorte o ingiustificate o imprudenti potrebbero sollevare nostra opinione pubblica. Ancora meno doveva nel discorso dimenti

care mia dichiarazione a Ismet Pascià in data 17 corr. (mio telegramma n. 192 (1). Questi sono punti essenziali di due ore colloquio dal quale scaturiscono seguenti principali osservazioni:

l) Turchia è preoccupata possibilità essere tratta nel blocco anti-germanico perciò, anche ai fini immediati della sua politica economica commerciale dominata già da acquisti e dalla già riferita influenza tedesca nell'esercito turco, tenta restare disparte finché possibile.

2) A tal fine forza anche oltremodo la sua preoccupazione mediterranea per giustificare sua attuale resistenza al formarsi di blocchi... (2).

3) Per questi due motivi e per mantenersi nella linea di difesa artificiosa adottata contro l'Italia, Aras, profittando incerta attitudine inglese verso Berlino, si abbarbica con ogni mezzo a Londra. Fino a quale punto col consenso inglese non è a me dato dire. Conclusione: Turchia preoccupata «stato pericoloso » che può condurre anche urto fra due blocchi e nel timore puntare anche questa volta sul cavallo perdente, il che metterebbe fine suo singolare perenne gioco sottilissimo equilibrio e di destreggiamento in due opposti campi.

619.

IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7267/417 R. Cairo, 25 luglio 1936, ore 22,30 (per. ore 1 del 26).

Mi riferisco al mio telegramma n. 409 (3). Ieri Nahas Pascià e Sir Miles Lampson hanno parafato testo clausole militari, che dovrebbero formare parte integrante trattato anglo-egiziano.

Sembra che accordo sia stato raggiunto su basi da me indicate con rapporto 820/316 del due marzo u.s. (4), e cioè: l) formalmente verrebbe consacrata cessazione occupazione militare inglese, cui verrebbe a sostituirsi alleanza anglo-egiziana; 2) forze egiziane verrebbero gradualmente riorganizzate e rafforzate con aiuto e collaborazione inglese; 3) verrebbe provveduto, a spese del Governo egiziano, su direttive tecniche inglesi, costruzione ampia rete strade militari (sic), assicurando facile spostamento truppe nonchè riorganizzazione attuali aerodromi militari disposizione Royal Airtorce; 4) truppe britanniche lascerebbero Cairo per trasferirsi verso la zona Canale a mano a mano che, a spese del Governo egiziano, saranno state costruite adeguate caserme; 5) rimarrebbe nella capitale missione militare britannica presso il ministero della Guerra egiziano per opportuna coordinazione e collaborazione; 6) forze inglesi sarebbero gradualmente ritirate mano a mano che l'esercito egiziano sia in grado di sostituirsi inglesi alla difesa del Paese.

Chiusa così fase conversazioni preliminari, su questioni militari che sono durate cinque mesi, invece delle poche settimane previste, negoziati riprende

ranno 27 corrente ad Alessandria per esame questione del Sudan. Quando la questione del Sudan fosse definita -secondo anche quanto scrive questa Egyptian Gazette di solito bene informata -trattato sarà praticamente concluso in quanto che altre questioni, ivi compresa protezione interessi stranieri, sono definite progetto trattato 1930 cui disposizioni in proposito sono già state accettate in principio da ambo le Parti.

(l) -Sic. Nel testo in partenza: mitragliatrici. (2) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolini. Del colloquio con Franco dava contemporaneamente notizia al ministero· della Guerra il maggiore Luccardi con T. 474 !n pari data che peraltro niente aggiunge a quanto qui riferito. Il documento è nell'Archivio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (l) -Vedi D. 560. (2) -Seguono alcuni gruppi indecifrabili. (3) -T. 7098/409 R. del 21 luglio, ore 12,50. Riferiva sui progressi delle trattative per !"accordo anglo-egiziano la cui conclusione appariva ormai prossima. (4) -Vedi serie ottava, vol. III, D. 350.
620

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7468/0446 R. Londra, 25 luglio 1936 (per. il 31).

Con il mio telegramma n. 1080 (1), ho informato V. E. del colloquio che ho avuto con Eden ieri e nel corso del quale Eden mi ha sommariamente esposto il punto di vista britannico sulla progettata conferenza delle cinque Potenze di Locarno. Come V. E. ha potuto rilevare, la maggior preoccupazione di Eden è stata quella di mettere in chiaro che riunione anglo-franco-belga di giovedì scorso non aveva avuto altro scopo che quello di promuovere la conferenza delle cinque Potenze di Locarno e non aveva altro significato che quello messo in rilievo dal comunicato finale: che la Francia cioè accettava una discussione dei problemi della sicurezza europea, abbandonando qualunque pretesa alla esecuzione di impegni derivanti dal Trattato di Locarno, e dalle deliberazioni del 19 marzo, e dichiarandosi pronta a partecipare a un'opera di ricostruzione del regime della sicurezza sulla base di una collaborazione tra le cinque Potenze occidentali.

Più volte, nel corso del nostro colloquio, Eden è ritornato sul concetto della assoluta identità di posizione delle cinque Potenze, l'una rispetto all'altra, sulla necessità di sgombrare il terreno dai detriti del passato, e sul fatto che i francesi si sono resi conto che questo modo di vedere rappresentava ormai la politica del Gabinetto britannico e si sono mostrati disposti a collaborare su questa base.

Oggi a Eltham Sir John Simon ha esposto in un discorso gli stessi concetti espostimi da Eden: <<Vi è oggi un grave pericolo in Europa: ed è che l'Europa possa ancora una volta essere divisa in blocchi opposti. L'obiettivo della politica britannica è stato quello di capovolgere una simile tendenza, di cancellare ogni linea di demarcazione, di portare tutte le Potenze europee ad una libera amichevole discussione dei comuni problemi, che solo con uno sforzo comune possono essere veramente risolti. Un mese fa ciò sembrava impossibile: oggi non più. Inghilterra, Francia e Belgio si sono dichiarate pronte a collaborare ad un tale sforzo e dobbiamo augurarci che Italia e Germania accettino di partecipare alla conferenza delle cinque Potenze».

69-t

Queste dichiarazioni, che telegrafo a parte con mio telegramma n. 1082 (l) e i commenti dei giornali alla riunione anglo-franco-belga, che ho già comuunicato a V. E., sono tutti destinati a mettere in luce lo stesso fatto: che l'Inghilterra non vuole saperne di una politica di alleanze europee, e che il fine che essa persegue è di mantenere, o per essere più esatti, di riprendere quella posizione di equidistanza tra la Francia e la Germania, sulla quale era fondata la politica britannica prima dell'avvento di Hitler al potere, e alla quale corrisponde il rapido miglioramento dei rapporti anglo-germanici, verificatisi in questi ultimi mesi.

Queste pubbliche manifestazioni sono anche naturalmente dettate dal desiderio di calmare le apprensioni della Germania e di facilitare il ritorno della Germania a una politica di collaborazione. Ma sarebbe erroneo, io credo, di considerarle come una pura e semplice manovra destinata ad attirare la Germania in un negoziato. Esse corrispondono al sentimento prevalente del Paese ed al desiderio popolare di non compromettere la possibilità di migliori rapporti con l'Italia e con la Germania, a favore di una più intima intesa con la Francia, che in questo momento non è desiderata da nessuno.

Dal punto di vista degli interessi francesi, la riunione di giovedì scorso è stata un vero errore, e costituisce un vero passivo. Obbligati ad accettarla dalle pressioni di Parigi, gli inglesi sono andati cosi innanzi nella pubblica svalutazione che essi ne hanno fatto, che essa ha finito col risolversi nella dimostrazione più che altro dei limiti e delle condizioni che l'Inghilterra pone alla sua amicizia per la Francia, una dimostrazione negativa alla quale il Governo britannico è stato obbligato a ricorrere, per tranquillizzare un'opinione pubblica, che già mostrava dei segni di nervosismo all'idea che la riunione anglo-francobelga potesse costituire il nucleo di una politica di intese franco-britanniche.

Mai in questi anni, io credo, la Francia si è trovata nei riguardi dell'Inghilterra in una posizione di maggiore debolezza, mai certo più isolata nel quadro della politica inglese. I conservatori, tra i quali la Francia ha avuto sempre i suoi migliori amici, guardano con crescente preoccupazione e sospetto agli esperimenti del Fronte Popolare, ai segni di disgregazione sociale che dà la Francia, alla influenza che i sovieti hanno acquistato a Parigi. I laburisti guardano con disillusione e con sfiducia alla politica estera di Blum, nella quale essi riconoscono la vecchia politica francese di alleanze militari contro la Germania. La grande massa del pubblico è isolazionista -e lo è andata diventando anche più dopo il fallimento della S.d.N. -e teme che la Francia cerchi di attirare l'Inghilterra in impegni che pregiudicherebbero la libertà di movimento della politica inglese e potrebbero precipitare una guerra. La minaccia poi di una rivoluzione bolscevica, fomentata da Mqsca, è davanti agli occhi di tutti, e gli avvenimenti di Spagna, che hanno qui provocato una profonda reazione antisovietica, stanno a mostrare il duplice pericolo al quale la Francia espone l'Europa con la sua politica interna, e con gli stretti legami che essa ha stabilito con l'U.R.S.S.

Col mio rapporto n. 2268/588 del 18 corr. (l) ho già esposto a V. E. i segni della crescente avversione britannica all'alleanza franco-russa. Non solo è convinzione generale che il patto franco-russo sia il vero e maggiore impedimento alla pacificazione dell'Europa occidentale, ma si attribuisce al patto franco-russo la aumentata pressione della propaganda bolscevica fuori dei confini dell'U.R.S.S. e si teme che la Francia, per rafforzare la struttura militare dell'U.R.S.S., dia al bolscevismo dei mezzi di azione dei quali esso ha finora mancato.

Questo timore indebolisce e corregge -sopratutto nei conservatori -il timore degli armamenti tedeschi. Di fronte alla Germania, la politica inglese è così influenzata da due forze opposte. Da una parte il desiderio di limitare la potenza e la aggressività tedesca e di garantire la incolumità del Belgio e la sicurezza della Francia sul Reno che è considerato il fondamentale interesse della politica estera britannica, dall'altra la preoccupazione di impedire un aumento della influenza sovietica in Europa.

In questo momento, mentre la guerra civile infuria in !spagna e oscuri avvenimenti si preparano in Francia, la preoccupazione che l'Europa debba presto fronteggiare una nuova ondata di bolscevismo è a Londra vivissima; e tutto questo spinge più decisamente l'Inghilterra verso una politica di riconciliazione con l'Italia e con la Germania. Comincia a prevalere negli ambienti conservatori il concetto che solo una tale politica potrà assicurare la stabilità dell'Europa, e anche dare alla Francia una sicurezza che il patto franco-sovietico non può darle, né alla Francia è utile pagare con un aumento della influenza sovietica in Europa.

E nello stesso Foreign Office ho potuto constatare in questi giorni -come mi riservo di riferire più a lungo per rapporto -un orientamento più deciso contro il patto franco-sovietico, che in questo momento viene considerato più che mai, ripeto, il vero e maggiore ostacolo a una possibilità di effettiva collaborazione tra le cinque Potenze occidentali.

621.

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON HASSELL (2)

APPUNTO. Roma, 25 luglio 1936.

Ho ricevuto l'Ambasciatore von Hassell che mi ha comunicato la decisione presa dal Governo del Reich di sopprimere Legazione tedesca in Addis Abeba istituendovi invece un Consolato Generale.

Ho preso atto con compiacimento· e l'ho ringraziato di tale importante comunicazione.

L'Ambasciatore di Germania mi ha chiesto notizie circa le conversazioni in corso per l'abolizione degli Accordi Mediterranei. In via confidenziale l'ho informato che entro i primi giorni della prossima settimana il Ministro degli

Esteri di Gran Bretagna dovrebbe dichiarare decaduti ogni intesa o dichiara

zione mediterranea. Nei riguardi della nota presentata dagli Ambasciatori delle

«tre democrazie» (1), gli ho detto, in seguito a sua richiesta, che, una volta elimi

nato l'ostacolo delle intese navali, e invitata la Germania per la Conferenza,

saremmo stati disposti a partecipare all'eventuale riunione. Desideravamo però

che la riunione ufficiale fosse preceduta da scambio di idee attraverso la via

diplomatica, e particolarmente con la Germania.

Von Hassell mi ha comunicato che la nota è stata rimessa ieri a Berlino.

Il Direttore Generale che regge il Ministero in assenza di von Neurath, ha

ringraziato gli Ambasciatori di Gran Bretagna, Francia e Belgio per l'invito

rivolto alla Germania ed ha fatto presente che la Germania è disposta a parte

cipare alla riunione alle seguenti condizioni:

l) che partecipino le cinque Potenze locarniste;

2) che la Germania partecipi in condizioni di assoluta parità;

3) che la Conferenza venga preceduta da uno scambio di vedute in via diplomatica.

Von Hassell mi ha aggiunto di essere stato istruito di comunicarci che tale scambio di vedute deve avvenire sopratutto con l'Italia. Constatato ancora una volta l'assoluto parallelismo nella politica tedesco-italiana. Siamo rimasti d'intesa che ci saremmo visti nella prossima settimana per informarci reciprocamente di quanto sarà fatto o sarà inteso fare.

Von Hassell mi ha parlato della situazione in !spagna ed ha espresso la preoccupazione del suo Governo per l'eventuale vittoria dei comunisti nella Penisola Iberica. Mi ha detto che da fonte sicura risulta al Governo del Reich che il fronte popolare francese si prepara ad aiutare quello spagnuolo con l'invio di armi nel continente e forse anche con la partecipazione di truppe francesi in Marocco. Ho detto a Von Hassell che anche noi seguivamo con vivo interesse la questione e che condividevamo col Governo del Reich la preoccupazione di vedere i Soviet stabilirsi alle porte del Mediterraneo.

Anche su questo punto ci saremmo tenuti reciprocamente informati ed ho assicurato von Hassell che in attesa dell'arrivo a Barcellona delle due navi tedesche, avrei dato istruzioni alle nostre Autorità di proteggere in caso di bisogno la Colonia tedesca che, come la nostra, è oggetto di particolare persecuzione da parte degli elementi sovversivi spagnuoli.

622.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 25 luglio 1936.

Il Consigliere della Legazione di Portogallo a Roma, per incarico del suo Ministro assente in questo momento da Roma, è venuto d'ordine del Governo di Lisbona a fare la seguente comunicazione urgente:

49 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

l) Il Governo portoghese richiama l'attenzione dei Governi interessati sul fatto che qualora le truppe ribelli in Spagna venissero schiacciate, il Governo spagnolo non sarà in grado d'impedire lo scoppio dell'anarchia in tutto il Paese. Il Governo portoghese riterrebbe opportuno che i Paesi interessati ad impedire un avvenimento di tale gravità e di conseguenze imprevedibili, si concertassero urgentemente.

2) Il Governo portoghese constata che le navi da guerra spagnole in rada di Tangeri si trovano contro ogni norma internazionale prive di comandi regolari, e costituiscono un pericolo, oltreché per questa ragione, anche per il fatto che si servono delle acque di Tangeri come base per operazioni militari.

Il Governo di Lisbona ritiene che la presenza di queste navi spagnole a Tangeri esponga la Zona Internazionale a rappresaglie da parte del Generale Franco ed anche al pericolo di un'occupazione francese della città o della Zona.

Per tali ragioni il Portogallo ritiene necessario un passo a Madrid dei Paesi interessati per ottenere o l'allontanamento di quelle navi dalle acque tangerine

o la loro immobilizzazione sul posto col divieto di compiere atti di guerra contro

ribelli. Il Governo portoghese ritiene urgente e indispensabile tale azione a Madrid. Ho chiesto al signor Sarafana se identico passo era stato fatto dai Ministri

portoghesi a Parigi e Londra ed egli mi ha risposto che riteneva di sì, pur non potendomelo confermare con assoluta certezza. Ho risposto che avrei riferito immediatamente a V. E. per le determinazioni del caso.

(l) Vedi D. 615.

(l) T. 3076/1082 R.S. del 26 luglio, non pubblicato.

(l) Non rinvenuto.

(2) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 42-44.

(l) Vedi D. 614.

623

IL CAPO DELL'UFFICIO II DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, ROGERI, AL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA

TELESPR. 225033/246. Roma, 25 luglio 1936.

Si ha il pregio di trasmettere l'unita relazione da fonte fiduciaria, sulla situazione interna della Jugoslavia, pervenuta dal Comando Generale Milizia

V. S. N.

ALLEGATO

SITUAZIONE INTERNA JUGOSLAVIA -PENETRAZIONE TEDESCA

Sciogliendo la riserva contenuta nella Nota n. 11561Vl AllO del 18 giugno u.s., si comunicano ulteriori notizie pervenute in merito all'azione che sta svolgendo la Germania, per accaparrarsi il mercato jugoslavo.

In precedenti relazioni è stata estesamente illustrata la situazione politica ed economica interna della Jugoslavia. È stato detto che la massa più forte della popolazione -i sette decimi -è composta di contadini e montanari, analfabeti o quasi, i quali vivono esclusivamente della vendita dei prodotti agricoli. Questa massa vive lontana dai centri abitati che in Jugoslavia sono molto scarsi.

E' stato accennato agli odi di razze, di nazionalità, e di religione, odi resi acuti dalla persistente crisi economica. Si è parlato della corruzione dei dirigenti la politica dello Stato, unicamente preoccupati di arricchirsi personalmente. È stato infine ampiamente

trattato delle influenze straniere sulla politica della Jugoslavia, in primo luogo della Francia, poi dell'Inghi.Jterra ed in ultimo dell'opera di penetrazione che da qualche tempo sta svolgendo la Germania.

La Germania approfittando dell'estrema miseria delle finanze jugoslave, spec!almente per quanto riguarda la vendita dei prodotti agricoli di questa, trovò un terreno fertilissimo per la sua opera di propaganda e di penetrazione che si dice esclusivamente «economica». La Germania in .tutta la Balcania ha sempre goduto un forte prestigio, per l'opera dei suoi agenti naturali e di quelli appositamente impiegativi. Sono agenti naturali, tutti i sudditi naturalizzati jugoslavi ed ex sudditi tedeschi ed austriaci, immigrati tedeschi, viaggiatori di commercio, rappresentanze commerciali, funzionari ed ufficiali delle forze armate che hanno appartenuto alle relative organizzazioni tedesche ed austriache.

La propaganda tedesca mira a. dimostrare che le economie tedesche e jugoslave sono fatte apposta per compensarsi ed integrarsi. La Jugoslavia r.icca di materie agricole senZia compratori, la Germania bisognosa di prodotti agricoli, inoltre questa in possesso di una forte attrezzatura industriale, è in grado di procurare alla Jugoslavia, tutte le centrali elettriche, gli acquedotti, i telefoni i telegrafi, le ferrovie ecc. di cui abbisogna. Si fa pubblicamente sapere che la Germania, libera da ogni impegno internazionale, è lo Stato ideale per entrare in strettissime relazioni soltanto economiche.

E gli affari incominc,iarono. I tedeschi hanno già concluso una serie di affari importanti, hanno ricevuto concessioni per lo sfruttamento di miniere ed ordinazioni per l'impianto di stabilimenti industriali. La Jugoslavia ha venduto e vende molti dei suoi prodotti agricoli.

Quest'azione tedesca, ha richiamato l'attenzione dei governi francese, cecoslovacco e romeno, che temono l'infiltrazione tedesca poiché dietro il movente economico vedono quello politico; ma la Jugoslavia ha risposto dando le più ampie assicurazioni, e dicendo che la pacificazione interna dipendeva dal miglioramento della situazione economica, e che il mercato germanico capace di assorbire la produzione agricola, faceva si che la massa dei contadini migliorando le condizioni, divenisse refrattaria alla propaganda politica contraria al Governo.

Il Governo jugoslavo conosce perfettamente la mentalità del contadino, che, di cultura limitatissima non sente la politica, ed avendo assicurata una possibilità di vita, pur conservando gli odii di razza, non si lascia trascinare in conflitti contro chi governa.

E quindi nel concetto governativo vi è il programma di cominciare l'opera di pacificazione, attraverso le migliorate condizioni di vita del popolo: e poiché le condizioni interne economiche non sono tali da permettere alla Jugoslavia di fare da sola, le necessita l'appoggio di una grande nazione europea, che per eliminazione non può essere che la Germania.

La Francia e l'Inghilterra sono ormai esperimentate, e non vi è nulla da fare. Con l'Italia non si ritiene possibile, ed anzi si teme da parte di questa, che sia dato un seguito alla politica san:?lionista, alla quale la Jugoslavia si è attenuta strettamente. Nel mentre larghi strati della popolazione si augurano un sincero riavvicinamento con l'Italia, sembra che vari ostacoli di varia natura impediscano questa realizzazione. Non bisogna dimenticare una propaganda quasi ventennale di odio contro lo Stato italiano, vi sono delle rivendicazioni territoriali sostenute da associazioni jugoslave che non possono ancora essere sconfessate.

n Governo jugoslavo ha scelto la strada che lo porta verso la Germania perché la ritiene sgombra da qualsiasi ostacolo messo dal passato.

La Germania costruirà in Jugoslavia cinque stazioni radio-trasmittenti per il servizio radiotelefonico. Impianterà una grande acciaieria a Zenice, impianterà molte centrali elettriche nella Bosnia, fornirà moltissimo materiale elettrico, telegrafico, telefonico e ferroviario. I suoi tecnici girano per la Jugoslavia, provvedono ad impianti per sfruttamenti minerari, carbone, bauxite, minerali di ferro e di stagno.

L'avvenire dirà se dietro le intese economiche si celano programmi politici. La Germania vuole uno sbocco nell'Adriatico. Lo sviluppo futuro degli avvenimenti rivelerà quali sono le vere intenzioni tedesche. La prossima eventuale evoluzione d'intese, da economiche in politiche, potrebbe forse fissare il programma della necessità di frontiera in comune.

624

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATJ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3015/1082. Berlino, 25 luglio 1936 (per. il 27).

Mi riferisco al mio telegramma n. 309 del 22 u.s. (l).

Il signor Dieckhoff mi ha confermato che a Bayreuth vi sono stati parecchi scambi di idee fra il Cancelliere Hitler ed i suoi principali collaboratori ed in prima linea con il ministro degli Affari Esteri barone von Neurath. Si sono trattati vari argomenti di politica estera con particolare riguardo alla risposta tedesca al questionario britannico.

Il signor Dieckhoff si è in proposito espresso quale l'oracolo di Delfo: nulla esclude che la risposta stessa possa essere data nella prossima settimana ma potrebbe anche avvenire che essa non sia mai più data!

Da quanto ho capito le forze di quanti vorrebbero che la Germania non mancasse di forma nei confronti dell'Inghilterra si equilibrano esattamente con quelle di coloro che oramai vorrebbero far cadere nel vuoto, e per sempre, la questione. Tutto sta naturalmente nella decisione del Cancelliere.

Non escluderei che, nei confronti dell'Inghilterra, vi sia, in alto loco, un certo risentimento per la circostanza che, fino ad oggi, e cioè alla vigilia dei Giochi Olimpici, non è annunziato l'arrivo a Berlino di nessuna alta personalità britannica, mentre viceversa si fa un certo chiasso a Londra e a Parigi sulla presenza di Re Edoardo all'inaugurazione, in terra di Francia, del monumento ai canadesi caduti nella grande guerra.

Ho l'impressione che l'Auswartiges Amt non abbia veramente, in questo momento, alcuna idea e alcun indizio sulla possibilità di una pronta decisione del Cancelliere nei riguardi della risposta (2).

625

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3027/1085. Berlino, 25 luglio 1936 (per. il 27).

Il signor Dieckhoff mi ha stamane dato alcuni dettagli nei riguardi dell'avvenuta presentazione collettiva, da parte dell'ambasciatore di Francia François-Poncet, del ministro del Belgio Davignon e dell'incaricato d'affari di Gran Bretagna Newton, dell'invito alla Germania di partecipare alla prossima Conferenza a cinque e della presentazione del comunicato relativo alla riunione a tre di Londra (3).

L'incontro dei tre diplomatici con il capo ad interim della Wilhelmstrasse è stato brevissimo e la conversazione ha avuto un tono cordiale. Particolarmente il ministro del Belgio ha tenuto a porre in rilievo che la futura conferenza avverrebbe «di comune accordo» e senza alcun piano preventivo da parte dei tre Paesi riunitisi a Londra. Nessun accenno è stato fatto ad una probabile data e alla sede possibile della futura conferenza.

Poco prima della visita dei tre diplomatici, i quali avevano chiesto di vedere il signor Dieckhoff nella stessa serata del 23, senza riuscirvi, quest'ultimo aveva avuto una conversazione telefonica con l'ambasciatore von Hassell, al quale, in vista della sua prossima udienza da parte di S. E. il Capo del Governo, aveva esposto il punto di vista della Germania sulla questione.

Questo, all'indomani di Londra, può così riassumersi: l) Parità assoluta di tutti i componenti della conferenza; 2) nessun allargamento della conferenza a cinque e nessuna ingerenza da parte di altri Paesi; 3) nessun accordo preventivo da parte di un gruppo di partecipanti; 4) presa in considerazione del piano di Hitler e quindi ricostruzione su basi completamente rinnovate della sicurezza dell'Europa Occidentale, abbandonando ogni continuità con situazioni oramai definitivamente passate.

Il signor Dieckhoff, nel concordare con me circa l'utilità della linea di condotta comune seguita dall'Italia e dalla Germania nei confronti della naufragata conferenza di Bruxelles, mi ha detto di essere ottimista sulla situazione perchè i due Paesi possono avviarsi con una certa sicurezza verso il tavolo della futura conferenza. Ed ha aggiunto che, nelle prossime settimane, sarà assolutamente opportuno chiarire ogni dettaglio di questa pratica collaborazione italo-tedesca, allo scopo di definire esattamente i punti di contatto e di togliere ogni possibile equivoco. Solamente dopo questa precisazione dei rapporti italo-tedeschi, la Germania potrà, se necessario, «avere qualche scambio di idee prima della conferenza con gli inglesi e forse con i francesi ».

Alla mia domanda se vi fosse già qualche preciso approccio in proposito, Dieckhoff mi ha ripetuto che, nei confronti dell'Inghilterra, « tutto era fermo in attesa appunto che si definisse esattamente la portata e il valore di una collaborazione italo-tedesca alla vigilia della conferenza». Evidentemente però, da parte tedesca, a mia impressione, non si vuole giungere alla conferenza senza prima conoscere per quanto possibile esattamente, le idee inglesi sulla ricostruzione europea.

Ritornando alla visita di ieri dei tre diplomatici, il signor Dieckhoff ha aggiunto di aver ritenuto necessario di dare una certa nota di ottimismo nel comunicato pubblicato dal Deutsches Nachrichten Bureau nel quale, come è noto, si fa accenno alla circostanza che « il direttore dell'Auswartiges Amt ha risposto di non essere ancora in grado di fare comunicazioni circa l'atteggiamento del Governo del Reich, esprimendo tuttavia che il passo sarebbe accolto con interesse simpatico».

Mi sembra interessante aggiungere in proposito che questa nota ottimista di Dieckhoff è stata poi in serata annullata dalla radio tedesca che, nel dare l'annunzio dell'invito alla Germania, si è limitata a dire che «il direttore dell'Auswartiges Amt, nell'accusare ricevuta, aveva dichiarato di non essere in condizione di dire cosa il Governo del Reich avrebbe pensato dell'iniziativa», saltando così a piè pari l'ultima frase del comunicato del Deutsches Nechrichten Bureau.

Nessuna notizia, fino a stamane, era giunta alla Wilhelmstrasse circa il colloquio avvenuto ieri a Londra, tra il ministro Eden e l'incaricato d'affari di Germania, principe Bismarck (1).

(l) -T. 7145/309 R. del 22 luglio, ore 19,03. Riferiva che il giorno successivo si sarebbe saputo se il governo tedesco avrebbe risposto a breve scadenza al questionario britannico del 7 maggio (vedi p. 44, nota l). (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Vedi p. 673, n. 3.
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L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3032/1088. Berlino, 25 luglio 1936 (per. il 27).

Mi riferisco al mio rapporto n. 2957/1057 del 22 corrente (2).

La stampa tedesca, uscendo dal riserbo degli ultimi giorni, ha ampiamente riportato le notizie relative all'accordo di stampa intervenuto tra la Germania e l'Austria ed alla concessione dell'amnistia da parte del Governo di Vienna, accennando ampiamente anche a dettagli sulla liberazione dei prigionieri nazional-socialisti.

Occorre dire che effettivamente, per evidente istruzione pervenuta dall'alto, la stampa germanica, salvo rare eccezioni costituite particolarmente da giornali di provincia, concorre opportunamente a spegnere quelle critiche che in taluni ambienti erano qui sorte nei confronti dell'accordo.

Certamente il FUhrer, che ne è l'autore personale e diretto per quanto concerne la Germania, non ha ammesso alcuna critica e recriminazione. Come avvenne del resto anche nel 1934 per l'accordo tra Germania e Polonia (3).

In ambedue i casi infatti si tratta di accordi liberamente voluti e sottoscritti dalla Germania di Hitler il quale evidentemente, dopo aver tanto gridato contro i diktat imposti con la forza dai vincitori alla vinta Germania, non può ammettere che vi siano possibilità perchè si crei nel Reich un'atmosfera favorevole ad una loro denunzia o rottura nel prossimo avvenire.

E ciò spiega la rivalorizzazione di von Papen, suo collaboratore diretto per la conclusionè dell'accordo stesso, il quale è stato oggi nominato ambasciatore straordinario, pur restando alla testa della legazione di Vienna ed al quale eg_2 ha diretto una lettera autografa, ispirata a viva cordialità ringraziandolo «per il suo lavoro di quasi due anni diretto al conseguimento dello scopo auspicato da noi tutti ».

Mi sembra interessante in proposito riferire una conversazione che ho avuto ieri con l'ex capitano di cavalleria austriaca, Strunk, già corrispondente sul fronte eritreo dell'organo del partito nazionalsocialista Volkischer Beobachter e da questo immediatamente inviato a Vienna il giorno stesso dell'accordo.

Il capitano Strunk ha trascorso circa dieci giorni a Vienna, avendo occasione di parlare con varie autorità e particolarmente con il ministro von Papen di ritorno da Bayreuth dopo l'incontro col Cancelliere Hitler e con il nuovo membro del Gabinetto austriaco von Glaise-Horstenau.

Egli aveva avuto istruzioni precise dal suo giornale di non occuparsi assolutamente di questioni relative al partito nazionalsocialista e ad ogni modo di qualunque argomento che potesse avere attinenza ad attività o affinità di Partito, limitando unicamente le sue corrispondenze all'impossibilità di sviluppi economici, culturali, etc. tra i due Paesi: istruzione che mi sembra, venendo dal principale organo nazionalsocialista, tuttora, come è noto, proibito in Austria, particolarmente significativa.

Il corrispondente mi ha detto che evidentemente il Cancelliere Hitler aveva avuto, nello stipulare l'accordo, l'intenzione di compiere un grande gesto di politica estera capace di risolvere una difficilissima questione e di permettere

un'effettiva collaborazione nell'Europa Centrale. Ma che evidentemente non si poteva negare che i nazionalsocialisti austriaci avessero avuto una certa disillusione e che taluni di essi potessero anche pensare di essere stati in certo modo abbandonati. Ciò spiegava la rinnovata attività, da alcuni giorni da parte di elementi austro-marxisti, residenti in Cecoslovacchia, di rivolgere appelli, anche a mezzo di manifestini, ai nazionalsocialisti austriaci perché formassero oramai fronte comune con loro per liberarsi dell'attuale Governo austriaco. E a questo proposito lo Strunk mi accennava che non era del tutto da escludersi nei prossimi mesi un nuovo tentativo marxista in Austria.

A Vienna il Governo e le Heimwehren sembravano del tutto soddisfatti e forse anche gli elementi cattolici non apparivano alieni dall'intravvedere, attraverso l'accordo austro-tedesco, un possibile ponte per un miglioramento dei rapporti, oggi non buoni, esistenti tra la Chiesa di Roma ed il Governo del Cancelliere Hitler.

In conclusione lo Strunk, che evidentemente è in stretto contatto con tutti gli elementi ex-austriaci entrati nel giornalismo nazionalsocialista tedesco, ripete l'impressione che il Cancelliere Hitler, nell'interesse della pace e della collaborazione europea ed in particolar modo per i buoni rapporti con l'Italia, aveva rinunciato ad una politica di partito nei confronti dell'Austria per dimostrarsi il Capo responsabile della politica estera di un grande Paese europeo.

Lo Strunk pubblicherà nei prossimi giorni alcune corrispondenze sul VOlkischer Beobachter ponendo appunto in rilievo la grande importanza, dal punto di vista della politica estera, dell'accordo dell'll u.s.

Per quanto concerne le pratiche applicazioni dell'accordo mi sembra veramente interessante e significativa la notizia, ufficialmente ora pubblicata, che il ministro d'Austria a Berlino si è rivolto al Governo del Reich pregandolo di assumere la protezione dei sudditi austriaci in Spagna. Simile passo è stato fatto dalla Legazione di Svizzera. Naturalmente la richiesta è stata immediatamente esaudita (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (2) -Non pubblicato. Vi si riferiva circa i decreti emanati in Germania per l'applicazione dell'accordo austro-tedesco dell'l! luglio. (3) -Vedi p. 605, nota 2.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussollni.

627

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7280-7271/13-14 R. (1). Bordeaux, 26 luglio 1936, ore 9,50 (per. ore 13,20).

Marchese di Eliseda e altri delegati esercito rivoluzionario sono venuti da Burgos a trovarmi stanotte per dirmi che nelle loro file ha provocato impressione notizia, ormai accertata, che il Governo francese rifornirà di armi e munizioni il Governo spagnuolo.

Essi rilevano che, mentre loro condizioni sono ottime il rifornimento straniero a loro Governo potrebbe seriamente compromettere successo rivoluzione, specialmente se lotta intorno capitale, dovesse prolungarsi nella forma di un assedio e nel caso potessero rivoluzionari rifornirsi ugualmente.

A nome loro capo, essi mi pregano quindi di insistere presso il Duce perché aiuti battaglia antibolscevica, come Francia aiuta bolscevichi spagnuoli.

Credo opportuno informare V. E. che mentre loro delegati sono venuti Roma, altri sono andati anche Berlino d'accordo con capi numerosa e forte colonia tedesca di Spagna.

Secondo notizie giunte ieri notte a Burgos da elementi riusciti a fuggire da Madrid, autorità del governo ufficiale esiste soltanto sulla carta ed è sostituita dai dirigenti partito comunista secondo sistema Russia.

Sempre con le dovute riserve intorno pratica possibilità degli aiuti richiesti permettomi consigliare ogni possibile aiuto in questa battaglia che, per sua importanza e vastità, sorpassa confini della Spagna per interessare moralmente tutta Europa.

Richiamo l'attenzione sulla intervista concessa capo socialista Largo Caballero. Predetto ha dichiarato che, dopo la vittoria, Fronte Popolare spagnolo dovrà avere Governo socialista e che nella politica estera uscirà dalla sua abituale neutralità per intervenire coi Paesi democratici contro i Paesi antidemocratici. Questo indica ancora un nuovo significato internazionale di una eventuale vittoria governativa contro rivoluzione nazionale spagnola.

628

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7282/128 R. Atene, 26 luglio 1936, ore 16 (per. ore 16,40).

Un mio collega balcanico mi ha assicurato nella maniera la più formale che questo ministro di Germania si è recato ieri da presidente del Consiglio Metaxas per dichiarargli espressamente a nome e per incarico di Hitler: l) che

non esisteva nessun «riavvicinamento » tra l'Italia e Germania; 2) che la Germania non intendeva far nulla che potesse in qualsiasi modo contro bilanciare politica inglese nei Balcani e nel Mediterraneo.

Pare che analoghe comunicazioni sarebbero state fatte nelle altre capitali balcaniche (1).

(l) L'ambasciatore Pedrazzi si trovava ad Hendaye. Il presente telegramma fu inviato tramite il consolato generale a Bordeaux.

629

L'ADDETTO MILITARE A MADRID, GABRIELLI, AL MINISTERO DELLA GUERRA (2)

T. 528. Madrid, 26 luglio 1936, ore 18,40 (per. ore 9,50 del 27).

Più importanti centri ancora in mano nazionalisti sono: Oviedo, Valladolid, Segovia, Saragozza, Cordoba, Siviglia, Cadice. Più importanti accaniti combattimenti: a Segovia. Se esatta notizia qui pervenuta, situazione nazionalisti sarebbe critica. Questi potrebbero ancora raggiungere Madrid se avessero disponibilità forte nucleo aviazione e se marina da guerra lasciasse libera comunicazione col Marocco. Si dice che Governo francese abbia finto ignorare avvenuta fornitura aeroplani a questo Governo. Social-comunisti pensano che nazioni estere, particolarmente Germania, stiano fornendo aeroplani a nazionalisti. Disciolte unità esercito si stanno ricostituendo con ufficiali in congedo e milizia socialcomunista (3).

630

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI

T. s. 3464/57 R. Roma, 27 luglio 1936, ore 11,30.

Decifri da solo.

Ad ogni buon fine La informo che dodici aeroplani da bombardamento, opportunamente truccati, sono concentrati in Sardegna e possono giungere a Melilla in cinque ore. Un piroscafo carico di materiale bellico potrebbe arrivare in quattro giorni. Prenda ancora contatto con Franco e, senza assumere impegni

-o far promesse di sorta, cerchi di conoscere la esatta situazione attuale e se ancora vi è l'urgenza delle forniture richieste (4). (-4) Per la risposta vedi D. 632.
(1) -Questo telegramma fu ritrasmesso a Berlino, Ankara, Belgrado, Sofia e Bucarest e per corriere a Londra, Vienna, Budapest, Praga e Tirana con T. 3482/C.R. del 29 luglio, ore l, e con la seguente aggiunta "Quanto precede per sua riservata notizia e per discreto controllo, se possibile>>. Per le risposte si vedano i DD. 650 (Ankara), 663 (Sofia), 666 (Berlino), 676 (Belgrado). Da Bucarest, il ministro Sola escluse che la Germania avesse fatto presso il governo romeno un passo nel senso indicato dal ministro Boscarelli (T. 7500/92 R. del 31 luglio, ore 19,40). Sull'argomento si vedano inoltre le successive precisazioni di Boscarelli, D. 652. (2) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (3) -Il documento reca l'annotazione a margine: "Troppi se".
631

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7311/212 R. Ankara, 27 luglio 1936, ore 14,15 (per. ore 16,40).

Armao mi ha notificato imminente riunione Commissione internazionale degli Stretti per decisione scioglimento e determinazione su questioni connesse.

È mio avviso subordinato Armao partecipi riunione esprimendo però su questione principale ogni possibile riserva sull'accettazione italiana e prendendo su tutte le altre questioni che si presenteranno attitudine derivante da questo criterio di massima.

Prego V. E. telegrafare urgenza se approvi e se abbia altre istruzioni (l).

632

IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 7325/233 R. Tangeri, 27 luglio 1936, ore 22 (per. ore 0,30 del 28).

Suo 57 (2).

Come ho riferito con mio telegramma n. 231 odierno (3), nessun avvenimento saliente si è prodotto da ieri ad oggi. Franco mi conferma che ha piena fiducia esito lotta, per quanto si renda conto deficienza e precarietà comunicazioni fra Marocco e Spagna, insidiate continuamente navi governative e adesso specialmente sottomarini che hanno base Tangeri. Ma ho netta sensazione che siamo di fronte a un tempo di arresto che in movimenti rivoluzionari è sempre esiziale per chi li suscita e per chi attacca.

Dal rapido superamento questa situazione dipende forse successo o caduta movimento Franco. che ogni giorno di più si afferma lotta suprema fra ordine e bolscevismo. Per superarla è necessario che Franco rinforzi sue truppe di attacco in Spagna con battaglioni freschi e armati, ancora oggi inutilizzati Marocco e che rompa cerchio forze navali governative che gli inceppano ogni movimento. Sono altresì convinto che questa situazione di cose debba essere superata al più presto possibile, anche per impedire che governativi aumentino in forza per soccorsi che non negano loro, malgrado ogni smentita ufficiale, Fronte Popolare francese e bolscevismo internazionale.

Secondo le istruzioni di V. E. mi sono astenuto prendere con Franco ogni impegno e fare qualsiasi promessa (4).

(l) -Per la risposta vedi D. 649. (2) -Vedi D. 630. (3) -Non rintracciato. (4) -Sui contatti con il generale Franco riferiva contemporaneamente anche il maggioreLuccardi con T.s. 487 del 27 luglio, ore 22,15: «Recatomi Tetuan, per aver notizie su eventuali danni ai nostri connazionali a Melilla in seguito bombardamento 26 corrente mese, ho visto generale Franco che mi ha comunicato: l) autorità inglesi di Gibilterra inizialmente favorevoli movimento avevano invitato generale Franco ad inviare generale spagnolo per richiedere ufficialmente di impedire a navi da guerra spagnole rifornimenti e navigazione acque territoriali Gibilterra. Improvvisamente autorità inglesi si sono irrigidite e pur assicurando loro simpatiamovimento hanno dichiarato di non poter intervenire. Al generale spagnolo che in borghese tentava riprendere contatto con autorità inglesi è stata impedita entrata Gibilterra. Navi spa
633

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI

T. PERSONALE 3473/392 R. (1). Roma, 27 luglio 1936, ore 23.

Ti prego telegrafarmi impressione codesti circoli conservatori su rivoluzione spagnola.

634

IL SERVIZIO INFORMAZIONI MILITARE AL MINISTERO DEGLI ESTERI

APPUNTO S. ..., 27 luglio 1936.

Da fonte assolutamente attendibile risulta che il Ministro degli Affari Esteri di Francia Sig. Delbos ha chiarito a tutte le Missioni diplomatiche francesi all'estero, con le seguenti considerazioni, l'atteggiamento del suo Governo in relazione alla notizia di fornitura di armi alla Spagna:

l) Il Governo francese mantiene la sua tradizione di non intervento nelle questioni interne di altri Stati.

2) Nelle attuali circostanze tale principio è riconfermato da parte francese anche se il Governo che richiede l'aiuto è un Governo fedele ed amico che lotta per mantenere l'ordine interno.

3) In conseguenza è stata ufficialmente proibita quaisiasi consegna di materiali destinati alla Spagna, sia che provengano dallo Stato oppure dall'industria privata.

4) È tuttavia rimasta autorizzata, in base a precedenti impegni, la esportazione da parte dell'industria privata di aeroplani sprovvisti di armamento.

635

COLLOQUIO DEL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, CON L'AMBASCIATORE DI POLONIA A ROMA, WYSOCKI

APPUNTO. Roma, 27 luglio 1936.

È venuto a vedermi l'ambasciatore di Polonia il quale mi ha annunciato l'arrivo della delegazione polacca incaricata di esaminare le questioni finanziarie e commerciali in sospeso fra i due Paesi.

gnole navigano attraverso stretto vicino unità inglesi che !n tal modo ostacolano azione aerei r!bell!. Hanno però dichiarato che se un piroscafo con bandiera inglese trasportasse sue truppe lo proteggerebbero purché nessun militare apparisse in coperta; 2) trimotore tedesco preso con finto atto di forza è partito 25 corr. mese per Germania via Marsiglia con a bordo personalità germanica ed ufficiale aviatore spagnolo per ottenere aeroplani dalla Germania; 3) Tra le bombe lanciate 26 corrente mese su campo aviazione Tetuan è stato rinvenuto un frammento d! bomba di fabbricazione francese. Ha riconfermato invio dalla Francia d! 25 aeroplani. Ha insistito nell'affermare che pronto invio apparecchi risolverebbe crisi trasporto truppe attraverso Io stretto e permetterebbe raggiungere rapido successo>> (il documento è tratto dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito).

Mi ha poi domandato se ci risultava qualche cosa a proposito di un riavvicinamento tedesco-sovietico del quale questo ambasciatore d'Inghilterra gli ha parlato due o tre volte come se fosse in corso.

Wysocki, dopo avermi fatto osservare la insistenza con la quale da parte inglese si era parlato con lui di tale cosa, mi ha dichiarato che per suo conto egli però non era di opinione che una tale eventualità potesse escludersi del tutto. Avendo passato alcuni anni in Germania come ministro di Polonia, egli era in grado di affermare che Blomberg aveva sempre considerato come una necessità per la Germania uno stretto accordo con la Russia. Nella Unione Sovietica, dove le idee di Blomberg erano ben conosciute, questi era considerato come un amico ed infatti era stato sempre invitato ad assistere alle manovre dell'esercito sovietico non come semplice osservatore, ma come un esperto i cui consigli erano apprezzati e desiderati.

Wysocki ha sottolineato che constatandosi in Germania in questo momento un'accentuazione dell'influenza della Reichswehr anche personalmente sul Ftihrer, non vi sarebbe affatto da meravigliarsi se l'idea di Blomberg a proposito dei rapporti germanico-russi ritornasse in qualche modo all'ordine del giorno (1).

(l) Minuta autografa.

636

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. P. 2507/552. Roma, 27 luglio 1936 (2).

La situazione fatta ai cattolici e specialmente agli Ordini religiosi in Germania, preoccupa in sommo grado la Santa Sede.

L'Ordine dei Frati Francescani è stato attaccato per atti contro il buon costume di cui si sono resi colpevoli trenta frati laici dello stesso Ordine (mio telegramma per corriere n. 88 del 15 giugno scorso) (3).

Al presente i nazisti preparano un attacco in piena forma contro la Compagnia di Gesù. Ho trattato quest'ultimo argomento nei miei telegrammi per corriere n. 99 e n. 111 in data del 6 e 24 corrente (4) e con il telespresso

n. 2384/513 del 14 corrente (5).

Il Cardinale Segretario di Stato che il 6 luglio scorso aveva auspicato vagamente un eventuale nostro interessamento a Berlino, è ritornato, di proposito, sull'argomento nella visita che gli ho fatta venerdi scorso 24 corrente. Il mio telegramma per corriere n. 111 non accenna alla cosa perché il Segretario di Stato mi ha pregato di non riferire per iscritto su quella parte della nostra conversazione, oggetto di questa mia lettera personale a Vostra Eccellenza.

Il Cardinale, manifestandomi l'angoscia della Santa Sede per le gravi conseguenze del procedimento avviato contro i Gesuiti, mi ha domandato se il

R. Governo poteva fare qualcosa per alleviare l'azione promossa contro la

Compagnia di Gesù. Ho finto di non capire, ma il Cardinale mi ha ripetuto due, tre, quattro, cinque volte la sua domanda, mettendomi nella necessità di dargli la risposta che riferisco qui appresso.

Ho dichiarato al Segretario di Stato che non ero in grado di dirgli se il

R. Governo avrebbe ritenuto opportuno e consigliabile di svolgere l'azione sollecitata da Lui. Avrei comunque riferita la sua domanda all'E. V.

L'indomani sabato 25 corrente il Cardinale Pacelli mi ha fatto chiamare

nuovamente. Mi ha rinnovato la domanda, dicendomi di fare bene risaltare che

l'iniziativa partiva da Lui non dai Gesuiti i quali erano estranei a questo suo

intervento. Ha soggiunto che, dopo avermi parlato venerdi scorso, aveva infor

mato il Pontefice il quale aveva approvato il suo operato. Però --ha precisato

il Cardinale -anche il Papa doveva essere lasciato fuori e l'iniziativa apparire,

com'era di fatto, del Segretario di Stato.

Il Cardinale Pacelli mi ha dichiarato infine che sarebbe stato conveniente di tralasciare qualsiasi intervento qualora si temesse di fare peggio.

Il porporato mi ha dato l'impressione che la Compagnia di Gesù e la Santa Sede siano seriamente preoccupate delle gravi ripercussioni che potrebbe avere sui cattolici della Germania il processo contro i Gesuiti, se il Governo del Reich insistesse nel condurre a fondo le cose (1).

(l) -Il presente documento reca l'annotazione a margine: «Visto da S. E. il Ministro». (2) -Manca l'indicazione della data di arrivo. (3) -Vedi D. 275. (4) -Vedi DD. 455 e 613. (5) -Vedi D. 528.
637

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7349/214 R. Ankara, 28 luglio 1936, ore 14 (per. ore 15,45).

Mio telegramma n. 210 (2).

Eden ha dichiarato ieri alla Camera dei Comuni finito periodo incertezza e perciò anche garanzie unilaterali. Persiste, però garanzia turca verso l'Inghilterra, anzi secondo Aras, egli non dovrebbe dichiararla finita fino a settembre. Situazione pertanto si presenterebbe equivoca diplomaticamente e, in fatto, piuttosto paradossale. Non riterrei però il caso da parte mia, considerati tutti i precedenti miei passi e insistenze, sollecitare in alcun modo Aras ad analoga dichiarazione in attesa conoscere anche quanto egli dirà Assemblea Nazionale (mio telegramma n. 209-210 rispettivamente punti 9 e 4). Ciò beninteso salvo ordini contrari della E. V.

(l) -Questa lettera fu comunicata all'ambasciatore a Berlino, Attolico, 1'8 agosto successivo (Telespr. rr. 601578/2) con la seguente aggiunta: «Comunico a V. E. la lettera di S. E. Pignatti a titolo personale. Circa la richiesta della Santa Sede è evidente che un'azione come quella che pareche codesto Governo si proporrebbe di iniziare contro i Gesuiti potrebbe avere, data l'influenza E le aderenze di cui essi godono e dato anche il carattere di persecuzione che avrebbe una istruttoria che si estenderebbe a poco men di 60 anni (secondo quanto riferisce il R. Ambasciatore presso la Santa Sede col suo telegramma n. 111 qui allegato, la si farebbe risalire al 1880), delle ripercussioni difficilmente prevedibili e certamente maggiori di quelle avutesi peranaloghe azioni contro altri Ordini religiosi. Ora non pare questo momento, in cui tante cause di instabilità e di turbamento vi sono in Europa, il più propizio per aggiungerne un'altra. D'altra parte non conviene urtare nemmeno la suscettibilità di codesto Governo, anche perchéciò facendo lo scopo voluto dal Cardinale Segretario di Stato non verrebbe raggiunto, ma anzi allontanato. Gradirò comunque di conoscere le Sue osservazioni in argomento ed il Suo parere su quello che sia possibile di fare per tale questione che sta tanto a cuore alla Santa Sede perinformare il R. Ambasciatore Pignatti ed impartirgli eventualmente opportune istruzioni». La risposta di Attolico non è stata rintracciata. (2) -Vedi D. 618.
638

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI

T. PERSONALE U. S. 3488/60 R. Roma, 28 luglio 1936, ore 19,15.

Decifri da solo.

A partire da domani, dodici S. 81 possono giungere a Melilla in sei ore dall'arrivo della richiesta. Piroscafo carico munizioni e materiale bellico può giungere in 4 giorni stesso porto. Chieda a Franco se egli è in condizioni di prendere in consegna quanto sopra e quando vuole che ciò gli venga inviato (1).

639

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7535/0449 R. Londra, 28 luglio 1936 (per. il 1° agosto).

Questo ambasciatore di Turchia e i ministri di Jugoslavia e di Grecia sono ieri mattina stati convocati separatamente al Foreign Office ed informati che l'Inghilterra considerava come decadute le assicurazioni unilaterali che essa aveva dato ai loro Governi nel giugno scorso. È stato anche consegnato loro il testo delle dichiarazioni di Eden ai Comuni (2) con preghiera di volerlo ritrasmettere ai rispettivi Governi.

Governo britannico ha poi dato istruzioni all'ambasciatore britannico ad Angora e ai ministri a Belgrado e ad Atene di notificare nella stessa forma ai tre Governi la cessazione delle assicurazioni mediterranee.

640

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2379/621. Londra, 28 luglio 1936 (per. il 1° agosto).

Ho altre volte segnalate all'E. V. le preoccupazioni di questi ambienti commerciali e finanziari per le possibili vaste ripercussioni che il patto francosovietico ed il graduale avvicinamento fra Mosca e Parigi sembrano destinati ad esercitare in Europa.

Trasmetto ora qui unita a V. E. copia di una rassegna quindicinale di carattere riservato (1), edita da una delle principali ditte aderenti allo Stock Exchange, la Silverston & Co., che riflette l'atteggiamento dei circoli finanziari britannici di fronte a tali problemi.

La stampa laburista che in questi giorni ha cercato di difendere il comportamento dei comunisti spagnoli nel nome della «lotta in difesa delle libere istituzioni nella Repubblica» ha attribuito le manifeste preoccupazioni della City e le osservazioni della rassegna della ditta Silverston alla propaganda nazista. Si può ritenere invece che queste manifestazioni riflettono esattamente il punto di vista di larga parte dell'opinione britannica che oscilla in questi giorni fra il timore di una troppo potente Germania e quello forse ancora più radicato di un dilagare del bolscevismo nella Francia vicina. Dal momento lontano ormai della parafazione del patto franco-sovietico ma sopratutto dall'avvento del Fronte Popolare al Governo, gli inglesi hanno temuto un progressivo aumento dell'influenza sovietica in Francia che il graduale disfacimento della struttura sociale francese sembra rendere più probabile e vasto. I recenti avvenimenti in Spagna e gli inconfondibili segni della ingerenza della Terza Internazionale che in essa si riscontrano non fanno oggi che aumentare le vive preoccupazioni di questi ambienti finanziari i quali in una definitiva vittoria del Governo di Madrid dominato ormai dagli estremisti, vedono il sorgere in uno dei punti strategici dell'Europa Mediterranea di un Governo ubbidiente agli ordini diretti di Mosca e l'apparire di una nuova centrale donde la propaganda bolscevica può dilagare in Francia con rinnovato vigore.

(l) -Con T. 3495/63 R. del 28 luglio, ore 22,25, Ciano aggiunse che gli aeroplani avevano degli equipaggi volontari che si erano offerti di restare agli ordini dl Franco. (2) -Con T. 7333/1086 R. del 28 luglio, ore 3,51, Vitetti aveva già informato che Eden aveva annunciato ai Comuni la revoca delle garanzie nel Mediterraneo.
641

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7366/1092 R. Londra, 29 luglio 1936, ore 1,03 (per. ore 7).

Ho veduto oggi Amery a lungo

Egli mi ha pienamente confermato impressione che io avevo avuto ieri alla Camera dei Comuni. «La rivoluzione spagnuola -~~ egli mi ha detto -ha portato nel primo piano della nostra politica il problema della difesa dell'Europa dalla minaccia del bolscevismo. Non vi è nessuno in Inghilterra che non sia convinto che il comunismo spagnuolo sia stato organizzato da Mosca e non vi è nessuno che si nasconda il pericolo che la crescente influenza sovietica in Francia precipiti la disgregazione della struttura politica francese. Noi siamo allarmati dalla politica del Fronte Popolare e dalle conseguenze che la collaborazione franco-sovietica può avere per l'Europa. Patto franco-sovietico costituisce, in questo momento, il maggiore ostacolo ad ogni tentativo di collaborazione in Europa e l'Inghilterra dovrà fare tutti gli sforzi per indurre la Francia ad abbandonarlo».

Amery mi ha quindi esposto le ragioni della crescente avversione inglese per il patto franco-sovietico. Queste, egli mi ha detto, sono essenzialmente tre:

l) Paralizza qualunque sforzo che si pensi si possa compiere per collaborazione effettiva tra le Potenze europee.

2) Immobilizza la politica francese nel piano di un accerchiamento della Germania, che l'Inghilterra non può accettare, a meno che la Germania stessa non la forzi con la sua politica ad una alleanza con la Francia.

3) Impedisce all'Inghilterra di assumere qualsiasi impegno effettivo verso la Francia perché, in caso di guerra europea, essa non vuole trovarsi esposta a dover difendere la Russia od a controattaccare o a divenire attaccata da parte del Giappone; determinati come siamo -mi ha aggiunto Amery -a non !asciarci trascinare ad una guerra con la Germania a causa di un conflitto russo-tedesco e, tanto meno, ad esporci al rischio di una eventuale guerra col Giappone.

In realtà, mi ha detto Amery, siamo giunti alla conclusione che il patto franco-sovietico è incompatibile con qualunque regime di sicurezza possiamo esser disposti ad assicurare alla Francia e che la Russia deve esser esclusa da qualunque piano per la pacificazione Europa. La convinzione poi che, in questi ultimi tempi, si è andata formando in Inghilterra, che la Russia abbia ripreso una vasta azione di propaganda e che il Governo di Mosca sia il diretto responsabile della organizzazione comunista spagnuola, ci porta a concludere che la «collaborazione franco-sovietica » costituisce pericolo, non solo per la pace, ma anche per la stabilità sociale dell'Europa; e che la Francia dovrà scegliere tra la Russia e le grandi Potenze occidentali europee.

(l) Non pubblicata.

642

L'INCARICATO D' AFFARRI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7368/1093 R. Londra, 29 luglio 1396, ore 1,03 (per. ore 7).

Gli avvenimenti spagnuoli sono messi in stretto rapporto con politica Fronte Popolare in Francia.

Come già ho avuto occasione segnalare alla E. V., in queste ultime settimane si è andata qui rafforzando convinzione che la collaborazione franco-sovietica costituisce un maggiore pericolo per la pace e la stabilità europea.

l) Perché tale collaborazione pregiudica gravemente possibilità di una intesa fra le grandi Potenze occidentali. 2) Perché influenza che i sovieti esercitano a Parigi ha dato impulso a una ripresa propaganda bolscevica in Europa.

3) Perché la Francia può essere indotta voler rafforzare U.R.S.S. contro la Germania e fornire al bolscevismo dei mezzi di azione dei quali esso attualmente non dispone.

Sono stato ieri alla Camera dei Comuni e, dopo il discorso di Eden, ho avuto nei corridoi Camera numerose conversazioni con deputati conservatori.

Ho trovato in tutti la maggiore preoccupazione per avvenimenti spagnuoll, convinzione generale che questi avvenimenti sono senza dubbio sviluppo propaganda sovversiva Governo sovietico (al quale si attribuisce una partecipazione diretta nella organizzazione comunismo spagnuolo, la più viva speranza che la rivoluzione termini con lo schiacciamento dei comunisti e con Io stabilimento di un regime autoritario di destra. Questa è considerata unica soluzione che possa salvare Spagna dalla rovina e difendere Europa dai gravi pericoli che in questo momento la minacciano.

Le voci che qui corrono di aiuti di armi e di denaro che il «Fronte Popolare~ si dispone fornire al Governo spagnuolo, aggravano sensazione dei pericoli che la politica « Fronte Popolare ~ e la « collaborazione franco-sovietica ~ possono rappresentare per l'Europa. «Un intervento francese in !spagna, mi è stato detto ieri, non solo sarebbe atto criminosa follia ma porterebbe fatalmente Europa a scindersi, in due campi nemici precipitando un nuovo conflitto. Responsabilità di un tale conflitto sarebbe interamente della Francia e U.R.S.S. e la Francia non potrebbe certo contare sull'aiuto o simpatia dell'Inghilterra ».

Eden ha smentito ieri di aver esercitato pressioni su Blum per persuaderlo a non fornire armi al Governo spagnuolo. Tuttavia è opinione diffusa che egli abbia fatto intendere a Blum quale sinistro effetto un intervento francese nella rivoluzione spagnuola avrebbe sui rapporti franco-britannici.

In questo momento la grande maggioranza dell'opinione pubblica si volge spaventata da quel che avviene in !spagna e da quello che potrebbe avvenire domani. in Francia. Oggi qualunque forma di aiuto che il «Fronte Popolare~ desse al Governo bolscevico in !spagna provocherebbe violenta ondata popolare contro la Francia. La «solidarietà franco-sovietica~ innestata alla organizzazione del comunismo spagnuolo, già suscita in Inghilterra il senso del pericolo al quale Europa può trovarsi esposta.

In questi giorni -per la prima volta -si ha in Inghilterra sensazione che popolo inglese cominci a svegliarsi alla realtà e cominci ad intendere come di fronte all'Europa non stiano veramente che due alternative: o il fascismo

o il bolscevismo.

643

IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.s. 7369/246 R. Tangeri, 29 luglio 1936, ore 9,15 (per. ore 11,25).

Urgenza assoluta. Per il Gabinetto del Ministro.

Aeroplani possono partire dalle ore 9, dico ore nove, stamane 29 corrente. Melilla è pronta per riceverli. Telegraferò più tardi circa piroscafo. Prego V. E. conferma (1).

so -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

(l) Poco dopo, con T. s. 7373/248 R. del 29 luglio, ore 12,40, de Rossi comunicava che anche la nave poteva partire per Melilla. Entrambi i telegrammi recano il visto di Mussol!n!.

644

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI

T.s. 353/64 R. (1). Roma, 29 luglio 1936, ore 13,30.

Decifri da solo.

Aeroplani partiranno domattina giovedì trenta. Arrivo previsto Melilla ore 9 antimeridiane (2).

645

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7389/216 R. Beyoglu, 29 luglio 1936, ore 15,30 (per. ore 17,07).

Mio telegramma n. 214 (3).

Da stampa odierna traspare chiaramente vivo disappunto per dichiarazioni Eden su fine dichiarazione unilaterale. Si fa rilevare non senza amarezza che questioni Locarno prevalgono su mediterranee.

646

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7446/0194 R. Parigi, 29 luglio 1936 (per. il 31).

Quale che sia l'esito della sciagurata rivoluzione spagnuola una cosa è certa: che questo disgraziato Paese che da tanti anni manca di spina dorsale sarà ridotto in condizioni economiche disastrose.

La Francia se ne rende conto e se ne interessa in modo particolare con speciale riguardo al Marocco spagnuolo dato che essa non potrebbe vedere senza timore un altro Stato installarsi sulla sponda settentrionale del Marocco. Informai, qualche tempo fa, l'E. V. risultarmi che Flandin, quando era ministro degli Affari Esteri si sarebbe espresso nel senso che si sarebbe potuto negoziare l'appoggio dell'Italia per l'acquisizione del Marocco spagnuolo da parte della Francia contro il riconoscimento della sovranità italiana sull'Etiopia da parte del Governo francese.

Mi è stato riferito da buona fonte che un paio d'anni fa il Governo francese era stato preoccupato dalla notizia giuntagli che il duca di Guise, che possiede vasti terreni nel Marocco spagnuolo, avrebbe pensato a farne cessione, vita natura! durante, alla figlia duchessa d'Aosta. Si era veduto in ciò un tentativo italiano di acquistare influenza nella zona spagnuola del Marocco col proposito recondito di mettervi la mano sopra al momento opportuno. Pertanto era stato dato incarico ad una persona che gode di certa notorietà nel partito realista di recarsi nel Belgio, alla residenza del duca di Guise, per fargli presente l'opportunità di evitare un atto che avrebbe potuto farlo apparire come un cattivo francese. Il pretendente al trono dei Re di Francia aveva fatto le più ampie dichiarazioni patriottiche garantendo che mai e per nulla avrebbe compromesso gli interessi della Francia sul Marocco spagnuolo.

Quello che poteva apparire come un problema a scadenza abbastanza lontana fino a qualche tempo fa è però divenuto oggi problema di attualità e si aggiunge ai molti altri di ardua soluzione che esistono in ogni parte del mondo.

Mi risulta che il Governo francese teme che l'Inghilterra si possa installare sulla costa africana, di fronte a Gibilterra. Non esclude neppure che il Reich possa nutrire qualche aspirazione al riguardo. Il Quai d'Orsay segue quindi con la massima attenzione ogni mossa britannica, tedesca e di altri Stati (si guarda pure all'Italia con sospetto) che potrebbe essere indizio di una determinata azione politica nel Marocco spagnuolo.

(l) -Minuta autografa. (2) -Con T. s. 3511/65 R. del 29 luglio, ore 21,43, Ciano Informava De Rossi che la nave con l r!forn!ment! sarebbe partita la sera stessa per Melilla dove si prevedeva sarebbe giunta all'alba del 2 agosto. In realtà l'arrivo avvenne 11 giorno 3 (T.s. 7572/286 R. d! De Rossi del 3 agosto, ore 12,15). (3) -Vedi D. 637.
647

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7450/0197 R. Parigi, 29 luglio 1936 (per. il 31).

Si sta creando in Francia una situazione eccezionalmente interessante a proposito della conferenza a cinque degli Stati locarnisti. Sono noti a v. E. gli sforzi fatti dal Governo francese per ottenere, nonostante le resistenze britanniche, che tre almeno degli Stati locarniani, Francia, Inghilterra e Belgio, si riunissero a discutere ancorché l'Italia per le buone ragioni esposte avesse declinato di partecipare a tali conversazioni. La riunione poté aver luogo, ma soltanto in base ad un compromesso giusta il quale non si sarebbe dovuto ritornare sul passato, si sarebbe dovuto considerare come un fatto ormai acquisito la rimilitarizzazione della sponda sinistra del Reno e discutere unicamente il miglior modo per invitare Italia e Germania a partecipare alle discussioni ulteriori. Si dirà che, ridotto a questo l'ordine del giorno della riunione a tre di Londra, sarebbe stato meglio sopprimerla addirittura e procedere a scambi di vedute per l'ordinaria via diplomatica sino a che ci si fosse messi d'accordo. Ciò avrebbe per altro costituito una perdita di faccia per il Governo francese e personalmente per il signor Blum, cosicché si dovette, per gettare polvere negli occhi del pubblico, sopratutto francese, insistere sulla riunione a tre.

Terminata quest'ultima con la decisione di rivolgere gli inviti ai Governi italiano e tedesco, il Governo francese ne fece esaltare il successo dagli organi ufficiosi ed amici. Senonché nei circoli diplomatici ed in quelli politici che si occupano di politica estera (poco numerosi per la verità e che si trovano prevalentemente nel Senato) si giudicò il preteso successo di Londra con scetticismo che fu grandemente accresciuto dalle dichiarazioni fatte il 27 corrente alla Camera dei Comuni dal ministro Eden che si espresse nel senso della necessità di lunghe trattative per concretare la riunione delle cinque Potenze locarniane.

Ho potuto rendermi conto in questi ultimi giorni, discorrendo con parecchi uomini politici e giornalisti francesi, che essi vedono con preoccupazione la conferenza di cui si tratta, temendo che possa costituire un altro grave smacco per la politica estera della Francia. Il loro ragionamento, non privo di fondamento, è infatti il seguente: dopo il comunicato reso pubblico la scorsa settimana, in seguito alla riunione di Londra, non può sussistere dubbio che si discuta nella conferenza locarniana la questione della rimilitarizzazione della Renania. Cosa fatta capo ha. Ma allora che cosa discuteranno i rappresentanti dei cinque Stati locarniani? È evidente che se si dovesse affrontare il problema della sicurezza ad Occidente sorgerebbe immediatamente la necessità di trattarlo in connessione con la sicurezza ad Oriente. In tale caso però l'oggetto della disamina non riguarderebbe soltanto gli Stati locarniani, ma anche la Piccola Intesa, la Polonia, l'U.R.S.S. e, perché no, la Turchia. Se i cinque Stati locarniani incominciassero anche soltanto ad esaminare il complesso problema, dato che il Belgio non avrebbe evidentemente nulla da dire circa la sicurezza orientale, si vedrebbe rivivere il Patto a Quattro, con tutte le conseguenze relative. La Francia non deve prestarsi ad un gioco così pericoloso, perché la conseguenza immediata per essa sarebbe un'ostilità anche maggiore dell'attuale da parte della Polonia, la diffidenza per non dire l'inimicizia dell'U.R.S.S. e la ribellione della Piccola Intesa. Meglio sarebbe dunque per la Francia avere il coraggio di saltare il fosso e sostenere l'opportunità di rinunciare alla conferenza a Cinque preparando invece sin d'ora un congresso europeo per discutere e possibilmente risolvere i vari problemi politici che costituiscono una minaccia per la pace.

Senonché l'esperienza del passato induce ad essere molto scettici sopra la possibilità che un congresso europeo sia coronato di successo qualora esso dovesse esaminare molti e gravi problemi internazionali. Si rammenta che il Congresso di Parigi, che discusse il problema italiano, non evitò la guerra nel 1859. Se il Congresso di Berlino nel 1878 sortì un esito felice, lo si dovette innanzi tutto al fatto che esso trattò un solo argomento anche se aggrovigliato come era il problema turco, e poi anche al fatto che la riunione internazionale fu dominata dal principe di Bismarck nella pienezza del suo trionfo diplomatico e militare sopra la Francia il quale comprese peraltro la necessità di procedere d'accordo con l'Inghilterra. L'esperienza non fu più tentata per risolvere

questioni politiche di capitale importanza. Ed anche se si volesse sostenere che ciò non era necessario data l'esistenza della S.d.N., i vari e sempre maggiori insuccessi di quest'ultima quando volle affrontare la risoluzione di problemi politici dimostrerebbero la sua incapacità assoluta.

v. E. vede dunque che il Governo francese già si trova e si troverà in avvenire ogni giorno maggiormente di fronte ai più seri imbarazzi, non potendo da un lato avere verso la propria opinione pubblica l'aria di cedere intieramente nella questione della rimilitarizzazione renana e dovendo quindi insistere perchè il problema sia esaminato nella riunione locarniana a cinque, e scorgendo dall'altro quale ondata di ostilità lo potrebbe investire qualora gli Stati alleati, satelliti ed ex-satelliti supponessero, non senza ragione, che la Francia si prestasse ad una rinascita del Patto a Quattro.

648

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN (l)

APPUNTO. Roma, 29 luglio 1936.

L'Ambasciatore di Francia mi ha chiesto oggi quando avremmo mandato la risposta all'invito per la Conferenza di Locarno (2). Non mi ha nascosto la sua preoccupazione derivante dal ritardo ed ha insistito sul fatto che, essendosi ormai verificate le due condizioni poste dall'Italia per il suo intervento, non avrebbe più dovuto sussistere cagione di attesa.

Gli ho detto che la risposta sarebbe stata preparata entro un tempo abbastanza breve e che non vedevo per il momento difficoltà da parte nostra ad accettare l'invito.

Gli dovevo però far presente la gravità della situazione che si delinea in Abissinia a causa della presenza delle Legazioni straniere ad Addis Abeba. È vero che il Paese è completamente calmo e che soltanto qualche gruppo di predoni mantiene sporadicamente uno stato di guerriglia, ma è altresì vero -e ciò ci risulta in modo incontrovertibile -che tutto finirebbe se i Ministri stranieri e le guardie armate delle Legazioni partissero da Addis Abeba. Alla mentalità indigena il permanere nell'antica capitale dei Negus di rappresentanti diplomatici stranieri dà l'illusione che un ritorno al passato non sia del tutto impossibile. Ciò, evidentemente, non può venire da noi tollerato. Per ora non si tratta di una richiesta ufficiale ma comunque facevo presente all'Ambasciatore di Francia l'opportunità di prendere in considerazione il nostro desiderio di vedere risolto al più presto possibile questo problema. La Germania aveva dato il buon esempio. Quanto prima gli altri lo avessero seguito, tanto più il gesto sarebbe stato da noi apprezzato.

L'Ambasciatore di Francia mi ha detto che trasmetterà fedelmente questa nostra conversazione al suo Governo.

Nei riguardi delle forniture di armi alla Spagna mi ha detto che il Governo francese e le ditte non forniranno materiale bellico. Però -a mia richiesta ha dovuto ammettere che alcune ditte private forniranno aeroplani da trasporto. Gli ho fatto rimarcare che in aviazione l'aeroplano da bombardamento e quello da trasporto sono molto similari (3).

(l) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 44-45.

(2) -Vedi D. 614. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
649

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

T. -3507/70 R. Roma, 30 luglio 1936, ore 1.

Telegramma di V. E. n. 212 0).

D'accordo.

Converrà che Armao si richiami alle riserve generali contenute nella nota diretta a suo tempo dal Governo italiano al Governo turco per essere portata a conoscenza delle delegazioni che partecipavano alla conferenza di Montreux (vedi mio telegramma n. 57) (2) e che, di conseguenza, formuli le più ampie ed esplicite riserve a tutti gli effetti utili circa lo scioglimento della Commissione degli Stretti istituita dalla convenzione di Losanna del 1923, dichiarando di riservare tutti i diritti e tutte le facoltà che derivano al governo italiano quale firmatario della convenzione anzidetta.

Dichiarazione Armao dovrà essere naturalmente inserita a verbale.

650

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7454/218 R. Beyoglu, 30 luglio 1936, ore 14,15 (per. ore 19,45).

Telegramma di V. E. n. 3482/C (3).

Dati miei rapporti personali con questo ministro di Germania (4) gli ho posto senz'altro quesito senza per altro indicarne fonte. Mi ha risposto nel modo più onesto egli non aveva fatto alcuna dichiarazione ma solo in data 25 corrente ad Aras aveva avuto occasione dire che non vi era alcun accordo scritto fra l'Italia e Germania, che parlare di blocco Berlino-Roma-Vienna era del tutto infondato ma che accordo austro-tedesco aveva sgombrato relazioni italiano-tedesche da quell'ostacolo che da più anni impediva riavvicinamento e comprensione reciproca che ora si poteva invece fare come si faceva con ogni schiettezza e per il comune interesse a scopo di raggiungere con minore difficoltà una migliore atmosfera in tutta Europa. In tale colloquio non è stato fatto cenno dell'Inghilterra.

651

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7461/221 R. Beyoglu, 30 luglio 1936, ore 14,15 (per. ore 7 del 31).

Questo ministro d'Ungheria mi ha dichiarato in base notizie qui pervenute Budapest circa concrete trattative patto franco-turco, che se effettivamente si concludessero e se garanzie dovessero estendersi questioni interessanti Ungheria,

questa non considererebbe compatibile nuovo patto con vigente trattato amicizia turco-magiaro (1). Riservomi comunicare risposta ministro d'Ungheria (2).

Attiro l'attenzione di V. E. su risposta datami da Aras a tale quesito (mio telegramma n. 209 punto 4) (3), risposta che contrasta con quella di Léger a Cerruti (telespresso di V. E. 24700 del 22 luglio) (4).

Aras ha dato ad ambasciatore di Germania uguale risposta che a me aggiungendo anzi esplicitamente che Turchia non si lascerebbe mai trascinare a politica antigermanica. Mio collega tedesco mi ha anche riferito che ambasciata di Turchia a Berlino si è doluta di espressioni ed interpretazioni della stampa tedesca sulla conferenza di Montreux, indicata come m1z10 di politica antigermanica, ed ha insistito nell'affermare che politica turca non ha né avrà mai tale significato.

(l) -Vedi D. 631. (2) -Vedi D. 337. (3) -Vedi p. 705, nota l. (4) -Sic. Si tratta dell'ambasciatore di Germania.
652

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7445/133 R. Atene, 30 luglio 1936, ore 22 (per. ore 1,20 del 31).

Mio telegramma n. 128 (5).

Da inchiesta discretamente da me fatta in questi ambienti governativi e diplomatici, circa notizie fornitemi da collega balcanico di cui al mio telegramma suddetto, risulterebbe:

I) che comunicazioni ministro di Germania è stata effettivamente fatta;

II) che rappresentante Reich non (dico non) avrebbe parlato di « riavvicinamento » itala-tedesco ma avrebbe messo in chiaro che recenti intese fra Reich e Italia concernevano materiale commerciale ed aviatorio e non questioni politiche;

III) che lo stesso rappresentante tedesco avrebbe effettivamente dichiarato al Presidente del Consiglio greco che Governo Reich non intende in alcuna maniera controbilanciare politica inglese nel Mediterraneo e nei Balcani;

IV) che nessuna comunicazione analoga sarebbe stata fino ad ora fatta in altre capitali balcaniche.

653

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI

T. 3525/403 R. Roma, 30 luglio 1936, ore 24.

Suoi telegrammi nn. 1092 e 1093 (6).

Occorre incoraggiare apprezzamenti e tendenze codesta opmwne pubblica quali risultano da dichiarazioni fattele da Amery e da altri deputati conserva

tori. Sopravvento Governo Madrid significherebbe bolscevizzazione Spagna e Marocco spagnolo e quindi bolscevismo nel Mediterraneo e sul territorio africano. Mettere in evidenza grave colpo che ne soffrirebbero ordine interno e internazionale europeo e la causa della pace.

Governo francese intanto, pur negando rifornimenti ufficiali di governo di armi, munizioni ed aeroplani, ammette rifornimenti dell'industria privata. Ciò che, se non nella forma, certo nella sostanza è praticamente la stessa cosa, e giustifica eventuali forniture da parte di ditte private di altri Paesi (1).

(l) -Trattato di neutralità, conciliazione ed arbitrato tra Turchia e Ungheria del 5 gennaio 1929 (vedi MARTENS, Nouveau Recueil Général de Traités, serle III, vol. XXIX, pp. 372-377). (2) -Vedi D. 689. (3) -Vedi D. 618. (4) -Non rinvenuto, ma vedi D. 434. (5) -Vedi D. 628. (6) -Vedi DD. 641 e 642.
654

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON HASSELL (2)

APPUNTO. Roma, 30 luglio 1936.

L'Ambasciatore di Germania mi ha comunicato che il suo Governo intende domani o dopodomani dare risposta all'invito alla Conferenza di Locarno. Mi ha detto che la risposta orale sarà di massima favorevole ed ha elencato alcune riserve specifiche concernenti esclusivamente la posizione tedesca nei confronti dei capoversi nei quali era contraddistinto l'invito stesso.

Nessuna obiezione da parte nostra su queste riserve.

Mi ha aggiunto poi che in base al punto 10 del Piano Hitler (3), i negoziati avrebbero dovuto svolgersi sotto la coordinazione di Londra. L'Ambasciatore ha tenuto a mettere in rilievo che si trattava di cosa del tutto formale in quanto aveva istruzioni dal suo Governo di comunicarci che tutta la Conferenza si

sarebbe svolta mantenendo in prima linea e sopra ogni altro i contatti con l'Italia.

Io ho subito obiettato che non vedevo nessuna necessità da parte tedesca di fare questa distinzione onorifica per l'Inghilterra; che lo stesso spirito del Patto comportava una situazione di identità tra l'Italia e l'Inghilterra; che infine non avrebbe potuto fare buona impressione questa avance non richiesta da Londra.

L'Ambasciatore mi ha detto che tale gesto, che doveva venire interpretato come puro atto di cortesia, aveva lo scopo di attrarre sempre più l'Inghilterra verso il gruppo dei paesi anti-comunisti nel momento in cui la minaccia bolscevica si disegnava più cupa sull'Europa.

Ho insistito nel ripetere a von Hassell che non vedevo né la necessità né la opportunità di un gesto del genere. Von Hassell mi ha detto che comunicherà questo mio punto di vista al suo Governo e che comunque, anche qualora verbalmente la proposta venisse fatta, chiederà che non venga dato cenno nel

comunicato. Si è riservato di darmi ulteriori comunicazioni circa la data della risposta tedesca e circa il punto controverso di cui sopra entro la mattinata di domani (1).

(l) Con T. 7553/1107 R. del l o agosto, ore 2,10, Vitetti assicurò di stare già svolgendo "attivissima azione» nel senso indicato.

(2) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 45-46.

(3) Vedi p. 159, nota 2.

655

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL MINISTRO DI ROMANIA A ROMA, LUGOSIANU (2)

APPUNTO. Roma, 30 luglio 1936.

Il ministro di Romania ha protestato per la pubblicazione fatta dal Giornale d'Italia e ripresa da altri giornali, secondo la quale l'Italia avrebbe tagliato gli acquisti di petrolio in Romania a causa delle note parole pronunciate dal ministro Titulescu. Lugosianu mi ha detto che se tale notizia corrispondeva a verità, avrebbe dovuto essere interpretata come un gesto di guerra economica, che avrebbe determinato in Romania gravi reazioni.

D'accordo con Guarneri, ho detto a Lugosianu che la notizia non aveva alcun carattere ufficiale; che gli acquisti di petrolio erano stati sospesi perché le scorte italiane consigliavano di non fare nuovi rifornimenti; che infine si trattava di una misura di ordine generale e provvisoria che doveva venire inquadrata in tutto il processo di revisione dei nostri rapporti economici con l'estero.

Lugosianu chiedeva un comunicato in tal senso.

Gli ho risposto che non era il caso di fare alcun comunicato, dato che niente del genere era stato fatto da parte delle autorità italiane, ma che solo si trattava di un articolo. Al massimo, un giornale romeno avrebbe potuto riportare, come propria notizia di stampa, quanto avevo fatto presente al ministro di Romania (3).

656

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'INCARICATO D'AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, INGRAM (4)

APPUNTO. Roma, 30 luglio 1936.

L'Incaricato d'Affari di Gran Bretagna ha protestato per la richiesta fatta dal Maresciallo Graziani alle Legazioni straniere di depositare i cifrari agli uffici postali ed ha insistito perché alle Rappresentanze in Addis Abeba venga

D. -51.

concessa la facoltà di telegrafare in cifra, facoltà universalmente riconosciuta alle Rappresentanze diplomatiche e consolari in qualsiasi. paese del mondo.

D'accordo con Lessona, ho risposto a Ingram che istruzioni venivano inviate a Graziani nel senso di lasciare che le Rappresentanze straniere telegrafassero ai loro Governi, e soltanto ai loro Governi in cifra per tramite della postazione radiotelegrafica italiana.

Ho colto l'occasione allora per far presente a Ingram quanto avevo già detto ieri sera all'Ambasciatore di Francia circa il pericolo e il danno per noi e per la situazione generale rappresentati dalla permanenza delle legazioni e delle guardie straniere in Addis Abeba.

Ingram ha preso atto della mia esposizione e mi ha detto che telegraferà al suo Governo subito. In via di schiarimento mi ha chiesto se una eventuale trasformazione della Legazione britannica in Consolato Generale sarebbe da noi definita un gesto di riconoscimento.

Gli ho risposto che evidentemente avremmo gradito questa soluzione, ma che non avremmo dato interpretazione diversa da quella che lo stesso Governo d'Inghilterra avrebbe eventualmente voluto attribuirvi.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. L'accettazione italiana ebbe luogo il 31 luglio e fu resa nota con il seguente comunicato: «Il ministro degli Affari Esteri, conte Ciano, ha ricevuto l'ambasciatore di Francia e gli incaricati d'affar! della Gran Bretagna e del Belgio e, in risposta alla comunicazione fattagli il 24 luglio, Il ha Informati che il governo Italiano sarà m massima lieto di partecipare alla Conferenza delle cinque potenze locarnlane. Ha aggiuntoche Il governo italiano riteneva utile che la Conferenza fosse convenientemente preparata da un opportuno scambio di vedute per le ordinarie vie diplomatiche nell'interesse degli alti fini della Conferenza medesima. Da tale comunicazione il conte Ciano ha dato notizia all'ambasciatore di Germania ». Il verbale del colloquio non è stato ritrovato ma si veda DDF serle seconda, vol. III,

(2) Ed. In L'Europa verso la catastrofe, pp. 47-48.

(3) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

(4) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 46-47.

657

IL SERVIZIO ISTITUTI INTERNAZIONALI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO (1). Roma, 30 luglio 1936.

La partecipazione dell'Italia ai lavori di settembre della Società delle Nazioni si presenta con un primo problema di carattere formale e politico al tempo stesso che si riconnette con tutta la situazione politica generale.

Trattasi della ulteriore presenza e partecipazione di una sedicente delegazione etiopica, che noi abbiamo considerato come inammissibile ed incompatibile con la nostra presenza e partecipazione.

Tale infatti è la posizione assunta dalla delegazione Italiana al Consiglio della seduta dell'll maggio 1936 col ritiro del Barone Aloisi (2), e confermata con la lettera del 23 giugno del ministro degli Esteri Ciano al presidente della 92a Sessione del Consiglio, Eden (3), da questi letta al Consiglio stesso nella sua seduta del 26 giugno.

In tale seduta la questione « Différend entre l'Italie et l'Éthiopie » veniva liquidata col rinvio all'Assemblea con la seguente dichiarazione:

«Le Président rappelle que, lorsque le Conseil a décidé d'inserire à son ordre du jour le différend entre l'Éthiopie et l'Italie, la question de la convocation de l'Assemblée ne s'était pas encore posée. L'Assemblée devant se réunir, le 30 juin, pour discuter cette question, il suffira peut-étre que le Conseil

prenne acte du fait que l'Assemblée est saisie du différend. Le Conseil se réservera naturellement la droit de discuter à n'importe quel moment la question qui demeurera inserite à son ordre du jour ».

Come è noto, l'Assemblea concludeva i suoi lavori con un voto nel quale «constatando che varie circostanze hanno impedito l'applicazione integrale del Patto della S.d.N. » invitava i Governi membri della S.d.N. a far pervenire al Segretario Generale delle proposte per perfezionare l'applicazione dei principi del Patto stesso. In altri termini l'Assemblea considerava esaurito il « différend italo-éthiopien ~ e passava allo studio della riforma societaria.

Chiusasi la sessione dell'Assemblea, il Consiglio che si era astenuto dal discutere la questione etiopica mantenendola iscritta all'ordine del giorno, ha preso conoscenza del voto dell'Assemblea. «Le Président -è detto nel processo verbale della riunione del Consiglio tenutosi subito dopo l'Assemblea -rappelle que l'Assemblée vient d'adopter un voeu comportant certaines mesures à prendre par le Conseil ». Queste misure, che il Consiglio era stato incaricato di prendere, concernevano, come si è detto, lo studio della riforma del Patto.

Si può pertanto ritenere esaurita, anche per quanto riguarda il Consiglio, la questione etiopica, la quale perciò non dovrebbe più essere iscritta d'ufficio all'ordine del giorno del Consiglio. Su questo punto sarebbe bene ottenere una esplicita conferma dal Segretariato. Potrebbe farsene cenno ad Avenol in occasione della sua visita a Roma.

Resta tuttavia la possibilità che l'iscrizione all'ordine del giorno del Consiglio venga chiesta dal Negus. Dato però che il Consiglio si riunisce nell'imminenza dell'Assemblea, è assai probabile che come fece l'ultima volta, esso si asterrà, almeno in un primo tempo, dall'occuparsi dell'argomento per dar tempo all'Assemblea di liquidare la questione della legittimità dei delegati etiopici a rappresentare l'Etiopia.

Resterebbe però sempre da evitare che il Consiglio, nella sua seduta preliminare, trovandosi in presenza di una domanda etiopica procedesse ad iscrivere la questione al suo ordine del giorno. Ad evitare tale eventualità con le conseguenze che ne deriverebbero, il presidente del Consiglio potrebbe proporre, qualora una domanda d'inscrizione fosse effettivamente presentata dal Negus, che il Consiglio sospendesse temporaneamente ogni decisione al riguardo, in modo da attendere la decisione dell'Assemblea sulla validità dei poteri della delegazione etiopica.

In Assemblea, qualora il Negus designasse, come è probabile, i suoi delegati, la questione verrebbe a porsi alla Commissione per la verifica dei poteri. Il modo più opportuno per risolvere tale questione dovrebbe essere di provocare su di esso una decisione della Commissione medesima, sul terreno puramente procedurale. La Commissione cioè dovrebbe, senza sollevare la questione di merito, constatare, nel suo rapporto all'Assemblea, che i poteri della sedicente delegazione etiopica non sono validi.

Per ottenere tale risultato potranno giovare due espedienti: a) ottenere che la Commissione per la verifica dei poteri sia costituita da membri già acquisiti a tale soluzione; b) mettere in grado la Commissione di avvalersi, per giustificare la sua decisione, di uno studio tecnico, obiettivo preparato dalla Sezione Legale del Segretariato la quale, prendendo lo spunto dalla riserva già formulata dalla Commissione della verifica dei poteri nella passata sessione dell'Assemblea, riconosca che mancano le condizioni di fatto per ammettersi una delegazione etiopica.

Tutto questo lavoro preparatorio presuppone una precisa intesa col Segretario Generale, il che potrebbe avvenire in occasione della sua visita a Roma. È da tener presente che l'Italia ha assunto una posizione di riserbo e di attesa che la dispensa da ogni iniziativa. Spetta alla Società delle Nazioni di escogitare le modalità più opportune per rimuovere l'ostacolo che ha impedito in questi ultimi mesi la collaborazione italiana. La procedura sopra indicata sembra la più adatta a raggiungere lo scopo. Essa ha il vantaggio di liquidare la questione della partecipazione etiopica sul terreno puramente procedurale. Sarebbe questo il primo passo per giungere alla cancellazione dell'Etiopia dal novero degli Stati membri, il che avverrebbe automaticamente per il fatto che l'Etiopia ha cessato di esistere in quanto Stato.

È probabile che Avenol ritenga necessario che la validità dei poteri dei delegati etiopici sia contestata mediante un'esplicita iniziativa di una delegazione in modo da provocare una decisione della Commissione per la verifica dei poteri.

Ora nulla si opporrebbe a che da parte nostra, non appena si venisse a conoscere che il Negus ha designato i suoi delegati, fosse rinnovata la contestazione formulata dal delegato italiano alla sessione del Consiglio del maggio scorso e poi ripetuta nella nota del 23 giugno al presidente del Consiglio della Società delle Nazioni.

658.

L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2373/939. Mosca, 30 luglio 1936 (per. il 3 agosto).

Mio rapporto n. 875 del 15 luglio u.s. (l).

Il patto austro-germanico, dopo i primi commenti apparsi nei tre più importanti organi del Governo del Partito e del Narkomindiel, non aveva più formato oggetto, nella stampa sovietica, di ulteriore esame e critica. Anzi si era cercato di fare il silenzio più assoluto sulla situazione creatasi in seguito a quell'accordo e sulla temuta possibilità di nuove correlazioni di forze nelle attuali incertezze europee.

A latere di questo riserbo ufficiale ed ufficioso, nei circoli giornalistici sovietici si cerca di accreditare la voce che i nazionalsocialisti austriaci avrebbero diramato una circolare interpretativa dell'accordo austro-germanico, considerandolo unicamente una manovra che non potrebbe comunque sospendere la continuazione della lotta per l'Anschluss, resa assai più facile dalla amnistia elargita agli implicati nel putch di Vienna del 1934. Si aggiunge poi che

dovendosi iniziare fra breve i negoziati commerciali, in tale sede potrebbe essere ripresa la questione dell'Anschluss morale, integrando il recente accordo con una specie di unione doganale.

Si vuole poi che lo sforzo della Germania verrebbe portato sul fronte cecoslovacco. Il capo dei nazisti cecoslovacchi infatti avrebbe dichiarato che un accordo con la Germania avverrebbe solo alle seguenti condizioni: l) rottura con l'Unione Sovietica; 2) garanzie di autonomia dei distretti abitati dai tedeschi; 3) subordinazione della politica estera cecoslovacca a quella germanica, austriaca ed italiana.

Data la natura di tali notizie messe in circolazione, non si spiegherebbe come ciò non sia ancora stato -more sovietico -sfruttato dal Narkomindiel e dalla stampa.

La pausa di attesa e di osservazione dei futuri sviluppi della politica del Reich non potrà certo durare a lungo, nè l'impazienza di queste sfere dirigenti a voler spezzare l'arcano della nuova situazione lascia dubbi sulla possibilità di una imminente «contro offensiva» contro quello che è qui considerato l'irreparabile dilagamento delle forze germaniche minaccianti il sistema della sicurezza collettiva.

D'altra parte, con la recente adesione di Berlino e di Roma alla prossima conferenza delle potenze locarniste, l'URSS sente di perdere terreno per la propria sicurezza. E riesce assai sintomatico quanto ebbe ad accennarmi questo ministro di Bulgaria, legato da amicizia personale al commissario aggiunto per gli Affari Esteri, Stomoniakov (di origine bulgara) il quale gli avrebbe tra l'altro detto: «Con l'Italia l'URSS ha sempre cercato di sviluppare le migliori relazioni politiche ed economiche ed i rapporti fra i due Paesi non subiranno alterazioni fino a che Roma non si schiererà decisamente dalla parte di Berlino ».

L'accenno non è privo di significato e corrisponde del resto al desiderio che qui si ha di mantenere buone relazioni con l'Italia i cui vitali interessi -si continua a rilevare, prendendo i propri desiderii per delle realtà -, contrasterebbero con quelli della Germania e non dovrebbero quindi consentire l'eventualità qui «deprecata» di una collusione itala-germanica (1).

(l) -Il Servizio Istituti Internazionall era stato soppresso con D.M. 18 luglio 1936, ma la disposizione non aveva ancora ricevuto attuazione. (2) -Vedi D. 13. (3) -Vedi D. 354.

(l) Riferimento probabilmente errato. Deve trattarsi del D. 537.

659

L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 2376/941. Mosca, 30 luglio 1936 (per. il 3 agosto).

Un funzionario di questa ambasciata di Germania, membro del partito nazionalsocialista, testè rientrato in sede dopo aver adempiuto agli obblighi del servizio militare quale ufficiale di riserva, nell'esprimermi la propria soddisfazione per l'accordo austro-tedesco e per gli intimi rapporti stabilitisi ormai fra i nostri due Paesi, mi ha lungamente parlato della situazione fatta in Cecoslovacchia a quelle numerose minoranze tedesche e della necessità in cui si

troverebbe il Reich di reagire adeguatamente. Oltre poi questa importante questione politica, ma in pari tempo sentimentalmente sentita dal nazismo, la Germania avrebbe un interesse vitale ad evitare che la Cecoslovacchia, per la sua posizione geografica vicinissima al cuore del Reich, continui ad essere un centro di intrighi antitedeschi ad opera dei fuorusciti, specie dei comunisti, e di potenze estere nemiche quali l'URSS. Il governo del Reich deve quindi al più presto far cessare questo stato di cose, imponendo a Praga un trattato del tipo di quello concluso coll'Austria che valga a « neutralizzare » la Cecoslovacchia. Inoltre, dovranno essere ampiamente riconosciuti e garantiti i diritti della minoranza tedesca, conculcati in tutti i modi sopratutto in seguito alla « Legge per la difesa dello Stato» (1). Il mio interlocutore sembrava disposto a ritenere che Hitler avrebbe potuto addirittura porre a Praga un «ultimatum» per l'accettazione di tali richieste. Egli si chiedeva però quali sarebbero state, in tal caso, le reazioni della Francia e dell'URSS. Era peraltro interesse di Praga giungere ad un pacifico accordo con Berlino. Questa, in tal caso, avrebbe potuto anche rinunziare ad un'annessione delle regioni ceche abitate prevalentemente da tedeschi.

La politica del Terzo Reich, quella del partito, incarnata da Hitler, richiedeva che la Germania riavesse il posto che le spetta in Europa: nessuna rivendicazione si voleva far valere verso la Francia, ma era equo che quest'ultima riconoscesse i predominanti interessi tedeschi nell'Europa Centrale ed Orientale ed il diritto della Germania di far valere ivi la sua influenza, !asciandole « le mani libere». Hitler non desiderava la guerra e confidava che i mezzi pacifici fossero sufficienti a raggiungere lo scopo. Egli aveva poi bisogno di riacquistare pienamente la fiducia dell'Europa alquanto scossa dalla faccenda renana. E -secondo il mio interlocutore -né l'eventuale annessione di Danzica né la risoluzione della questione di Memel avrebbero potuto compensare la sfiducia che ne sarebbe derivata verso gli scopi pacifici della politica tedesca. Purtroppo, invece, una adeguata soluzione della questione cecoslovacca presentava per il Reich carattere di urgenza... Qualche cosa, quindi, in tale direzione Hitler avrebbe pur dovuto fare ...

Riferisco questa conversazione confidenziale, a titolo strettamente riservato, poiché le argomentazioni del diplomatico tedesco sono state proprio in questi giorni corroborate dalle dichiarazioni fatte a Londra da Henlein (2) capo dei nazionalsocialisti tedeschi di Cecoslovacchia. Qui si è naturalmente molto preoccupati di questo riacutizzarsi del problema delle relazioni ceco-tedesche, che può rimettere in discussione il patto ceco-sovietico, anello indispensabile del patto franco-sovietico. Si sarà certo, molto preoccupati della faccenda anche a Parigi.

Ho avuto occasione di sondare sull'argomento una personalità sovietica molto in contatto con questo Corpo Diplomatico. Egli ha ammesso senz'altro le gravi preoccupazioni del Kremlino e del Narkomindiel. Cosa fareste -gli ho chiesto allora -se la Germania intendesse obbligare la Cecoslovacchia a cedere alle sue richieste? Egli naturalmente non ha potuto dare una risposta precisa, ma

ha lasciato intendere che l'URSS non ha nessuna voglia di una guerra alla Germania... Certo Litvinov sarà già corso ai ripari e la diplomazia sovietica starà svolgendo una grande attività a Praga e sopratutto a Parigi... (1).

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

(l) -Vedi p. 562, nota 2. (2) -Henlein si era recato a Londra il 15 luglio ed era stato ricevuto anche da Slr Robert Vansittart.
660

L'ADDETTO MILITARE A PARIGI, BARBASETTI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

R. s. 398 (2). Parigi, 30 luglio 1936.

Lo Stato Maggiore Generale francese è molto preoccupato degli avvenimenti di Spagna. Esso ne teme le ripercussioni presso le grandi Potenze europee e presso quei piccoli Stati europei che hanno interessi nel Mediterraneo e sono contrari alle tendenze estremiste di sinistra. Destano particolare preoccupazione la Germania (che si teme approfitti dei disordini per inserirsi negli affari di Tangeri ed eventualmente anche in zone d'influenza dell'attuale Marocco spagnuolo). L'Italia (che non può vedere di buon occhio una eventuale affermazione del comunismo ad una delle porte del Mediterraneo), il Portogallo (che teme la vicinanza di uno stato comunista e che in tutta questa faccenda sembra essere spalleggiato dall'Inghilterra) ed infine il contegno dell'Inghilterra la quale, di fronte all'azione del Governo francese, incline ad appoggiare ufficialmente, per ragioni di politica interna, il partito rosso spagnuolo, sembra staccarsi ancora dalla Francia, contribuendo così a quello stato potenziale di isolamento cui la Francia sembra essere avviata, nonostante le dichiarazioni ufficiali avvenute dopo la recente conferenza del tre di Londra (3).

Preoccupazioni di egual genere, secondo quanto mi afferma l'addetto navale serpeggiano nello Stato Maggiore della Marina, sopratutto nei riguardi della Germania.

11

Ho raccolto anche, sia alla loro prima manifestazione, sia nel successivo stato di maturazione, le impressioni dello Stato Maggiore Generale francese su un altro dei principali ultimi avvenimenti d'Europa: l'accordo austro-germanico.

Su questo argomento lo Stato Maggiore Generale mi è sembrato assai riservato; non ne parla di sua iniziativa e, se l'argomento compare nella conversazione, gli ufficiali dello Stato Maggiore cercano di allontanarlo, non esprimendo nemmeno quelle considerazioni dagli ufficiali sempre dichiarate come «affatto personali » e che, per contro, essendo ripetute dai più, tradivano il pensiero generale e ufficiale dello Stato Maggiore. Questa riservatezza si spiega perché (lo dico subito) dopo un tale accordo mi è sembrato sia subentrata verso di noi italiani una grande diffidenza, che -debbo notarlo -è accompagnata però da un senso non sempre dissimulato di dispiacere, per il distacco, dall'Italia, cui il Governo francese ha condotto la Francia con la sua politica estera ed interna: debbo aggiungere, anche, che gli ambienti militari spiegano -se non giustificano -il nuovo contegno dell'Italia.

La prima sensazione prodotta dall'accordo è stata quella dell'eliminazione di una defie possibili cause principali di conflitto; sensazione, quindi, di relativo sollievo. In seguito, ha formato oggetto della maggiore riflessione la questione della parte che poteva aver preso l'Italia nella conclusione dell'accordo e l'esame delle possibili intese tra Germania e Italia.

L'accordo austro-tedesco poteva, tra l'altro, essere considerato o come atto di spontanea volontà del governo austriaco approvato o appoggiato dall'Italia,

o eome una decisione cui il Governo austriaco fosse costretto per ragioni di politica interna: decisione alla quale si sarebbe adattato, suo malgrado, anche il governo italiano.

Pare che lo Stato Maggiore Génerale francese propenda per la prima interpretazione, la quale porta automaticamente a supporre precise intese anche tra Germania e Italia. Donde quel senso di diffidenza e di riservatezza cui ho accennato. Si teme insomma che tra Berlino e Roma esistano stretti rapporti e se ne attende la conferma dai successivi avvenimenti: si dubita fortemente che l'Italia si sia già impegnata e non abbia quindi più libertà d'azione.

Né si propende a credere che il gesto del nostro Governo possa essere stato, eventualmente, un tentativo per frenare la Germania e ricondurla sul tappeto degli accordi internazionali.

Non mi risulta che in seguito a ciò siano stati presi provvedimenti eccezionali alla nostra frontiera; per contro grande attività si nota (io stesso ne ho rilevato sintomi in una gita nel nord-est) nelle retrovie delle linee Maginot, specialmente per tenere a numero gli effettivi e per completare le disposizioni di carattere difensivo (notato invio di munizioni e di materiali alle opere) (1).

Quanto all'accordo austro-germanico per sé stesso, si ritiene ora, dallo Stato Maggiore, che non possa essere che provvisorio, in quanto l'Anschluss verrà e ne sarà forse accelerato, se l'Italia vi è consenziente, o se essa non riuscirà a frenare la Germania.

Inoltre, l'accordo stesso ha aumentato le preoccupazioni per la Cecoslovacchia, che dallo Stato Maggiore francese è ritenuta, ora più che mai, la mira della Germania.

Questa è l'impressione che finora io ho riportato negli ambienti degli uffici del generale Gamelin, pur in regime -come ho detto -di grande riservatezza.

661.

IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7443/264 R. Tangeri, 31 luglio 1936, ore 0,15 (per. ore 1,20).

Per Gabinetto del Ministro.

Telegramma di V. E. n. 64 (2). Soltanto 9, dico 9, aeroplani arrivati in Melilla. Uno caduto in zona francese con due morti e un ferito; uno atterrato zona francese presso il confine

equipaggio salvo fermato autorità francesi; un aeroplano non giunto a destinazione ma ignorasi ove abbia atterrato.

Franco mi ha chiesto consigli. Gli ho fatto sapere che se venisse interpellato risponda che ignora chi siano e donde venissero, quali istruzioni avessero circa scopo loro viaggio e se avessero armi bordo. Dato che aeroplani sono caduti in zona giurisdizione Rabat sarà forse opportuno si diano subito istruzioni quel R. Console Generale come còmportarsi qualora sia in merito interpellato da autorità francesi. Poiché Leonini è stato messo al corrente da Franco circa incidente gli ho detto di affermare di tutto ignorare (1).

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolini. (2) -Il presente documento fu trasmesso al Ministero con Telespr. 5622/1845 del 1° agosto. (3) -Vedi p. 673, nota 3. (l) -Nota· del documento: «D'altra parte, negli uffici del generale Gamelin, si lavora ma non eccezionalmente; metà degli ufficiali sono in licenza e il generale Georges è a Vichy, per "passare '' le acque ». (2) -Vedi D. 644.
662

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7471/321 R. Berlino, 31 luglio 1936, ore 0,45 (per. ore 6,45).

Incaricato d'affari inglese si è recato ieri da Neurath per domandargli se e quale risposta Germania intendesse dare all'invito per nota conferenza Locarniana.

Neurath gli ha detto che avrebbe risposto, probabilmente in senso favorevole, nel corso della settimana ventura. Governo tedesco avrebbe tuttavia avanzato qualche domanda di chiarimento, sopratutto per quanto riguarda la <<estensione», attualità e prospettive della conferenza. Neurath ha comunque confermato a Newton che non riteneva utile, per sua parte, la conferenza fosse convocata senza una previa adeguata preparazione diplomatica e, comunque, prima della seconda metà di ottobre. Quanto alla sede riunione Neurath ha dichiarato che Germania non avrebbe avuto difficoltà per accettare Londra.

Nell'informarmi di quanto precede Neurath ha aggiunto:

l) di aver ieri telegrafato a Hassell, incaricandolo accertarsi intendimento in materia di V. E., desiderando procedere in tutto di pieno accordo con Italia.

2) di aver accennato a Londra come sede possibile della Conferenza <<non per fare un complimento all'Inghilterra» ma solo a titolo indicativo e comunque per escludere Parigi. Ove V. E. preferisca Bruxelles, non avrebbe difficoltà a seguir La.

Neurath ha quindi rilevato che con l'invito alla Conferenza locarnista, riteneva superata la fase del <<questionario inglese». Governo germanico, rispondendo ora non farebbe che riaprire, con proprio svantaggio, questioni che recente invito ha invece assorbite. Quindi non risponderà.

Richiesto da me come vedesse una «nuova Locarno » Neurath mi ha dichiarato chiaramente di non avere ancora in proposito idee e direttive precise; ha ammesso che una seconda Locarno, simile in tutto e per tutto alla prima (per

51 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

quanto alleggerita della servitù renana) non sarebbe, allo stato delle cose, possibile; ma ha pure riconosciuto che il trasformare l'antica Locarno in un puro e semplice patto di assistenza mutua fra i suoi contraenti presenterebbe, per Germania come per Italia, evidenti pericoli. Egli, d'altra parte, non sa poi sino a che punto la stessa Inghilterra desideri un sistema di garanzie «reciproche».

Richiesto pure da me se le posizioni della Germania rispetto ai patti locarniani collaterali (Polonia, Cecoslovacchia) rimanessero immutate, Neurath mi ha risposto di non poterlo precisare dato che specie per quanto riguarda Cecoslovacchia situazione era fortemente pregiudicata da vincoli da essa contratti con Russia. Comunque siamo rimasti intesi che alla prima occasione approfondiremo l'argomento.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

663

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7512/99 R. Sofia, 31 luglio 1936, ore 20 (per. ore 0,45 del 1° agosto).

Telegramma di V. E. n. 3482 (1).

Ho avuto in questi giorni occasione intrattenermi lungamente con ministro degli Affari Esteri e con segretario generale degli Affari Esteri portando a bella posta il discorso sulla situazione politica generale dopo fine sanzioni ed accordo austro-tedesco, ed ho potuto persuadermi che nessuna comunicazione del genere di quella segnalata da Atene è stata fatta a Sofia. D'altro canto mio collega tedesco, per circa un mese, non ha messo piede al ministero degli Affari Esteri e solo ieri si è deciso a presentare al ministro il nuovo primo segretario della legazione di Germania giunto a Sofia da quindici giorni.

Questo ministro d'Austria che ha lasciato ieri definitivamente Sofia mi ha detto che nel corso delle sue visite di congedo ad alte personalità del ministero della Guerra, ministro compreso, aveva dovuto rilevare un entusiasmo quasi esagerato per la conclusione dell'accordo con la Germania, tanto che alcuni erano giunti a dirgli apertamente che si consideravano fino da ora come facenti parte dell'alleanza (sic) itala-austro-tedesca.

664

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N., PILOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7583/313 R. Ginevra, 31 luglio 1936 (per. l'8 agosto).

Avenol mi ha manifestato le sue preoccupazioni per l'accordo austro-tedesco, che è ritornato di attualità per la nomina ad ambasciatore del ministro von Papen. Secondo l'impressione riportata da Avenol, l'impegno austriaco a porre in tacere la questione della restaurazione della Dinastia è stato voluto dalla Ger

mania, non solo perchè questa sa bene che il ritorno degli Asburgo è un grave ostacolo al riavvicinamento dell'Austria verso di essa, ma anche perché la Germania ha inteso far proprio politicamente il punto di vista jugoslavo, recisamente contrario alla Restaurazione, fino a minacciare una rottura qualora avvenisse. Avenol crede che Cecoslovacchia e Romania solo apparentemente seguono la tesi jugoslava, ma in sostanza si disinteressano dell'eventuale ritorno degli Absburgo, onde il fatto che Germania e Jugoslavia siano d'accordo in proposito è ancor più significativo, e rappresenta uno dei varii indizii della comunanza di vedute politiche che si viene instaurando fra i due Paesi.

(l) Vedi p. 705, nota l.

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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7585/073 R. Bled, 31 luglio 1936 (per. il 3 agosto).

Telegramma per corriere di V. E. n. 3470 R/C. del 27 corrente (1).

Da indagini eseguite in luogo competente mi risulterebbe:

l) che, per quanto riguarda la Jugoslavia, non vi sarebbero state assicurazioni ufficiali e dirette del Governo francese a Belgrado concernenti la partecipazione della Jugoslavia a future trattative circa problemi che la interessano;

2) che -invece -dichiarazioni particolari sono state fatte spontaneamente dalla Francia a Belgrado subito dopo l'accordo austro-tedesco per confermare suo intendimento osservare integralmente e strettamente tutti i suoi impegni verso la Jugoslavia e mantenere con essa necessari contatti di fronte problemi centro-europei e danubiani. È presumibile che in tale occasione Francia abbia dato affidamenti di favorire partecipazione jugoslava alla discussione futura di tali problemi;

3) che tali dichiarazioni non sono state richieste da Belgrado e rispondono piuttosto a preoccupazioni francesi determinate dall'accordo austro-tedesco. A dimostrazione che nessuna richiesta è partita dalla Jugoslavia nel senso indicato mi si riferisce che il Governo jugoslavo, accogliendo le assicurazioni francesi, avrebbe avvertito non voler prendere in nessun caso posizione contro la Germania e doversi preoccupare specialmente dei rapporti di collaborazione con essa stabiliti nel campo economico;

4) si ammette che sollecitazioni alla Francia e all'Inghilterra per ottenere assicurazioni circa un allargamento della partecipazione alle trattative siano partite dalla Romania la quale -al solito -avrebbe parlato a nome della Piccola Intesa e dell'Intesa Balcanica. A Belgrado si dimostra di non nutrire alcun dubbio sulla necessità che la Jugoslavia sia chiamata a discutere le questioni interessanti il bacino danubiano, e ciò all'infuori di qualsiasi espressa assicurazione da parte delle Potenze occidentali.

(l) Non pubblicato. Ritrasmetteva il T. 7220/90 R. da Bucarest del 24 luglio. Con tale telegramma Sola riferiva che avrebbe fatto trasmettere dall'Agenzia Stefani il testo delle dichiarazioni ufficiali fatte dal governo francese a quello romeno prima della conferenza di Londra per assicurarlo che sarebbe stato chiamato a partecipare a future trattative circa i problemi riguardanti la Romania.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 3103/1109. Berlino, 31 luglio 1936 (per. il 3 agosto).

Telegramma dell'E. V. n. 3482/C del 29 u.s. (l).

Ho cercato, in via indiretta, di controllare l'informazione fornita dalla nostra R. Legazione in Atene nei rigu~rdi di un preteso passo del ministro di Germania colà residente, inteso a smentire ogni effettivo blocco italo-tedesco.

Ho fatto cosi cadere il discorso sull'argomento, senza naturalmente alcuna precisazione in occasione della mia odierna conversazione con il ministro von Neurath.

Questi mi ha detto che in linea generale, come del resto ha fatto e fa l'Italia stessa, i Rappresentanti diplomatici del Reich a Parigi e a Londra hanno, in talune occasioni, opportunamente chiarito a quei Governi che l'attuale riavvicinamento fra l'Italia e la Germania non intende portare ad una politica di «blocchi»: e ciò per evidenti ragioni. Nessun'istruzione invece gli risultava essere stata inviata in proposito agli agenti diplomatici residenti nei Balcani, a meno che ciò non fosse avvenuto durante la sua recente assenza dalla direzione della Wilhelmstrasse.

Con ogni probabilità l'informazione da Atene deriva dalla circostanza che, in queste ultime settimane, in occasione della accensione ad Olimpia del fuoco destinato allo stadio di Berlino, si è avuta nella capitale della Grecia una notevole affluenza di giornalisti, di sportivi e di personalità germaniche.

Frequenti quindi devono essere state le domande rivolte dagli ambienti locali a questi tedeschi per conoscere quale sia la portata del riavvicinamento itala-germanico, all'indomani dell'accordo con Vienna dell'll luglio.

Il ministro di Germania colà residente deve probabilmente aver provveduto a dare una norma di linguaggio nel senso indicato nel telegramma al quale rispondo.

Per la seconda parte poi del telegramma stesso, relativa all'intenzione della Germania di non controbilanciare la politica inglese nei Balcani, rilevo che evidentemente i rappresentanti diplomatici tedeschi residenti in quella Penisola ed in modo particolare quello accreditato in Grecia, Paese nel quale la Germania attivamente e nascostamente lavora, devono effettivamente avere avuto l'istruzione di smentire ogni notizia capace di far supporre un'azione tedesca apertamente anti-inglese.

Mi riferisco in proposito al rapporto di questa R. Ambasciata n. 2980/1068 del 23 luglio u.s. (2), relativo all'« assioma» tuttora esistente nella politica tedesca di ottenere almeno per qualche anno ancora, una neutralità benevola, se non addirittura l'amicizia, dell'Inghilterra (3).

(l) -Vedi p. 705, nota l. (2) -Non pubblicato. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussol!n!.
667

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7548/223 R. Beyoglu, 1° agosto 1936, ore 15,30 (per. ore 18,20).

Iersera Assemblea Nazionale approvato convenzione Montreux. Tale occasione Aras ha fatto sue preannunziate dichiarazioni trasmesse con telegramma stampa odierno (l).

Era evidente Turchia, dopo la nota dichiarazione Eden alla Camera dei Comuni (2), non poteva non considerare decaduta anche da parte sua assicurazione unilaterale verso l'Inghilterra (miei telegrammi 219 e 222) (3).

Noto a tale proposito differenza di calore fra accenno a «patto amicizia italo-turco {4) che continua avere suoi effetti interi» ed a «cordiali buone relazioni e fiduciosa amicizia esistenti fra Turchia e Inghilterra ».

A prescindere da questa spiegabile differenza tonalità va rilevato che Aras ha intenzionalmente tenuto conto in suo discorso dei miei avvertimenti, sia per quanto riguarda nostre relazioni con Londra (ciò che ha spento sua velleità di intermediario per pacificazione itala-inglese), che per nostra non partecipazione Montreux, che egli si proponeva indicare come non amichevole per Turchia (miei telegrammi n. 209 e 210 (5) rispettivamente punti G-1 e 3-4).

Ministro degli Affari Esteri si è infatti limitato menzionare mie dichiarazioni circa miglioramento relazioni itala-inglesi, indicandolo come una delle causalità della decadenza dei noti accordi mediterranei, astenendosi dall'accennare assenza Italia Montreux.

Solo un deputato ha espresso voto che Italia si inducesse firmare convenzione « per dissipare ogni apprensione » causando interruzione da più parti che la Turchia «non nutre apprensioni».

In genere si può dire che tanto dichiarazioni Aras che Ismet Pascià, nonché commenti stampa vogliono dare impressione di forza e generare convincimento della necessità pace armata.

Aderendo ora rinnovate insistenze Aras (mio telespresso n. 700 in data 30 luglio) (6), parto per Ankara domani per intrattenermi con lui.

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IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. u. 7546/89 R. Praga, 1° agosto 1936, ore 20,48 (per. ore 0,20 del 2).

Ho visto oggi ministro Affari Esteri che parte in congedo di un mese.

Krofta mi ha detto che contrariamente a notizie apparse in qualche giornale, non vi è stata nessuna iniziativa nè da parte tedesca, nè da parte cecoslovacca per eventuali accordi tra i due Governi. Dato che, ha soggiunto Krofta, anche dopo denunzia accordo renano Germania ha dichiarato considerare tuttora in vigore trattato ceco-tedesco, facente parte Patto Locarno, Cecoslovacchia non ritiene sollecitare speciali accordi in attesa vedere regolata nella prossima conferenza a cinque tutte le questioni riguardanti Europa Centrale. Mi ha poi accennato che, quali che siano amichevoli rapporti fra Italia e Germania, ammesso pure problema austriaco per ora appianato, Italia non potrà aver interesse a lasciare che Germania, sopprimendo Cecoslovacchia, irrompa verso Adriatico e verso Balcani. Cecoslovacchia perciò crede poter contare su appoggio italiano, che le è tanto più necessario dopo riarmo Renania e impossibilità aiuto materiale da parte della Francia.

Krofta mi ha poi detto che trattative per noto accordo romeno-sovietico sono per ora nuovamente sospese.

(l) -Non pubblicato. (2) -Vedi D. 639. (3) -Con T. 7419/219 R. del 30 luglio, ore 15,30, l'ambasciatore Galli aveva riferito che, secondo notizie di varie fonti, il governo turco si apprestava a dichiarare cessata la sua garanzia unilaterale alla Gran Bretagna. Il T. 7487/222 R. del 31 luglio, ore 15,40, comunicava che l'annuncio sarebbe stato dato all'Assemblea turca dal ministro degli esteri Rtistti Aras quel giorno stesso. (4) -Vedi p. 16, nota 2. (5) -Vedi D. 618. (6) -Non pubblicato.
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L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7716/0453 R. Londra, 1° agosto 1936 (per. il 7).

La Camera dei Comuni si è chiusa ieri dopo un nuovo dibattito di politica estera, che è stato come una continuazione -piuttosto accademica -del dibattito di lunedì scorso. La opposizione ha rinnovato i suoi tentativi per obbligare il Governo a precisare la sua posizione di fronte al problema della riforma della

S.d.N. e dei Patti regionali; il Governo ha continuato a girare intorno a questo problema per evitare qualunque dichiarazione di carattere impegnativo; e limitandosi a quelle vaghe affermazioni sulla necessità di evitare la formazione di blocchi di Potenze opposte le une alle altre e di giungere con la collaborazione di tutti a un nuovo regolamento per mantenimento della pace in Europa, oltre le quali affermazioni né Eden, nel suo discorso di lunedì scorso, né Cranborne ieri hanno voluto andare. La discussione non ha aggiunto assolutamente nulla a quanto già si conosce delle intenzioni del Governo britannico, e delle tendenze prevalenti in seno alla Camera dei Comuni.

Il Governo britannico parte dal concetto che esso non può accettare né una riforma della S.d.N. che privi la S.d.N. di qualunque mezzo di repressione, né una riforma che irrigidisca, al contrario, le obbligazioni del Patto in maniera da rendere universale ed automatica l'assistenza militare al Paese aggredito. La S.d.N. non deve essere spogliata delle sue attività come organo di conciliazione nelle dispute internazionali e come organo di prevenzione di conflitti; deve avere anche la possibilità di prendere delle misure contro l'aggressore ma queste misure non devono essere tali da porre ogni singolo membro davanti alla responsabilità di dover ricorrere alle armi. Il ricorso alle armi non dev'essere obbligatorio, che per i Paesi che hanno un interesse immediato nel conflitto, e questo esclude qualunque idea di un'assistenza armata di carattere automatico per tutti i membri della S.d.N. L'obbligo di una tale assistenza è considerato dal Governo britannico come contrario a qualunque impostazione realistica del problema della S.d.N.. La realtà è -ha detto in sostanza Eden ai Comuni che i Paesi d'Europa non (dico non) sono pronti ciascuno a prendere le armi per qualunque altro Paese, e questo mette fuori questione la possibilità di sanzioni militari di carattere automatico e universale. Le misure repressive, che possono avere carattere obbligatorio per tutti i membri della S.d.N., devono essere perciò limitate nel loro carattere e nella loro portata. Il Governo britannico non le esclude. Esclude che esse possano implicare un ricorso alla guerra. Un preciso obbligo di ricorso alle armi non può derivare che da specifici patti di carattere regionale, che impegnino i singoli Stati con precise stipulazioni e per determinate circostanze. Solo tali patti, nel pensiero del Governo britannico, corrispondono alla realtà, perché uno Stato è pronto solo a prendere le armi, quando si tratti di difendere quelli che esso considera suoi specifici interessi e tener fede a quelle che esso considera sue specifiche obbligazioni.

Il Governo britannico vede quindi come due sistemi di sicurezza: uno generale costituito dalle obbligazioni del Patto della S.d.N. fino ai limiti dell'assistenza militare; l'altro particolare costituito da singoli accordi che impegnino i singoli stati all'obbligo dell'assistenza militare in circostanze che devono essere specificate negli accordi stessi.

Si pone a questo punto il problema concreto degli accordi che l'Inghilterra è disposta per suo conto a concludere, e che devono costituire il limite delle sue obbligazioni all'assistenza militare. Come ho avuto già occasione di segnalare a V. E. la opinione prevalente in Inghilterra è che il solo interesse immediato che l'Inghilterra ha in Europa -e il solo interesse che l'Inghilterra può impegnarsi a difendere con le armi -è l'integrità del Belgio e dell'Olanda e il rispetto della frontiera del Reno. Questo non significa già che l'Inghilterra si disinteressi del resto dell'Europa, o possa assistere con indifferenza a un conflitto che abbia le sue origini altrove che nell'Europa Occidentale. Ma significa che gli impegni che l'Inghilterra è pronta ad assumersi direttamente e immediatamente sono limitati all'Europa Occidentale, e che per il resto essa si riserva libertà di giudizio e di azione.

Circa la natura poi degli impegni che essa è pronta ad assumersi direttamente e immediatamente nell'Europa Occidentale, il Governo britannico intende restare sulle basi del trattato di Locarno. I suoi impegni devono avere così un carattere multilaterale e non quello esclusivo d'una alleanza di un Paese contro un altro. Un sistema esclusivo di alleanza dividerebbe fatalmente l'Europa in due blocchi, separati e opposti, e questo è nelle intenzioni del Governo britannico da evitare.

È risultato chiaramente dalla discussione in seno alla Camera dei Comuni, che questa oltre che a essere la decisione del Governo è anche la corrente prevalente del Paese. Sopra un punto Eden e Lloyd George, Sinclair e Amery sono stati d'accordo; sulla necessità di ricostruire le basi della collaborazione europea, in un'intesa tra le grandi Potenze occidentali; la Gran Bretagna, l'Italia, la Francia e la Germania. E gli stessi laburisti, pur difendendo il concetto sovietico della pace indivisibile, non sono andati al di là d'affermazioni di carattere assolutamente generico. Anzi, se vi è stato fra loro chi come Noel Baker si è espresso contro i «patti regionali» e in favore di un regolamento generale della pace al quale concorrano tutti i Paesi d'Europa, vi è stato pure chi, come Henderson, ha dichiarato che il sistema dei « patti regionali » è accettabile, se inserito nel quadro della S.d.N. Che è poi esattamente quello che il Governo britannico intende.

L'Inghilterra, in conclusione, favorirebbe un sistema di patti regionali destinati a rispondere a determinate esigenze di sicurezza locale, e per conto suo è pronta a partecipare con la Francia, la Germania, l'Italia e il Belgio a un patto per la sicurezza del Reno e dei Paesi Bassi, la cui inviolabilità essa considera parte integrante della sua difesa nazionale. Questi patti dovrebbero costituire il rafforzamento della sicurezza. Mentre per quello che riguarda il patto della S.d.N. l'Inghilterra non è disposta ad alcuna riforma che aggravi

o precisi le sue responsabilità, e quelle che essa vuol tenere in piedi sono essenzialmente quattro istituzioni del Patto: il regolamento pacifico delle controversie internazionali, la procedura dell'art. 19, i mezzi di prevenzione della guerra, la limitazione degli armamenti. Ancora il Foreign Office non ha deciso quando e in che forma esso presenterà alla S.d.N. le sue osservazioni sulla riforma del Patto. L'idea di Eden -a quanto io stesso ho inteso in una conversazione avuta con lui-era che la questione della riforma del Patto fosse portata alla S.d.N. possibilmente dopo la riunione delle cinque Potenze di Locarno, in modo da poter presentare a Ginevra un primo risultato concreto nel campo dei patti regionali per la sicurezza.

Se questo sarà possibile ora è difficile dire. Il Foreign Office mi sembra incline a non prendere iniziative per la riforma della S.d.N. o quanto meno a non affrettare una discussione, che, in mancanza d'un accordo tra le cinque Potenze, esso giudica prematura. Né è da escludere che, tutto considerato, il Governo britannico decida di favorire la tendenza -che già si è delineata di rinviare a un'altra Assemblea il problema della riforma del Patto.

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L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. 7569/1115 R. Londra, 3 agosto 1936, ore 2 (per. ore 5,15).

Sia pure con lentezza britannica, questa opinione pubblica ha cominciato muoversi in questi ultimi giorni verso più esatta valutazione della portata e gravità della rivoluzione spagnuola. Fino alla settimana scorsa, rivoluzione era considerata sopratutto un movimento militare contro il Governo e solo in alcuni ambienti conservatori si guardava ad essa come ad una più vasta lotta fra fascismo e comunismo. Questa concezione ora si fa strada. Si comincia a capire che il Governo spagnolo non esiste più: che comunisti, che il Governo ha armato a sua difesa, hanno preso sopravvento e che dalla guerra civile non potrà uscire che o una Spagna bolscevizzata o una Spagna fascista.

Questa alternativa si fa ogni giorno più chiara, come V. E. avrà potuto rilevare da segnalazioni stampa che ho trasmesso ieri e oggi.

Giornali del gruppo Rothermere hanno iniziato attiva campagna (che ho preannunciato nel mio rapporto del 30 giugno scorso) (l) per mettere dinanzi occhi pubblico inglese grave pericolo che rappresenterebbe per l'Europa bolscevizzazione della Spagna. Altri gruppi di giornali conservatori, pur nella loro timidezza demagogica, già presentano movimento nazionale e fascista spagnuolo in una luce più favorevole e loro stessa terminologia sta cambiando. Non si parla più tanto di ribelli contro il Governo, ma di fascisti e comunisti. Bieca ferocia dei comunisti spagnoli, le stragi di Barcellona, le prove che ogni giorno si accumulano sulla diretta partecipazione del Governo di Mosca alla organizzazione bolscevica in Spagna, battaglioni rossi che pare si stiano organizzando in Francia, sono quello che giornali conservatori sopratutto mettono in rilievo.

Con molta misura e senza alcun commento ostile sono stati dati nei giornali notizie arrivo aeroplani italiani nel Marocco; e nelle conversazioni che ho avute ieri e oggi da parte di tutti mi è stata espressa preoccupazione che rivoluzione spagnola possa provocare gravi complicazioni internazionali, nessuno mi ha nascosto tuttavia segreta speranza che generale Franco possa, in una maniera

o nell'altra, essere aiutato.

Per ora, maggiore preoccupazione di tutti è di evitare un intervento da parte della Francia. Inglesi temono sopratutto che un intervento francese provochi una nuova crisi in Europa e renda impossibile convocazione conferenza delle cinque Potenze. Molti di loro temono anche che opinione pubblica, per parte sua, si rivolga troppo chiaramente contro Francia e questo dia più vigore alle correnti isolazioniste pregiudicando ogni possibilità di pervenire ad un nuovo regolamento del problema della sicurezza su quella base di equa discussione senza abbandonare equilibrio al quale il Governo britannico intende attenersi. Non dubito perciò, nonostante ripetute smentite ufficiali, che il Governo britannico abbia esercitato e stia esercitando delle pressioni a Parigi per fare intendere a Blum le conseguenze che un intervento francese avrebbe per i rapporti franco-inglesi.

Quanto all'atteggiamento che il Governo britannico stesso intende tenere di fronte agli avvenimenti spagnoli, esso è risultato dall'inquietudine più chiaramente manifestatasi nelle discussioni di questi ultimi giorni ai Comuni. Di fronte alle pressioni dei laburisti, che hanno chiesto al Governo di appoggiare attuale regime spagnolo e di impedire, per lo meno, qualunque aiuto ai fascisti, Eden e Cranborne si sono limitati a vaghe assicurazioni sulle intenzioni del Governo britannico di conformarsi alle regole di diritto internazionale. Cranborne ha dichiarato che il Governo non poteva impedire la vendita degli aeroplani fermati a Bordeaux; Eden ha dichiarato che il Governo britannico non poteva obbligare cittadini inglesi a rifornire navi del Governo spagnolo.

Proposta francese di un accordo per non fornire armi e munizioni alle due parti in conflitto, è stata pubblicata nei giornali di stamane, ma senza alcun commento editoriale.

(l) Non pubblicato.

671

IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7587/431 R. Alessandria, 3 agosto 1936, ore 14,52 (per. ore 17,15).

Mio telegramma n. 430 (l).

Mentre questione militare ha richiesto cinque mesi discussione, accordo questione sudanese che nel 1930 costituì ostacolo insormontabile è stato raggiunto in pochissimi giorni. Sebbene tale risultato debbasi ad atteggiamento conciliante del Governo di Londra, tuttavia esso è stato molto più rapido di quanto ritenesse la stessa delegazione britannica, che viene così a trovarsi assai prima del previsto di fronte problema capitolazioni.

Discussioni circa detta questione hanno inizio oggi. Si dice che delegazione egiziana sia concorde ripudiare formula articolo IV oggetto accordo NahasHenderson del 1930 ed abbia anche insistito perché le sia riconosciuta più ampia libertà di azione nei riguardi degli stranieri. Tali voci hanno prodotto senso viva preoccupazione in questi ambienti europei, i quali temono che delegazione britannica, dimostratasi tanto conciliatrice nelle questioni di maggiore importanza per l'Inghilterra, spieghi anche maggiore arrendevolezza nella questione capitolare che riguarda sopratutto interessi italiani, francesi, greci e belgi.

Tutti i Ministri delle Potenze interessate trovansi in congedo estivo ed incaricati d'affari con i quali tuttavia mantengomi in continuo contatto, sono sprovvisti notizie e istruzioni loro Governi. Vedrà pertanto V. E. se sia il caso di prendere discretamente contatti con Cancellerie interessate.

Per parte mia ho frequenti rapporti con Residente e Governo egiziano e riservomi riferire al più presto quanto potrà risultarmi circa atteggiamento delegazione britannica al riguardo.

672

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN (2)

APPUNTO. Roma, 3 agosto 1936.

Ho ricevuto l'Ambasciatore di Francia il quale mi ha comunicato l'urgente appello del Governo francese diretto ad arrivare ad un'intesa di non intervento nella questione spagnuola, intesa che dovrebbe essere originariamente tra Francia, Italia ed Inghilterra e restare aperta a tutti gli altri Paesi. Praticamente si tratterebbe di impegnarsi a non fornire armi o strumenti atti ad alimentare la guerra civile ad alcuna delle parti contendenti in !spagna.

Mi sono limitato a prendere atto dell'invito rivoltomi dall'Ambasciatore di Francia ed ho dichiarato che, essendo assente dalla capitale il Duce, mi sarebbe stato difficile dare una risposta immediata.

Per quanto concerne i due apparecchi italiani atterrati in Marocco, l'Ambasciatore di Francia mi ha detto che si riservava di farmi avere in un promemoria personale tutti gli elementi che in merito gli verranno forniti dal suo Governo. Mi ha aggiunto che è suo desiderio di poter arrivare al più presto ad una soluzione amichevole di tale questione.

Per parte mia ho risposto che le Autorità competenti stavano compiendo un'inchiesta, ma comunque ero in grado di escludere ogni e qualsiasi sia pure indiretta ingerenza, da parte del Governo fascista.

(l) T. 7550/430 R. del 2 agosto, ore 14,40. Riferiva che era stato parafato l'accordo angloegiziano per il Sudan con il ritorno al regime di condominio e che sarebbero state subito avviate le trattative per regolare la questione delle capitolazioni. ultimo dei quattro «punti riservati» della dichiarazione britannica del 1922.

(2) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, p. 50.

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L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7612/1118 R. Londra, 3 agosto 1936, ore 24.

Annunzio appello francese per una politica comune di non intervento in Spagna, è stato accolto a Londra con favore. Esso viene considerato come prova che Blum si è reso conto delle gravi responsabilità che la Francia si assumerebbe intervenendo nella rivoluzione spagnola, e che gli è riuscito, per ora resistere alle pressioni dei comunisti francesi. Solo i laburisti condannano appello francese che implica, essi dicono, una eguaglianza di trattamento, per il Governo e per i rivoluzionari contraria ai principi di diritto internazionale. Ma quanto all'efficacia pratica dell'iniziativa francese, inglesi sono piuttosto scettici. Non solo è incerto fino a che punto Blum vorrà e potrà opporsi alle pressioni di estremisti del Fronte Popolare, ma annunzio che sarebbe stato permesso a gruppi di volontari di partire per la Spagna, getta una luce equivoca sulle intenzioni della Francia. Si aggiunga che manifestazioni politiche del Fronte Popolare non autorizzano affatto a credere che le organizzazioni sovietiche francesi sono pronte a sostenere una politica di neutralità. E non si sa, dunque, né con quale sincerità e determinazione Governo francese sia pronto ad applicare principio della neutralità, né fino a che punto esso sia capace di imporne rispetto.

Ma la preoccupazione per un intervento francese in Spagna è stata in questi ultimi giorni cosi viva a Londra che appello francese ha provocato indubbiamente una reazione favorevole, tanto più che nelle loro corrispondenze da Parigi giornali stamane hanno messo in luce che, nel corso dei negoziati che seguiranno il suo appello, il Governo francese si asterrà da qualsiasi fornitura di armi e munizioni al Governo spagnuolo.

Intanto si accentua ogni giorno più a Londra convinzione che Governo spagnuolo è ormai senza alcuna autorità ed è alla mercé dei comunisti, che esso ha aiutato, ed alla cui selvaggia violenza esso non è assolutamente capace di porre, né alcun limite, né freno.

674

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. uu. 7630/326 R. Berlino, 4 agosto 1936, ore 22,10 (per. ore 24).

Neurath mi comunica che l'ambasciatore di Francia è andato oggi da lui a domandargli se Governo tedesco sarebbe disposto ad aderire ad una dichiarazione comune di non ingerenza e neutralità nei confronti della situazione spagnola. A sostegno ha invocato incidente aeroplani italiani «e tedeschi» e opportunità evitare che essi si ripetano.

Premesso che tanto Francia quanto Inghilterra hanno mantenuto e mantengono loro piena libertà di compiere in materia « le operazioni commerciali » che meglio credono, Neurath ha nettamente dichiarato di non «vedere l'utilità di formule vuote di contenuto».

In linea subordinata, François-Poncet ha allora chiesto se Germania sarebbe disposta partecipare conversazioni fra principali Potenze per « considerare opportunità» di arrivare ad una decisione in materia.

Neurath ha risposto di si.

In un secondo momento, François-Poncet ha quindi fatto chiedere se potesse dare pubblica notizia del passo compiuto. Neurath ha risposto di no. Neurath ha tratto impressione che, da parte francese, si tenti di fare appa

rire Italia e Germania come agenti segretamente di comune accordo a favore ribelli.

675

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, CERRUTI, E AL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI

T. 3587/ c. R. Roma, 4 agosto 1936, ore 24.

(Per Londra e Cairo) Ho telegrafato Parigi quanto segue: (Per Parigi) Trasmetto a parte a V. E. telegramma R. Legazione Cairo

n. 431 (l) relativo questione capitolazioni Egitto.

Da parte nostra abbiamo com'è noto da tempo dimostrato di fronte legittime aspirazioni nazione egiziana la maggiore comprensione, e non (dico non) intendiamo assumere una rigida posizione di difesa del regime capitolare che è destinato a modificarsi e a scomparire. Siamo perciò in massima favorevoli ad agevolare la graduale trasformazione del regime stesso. Riteniamo tuttavia

che tale trasformazione debba avvenire d'accordo fra Egitto e tutte le Potenze capitolari e in modo da non recare gravi scosse per le colonie e le istituzioni europee in Egitto; riteniamo anche che trasformazione accennata debba avvenire senza che da essa si avvantaggi in Egitto l'influenza di alcun Paese a danno dell'influenza degli altri. Nei riguardi trattative anglo-egiziane in corso e finché non si chiarisca loro portata nel senso suindicato, manteniamo perciò atteggiamento massima riserva.

Prego prendere contatto con codesto ministero Affari Esteri facendo presente quanto comunicato da R. Ministro Cairo e chiedendo atteggiamento che codesto Governo si propone adottare di fronte eventualità abolizione capitolazioni. Telegrafato Parigi e per conoscenza Londra, Cairo.

(l) Vedi D. 671.

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IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7646/075 R. Bled, 4 agosto 1936 (per. il 5).

Telegramma di V. E. n. 3482/C (1).

In odierna conversazione con questo ministro aggiunto Esteri credo aver avuto modo di appurare che Germania non (dico non) ha fatto presso questo Governo alcun passo del genere di quello che sarebbe stato compiuto dal rappresentante tedesco ad Atene (2).

Martinatz d'altra parte mi ha detto che secondo le informazioni pervenute dal ministro jugoslavo a Berlino risultava anche qui non esistere propriamente degli accordi fra Italia e Germania; quanto però a un «riavvicinamento » italatedesco nel senso di una rinnovata cordialità di rapporti, sembrava che ciò fosse cosa di innegabile evidenza. Ma la Jugoslavia era lungi dal dolersene nè vi ravvisava per sè motivo di preoccupazione.

Ciò che continua a preoccupare la Jugoslavia è la prospettiva che dalla riforma del patto della S.D.N. e poi della Conferenza a cinque possa, in caso di risultato favorevole, riaver vita il Patto a Quattro e comunque una forma di direttorio delle grandi Potenze, e nell'eventualità di insuccesso, determinarsi la formazione di alleanze contrapponenti le grandi democrazie ai grandi Stati autoritarì.

(l) -Vedi p. 705, nota l. (2) -Con successivo T. per corriere 7847/076 R. del 5 agosto, il ministro Vlola comunicava che il collega di Ungheria si era prestato ad accertare presso il ministro di Germania se quest"ultimo avesse compiuto con il governo jugoslavo un passo analogo a quello che si affermava fosse stato fatto dal ministro tedesco ad Atene. Von Heeren aveva risposto di non aver fatto dichiarazioni circa i rapporti itala-tedeschi o circa la politica tedesca e quella britannica nel Mediterraneo e nei Balcani e di non aver ricevuto istruzioni in proposito.
677

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7713-7714/0201-0203 R. Parigi, 4 agosto 1936 (per. il 7 ).

Stamane ebbi un colloquio con il signor Yvon Delbos al quale desideravo parlare di varie questioni di minore importanza prima di partire da Parigi per il congedo.

Quando ebbi terminato di intrattenerlo dei vari soggetti egli mi parlò spontaneamente del passo che aveva fatto compiere presso V. E. come pure presso il Governo britannico dai due ambasciatori di Francia a Roma e a Londra circa la neutralità assoluta da tenere di fronte alla guerra civile in Spagna. Il signor Yvon Delbos mi disse di avere perfettamente compreso il riserbo espresso da V. E. e motivato dalla necessità di informare del passo francese il capo del governo assente dalla capitale. Aggiunse riferendosi a taluni commenti della stampa italiana, che se egli si era rivolto in primo luogo a Roma e Londra, ciò non significava affatto che non intendesse far conoscere la sua proposta ad altri Governi produttori di materiale bellico per ottenere la loro adesione all'impegno di non assistenza in alcun modo ai rivali spagnoli. Aveva creduto di seguire questa procedura per un riguardo verso l'Italia e la Gran Bretagna dato il particolare interesse mediterraneo di questi Stati. Aveva peraltro contemporaneamente incaricato il proprio ambasciatore in Berlino di rendere edotto il barone von Neurath del passo compiuto dal Governo francese a Roma e Londra e si proponeva, non appena avesse ricevuto le risposte italiana ed inglese, di estendere la propria azione presso tutti i Governi degli Stati che fossero in grado di fornire materiale di guerra alla Spagna.

Lasciai parlare fino in fondo il ministro degli Affari Esteri al quale risposi che, siccome il negoziato da lui iniziato si trattava a Roma, ne ero, almeno sino a questo momento, ignaro. Gli chiesi poi a titolo strettamente personale se egli ritenesse possibile che il mondo assistesse impassibile al pericolo dell'installazione di un regime bolscevico in Spagna, cioè nel Mediterraneo. Il signor Yvon Delbos rispose che questa sarebbe stata una jattura tremenda, che egli deprecava. Doveva peraltro osservare che nulla, assolutamente nulla, induceva almeno sinora a credere che vi fosse un pericolo del genere. Il Governo legalmente costituito in Spagna, contro il quale era insorta una piccola parte della nazione, capitanata da malcontenti e reazionari, non aveva alcuna tendenza bolscevica: era un governo di Fronte Popolare assai simile a quello che reggeva i destini della Francia, socialista, ma di tendenza tutt'altro che estrema. Questo Governo riconosciuto da tutti gli Stati del mondo aveva diritto che si avessero per lui tutti i riguardi che gli erano dovuti e che non si aiutassero dei ribelli contro i quali stava procedendo energicamente in base ai principi della legittima difesa ed all'obbligo che gli spettava di mantenere l'ordine nel Paese.

Desiderando evitare ogni contraddizione e quindi ogni polemica mi sono limitato a rispondere al signor Yvon Delbos che quanto egli mi aveva detto

mi aveva interessato in sommo grado, dato che in base alle informazioni sopratutto di stampa, avevo creduto che il Governo legale spagnolo fosse quasi sommerso dall'onda comunista che di fatto conduce la guerra contro i ribelli. Il ministro degli Affari Esteri, alquanto interdetto, mi disse che effettivamente il grosso guaio della situazione attuale era costituito dalla estrema debolezza del

Governo spagnuolo. Egli non dubitava peraltro che, dopo avere ottenuto una completa vittoria sui ribelli ed appunto per la gloria che ricadrebbe per tal fatto sopra di esso, il Governo avrebbe avuto la capacità e la forza necessarie per far prevalere gli elementi moderati del Fronte Popolare spagnuolo e quindi anche per compiere opera di pacificazione generale basata sopra una bene intesa comprensione verso gli illusi che avevano creduto seguire i capi reazionari.

Ho ritenuto inutile di continuare la conversazione al riguardo e l'ho quindi troncata dicendo che occorreva lasciare che la situazione si sviluppasse ulteriormente.

Il ministro degli Affari Esteri mi ha detto che, nella situazione internazionale tutt'altro che rosea attuale, vi era un punto soddisfacente, costituito dall'adesione dell'Italia e del Reich alle conversazioni fra Stati locarnisti. Occorreva evidentemente preparare bene il terreno per tali scambi di vedute. Egli se ne rendeva esatto conto ed era quindi fautore di un esame preventivo non affrettato e compiuto a mezzo della diplomazia ordinaria, in modo che quando i delegati dei cinque Stati si riunissero il terreno fosse sbarazzato da questioni scottanti e tali da portare non ad un'intesa ma alla constatazione del dissidio insanabile.

Ho risposto che non dubitavo che il suo pensiero fosse condiviso dal Governo italiano.

Il signor Yvon Delbos aggiunse che egli si era rallegrato tanto maggiormente dell'adesione suddetta, in quanto era stato molto scosso dalla conclusione dell'accordo bilaterale austro-germanico. Gli ho risposto che non comprendevo le sue apprensioni al riguardo, sopratutto dopo le reazioni che si erano avute tanto in Germania che in Austria. Non negavo che in un primo momento si potesse temere che l'annunzio dell'accordo bilaterale suddetto fosse accolto in Austria come un Anschluss larvato e quindi come un trionfo del nazismo. I fatti avevano però dimostrato che l'Austria aveva considerato l'accordo con favore in quanto poneva termine ad un aspro dissidio tra figli di una stessa stirpe, ma che aveva mostrato con segni indubbi di voler conservare la propria indipendenza e la propria caratteristica austriaca. In Germania se vi erano stati dei delusi, essi dovevano ricercarsi fra i nazionalsocialisti intransigenti, che volevano l'Anschluss ad ogni costo e con ogni mezzo. Occorreva anche tenere presente che il Cancelliere Hitler aveva ogni interesse a mostrare al mondo che, mentre ripudiava i trattati che riteneva non fossero stati liberamente conclusi dai precedenti Governi del Reich, applicava rigidamente quelli da lui conclusi secondo la formula degli <<accordi bilaterali». Prova ne era l'accordo polaccotedesco (1), il quale ancorché poco soddisfacente per la Germania, era sempre

stato osservato e citato come esempio per invogliare altri Stati a concluderne di analoghi.

Il ministro degli Affari Esteri osservò che quanto avevo detto corrispondeva esattamente alle notizie pervenute al Quai d'Orsay. Riconosceva dunque che sotto un certo aspetto l'accordo bilaterale austro-tedesco aveva chiarito una situazione irta di pericoli nel bacino danubiano. Doveva però dirmi francamente che questo accordo poteva anche lasciar supporre che fosse stato concluso, più che per eliminare il dissidio fra il Reich e l'Austria, per togliere di mezzo ogni divergenza fra il Reich e l'Italia, per staccare quindi quest'ultima dalla Francia. Questo non poteva essere indifferente al Governo francese che si domandava ad esempio se, nelle circostanze presenti, sarebbe ancora possibile di concludere quel patto di assistenza regionale danubiano che non potè essere realizzato lo scorso anno per ragioni indipendenti dalla volontà sia della Francia, che dell'Italia.

Ho risposto che il patto di assistenza danubiana aveva, se non erravo, lo scopo precipuo di difendere l'integrità territoriale e l'indipendenza dell'Austria. Questo scopo si poteva considerare raggiunto dall'accordo bilaterale testè concluso, dato che il pericolo per l'Austria proveniva esclusivamente dal Nord. Non scorgevo quindi troppo quale scopo avrebbe avuto oggi la ripresa in esame di un patto regionale danubiano, a meno che non si volesse marcare l'intenzione di insistere sulle ideologie dei « patti regionali » apponendole a quella hitleriana dei «patti bilaterali».

Il ministro degli Affari Esteri mi disse allora che i patti regionali sarebbero stati necessari qualora fosse prevalso il concetto del Governo francese sopra il quale è basata la riforma dell'art. 16 del Patto societario. Mi riferisco al riguardo a quanto espongo in altro telegramma per corriere odierno n. 0202 (1).

Egli aggiunse, ritornando alle conversazioni fra Stati locarnisti, che secondo l'avviso del Governo francese, non sarebbe stato ad esempio possibile non far partecipare ad esse anche i Governi polacco e cecoslovacco. Questi due Stati avevano infatti, a Locarno e contemporaneamente alla firma degli accordi politici propriamente detti, firmato delle convenzioni speciali che erano state quindi concluse nel quadro e secondo lo spirito degli accordi locarniani. Se questi ultimi, firmati da Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna e Belgio, fossero stati modificati, come avrebbero potuto sussistere le convenzioni firmate pure dalla

Polonia e dalla Cecoslovacchia? Anche esse avrebbero dovuto essere se non altro confermate ed adattate al nuovo ambiente creato dalla firma dei nuovi accordi politici. Del resto era assolutamente contrario alle intenzioni del Governo francese lasciar sussistere nei piccoli Stati il sospetto che le maggiori Potenze d'Europa potessero discutere di problemi che interessavano pure loro, in loro assenza.

(l) Vedi p. 605, nota l.

(l) Non pubblicato.

678

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7640/1121 R. Londra, 5 agosto 1936, ore 0,28 (per. ore 4).

Al Foreign Office mi è stato detto oggi che le notizie che giungono dalla Spagna sono frammentarie e contraddittorie e non è possibile farsi un'idea della situazione generale. Quello che tuttavia è chiaro è che il Governo è privo di qualunque autorità e che si trova stretto tra due rivoluzioni, una fascista ed una bolscevica che combattono ormai direttamente una contro l'altra. Secondo informazioni che sono state trasmesse da ministro Norvegia, Governo di Madrid sarebbe del resto già rassegnato a scomparire e non sarebbe più in condizioni di mantenere ordine neppure nella capitale.

Maggiore preoccupazione degli inglesi in questo momento è di ottenere che la Francia si impegni a non aiutare Governo spagnolo e rinunzi definitivamente idea di intervento nella rivoluzione. Per questo, come ho telegrafato ieri, proposta francese di un embargo sulle armi e munizioni destinate alla Spagna è stata accolta qui con favore. È impressione del Foreign Office che questa è l'unica maniera con la quale Blum può resistere alle pressioni dei comunisti francesi, che reclamavano attivo intervento nella rivoluzione.

Lasciate le due parti una di fronte all'altra -e se la Francia effettivamente si astiene dal dare o dal permettere qualunque aiuto al Governo spagnolo -si ritiene qui che il generale Franco avrà in definitiva la prevalenza.

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IL CONSOLE GENERALE A BARCELLONA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7638/77103 R. (1).

Violenze partiti estremisti sembrano accentuarsi. Ieri sera deputato comunista Gorkin ha parlato da radio Barcellona inveendo con straordinaria veemenza contro Paesi fascisti, particolarmente Italia e Germania. Mentre questo Governo continua nei suoi vani sforzi per dominare situazione, anarchici si organizzano e predispongono offensiva sia contro militarismo (2) (tuttora resistente), sia contro elementi tiepidi di sinistra, attualmente al Governo.

Appoggi francesi al Governo spagnuolo sempre più evidenti: oltre aeroplani, bombe, autoblinde fornite (controllate anche da questo console generale Germania) arrivano quotidianamente centinaia volontari estremisti francesi e fuorusciti italiani residenti in Francia.

52 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

Questo console generale Inghilterra avuto istruzioni suo Governo ritirarsi su nave da guerra qualora a sua discrezione lo ritenga necessario.

Questo console Germania, preoccupato intervento attivissimo Francia a favore Governo spagnolo, ha telegrafato suo Governo di considerare eventualità di stabilire segreti controlli da parte Germania e Italia posto frontiera francospagnola onde precisare portata effettiva degli aiuti francesi alla Spagna. Infatti persona autorevole di questo Governo ha dichiarato che forze leali potranno avere sopravvento solo valendosi efficaci aiuti francesi.

In città continuano barricate, volte contro porto, quasi prevedendo sbarco contingenti internazionali.

(l) -n telegramma fu trasmesso tramite la R. nave «Fiume». (2) -Sic.
680

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 7662-7663/328-329 R. Berlino, 5 agosto 1936, ore 19,05 (per. ore 21.45).

Von Neurath ha già visto Vansittart (l) due volte: la prima volta, soltanto per dirgli che Germania avrebbe accettato invito cinque Potenze; per quanto riguarda la sede, di escludere Parigi, mostrandosi invece disposta accettare, eventualmente, Londra o Bruxelles.

La seconda volta, ieri, la conversazione si è allargata a considerazioni e campi più vasti. Premesso che « tutto il mondo » è in preda crisi molto grave, tale da richiedere misure e rimedi «generali», Vansittart ha prospettato opportunità che agenda futura conferenza sia estesa, oltre che ad una nuova Locamo, anche ad «altre questioni» (leggi: patto orientale etc.). Von Neurath ha risposto nettamente di no. Germania desidera risolvere una questione dopo l'altra e non tutte le questioni insieme.

Vansittart ha allora obiettato che dividere le questioni, può significare anche dividere l'Europa, mostrandosi in proposito molto preoccupato della possibile formazione di « blocchi contrapposti » etc.

Von Neurath si è dichiarato perfettamente d'accordo per quanto riguarda i blocchi, ma ha insistito che, col metodo proprio, Germania era già riuscita a risolvere, come già ultima volta, problemi ritenuti insolubili, si avviava a risolverne altri (fra giorni, ad esempio, avrebbe concluso anche un trattato di commercio con Lituania). La bontà del metodo era evidente e, nonché favorire, escludeva la formazione di blocchi.

A mia domanda se Vansittart gli apparisse ben disposto in presenza situazione spagnuola per una eventuale adesione ad un «Governo dell'ordine», von Neurath mi ha risposto: non ancora. Inghilterra, secondo von Neurath, non sentirà pericolo bolscevico sino a che questo non le divenga anche fisicamente

pm prossimo, e cioè fino a quando esso non si installi in Francia. Von Neurath aveva appunto domandato a Vansittart cosa pensasse delle possibili ripercussioni della situazione spagnola su quella francese avendo per risposta che, secondo lui, attuale Gabinetto francese sarebbe stato bensì obbligato fare «qualche concessione» ai propri elettori, ma si sarebbe poi fermato di fronte alla sicura «reazione della borghesia francese».

Non aggiungo commenti. Von Neurath continuerà tenermi esattamente al corrente di tutto (1).

(l) Sir Robert Vanslttart si era recato il 30 luglio a Berlino per assistere ai giuochi olimpici. Sul suo soggiorno nella capitale tedesca si veda il resoconto dello stesso Vansittart in B D, serie seconda, vol. XVII, appendice I.

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IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7683/138 R. Atene, 5 agosto 1936, ore 22,30 (per. ore 2,20 del 6).

Mio telegramma n. 137 (2). Presidente Metaxas ha stamane convocato al ministero Affari Esteri tutti capi missione esteri accreditati Atene.

Ci ha ricevuto collegialmente e ci ha detto che, in seguito a notizie sicure in possesso del Governo, un serio movimento rivoluzionario (per la repressione del quale sarebbe stato necessario versare molto sangue) avrebbe dovuto scoppiare oggi in Atene. Egli, d'accordo col Sovrano, aveva pertanto deciso di proclamare la legge marziale, sospendere le garanzie costituzionali e sciogliere sine die la Camera. Tutti i poteri necessari per governare erano stati concentrati nelle sue mani ed era stata decretata la censura della stampa. Egli aveva creduto opportuno portare quanto precede a nostra conoscenza e sperava che i rapporti con i Paesi che noi rappresentiamo non avrebbero subito alcun cambiamento in seguito tali provvedimenti interni.

A domanda di alcuni colleghi ha dichiarato che la determinazione del Governo greco era stata presa « subitamente e spontaneamente » giacchè il movimento rivoluzionario che si preparava era assai grave. I rivoltosi avrebbero dovuto arrivare ad Atene anche da provincie ed erano state progettate dimostrazioni contro gli uffici governativi ed alcune legazioni estere. Ha poi aggiunto che il ministero da lui presieduto sarebbe stato rimaneggiato, ma che egli avrebbe continuato a dirigere personalmente la politica estera ellenica.

Dopo il ricevimento collegiale ho rivisto Metaxas da solo e gli ho domandato se aveva qualche cosa da dirmi in più di quanto aveva dichiarato a tutti. Mi ha detto: «Potete telegrafare a Roma che si tratta di dittatura da me stabilita d'accordo col Sovrano. La propaganda comunista, favorita dagli intrighi dei partiti politici e dalla miseria del Paese, ha fatto in questi ultimi tempi gran

dissimi progressi in Grecia e fino ad oggi impedito di governare. La rivolta, che doveva scoppiare oggi stesso, avrebbe avuto carattere e proporzioni veramente enormi e avrebbe finito per procurare la completa rovina del Paese. Ho creduto che fosse meglio stroncarla subito giacché domani sarebbe forse stato troppo tardi. Mi sono ispirato all'esempio dell'Italia e spero che il vostro governo guarderà con benevola simpatia a quanto-su tale via-io mi propongo di fare nell'interesse del mio Paese».

Nel corso della conversazione mi ha detto inoltre che, quantunque una attivissima propaganda comunista fosse stata fatta anche nell'Esercito e nella Marina, egli è sicuro degli ufficiali, sui quali tale propaganda non ha avuto presa. Ha ricordato i recenti avvenimenti spagnuoli, che avevano esercitato deplorevoli influenze anche in Grecia e mi ha detto che una delle legazioni contro la quale i comunisti progettavano una dimostrazione era la legazione d'Italia.

Telegraferò appena possibile primi commenti opinione pubblica e reazione Paese, che fino ad ora appare calmo.

(l) -Con successivo T. 7684/330 R. del 6 agosto, ore 11,40, Attolico riferiva che Vansittart era stato ricevuto da Hitler ma che, secondo quanto gli era stato assicurato da von Neurath e dallo stesso Vansittart. la conversazione era stata del tutto generica. (2) -T. 7647/137 R., pari data. ore 12,55. Comunicava che il governo greco aveva proclamatola legge marziale e sciolto la Camera del deputati.
682

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7783/026 R. Praga, 5 agosto 1936 (per. l'8).

Le vive preoccupazioni che, nonostante l'apparente calma degli ambienti ufficiali, erano state qui determinate dall'accordo fra Austria e Germania d'intesa con l'Italia, sono andate calmandosi fino ad una ostentata indifferenza. Primo movimento era stato quello di sondare quali potessero essere le intenzioni della Germania nei riguardi della Cecoslovacchia dopo aver raggiunto l'accordo con l'Austria. I risultati sembra siano apparsi per ora tranquillizzanti, ché mentre da parte cecoslovacca si è insistito in dimostrazioni di buona volontà, materiata, si capisce, di diffidenza, verso la Germania, il governo di Berlino dopo aver cercato di sventare le voci di premeditate aggressioni, ha mostrato un certo interesse a migliorare i rapporti con Praga. Il dott. Preiss, forte finanziere e persona di fiducia di questo Governo, si è recato in Germania per incontrarsi con Schacht. Il capo della sezione economica del ministero degli Affari Esteri tedesco, signor Ritter è venuto a Praga nei giorni passati per discutere circa i rapporti economici fra i due Paesi ed ha fra l'altro lamentato che nei progetti di sistemazione danubiana qui ventilati si parlasse di «indispensabile collaborazione dell'Italia » tenendosi invece non abbastanza conto della Germania. Questo ministro degli Affari Esteri nell'accennarmene adombrava la tendenza di Berlino a voler limitare l'influenza italiana nell'Europa centrale attirando nella sua orbita quanto fu parte dell'Impero austro-ungarico.

Altre ragioni hanno poi influito a calmare le apprensioni di Praga. A parte lo scetticismo in una duratura intesa fra Berlino e Roma e nella buona fede di Berlino verso Vienna -è stato qui dato molto risalto agli incidenti viennesi del 29 luglio (l) -vi è stata l'azione rassicuratrice spiegata dalla Francia, che fa ogni sforzo per non perdere la fedeltà della Piccola Intesa e salvaguardarne per quanto possibile. la compagine. Dopo la conferenza a tre tenutasi a Londra, Delbos comunicava al ministro di Cecoslovacchia in quella capitale che la Francia nelle prossime trattative internazionali si interesserà alla Cecoslovacchia come agli altri problemi centreuropei.

Così è che questo ministro degli Affari Esteri ha potuto fare ad un corrispondente dell'Excelsior dichiarazioni di fiduciosa tranquillità. «La Germania -ha detto Krofta -non ha nulla da chiedere alla Cecoslovacchia. Il territorio, già appartenente all'ex Reich e passato alla Cecoslovacchia, è insignificante. Un'aggressione tedesca sarebbe quindi senza motivo ed avrebbe come conseguenza invitabile una forte reazione da parte di altri Stati. Non si deve dimenticare che la Cecoslovacchia non è l'Abissinia, né si può affermare che la Cecoslovacchia possa essere distrutta in un mese. Il completamento della sua difesa le permette di resistere anche ad un esercito meglio armato, ciò che è necessario per l'intervento dei suoi alleati».

Lo Stato Maggiore, però, a quanto mi risulta, non è affatto sollevato dalle sue preoccupazioni. Henlein, in un suo discorso del 2 corrente, ha posto avanti più decisamente il problema dell'« autonomia» dei tedeschi di Boemia e l'incaricato d'affari di Germania ha in questi giorni fatto rimostranze al ministro degli Affari Esteri circa la nota legge cecoslovacca per la difesa nazionale, diffidandolo per gli eventuali pregiudizi che potessero essere causati a sudditi tedeschi.

683

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO (2). [Riccione], 5 agosto 1936.

« a Galeazzo -appunto per una risposta orale alla proposta francese di «non» intervento nella guerra civile spagnola (3).

lo -l'Italia aderisce in principio alla tesi del « non » intervento nella guerra civile che tormenta la Spagna.

2° -l'Italia domanda se la solidarietà morale con una delle parti in conflitto, solidarietà che è espressa e si esprime a t traverso manifestazioni pubbliche, campagne di stampa, sottoscrizioni di danaro, arruolamenti di volontari, ecc., non costituisca già una clamorosa e pericolosa forma d'intervento.

3° -l'Italia desidera sapere se l'impegno del «non» intervento avrà carattere universale o meno, se impegnerà soltanto i Governi o anche i privati.

4° -l'Italia desidera conoscere se il Governo proponente ha in vista anche modalità di controllo circa l'osservanza o meno dell'impegno di «non» intervento (l).

(l) -Il 29 luglio, a Vlenna, c'era stata una rumorosa manifestazione di elementi nazlstl alla cerimonia in onoro c1ei portatori della fiamma olimpica. Le autorità, tra cui il Presidente Federale e alcuni ministri avevano lasciato la tribuna. (2) -L'appunto, autografo, fu inviato a Ciano da Sebastiani, capo della segreteria particolare di Mussolini, che in quel momento si trovava a Riccione, con T. s. 7666 R. del 5 agosto. (2) -Vedi D. 672.
684

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN (2)

APPUNTO. Roma, 5 agosto 1936.

L'Ambasciatore di Francia mi ha comunicato che il suo Governo ha ricevuto la risposta dal Governo britannico, relativa al passo fatto per ottenere una intesa preliminare di non intervento negli affari spagnuoli, fra le tre grandi Potenze del Mediterraneo. La risposta britannica è di massima favorevole. L'Inghilterra crede che l'intesa oltre che tra i tre paesi mediterranei debba essere fatta, fin da un primo momento, anche con la Germania e il Portogallo. Poi ad essa dovranno aderire tutte le altre Potenze eventualmente interessate. L'Inghilterra è pronta a fare una dichiarazione di assoluto non intervento negli affari spagnuoli purché analoga dichiarazione venga fatta dal Governo francese e da quello italiano. Chambrun mi ha comunicato anche che, in seguito a una démarche fatta a Berlino, il Governo del Reich ha dichiarato di essere pronto ad esaminare il modo di trovare regole comuni per un non intervento in !spagna. Chambrun ha ammesso che questa risposta è vaga.

Chambrun infine mi ha parlato della questione degli apparecchi italiani atterrati nel Marocco francese. Mi ha lasciato tutti i dettagli tecnici che comunico al Ministero dell'Aeronautica, col quale mi preparo a concordare una risposta. Ma fin d'ora ho fatto presente a Chambrun che, pure essendo tuttavia in corso una inchiesta, potevo affermare che non si trattava di apparecchi in servizio presso un reparto dell'aeronautica italiana, bensì di aeromobili forniti da una industria privata a privati cittadini spagnuoli e che il Governo infine non era assolutamente al corrente dell'affare.

Ho ringraziato l'Ambasciatore di Francia per i funerali fatti agli aviatori caduti e ho sollevato la questione di quelli attualmente prigionieri e dell'apparecchio tuttora trattenuto a Moulouja. Gli ho detto che trattandosi di un atterraggio evidentemente dovuto a caso di forza maggiore, non si poteva insistere sulla contravvenzione alle regole di sorvolo, e che quindi mi attendevo che il Governo francese avesse nel più breve tempo risolto il problema rendendo l'apparecchio agli aviatori, ed a questi, la libertà di andarsene (3).

(l) Ciano espose verbalmente le tre richieste di chiarimento indicate da Mussolini in un colloquio con l'ambasciatore de Chambrun del 6 agosto. Di tale colloquio non è stato rintracciato il verbale italiano ma si veda il resoconto dell'ambasciatore di Francia in D D F, serie seconda, vol. III, D. 90.

(2) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 51-52.

(3) Il presente documento reca il visto di Mussolini.

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IL SERVIZIO INFORMAZIONI MILITARE, AL GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI

APPUNTO S, (l). Roma, 5 agosto 1936.

Il noto Ammiraglio germanico Canaris, su sua richiesta (2), ha incontrato il giorno 4 agosto a Bolzano il Generale Roatta, capo del S.I.M.

Nel corso di questa conversazione l'Ammiraglio, ha informato che il Generale Franco ha recentemente inviato al Generale Goering due Suoi Ufficiali per richiedergli aerei ed armi.

Il Governo germanico per mezzo del Ministero dell'Aeronautica e senza mettere al corrente il Ministero degli Esteri ha inviato, secondo quanto ha detto al Generale Roatta l'Ammiraglio Canaris, quattro aeroplani Junker da trasporto civile, partiti da Stoccarda (dei quali uno è temporaneamente rientrato in Germania con notizie e altre richieste) e un piroscafo carico di armi, munizioni, bombe da aeroplano e aeroplani da caccia, che giungerà a Cadice il 7 corrente.

L'Ammiraglio Canaris ha inoltre informato che il Governo germanico non avendo addetti militari nè in Spagna nè a Tangeri, non è in diretto contatto con il Governo di Burgos e con il Generale Franco.

Avendo fatto le surriportate dichiarazioni l'Ammiraglio Canaris ha presentato al Generale Roatta, in forma non ufficiale, le qui sotto elencate richieste:

l) Poichè consta che il Generale Franco ha urgente bisogno di benzina per aerei, il Ministero dell'Aeronautica germanico, data la distanza tra la Germania e il Marocco, chiede con l'assenso del Fiihrer al Governo italiano se sia disposto ad inviare direttamente al Generale Franco e con particolare urgenza un carico di benzina che il Ministero germanico è eventualmente disposto a pagare.

Tale carico, salvo le indicazioni che potessero pervenire direttamente al Governo italiano o che lo stesso Ammiraglio potrebbe nel frattempo inviare, dovrebbe esser diretto nella stessa località dove furono fino ad ora indirizzati i materiali forniti dall'Italia.

2) Il Ministero dell'Aeronautica germanico chiede al Governo italiano, nel caso dovesse inviare al Generale Franco altri aerei, di permettere la sosta ed il rifornimento di questi aeroplani nel territorio del Regno. Nel caso che tale richiesta venga accolta dal Governo italiano, chiede al più presto possibile gli siano indicate le località e tutti i dettagli tecnici necessari.

3) Il Ministero dell'Aeronautica germanico intende trattare questa questione solo con le autorità militari e attraverso il solito tramite.

Il Generale Roatta ha risposto all'ammiraglio Canaris che, per conto suo non vedeva difficoltà di carattere militare; ma che essendo la questione prospettata di carattere essenzialmente politico occorreva l'assenso del Duce allo stesso modo come era occorso in Germania il consenso del Fiihrer.

Il Generale Roatta ha aggiunto infine che si riservava di fornire la risposta al più presto possibile.

Il Generale Roatta e l'Ammiraglio Canaris si sono trovati d'accordo nel convenire su un sistema di comunicazioni dirette e rapide relative alla questione in parola e si sono trovati d'accordo nella necessità di scambiare giornalmente e telegraficamente notizie sulla situazione di Spagna (1).

(l) -L'appunto è privo di firma. (2) -n 1o agosto il generale Roatta aveva Informato il sottosegretario alla Guerra Baistrocchl, e il sottocapo di Stato Maggiore, Pariani, che l'ammiraglio Canaris aveva chiesto di incontrarsi con lui nei primi giorni della settimana seguente. Pur ignorando lo scopo della richiesta", aveva accettato l'incontro (appunto di Roatta del 10 agosto in Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito).
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

L. R. 5725/1888. Parigi, 5 agosto 1936 (2).

Trasmetto, qui unito, all'E. V. un appunto da me redatto dopo una interessante conversazione avuta il 1° corrente coll'ex-presidente del consiglio signor La val.

Egli sta ora in attesa degli eventi. Nutre indubbiamente l'intenzione di ritornare, se non a capo del Governo, a capo della politica estera francese, cosicché può riuscire utile conoscere i suoi pensieri e le sue intenzioni. Devo aggiungere, per la verità, che egli dimostra costantemente le maggiori simpatie per l'Italia, che ha una profonda ammirazione per S. E. il Capo del Governo e che vede salvezza per la Francia unicamente nell'adozione in questo paese di una forma di governo che si avvicini assai al fascismo, anche se abbia poi ad essere fascismo gallicano.

ALLEGATO

COLLOQUIO DELL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, CON L'EX PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, LAVAL

APPUNTO. Parigi, 1° agosto 1936.

Il Presidente Lavai mi telefonò informandomi di essere venuto per qualche giorno a Parigi prima di prendere un lungo periodo di vacanze ed espresse il desiderio di vedermi. Ci incontrammo al suo domicilio. Mi accolse rallegrandosi vivamente dell'invio di aeroplani itaHani in Spagna, a disposizione degli insorti, aggiungendo che ormai era ingaggiata la lotta fra le due ideologie, quena fascista e quella comunista, e che tutta la parte

ben pensante della Francia augurava, nel proprio interesse, che gli insorti spagnuoli riportassero successi tali da assicurare loro rapidamente la vittoria .

Lavai mi disse poi di avere letto nei giornali del mattino che l'Italia avrebbe con ogni probabilità accettato di assistere alla riunione a cinque degli Stati locarniani. Se ne compiaceva anche perché deduceva da tale notizia che il Reich avrebbe da parte sua risposto accettando pure. Mi domandò se credevo che la Germania avrebbe posto condizioni di difficile accettazione e ta1i da mandare a monte la nunione. Dissi di non avere elementi per rispondergli; a titolo puramente personale esprimevo l'avviso che la Germania avrebbe potuto chiedere che la Francia si presentasse alla riunione svincolata dagU accordi stipulati con la Russia, dato che questi accordi sono considerati a Berlino come una vera e propria alleanza diretta contro la Germania. Lavai disse che non sarebbe stato possibile denunciare presentemente gli accordi medesimi; viceversa si sarebbero potute fornire al Reich tutte le spiegazioni necessarie, atte a dimostrargli come gli accordi fossero stati stipulati nel quadro della S.d.N. e quindi con la premessa che si trattasse di assistere uno Stato aggredito. Egli poteva assicurarmi che, nel concludere gli accordi con l'URSS, tutt'altro che graditi al suo cuore, aveva proceduto con Ia massima cautela. Gli obblighi assunti dalla Francia verso l'URSS si limitavano a rivolgersi, in caso di aggressione di cui fosse vittima l'URSS, al Consiglio della S.d.N. affinché questo organo esaminasse se vi fossero gli estremi dell'aggressione e determinasse l'eventuale ,aggressore. Soltanto nel caso in cui non sussistesse alcun dubbio al riguardo la Francia sarebbe stata obbligata a prestare assistenza all'URSS. Ma anche sopra la portata di quest'assistenza si pote'V'a discutere e non era detto che si trattasse di un'assistenza necessariamente militare.

Dissi a Lavai che avevo sentito formulare non poche obbiezioni circa l'eventuale riunione locarniana ,a cinque, dato che molti francesi scorgevano il pericolo che avrebbe potuto sorgere per la Francia qualora si fossero discussi argomenti eccedenti il quadro puro degli accordi di Locarno.

Lava!, con la consueta sua lucidità e chiarezza, rispose che evidentemente nella riunione locarniana non si sarebbe più potuto parlare della zona demilitarizzata renana, dato che questa era una questione ormai risolta e che, per il prestigio della Francia, non si doveva più toccare. Dall'epoca in cui era stato firmato il trattato di Locarno ad oggi le cose erano cambiate radicalmente. La Germania da 100.000 uomini di forze armate era salita ad un milione circa; inoltre sul territorio francese era stata costruita la linea Maginot, che era imprendibile finché non fossero inventati mezzi distruttivi nuovi, e sul territorio tedesco si stava costruendo la linea difensiva Hindenburg che avrebbe pure precluso ai francesi l'accesso nel Reich. Doveva dunque escludersi che l'offensiva eventuale da parte della Francia o del Reich si sferrasse, per via di terra, lungo i rispettivi confini. Rimanevano le prospettive dell'offensiva tedesca dal lato dell'Olanda e del Belgio, quella dal lato della Svizzera e soprattutto quella aerea. La riunione a cinque avrebbe dunque dovuto proporsi la conclusione di convenzioni che garantissero la pace ad occidente, impedendo l'attacco aereo reciproco ed ogni tentativo di violare la neutralità della Svizzera o di invadere l'Olanda ed il Belgio. Se si fosse potuti giungere a questo risultato sarebbe già stato molto. Bisognava sperare che si potesse evitare di porre sul tappeto il problema della sicurezza nell'Europa centrale e nell'Oriente europeo, perché esso avrebbe suscitato chissà quale vespaio.

Dissi a Lavai che non escludevo affatto che la Germania si presentasse eventualmente alla riunione dei cinque con la notizia dell'ac"cordo a due da essa concluso con la Cecoslovacchia, garantendo a questo Stato la sua incolumità ed indipendenza per un certo numero di anni, a condizione che rinunciasse all'alleanza coll'URSS. Lavai rispose che se la Germania facesse un simile passo, la si dovrebbe ringraziare a mani giunte, perché permetterebbe in primo luogo alla Francia di uscire da una situazione per essa imbarazzantissima, ed in secondo luogo consentirebbe agli Stati locarniani di considerare garantita la pace ad est accentrando tutta la loro attenzione sopra la convenzione aerea ad occidente ed eventuali altri accordi di garanzia supplementari.

Parlandomi della situazione interna, Lavai disse che la situazione del Gabinetto Blum era tutt'altro che rosea. Perché il Fronte Popolare potesse rimanere al potere oltre l'autunno sarebbe stato necessario mutare le regole dell'aritmetica, far sì che due più due non facesse quattro ma dieci. Tutti i calcoli di Blum e compagni erano falsi; le varie leggi sottoposte al Parlamento e da questo votate, quasi senza discussione non potevano essere applicate ed avrebbero dovuto essere rivedute in seguito. Esse avevano avuto l'unico scopo di gettare della sabbia negli occhi dei gonzi.

Laval fu però molto riservato circa la successione di Blum, trincerandosi dietro l'assoluto suo disinteressamento al riguardo. Gli dissi risultarmi che Pierre Cot, ministro dell'Aeronautica, Georges Monnet, ministro dell'Agricoltura e Thorez, capo dei comunisti al Parlamento starebbero complottando per formare un ministero bolscevico. Lavai fu molto interessato dalla notizia che mi disse non avere ancora avuta. Disse che questi signori si facevano delle illusioni, perché la Francia stava realizzando i pericoli dell'andare troppo a sinistra e sarebbe insorta contro un esperimento ancora più rosso. Informai allora Lavai risultarmi pure che la signora Brunschvicq sottosegretario di Stato per l'igiene sociale del Gabinetto Blum. e lo stesso presidente del Consiglio si sarebbero espressi in questi ultimi giorni in termini molto moderati, lasciando vedere che temono una ondata comunista che li potrebbe sommergere e cercano di aggrapparsi a qualche tavola di salvezl'la che fosse loro tesa dai radicali moderati. Mi espressi in questi termini, si:a perché la notizia mi pervenne realmente, sia perché volevo vedere la reazione di Laval. Questi infatti scattò e rispose che Blum e compagni si illudevano se credevano di trovare appoggio dalle frazioni moderate del Fronte Popolare. Queste ultime non avrebbero potuto fare a meno di staccarsi dal fronte suddetto e di rendere possiblle la formazione di un Gabinetto formato dai radicali e da uomini del fronte nazionale.

A detta di Laval tutto rientrerà nella normalità in Francia tra qualche mese. Gli avvenimenti di Spagna sono stati un salutare ammonimento che ha aperto gli occhi di molta gente che non voleva vedere. Anche in politica estera, aggiunse Lavai, si riprenderà l'antico corso, cioè quello di cui egli aveva gettato le basi con gli accordi di Roma. Egli infatti è sicuro che la Francia, dopo l'esperimento del Gabinetto di Fronte Popolare, dopo la rivoluzione spagnuola e la vittoria totale militare e diplomatica riportata dall'Italia in Africa Orientale, saprà fare i conti e saprà vedere che la sola politica che le convenga è quella basata sopra una stretta amicizia con l'Italia. La persistenza di Lavai in questa sua idea costante prova come egli conti di tornare al Quai d'Orsay, sia come presidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri, sia solo in quest'ultima qualità in un Gabinetto Chautemps, ad esempio.

Lavai mi ha detto che, dopo gli avvenimenti del 7 Marzo egli si era posto il quesito di ciò che avrebbe fatto se in quel momento fosse stato al Quai d'Orsay. Aveva innanzi tutto escluso il ricorso alla guerra. Con questa premessa e dopo avere esaminato a fondo la situazione egli crede che avrebbe agito nel modo seguente: la Germania riarmata intende evidentemente l'iacquistare materialmente tutto o quasi tutto quello che ha perduto territorialmente ed ottenere un prestigio anche superiore a quello posseduto prima del 1914. Se si continua ad accedere ogni volta alle violazioni dei trattati da essa compiute, non si fa, da parte francese, che perdere quel prestigio che la Germania acquista. Occorre dunque procedere secondo un'altra tattica e precisamente secondo quella di dire alla Germania che ci si rende conto del suo desiderio di ottenere la parità dei diritti totale, che si è disposti ad accordargliela anche a costo di nuovi sacrifici, ma che la contropartita per la Francia deve essere la sicurezza, vale a dire la conclusione di un accordo che ponga fine alle rivalità di tanti anni. p,artendo da questi punti di vista Lavai mi disse che egli crede che avrebbe detto alla Germania che era disposto a discorrere per la zona renana rimilitarizzata, nel senso di sanare quanto era stato fatto unilateralmente e

per di più era disposto ad entrare immediatamente in conversazioni per trattare circa la restituzione al Reich del Togo e del Camerun sempre che l'Inghilterra ,avesse acceduto, dal suo lato a retrocedere alla Germania i territori che amministra come mandataria. Agendo in tal modo sembrava a Lavai che la Francia avrebbe messo Hitler colle spalle al muro per vedere se è o non sincero quando parla di volersi accordare con Parigi. Inoltre avrebbe dimostrato agli inglesi che, visto che essi non sanno far altro che ritirarsi ogni qual volta la Francia ha bisogno del loro aiuto, quest'ultima agiva secondo quello che considerava il proprio interesse, anche a costo di mettere il Governo di Londra in una situazione eccessivamente imbarazzante. Agendo in tal modo, soggiunse Lavai, pensavo che si sarebbe posta la Germania nella condizione di esprimersi esplicitamente riguardo alle sue aspirazioni verso l'est, ottenendo che vi rinunciasse. Lavai mi disse che aveva voluto

informarmi di quanto precede perché non era detto che quanto non era stato possibile

fare qualche mese fa non diventasse attuale in futuro.

Nell'accomiatarsi da me l'ex-presidente del Consiglio francese mi disse che non sapeva ancora se si sarebbe recato a fare un viaggio all'estero, alla fine di agosto. Non escludeva di recarsi sulla costa dalmata. In tal caso contava fermarsi qualche giorno a Venezia che non conosceva. Ove realizzasse il suo progetto mi avrebbe avvertito.

Gli ho detto che avevo letto sui giornali che Blum contava intraprendere prossima

mente un viaggio nelle capitali della Piccola Intesa e che la notizia era accompagnata

sopra uno dei giornali del Fronte Popolare dal commento che Blum cerca così di riavvici

nare alla Francia quegli Stati amici che erano stati totalmente ignorati da Laval. Questi

mi disse che tale commento gli era sfuggito, anche perché leggeva saltuariamente i gior

nali del Fronte Popolare. Espresse l'avviso che non fosse molto dignitoso per il presidente

del Consiglio di Francia di correre a far visita ai Governi della Piccola Intesa per primo.

Si vede che Blum voleva seguire le orme di Barthou, che non avevano arrecato fortuna

a quest'ultimo.

(l) -Il 7 agosto Roatta comunicò a Canaris, tramite l'addetto militare a Berlino, che gliaiuti tedeschi diretti in Marocco potevano fare scalo in Sardegna nell'aeroporto di Elmas e quelli destinati a Burgos erano autorizzati a rifornirsi nel campo di Albenga in Liguria (telegramma del 5 agosto in Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito). (2) -Manca l'indicazione della data di arrivo.
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L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7673/1123 R. Londra, 6 agosto 1936, ore 1,30 (per. ore 5,10).

Mio telegramma n. 1118 (1).

Decisione Foreign Office di aderire invito francese per accordo neutralità di fronte alla Spagna è stata accolta con favore da tutta la stampa inglese che riafferma necessità di evitare qualunque intervento nella rivoluzione spagnuola che potrebbe aver grave ripercussione e precipitare forse nuova conflagrazione europea. Possibilità di tale intervento, almeno da parte Francia, sembra oggi più lontana e si ritiene al Foreign Office che Delbos sia riuscito a far prevalere su Blum e Cot proprio punto di vista.

Al Foreign Office e fuori del Foreign Office si comprende in modo sicuro che accordo sulla neutralità non è per ora che vuota formula e che proposta francese, nonché risolvere, neppure definisce problema atteggiamento Potenze di fronte rivoluzione spagnuola. Essa è considerata una misura temporanea che, nel giudizio del Foreign Office, ha il valore di rafforzare quegli elementi, in seno al Governo francese, che si oppongono ad un intervento nella rivoluzione spagnuola e rallentare pressione del Fronte Popolare sulle decisioni del Governo. Ma intanto oggi stesso problema è diventato più complicato e vasto in seguito annunzio degli aiuti finanziari che U.R.S.S. si dispone a dare al Governo spagnuolo; questi aiuti, e le prove che si vanno quotidianamente accumulando circa l'attività del Comintern sulla preparazione e organizzazione del comunismo spagnuolo, mostrano che il Governo sovietico già partecipa di fatto alla guerra civile di Spagna.

Questo è ciò che sopra tutto viene messo in luce dai giornali conservatori di stamane, i quali si domandano se un aiuto finanziario non deve essere considerato un vero e proprio intervento secondo i principi della proposta francese e se U.R.S.S. non sia essa subdolamente a gettare le prime fiamme di una nuova guerra europea.

(l) Vedi D. 673.

688

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI

T. 3623/75 R. (1). Roma, 6 agosto 1936, ore 24.

Mi riferisca sull'atteggiamento personalmente tenuto da Metaxas durante ultimi mesi nei nostri riguardi nonché giudizio di V.s. su quelli che sarebbero i di lui sentimenti per l'Italia ( 2) .

689

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7903/08 R. Ankara, 6 agosto 1936 (per. l'11).

Mio telegramma filo n. 221 del 30 luglio c.a. (3).

Ho appreso da sicura fonte confidenziale che al quesito posto da questo ministro di Ungheria, Aras oppose immediatamente la richiesta pregiudiziale di conoscere se l'Ungheria agiva sotto pressione italiana o tedesca. Soltanto dopo che il ministro di Ungheria poté ufficialmente assicurare che la domanda ungherese era spontanea e non rispondeva che ad interessi ungheresi, Aras ripetè le medesime dichiarazioni che a me (mio telegramma filo n. 209 del 25 luglio u.s.) (4) cioé che non vi era alcuna proposta ufficiale francese, ma solo conversazioni preliminari che non avevano, per ora seguito. Se eventualmente ne dovessero avere, egli ha assicurato che in nessun caso potrebbero riflettersi dannosamente sull'Ungheria, alla cui amicizia ed ai cui legami di razza egli teneva profondamente.

A me che, il 3 corrente, ho interrogato da capo Aras sul medesimo argomento, egli ha risposto che aveva fatto sapere ai suoi amici francesi e specialmente Delbos, che era preferibile non dare in questo periodo motivo a sospetti e difficoltà, ma lasciare meglio maturare il momento utile nel quale potranno essere riprese le conversazioni per un patto franco-turco.

690.

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7904/09 R. Ankara, 6 agosto 1936 (per. l'11).

Da fonte strettamente confidenziale ma sicurissima ho appreso che Aras nell'ultimo colloquio avuto col ministro di Ungheria gli ha detto che la Ger

mania non aveva alcun patto scritto con l'Italia; ma se nel futuro i rapporti itala-tedeschi dovessero svilupparsi fino a giungere a qualche concreto accordo, egli ne chiederebbe a Berlino uno identico altrimenti «passerebbe nel campo opposto».

Questa risposta di insolente e sfacciato ricatto che Aras vorrebbe in determinata ipotesi porre alla Germania deriva in primo luogo, come sempre, dal timore dell'Italia. La garanzia germanica proteggerebbe la Turchia. In secondo luogo è da tenere presente che i forti interessi germanici, economici, commerciali, culturali, potrebbero effettivamente, in qualche prossimo tempo, incoraggiare Ankara ad avviarli ad un significato ad effetto politico. Ciò che rientrerebbe nella costante politica di equilibrio del Governo turco.

(l) -Minuta autografa. (2) -Per la risposta vedi D. 696. (3) -Vedi D. 651. (4) -Vedi D. 618.
691

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'INCARICATO D'AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, INGRAM (l)

APPUNTO. Roma, 6 agosto 1936.

Ho ricevuto l'incaricato di affari d'Inghilterra che mi ha consegnato l'unito promemoria relativo alla proposta francese per un accordo sul non intervento negli affari di Spagna.

Il Governo inglese ha fatto conoscere al Governo francese che esso era favorevole ad un accordo del genere tra tutte le potenze che possono fornire armi e munizioni alla Spagna. L'accordo dovrebbe consistere nell'impegno di non rifornire la Spagna di armi e munizioni e di impedire la fornitura dai rispettivi territorì. Per incominciare, l'accordo dovrebbe intervenire tra la Francia, Germania, Italia, Portogallo e Inghilterra. Successivamente potrebbe essere, come il Governo inglese confida, sottoscritto anche da altre Potenze.

Ho risposto all'Incaricato d'Affari d'Inghilterra negli stessi termini della comunicazione fatta poco prima all'Ambasciatore di Francia. Anche con lui ho messo in evidenza cioè che l'Italia aderiva in massima alla tesi del non intervento, ma che tale non intervento avrebbe potuto essere efficace solo se fosse esteso a tutti gli Stati interessati, e sopratutto se non si fosse limitato alle forniture di armi, ma esteso invece anche alla propaganda e ad ogni altro genere di appoggio. Vi era una forma di intervento e di lotta ancora più pericolosa di quella di cui faceva mostra di preoccuparsi il Governo francese, ed era la lotta che si combatteva sul terreno ideologico e spirituale; e questa lotta e questo intervento dovevano impedirsi insieme e parallelamente alle forniture di armi.

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA. Roma, 6 agosto 1936.

Come è senza dubbio noto al R. Governo, il Governo francese si è rivolto ai Governi britannico, germanico e portoghese, oltreché a quello italiano, nell'intento di addivenire ad una cooperazione per regolare la questione delle forniture di armi alla Spagna.

In risposta il Governo britannico ha informato quello francese che vedrebbe con compiacimento la rapida conclusione di accordo fra le Potenze in grado di fornire armi e munizioni alla Spagna, nel senso di astenersi dal farlo e di impedire il rifornimento di armi e munizioni dai loro rispettivi territori, in base al principio di non immistione (non interjerence) negli affari spagnuoli.

Il Governo britannico è tuttavia d'avviso che un accordo del genere debba, al suo inizio, essere simultaneamente accettato da Governi come quelli francese, germanico, italiano, portoghese e britannico che hanno preminenti interessi materiali o una situazione di prossimità geografica con la Spagna.

A tale accordo è sperabile che vogliano ulteriormente accedere tutte le altre Potenze interessate.

Nel portare quanto precede a conoscenza del Governo italiano, l'Ambasciata di Sua Maestà ha ricevuto istruzioni di esprimere il desiderio del Governo britannico di appoggiare il passo a tale proposito compiuto tre giorni or sono da quello francese.

(l) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 52-53.

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L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2473/965. Mosca, 6 agosto 1936 (per. il 12).

Il riavvicinamento itala-germanico comincia a produrre le prime reazioni nell'URSS.

Fino a qualche giorno fa -com'è noto -la stampa sovietica aveva costantemente sostenuto l'inconciliabilità degli interessi fra Berlino e Roma e che ad ogni manifestazione di amicizia itala-germanica non dovesse attribuirsi che il significato di una manovra e non già quello di indizio di una collaborazione politica fra i due Paesi.

Ora sembra invece vada facendosi ogni giorno più strada l'opinione contraria che il riavvicinamento itala-tedesco debba essere seriamente seguito «per la formidabile minaccia che potrebbe domani derivarne alla pace europea».

Da ciò un repentino cambiamento di attitudine della stampa sovietica che si sforza di dimostrare come l'Italia rappresenti una grave minaccia per l'Inghilterra nel Mediterraneo, sfruttando, a tal fine, i risultati del conflitto italaabissino.

I recenti avvenimenti spagnuoli hanno poi dato lo spunto per imbastire la menzogna che l'Italia voglia tentare di crearsi, in contrasto con gli interessi britannici, una base marittima ed aviatoria nel Mediterraneo occidentale, ricattando magari i «ribelli generali spagnuoli », che per avere aiuti nella difficile

situazione in cui si sono cacciati, sarebbero disposti a garantire agli italiani appoggi strategici nel Marocco spagnuolo. A questo proposito, trascrivo qui appresso alcuni passaggi delle odierne Isvestia, tolti dall'articolo «Sul Mediterraneo», a firma Ivanov.

«La presa dell'Abissinia dall'Italia costringe la Gran Bretagna a rinnovare le basi della sua politica mediterranea. Il prestigio dell'Impero britannico nei Paesi del bacino del Mediterraneo, del Vicino Oriente e in Africa ha fortemente sofferto. Il fatto che la Gran Bretagna sia risultata incapace di impedire il successo dell'aggressione italiana significa un gravissimo colpo per la «dominatnce dei mari». È stato invero inflitto un grave colpo al mito della sua onnipotenza e della sua invincibilità. Nello stesso tempo l'occupazione dell'Abissinia da parte dell'Italia significa anche una reale minaccia strategica ai possedimenti ed agli interessi dell'Impero Britannico nell'Africa nord-orientale. In particolare, viene a crearsi la minaccia di un accerchiamento a tenaglia dell'Egitto e del Sudan Anglo-Egiziano: dal lato dell'Abissinia e da quello della Libia. I febbrili preparativi militari dell'Italia nel Mediterraneo rappresentano anche una indubbia minaccia alle vie di comunicazione fra il settore orientale e quello occidentale di quel mare.

L'Italia non solo rafforza le sue proprie posizioni strategiche nel Mediterraneo, ma cerca altresì dì garantirsi a tale riguardo l'appoggio di altre Potenze imperialiste. Uno dei motivi dell'accordo aviatorio italo-germanico, concluso recentemente durante la visita a Berlino del capo dello Stato Maggiore aereo italiano, generale Valle (1), consiste in ciò che la Germania ottiene uno sbocco nel Mediterraneo. In cambio della concessione fatta all'aviazione italiana di possibilità di sbocco nel Mar del Nord (sulla linea Roma-Francoforte-Amsterdam, oppure Roma-Francoforte), l'aviazione germanica ottiene la possibilità di sfruttare una delle isole italiane del Dodecanneso come punto di appoggio aereo. La possibilità di sfruttare tale accordo contro la Gran Bretagna, tanto nel Mar del Nord che nel Mediterraneo, in caso di ulteriore rafforzamento del riavvicinamento e della collaborazione italo-germanica è fuor di dubbio. La questione mediterranea viene sempre a complicarsi con questo nuovo fattore.

Fra le diverse correnti politiche, militari e navali inglesi esistono forti dissensi sul modo di risolvere le difficoltà esistenti». Passando poi a parlare di una ipotetica possibilità di conflitto anglo-italiano, l'articolista sostiene la seguente tesi:

« È vero che gli accordi di mutuo appoggio fra la Gran Bretagna da una parte e la Francia e gli Stati dell'Intesa Balcanica dall'altra, ora, dopo la revoca delle sanzioni, sono stati dichiarati annullati. Senonchè, in caso di un nuovo acuirsi della tensione anglo-italiana, sarebbe assolutamente ovvio che

la Gran Bretagna possa contare per lo meno su una neutralità favorevole di tali Paesi. L'appoggio all'Italia da parte di uno qualsiasi di quei Paesi sarebbe assai poco probabile, poichè un ulteriore sviluppo dell'aggressione italiana creerebbe una minaccia ai loro propri interessi. In Egitto il governo britannico

cerca intanto di rafforzare le sue posizioni strategiche mediante una transazione coi nazionalisti egiziani.

Il punto centrale della politica britannica sta tuttavia non tanto in questi od altri tentativi diplomatici, ma nel febbrile aumento degli armamenti. Il richiamo dal Mediterraneo di singole navi e gruppi navali della flotta britannica, che erano trasferiti colà in connessione colla guerra itala-abissina, non significa che la flotta britannica mediterranea verrà ridotta alle misure del tonnellaggio del 1934. Indipendentemente da ciò, vengono altresì rafforzate tanto le unità principali della flotta, quanto quelle leggere. Il rafforzamento della flotta britannica è noto che si conduce a ritmi accelerati, e contemporaneamente anche le forze aeree inglesi si portano al livello stabilito l'anno scorso in connessione agli intensi armamenti aerei germanici.

In tal modo, di fronte a questi nuovi pericoli e difficoltà, l'Impero britannico cerca la propria salvezza in un vasto riarmo accelerato, ciò che costituisce il fattore basilare dell'odierna politica britannica e spiega gli zigzag talvolta contradditori della diplomazia inglese. Molte delle apparenti esitazioni trovano spiegazione nella necessità di dover guadagnar tempo».

Il giuoco sovietico è troppo chiaro perchè abbisogni di commento.

693.

L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 2475/967. Mosca, 6 agosto 1936 (per. il 10).

Gli avvenimenti di Spagna continuano ad essere seguiti da questi circoli dirigenti con enorme interesse e con preoccupazione ancora maggiore. Se, infatti, nei primi giorni della crisi spagnuola si sperava qui che essa potesse avere una rapida soluzione e che così si potessero evitare dei gravi contraccolpi internazionali, ormai il Kremlino si è rassegnato alla prospettiva di una lunga guerra civile e di un forse ancora più lungo periodo di anarchia in Spagna con le temute conseguenze di un aggiungersi di nuove incertezze alle molte dell'attuale situazione europea. In tale prospettiva, il Kremlino si è trovato in una situazione molto imbarazzante. L'ideologia comunista, la posizione di primo piano e per così dire di «punta» presa dalla Comintern nella costituzione dei cosidetti «fronti unici » antifascisti, richiedevano che Mosca parteggiasse apertamente per il Governo di Madrid contro i ribelli. A queste considerazioni internazionalistiche di partito, di per sè stesse non determinanti di fronte al freddo realismo di Stalin ed al «nazionalismo» russo di questi dirigenti, si aggiungevano peraltro anche delle considerazioni di politica estera date le non escluse ripercussioni della situazione spagnuola su quella francese. Ed è già troppo noto quale importanza rivesta ormai per l'URSS la carta francese nell'attuale serrato gioco internazionale...

Per contro, una attiva partecipazione dell'URSS alle faccende spagnuole non avrebbe mancato di provocare una adeguata reazione dell'opinione pubblica internazionale, in prima linea -forse -quella inglese, che avrebbe rischiato di compromettere i frutti raggiunti dalla paziente opera persuasiva di Litvinov. Tutto ciò, a prescindere dalla possibilità che una controffensiva degli « Stati fascisti » facesse precipitare la crisi incombente sull'Europa. E l'URSS teme sopratutto questa possibilità.

Nella classica situazione dell'asino di Buridano, il governo sovietico si è sforzato di compromettersi il meno possibile. L'iniziativa francese per un accordo di non intervento in Spagna è stata quindi accolta con vivissimo sollievo. Ed il commissariato degli Esteri, non appena ufficialmente richiestone, si è immediatamente affrettato a dare la sua adesione al passo francese fatto qui ieri al riguardo (mio telegramma odierno) (1). Poichè detto passo era stato evidentemente sollecitato dal desiderio espresso a Parigi -qui dicesi da parte dell'Italia e dell'Inghilterra -non è sembrato vero di poter «salvare la faccia» di fronte al comunismo internazionale e di quello spagnuolo in particolare, nell'avanzare le condizioni di una partecipazione al progettato accordo del Portogallo e della cessazione «degli aiuti dati ai ribelli da certi Stati».

Raggiunta così, in un modo «decente» la possibilità di evitare almeno provvisoriamente la temuta presa di posizione ufficiale rispetto alla situazione spagnuola, il Kremlino, sentendosi più al coperto, si è affrettato a sfruttare le altre possibilità offerte dalla stampa internazionale antibolscevica che ha accusato Mosca di aver avuto la mano in tutta la faccenda, per sferrare a sua volta una violentissima ignobile controffensiva di stampa contro i Paesi fascisti.

Mentre da una parte Mosca si è sempre sforzata di non apparire essa l'iniziatrice e di seguire soltanto l'iniziativa del Fronte Popolare francese -ovviamente lavoro della Comintern -d'altra parte si è provveduto ad organizzare nell'URSS una serie di clamorosi comizi (segnalati con varie Stetani), nei quali si è accusato a tutto spiano la Germania e l'Italia di connivenze con gli insorti spagnuoli, si è invocata la solidarietà internazionale e sovietica col «popolo spagnuolo » e col suo « Fronte Popolare » per la difesa di quella « repubblica democratica»!

Sono state in pari tempo promosse delle grandi collette di fondi per aiutare il proletariato di Spagna, nell'evidente intento di creare così un'apparenza di legittimità all'invio di somme nella penisola, mascheratura in cui le masse operaie sovietiche dovrebbero sostituire la longa manus della Comintern.

Tutti questi maneggi appaiono già evidenti, attraverso l'annunzio dato dalla Tass del versamento fatto alla Banca di Stato dell'URSS dal presidente dei sindacati professionali della somma di oltre dodici milioni di rubli -che sarebbero il frutto delle collette -da trasferirsi all'estero, al cambio ufficiale (ben 36 milioni di franchi francesi) a disposizione del signor Girai! Operazione questa, fruttuosa forse per il prestigio di Stalin presso il comunismo spagnuolo, ma gravosa per le finanze dello Stato che ci rimette altrettanta valuta estera....

53 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

La gazzarra antifascista ordinata dall'alto e congegnata con i noti metodi sovietici, da Mosca sta adesso dilagando per tutti i centri maggiori e minori dell'URSS. Secondo notizie stampa da Kiev, colà il nazismo ed il fascismo sono stati oltremodo attaccati. Tutte queste manifestazioni -cosidette spontanee si svolgono con uniforme programma.

Occorre rilevare come da molti anni il fascismo d'Italia non fosse stato mai attaccato pubblicamente nell'U.R.S.S. come in questi ultimi giorni. Neanche nei peggiori momenti di frizione itala-sovietica in relazione al conflitto abissino si era qui giunti a tanto. Evidentemente su questi attacchi avrà influito la sensazione che va qui creandosi di una identità di posizioni dell'Italia e della Germania nella questione spagnuola. È possibile anche che i dirigenti sovietici abbiano lasciato fare in questi giorni nell'impressione che l'antinomia ideologica tra l'Italia e l'U.R.S.S. consentisse liberamente questi bassi sfoghi antifascisti della plebaglia sovietica, in una questione, in fondo, di lotta tra i due opposti regimi e che non investirebbe direttamente i due Paesi.

Peraltro si potrebbe forse ravvisare una certa resipiscenza del Kremlino nel fatto che una persona notoriamente vicina a queste sfere dirigenti, dopo aver vivamente insistito per vedermi subito, è venuta a dirmi espressamente che le manifestazioni di questi giorni non avrebbero dovuto essere interpretate come segno di un indirizzo ostile dell'U.R.S.S. nei confronti dell'Italia (si cfr. il mio telegramma odierno) (1). Gli ho naturalmente risposto quanto si meritava (2).

(l) Vedi p. 427, nota 2.

(l) T. 7735/154 R. del 7 agosto, ore 0,39, non pubblicato.

694

IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7770/50 R. Lisbona, 7 agosto 1936, ore 21,20 (per. ore 0,30 dell'B).

Questo segretario generale degli Affari Esteri mi ha informato con preghiera di darne conoscenza a V. E. che questo ministro di Francia e questo incaricato d'affari di Gran Bretagna hanno invitato Governo portoghese partecipare accordo non fornire armi e munizioni due partiti spagnuoli in base dichiarazione non intervento questione interna spagnuola. Tale impegno dovrebbe essere al più presto assunto Potenze maggiormente interessate ed esteso anche ad altre in seguito.

Governo portoghese, nel dichiarare che avrebbe esaminato proposta e risposto appena possibile, ha fatto presente sembrare strano che, mentre impegni presi

dalle Potenze maggiormente interessate, altre Potenze erano lasciate libere agire contro gli interessi degli Stati che tale impegno avevano preso.

Governo portoghese ha fatto osservare crisi interne spagnuole hanno sempre coinvolto interessi internazionali; chiedeva rispetto neutralità zona Tangeri fosse compreso impegni e se dichiarando non voler intervenire fra le parti in contrasto si aveva tacita intenzione riconoscere come belligerante il Governo provvisorio di Burgos. Ma specialmente Governo portoghese doveva richiamare attenzione sul fatto che, fra i partiti che costituiscono Fronte Popolare spagnuolo, sono sostenitori costituzione federazione Penisola Iberica, comprendente Portogallo, e che quindi vittoria Fronte Popolare spagnuolo poteva far temere che si volesse realizzare tale programma e metteva in pericolo stessa indipendenza Stato portoghese. Un impegno preciso nel senso richiesto Francia e Inghilterra, avrebbe tolto ogni libertà movimento Portogallo in caso di tale pericolo.

Evidentemente Governo Portogallo, pur avendo poche armi e munizioni da fornire rivoltosi spagnuoli, non vorrebbe perdere libertà sue mosse e vorrebbe più precisi impegni difesa in caso pericolo comunista specialmente dalla sua Grande Alleata. A quello che mi risulta questo ministro degli Affari Esteri ha potuto avere a Londra soltanto generici affidamenti fede trattato di alleanza.

Ma pericolo non consiste in una aggressione spagnola nel caso vittoria comunista, ~!la in moti rivoluzionari scoppiati in Portogallo e aiutati con tutti i mezzi da Madrid. In tal caso qui si teme dichiarazione ufficiale Inghilterra per non opporsi apertamente Fronte Popolare francese e Governo comunista potrebbe considerare un moto portoghese come oggi considera quello spagnuolo, una questione interna in cui essa non ha ragione di intervenire. Ecco perchè lotta spagnuola è qui seguita con ansia e tutti gli occhi sono rivolti sull'Italia, di cui si teme risentimento per l'atteggiamento a noi così ostile della stampa portoghese durante conflitto itala-etiopico.

(l) -Si riferisce con tutta probabilità al T. 7641/152 R. che però è del 5 agosto. Nel telegramma si dava notizia di articoli della stampa sovietica che accusavano il fascismo e il nazismo di appoggiare gli insorti spagnoli con finalità espansionistiche e l'Italia di volersi assicurare delle basi nel Marocco spagnolo in funzione antibrltannica. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
695

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE S. 7747/501 R. Parigi, 7 agosto 1936, ore 22,15 (per. ore 0,30 dell'B).

Faccio seguito al mio telegramma n. 500 (1).

Ambasciatore di Germania mi ha detto essere informato che sono in questi giorni in partenza da Odessa diretti Spagna tre grossi piroscafi sovietici con carico armi munizioni e gas tossici destinati alle truppe del Governo di Madrid.

(l) T. 7763/500 R. in pari data, non pubblicato. Riferiva che, secondo quanto confidato dall'ambasciatore di Germania, il governo tedesco intendeva rispondere negativamente ad una nota del governo di Madrid con la quale si notificava che le acque territoriali spagnole prospicenti le coste controllate dagli insorti erano da considerarsi zona di operazioni belliche e come tale inibite alla navigazione.

696

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLl, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7779/143 R. Atene, 7 agosto 1936, ore 23,05 (per. ore 7,25 dell'B).

Suo 75 (1).

Atteggiamento tenuto personalmente da Metaxas durante ultimi mesi è da considerarsi favorevole nei nostri riguardi. Tale mia opinione si fonda sui seguenti dati di fatto:

l) Stampa. Fin dal suo arrivo al potere Metaxas ha cercato di porre argine alla campagna antitaliana della stampa greca. Su mia segnalazione e, in alcuni casi, spontaneamente egli ha denunziato autorità giudiziaria e fatto condannare alcuni giornali contenenti ingiurie alla persona del Duce ed all'Italia (mio telegramma 82 e miei telegrammi per corriere 026 e 046) (2).

2) Patto balcanico e conferenze di Belgrado del maggio scorso. Metaxas ha messo in chiaro la posizione della Grecia di fronte al Patto ma anche ed ha fatto accettare dagli altri alleati balcanici il suo punto di vista che esclude la partecipazione greca in qualsiasi conflitto balcanico cui fosse coinvolta l'Italia, da sola o come alleata dell'Albania (miei telegrammi 83 e 88 (3) e mio telegramma per corriere 24) (4). Dopo le continue menzogne e tergiversazioni dei vari Massimos, Condilis e Teotokis su tale argomento, l'atteggiamento di Metaxas nei nostri riguardi non può non essere iscritto al suo attivo.

3) Accordi di assistenza mediterranea con l'Inghilterra in relazione articolo 16 Patto S.d.N. Il primo ministro presente a nome della Grecia è stato il primo degli uomini di governo balcanici a dichiararla decaduta ed ha ciò fatto subito e senza consultare né Inghilterra né altri alleati balcanici (mio telegramma 120) (5).

4) Questioni di carattere amministrativo. In questi ultimi tempi ho potuto risolvere con Metaxas cinque questioni di carattere non strettamente politico che ci stavano molto a cuore e che da mesi attendevano soluzione (mio telespresso 70D del 18 luglio scorso, mio telegramma 123 e mio telegramma per corriere 055) (2). Alcune di esse, come quella del ritorno in Grecia del padre Cirillo e quella della frequenza degli alunni albanesi alla nostra scuola secondaria di Corfù rischiavano di diventare assai gravi e debbo onestamente riconoscere che nel trattare personalmente tali questioni col Metaxas ho riscon

trato in lui comprensione ed arrendevolezza che non avevo mai trovato né nei suoi predecessori né negli uffici del ministero Esteri ellenico.

Da quanto precede e da varie conversazioni private avute col Metaxas, nelle quali egli si è sempre espresso con grande ammirazione verso il Duce e l'Italia fascista, anche quando il suo Paese scontava la sconfitta italiana nel conflitto abissino e nella controversia itala-inglese, debbo dedurre che i di lui sentimenti verso l'Italia sono di amicizia e di ponderazione. Aggiungo che Metaxas che è stato in esilio in Italia, mi ha spesso parlato con gratitudine della ospitalità da noi allora accordatagli.

Salvo pertanto la prudenziale riserva consigliata dalla « fede » della sua nazionalità, il mio giudizio sull'atteggiamento e sui sentimenti del Metaxas nei nostri riguardi è favorevole.

(l) -Vedi D. 688. (2) -Non pubblicati. (3) -Vedi serie ottava, vol. III, DD. 829 e 865. (4) -Vedi D. 30. (5) -Vedi D. 532.
697

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN (l)

APPUNTO. Roma, 7 agosto 1936.

L'Ambasciatore di Francia mi ha questa mattina rimesso il qui unito progetto di dichiarazione (2) che dovrebbe impegnare i Governi firmatari a mantenere la neutralità nei confronti della Spagna. Mi ha detto che dovrebbero fin da un primo momento aderire a tale progetto sei Paesi e cioè: Francia, Italia, Inghilterra, Germania, Portogallo e Russia.

Per quanto concerne i quesiti fatti da noi nella nostra risposta (3), l'Ambasciatore mi ha detto che praticamente i punti 3 e 4 trovavano già la loro risposta nel progetto di dichiarazione, e che comunque il Governo francese era pronto ad esaminare ogni modifica o suggerimento che potesse venire da parte del Governo fascista.

Per quanto concerne invece il punto 2, l'Ambasciatore ha detto «che il Governo francese non disconosce l'importanza delle manifestazioni di solidarietà morale di cui il Governo fascista si preoccupa: ma osserva però che tali manifestazioni si producono nei due sensi e che pare difficile considerarle in una dichiarazione che ha e deve avere un carattere essenzialmente pratico».

Ho detto all'Ambasciatore che facevo le più ampie riserve su questa sua risposta la quale non veniva a far conoscere il preciso punto di vista sulla questione sottoposta dal Governo fascista al Governo francese. La risposta che egli mi dava eludeva praticamente lo scopo della nostra domanda: quello cioè

di procedere a un disarmo degli spiriti considerato da noi altrettanto e forse più necessario dell'embargo sulle armi. Premesse queste riserve, ho detto che avrei fatto conoscere al Duce quanto precede e avrei dato una risposta appena possibile ( 1).

(l) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 54-55.

(2) -Non pubblicato. Per il testo si veda DDF, serie seconda, vol. III, D. 83, allegato. (3) -Vedi p. 750, nota l.
698

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1632/732. Istanbul, 7 agosto 1936 (per. il 19).

Ora che le intese mediterranee del dicembre 35 sono state dichiarate decadute da parte di tutte le Potenze contraenti, giova fissarne sinteticamente, non foss'altro che a titolo documentario, le diverse fasi di sviluppo in ordine di tempo, e ricapitolare talune considerazioni d'ordine generale da me svolte mano a mano circa l'azione della politica estera turca in quest'ultimo anno nei particolari riguardi del conflitto itala-etiopico e della situazione mediterranea.

È noto che l'articolo 16 del patto della S.d.N., il quale tratta del ricorso alla guerra da parte di uno Stato membro contrariamente agli impegni di cui all'art. 12, 13 o 15, e stabilisce che lo stesso viene ipso facto considerato aver commesso un atto di guerra contro tutti gli altrì membri della Società, enuncia al suo paragrafo 3 che «Les membres de la Societé conviennent, en outre, de se préter l'un à l'autre un mutue! appui dans l'application des mesures économiques et financières à prendre en vertu du présent article pour réduire au minimum les pertes et les inconvénients qui peuvent en résulter. Ils se prétent également un mutue! appui pour résister à toute mesure spéciale dirigée contre l'un d'eux par l'État en rupture du Pacte ».

Il 19 dicembre, nel corso dei vivaci dibattiti cui dà luogo il discorso del ministro Hoare alla Camera dei Comuni, il Cancelliere dello Scacchiere, Neville Chamberlain, rispondendo alla interrogazione di un deputato laburista, ammette che, affacciatesi le difficoltà circa l'applicazione delle sanzioni, il governo inglese ha chiesto alle Potenze mediterranee quale sarebbe il loro atteggiamento di fronte ad un attacco dell'Italia contro la flotta britannica e, premesso che particolare importanza rivestiva la risposta francese, smentisce in modo reciso che talune potenze non abbiano risposto affermativamente. È questa la prima pubblica rivelazione dell'esistenza di intese mediterranee promosse dall'Inghilterra, consenzienti Francia, Turchia, Jugoslavia e Grecia, in funzione antitaliana; rivelazione che viene qui accolta con evidente dìsappunto, perché in ovvio contrasto col patto di amicizia italo-turco (2). La richiesta inglese ha avuto presumibilmente luogo il 7 o 8 dicembre e la risposta turca è stata data il 12: lo scambio di note non è stato neppure sospettato in questi ambienti, per quanto

fossero stati notati frequenti contatti tra questo ambasciatore d'Inghilterra e il presidente del Consiglio Ismet Inanti. Peraltro un sintomo della nuova situazione è costituito proprio in quell'epoca (17 dicembre) da una intervista concessa da Ismet pascià al corrispondente del Daily Telegraph, in cui egli esprime profonda soddisfazione per la conformità delle politiche inglese e turca, e formula auguri per il sempre maggiore riavvicinamento fra i due Paesi.

Il 21 dicembre chiedo di mia iniziativa prima al segretario generale degli Esteri, e poi al presidente del Consiglio ed al ministro degli Esteri a.i. chiarimenti circa la portata del passo inglese e della risposta turca (1), attenendone spiegazioni ispirate a principi societari e dirette a far apparire gli accordi di mutua assistenza come conseguenza ineluttabile dell'applicazione delle sanzioni. Il 30 dicembre, su istruzioni dell'E. V., domando al governo turco di far conoscere come esso intende regolarsi, rispetto al vigente patto di amicizia, in presenza della nota britannica (2). Mi si assicura prima verbalmente, per bocca del segretario generale Numan prima e poi del ministro degli Esteri Aras, che la risposta turca, avendo escluso le sanzioni militari propriamente dette e non contenendo che la parafrasi dell'art. 16 al n. 3, vuol restare nel campo teorico e societario, non intendendo la Turchia apparire e rispondere come un'alleata dell'Inghilterra; e poi per iscritto, soltanto il 15 gennaio, ad onta delle premure da me fatte, e previa consultazione cogli altri Stati dell'Intesa Balcanica. La risposta stessa respinge il principio dell'automatismo rispetto all'alinea due paragrafo 16 e, richiamandosi alla definizione dell'aggressore, afferma non esistere incompatibilità fra il patto di amicizia italo-turco e l'osservanza degli impegni del Covenant. Essa afferma in pari tempo che la solidarietà societaria di cui al punto 3 dell'art. 16 è parte integrante delle sanzioni economiche, e che l'azione collettiva di difesa non rientra nelle eventualità contemplate dagli articoli l e 2 del trattato di amicizia; essa conclude che un attacco italiano contro qualsiasi Potenza societaria per effetto dell'applicazione delle sanzioni non abbisogna di «apprezzamento». Con ciò «il governo turco ritiene dare la prova più sicura della sua fedeltà all'amicizia con l'Italia ».

Il 22 gennaio, in un memorandum al Comitato di coordinamento (3), il ministro Eden annuncia fra l'altro che il Governo britannico, previe conversazioni con quello francese, ha proceduto agli inizi del dicembre ad inchieste similari presso i governi greco, turco e jugoslavo. Le risposte dei tre Paesi -dice il memorandum -sono state tali da non lasciare alcun dubbio circa la fedeltà con la quale gli stessi sono disposti ad adempiere agli impegni derivanti dall'art. 16. Il governo turco -in esso è detto -ha chiesto ulteriormente, in cambio, le stesse assicurazioni al governo di S. M., che ha aderito alla richiesta: analoghe assicurazioni sono state date al governo ellenico e jugoslavo.

Il 23 gennaio presento, come prescrittomi dall'E. V., una nota di protesta (4) contro le intese intervenute con l'Inghilterra, assicurando ancora una volta nel modo più formale che l'azione del R. Governo, a carattere del tutto coloniale e dovuta a ragioni già ampiamente documentate, non vuol costituire e

non costituirà mai una minaccia per la pace europea. Con nota del 14 febbraio il Governo turco risponde ritenere che le ragioni dell'adesione turca alla richiesta britannica sono già state sufficientemente chiarite nelle precedenti comunicazioni. Prendendo atto che la risposta turca non invoca alcun argomento alle osservazioni avanzate, dichiaro con nota del 28 febbraio che il R. Governo mantiene il proprio punto di vista circa l'azione e le intese navali promosse dal Governo inglese nel Mediterraneo e si riserva di risollevare la questione in luogo e momento che giudicherà migliori.

Da notarsi parallelamente: il telegramma di Aras in occasione della morte di Re Giorgio (che termina: «c'est sous Son règne que nous avons pu liquider tous les conflits et établir avec la Grande Bretagne les bases d'une franche et loyale amitié ) ; ma sopratutto la provata presenza di ufficiali di artiglieria, aviazione e marina britannici in Turchia, specie nella zona di Smirne, presenza per la quale ebbi una tardiva ed incompleta spiegazione dal segretario generale agli Affari Esteri e che era una sostanziale ammissione.

Risoltosi vittoriosamente il conflitto itala-etiopico grazie alla potenza delle armi italiane, si crea un incoercibile stato di fatto che nessuna Potenza può ignorare ed alla quale prima o poi tutti gli Stati sanzionisti devono adattarsi.

Se questo è il fatale corso degli eventi quale si profila dopo il trionfo italiano in A.O. la Turchia però si preoccupa della fine possibile delle intese di mutua garanzia in Mediterraneo, intese alle quali essa vorrebbe dare carattere permanente per passare da esse, a carattere specificamente antitaliano, ad un patto mediterraneo che comprenda l'Italia e ne vincoli ogni possibilità espansionista nel suo più grande mare. Risulta infatti in modo inoppugnabile che a Ginevra il ministro Aras, nei primi di giugno, chiede ad Eden di prolungare i patti di assistenza oltre la fine delle sanzioni preveduta per la prossima assemblea, e gli chiede di impegnarsi a non intavolare alcun accordo di carattere mediterraneo con l'Italia senza la conoscenza turca. Il ministro Eden assente.

Il 18 giugno il Ministro Eden, che delle sanzioni è stato il più strenuo propugnatore, riconosce pubblicamente alla Camera dei Comuni che le sanzioni non hanno raggiunto il loro scopo e che quindi il governo britannico intende proporne l'abolizione alla S.d.N. A proposito degli accordi mediterranei il ministro, in conformità delle assicurazioni date ad Aras, dice ritenere che essi non dovrebbero cadere con la levata delle sanzioni ma continuare ad esistere durante il periodo di incertezza che deve necessariamente seguire ogni fine eventuale dell'azione contemplata dall'articolo 16 del Patto. Beninteso, aggiunge Eden, io considero che le eventualità contemplate dalle accennate assicurazioni siano non solo ipotetiche ma improbabili (1). Lo stesso Eden dichiara il 1° luglio alla S.d.N., richiamandosi al memorandum del 22 gennaio, che il governo britannico è d'avviso che le assicurazioni da esso date ai Paesi mediterranei dovrebbero continuare a coprire il periodo temporaneo di incertezza che potrebbe seguire la levata delle sanzioni.

Intanto il 7 luglio, all'ambasciatore Grandi che lo intrattiene sull'argomento, Vansittart assicura che le dichiarazioni di Eden all'Assemblea della

S.d.N. non si devono intendere nel senso che gli accordi di mutua assistenza restano in vigore, ma che il governo britannico, con un gesto che ha carattere puramente unilaterale, e che è stato fatto senza consultare gli Stati interessati, ha voluto dare ad alcuni Paesi mediterranei l'assicurazione verbale che qualora l'Italia iniziasse contro di loro un'azione di rappresaglia armata l'Inghilterra li soccorrerebbe (1). Assicurazioni, dunque, a carattere unilaterale e provvisorio, e comunque limitate al solo caso di attacco come rappresaglia per l'applicazione delle sanzioni o di impellenti necessità sanzionistiche. Vansittart esclude quindi, su diretta domanda dell'ambasciatore, che detti accordi possano essere prolungati e tanto meno resi permanenti.

Il 9 luglio, d'ordine dell'E.V., chiedo a questo Governo di precisare il proprio punto di vista circa le dichiarazioni di Eden. In un lungo colloquio (13 luglio) con il ministro degli Esteri a i. (Aras è a Montreux) espongo il punto di vista italiano sull'argomento (2). Il 15 l'ufficiosa Agenzia d'Anatolia pubblica una notizia, proveniente da Londra, secondo la quale le intese di mutua assistenza mediterranea decadono contemporaneamente all'abolizione delle sanzioni: nessun cenno è fatto alle dichiarazioni unilaterali britanniche. Il 16 espongo al ministro a.i. che il R. Governo, desideroso di considerare il periodo sanzionista definitivamente tramontato e di collaborare con spirito di mutua fiducia e collaborazione alla politica europea, riconferma alla Turchia i propri sentimenti e dichiara solamente che si atterrà al patto di amicizia in vigore. Il 17 mi incontro con Ismet (3) e questi mi assicura in modo esplicito che gli accordi del dicembre sono finiti e che la Turchia non chiede e non sente il bisogno di alcuna garanzia da parte di un terzo Stato, paga delle assicurazioni italiane. Il 18 luglio l'Agenzia d'Anatolia pubblica invece una notizia da Ankara secondo cui negli ambienti bene informati si crede sapere che, scaduti gli accordi bilaterali del dicembre 35 in seguito alla fine delle sanzioni, durante il periodo di incertezza che segue all'abolizione stessa le assicurazioni della Turchia nei riguardi dell'Inghilterra continueranno a sussistere unilateralmente.

Il 21 luglio l'Agenzia d'Anatolia pubblica una corrispondenza da Parigi in cui è detto che da fonte italiana si annunzia che la Turchia ha comunicato al

R. Governo che essa considera annullati gli accordi mediterranei e in una sua nota aggiunge: «a quanto sa l'Agenzia d'Anatolia, le assicurazioni date nel dicembre 35 continuano unilateralmente da parte della Turchia verso l'Inghilterra».

Alla stessa data mi viene rimesso un memorandum (4) nel quale è detto che il Governo della Repubblica, pur ritenendo ipotetiche e improbabili le eventualità, durante il periodo che segue la levata delle sanzioni, dei casi considerati dalle note assicurazioni, considera tuttavia che le assicurazioni della Turchia verso la Grande Bretagna continuano ad esistere unilateralmente. In altri termini l'accordo bilaterale si sarebbe scisso per volere delle parti contraenti in due accordi unilaterali.

Chieste spiegazioni al ministro a.i. (22 luglio) ne ottengo risposte imbarazzate e evasive (1). Tornato Aras da Montreux, gli faccio il 25 luglio esplicite rimostranze per l'equivoco atteggiamento turco. Egli obbietta sostenendo la legittimità e onestà della dichiarazione unilaterale di garanzia da parte turca e mi dice che non la ritirerà sino all'assemblea di settembre anche se l'Inghilterra dovesse nel frattempo ritirare la sua (2).

Il 27 luglio il ministro Eden, di fronte alla nuova situazione creatasi, alla quale non è estraneo il vivo desiderio francese di far partecipare l'Italia alle imminenti riunioni locarniane, dichiara ai Comuni che il periodo di incertezze è finito e che perciò sono finite anche le dichiarazioni unilaterali (3). Ad onta di ciò, a conferma degli stretti legami esistenti fra Turchia e Inghilterra nella questione mediterranea e nel nuovo regime degli Stretti, Eden è in grado di aggiungere «non esservi dubbio che il risultato della conferenza di Montreux è stato un'intesa più stretta e più cordiale fra i Governi britannico e turco». Peraltro lo stesso Eden, in occasione della firma della convenzione di Montreux, ha espresso in un suo telegramma ad Aras la speranza «che l'avvenimento segnerà l'inizio di un nuovo periodo di amicizia e di stretta cooperazione fra i due Paesi ». E Aras gli risponde (28 luglio) affermando «che la collaborazione avuta a Montreux con i delegati britannici è pegno prezioso della sincera amicizia che regna fra i due paesi e del costante sviluppo della loro cooperazione».

Il 31 luglio il ministro Aras nel suo discorso alla G.A.N., riunitasi in via straordinaria per l'approvazione del testo della convenzione di Montreux, dichiara che la Turchia, dopo le note dichiarazioni di Eden ai Comuni, non può non considerare decaduta anche da parte sua l'assicurazione unilaterale verso l'Inghilterra. Aras menziona le mie dichiarazioni circa i migliorati rapporti italainglesi facendole apparire come una delle cause della decadenza degli accordi mediterranei. Da notarsi a questo proposito la differenza di calore fra l'accenno di Aras al patto di amicizia italo-turco «che continua a produrre interamente i suoi effetti » e quello che riguarda le relazioni di cordiale e fiduciosa amicizia esistenti fra Turchia e Gran Bretagna.

* * *

Il riassunto esposto a V. E. permette di seguire con sicurezza interpretativa quello che è il preciso sentimento turco nei nostri riguardi di fronte alla prevedibilità di un nostro ulteriore sviluppo di potenza mediterranea.

Mira costante della Turchia fu impedire che l'attuale equilibrio mediterraneo fosse spostato a nostro vantaggio. Vero è che le vicende del conflitto italaabissino hanno rivelato che lo spostamento esisteva già e conteneva una nostra sicura prevalenza determinata dalla nostra posizione strategica centrale, rafforzata dall'incremento dei mezzi aerei e navali fortemente potenziati dal Regime. Tale funzione italiana prevalente specialmente nel Mediterraneo centrale ed orientale, ha suscitato un vero e proprio panico nel governo turco. La verità

che il genio profetico di Douhet aveva intuito indicandola come uno degli elementi determinanti che avrebbero ridato all'Italia tutta la sua legittima fun-zione mediterranea, realizzata come lo è stato dal Regime, ha provato il già avvenuto spostamento di equilibrio che ha immobilizzato l'Inghilterra.

Questa ha cercato ristabilirlo e cercherà ancora con aumento di basi strategiche, e con incremento effettivo di forza. Ma poiché il potenziamento militare italiano non si arresta, la posizione strategica che consente all'Italia manovra interna in Mediterraneo, la quale è sempre superiore alla esterna, può fare, come fa, sempre temere che l'Italia raggiunga una progressiva prevalente situa

zione di potenza, dalla quale la Turchia si sente direttamente minacciata. È questo futuro timore che ha fatto ricercare alla Turchia, come naturale alleata, la amicizia inglese.

E perciò, manifestatasi l'opposizione britannica alle rivendicazioni dell'Italia in Etiopia, avvalendosi dell'interesse britannico ed a porre immediato rimedio alla rottura di equilibrio rivelatasi inattesamente ed a consolidare anche per il futuro la sua situazione mediterranea, Ankara si è subito aggrappata alla possibità di una intesa con Londra. Ed essa ispirandosi ad interessi di più vasta portata e dimenticate le relazioni ostili della grande guerra anzi la precisa volontà inglese di distruzione della Turchia che aveva animato fino al '22 la politica britannica, poté passare d'un tratto da rapporti di indifferente freddezza a quelli di calda e confidente amicizia.

Aderendo pertanto prontamente alla domanda inglese di mutua assistenza e costituendo un primo embrione di patto di sicurezza mediterranea destinato nel pensiero turco a svilupparsi in altre forme a carattere definitivo e permanente, la Turchia ha creduto raggiungere le sue particolari finalità per la intangibilità delle sue coste mediterranee e del territorio anatolico, a) con l'ostacolare lo sviluppo di una intesa franco-italiana, b) col portare il suo contributo strategico a favore dell'Inghilterra sì da assicurarne il successo in caso di conflitto itala-britannico.

Fu affermato che nel riavvicinamento turco-inglese vi fosse come compenso la adesione inglese al riarmo degli Stretti. È difficile pensare che la Turchia sarebbe andata alla conferenza di Montreux senza la sicurezza di tale adesione.

In ogni modo nel primo periodo della conferenza fu chiaro che se l'Inghilterra aveva dato il consenso al riarmo, la Turchia dal canto suo aveva promesso il suo appoggio alla tesi inglese per il passaggio delle navi da guerra. Svoltesi poi le discussioni fino al punto in cui Londra ha interamente capitolato di fronte alla volontà sovietica, la Turchia ha sentito più che mai la necessità di una durevole intesa con l'Inghilterra, sia per dare comunque a Londra qualche prova della rinnovata amicizia, sia per legare quanto più possibile a sé la politica inglese unicamente in funzione difensiva dal pericolo italiano.

È questo il motivo principale per il quale la Turchia cercava di far durare le intese mediterranee quanto più a lungo possibile, anche oltre la durata delle sanzioni. E cosi essa ha offerto concreta prova di essere o credere di essere interessata a mantenere il meccanismo creato in funzione antitaliana, nonostante il pronto abbandono delle medesime intese da parte della Francia ed anche nonostante l'atteggiamento greco ed jugoslavo ben più pronto del turco.

Sull'Inghilterra, per indurla a resistere, Aras si è valso delle stesse armi ed argomentazioni di cui Londra a suo tempo si era servita su di lui.

Per l'incoercibile pressione degli avvenimenti, per la necessità inglese, cui si aggiungono ogni giorno ragioni nuove, di arrivare rapidamente ad una distensione con l'Italia (sia o no questa distensione soltanto tattica, solo gli· avvenimenti potranno dirlo in seguito di tempo) anche le garanzie unilaterali sono finite. Ma sarebbe estremamente incauto da parte mia affermare che per i turchi si tratti di una vera e propria rinuncia reale e sostanziale. Per il governo turco la dichiarazione pronunciata da Aras ad Ankara il 21 luglio è puramente formale. Il valore ed il significato della rinuncia è nettamente fissato dalle dichiarazioni e dalle affermazioni reciproche di Eden e di Aras e che V. E. ha potuto leggere qui sopra.

Col sentimento generico del pericolo generale che minaccia l'Europa, non è certo diminuito quello specifico della possibilità che le ambizioni italiane sull'Anatolia possano prima o poi riaffacciarsi. Contro di esse vi sono due mezzi

di difesa. Il primo: legare e vincolare l'Italia in un sistema di garanzie reciproche e di mutue difese in Mediterraneo; il secondo (che appare di gran lunga il più sicuro): di attaccarsi a quella Potenza che possa sentirsi più minacciata da un aumento di potenza italiana in Mediterraneo e dall'accrescimento di suo dominio territoriale in questo mare.

Nel pensiero turco l'Inghilterra è delle grandi Potenze europee la più minacciata da un ulteriore sviluppo italiano. Ed è perciò che la Turchia si rivolge a Londra con le più calde dichiarazioni di profonda amicizia. E come si mostrò nella primavera scorsa pronta a porre i suoi porti ed i suoi campi di aviazione a servizio delle forze aeree e navali inglesi, cosi man mano che le sue forze militari si accresceranno sarà disposta a mettere anche queste contro di noi in unione a quelle che l'Inghilterra volesse o credesse impegnare contro l'Italia in un eventuale futuro ipotetico conflitto mediterraneo.

Sta quindi soltanto alla volontà ed alla politica inglese di utilizzare o no

in una ipotesi avvenire le disponibilità e le forze turche. La azione turca deve

essere quindi oggi considerata in relazione di stretta dipendenza con la inglese,

per quanto si riferisce ai rapporti con l'Italia.

Il fulcro del pensiero turco, il minimo comune denominatore al quale esso

riduce tutte le questioni e tutti gli avvenimenti politici è d'altronde sempre

uno: di quanto la forza italiana è accresciuta od indebolita, come e quando

l'Italia potrà meglio impiegare la sua forza contro la Turchia per impadronirsi

di una zona anatolica.

Vegga l'E. V. quanto Aras ha dichiarato al ministro di Ungheria (mio tele

gramma per corriere n. 9 del 6 corr.) (1). «Se la Germania stringe precisi patti

con l'Italia, la Turchia ne vuole identici altrimenti cedendo alle pressioni franco

sovietiche si metterà indirettamente nel campo avverso alla Germania». Tale

ridicolo minaccioso ricatto deriva direttamente e palesemente dalla paura del

l'Italia. Cioè, od essere inclusa nel quadro diplomatico delle intese itala-germa

niche quindi da esse difesa, oppure nel gruppo che opponendo la sua forza

militare alla Germania la opporrà anche all'Italia che in caso di conflitto generale cercherebbe compensi territoriali in Anatolia.

* * *

Tutto questo non esclude che cessato il regime sanzionista, dichiarate decadute le intese mediterranee, non si debba da parte nostra a mio subordinato avviso, _tentare ogni sforzo ed adoperare ogni mezzo per migliorare le nostre relazioni politiche con la Turchia in ogni possibile direzione e sfruttando ogni occasione, ed impiegando ogni forma di utile attività. Ed è certo anche possibile che si abbiano ad avere risultati e successi. Col consenso, con l'appoggio di V. E. ed eseguendo quelle istruzioni che mi saranno man mano impartite, cercherò di adoperarmivici nel modo più tenace e fermo.

Ma mi preme dire quello che è il mio pensiero costante e fondamentale quando si vengono a considerare i rapporti itala-turchi sul piano storico: ogni ulteriore sviluppo che si potrà dare ai rapporti itala-turchi sulla base del vigente patto di amicizia non avrà e non potrà avere che un significato ed una portata limitati e temporanei e non potrà mai penetrare in profondità, nè essere duraturo. Sospetti, inquietudini e timori non potranno essere mai cancellati totalmente. Vi è nel sentimento turco la convinzione che ogni ulte

riore sviluppo di potenza italiana avvicina sempre più ineluttabilmente la soluzione del problema fra l'Italia e la Turchia (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Vedi p. 16, nota 2. (l) -Vedi serie ottava, vol. II, D. 897. (2) -Ibid., D. 930.

(3) Vedi Il conflitto itala-etiopico, pp. 305-308.

(4) Vedi serie ottava, vol. III, D. 113.

(l) Vedi p. 364, nota l.

(l) -Vedi D. 497 dal quale peraltro risulta che il colloquio ebbe luogo il 9 luglio. (2) -Vedi D. 515. (3) -Vedi D. 560. (4) -Vedi D. 588. (l) -Vedi D. 590. (2) -Vedi D. 618. (3) -Vedi D. 639.

(l) Vedi D. 690.

699

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. s. 2507/665. Londra, 7 agosto 1936 (per. l'B).

Faccio seguito al mio rapporto n. 2497/661 (2). I due fiduciari del generale Mola a Londra, marchese Portago, e ing. La Cierva, si sono messi in rapporto con me attraverso il signor Villaverde, segretario dell'ambasciata di Spagna che ha dato di recente le sue dimissioni. Essi mi hanno consegnato copia di un telegramma ricevuto avant'ieri dall'ambasciata di Spagna a Londra e che contiene gli ordinativi di munizioni che il Governo spagnolo ha collocato presso la ditta Hotchkiss. Accludo qui copia di tale telegramma che ha tanto maggior interesse in quanto il Governo spagnolo richiede una fornitura di proiettili esplodenti e dilaceranti (3).

Il signor Villaverde mi ha anche informato che questa ambasciata di Spagna ha avvicinato per ordine del suo Governo, la ditta Vicker Armstrong per ottenere una fornitura di spolette, ma la ditta Wicker Armstrong ha risposto facendo tante difficoltà da dare l'impressione che essa non abbia nessuna intenzione di fare la fornitura. Egli mi ha detto che comunque nessuna autorizzazione è stata finora chiesta al Governo britannico.

L'ing. La Cierva mi ha poi informato che egli ha proc.eduto all'acquisto di numerosi aeroplani che entro la settimana ventura e esattamente entro il giorno 14, saranno inviati al generale Mola. Egli mi ha detto che con questo acquisto egli aveva sottratto al mercato tutti gli aeroplani disponibili in questo momento in Inghilterra e che se il Governo spagnolo ne volesse comperare per suo conto, non ne troverebbe più. Mi ha aggiunto che da parte delle autorità britanniche gli sono state concesse tutte le facilitazioni, benché le autorità britanniche sappiano benissimo che gli aeroplani sono destinati ai rivoluzionari. L'ing. La Cierva è ora preoccupato che in seguito alla proposta francese il Governo britannico emetta un decreto col quale proibisca l'esportazione degli apparecchi civili. Egli quindi sta studiando il sistema di far apparire questi aeroplani come acquistati per conto di un altro Paese, per esempio la Svezia, e cercare lo stesso di esportarli dall"Inghilterra. Mi ha aggiunto che se intanto

i negoziati per gli accordi sulla neutralità si prolungheranno di qualche giorno, egli spera di poter fare in tempo a far partire gli aeroplani prima di un eventuale embargo.

L'ing. La Cierva mi ha anche informato che il marchese Luca de Tena e il signor Vietar Urrutia partiti da Roma per Marienbad in aeroplano sono stati fermati a Marienbad dalle autorità cecoslovacche. Il La Cierva si con

tinuerà a mantenere con tutta riservatezza in rapporto con me per fornirmi tutte le informazioni che egli raccoglierà sulle attività spagnole a Londra (1).

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Non pubblicato. (3) -Il documento non è stato rinvenuto ma il giorno successivo Vitetti telegrafava: «Trasmetto per corriere aereo che giungerà costì stasera, documento dal quale risultano ordinativi per ingenti quantità armi e munizioni passati dal Governo Madrid alla ditta francese Hotchkiss. Si tratta di mitragliatr.ici e di circa un milione e mezzo cartucce. Materiale dovrebbe essere spedito per ferrovia a Port Bou e di là inviato Barcellona. Ordinativi vengono dati a Parigi attraverso commissione navale tecnica spagnuola che ha sede a Londra. In caso che V. E. ritenga utile servirsi di quest'informazioni per pubblicazione pregherei voler farle risultare come ricevute da Parigi e non (dico non) da Londra (T. s. 7780/1132 R. del1'8 agosto, ore 13,48).
700

L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7756/153 R. Mosca, 8 agosto 1936, ore 0,30 (per. ore 1,45).

Persona notoriamente vicina questi circoli dirigenti è venuta a trovarmi ambasciata per dirmi che dimostrazioni di questi giorni non avevano significato animosità del Kremlino contro l'Italia. È fatale -egli mi ha detto -che nei comizi popolari si trascenda di linguaggio e che in un Paese comunista si inveisca contro il fascismo. Ma tutto ciò non può toccare che l'« ideologia» e non deve investire sostanza rapporti itala-sovietici. Egli ha infine espresso speranza che Roma non sopravaluti dimostrazioni stesse.

Ho risposto che dichiarazioni non potevano influire in alcun modo su obbiettività ogni coscienzioso osservatore e che comunque trovavo puerile, per

-o sette aerei di seconda mano precedentemente scartati dall'ing. La Cierva.

non dire odioso, mettere primo piano del bersaglio nostro Regime di civiltà e di ordine, fermo sostenitore della pace europea, per far giuoco Comintern dietro cui asserita indipendenza Governo sovietico trova facile usbergo per separare ogni propria responsabilità.

Mio interlocutore, senza ribattere, si è limitato concludere rammaricandosi che guerra civile condurrà Spagna anarchia qualunque possa essere partito vincitore, mentre, con ogni probabilità, attuale Governo Blum non durerebbe oltre autunno prossimo ciò che non farebbe -a suo avviso -che accrescere gravi incertezze situazione politica internazionale.

701.

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7802/1134 R. Londra, 8 agosto 1936, ore 22,10 (per. ore 2 del 9).

Ho veduto oggi a lungo Winston Churchill, e tenendo presente istruzioni impartite da V. E. con telegramma n. 403 (l) ho avuto con lui scambio di idee sulla rivoluzione spagnola e effetti che essa potrà avere sulla politica europea. Riferisco per corriere (2).

Segnalo alla E. V. intanto che Churchill mi ha chiesto se era vero che generale Franco aveva promesso all'Italia una base navale nelle Baleari o nel Marocco spagnolo in cambio aiuto che l'Italia gli avrebbe dovuto prestare.

Ho risposto a Churchill che questa era una storia falsa e tendenziosa messa in giro in Francia allo scopo di suscitare sospetti e ostilità alla politica italiana. Ho aggiunto che questa storia dimostrava, fra l'altro, in chi l'aveva inventata e messa in circolazione notevole dose di idiozia perché era evidente che qualora l'Italia chiedesse al generale Franco concessione di carattere territoriale, essa indebolirebbe carattere nazionale del suo movimento e danneggerebbe gravemente sua posizione in Spagna. «Se l'Italia, gli ho detto, avesse mire territoriali sui possedimenti spagnoli essa non avrebbe che a favorire comunismo che, portando alla rovina ed alla distruzione della Spagna, le darebbe possibilità di soddisfare le sue mire. L'Italia si preoccupa degli avvenimenti spagnoli dal punto di vista degli interessi generali dell'Europa, poiché bolscevismo della Spagna significherebbe una minaccia alla stabilità della Francia, l'inizio di un rivolgimento nell'Africa del nord, minaccioso per tutti i Paesi che hanno possedimenti coloniali in Africa ».

Lord Churchill mi ha detto che era contento che io gli avessi così recisamente smentito voci di mire italiane sul territorio spagnuolo, che avevano preoccupato lui e alcuni dei suoi amici conservatori. Quanto ìo gli avevo detto lo aveva completamente persuaso ed egli ne avrebbe immediatamente informato i suoi amici perché riteneva che questo era un punto di capitale importanza per l'atteggiamento dei conservatori inglesi.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. Con T. per corriere 8051/0458 R. del 12 agosto, Vitetti informava di avere appreso dai fiduciari del governo d! Burgos che le ditte britanniche avevano eseguito tutti i contratti. Quindici aerei erano già partiti per la Spagna e quattro erano sul punto di partire. A sua volta, il governo di Madrid aveva acquistato sei (l) -Vedi D. 653. (2) -Vedi D. 708.
702

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7792/1135 R. Londra, 8 agosto 1936, ore 22,10 (per. ore 0,45 del 9).

Governo portoghese ha chiesto al Governo britannico se in caso di un attacco alle sue frontiere da parte spagnuoli Inghilterra è pronta inviare nel termine di 24 ore forze aeree a difesa del Portogallo.

703

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RR. PER CORRIERE 7846/0212 R. Parigi, 8 agosto 1936 (per. il 10).

Miei telegrammi n. 500 e n. 501 (l).

Questo ambasciatore di Germania conte We!czek che aveva chiesto di vedermi e che mi ha dato le informazioni di cui ai miei telegrammi surriferiti, si è meco dimostrato alquanto preoccupato della situazione che si va creando intorno agli avvenimenti spagnoli. Ha insistito sul noto argomento dei gravi pericoli inerenti all'avverso schieramento delle forze fasciste e antifasciste in Europa in funzione degli avvenimenti medesimi, rilevando nel tempo stesso i rischi di diretti e immediati incidenti che di ora in ora potrebbero far precipitare la situazione.

Circa l'attitudine della Francia nei riguardi del conflitto spagnuolo il conte Welczek si è espresso assai severamente, rilevando che, oltre tutto, essa costituisce una dimostrazione del completo accecamento del Governo francese, giacché se gli estremisti dovessero trionfare in Spagna, le conseguenze sarebbero incalcolabili in questo Stato che il conte Welczek, contrariamente all'opinione abbastanza diffusa di altri osservatori, ritiene perfettamente bolscevizzabile. Mi ha ripetutamente affermato constargli in modo certo l'importanza dei rifornimenti di armi, munizioni ed aerei che da parte francese si fanno su larga scala al Fronte Popolare spagnuolo. Egli crede addirittura all'esistenza di un trattato segreto ma formale di alleanza fra il Governo di Parigi e quello di Madrid: d'altra parte sembra abbastanza disposto a credere alla sincerità del Quai d'Orsay quando questo afferma di non avere concesso autorizzazioni di esportazione di armi e munizioni verso la Spagna, giacché non manca certamente modo al Governo francese di eseguire tali esportazioni all'infuori di formalità amministrative e regolamentari. Mi ha fatto rilevare quanto risulti praticamente partigiana la disposizione di cui alla nota circolare di questo ministero dell'Interno ai prefetti, intesa ad autorizzare la partenza di volontari per

la Spagna purché muniti di visto individuale sul proprio passaporto; infatti

poiché il visto deve essere caso per caso concesso dalla rappresentanza del

Governo di Madrid in Francia, non è presumibile che quella autorizzi l'ingresso

in territorio spagnuolo se non a elementi fidati per causa del Fronte Popolare.

L'importanza dei rifornimenti francesi di armi e munizioni sarebbe secondo il conte Welczek anche confermata dall'improvvisa resistenza e intensità di fuoco incontrata sul proprio fronte dal generale Mola, dopo i primi successi abbastanza facilmente da lui conseguiti. Il conte Welczek non è alieno dal credere che tecnici francesi, forse ufficiali di riserva, siansi messi a disposizione delle forze armate di te·rra e di mare del Governo di Madrid; starebbe di fatto che da alcuni giorni i tiri delle artiglierie del Governo di Madrid apparirebbero singolarmente per quanto improvvisamente assai meglio aggiustati.

Analoga informazione è pervenuta a questo R. addetto navale dalla consueta fonte generalmente bene informata, che non escludo tuttavia possa essere quella stessa da cui ha attinto questo ambasciatore germanico.

Questa circostanza potenzierebbe l'efficienza della marina rimasta ligia al Governo di Madrid, tanto più secondo il conte Welczek, il quale come è noto è stato fino a qualche mese addietro ambasciatore germanico a Madrid, nonostante l'eliminazione degli ufficiali di bordo, in generale alquanto mediocri, i sottufficiali che hanno assunto il comando di quelle navi sarebbero perfettamente capaci di assicurarne quantomeno la navigazione.

Ritiene peraltro che anche i trasporti per mare delle truppe insorte, dal Marocco al continente, compiuti nei scorsi giorni siano stati possibili piuttosto in virtù delle nebbie che per quarantotto ore circa hanno dominato nello Stretto, anziché per l'efficienza dell'aviazione che ha scortato i trasporti ste~s.i Molte riserve il conte Welczek mi ha espresso circa l'atteggiamento britannico, né sembrava dar molto credito alle circostanze, pe·raltro molto sintomatiche, descritte da questa stampa, secondo le quali le autorità britanniche di Gibilterra avrebbero negata la pratica alla cannoniera spagnola « Pìnto ~ che avariata dal tiro aereo degli insorti e non avendo potuto riparare in quel porto sarebbe successivamente affondata. Il conte Welczek giudicava tanto meno spiegabile l'atteggiamento britannico, da lui qualificato incerto, che gli constavano, a quanto mi ha detto, in modo sicuro, le profonde preoccupazioni del Presidente portoghese, generale (sic) Salazar, il quale si sarebbe apertamente espresso nel senso che se le sinistre dovessero trionfare in Spagna nulla potrebbe salvare il Portogallo da un'ondata rossa.

Nondimeno il conte Welczek, fondandosi, a quanto mi ha detto, sulle più recenti informazioni pervenute dall'incaricato d'affari germanico a Madrid, nutre ora un maggiore ottimismo sulle probabilità di successo degli insorti. Non era ancora informato dei termini della risposta germanica alla proposta francese di impegno di non ingerenza nei riguardi del conflitto spagnolo, ma, secondo lui, il tenore di essa non poteva essere dubbio.

Ha concluso affermando che alle Potenze che rappresentano il principio dell'ordine in Europa non rimaneva che aiutare vigorosamente gli insorti fino al conseguimento della vittoria. Mi ha ripetutamente espresso il desiderio di mantenere con me nelle attuali circostanze seguiti contatti.

54 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

Ho poi avuto occasione di incontrare l'antico ambasciatore della monarchia spagnola in Parigi, Quifiones de Leon. Questi che risiede da lunghissimi anni in Francia dove ha larghe relazioni, e che è tuttavia considerato come il rappresentante personale del suo antico Sovrano in Parigi, mi ha lungamente intrattenuto sugli avvenimenti spagnoli in corso. Mi ha detto anch'egli di ritenere che tecnici francesi siansi messi a disposizione delle forze armate del Governo di Madrid, e nel confermarmi gli abbondanti rifornimenti consentiti a quest'ultimo dal Governo francese, mi ha assicurato altresì che l'attraversamento delle frontiere francesi da parte di unità armate rosse in corso di operazioni era continuamente tollerato, e che anche recentemente un autotrasporto proveniente da Barcellona e diretto a San Sebastian, con a bordo degli armati e battente un gagliardetto rosso, avrebbe attraversato il territorio francese nei pressi di St. Jean de Luz.

Mi ha detto essere ultimamente pervenuta alla Banca di Francia una lettera del generale Cabanellas intesa a diffidare la Banca stessa dal disporre dei depositi di oro spagnolo all'ordine di questa rappresentanza del Governo di Madrid, che, praticamente dimissionario nelle mani dei sovversivi, non aveva autorità di disporre di beni della nazione spagnola. Quifiones de Leon mi ha soggiunto che il problema monarchico in seno al movimento insurrezionale, non ha per ora nessuna attualità, trattandosi per il momento esclusivamente di realizzare il fronte comune delle forze d'ordine spagnole. Il rifiuto degli insorti di accettare i servigi del Principe delle Asturie era, secondo lui, previsto ed opportuno; l'Infante doveva nondimeno, per ovvie ragioni, compiere quel gesto. Nutre fondate speranze sul successo del movimento insurrezionale, che, a suo modo di vedere, non può essere conseguito che totalitariamente e fuori di ogni compromesso con vecchi partiti. Mi ha confermato lo sdegnoso rifiuto dei generali Mola e Queipo de Llano di ascoltare le proposte che Martìnez Barrio, probabilmente per conto di Azafia, avrebbe voluto loro fare in vista di soluzioni transazionali.

Comunico a V. E. le surriferite informazioni e apprezzamenti per Sua opportuna notizia, pur non nascondendomi una certa tendenziosità delle fonti, che impone le necessarie riserve.

(l) Vedi D. 695.

704

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI

TELESPR. 601579/213. Roma, 8 agosto 1936.

Lettera di V. E. n. 2507/552 del 27 luglio u.s. (1).

Con riferimento alla precorsa corrispondenza in argomento, s'informa che sulla richiesta del Segretario di Stato di Sua Santità sono stati chiesti le osservazioni e il parere del R. ambasciatore a Berlino (2).

L'attenzione dell'ambasciata a Berlino è stata richiamata sulla particolare gravità che acquisterebbe una inchiesta del genere di quella di cui si attribuisce il proposito al Governo del Reich e sull'utilità di non aggiungere un'altra causa d'instabilità e di turbamento alle tante che agitano in questo momento l'Europa. È stato pure rilevato che non conviene nemmeno urtare la suscettibilità di quel Governo, anche perché, ciò facendo, invece di raggiungersi allontanerebbe lo scopo che si prefigge il cardinale Segretario di Stato.

Quanto precede per Sua informazione e con riserva di ulteriori comunicazioni.

(l) -Vedi D. 636. (2) -Con Telespr. rr. 601578/2 in pari data, non pubblicato.
705

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 8 agosto 1936.

È venuto a vedermi l'Incaricato d'Affari d'Austria il quale, d'ordine del suo Governo, mi ha dato notizia di una comunicazione fatta da un funzionario del Quai d'Orsay all'lncaricato d'Affari austriaco a Parigi.

Secondo tale comunicazione, il Governo francese sarebbe deciso -nel caso che l'Italia e la Germania non accettassero al più presto e senza riserve la formula di neutralità proposta nei riguardi della Spagna -di sostenere il Governo di Madrid con larghi invii di munizioni e materiale da guerra.

Unisco un appunto personalmente rimessomi dal Signor Rotter (1).

706

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI

T. 9108/220 (Berlino) 414 (Londra) P.R. Roma, 9 agosto 1936, ore 3.

L'Agenzia Reuter dirama in data odierna quanto segue:

«Nei circoli tedeschi di Londra si afferma che Germania desidera vivamente giungere alla conclusione di un accordo di non intervento in !spagna a condizione che U.R.S.S. sia compresa in tale accordo. Nessun fronte unito apparentemente esiste tra Italia e Germania riguardi! a questa questione e sembra probabile che Germania sia pronta a firmare accordo di non intervento anche se questo non fosse firmato dall'Italia. Sembra sicuro, per informazioni assunte da fonte autorizzata, che malgrado la morte dei quattro sudditi tedeschi, nessuna misura speciale è prevista a Berlino nel momento presente per la protezione dei beni e della vita dei tedeschi residenti in !spagna ».

Prego accertare e riferire massima urgenza quanto vi sia di vero (2).

(l) -Non pubblicato. Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Attollco e Vitetti risposero rispettivamente con T. 7152/338 P.R. e con T. 7157/1137 P.R.. entrambi del 10 agosto, smentendo le notizie fornite dall'agenzia Reuter.
707

L'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI, AL MINISTERO DELLA GUERRA (l)

T. 524. Tangeri, 9 agosto 1936, ore 15 (per. ore 21).

Secondo notizie ultime giunte comando Tetuan, truppe insorti occupato Merida avanzano su Badajoz.

Otto agosto corrente giunti Siviglia in volo da Stoccarda dieci aeroplani da bombardamento e quattro aeroplani da caccia tedeschi. Attualmente aeroplani da trasporto truppe tedeschi ammontano a dieci. Piroscafo tedesco annunziato con telegramma Z/8629 (2) è giunto Cadice. Ho preso accordi con comando Tetuan per sorveglianza e appoggio piroscafo «Nereide » che dovrebbe giungere Melilla otto o nove agosto.

708

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 2516/674 (3). Londra, 9 agosto 1936 (per. il 14).

Con il mio telegramma n. 1134 dell'8 corrente (4) ho già informato sommariamente V. E. del colloquio che ho avuto ieri con Winston Churchill. Avevo saputo dai nostri amici conservatori che Churchill teneva uno strano linguaggio sugli avvenimenti spagnoli, e essi stessi mi avevano consigliato di avere uno scambio di idee con lui. Ho trovato infatti Churchill veramente disorientato, e le cose che egli ha cominciato col dirmi non potevano essere più confuse e bizzarre. «Voi volete mettere le mani sulle Baleari e sul Marocco Spagnolo -egli ha cominciato col dirmi. Una Spagna fascistizzata, sotto il controllo dell'Italia, coinvolgerebbe la situazione nel Mediterraneo, e sarebbe un disastro per l'Inghilterra. Io sono un ammiratore del fascismo italiano, e non l'ho mai nascosto. Il Duce ha salvato l'Italia e l'Europa dalla minaccia bolscevica. Ma io non sono fascista. Sono un credente nelle istituzioni parlamentari. La fascistizzazione della Spagna sarebbe un altro colpo per le istituzioni parlamentari in Europa. D'altra parte il comunismo in !spagna sarebbe un disastro più grave e più irreparabile: e bisogna augurarsi che esso sia schiacciato. Nell'una o nell'altra ipotesi -o una Spagna fascista sotto il protettorato dell'Italia

-o una Spagna comunista sotto il protettorato dell'U.R.S.S. -l'Inghilterra sarà danneggiata ». Su questo Churchill mi ha fatto una lunga teoria -senza capo né coda -sulla posizione che l'Inghilterra deve tenere di fronte alla lotta tra comunismo e fascismo che si profila ormai chiaramente in Europa. (-4) Vedi D. 701.

Ho cominciato col replicare a Churchill smentendo recisamente le storie messe in giro da Mosca e da Parigi di un accordo tra l'Italia e il generale Franco, in base al quale il generale Franco si sarebbe impegnato a cedere all'Italia una base navale nelle Baleari o nel Marocco spagnolo, in cambio degli aiuti che l'Italia gli avrebbe dovuto prestare. «Questa -gli ho detto -è una storia grottesca e tendenziosa messa in giro ... e a Parigi allo scopo preciso di suscitare dei sospetti e delle ostilità alla politica italiana e che fa il gioco dei comunisti. Essa è stata già recisamente smentita dalla stampa italiana, e dimostra fra l'altro in chi l'ha inventata e messa in circolazione una notevole dose di idiozia perché è evidente, che qualora l'Italia chiedesse al generale Franco una concessione di carattere territoriale essa indebolirebbe il carattere nazionale del suo movimento e danneggerebbe gravemente la sua posizione in !spagna. Se l'Italia, gli ho detto, avesse delle mire territoriali sui possedimenti spagnoli, essa non avrebbe che a favorire il comunismo che portando alla rovina e alla distruzione della Spagna, le darebbe la possibilità di soddisfare le sue mire. L'Italia si preoccupa degli avvenimenti di Spagna da un punto di vista degli interessi generali dell'Europa poiché la bolscevizzazione della Spagna significherebbe una minaccia alla stabilità sociale della Francia, l'inizio di un rivolgimento nella Africa del Nord, minaccioso per tutti i Paesi che hanno dei possedimenti coloniali in Africa».

Churchill mi ha detto che era contento che io gli avessi cosi recisamente smentito le voci di mire italiane sul territorio spagnolo, che avevano preoccupato lui e alcuni dei suoi amici conservatori. Quanto io gli avevo detto lo aveva completamente persuaso ed egli ne avrebbe immediatamente informato i suoi amici... ritenere che questo era un punto di capitale importanza per l'atteggiamento dei conservatori.

Ho quindi largamente esposto a Churchill i gravissimi pericoli che per l'Europa presenterebbe una bolscevizzazione della Spagna, e gli ho documentato la vasta partecipazione sovietica nella preparazione del comunismo spagnolo. Gli ho aggiunto che era assurdo parlare di un governo spagnolo che ormai non esiste più. Esistono in !spagna due rivoluzioni una armata contro l'altra. Il Governo di Madrid non può sopravvivere all'urto delle due forze che sono in contrasto: una rappresenta tutto quello che vi è in !spagna di sano, di solido, di organizzato, l'altra rappresenta la vecchia tradizione anarcoide, che ha insanguinato la storia della Spagna nel secolo scorso e alla quale i Sovietici hanno dato la preparazione e la tattica del bolscevismo, e se ne sono serviti per gettare i loro minacciosi tentacoli verso l'Europa occidentale e l'Africa del Nord.

Churchill mi ha detto che su questo egli era d'accordo con me. Ormai non vi è dubbio che in !spagna non si tratta più di una rivolta contro il Governo, ma di una lotta aperta fra comunismo e nazionalismo nella quale il Governo spagnolo privo ormai di qualunque autorità e di effettivo potere non prende più alcuna...

« Armando i comunisti -ha detto Churchill -il Governo spagnolo si è assunto una tremenda responsabilità... in !spagna sì rivela chiaramente la tattica del Comintern, che consiste nel favorire l'avvento di un governo de

bole per poterlo poi facilmente rovesciare con le armi e stabilire un regime sovietico. La bolscevizzazione della Spagna sarebbe un vero disastro per l'Europa e darebbe alle attività del Governo sovietico un nuovo impulso minaccioso per tutti i Paesi. Noi dobbiamo tutti augurarci che il comunismo spagnolo sia schiacciato e questo è indubbiamente il sentimento oggi prevalente in Inghilterra, anche se noi, di fronte agli avvenimenti spagnoli, siamo decisi a mantenere un atteggiamento di neutralità.

La nostra maggiore preoccupazione è stata in questi giorni, ed è, un intervento francese a favore del Governo spagnolo. Un tale intervento sarebbe veramente un atto di pazzia non solo perché una vittoria comunista in !spagna si ripercuoterebbe seriamente sulla Francia, ma perché la Francia darebbe alla sua politica estera un carattere così partigiano che essa sì alienerebbe le simpatie del popolo inglese, a vantaggio della Germania verso la quale una grossa parte della nostra opinione pubblica già si mostra così favorevole ... Noi dobbiamo a tutti i costi agire perché la Francia resti neutrale... la quale intervenendo in !spagna, commetterebbe un vero atto di pazzia suicida. Vi dirò di più -mi ha aggiunto Churchill -che io sono d'opinione che anche se l'Italia e la Germania aiutano Franco, come ci risulta che stanno facendo, la Francia deve restare ugualmente neutrale ed astenersi dal fornire alcun aiuto al Governo spagnolo. Per questo bisognerebbe far andare innanzi questo progetto di accordo per la neutralità, in modo che il Governo francese il quale si trova sotto la pressione e la minaccia delle organizzazioni comuniste e socialiste, possa rifugiarsi dietro un impegno internazionale e rifiutare qualunque aiuto alla Spagna.

Per quanto riguarda l'Inghilterra -egli mi ha aggiunto -io sono in favore della più assoluta neutralità. L'Inghilterra deve tenersi fuori della guerra civile spagnola, e deve imporre alla Francia di tenersene fuori». Egli mi ha quindi chiesto qual'era l'atteggiamento del Governo italiano di fronte alle proposte francesi per un accordo sulla questione della neutralità. Gli ho risposto che tutto quello che sapevo risultava dai giornali. Potevo aggiungergli per mio conto che l'atteggiamento del Governo francese appariva molto equivoco, poiché mentre da un lato... un accordo per la neutralità... non fa niente per impedire

o per... la campagna stampa... impedire l'arruolamento dei volontari che affluiscono quotidianamente a Barcellona, e ha fornito e continua a fornire armi, munizioni e aeroplani al Governo di Madrid, che ha ricevuto e continua a ricevere attraverso la frontiera franco-spagnola e il porto di Barcellona masse ingenti di armamenti. Mi sono qui valso degli elementi che V. E. mi ha fornito per dimostrargli come la Francia stia effettivamente armando il comunismo spagnolo, mentre il Governo di Madrid si è impadronito dell'oro della Banca di Spagna e lo spende a Parigi, a corrompere i politicanti francesi e a procurarsi nuove armi e nuovi aiuti, che devono essere gettati nella lotta. «La Francia -egli ha aggiunto -sta copiando i sovietici russi. Blum, come Governo francese, fa la politica della neutralità, e come Fronte Popolare la politica dell'intervento. Mosca come Governo fa la politica della neutralità e come Comintern aizza, finanzia e arma il comunismo spagnolo contro l'Europa e contro l'Impero britannico».

Churchill mi ha risposto che il solo giudizio che mi poteva dare è che Blum e il suo Governo sono la più grande sciagura che si sia mai abbattuta su la Francia, una cosa che dice con tanta più profonda amarezza in quanto... un fautore dell'intesa franco-britannica... vedeva minacciata dalla politica... Governo francese.

Ho così, nella conversazione, portato Churchill a considerare gli avvenimenti di Spagna sotto una luce notevolmente diversa da quella sotto la quale li vedeva lui. Partito dall'idea che gli avvenimenti di Spagna fossero stati provocati da una rivolta militare e fascista, Churchill ha convenuto con me che la rivolta nazionale spagnola non è stata che la riscossa delle forze sane della Spagna a quella che era una chiara e precisa preparazione comunista alla bolscevizzazione della Spagna. Alla fine del colloquio Churchill ha continuato a ripetermi che egli era un liberale, e come tale non poteva essere entusiasta dell'idea di una Spagna fascista e sottoposta all'influenza italiana e tedesca, ma ha pienamente convenuto con me che, nell'interesse dell'Europa e della stessa Francia, è da augurarsi che il comunismo spagnolo venga schiacciato, e ha soprattutto tenuto a ripetermi che, anche se l'Italia e la Germania aiutano il generale Franco, la Francia a suo avviso dovrebbe astenersi dal solidarizzare con la Russia e dall'aiutare in qualunque forma il Governo di Madrid e i comunisti spagnoli. .

Soprattutto... cancellato dalla mente di Churchill... Italia abbia delle mire territoriali nelle Baleari e nel Marocco spagnolo, un'idea... propaganda francese ha cercato di... per suscitare contro di noi la diffidente gelosia del conservatorismo imperiale britannico.

(l) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (2) -Non pubblicato. (3) -Il rapporto, fortemente deteriorato, risulta illeggibile in diversi punti.
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IL CAPO DELL'UFFICIO II DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI, ROGERI, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, MOSCA E PARIGI E ALLE LEGAZIONI A BELGRADO, BUCAREST, BUDAPEST, PRAGA E VIENNA

T. PER CORRIERE 3676/C. R. Roma, 10 agosto 1936.

Per informazione e con preghiera di opportuno controllo, si ha il pregio di trascrivere un'informazione di fonte molto autorevole circa l'argomento in oggetto:

«Krofta è molto preoccupato per l'accordo austro-tedesco che egli considera come preludio di un riavvicinamento sempre più intimo tra l'Austria e la Germania. L'Austria, che fino ad ora rappresentava una sicura barriera contro il nazismo, diventerà secondo Krofta l'alleata della Germania della cui politica estera seguirà le direttive che potranno eventualmente al momento opportuno, essere dirette contro la stessa esistenza della Cecoslovacchia. Krofta ammette che l'accordo austro tedesco costituisce pel momento un fattore per la sicurezza e la continuità dell'Austria e quindi anche per l'Europa centrale, ma d'altra

783 parte crede che in avvenire l'ideologia nazista prenderà un tale piede in Austria che l'influenza italiana non potrà più bilanciare quella tedesca nè idealmente nè economicamente.

Krofta ha avuta occasione di parlare di una visita che il giornalista francese Kérillis (di destra) ha fatto ultimamente a Praga. Kérillis ha detto a Krofta e a Benes che la Germania si sarebbe entro due mesi decisa a buttarsi sulla Cecoslovacchia. Secondo Kérillis i tedeschi proseguono febbrilmente il loro riarmo per poter essere pronti prima dell'Inghilterra. Quest'ultima avrà terminato il suo programma di riarmo entro due anni e da quel momento nessuno potrà fare più niente contro l'Inghilterra: per questa ragione il Reich avrebbe intenzione di fare una guerra preventiva.

Krofta personalmente non presta fede a queste dicerie.

« La Germania non potrà certo procedere con la Cecoslovacchia nello stesso modo degli italiani in Abissinia», ha detto. E d'altra parte non esisterebbero per ora serie divergenze tra Germania e Cecoslovacchia.

«Lo stesso Krofta poi cerca di arrivare ad un accordo tra la Cecoslovacchia e la Germania e anche dal punto di vista della politica interna ceka non ci sarebbe nessun ostacolo alla condizione che la Germania riconoscesse non solo l'indipendenza politica della Cecoslovacchia ma anche la sua autonomia culturale ed economica.

In quanto all'alleanza con la Russia Krofta la considera una assoluta necessità dato il riarmo della Germania (che a quanto si dice si occuperà d'ora in avanti anche del riarmo austriaco) e data l'attitudine della Polonia» (1).

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI

T.R. 3687/26 R. Roma, 10 agosto 1936, ore 23.

Suo telegramma n. 50 del 7 corrente (2).

Faccia sentire in codesti ambienti che Governo italiano, liquidata faccenda

sanzioni, ha ripreso secondo dichiarazioni fatte a suo tempo, suo atteggiamento

generale collaborazione e quindi pe,r parte sua anche con codesto Governo.

Intanto a questo ministro del Portogallo che aveva chiesto facilitazioni per

acquisti di materiale da guerra a destinazione del suo Paese, ho risposto assi

curando che R. Governo impartiva senz'altro disposizioni nel senso desiderato.

Gli ho anche dato notizia preliminare della risposta da noi data alla Francia

in materia di non intervento in Spagna e gli ho anche fatto rilevare il paral

lelismo dei nostri interessi in quel settore.

(l) -Per le risposte di Preziosi e De Facendis vedi l DD. 747 e 764. Da Parlgl l'Incaricato d'affar!, Talamo, sl limitò ad osservare che l'informazione rispecchiava le reazioni tipiche anche del circoll politici e giornallstlci francesi. Dall'esame della corrispondenza telegrafica non risultano pervenute altre risposte. (2) -Vedi D. 694.
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COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN (l)

APPUNTO Roma, 10 agosto 1936.

Ho rimesso all'Ambasciatore di Francia il progetto di dichiarazione, con l'aggiunta dell'articolo relativo al reclutamento di volontari e alle sottoscrizioni di denaro (2). Gli ho detto anche che, per parte nostra, non ritenevamo sufficiente, come controllo, l'informazione tra Governi delle misure prese per evitare l'esportazione di armi, ma credevamo invece che, in conformità alla nostra domanda, sarebbe stato necessario dare maggior precisione alle garanzie. Attendevamo quindi proposte concrete in merito.

L'Ambasciatore di Francia mi è parso abbastanza ottimista circa l'accettazione da parte del suo Governo della nostra formula.

Naturalmente, durante il colloquio avuto con Chambrun, non ho mancato di elencargli la serie di documenti dai quali risulta che la Francia ha fornito e continua a fornire armi e munizioni al Governo rosso di Madrid. Chambrun ha preso nota di quanto gli dicevo e, a sua volta, mi ha chiesto se era vero che l'Italia si preparava ad inviare 20 idroplani, attualmente riuniti ad Orbetello, al Generale Franco. Ho senz'altro smentito la notizia. Per quanto concerne il processo degli aviatori prigionieri nel Marocco francese, ho detto a Chambrun che naturalmente un giudizio e una condanna avrebbero le più tristi ripercussioni nell'ambiente aeronautico italiano e nella nostra opinione pubblica. Gli stessi Accordi Valle-Denain ne potrebbero ricevere un forte colpo. L'Ambasciatore ha preso atto di quanto gli ho detto e mi ha assicurato che per parte sua farà di tutto per evitare che il processo abbia luogo, anzi, in conformità a mia richiesta, cercherà di facilitare di far rilasciare i piloti prigionieri e gli apparecchi tuttora trattenuti, pur rimanendo in attesa di una nostra risposta circa la nota questione degli aeroplani atterrati in territorio coloniale francese (3).

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L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. 7910/130 R. Tokio, 11 agosto 1936, ore 8,48 (per. ore 16).

In questi ultimi giorni è apparso nei maggiori giornali un nuovo concetto circa politica giapponese verso la Cina. Mentre è stata riaffermata ne

cessità collaborazione, si è accennato all'opportunità che vi si giunga anche mediante più sincere e favorevoli disposizioni da parte Giappone. Tale mutamento di linguaggio sembra corrispondere ad un cambiamento nelle direttive di questo ministero Guerra che potrebbe avere ispirato articolo suddetto. Infatti, secondo quanto addetto militare tedesco ha confidato al nostro addetto militare, mutamento di politica da lui qui insistentemente consigliato sarebbe ormai deciso. Giappone, resosi conto della impossibilità affrontare due nemici contigui e della maggiore difficoltà che una politica ostile alla Cina troverebbe ora nel rafforzamento di Chiang Kai-shek sarebbe disposto a concessioni verso la Cina, pur di assicurarsene appoggio e di potere senza preoccupazioni concentrare tutte le forze sue contro le sovietiche. Intanto si annunzia nuovo ambasciatore in Cina si recherà probabilmente fra breve nel Nord; si dice suo viaggio avrebbe tra l'altro per scopo di ridurre politica locale dei militari :alle nuove direttive di Tokio, le quali ad ogni modo corrispondono ai vivi desideri di questo mondo finanziario.

Prego comunicare al ministero Guerra.

(l) Ed. In L'Europa verso la catastrofe, pp. 55-56.

(2) -Il testo delle modifiche proposte dal governo Italiano non è stato rintracciato. In proposito si veda DDF, serie seconda, vol. III, D. 123. (3) -Il presente documento reca il visto d! Mussolin!. Un appunto, non firmato, In pari data riporta: «In conformità delle Istruzioni d! v. E. è stato rimesso a questo Incaricato d'Affar! tedesco, e giusta Il desiderio che egli aveva espresso a nome del suo Governo, Il testo dell'aggiunta proposta da V. E. al Governo francese al progetto d! " dichiarazione d! non Intervento". L'Incaricato d'Affar! tedesco è stato pure Informato a voce che era stata messa In evidenza la necessità di stabilire le modalità di controllo per l'applicazione degli Impegniderivanti dalla dichiarazione In parola».
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. uu. 7880/340 R. Berlino, 11 agosto 1936, ore 12,30 (per. ore 15).

Von Neurath mi conferma che secondo ultime notizie pervenute a tutto oggi, circa 30 bimotori da bombardamento di tipo modernissimo e apparecchi da caccia sono giunti a Barcellona dalla Francia, senza matricola di riconoscimento, e sono probabilmente ripartiti per Madrid. Nell'albergo prossimo al campo d'aviazione abitano attualmente circa 20 francesi (1).

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IL CONSOLE GENERALE A BARCELLONA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7884/17117 R. (2). Barcellona, 11 agosto 1936, ore 13,50 (per. ore 17,45).

A mezzo accurate riservatissime indagini ho potuto appurare quanto segue circa attività francese a favore forze Fronte Popolare spagnuolo:

l) È confermata da fonte ineccepibile notizia arrivo avvenuto ieri di 30 aeroplani bombardamento francesi all'aerodromo del Llobregat (Barcellona). I piloti sono anch'essi francesi e sembra resteranno al servizio Spagna.

2) In questi ultimi giorni sono arrivate 400 mitragliatrici e numerose maschere anti-gas provenienza francese che sono state raccolte principalmente in questo aerodromo della compagnia Air-France.

3) Da qualche giorno travasi Barcellona certo Berry che funge da agente di collegamento tra Governo della Generalità e Governo francese. Il medesimo procura anche fornitura benzina carbone viveri che arrivano in grande quantità a credito e con ogni altra facilitazione. Il Berry è ormai personaggio ufficiale ed è ricevuto quotidianamente dai ministri della Generalità. Procuro seguirne da vicino l'attività.

4) Governo francese farà arrivare domani mattina Barcellona nave trasporto aerei Commandant Teste. Questo console generale francese pretende tale tipo nave servirebbe meglio al rifugio delle colonie in caso necessità.

Sembra leggendario [sic] e strano che si sia scelto proprio una nave attrezzata in pieno per rifornitura riparazione aerei dotata di ogni mezzo pm moderno a tale scopo e di vasto deposito materiale di guerra. Ritengo che le surriferite notizie pienamente controllate dimostrino all'E. V. come finora Governo francese osserva promessa neutralità nei riguardi guerra civile spagnuola.

Mi riservo riferire ulteriormente sull'argomento.

(l) -Con successivo T. 7938/344 R. del 12 agosto, ore 21,10, Attollco comunicava che, secondo notizie pervenute a Berlino, erano partiti da Bordeaux diretti a Bilbao due piroscafi carichi di armi per il governo di Madrid. (2) -Il presente telegramma fu trasmesso tramite la R. nave «Fiume».
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. U. 7887/341 R. Berlino, 11 agosto 1936, ore 14,14 (per. ore 17,30).

Ieri sono stato a Kiel e ho visitato e fatto visitare il Gorizia. Con cortese condiscendenza che merita essere sottolineata, la visita al Gorizia era stata a mia domanda inclusa nel programma dei festeggiamenti della giornata. Si trovavano in porto navi di altre Nazioni fra cui anche incrociatore inglese.

Ammiraglio Paladini è stato ricevuto in udienza speciale da Hitler, il quale lo ha intrattenuto molto sulla situazione spagnola interessandosi alle impressioni da lui avute sul posto. Nello spirito di Hitler situazione spagnuola acquista posto e portata sembre più preponderante. Egli ne è sinceramente preoccupato e ritiene sempre più che di fronte ad essa, le forze dell'ordine non possono fare a meno di solidarizzare e appoggiarsi. Contrariamente però alle sue prime impressioni (v. colloquio con S. E. Alfieri) (1), adesso anche Hitler dubita che l'Inghilterra sia sufficientemente conscia del pericolo incombente sull'Europa e quindi matura per la necessaria reazione.

(l) Non si è rinvenuto nessun documento su tale colloquio.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7914/342 R. Berlino, 11 agosto 1936, ore 19,40 (per. ore 23).

Vansittart continua a conversare con tutti (1). Oltre Ribbentropp, ha visto lungamente Goering e Goebbels rimanendo piuttosto male impressionato del primo e bene del secondo. Da entrambi però ha ricevuto la poco gradita sensazione di «attualità » del problema coloniale per la Germania, assai maggiore che in Inghilterra non si desideri.

Oon tutti e due Vansittart ha svolto il seguente tema: Germania, ha. detto, si trova in una situazione politicamente forte ma economicamente debole. Inghilterra invece è debole politicamente ma forte economicamente. I due Paesi possono quindi, in uno spirito di pace generale e dì rispetto reciproco, aiutarsi e sostenrsi l'un l'altro.

Vansittart sembra, o si mostra, effettivamente convinto che situazione economico-finanziaria della Germania sia basata precariamente (è questo evidentemente il pensiero della City), tanto da non potersi reggere a lungo, e quindi cerca di insinuare la possibilità di aiuto da parte inglese, contro una coordinazione della politica dei due Paesi. Egli sta dando però impressione di far tutto questo più per distruggere reputazione di germanofobia, da cui è circondato in Germania, che per altro, e per ciò non credo riesca persuasivo al 100 %.

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IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI TRANSOCEANICI, CORTESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 11 agosto 1936.

Con rapporto del 22 luglio u.s. (2) il R. Console Generale in Hongkong ha riassunto i recenti avvenimenti del sud della Cina e ne ha tratto le conseguenze immediate.

Secondo quanto riferisce il comm. Bianconi, il generale Chen Chi Tang, dittatore del Kuan tung si sarebbe deciso ad iniziare la lotta contro il Governo centrale per le difficoltà interne della regione e perchè credette che le circostanze fossero a lui favorevoli.

Per sfruttare il sentimento anti-nipponico prevalente nel Sud, mise alla sua azione un'etichetta antigiapponese.

Il piano di Chen Chi Tang fallì per la cattiva stagione che ostacolò i movimenti delle truppe, per la mancata adesione del Kuei chou e dell'Hu nan e per la pronta reazione di Chiang Kai-shek che riuscì a separare il Kuan tung dal Shan hsi ed a provocare una divisione interna nel Kuan tung.

Rimane ancora in efficienza l'armata del Kuang hsi che però non potrà tardare a sottomettersi al Governo centrale. Le conseguenze che il predetto R. Console Generale trae da tali avvenimenti sono le seguenti:

l) L'autonomia politica di Canton è ormai finita, pur permanendo nelle classi dirigenti del sud il tradizionale spirito di autonomia. 2) Qualunque sia la parte che il Giappone abbia avuto nei recentl avvenimenti, questi rappr~sentano un insuccesso per la politica giapponese in Cina.

3) Il Governo centrale di Nanchino ne esce rafforzato materialmente e moralmente come anche la posizione militare di Chiang Kai-shek.

4) Con il crollo dell'autonomia di Canton diminuisce la probabilità di successo dei nostri progetti di penetrazione nel Kuan tung e di vendita di materiale bellico. Tuttavia il comm. Bianconi ritiene che non convenga rinunciare a mantenere il contatto con i nuovi governanti cantonesi poichè -a suo parere -esiste sempre uno spirito di Canton di cui il Governo centrale dovrà tener conto.

(1) -Vedi p. 746, nota 1. (2) -R. 727/85, non pubblicato.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7929/343 R. Berlino, 12 agosto 1936, ore 13,56 (per. ore 17,50).

La notizia della nomina di Ribbentropp a Londra è ormai ufficiale e la sua pubblicazione ha coinciso con una delle maggiori manifestazioni politico-sociali delle Olimpiadi e cioè con un pranzo di circa 800 (dico 800) coperti offerto dallo stesso Ribbentropp agli olimpionici ed al Corpo Diplomatico e in cui l'elemento inglese figurava in toto.

Nomina è una vittoria per Neurath, ma anche un indice della decisione tedesca di guadagnarsi l'Inghilterra. Anche in linea di tempo essa, in certo modo, integra e si combina con la missione Vansittart. Contemporaneamente è stato incaricato delle funzioni di Segretario di Stato Dieckoff.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

T. 3737/77 R. Roma, 12 agosto 1936, ore 24.

Telegramma di V. E. n. 237 (1). In attesa di ricevere il testo della nota turca e delle nuove disposizioni emanate e dato che le disposizioni stesse entreranno in vigore il quindici,

V. -E. potrà, in via di discorso, informare codesto Governo che vengono intanto date disposizioni opportune perchè il naviglio mercantile italiano, secondo Ella stessa indica, si uniformi alle regole emanate dalle autorìtà turche.

Ella vorrà poi, pure verbalmente, rinnovare le più ampie ed esplicite riserve italiane circa la Convenzione di Montreux fatte per iscritto all'inizio della conferenza medesima e rinnovate nel corso dei lavori della stessa, chiarendo che esse si estendono oltre che alle conclusioni a cui la conferenza è giunta, anche alle disposizioni che vengono emanate per l'applicazione della convenzione medesima; sicchè la posizione italiana di fronte all'intera questione resta quella indicata fin dall'inizio e nessuno degli atti che possono o potranno fare Governo italiano o cittadini italiani dovranno essere interpretati in senso diverso. Ella vorrà chiarire che questa dichiarazione non ha nessuna portata politica speciale, ma, ripetendo cose già dette e mettendone in evidenza le naturali conseguenze, mira semplicemente ad evitare equivoci nell'interesse dei buoni rapporti tra i due Paesi che è mio desiderio abbiano sempre più a migliorare.

Aggiungo (ed Ella potrà pure farne menzione) che recentemente parlando con questo ambasciatore di Turchia e il discorso essendo caduto sulla questione degli Stretti, ho io pure confermato le riserve italiane (1).

(l) -Con T. 7856/237 R. del 10 agosto, ore 13.30, l'ambasciatore Galll aveva comunicato che erano state emanate dal governo turco le nuove norme 'per Il transito delle navi attraverso gli Stretti ed aveva espresso l'opinione che le navi italiane dovessero osservare tali norme anche se l'Italia non aveva sottoscritto la convenzione di Montreux.
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L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

'I'. PER CORRIERE 8283/745/383 R. Rio de Janeiro, 12 agosto 1936

(per. iZ 21).

Mio rapporto 468 del 12 luglio (2).

Telegramma di V. E. 172 del 29 luglio (3).

Situazione di fatto e diritto del Brasile, di fronte alla sovranità italiana sull'Etiopia, è a tutt'oggi identica e immutata, rispetto a quella descritta nel mio rapporto sopra citato: questa constatazione riassuntiva può chiudere provvisoriamente l'azione da me svolta nelle ultime settimane, con cautela, tenacemente, allo scopo di cercare se non fosse poss~bile ottenere dal Brasile riconoscimento indiretto.

Premetto che ho dovuto pochissimo o niente affatto, fondare sulla collaborazione del ministro degli Affari Esteri, cui posizione politica è sempre più

indebolita dalla insofferenza che Presidente Vargas mostra nei di lui confronti: recenti prove di personalismo e incoerenza, fornite da Macedo Soares nei rapporti politici o commerciali con Stati esteri, nonché suoi reconditi amori con gruppi clerico-massonici nella politica interna, hanno fatto di lui uno strumento mediocre di cui, in casi importanti come quello del riconoscimento, è preferibile non servirsi.

Ho invece conf,erito con Presidente Vargas, che come risulta da mio rapporto sopra citato, aveva da tempo riservato per sé decisione definitiva. Superfluo rievocare tutti i motivi da me prodotti, sia nei limiti caratteristicamente itala-brasiliani sia sul più vasto terreno della politica americana.

Come sempre, Presldente Vargas mi ha dato agio di chiarire minutamente mie argomentazioni in colloqui, nei quali ha confermato favorevoli sentimenti verso l'Italia, conoscenza sufficiente della situazione europea, e apprezzamenti lucidi della funzione generale del nostro Paese.

Confermo ora che Presidente Vargas non ritiene poter procedere al riconoscimento formale della sovranità italiana sull'Etiopia, particolarmente a causa degli impedimenti esposti nelle pagine 10, 11 del mio rapporto n. 468 del 12 luglio, e più esattamente, nei punti 2, 3 e 6. Circa punto 6, cioè intera dipendenza tra politica estera Washington e quella del Brasi:le, ritengo superfluo chiarire, più esplicitamente di quanto finora non abbia fatto, che si tratta senz'altro di dipendenza del Brasile dagli Stati Uniti. Questa dura, come è noto, da oltre mezzo secolo, cioè dahla pratica applicazione della dottrina di Monroe nell'America del Sud, e dalla espansione della potenza industriale e capitalista yankee nelle americhe latine. Sebbene nel periodo delle sanzioni, Governo brasiliano abbia dato qualche segno di ~ndipendenza perfino nei riguardi del Governo degli Stati Uniti, non è, a mio avviso, sperabile che tentativi del genere possano efficacemente ripetersi in occasione riconoscimento, poiché -come ho avvertito a suo tempo -Stati Uniti hanno qui dichiarato che dovrà agirsi d'accordo, e Brasile ha come sempre accettato. Brasi1e, anche commercialmente, deve troppo agli Stati Uniti, per potersi permettere rischioso lusso di insubordinazione, proprio in quella tipica applicazione politica estera che tocca principi su cui fondasi pace interamericana e predominio degli Stati Uniti nel Continente; e che investe presunta moralità americana, avversa alle guerre dette di conquista.

A queste constatazioni, che sono frutto più tangibile dei miei scambi di idee con Presidente Vargas, si devono aggiungere due elementi che seguono. Anzitutto, qui si ritiene, che se la Germania (che tante affinità e interessi vivi avvicinano all'Italia) ha proceduto al riconoscimento indiretto, mediante nomina del console Addis Abeba, non si vede per quale ragione potrebbe e dovrebbe spingersi reLativamente più oltre Brasile, cui estraneità alla politica europea ed al problema africano è totale: esso correrebbe pericolo di isolarsi in America. In secondo luogo, per quanto nessuno me ne abbia fatto neppure implicitamente o indirettamente cenno, credo aver compreso che, vari ele

791 menti domandano al ministro degli Affari Esteri quale sarebbe praticamente contropartita per Brasile, qualora esso assumesse iniziativa internazionale favorevole a questo interesse unicamente italiano.

Dette ragioni, cumulate ai sopra citati punti 2, 3 e 6 nella finalità del mio rapporto n. 468, mi inducono a escludere per ora che Brasile possa avviarsi verso il :rdconoscimento formale.

Ma simpatie di Vargas per l'Italia e sua soHdarietà morale (malgrado tutte le sue debo~ezze nella politica interna) con reg•ime fascista, nonchè sua buona volontà, che potrei ritenere sincera, di voler fare qualche cosa per nostra sovranità su Etiopia, mi hanno indotto a seguire, in confidenziale colloquio (11 agosto) istruzioni impartitemi da V. E. col suo tel1egramma n. 178, del lo agosto (1), laddove V. E. mi lascia libertà di tentare ottenimento anche di una f.orma di riconoscimento indiretto.

Ho pertanto suggerito al Presidente o di nominare un console del Brasile in Addis Abeba, domandando exequatur al Governo fascista, oppure di estendere alla Etiopia le attribuzioni del'l'-a.ddetto commerciale del Brasile in Roma, dandone comunicazione al R. Governo.

Dall'una e dall'altm forma indiretta, uscirebbe pratico riconoscimento della nostra sovranità.

Vargas ripugna alquanto formula addetto commerciale, in quanto teme che essa potrebbe dare impressione che Brasile, che mai ebbe relazioni diplomatiche con Etiopia, voglia stabilir:n:e ora unicamente allo scopo di realizzare qualche guadagno economico.

Trova invece più leale e degna, e naturalmente anche più utile per l'Italia, ma assai più difficile per Brasile, formula di una nomina consolare, con riS'erva però, da parte sua, che essa sarebbe imitazione di quanto ha fatto Germania e perciò fors·e non gradita a opinione pubblica brasd.liana.

Comunque credo di aver attirato sua attenZJione maggiore sUlla eventuale nomina di un console in Addis Abeba. In conclusione, e congedandomi alla vigilia mia partenza per l'Italia, Vargas mi ha autorizzato a riferire a V. E.: -che egli è personalmente convinto della necessità di arrivare prima o poi al riconoscimento del fatto compiu1Jo e irrevocabile; -che riconoscimento formale è quasi impossibile, almeno finchè Stati Uniti non decideranno proc•edere analogamente;

-che riconoscimento indiretto sarebbe forse meno difficile, e che a tal fine egli si pone esaminare con calma, sia formula dello addetto commerciale, sia formula dello exequatur consolare, « con grande amicizia per l'Italia e con grande ammirazione per Mussolini ».

(l) -Galli rispose con T. 8002/240 R. del 14 agosto, ore 11,20: <<Credo utile precisare che nuove disposizioni di cui al mio telegramma 237 si riferiscono esclusivamente navi da guerra e ausiliarie. Farò comunque riserve prescrittemi dall'E. V. ». (2) -Non rinvenuto. (3) -T. 3510/172 R. del 29 luglio, ore 24; vi si esprimeva il desiderio che da parte del governo brasiliano rosse compiuto qualche atto -come la chiusura della legazione ad Addis Abeba -che, pur. non costituendo un riconoscimento formale dell'Impero, esprimesse l'orientamento a riconoscere l'annessione dell'Etiopia da parte dell'Italia.

(l) T. 3553/178 R., ore 24. In tale telegramma Ciano affermava che «per i legami politici tra Brasile e Stati Uniti un atto di codesto Governo che riconoscesse o si avvicinasse a riconoscere annessione Etiopia in ragione amicizia tra Brasile e Italia, acquisterebbe particolarevalore».

721

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 12 agosto 1936.

La visita del Generale Gamelin a Varsavia (l) va messa sopratutto in relazione con la Convenzione militare franco-polacca annessa al Trattato di alleanza fra i due Paesi concluso nel 1921 (2).

Il Governo polacco ha sempre desiderato sia una revisione del Trattato sia una revisione della Convenzione militare, nel senso che nei due Accordi la posizione morale e materiale dei due Stati contraenti sia di assoluta parità e che la Francia non abbia più quegli speeiali diritti e quella speciale posizione che nell'Accordo del 1921 le era stata riconosciuta e che caratterizza gli Accordi fra la Francia e i Paesi della Piccola Intesa.

La Polonia ha sempre sostenuto di essere uscita dalla minorità e di voler quindi stabilire con la Francia rapporti assolutamente pa;ritetici.

Lo Stato Maggiore francese dovrà quindi rinunciare a quella specie di alto Patronato che si era riservato nella Convenzione del 1921 e che nella situazione militare della Polonia a quella data gli era stato facile presentare sotto la mentita spoglia di un favore reso alla Polonia.

L'aggiornamento della Convenzione Militare corrisponde perciò alla nuova situazione politica che la Polonia vuoi farsi riconoscere dalla Francia, riservandosi, come fa da tre anni, il diritto a una politica indipendente nella quale l'alleanza con la Francia resti un libero accordo concluso fra i due Paesi, ma non divenga un impedimento a quel prestigio che la Polonia vuole conquistarsi in Europa come Nazione padrona dei suoi destini e arbitra dei suoi int eressi.

La precisazione diramata da Parigi con la quale si è voluto reagire all'ottimismo di certa stampa sui risultati della visita di Gamelin è la riprova che tale visita è in sostanza un'accettazione da parte francese del sopra esposto punto di vista polacco e che nessun vantaggio speciale ne ritrarrà Parigi.

D'altra parte è certo che la Polonia ottenendo quanto desidera non ha alcuna ragione per non migliorare un poco i suoi rapporti con l'alleata, che sono da tre anni piuttosto freddi e negli ultimi tempi anche peggiorati.

Il Quai d'Orsay e la sua stampa ufficiosa non perdono nessuna occasione per attaccare il Ministro degli Esteri Beck il quale, ad onor del vero, svolge sia nei confronti della Germania, sia nei confronti della Piccola Intesa, sia

55 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

nei confronti di Mosca una politica del tutto differente da quella della Francia.

Attiro l'attenzione dì V. E. sul fatto che Beck, sia quando è andato e ritornato da Bruxelles, sia quando è andato e ritornato da Londra, sì è guardato bene dì passare da Parigi.

Il Governo del Fronte popolare in Francia è mal visto in Polonia e considerato negli ambienti ufficiali polacchi come Governo nemico anche perché la maggior parte dei suoi componenti -e fra questi particolarmente Blum, Cot e Daladier -si sono fortemente compromessi in varie occasioni contro la Polonia e contro Beck personalmente.

(l) -Il generale Oamelin giunse !n visita ufficiale a Varsavia il 12 agosto e vi si trattenne fino al giorno 17 quando si recò a Cracovia insieme al Capo di Stato Maggiore polacco. In proposito si vedano i DD. 729, 756, 765, 783, 795, 802 e 811. (2) -Convenzione militare del 19 febbraio 1921 (testo in PIOTR S. WANovcz, France and Her Eastern Allies, 1919-1925, Minneapolis, The University of Minnesota Press, 1962, appendice III). Per il testo del trattato, in pari data, si veda MARTENS, Nouveau Recueil Général de Traités, serie terza, vol. XII, pp. 880-881).
722

IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7980/55 R. Lisbona, 13 agosto 1936, ore 1,50 (per. ore 15).

Questo ministro di Francia insiste vivamente presso questo Governo perché acceda accordo non intervento Spagna. Tali pressioni erano vivamente criticate in articolo del giornale Seculo che sosteneva Portogallo, pur essendo alleato Inghilterra, aveva diritto aver una sua politica specialmente quando sono in giuoco vitali interessi Paese.

Questo segretario generale degli Affari Esteri mi dichiarò ieri Francia non si rende conto che vittoria comunismo spagnolo metterebbe in pericolo stessa indipendenza Portogallo che non potrebbe quindi perdere sua libertà movimenti. Ma poiché accordo ha scopo impedire forniture armi e munizioni e questo Governo non potrebbe fornire che cartucce e fucili che non sarebbero quelli di cui più abbisognano forze nazionali spagnole, progettato accordo riuscirebbe a queste favorevole, perché impedirebbe ampie forniture Governo francese milizie comuniste.

Bisogna considerare però che, presi impegni, questo Governo non avrebbe coragg,io segretamente o indirettamente violarli nel timore di incorrere nella riprovazione britannica. È da supporre che qui si voglia commuovere Governo britannico perché dia più precise garanzie di eventuale assistenza Portogallo prima di dare adesione accordo.

723

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. uu. 7964/346 R. Berlino, 13 agosto 1936, ore 14,15 (per. ore 16,30).

Secondo notizie ricevute in questo momento da ministro Portogallo a Berlino, Governo di Lisbona avrebbe (nel passo fatto a Parigi e Londra sabato

ultimo) posto chiaramente alla Francia, all'Inghilterra problema della difesa del Portogallo in caso di bolscevizzazione della Spagna. Governo portoghese sarebbe arrivato a domandare -per quella eventualità -un intervento armato ai governi dell'Europa garantito dall'Inghilterra e dalla Francia (l).

Domanda Portogallo è importante perchè dimostra chiaramente come situazione tenda fatalmente ad uscire dalla fase negativa del «non intervento » per avviarsi verso una fase positiva intervento. Il « cordone sanitario » che fu già a suo tempo destinato per la sola Russia bolscevica, potrebbe diventare una necessità ineluttabile di fronte alla possibilità di un vero e proprio accerchiamento dell'Europa.

724

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A MADRID, DE CIUTIIS

T. 3753/183 R. Roma, 13 agosto 1936, ore 22.

Assieme notizie che pervengono circa operazioni militari Spagna fanno apparire qui situazione tale che Madrid (da cui Governo è in gran parte assente) potrebbe cadere in mano degli insorti da un momento all'altro e, prima ancora, essere in mano plebaglia anarchica. V. S. rinnovi quindi invito ad italiani lasciare Madrid provvedendo loro più sicuro avviamento e facendo in proposito subito eventuali, necessarie proposte a questo ministero per tutte quelle assistenze che da qui sia possibile disporre per agevolare rimpatrio. Ella pure è autorizzato a lasciare quindi Madrid insieme con personale ambasciata, allorchè ciò a suo avviso appaia opportuno.

725

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO

T. 3755/379 R. Roma, 13 agosto 1936, ore 21,30.

Prego V. E. comunicarmi parere su possibilità e opportunità utilizzare massa elettorale itala-americana nelle prossime elezioni presidenziali in vista consolidamento e sviluppo nostra situazione economica e politica negli Stati Uniti.

In caso affermativo prego indicare particol:areggiatamente programmi e mezzi di azione che Ella crede meglio rispondenti scopo prefisso (l).

(l) -Si veda anche li D. 702. (l) -Pl'r la risposta vedi D. 745.
726

L'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI,

AL MINISTERO DELLA GUERRA (l)

T. 536. Tangeri, 13 agosto 1936, ore 21,30 (per. ore 7 del 14).

Recatomi in aeroplano a Siviglia (2) per prendere contatto con colonia itaUana e con generale Franco, da discorsi fatti da ufficiale S. M. e da osservazioni ho riportato le seguenti impressioni:

l) resistenza forze governative è sempre molto accanita per quanto i reparti siano privi di disciplina e addestramento, siano atti più alla difesa di località che all'at tacco in campo aperto;

2) da parte dei comunisti all'atto del ripiegamento e all'arrivo degli insorti vengono eseguite esecuzioni in massa;

3) sembra esservi una certa dispersione forze disponibili insorti per contentare vari comandanti;

4) esistenza divergenze e rivalità fra i diversi partiti di destra (monarchic o repubblicano -cattolico -eccetera) che però fino ad ora agiscono concordi e disciplinati.

Generale Franco mentre si sforza tenere amalgamata massa, sta organizzando marcia su Madrid. Afferma di essere già in collegamento diretto con truppe generale Mola e di iniziare marcia grosso dopo caduta Badajoz che permetterà sicure linee rifornimenti attraverso Portogallo. La regione JerezSiviglia da me attraversata in automobile è apparsa completamente tranquilla. Truppe marocchine transitanti da Jerez dirette al fronte erano applaudite dalla popolazione.

Generale Franco richiede seguenti materiali: 10.000 maschere antigas; bombe per aeroplani da 10, 50, 100 chilogr.; una squadriglia aeroplani da ricognizione e bombardamento leggero; 400 tonnellate benzolo; tetraetile di piombo puro; Mas con relative dotazioni siluri. Suddetto materiale potrebbe essere inviato possibilmente Cadice oppure Lisbona dove travasi fratello generale Franco con pseudonimo Aurelio Fernandez Aquila reperibile presso Hotel International oppure Hotel Arris stop Tale richiesta è stata trasmessa da ministro De Rossi a ministero Affari Esteri (3).

Bombardamento Madrid che doveva effettuarsi da parte S 81 è stato rinviato perché Madrid est risultata difesa da moderni aeroplani da caccia, 14 di marca francese e 2 di marca inglese. In Marocco francese et nella zona internazionale Tangeri elementi Fronte Popolare, comunisti spagnoli, russi ed

autorità francesi lavorano attivamente per sobillare arabi zona spagnola. Si comincia notare fermento tra indigeni. Colonnello spagnolo Romero, ex comandante zona Larache starebbe organizzando arruolamenti volontarii Fronte Popolare in Marocco francese per tentare sbarchi Melilla o Ceuta se non sarà lasciato penetrare in zona spagnola direttamente dalla zona francese (1).

(l) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (2) -Il maggiore Luccardi era stato inviato !n missione a Sivigl!a dal console a Tangeri De Rossi, allo scopo di tenere i contatti con Franco. Di tale fatto il console De Rossi aveva informato il ministero con T. 7989/366 R. in data 13 agosto, ore 14,45. (3) -Con T. s. 7951/370 R. del 13 agosto, ore 19,50, recante il visto d! Musso!ini.
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L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, BELLARDI RICCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8093/06 R. Varsavia, 13 agosto 1936 (per. il 17J.

Seguito telegramma n. 98 dell'll corrente (2).

Ministro Debicki, già per vari anni capo di Gabinetto del ministro Beck e attualmente sostituente il sottosegretario agli Esteri conte Szembek assente, mi ha stamane confermato che proposta francese di accordo per non intervento negli avvenimenti di Spagna è qui tuttora sottoposta allo studio dei giuristi.

Debicki che è personalmente incaricato di occuparsi della questione, ha fatto intanto presente a questo incaricato d'affari di Francia che Polonia, oltrechè per suo tradizionale princi:pio cM non ingerirsi negli affari interni di altri Stati è fermamente decisa mantenersi estranea in modo assoluto ad avvenimenti spagnuoli. Di ciò può dare massime garanzie in quanto qualsiasi fornitura di armi nonchè esodo di uomini e denaro sono in Polonia rigorosamente controllati. Eguali garanzie però il Governo polacco reputa che debbono dare gli altri Stati che parteciperanno all'accordo di non intervento, ciò che invece sinora non è affatto chiaro. Debicki ha fra altro attirato mia attenzione su 12 milioni di rubli che sono usciti dalla Russia diretti in !spagna e sulle varie centinaia di individui muniti di passaporto spagnuolo che sono ultimamente transitati in Polonia provenienti da Mosca ove avevano seguito un corso sovietico di preparazione. Ciò oltre ai numerosi emissari sovietici che sono pure passati di qui per recarsi in !spagna.

Debicki mi ha aggiunto ritenere probabile che Governo Francese, dopo aver raccolto osservazioni fatte da vari altri Governi a sua proposta, si prepari presentare progetto completato o per lo meno fornire maggiori chiarimenti circa impegni di neutralità che esso e gli altri dovrebbero assumere. A proposito di questa «neutralità» Debicki mi ha osservato ritenersi comunque qui tale espressione singolare dato che essa significherebbe riconoscimento delle due parti belligeranti.

(l) -Il documento reca la seguente annotazione manoscritta: «In sostanza risulta che insorti hanno poca disciplina gerarchica, poca capacità tecnica (le stesse richieste dimostrano non esservi relazioni fra mezzi e scopo), poca capacità organizzativa. Se riescono è proprio segno che gli altri sono a terra ... in tutto ». (2) -T. 7912/098 R. delle ore 20,40. Riferiva che il governo polacco non aveva ancora risposto alla proposta francese di non intervento in Spagna e che, comunque, la Polonia intendeva restare completamente estranea agli avvenimenti spagnoli.
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L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2529/989. Mosca, 13 agosto 1936 (per. il 24).

Nonostante le recenti chiassose dimostrazioni pro Fronte Popolare e le dichiarazioni da parte dei tribuni di solidarietà morale e materiale del proletariato sovietico col popolo spagnuolo, resta pur oggi da domandarsi la precisa posizione assunta dal Comintern di fronte agli avvenimenti spagnuoli. Esiste, è vero, una posizione comandata dalle risoluzioni del Congresso della Terza Internazionale dello scorso anno che appunto impongono la tattica della lotta contro i « fascismi » e della creazione di Fronti Popolari, ma tale posizione non può oggi prescindere da certe necessità di politica estera che s'impongono all'unico Stato comunista nel mondo.

Da ciò le limitazioni di tattica e di opportunità contingente. Mentre da una parte il Comintern mette avanti le masse sovietiche per invocare, con la vittoria del governo di Madrid, l'indipendenza e la libertà del popolo che combatte contro gli insorti fascisti, dall'altra esso fa dire alla stampa che si tratta soltanto di servire, non l'ideologia, ma i «compiti della rivoluzione borghese».

È da rilevare come nei « famosi » comizi non abbiano figurato affatto persone di primo grado: nè Dimitrov n è gli altri papaveri hanno fatto concioni, come neppure si è voluto controbattere la stampa internazionale per l'accusa mossa al Governo sovietico di avere esso organizzato le collette e di avere anticipato l'ingente somma in valuta estera perchè non tardassero i soccorsi al «Signor Girai».

In sostanza quali direttive ha potuto dare il Comintern per le manifestazioni sovietiche di questi giorni? Interpolando i commenti della stampa si potrebbero, grosso modo, così ricostruire:

l) attacco contro gli imperialismi borghesi, paladini delle reazioni antipopolari e difensori con gli insorti spagnuoli del capitalismo feudale e schiavista, pur mantenendo, per opportunità contingente di politica estera, una prudente attitudine verso l'Inghilterra;

2) attacco a fondo del nazismo e del fascismo quali espressioni di ideologie guerrafondaie e quali alleati naturali degli insorti spagnoli;

3) azione insinuatrice fra le correnti democratiche internazionali, accreditando mire espansioniste da parte della Germania contro la Francia e pretesi piani strategici antibritannici da parte dell'Italia (ogni invenzione e calunnia trovò pertanto qui posto; azione che del resto si ripete di tanto in tanto attraverso la Pravda);

4) diffusione delle risoluzioni dei comizi con azione propagandistica su vasto stile e verso tutti i fronti.

Sostanzialmente queste istruzioni non ci dicono granchè, non precisando esse né la posizione ideologica del Comintern né la sua azione concreta di fronte agli avvenimenti di Spagna, eccezione fatta della colletta comunista che poi è stata la vera ragione d'essere dei comizi.

Il Comintern ha voluto evidentemente darsi sopratutto un compito di difesa di fronte ai « fascismi » insidiatori della politica dei Fronti Popolari e con ciò procurarsi una specie di « alibi » pel caso che il governo di Madrid dovesse soccombere alla pressione armata degli «insorti».

È chiaro che il dittatore rosso cerca di sottrarsi alla inevitabile critica degli estremisti, manovrando magari dietro le quinte. Ma le dimostrazioni, da lui certamente approvate, restano sempre una prova e un pretesto per controbattere all'interno ed all'estero le eventuali accuse delle opposizioni e le insidie di trozkismo, del comunismo integrale anarchico, del socialismo indipendente nelle sue infinite gradazioni...

Non v'è dubbio che i fatti di Spagna si ripercuotono sull'ibrida impalcatura di compromessi che è insieme il Comintern, lo Stato sovietico e la PatÌ'ia socialista, mettendola a dura prova e facendola anche scricchiolare. Così si spiegano le preoccupazioni, i contorcimenti retorici, le pause nella polemica di stampa, l'adesione al non intervento, che potrebbe dirsi un controsenso data la posizione ideologica del Comintern. La stessa correlazione ideologica franco-sovietica avrebbe potuto, in una presa di posizione di « punta » dei due Governi, anche aggravare la ostilità al patto franco-sovietico che sembra vada di questi giorni aumentando in Europa.

Il nocchiero rosso ha dovuto quindi destreggiarsi di fronte alla complessità dei problemi ideologici e positivi che la crisi spagnola ha messo sul tappeto della politica internazionale. Se il patriarcato ecumenico comunista, nella sua impotenza' di fronte agli eventi spagnoli, credette di dover accomunare il nostro Paese all'odiata Germania, si è ora affrettato a far macchina indietro e separare la posizione internazionale tedesca da quella italiana perché il bersaglio restasse isolato sul terreno degli interessi effettivi dell'URSS. Difatti il Narkomindiel fa oggi pubblicare sul suo organo ufficioso un articolo nel quale l'Italia è appena sfiorata ed indirettamente. Per contro viene rappresentato il pericolo che potrebbe costituire la Germania negli affari spagnoli in questi termini: «non si tratta tanto della questione di questa od altra forma di governo che si decide sui fronti di Spagna, quanto di sapere se la Spagna dovrà restare o no uno Stato sovrano ed indipendente».

Non è una risipiscenza. Ma è prevalentemente sul terreno degli interessi positivi che l'URSS ha inteso finora affrontare gli sviluppi degli avvenimenti spagnoli.

«L'intervento tedesco in Spagna, che ha luogo presentemente -scrive il Journal de Moscou -non può essere esaminato che in stretto rapporto con gli atti del fascismo tedesco nel dominio delle relazioni internazionali».

L'attacco è dunque dal Narkomindiel concentrato contro il nazismo, l'imperialismo germanico, che «vuole ad ogni costo prepararsi una nuova guerra».

Le sfere dirigenti sovietiche hanno in fondo condizionato la loro attitudine alle necessità della pace che è il loro scopo principale. Ed ora che esse temono l'azione germanica in Spagna come «suscettibile di creare serie complicazioni internazionali, dànno subito l'allarme perché venga posto termine al giuoco pericoloso di Berlino. In altri termini, si vuole che Berlino firmi l'atto di non intervento in Spagna e che lo rispetti perchè cessino, con le minacce della pace, le preoccupazioni del Kremlino.

Il Comintern, come si vede, non può non tener conto di queste premesse del Narkomindiel.

729

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, BELLARDI RICCI, AL :MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2117/755. Varsavia, 13 agosto 1936 (per. il 17).

La visita a Varsavia del vice-presidente del Consiglio di guerra francese, generale Gamelin, che ha luogo in questi giorni (1), è una presa di contatto diretta tra i capi degli eserciti delle due Nazioni alleate ed era stata da tempo progettata. In effetti già nello scorso mese di marzo si annunziò nella stessa stampa francese un viaggio a Parigi dell'ispettore generale dell'esercito polacco, generale Rydz-Smigly. Questo viaggio però poi non avvenne perché, data la particolare situazione personale e politica del generale RydzSmigly, i Polacchi ritenevano che non dovesse essere questi il primo a spostarsi per questo scambio di visite. Si ricordava inoltre a Varsavia che già nel 1923 il maresciallo Pilsudski, in qualità di capo dell'esercito polacco, si era recato a Parigi in visita ufficiale, mentre mai dal giorno della ricostituzione della Polonia il capo dell'esercito francese era venuto in Polonia. E' evidente che i francesi, di fronte ai ripetuti rinvii della partenza del generale Rydz-Smigly per Parigi, hanno compreso ed ammesso che sarebbe stato opportuno che il primo gesto avvenisse per loro iniziativa. Così, recentemente, l'addetto militare di Francia a Varsavia, ritornando qui da Parigi ove si era recato, annunziò che il generale Gamelin sarebbe stato lieto di venire a visitare il suo collega polacco. L'annunzio riuscì gradito anche perché, come è noto, già da qualche anno periodicamente si svolgono conversazioni tra gli Stati Maggiori polacco e francese per aggiornare e coordinare alle nuove situazioni la convenzione tecnico-militare franco-polacca firmata nel 1921 (2). Evidentemente, detta convenzione conclusa in un momento in cui la Polonia era militarmente, sia come quadri che come armamento, una nazione in piena e

completa formazione, non corrisponde pm oggi alla situazione, agli armamenti ed alle possibilità militari della Polonia, la quale, sopratutto dal punto di vista dei quadri, si considera oramai in nulla inferiore alla sua alleata.

La visita del generale Gamelin avrà dunque un carattere esclusivamente tecnico-militare. Questo mi è stato formalmente qui assicurato da fonti autorevolissime sia del ministero degli Esteri sia di quello della Guerra. Mi è stato aggiunto che se, come è prevedibile, nelle convers-azioni si raggiungerà il risultato desiderato, cioè di aggiornare certe disposizioni della convenzione militare del 1921, ciò rimarrà perfettamente nel quadrc delle relazioni bilaterali franco-polacche senza coinvolgere i rapporti con terzi.

E' da sottolineare che il generale Rydz Smigly ha già annunziato che ricambierà immediatamente la visita al suo Collega francese. E' infatti prevista la partenza per Parigi dell'Ispettore Generale dell'Esercito polacco per la fine del corrente mese o per i primi giorni del prossimo settembre.

Il generale Gamelin è giunto ieri mattina ed ha subito iniziato le sue conversazioni col generale Rydz-Smigly. Si tratterrà in Polonia cinque giorni, durante i quali il programma ufficiale prevede una serie di manifestazioni unicamente di carattere militare, fra le quali visite ad unità, centri di addestramento e stabilimenti di industrie belliche polacche. A questo ministero degli Esteri si è tenuto a sottolinearmi che nessuna personalità politica prenderà contatti con il generale Gamelin all'infuori di un incontro di cortesia con il ministro Beck.

La stampa polacca ha dedicato ampi commenti a questa visita, largheggiando in espressioni di grande cordialità per la persona dell'ospite e di viva ammirazione per l'esercito della nazione alleata. L'agenzia ufficiosa ISKRA ha diramato una nota in cui sottolinea il carattere puramente difensivo dell'alleanza franco-polacca aggiungendo che essa non può minacciare nessuno né influenzare le relazioni dirette che i due Paesi hanno rispettivamente con i propri vicini. Il governativo Kurjer Polski, in una nota pubblicata in lingua francese, ha insistito sull'importanza basilare che l'alleanza franco-polacca ha per la pace europea e sull'opportunità che essa venga militarmente aggiornata, coordinata ed adattata agli avvenimenti ed alle nuove realtà delle due nazioni.

In genere i giornali polacchi prendono occasione dalla visita del generale Gamelin per insistere nel mettere in rilievo l'aumentato peso militare della Polonia e per compiacersi che di esso la Francia mostri rendersi conto.

(l) -Vedi p. 793, nota l. (2) -Vectl p. 793. nota 2.
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L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7991/1140 R. Londra, 14 agosto 1936, ore 1,05 (per. ore 7,40).

Inglesi si vanno convincendo che Blum -nonostante tutte le sue proposte di non intervento -in realtà non vuole o non può rinunziare ad aiutare

comunisti spagnoli. Da una parte ogni giorno si accumulano le prove dei rifornimenti di armi e munizioni e aeroplani che la Francia sta concentrando a Barcellona, dall'altra si accumulano prove della crescente pressione che organizzazioni sindacaliste e comuniste francesi stanno esercitando sull'opinione pubblicct c sul Governo in favore di un intervento. O per propaganda o per malafede o per debolezza Blum va cedendo ogni giorno alla criminosa follia di questa gente.

In base informazioni inviatemi da V. E., ho potuto ampiamente documentare al Foreign Office ed ai nostri amici conservatori duplice ed equivoca attività del Governo francese e ingente aiuto che U.R.S.S. e Francia stanno dando ai comunisti.

Foreign Office spera tuttavia ancora nella possibilità che un accordo internazionale di non intervento possa fermare Blum e resta aggrappato alla idea di neutralità. Tuttavia la propaganda francese a Londra e l'azione dell'ambasciata di Francia presso diplomatici sono dirette a dimostrare che nella mancanza di un tale accordo Governo francese non potrà fare a meno di aiutare Governo di Madrid. Con il Fronte Popolare che si schiera compatto a favore di un intervento in Spagna nessuno vede in realtà che cosa varrebbe un impegno del Governo francese, nè a me è difficile dimostrare che quello che Blum in realtà vuole è solo poter sostenere comunisti spagnoli senza assumere davanti opinione pubblica mondiale responsabilità di questa politica.

Timore di un intervento francese in Spagna e di possibili complicazioni

il che nei giorni scorsi pareva allontanarsi -oggi ,si profila di nuovo. La City tuttavia si mantiene calma per quanto pressione sul franco, che era questi ultimi giorni cessata -si sia oggi fatta sentire di nuovo ed il franco abbia dovuto essere di nuovo sostenuto da operazioni di controllo.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8001/350 R. Berlino, 14 agosto 1936, ore 14 (per. ore 16).

Ho chiesto iersera a Neurath perché ritardasse risposta a Parigi circa questione neutralità. Mi ha assicurato che avrebbe già provveduto se non fosse per noto incidente sequestro apparecchi Lufthansa (1). Contrariamente a ipotesi allarmiste avanzatemi ieri sera da ambasciatore Francia, ritardo risposta

non si propone quindi altro obiettivo all'infuori di una indiretta pressione per sollecitare favorevole soluzione incidente.

Ministro Affari Esteri è al riguardo in continuo contatto con ambasciata di Germania Madrid. Attitudine Governo germanico rimane in materia, quella di una grande, per quanto assai vigile cautela (l).

(l) Nei giorni precedenti le autorità spagnole avevano sequestrato alcuni aerei tedeschi atterrati nell'aeroporto d! Madrid. Alcuni di questi aerei erano stati restltu!t! nel g!orn! successivi, ma uno di essi era stato invece trattenuto.

732

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8022/352 R. Berlino, 14 agosto 1936, ore 18,55 (per. ore 21,30).

Telegramma di V.E. n. 228 (2).

Ringrazio l'E. V. segnalazione Ward-Price. Di certo si può escludere che dichiarazioni Ribbentrop siano state pubbliche. Esse devono aver avuto luogo in qualche conversazione privata e quindi trovano loro giustificazione immediata in circostanze, <<presenza» e contingenza.

Posizione Ribbentrop in materia, per quanto qualificata dalla sua recente nomina a Londra, continua essere esattamente quella da me prospettata nella lettera all'E. V. del due maggio n. 650 (3).

Eventuali accenni, quindi ad una intesa inglese-francese-tedesca non vanno assunti ad indice di una tendenza e tanto meno di una polarizzazione antiitaliana ma sono il riflesso:

l) del fatto che Germania vuole intesa con Inghilterra;

2) che, poichè Inghilterra vuole a sua volta andare d'accordo con Francia, intesa tedesco-inglese va presentata anche in una luce filo-francese;

3) che l'amicizia itala-tedesca considerandosi come acquisita e pacifica, il problema di tali rapporti non è più in discussione.

Tutto ciò peraltro non significa che, a suo tempo, l'attività di Ribbentrop a Londra non debba essere opportunamente seguita, e che, d'altra parte, agli occhi di Ribbcntrop e della corrente che egli rappresenta, una ripresa della nostra collaborazione con l'Inghilterra non possa che accreditarci.

(l) -Ciano rispose con T. 3781/250 R. del 15 agosto, ore 23: «Faccia comprendere a von Neurath che R. Governo gradirebbe fosse ancora ritardata risposta tedesca circa questione neutralità>>. Per l'origine di questa richiesta si veda il D. 699. (2) -Con T. 3758/228 R. del 13 agosto, ore 24, Ciano comunicava che Ward Price aveva riferito in una corrispondenza da Berlino la seguente dichiarazione di Rlbbentrop: «Non posso eRpr!mere che la speranza di riuscire a Londra a lavorare per più strette e vieppiù amichevoli relazioni fra la Germania, la Gran Bretagna e la Francia ». (3) -Non rinvenuta.
733

IL MINISTRO AD HELSINKI, KOCH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8033/71 H. Helsinki, 14 agosto 1936, ore 21,15 (per. ore 23,10).

Situazione in Spagna è qui seguita con grande interesse. Governo considera come grave pericolo eventualità successo Madrid. Medesimo deplora politica francese che è partigiana nella politica internazionale.

II Governo finlandese fa affidamento col più grande compiacimento e soddisfazione, sulle simpatie ed appoggi dei popoli sani verso nazionali Spagna. Considera non sincera risposta sovietica a proposta francese.

Governo finlandese non ha ancora risposto alla nota di questa legazione Francia circa proposta non ingerenza. Non potendo esimersi dal rispondere, si atterrà testo risposta Governo danese e Governo norvegese che aderiscono alla dichiarazione, se tutti gli interessati dànno loro adesione.

734

IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8018/462 R. Alessandria, 14 agosto 1936, ore 21,40 (per. ore 22,35).

Mio telegramma n. 455 <l).

Ieri Makram Ebeid Pascià mi ha informato delle linee generali dell'accordo anglo-egiziano circa regime capitolazioni già noto all'E. V. (mio telegramma n. 454) (2), ed ha aggiunto che Governo egiziano desiderava entrare in contatto al riguardo con i Governi interessati, che aveva molta fiducia nell'amichevole atteggiamento del Governo italiano e mi ha fatto comprendere che una nostra adesione almeno di massima, quanto più possibile sollecita, ai desiderata egiziani, avrebbe la più favorevole ripercussione nell'opinione di questo Paese.

Ho risposto a Makram Ebeid che, non conoscendo i termini del Trattato e la richiesta egiziana, e non avendo pertanto potuto comunicarli all'E. V., non mi era possibile allo stato delle cose, dargli in proposito una risposta concreta, ciò di cui il ministro ha pienamente convenuto. Ho quindi accennato al mio interlocutore alla complessità della questione, all'importanza e molteplicità dei nostri interessi, alla presenza di una collettività italiana antica e numerosa, i cui servigi alla causa egiziana sono indelebilmente legati allo

sviluppo materiale e spirituale del Paese. Ho aggiunto infine che l'antica e mai smentita amicizia dell'Italia per l'Egitto, la viva e concreta simpatia di

S. E. il Capo del Governo per il progresso e per l'indipendenza del popolo egiziano, le favorevoli disposizioni sempre dimostrate dal Governo fascista per una equa soluzione del problema capitolazioni, davano ampio affidamento che V. E. a cui non avrei mancato di riferire, avrebbe fin da ora portato sulla questione il suo più benevolo esame.

Delegazione egiziana parte lunedì per Londra per firma del Trattato, preceduta da Alto Commissario che parte domani. Dopo la firma Nahas e Makram Ebeid ril;llarranno in Europa in congedo fino a ottobre inoltrato.

(l) -T. 7941/455 R. del 12 agosto. ore 22. Comunicava che l'accordo anglo-egiziano sarebbe stato parafato la sera stessa. A quanto risultava, la delegazione egiziana era stata indotta ad accettare che la questione capitolare fosse concordata con le Potenze interessate in una conferenza internazionale dietro l'impegno della Gran Bretagna di non opporsi ad una soppressione unilaterale del regime capitolare qualora un accordo si fosse rivelato impossibile. (2) -T. 7933/454 R. del 12 agosto, ore 14,35. Riferiva alcune notizie sul contenuto dell'accordo anglo-egiziano per le capitolazioni ottenute dall'Alto Commissario britannico.
735

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. R. PER CORRIERE 8053/0461 R. Londra, 14 ag:ysto 1936 (per. il 16).

La nomina di Ribbentrop ad ambasciatore di Germania a Londra è stata accolta con molto favore negli ambienti politici inglesi. se pure con un certo riserbo al Foreign Office, dove Ribbentrop è stato sempre giudicato come un personaggio troppo agitato e intrigante.

Nei suoi frequenti viaggi a Londra, Ribbentrop ha sempre tenuto a dare agli inglesi l'impressione che egli esercitava su Hitler un'influenza moderatrice e a persuaderli che una politica di intimi rapporti tra h1 Germania e l'Inghilterra era perfettamente conciliabile con i postulati fondamentali della politica inglese nei riguardi della Francia. Tutti i suoi sforzi sono stati dedicati a dimostrare che l'integrità e inviolabilità della frontiera del Reno e dei Paesi Bassi, che costituiscono il cardine della politica continentale dell'Inghilterra, rientrano anche nel quadro della politica hitleriana, come rientra anche nel quadro delìa politica hitleriana un'intesa anglo-germanica, alla quale la Germania ha contribuito con la rinuncia a ogni tentativo di costruire una flotta, che possa dare ombra alla flotta britannica.

Di questo atteggiamento di Ribbentrop sono prova le dichiarazioni che egli ha fatto a Ward Price, e che ho trasmesso a V. E. con il mio fonogramma

n. 281 del 12 corrente (1).

Ribbentrop ha la tendenza a esagerare nelle sue manifestazioni in favore d1 una intesa anglo-franco-tedesca, e qualche volta la sua azione ha acquistato a Londra un caratter'e di servilità verso l'Inghilterra che, a mio avviso, danneggia i fini che egli crede perseguire e comunque non riesce a porre i rapporti anglo-tedeschi sopra una base solida e duratura. Vi è certo in Inghilterra un forte movimento in favore di un riavvicinamento alla Germania, e lo stesso Foreign Office -dove pure il vecchio spirito intesista francobritannico continua a dominare -ha risentito in quesci ultimi tempi della

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pressione che l'opinione pubblica esercita in questo senso. Ne è prova il viaggio di Vansittart a Berlino (l) e che Vansittart ha desiderato di fare per allontanare da sé l'accusa di essere nemico dichiarato della Germania. Ma se Ribbentrop darà agli inglesi la sensazione che la Germania vuole tirare a sé l'Inghilterra troppo strettamente, egli provocherà fatalmente l'effetto contrario, ripetendo l'errore che, uno dopo l'altro, hanno commesso tutti i Governi francesi.

La politica inglese di fronte alla Germania è oggi tratta -come ho già segnalato a V. E. -in due direzioni opposte, da una parte dalla necessità di far fronte al pericolo degli armamenti tedeschi e dell'aggressività nazista, dall'altra dalla necessità di far fronte all'influenza sovietica; ed è naturale che la Germania cerchi di attenuare il senso del pericolo tedesco e di eccitare il senso del pericolo bolscevico con un'azione che in questo momento è potentemente favorita dagli avvenimenti di Spagna. Ma nella propaganda tedesca in Inghilterra ho avuto occasione di notare anche la tendenza ad eccitare negli inglesi il senso, che gli inglesi hanno già vivissimo, del pericolo che l'Italia fascista rappresenta ormai per la sicurezza dell'Impero britannico nel Mediterraneo. Anche questo è forse fatto per distrarre l'Inghilterra dal problema degli armamenti tedeschi e delle rivendicazioni coloniali della Germania. Ma anche questo è un errore perché in questo momento sarebbe interesse della Germania di far sentire agli inglesi che il maggior problema dell'Europa è la difesa della stabilità sociale e della pace europea contro il bolsce·vismo che sta allungando avidamente le sue unghie verso l'Europa Occidentale e verso il Mediterraneo.

Nel complesso Ribbentrop giunge a Londra in condizioni che non potrebbero essere più vantaggiose per la Germania e gli stessi commenti con i quali la sua nomina è stata qui accolta, lo stesso fatto che essa è stata considerata come un gesto amichevole di Hitler per l'Inghilterra, sono le prove delle favorevoli disposizioni che egli troverà qui verso la sua politica, se egli saprà un poco frenare la sua esuberante propaganda di anglofilia e non darà troppo la sensazione di una Germania che è disposta a tutto pur di compiacere l'Inghilterra.

736.

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8082-8083-8084/058-059-060 R. Atene, 14 agosto 1936 (per. il 17).

Con i miei telegrammi nn. 239, 144 e 151 (2) ho informato V. E. che la proclamazione della dittatura non ha provocato gravi reazioni in Grecia. In seguito a nuove informazioni giuntemi dalle provincie confermo tale mia affermazione. Soltanto in un quartiere popolare di Salonicco sarebbe avvenuto uno scontro fra la polizia ed i comunisti e vi sarebbero stati due morti ed una

diecina di feriti. Le notizie in senso contrario pubblicate da alcuni giornali stranieri sono dovute a dei telegrammi tendenziosi inviati dai corrispondenti delle agenzie «Avala » e «Anatolia», i quali del resto in seguito a tali telegrammi sono stati espulsi da Atene.

Se sia esatto che il 4 agosto si fosse alla vigilia di un movimento comunista di larga portata non è facile dire. Le opinioni su questo punto sono assai discordi. Tenendo conto di quello che ho rilevato in questi ultimi mesi circa la preparazione comunista, io sono piuttosto portato a credere che qualche cosa di serio vi fosse. Pare infatti accertato che nelle immediate vicinanze di Atene e di Salonicco fossero state già assoldate ed organizzate delle bande di contadini e di disoccupati i quali, ad un dato momento, avrebbero dovuto marciare sulle due città per prestare man forte alla popolazione operaia. Sembra che i dirigenti comunisti contassero di provocare un conflitto con la polizia e di obbligarla a far fuoco. Ciò avrebbe dovuto essere il segnale di una reazione violenta, organizzata da parte delle masse proletarie. Non è arrischiato il dire che senza il colpo di stato molto probabilmente i sovversivi sarebbero arrivati ai loro fini.

Forse il pericolo comunista è stato volutamente esagerato dal generale Metaxas tanto davanti agli occhi del Sovrano che davanti a quelli della Nazione. Certo è però che oggi, otto giorni dopo che il cambiamento di governo è stato annunziato al popolo ellenico, appare chiaro che il Metaxas aveva lungamente ed abilmente preparato l'avvenimento, sia ottenendo il consenso del Re --preoccupato dagli effetti della intensa propaganda comunista e scoraggiato da tutti gli sforzi infruttuosi per costituire un governo parlamentare e ricondurre la pace fra i partiti politici-sia pr0curandosi l'appoggio dell'esercito al quale ha promesso l'accettazione completa delle sue rivendicazioni ed al quale ha dato quelle soddisfazioni morali e di prestigio che gli altri governanti gli avevano negato.

Gli è perciò che pur rendendomi conto che molti elementi possono ancora sfuggirmi, a me pare di poter affermare che il nuovo governo dittatoriale è oggi assai forte e non corre alcun rischio. Con ciò non intendo dire che non vi potranno essere qua e là degli incidenti sanguinosi, ma non credo in un movimento insurrezionale di vasta portata e gravità che ne metta in pericolo l'esistenza.

I vari partiti, compreso quello comunista, non hanno una organizzazione armata in grado di opporsi e di fronteggiare l'esercito; ora, nonostante la propaganda sovversiva, l'esercito è per il momento, saldamente e sinceramente a fianco del Re e del generale Metaxas. Questi ha avuto tutto il tempo di distribuire nei comandi più importanti persone di cui si può fidare. I generali, nel complesso, lo considerano uno dei loro, lo stimano e lo temono. Il colonnello Skylakakis, attuale ministro dell'Interno, gode nelle file dell'esercito, nei gradi inferiori come in quelli superiori, di molta stima e di non poche amicizie. Eliminati come sono, per varie circostanze, gli elementi militari greci più inquinati di politica, non si può onestamente negare ai corpo degli ufficiali greco, specialmente ai giovani, un senso abbastanza elevato di patriottismo e di attaccamento al Paese ed anche alla Dinastia.

Evidentemente, a lungo andare, l'elemento personale, sempre così vivo

e pericoloso qui, potrebbe introdurre dei nuovi elementi di scissione e di

discordia. Ma, comunque, il Governo può, per un periodo abbastanza lungo,

contare sull'esercito. Durante questo periodo esso può crearsi altrimenti delle

basi ed una forza sua, indipendente dalle forze militari.

I partiti politici si sono molto screditati durante questi ultimi anni di

lotte intestine; la morte dei grandi capi tradizionali ha dato loro un gravis

simo colpo. La parte sana della popolazione, che è più numerosa di quanto non

possa apparire a prima vista, è stanca di questa continua lotta che non

copre altro che delle ambizioni e degli interessi personali.

Gli uomini politici attuali -i liberali, come i popolari, come tutti sono uomini molto mediocri, essi contavano in quanto si doveva passare per il loro tramite se si voleva ottenere qualche cosa. Pochi mesi di un Governo il quale non si curasse di loro basterebbero a farli tornare nelroscurità, giacché non hanno vero seguito di masse e sarebbe assai problematico per loro far scendere in piazza una parte anche minima dei loro elettori.

L'unico partito veramente pericoloso è il partito comunista, perché è il solo che ha un'organizzazione. Ho già segnalato all'E. V. il vasto diffondersi della propaganda comunista, specie fra la gioventù intellettuale. Penso in sostanza che ciò sia da attribuirsi più che altro al senso di vuoto che dava tutta la vita politica della Nazione, per cui la gioventù che qui, come altrove,

ha bisogno di un ideale, si rivolgevi a quel solo partito che sembrava avere un contenuto. Ma d'altra parte fra la gioventù stessa si comincia a delineare, in questi ultimi tempi, una certa reazione, reazione che si manifesta nel sempre crescente interesse verso l'ideologia fascista o nazionalsocialista: movimento questo che, se il Governo di Metaxas saprà sfruttare, può costituire una forza non indifferente. Inoltre gli arresti, che continuano, debbono avere scompaginata la organizzazione comunista e prima che essa possa rifarsi su altre basi ci vorrà del tempo. Per cui anche da questo lato si può dire, senza eccessivo ottimismo, che il Governo dovrebbe poter contare su di un periodo abbastanza lungo di tranquillità.

Rimettere moralmente in piedi il Paese non è un'opera impossibile. Il popolo greco nella sua grande massa, con tutti i suoi difetti, è ancora fondamentalmente sano; è sobrio, laborioso, paziente, ama la famiglia e l'economia. Spinto alla disperazione dalla miseria e dall'abbandono del governo, è facile preda degli agitatori di vario colore. Migliorando un poco la sua situazione, epurando la scuola e l'amministrazione e tenendo bene in mano la stampa, come si sta facendo, si potrebbe rapidamente rimetterlo in carreggiata.

La vera incognita che vedo per l'avvenire del Governo di Metaxas è la situazione economica e finanziaria.

L'inverno si annunzia assai duro. Il raccolto del grano è stato disastroso, quello del tabacco potrebbe ancora essere ottimo, ma si temono difficoltà per trovare un mercato di smercio. È probabile che quest'anno la miseria sarà ancora più grande dell'anno scorso. E mentre la riserva aurea della Banca di Grecia accusa una costante diminuzione, il Governo d'altra parte dovrà

risolvere la questione degli armamenti che l'obbligheranno a considerevoli acquisti all'estero con espatrio di valuta. L'opposizione infatti si mostra sicura che le difficoltà della situazione economica e finanziaria metteranno fra qualche mese il governo di Metaxas nell'impossibilità di resistere.

La popolazione che nella sua parte sana ha accolto favorevolmente il colpo di stato, si aspetta oggi dal nuovo Governo fatti e non parole. E per fatti si intende, qui, come altrove, strade, scuole, case; lavoro in una parola e lavoro produttivo per l'economia generale del Paese e per il benessere della popolazione. Per poter dare al Paese tutto questo ci vogliono denari; li potrà trovare il Governo di Metaxas? C'è chi dice, e sono molti, che non poco si potrebbe fare se tutto il denaro che si spende ora per saziare l'avidità degli uomini politici, e quello che si perde con una pessima amministrazione dello Stato, venisse speso per il bene del Paese. Probabilmente. c'è molto di vero in quest'affermazione; è solo questione di misura. Con i recenti provvedimenti già presi o annunziati il Metaxas pare che si voglia mettere su questa strada. Occorrerà attendere i risultati.

Riassumendo: a quanto si può oggi giudicare il Governo dittatoriale greco, anche a non volere essere eccessivamente ottimisti, dovrebbe avere aavanti a sé vari mesi di vita tranquilla. Nonostante tutte le difficoltà di vario genere a cui ho accennato, in questi mesi esso può fare molto buon lavoro per il risanamento morale e materiale del Paese. Se Metaxas riuscirà a dare alla parte sana del Paese dei fatti e sopratutto la speranza di un avvenire migliore, si sarà assicurato una larga base di consenso ed una lunga possibilità di durata. È quindi dalla sua capacità e dalla sua volontà di ricostruzione che dipende il suo avvenire. E l'abilità indiscussa di cui il signor Metaxas ha dato prova nel preparare il suo colpo di stato non deve essere sottovalutata quando si fanno delle previsioni.

Molti si domandano quale effettivamente sia stato il pensiero e l'atteggiamento del Sovrano di fronte al colpo di stato del 5 agosto. È stato notato che mentre in un caso precedente (Jugoslavia) fu il defunto Re Alessandro che indirizzò personalmente il proclama alla Nazione per annunziare il cambiamento di Regime, in Grecia è stato il presidente del Consiglio che si è rivolto direttamente al popolo, pur sottolineando che agiva in completo accordo col Sovrano. E si vuole dedurre da questa differenza formale che il Sovrano ha tenuto a scindere in qualche maniera la sua responsabilità da quella del suo primo ministro.

A me non sembra che tale interpretazione sia esatta. In questi nove mesi di regno Re Giorgio ha dato prova di avere volontà e personalità molto superiori a quelle che gli venivano attribuite prima del suo ritorno sul trono. Se egli fosse stato contrario al colpo di stato non avrebbe esitato a licenziare il presidente Metaxas ed a confidare il potere ad un altro uomo politico dei partiti di opposizione. Non erano certo i candidati che mancavano.

D'altra parte non è difficile spiegare l'atteggiamento di questo Re che, ritornato in Patria dopo 13 anni di esilio, ha incontrato le prime gravi difficoltà per regnare presso le stesse persone che avevano voluto e preparato il

56 -Documentt dtplomattct -Serle VIII -Vol. IV

suo ritorno, e che fin dai primi giorni del suo regno ha dovuto renders1 conto che n Paese non poteva essere governato con quei principi rigidamente costituzionali che avevano forse sedotto la sua psicologia di uomo del nord durante il suo lungo esilio in Inghilterra. Egli ha dovuto subito rendersi conto che il mondo politico greco, corrotto e di corte vedute, aveva ancora e largamente bisogno di educazione. Ogni suo tentativo per rimettere e far camminare la nazione sulle vecchie regole costituzionali si è urtato contro regoismo e la meschina partigianeria degli uomini che guidavano la vita politica del Paese. Nove mesi di sforzi vani in tal senso lo hanno pertanto scoraggiato e non deve recar meraviglia se alla fine egli abbia accordato la sua fiducia ad un uomo eh;.; per il suo passato e per il fatto di essere quasi al di fuori dei partiti gli è sembrato più sincero e più capace degli altri. I continui attacchi e le continue ingiunzioni che larvat:?tmente ed anche apertamente egli riceveva dai cosidetti capi partito che restavano sordi a tutti i suoi appelli di unione debbono averlo sempre più persuaso che era impossibile governare coi vecchi metodi, i quali d'altra parte, egli vedeva, si erano mostrati

inservibili in Paesi ben più progrediti e meglio preparati della Grecia.

Il pericolo comunista poi, che era la sua costante preoccupazione che non celava a nessuno, e che -come egli si rendeva conto -aveva trovato un terreno fertilissimo nella miseria del popolo e nel malgoverno del Paese, deve avere molto influito nella sua decisione, sopratutto in seguito ai recenti avvenimenti spagnuoli.

Per tutte queste consid·erazioni io sono portato a ritenere che l'appoggio dato da Re Giorgio al presidente Metaxas sia oggi incondizionato e sincero. Anzi mi risulta da buona fonte che ai vari capi partito che, dopo il colpo di Stato si sono recati da lui per dirgli che erano ormai disposti a venire ad un accordo tra di loro per formare un ministero d'unione nazionale, ma per !asciargli nello stesso tempo intendere che se non avesse in breve tempo sconfessato Metaxas lo avrebbero ritenuto responsabile di quanto poteva avvenire nel Paese, egli -contrariamente a quanto qui si era detto nei giorni scorsi -avrebbe risposto in maniera assai decisa che quanto era stato fatto era stato fatto col suo pi'eno consenso e che egli, nell'interesse del Paese, non era disposto a ritornare indietro.

L'avvenire prossimo dirà se egli ha avuto ragione.

Quale che sia però il successo che avrà la dittatura in Grecia è innegabile

che l'opinione pubblica mondiale non potrà non considerare come un titolo

di merito per il Sovrano questa sua adesione data a quello che egli considera

il bene del Paese, a rischio dei suoi stessi interessi personali e di quelli

della Monarchia. Egli ha -come si dice -giocato grosso perchè sa che l'in

successo di Metaxas potrà significare per lui la perdita della Corona ed il

ritorno in esilio.

Il generale Metaxas, subito dopo la proclamazione della dittatura ha an

nunziato che voleva con importanti e radicali riforme riorganizzare lo Stato

sia dal punto di vista politico-sociale, sia da quello economico-finanziario.

Sulle sue direttive il Governo sta studiando e concretando un vasto pro

gramma legislativo che in gran parte s'inspira, secondo quanto risulta dalle

disposizioni finora pubblicate e dai progetti esposti da membri del Gabinetto, ai principi fascisti. Le prime norme emanate hanno un carattere politico-sociale e tendono ad alleviare le classi meno abbienti ed elevare il livello di vita dei lavoratori.

Infatti il Governo ha deciso fino dai primi giorni del nuovo regime che le indennità parlamentari anche quelle versate anticipatamente o in più ad alcuni deputati, debbano essere recuperate e devolute per la distribuzione di soccorsi agli indigenti e che i fondi dell'associazione comunista «Focolare Operaio», ammontanti a 10 milioni di dracme, siano subito impiegati per l'acquisto di immobili ad Atene, Salonicco, Patrasso, Volo, Cavalla destinati ad accogliere istituzioni simili a quelle del nostro Dopolavoro.

Inoltre dietro diretto interessamento del Governo sono stati ieri firmati dai rappresentanti dei datori di lavoro e dagli operai i primi contratti collettivi per gli addetti alle industrie e per gli impiegati, fissando i salari e stipendi minimi. Sono state pure promulgate norme per la vendita dei generi di prima necessità allo scopo di disciplinarne i prezzi e le qualità.

Saranno emanati quanto prima provvedimenti per stabilire nelle industrie l'orario di otto ore di lavoro e per applicare l'arbitrato obbligatorio nelle controversie fra datori di lavoro ed operai.

Altra questione che il Governo sta esaminando con speciali cure è quella dell'organizzazione della gioventù.

Circa la riforma di carattere economico-finanziario il signor Zavitzianos, vice presidente del Consiglio e studioso del sistema corporativo, ha dichiarato oggi alla stampa che, considerando fallito il regime liberale, « unica via per uscire dall'attuale anarchia, è l'organizzazione dello stato su basi corporative».

Mi riservo di tenere informata l'E. V. sugli ulteriori provvedimenti che verranno emanati per l'attuazione del programma del Governo.

(l) Non pubblicato. Si veda p. 803, nota 2.

(l) -Vedi p. 746, nota 1. (2) -Nun pubblicati.
737

IL MINISTRO AD HELSINKI, KOCH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8235/04 R. Helsinki, 14 agosto 1936 (per. il 21).

Contrasti così facili a prodursi fra questo Governa e quello sovietico si sono particolarmente accentuati in questi ultimi giorni per questione cui fece già cenno questa legazione col telespresso n. 310 del 29 luglio (l) circa progettata linea aerea fra occidente e Leningrado via Helsinki, che ha dato motivo a violenti attacchi della stampa moscovita avenùo essa visto in tale progetto ventilato senza nessuna previa consultazione con l'U.R.S.S. pretesto per costruire campi di atterraggio militari (particolarmente a Mariehamn nelle isole Aland) al fine di favorire piani aggressivi della Germania.

Linguaggio dei giornali sovietici ha provocato risentimento di questa opinione pubblica e nota di protesa di questo Governo che vuole scagionarsi dalla accusa rivoltagli.

Della questione dell'eventuale riarmo delle isole Aland e della favorevole ripercussione apparsa al riguardo nella stampa tedesca questa legazione ha già trattato in precedenti comunicazioni. È azzardato dire -e credo anzi si possa per ora senz'altro escludere -che vi siano state trattative al riguardo fra Helsinki e Berlino. Governo finlandese si difende tuttora da una politica che possa nuovamente infeudare questo Paese all'influenza del Reich sebbene paura sempre viva ed assillante di una minaccia bolscevica, che costituisce tema dominante della politica estera di questo Paese, e preoccupante penetra

zione del pericolo rosso in altre nazioni possano portare fatalmente la Finlandia in un prossimo avvenire a dare appoggio alla politica antisovietica del Reich. Su tale possibile orientamento di questo Paese mi riservo di tornare prossimamente. È fuori dubbio però che con la progettata nuova linea aerea lo Stato Maggiore finlandese ha voluto cercare il pretesto per la costruzione di nuovi campi di aziazione con particolare veduta su quello di Mariehamn iniziando così un tentativo indiretto di riarmo di quell'isola concordato evidentemente col Governo di Svezia e su cui, come ho già riferito in precedenti comunicazioni, i due Stati Maggiori hanno già avuto scambi di vedute di carattere militare.

Questo ministro degli Affari Esteri nel parlarmi del nuovo incidente con Mosca ha protestato la massima innocenza di queste Autorità per quanto si riferisce alla progettata linea aerea e si è mostrato indignato dell'atteggiamento che stampa e dirigenti moscoviti manifestano ad ogni occasione contro la Finlandia, accusando particolarmente questo ministro dell'U.R.S.S. signor Asmus responsabile a suo avviso di questa campagna che renderà sempre più difficile quella chiarificazione fra i due Paesi che egli, ex ministro a Mosca, avrebbe cosi vivo desiderio di poter raggiungere.

(l) Non pubblicato.

738

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN (l)

APPUNTO. Roma, 14 agosto 1936.

Ho ricevuto l'Ambasciatore di Francia il quale mi ha detto che il suo Governo lo aveva incaricato di comunicarci l'accordo di maf;sima sulla proposta da noi avanzata di impedire le sottoscrizioni e il reclutamento di volontari per la Spagna (2). Tale adesione era però platonica in quanto, col pretesto che

sarebbe stato troppo lungo fare accettare anche agli altri Governi la nostra formula, il Governo francese proponeva quanto segue: a) l'adozione della dichiarazione di « non intervento » come prospettata dalla Francia; b) l'Italia avrebbe aggiunto unilateralmente che manteneva la sua richiesta per la proibizione di sottoscrizioni e di reclutamento di volontari;

r.) il Ministro degli Esteri francese avrebbe fatto sapere verbalmente al nostro Ambasciatore che la Francia concordava ,con lui sull'opportunità di non inviare nè uomini nè danaro in Spagna.

Ho risposto all'Ambasciatore che tale proposta francese mi pareva assolutamente inaccettabile. Mediante essa si tentava di trasformare in una pura e semplice raccomandazione unilaterale quella che era stata una nostra richiesta formale, raccomandazione che poi, mentre legava le mani all'Italia e forse parzialmente alla Francia, lasciava del tutto liberi altri Paesi che sono stati, quale l'U.R.S.S., i principali iniziatori di sottoscrizioni e di azioni collettive e popolari in favore del Governo rosso di Madrid.

Ho detto all'Ambasciatore di Francia che avrei fatto conoscere al Duce quanto egli mi comunicava, ma che comunque sentivo in dovere fin da adesso di fargli le mie riserve sull'accettabilità della proposta francese. Ho aggiunto che, mentre noi rinunciando ad insistere sulla limitazione delle campagne di stampa, di radio, e sulla proibizione di pubbliche riunioni avevamo fatto molti passi innanzi per incontrarci con la proposta francese, mi pareva che d'altro lato, invece, si rimanesse fermi sulle posizioni e che non si facesse niente per favorire un accordo con noi.

In fine della conversazione gli ho parlato anche della necessità di rimettere subito in libertà il nostro velivolo atterrato al Marocco. L'Ambasciatore di Francia mi ha assicurato del suo intervento a Parigi (1).

(l) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 56-57.

(2) Vedi D. 711.

739

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8028/251 R. Saint Jean de Luz, 15 agosto 1936, ore 13,52 (per. ore 16,15).

Mio telegramma n. 210 (2).

Avendo giornali pubblicato che il Governo Madrid chiederebb3 mediazione qualche Potenza straniera per accordo con insorti, ho chiesto subito, naturalmente a titolo personale Governo Burgos quale sarebbe suo contegno davanti eventuale proposta mediazioni. Mi è stato risposto nettamente che nessuna proposta sarebbe accettata, essendo insorti pienamente sicuri vittoria totale e definitiva.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -T. 7686/210 R. del 6 agosto, ore 9,25. Riferiva che l'ambasciatore di Francia, Herbette, si era espresso in favore di un'azione di conciliazione nella guerra civile spagnola che aprisse la strada ad un governo moderato, così da porre fuori giuoco le opposte fazioni estremiste. Pedrazzi avanzava l'ipotesi che la Francia si stesse già muovendo concretamente in questo senso.
740

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.u. 8036/355 R. Berlino, 15 agosto 1936, ore 15,43 (per. ore 16,45).

Seguito a comunicazione telefoni·ca di V. E. (l) ho veduto von Neurath, il qual-e mi ha promesso, aderendo al desiderio V. E., attenderà ancora a rispondere. Siamo però rimasti d'accordo che ci rivedremo lunedì mezzogiorno e mezzo. Prego farmi conoscere, prima di allora, istruzioni del caso, tenendo presente che, ove foss'e rimossa causa originalmente addotta per ritardo (mio telegramma n. 350) (2), Germania finirebbe con il trovarsi nell'obbligo di rispondere.

741

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, A TUTTE LE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA CENTRALE E MERIDIONALE

T. RR. 3772/C.R. Roma, 15 agosto 1936, ore 23.

Allo scopo affiancare rafforzare movimento reazion'.l che va delineandosi codesta opinione pubblica contro pericolo diffusione contagio comunista che dalla Spagna accenna propagarsi Messico Cile ed altri Stati codesto Continente, prego avvalersi tutti organi stampa da noi controllati, o almeno suscettibili subire nostra influenza, per richiamare attenzione di codesta opinione pubblica circa gravità pericolo comunista. Tale azione, che dovrà venire svolta discretamente e senza comunque scoprire le RR. Autorità, dovrà avere come fine remoto ma precipuo quello di far convergere gli sguardi del mondo sudamericano su Roma, cui le recenti vicende conferiscono sempre più il carattere di capitale ormai anche politica della latinità.

Prego riferire particolareggiatamente su modalità con cui azione potrà essere svolta.

742

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A TIRANA, INDELLI

T. PER CORRIERE 3789 R. Roma, 15 agosto 1936.

Dai più recenti rapporti della S. V. appare che impressione prodotta su Re Zog da accordo austro-tedesco perdura vivissima e che egli è assillato dal

timore che, di riflesso, possano verificarsi cambiamenti nelle relazioni italajugoslave con conseguente svalutazione del fattore albanese.

Sta di fatto che nei nostri rapporti con la Jugoslavia niente di particolare è da segnalare. Sono cessate le intese Mediterranee fra la Jugoslavia e l'Inghilterra nei riguardi italiani, ma tale cessazione ha fatto parte della fine di tutte tali intese che si estendevano, com'è noto, anche ad altri Paesi. Per contro l'applicazione degli accordi testè conclusi con Re Zog (l) continua e continuerà nella maggiore regolarità e nello stesso spirito con cui sono stati conclusi. Re Zog può e deve quindi abbandonare ogni residuo atteggiamento di minore fiducia nei nostri riguardi.

A questo proposito conviene anzi osservare che gioverebbe assai al rafforzamento delle relazioni italo-albanesi e dello spirito che ad esse presiede se avesse a cessare il mantenimento degli organizzatori inglesi della gendarmeria. Non si tratterebbe del resto che di mettere in esecuzione le precise assicurazioni verbali date nel corso delle trattative per l'accordo militare, assicurazioni che noi rinunciammo ad includere nell'accordo p~r non ferire la suscettibilità di Re Zog cui spiaceva non si prestasse fede alla sua parola. Risulterebbe, è vero, che egli, malgrado tali promesse, avrebbe rinnovato prima ancora della scadenza i contratti degli organizzatori predetti, o avrebbe quanto meno dato al generale Percy affidamenti circa la loro rinnovazione; ma ciò non potrebbe certo costituire un ostacolo insuperabile qualora Re Zog lo volesse.

Lascio a V. S. nel modo e cogli argomenti che riterrà del caso, parlare in conseguenza, tenendo presente che lo scopo preciso a cui io tengo è che il capo della gendarmeria generale Percy si allontani dall'Albania e con lui gli altri organizzatori inglesi della gendarmeria stessa.

(l) -In proposito si veda p. 803, nota l. (2) -Vedi D. 731.
743

IL CONSOLE GENERALE A BARCELLONA. BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8080/48138 R. (2). Barcelloma, 17 agosto 1936, ore 2 (per. ore 10,55).

In questi ambienti moderati di Governo aumenta visibimente senso sfiducia e apprensione. Si dubita ormai che la doppia lotta contro nazionali e contro estremisti anarchici possa risolversi favorevolmente.

Tra le molte voci che correvano oggi al ministero dell'Interno segnalo ad ogni buon fine quella secondo cui non appena Madrid cadrà in mano militari questo Governo della Generalità proclamerebbe indipendenza Repubblica catalana per la quale chiederebbesi protettorato francese.

Attività agenti francesi in Catalogna tuttora vivissima. Continuano arrivi motori, armi, benzina. In tutti corpi militari repubblicani {guardie civili, guar

die assalto, doganieri) si sono istituiti consigli dei soldati che nominano i capi, destituiscono gli ufficiali aumentando senso disordintl incapacità organizzativa forze repubblicane. Oggi i marinai dei cacciatorpedinieri « Almirante » e «Miranda» hanno destituito comandante medesimo incolpato avere eseguito manovre errate precedente uscita dal porto danneggiando la nave. Del pari è accertato che diversi piloti cercano rifiutarsi volare contro i nazionali e compiono atti sabotaggio contro loro stessi apparecchi e vengono perciò sorvegliati da militi antifascisti armati.

Ai consolati generali di Germania e Italia si sono presentati diversi ufficiali della guardia civile d'assalto finora fedeli al Governo che chiedono essere imbarcati per andare combattere fianco nazionali e che proclamansi disgustati assoluto predominio federazione anarchica iberica in Catalogna.

Quasi, tutti impiegati statali, magistrati ed insegnanti sono stati, destituiti all'istante perché sospetti di essere troppo moderati. Da tutti i sintomi pare sempre più probabile che in Barcellona anarchici scateneranno nuovi gravi torbidi appena in altra parte Spagna si avrà un avvenimento decisivo, quale caduta Madrid in mano nazionali o Saragozza in mano rossi.

(l) -Accordi italo-albanesi del 19 marzo 1936. Vedi Trattati e convenzioni, vol. L, pp. 25-73. (2) -Il presente telegramma venne trasmesso tramite la R. nave <<Di Giussano>>.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8112/357 R. Berlino, 17 agosto 1936, ore 17,48 (per. ore 20,30).

Mi riferisco al mio telegramma n. 355 del 15 corrente (1).

Come d'intesa, stamane ho rivisto von Neurath, il quale parte questa sera in vacanze. Egli mi ha informato che incidente ultimo aeroplano Lutthansa (2) è stato praticamente risolto: i tre uomini d'equipaggio sono stati liberati e ciò che rimane in discussione è soltanto il mezzo migliore per la riconsegna materiale dell'apparecchio. In queste condizioni, von Neurath mi ha detto, la Germania non può a meno -analogamente a quanto ha fatto a suo tempo l'Italia -di precisare anche la sua posizione. Mi ha chiesto se avessi in proposito delle istruzioni nuove.

Ho risposto di no, insistendo però perchè, ave obbligata a rispondere, Germania tenesse conto delle riserve già avanzate da noi.

Von Neurath mi ha allora mostrato il testo della risposta tedesca già preparata dagli uffici del ministero degli Affari Esteri, risposta che in sostanza faceva una sola esplicita riserva e cioè la partecipazione all'accordo di tutti indistintamente i Paesi produttori di armi e munizioni.

Gli ho fatto osservare che questa riserva non mi pareva sufficiente, dato che garanzie di un Paese a regime liberale, professantesi « rispettoso delle libertà private » non valeva quella di un Paese a regime totalitario. Ha rico

nosciuto giusta la osservazione, me presente, modificando vari riferimenti testo già preparato.

Mi sono pure raccomandato perché, nella sua risposta, Germania si riattaccasse se possibile esplicitamente alle riserve da noi formulate almeno per quanto riguarda... (l) «volontaria». Mi ha promesso di si.

Von Neurath ha quindi veduto subito dopo me, ambasciatore Francia, il quale nel comunicargli ultime note scambiate tra la Francia e Inghilterra con l'accettazione da parte quest'ultima, salvo riserve per il transito, della formula francese, ha aggiunto che, ormai risolto incidente ultimo aeroplano Lufthansa (per il quale Governo francese si è attivamente adoperato), Francia si aspettava la già promessa adesione tedesca.

Von Neurath ha dichiarato ad ambasciatore Francia che nella nuova situazione non avrebbe avuto difficoltà a rispondere ma ha formulato tuttavia, esplicitamente, tutte le riserve concordate con me.

Di questo von Neurath mi ha dato personale assicurazione in un nuovo incontro avuto con me subito dopo François-Poncet. Egli mi ha detto pure che, prima di partire, avrebbe confermato il tutto per iscritto, con un documento stilato a somiglianza di quello inglese, come questo contenente nella seconda parte, delle riserve e precisamente quella di cui era stata parola.

Von Neurath lascia Berlino questa sera. Il Cancelliere è già partito ieri.

(l) -Vedi D. 740. (2) -Vedi p. 802, nota l.
745

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8114/457 R. Washington, 17 agosto 1936, ore 18,12 (per. ore 5,30 del 18).

Telegramma V. E. n. 379 (2). Non ritengo possibile e non credo sarebbe comunque opportuno agire su massa elettori itala-americani in prossime elezioni presidenziali.

Ingerenza ambasciatore e autorità consolari finirebbe _con l'essere sospettata e ciò danneggerebbe anziché rafforzare nostra situazione Stati Uniti. Elettori itala-americani sono poi divisi fra partito repubblicano e democratico per quanto gravitino maggiormente verso quest'ultimo specialmente New York. Partiti rappresentanti italiani possono essere mobilitati o riuniti in un solo fascio siccome avvenuto di fronte sanzioni, ma normalmente itala americani sono e rimangono divisi in repubblicani o democratici a seconda degli interessi locali e della « macchina elettori » cui essi appartengono.

Tutto quello che si può fare è cercare che al Congresso entrino il maggior numero possibile di italiani senza tener conto del partito cui essi appartengono. Informandomi appunto di ciò, vado già da tempo svolgendo col con

corso dei consoli dipendenti opera persuasiva presso prominenti itala-americani allo scopo di evitare che ad un candidato italiano venga opposto un altro candidato italiano, siccome troppo spesso è avvenuto in passato con grave dispersione delle nostre forze. L'editore del Progres8o Itala-Americano che ho segnalato all'E. V. col mio rapporto n. 5780/1170 in data 5 agosto (l) è appunto l'espressione di tale indirizzo.

(l) -Nota dell'Ufficio Cifra: «Gruppo indecifrabile ». (2) -Vedi D. 725.
746

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 8109/255 R. Saint Jean de Luz, 17 agosto 1936, ore 19,10 (per. ore 22,15).

Governo Burgos informami che avendo occupato città Badajoz e liberate molte truppe impegnate finora Estremadura, sarà al più presto posto in atto piano d'investimento Madrid.

In convegno tenuto a Siviglia, generale Mola e interlocutore (2) hanno concertato piano d'operazioni contro capitale. Mentre attacco delle truppe marcechine giunte in Spagna è atteso da Sud, esso avverrà invece da Nord mediante rapido spostamento dell'esercito che forzerà il passo, dal lato di Somosierra. Resta ferma intenzione dei due generali di investire Madrid ma di non entrarvi a mano armata e di non bombardarla se non vi siano costretti da inflessibile resistenza, prefendo essi vincerla con accerchiamento che determini la resa.

Governo mi reitera impossibilità che sia da parte sua accolta mediazione

qualora venisse da Potenze straniere o da elementi politici spagnuoli, quale

ex presidente Alcalà zamora che aveva intenzione di proporsi quale inter

mediario.

747

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8159/096 R. Vienna, 17 agosto 1936 (per. il 19).

Telegramma per corriere di V. E. 3676 del 10 corrente (3).

Col direttore degli Affari Politici ho portato il discorso sull'accoglienza

che l'accordo austro-germanico dell'll luglio aveva avuto in Cecoslovacchia.

Egli mi ha risposto che l'accoglienza era stata «pessima 1> e che il signor

Krofta non aveva esitato, sia col rappresentante austriaco, Marek, che con

quello ungherese, a condannarlo apertamente, abbandonandosi anche a sinistre

prevrswni circa le «esiziali conseguenze» che esso avrebbe avuto per l'Austria. Il signor Hornbostel ha aggiunto che la severità e l'asprezza di tali giudizi, che avevano avuto larga ripercussione negli ambienti di Praga, avevano sgradevolmente sorpreso il Ballplatz, e che qui si era d'opinione che il signor Krofta fosse, anche in questo particolare argomento, più il fedele portavoce del signor Benes che non quello del signor Hodza, il quale -sempre ad avviso del mio interlocutore -cercherà di utilizzare, se e per quanto possibile, il recente accordo ai fini dei suoi piani di ricostruzione centro europea.

Iì signor Hornbostel mi ha anche aggiunto che il signor Krofta ha ripetutamente e vivacemente accennato col signor Marek ad un « blocco austrogermano-ungherese palesemente diretto contro la Cecoslovacchia».

(l) -Non rinvenuto. (2) -Sic. (3) -Vedi D. 709.
748

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN (1)

APPUNTO. Roma, 17 agosto 1936.

L'Ambasciatore di Francia è tornato stasera a sollecitare una nostra risposta a quanto fu proposto da lui nell'ultima visita, venerdì scorso (2). Mi ha lasciato i qui uniti testi delle lettere scambiate tra il Ministro degli Esteri francese e l'Ambasciatore di Inghilterra, relative all'accordo di non intervento (3).

De Chambrun ha rinnovato le consuete raccomandazioni per la nostra decisione favorevole alle proposte francesi, assicurando anch'egli come Ingram che le nostre proposte aggiuntive saranno oggetto di un secondo e più vasto accordo. Anche a lui ho ripetuto che mi riservavo di dare una risposta dopo aver prese le istruzioni dal mio Capo.

Intanto però richiamavo la sua attenzione su alcune gravi manifestazioni francesi che venivano a compromettere qualsiasi platonica teoria di « non intervento»; il discorso del Ministro dell'Interno, il discorso del signor Duclos, Vice Presidente della Camera e il viaggio del signor Jouhaux in Spagna (4), avendo quest'ultimo dichiarato prima della partenza che si recava a Madrid «per assistere al trionfo dei lavoratori sui fascisti».

L'Ambasciatore de Chambrun ha dovuto convenire che si trattava di manife.:;tazioni gravi e pericolose, ma a suo parere esse dovevano servire a fare ancor più apprezzare lo sforzo del signor Blum per mantenere e concertare una politica di « non intervento ».

c.G.T. Léon Jouhaux era partito il 14 agosto per Madrid. Circa le notizie raccolte da parte italiana sul suo viaggio si vedano i DD. 755 e 773.

(l) Ed in L'Europa verso la catastrofe, pp. 57-58.

(2) -Vedi D. 738. (3) -Per il testo delle lettere cfr. DDF, serie seconda, vol. III, D. 150, Allegato. (4) -n ministro dell'interno Roger Salengro, a Tolosa, e il vicepresidente della Camera, Jacques Duclos, a Lilla, avevano auspicato in pubblici discorsi la vittoria dei governativi spagnoli, indicandola anche come una vittoria della classe operaia. Il segretario generale della
749

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'INCARICATO D'AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, INGRAM (l)

APPUNTO. Roma, 17 agosto 1936.

L'Incaricato d'Affari d'Inghilterra è venuto oggi a raccomandare a nome del suo Governo, l'accettazione da parte italiana delle proposte francesi per il «non intervento ». Mi ha aggiunto che tale accettazione rappresenterebbe una prima fase dell'accordo, in quanto in un secondo tempo le proposte italiane per impedire le sottoscrizioni di denaro e l'arruolamento dei volontari potrebbero essere l'oggetto di una nuova e più vasta intesa.

Mi ha lasciato il qui unito promemoria che riassume gli argomenti da lui esposti.

Avendomi fatto cenno alle voci che esistono circa l'eventualità di un accordo tra l'Italia ed il Generale Franco per la cessione di alcuni territori marocchini, gli ho opposto un assoluto diniego.

Gli ho detto infine che prendevo atto della sua raccomandazione e che mi riservavo di fare avere una risposta al Governo francese dopo aver ricevuto le opportune istruzioni da parte del Duce (2).

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA 147/41/36. Roma, 17 agosto 1936.

In an Aide Mémoire dated the 6th August, His Majesty's Embassy had the honour to communicate to the Royal Italian Government the views of His Majesty's Government in the United Kingdom on the proposals of the French Government in the matter of non-intervention in the present troubles in Spain.

His Majesty's Government ·in the United Kingdom have now been given to understand that the Royal Government, while ready to agree to the principle of the prevention of the supply of arms and munitions to Spain, consider that any international agreement should equally cover the question of money subscriptions and of the enlistment of volunteers and that the question of enforcing a common prohibition ·in these respects requires further elucidation. At the same time they understand that the French Government for their part hold the view that the first two points above mentioned, to which the Italian Government attach importance, that is to say the questions of money subscriptions and of the enlistment of volunteers, would suitably form the subject of Iater negotiations once the principle and text of the French Government's a.rms declaration had been accepted by ali the Powers immediately concerned; and that, in order to meet the views of the Royal Italian Government, the third point might be met by a proposal that an international committee of contro! should be established to supervise the enforcement of the common prohibition. In regard to this last suggestion, His Majesty's Government in the United Kingdom for their part have as yet reached no decision, but generally speaking they consider that

all three points raised by the Royal Italian Govemment are deserving of careful consideration at some state of the negotiations.

His Majesty's Government, however, are of the firm conviction that the primary objective of all concemed should be the conclusion among as many interested Powers as possible of an agreement both in principle to prevent the supply of arms to Spain and in practice to take such immediate steps as may be within their power to that end. This would be ,a first step which could be followed by negotiations with a view to including in the common agreement on prohibition any other matters such as those raised by the Royal Italian Government.

His Majesty's Embassy have been instructed to impress on the Royal Italian Government the increasing anxiety with which His Majesty's Government in the United Kingdom regard any delay in arriving at an immediate agreement on the lines of the French Government's proposals. They feel most strongly that it is only by the speedy conclusion of such an agreement that it may be possible to avert disastrous complications which may at any time arise out of the existing troubles in Spain.

His Majesty's Government in the United Kingdom have, therefore, for their part given 'ali possible support to the French Government's proposals, despite the difficulties which their practical application in the United Kingdom must involve and they earnestly hope that the Royal Italian Government will make every endeavour to accept the proposals in a similar spirit.

(l) Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 58-59.

(2) Il presente documento reca il visto di Mussolinl.

750

IL CONSOLE A TOLOSA, BERRI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8134/15 R. Tolosa, 18 agosto 1936, ore 15,20 (per. ore 19,50).

Continuano attivi rifornimenti uomini materiali da guerra avviati da Francia in Spagna attraverso questa frontiera. Munizioni sono particolarmente fornite attraverso Passo di Albère, poco lontano da Port Bou. A certo punto sono scaricate da camions e fatte proseguire a mezzo muli.

Da qualche giorno data situazione settore Irun reparti truppa escono Spagna, entrano Francia, proseguendo per Bassi Pirenei quotidianamente servonsi liberamente territorio francese scopo strategico. Il 15 corrente 150 governativi regolarmente equipaggiati provenienti da Barcellona transitarono in questa città diretti a Irun.

751

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 18 agosto 1936.

L'Incaricato d'Affari d'Ungheria, d'incarico del suo Governo, ha fatto la seguente comunicazione.

« S.A.S. il Reggente di Ungheria partirà il 20 per l'Austria. Si reca in Tirolo per la caccia. Il viaggio ha carattere assolutamente privato. Il ritorno è previsto per il 30.

Nelle circostanze esistenti, renderà visita di cortesia al Presidente Miklas a Velden, e al Ftihrer Hitler a Berchtesgaden alla frontiera austro-tedesca. Il programma è fissato d'accordo col Governo austriaco.

La comunicazione al Governo italiano è fatta solo due giorni avanti la partenza del Reggente, essendosi voluto custodire il maggior segreto sul viaggio nell'interesse della sua sicurezza personale » (l).

752

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. POSTA 3213/106. Bled, 18 agosto 1936 (per. il 20).

Mi onoro segnalare, per debito d'ufficio, alcune notizie testè pervenutemi:

Continuano a correre voci di una sostituzione del Gabinetto Stojadinovic con altro presieduto da Korosec e nel quale Stojadinovic conserverebbe il portafoglio degli Esteri: si vorrebbe però evitare la caduta del Gabinetto mentre si trova in Jugoslavia il Re d'Inghilterra; di fatto non vi è stata che la nomina del signor Subotic dottor Nikola a ministro della Giustizia, dicastero detenuto finora, ad interim, dal ministro della Politica Sociale Draghisa Cvetkovic.

Nei circoli politici e giornalistici jugoslavi si attribuisce molta importanza alla visita di Re Edoardo VIII in Jugoslavia e taluni interpretano tale visita come una manifestazione antitaliana da parte dell'Inghilterra. Si vocifera che la Jugoslavia sia disposta ad attaccarsi al carro inglese non volendo e non potendo più seguire la Francia dopo l'accordo raggiunto da questa con l'U.R.S.S.

Si fanno sempre più insistenti le voci di un attacco italiano nella prossima primavera alla Jugoslavia per occupare la Dalmazia. Si vocifera che l'Inghilterra, la quale dovrebbe, eventualmente, schierarsi a fianco della Jugoslavia, avrebbe ottenuto l'isola di Lissa per poterne fare una sua base nell'Adriatico.

Altra fonte fa sapere che, nonostante il carattere privato della visita del Re d'Inghilterra, negli ambienti jugoslavi le si attribuisce un significato prettamente antitaliano e si crede che essa preluderà ad un patto di alleanza.

Gravi dissidi esistono tra gli ufficiali superiori dell'esercito circa un'eventuale instaurazione della dittatura militare, che alcuni vorrebbero presto, per eliminare le discordie dei vari partiti che si risolvono solo a discapito della Jugoslavia (l).

(l) Il presente documento reca Il visto di Mussollnl.

753

L'INCARICATO D'AFFARI PRESSO LA SANTA SEDE, CASSINIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 2681/603. Roma, 18 agosto 1936 (per. il 21).

Telespresso n. 2657/594 del 14 corrente (1).

Con riferimento al mio telespresso suindicato segnalo all'E. V. l'unito editoriale pubblicato dall'Osservatore di questa sera con la sigla del direttore del giornale, e intitolato «Alibi impossibili».

L'articolo è stato ispirato dalla Segreteria di Stato che, nonostante le ben note simpatie del conte Dalla Torre per la Francia, ha dato istruzioni precise alla direzione dell'organo vaticano nel senso che si decida a parlar chiaro sulle atrocità spagnole. In considerazione di ciò continuo ad insistere in Santa Sede perchè si diano disposizioni attraverso le varie diocesi a tutti i quotidiani cattolici, specialmente di Francia, per stigmatizzare meglio e con maggior energia la lotta senza quartiere che colpisce la religione ed i sostenitori dell'ordine contro il bolscevismo.

La stampa cattolica italiana segue già questo indirizzo. (Ad ogni buon fine unisco una fotografia riprodotta. dall'Avvenire d'Italia col titolo «Le vergogne dell'Umanità»).

754

IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 8154/404 R. Tangeri, 19 agosto 19.16, ore 6,.10 (per. ore 10,30).

Sulla base informazioni attendibili raccolte qua e Spagna situazione conflitto sarebbe la seguente: forze nazionaliste hanno occupato tutti i centri strategici nella parte occidentale Penisola, tranne qualche porto nel Nord, più Navarra e Aragona, e tendono impossessarsi Madrid per poi rendersi padrone altri centri politici e commerciali spagnuoli, sia per costituire forma legale Governo nazionale di più agevole riconoscimento internazionale di quello attuale a Burgos, sia per procurarsi mezzi finanziari di cui comincia seria scarsezza. Governativi si oppongono strenuamente ogni avanzata Franco onde salvare capitale e porti Mediterraneo.

Se Franco occupa ormai rilevante parte Penisola con posizioni che gli permettono resistere lungo tempo anche con mezzi limitati, governativi beneficiano invece privilegiata posizione giuridica internazionale di rappresentare Governo legale Spagna e comando del denaro e principali porti commerciali Mediterraneo dai quali possono costantemente e quasi liberamente avere forniture dall'estero.

Franco ha certamente vantaggio di essere a capo di truppe africane agguerrite e resistenti, e battaglieri metropolitani animati da vivo entusiasmo tendente unicamente ideale patrio, mentre governativi, per quanto apparentemente manchino unità comando e organizzazione statale, debbono valersi, in offesa e difesa, in parte di truppe regolari ma indisciplinate, e in gran parte di accozzaglia volontari anarchici che agiscono per loro conto al solo scopo sovvertire Spagna e bolscevizzarla contrastando così e sminuendo obbiettivi che Governo Madrid, ormai esautorato, vorrebbe raggiungere per difesa organi statali. Comunque le forze avverse sembrano adesso equilibrarsi e dar luogo a logorante guerra di posizione che potrebbe protrarsi per lungo tempo senza altro risultato che maggiormente abbassare livello civile e possibilità politicoeconomiche della Spagna, tenendo aperto conflitto che per sue origini e finalità, che ormai hanno varcato confini Spagna, è gravido di grandi pericoli.

Con altro fattore e su più vasta scala si viene così a ripetere situazione che già segnalai all'E. V. col mio telegramma n. 196 (1), quando Franco privo di libere comunicazioni marittime con Spagna e quasi senza difesa aerea, minacciava di essere soffocato nel Marocco e di perdere vantaggi, che i suoi partigiani avevano contemporaneamente ottenuto in Andalusia e Aragona. Nostro rapido largo concorso valse allora rovesciare situazione e dare Franco libertà movimento che gli permise rendersi padrone occidente Spagna e occupare solidamente cresta Sierra Guadarrama in faccia capitale. Ma da tali posizioni, per quanto solide ed importanti, potrà difficilmente fare balzo in avanti e assicurarsi sopratutto possesso capitale, se non avrà nuovi mezzi che valgano colmare deficienza suoi armamenti ed equilibrare quelli che sovversivismo mondiale, e sopratutto Fronte Popolare francese, inviano con ritmo continuo ad onta ogni governativa dichiarazione di non intervento, attraverso libere frontiere terrestri e marittime.

Mi rendo conto esattamente difficoltà e rischio nuovi concorsi a Franco, sopratutto dopo recente dichiarazione blocco ma difficoltà e rischi attuali sono certamente ben poca cosa in confronto di quelli che si potrebbero forse avere un giorno quando conflitto, ancora oggi chiuso nei limiti Spagna, assumerà, sotto la pressione sovversivismo mondiale, carattere di lotta, per supremazia del disordine sociale contro l'ordine che noi rappresentiamo con nostro Regime (2).

(l) Non pubblicato.

755

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE S. 8166/524 R. Parigi, 19 agosto 1936, ore 19,55 (per. ore 22,45).

Riferisco ad ogni buon fine che Quifiones de Leon (antico ambasciatore di Spagna a Parigi) mi ha informato testè di aver appreso da fonte ottima

-per quanto, data estrema .riservatezza dell'argomento non possa dare intera sicurezza -lo scopo segreto del viaggio di Jouhaux a Madrid.

Sembra che Jouhaux avrebbe consigliato Governo spagnuolo, qualora non possa mantenersi nella capitale, di trasferirsi a Valencia resistendovi fino a quando fosse possibile. In caso abbandono Valencia, Governo spagnuolo dovrebbe rifugiarsi Barcellona ove le forze del Fronte Popolare provocherebbero distacco della Catalogna e delle Baleari con proclamazione di uno Stato indipendente separato a carattere comunista. Per sua parte Fronte Popolare francese provocherebbe in quella eventualità amplissimo intervento della Francia a difesa e protezione della nuova Repubblica catalana. Quifiones non si nasconde peraltro, quanto vi sia di improbabile nell'attuazione di un simile progetto.

(l) -Vedi D. 599. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussol!ni.
756

L'AMBASCIATORE A V ARSA VIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8180/104 R. Varsavia, 19 agosto 1936, ore 20,30 (per. ore 24).

Mi risulta da fonte molto seria che durante visita del generale Gamelin a Varsavia (1), Ispettore Generale dell'esercito polacco gli avrebbe parlato in tono assai fermo del pericolo comunista in Europa che Polonia considera con preoccupazione accresciuta di fronte avvenimenti spagnuoli.

Gamelin avrebbe cercato rassicurarlo per quanto riguarda resistenza popolo francese ad infiltrazione bolscevica. Gamelin avrebbe inoltre insistito sul desiderio francese di vedere migliorati i rapporti tra la Polonia e l'U.R.S.S. e tra la Polonia e la Cecoslovacchia.

All'ambasciata di Francia si tenta svuotare di contenuto politico le conversazioni fra i due capi di Stato Maggiore affermando che esse si sono aggirate unicamente su argomenti tecnici e sopratutto sulle necessità di un completamento nell'attrezzatura militare polacca che in Francia viene giudicata insufficiente.

Cercherò di sapere qualche cosa di più da Beck che vedrò prossimamente.

757

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T.RR.S. 3831/109 R. Roma, 19 agosto 1936, ore 23.

In relazione progetto viaggio del Duce a Budapest più volte oggetto di conversazione con Goemboes e con ministro Villani V. S. potrà dire a Goemboes riservatamente che Duce ritiene opportuno rinviare questione dopo chiarita situazione spagnuola (2).

57 -Documenti diplomatici -Serle VIII -Vol. IV

(l) -Vedi p. 793, nota l. (2) -Con T. 8259/87 R. del 21 agosto ore 21,20, Colonna comunicò di aver effettuato il passo prescrittogli.
758

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A MADRID, DE CIUTIIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8194/88 R. Madrid, 19 agosto 1936, ore ... (l) (per. ore 7,10 del 20).

Connazionali partiti 420. Sensazione che occupazione Madrid da parte truppe bianche sia tutt'altro che prossima rende sempre più tragica situazione migliaia persone sulle quali si sfoga odio estremisti che vanno giurando che ribelli non troveranno vivi in Madrid nessuno dei loro.

Continua arrivo materiale da guerra francese ed anche inglese, quest'ultimo camuffato da materiale sanitario. Giunte anche dalla Francia con camion compagnie francesi e russe per combattere con milizia rossa. Sono qui presenti una quarantina aviatori francesi russi e tedeschi assoldati Parigi. Rossi avrebbero ora sessanta aeroplani efficienti.

Ambasciata Francia negato protezione religiosi pur appartenenti ordini.

759

IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8200/62 R. Lisbona, 20 agosto 1936, ore 13,35 (per. ore 14,40). Telegramma di V. E. n. 31

Testo risposta Governo Portogallo, di cui al mio telegramma n. 58 (3), fu trasmesso via aerea 15 corr. rapporto n. 450 (4). Governo portoghese nel dare accettazione di massima proposta non intervento fa osservazioni seguenti:

I. Che una volta accettato accordo doveva essere rigidamente eseguito e quindi applicazione doveva essere circondata indispensabili garanzie.

II. Che proposta riguardando specialmente Potenza che fabbrica o possiede stocks armi e munizioni, non essere questo il caso Portogallo che deve limitarsi proibire transito suo territorio.

III. Che guerra civile Spagna avrebbe potuto creare Governo Portoghese necessità di mantenere pace interna e provvedere difesa beni vita portoghesi, forse anche difendere integrità territoriale e indipendenza Portogallo.

IV. Che Governo si riserva quando si discuterà testo accordo presentare opportuna suggestione a tal fine.

V. -Richiamando attenzione Potenze atrocità commesse milizie comuniste e anarchiche spagnuole, sembra opportuno a Governo portoghese, insieme ad accordo, condannare simili piani trasformazione sociale.

Nella nota tali dichiarazioni sono chiamate osservazioni e non riserve e infatti Governo portoghese non ha chiesto ministro di Francia e incaricato d'affari Inghilterra una risposta prima di procedere esame testo accordo.

(2). (l) -Manca l'indicazione dell'ora di partenza. (2) -T. 3832/31 R. del 19 agosto, ore 24, Ciano vi chiedeva se rispondeva a verità quanto affermato dall'ambasciatore de Chambrun che il Portogallo aveva aderito senza riserve alla proposta francese di non intervento nella guerra civile spagnola. (3) -Non pubblicato. Per la risposta del governo portoghese si veda DP, vol. III, D. 155. (4) -Non pubblicato.
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IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.s. 8217/408 R. Tangeri, 20 agosto 1936, ore 15,15 (per. ore 18,25).

Mi riferisco al mio telegramma n. 407 (1). Traduco comunicazione Franco:

«Nella spedizione partita da Barcellona per Maiorca, e che è stata annientata dalle mie truppe dopo sbarco Porto Cristo, sono stati trovati cadaveri francesi. Questo fatto, unitamente agli atti violenza di cui è stato oggetto vapore « Campero » a Casablanca (occupato per forza da militi Madrid) e agli ordini dati, a richiesta comitato comunista Madrid, dall'Ufficio Internazionale di Berna per proibire comunicazioni telegrafiche fra Gibilterra e Cadice sul cavo internazionale, fa pensare che certe Potenze hanno adottato atteggiamento aggressivo, che contrasta con dichiarazioni fatte ultimamente circa neutralità. Cosicché presenza numero considerevole francesi nello sbarco Maiorca, operazione senza interesse strategico logico nell'insieme delle operazioni, fa pensare anche alla possibilità di combinazioni politiche a base di cessioni parziali o totali arcipelago Baleari, poiché tutto è possibile da parte di coloro che, non avendo alcun sentimento patriottico, sono pronti a distruggere ogni fondamento tradizionale della Patria per servire idea odio di classe » (2).

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IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.s. 8229/409 R. Tangeri, 20 agosto 1936, ore 21,30 (per. ore 1,10 del 21).

Colonnello Bonomi mi avverte d'urgenza che Governo germanico ha dato istruzioni comandante tedesco squadriglie aeroplani bombardamento presso Franco di non eseguire alcuna operazione di guerra ma solo consegnare apparecchi e istruire piloti spagnuoli « onde evitare incidenti con Francia che ha già protestato per mezzi inviati da Germania ad insorti ».

Bonomi chiede se, a causa condizioni materiali nonchè efficienza e attività aeroplani caccia del nemico e per suindicate ragioni internazionali accampate dal Governo tedesco, aviatori italiani debbano limitare loro azione a sole operazioni difensive (in modo poter sempre atterrare zone non governative)

o se debbano, come hanno fatto finora, partecipare ogni operazione militare anche in territorio nemico.

Risposta sarebbe urgente dato che per il 22 corr. è fissato attacco aereo Madrid (1).

(l) -T. s. 8195/407 R. del 20 agosto, ore 12,25. Dava notizia che il maggiore Luccardi si era recato in aereo a Siviglia per conferire con il generale Franco che aveva fatto sapere di avere una comunicazione importante ed urgente da fare. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8222/367 R. Berlino, 20 agosto 1936, ore 21,15 (per. ore 1,10 del 21).

Segretario di Stato Dieckhoff, con il quale ho nuovamente conferito questo pomeriggio merito incidente Kamerun (2), mi ha dato impressione di considerare situazione come seria ma non drammatica. Le disposizioni prese, direttamente dal comando della flotta tedesca e che Governo germanico ha soltanto ratificato, hanno carattere intimidatorio e preventivo. Si spera sinceramente di non essere costretti applicarle.

Questa impressione mi è stata confermata dallo stesso ambasciatore francese che ho visto subito dopo e al quale ho anche, a titolo confidenziale strettamente personale, domandato se, attraverso incidenti del genere e fatti come quelli rivelati dall'Action Française (confermati da telegramma di V. E. n. 3801) (3) Europa non si avvii fatalmente a forme di interventi positivi.

Ambasciatore francese ne ha convenuto riconoscendo ulteriormente con me che instaurazione di un regime comunista in !spagna costituirebbe di per sé una causa di legittima preoccupazione e quindi di intervento per l'Europa. Ha però esclusa possibilità arrivare ad un intervento positivo se non attraverso un primo accordo negativo di «non» intervento. È solamente così che una prima forma di «concerto europeo» sarebbe secondo lui realizzabile. Una volta realizzato, e dopo constatata l'inanità dei non interventi, quel concerto verrebbe automaticamente utilizzato anche dopo ed a fini positivi. È questo il punto di vista sul quale, anche in considerazione della situazione parlamentare francese, ambasciatore francese si è battuto qui, insistendo anche sulla buona fede dell'atteggiamento francese, che ritiene sicuramente garantita da quello, decisivo e deciso, dell'elemento radicale del Gabinetto.

svolta>>.

(l) Il presente telegramma reca il visto di Mussolini. Con T. 3869/117 R. del 21 agosto, ore 22,30, autografo, Ciano rispose: «Faccia sapere a Bonomi di continuare nell'attività già

(2) -Il mercantile tedesco Kamerun diretto a Cadice era stato intercettato il 18 agosto da una nave da guerra spagnola che dopo averlo perquisito gli aveva Impedito di proseguire nella sua rotta. (3) -Del 18 agosto, ore 24: riferiva a Berlino, Bruxelles e Varsavia circa il contenuto del colloquio con de Chambrun del 17 agosto, por il quale vedi D. 748.
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IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.s. 8232/410 R. Tangeri, 20 agosto 1936, ore 21,36 (per. ore 1,10 del 21).

Mi riferisco al mio telegramma 407 (1). Luccardi tornato adesso da Siviglia mi riferisce che Franco desiderava sapere se credessi opportuno che egli inviasse persona sua fiducia presso V. E. per esporre situazione e per precisare richieste mezzi di cui abbisogna per attuare offensiva su Madrid. Dopo colloquio con Luccardi, Franco ha deciso rimettermi memoriale per V. E. Tale memoriale mi sarà consegnato 23 corr.: lo trasmetterò subito in cifra a V. E.

Situazione prospettata da Franco è esattamente quella indicata a V. E. nel mio telegramma n. 404 (2). Situazione è stazionaria con numerose azioni limitate e di non decisiva importanza su tutto vasto fronte operazioni. I due avversari non sono ancora in grado attaccare con azioni risolutive. Franco ha aggiunto però che posizioni governative si fanno ogni giorno più forti e minacciose data enorme quantità armi, munizioni e aiuti ogni genere che il Governo spagnuolo riceve dalla Francia attraverso frontiera meridionale dalla Russia e Inghilterra.

Generale Franco profondamente riconoscente a V. E. per mezzi così generosamente e rapidamente inviati prega V. E. di voler continuare aiutarlo facendogli pervenire materiale già richiesto e che preciserà in prossimo memoriale affinchè egli possa terminare rapidamente sua offensiva contro governativi ed assumere in pieno controllo e Governo Spagna.

Franco mi ha comunicato che Portogallo, per quanto apparentemente neutrale, è completamente a lui favorevole, tanto che gli ha già inviato armi e munizioni ( 3).

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IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8300/029 R. Praga, 20 agosto 1936 (per. il 22).

Le informazioni di autorevole fonte comunicatemi col telegramma per corriere n. 3676 R/C in data 10 corr. (4) corrispondono a quanto ho riferito a V. E. circa l'argomento in oggetto e segnatamente al contenuto del mio telegramma per corriere n. 026 in data 5 corr. (5).

Krofta, in un primo momento assai preoccupato dell'accordo austro-tedesco, ha assunto ora un atteggiamento di tranquillità e fiduciosa attesa secon

do la parola d'ordine delle sfere dirigenti che in questi giorm e messa in valore attraverso interviste del ministro degli Esteri, dichiarazioni del Presidente del Consiglio, discorsi del Presidente della Repubblica. Si va facendo un coro di autodifesa e di autoapologia sostenendo che la Cecoslovacchia è Paese florido e solido da non temere lotte interne, è disciplinato e moderato per evitare estremismi di destra o di sinistra, è tollerante nella religione, è concorde nel mantenimento dell'ordine ma è anche forte e preparato per respingere ogni attacco ove se ne avesse l'intenzione.

Nel difendere il proprio trattamento delle minoranze come il più equo ed umano che sia mai stato usato questi governanti levano la voce verso la Germania e nel dirsi ben disposti ad intendersi per migliorare i reciproci rapporti si affermano non passibili di violenze o pressioni in questioni interne ed inerenti all'esercizio esclusivo della sovranità cecoslovacca.

Questa specie di spirito guascone che contrassegna il linguaggio dei dirigenti cecoslovacchi nel momento attuale è, ripeto, determinato:

l) dall'atteggiamento di Berlino che sembra, almeno per ora, non aver nessuna voglia di ricorrere a vie di fatto e che pur facendo, se del caso, la voce grossa preferirebbe avvicinare persuasivamente questo Paese alla propria influenza distogliendolo dai legami con Mosca;

2) dall'interessamento della Francia che si batte ìn modo speciale per la Cecoslovacchia e va mostrando una rinnovata attività verso i suoi alleati;

3) dal comportamento inglese che va scrutando in Europa centrale• e risollevando la diretta riconoscenza jugoslava e l'indiretta soddisfazione della Piccola Intesa per contrappeso ai più recenti avvenimenti e orientamenti internazionali.

Nei giorni scorsi vi sono stati accenni ad una possibile visita a Praga di Re Edoardo VIII alla fine della sua crociera adriatica.

(l) -Vedi p. 827, nota l. (2) -Vedi D. 754. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (4) -Vedi D. 709. (5) -Vedi D. 682.
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L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2188/772. Varsavia, 20 agosto 1936 (per. il 24).

Fra i vari commenti che sono apparsi nei giornali polacchi a proposito della visita del vice-presidente del Consiglio di Guerra francese, generale Gamelin, a Varsavia (l), è da segnalare quello del più diffuso quotidiano, il filogovernativo Ilustrowany Kurjer Codzienny, in cui, accentuando quella che è stata la generale intonazione della stampa polacca in questa occasione, si afferma che finalmente a Parigi ci si è resi conto dell'importanza della Polonia nell'attuale situazione internazionale e della necessità di stabilire una più stretta collaborazione con le forze armate polacche. «La Francia -rileva

il giornale -comincia a valutare il fatto che la Russìa non è in grado, in caso di guerra, di prestare aiuto all'esercito francese. A Parigi perciò si è capito che il problema del riavvicinamento con la Polonia è di grande importanza. L'opinione pubblica francese ha accolto con molto favore il progetto di concedere alla Polonia un prestito di un miliardo per la motorizzazione del suo esercito ».

«È da notare -conclude l'Ilustrowany Kurjer Codzìenny, che in Francia gli accaniti sostenitori dell'amicizia e della collaborazione con la Russia sovietica non riescono a celare il loro malumore per questa ripresa di contatto fra gli Stati Maggiori francese e polacco ».

In complesso, la stampa polacca ha continuato a dedicare all'ospite francese le espressioni di simpatia con le quali, come è stato riferito a V. E. con il telespresso di questa R. Ambasciata n. 2117/755 del 13 corrente (1), aveva accolto il suo arrivo.

Comunque, se la visita del generale Gamelin è valsa a creare questa atmosfera di maggiore cordialità nei rapporti tra Polonia e Francia, è da ritenersi che nulla di concreto ne sia, almeno per il momento, risultato.

È da notare a tale proposito che è impresisone generale di questi circoli ctiplomatici che l'orientamento della politica estera polacca non ha subito, in seguito a tale visita dell'alta personalità militare francese, alcuna modifica di qualche importanza (2).

(l) Vedi p. 793, nota l.

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IL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 2766/1064. Bulkeley, 20 agosto 1936 (per. il 25).

Mentre la delegazione eg1zmna sta per giungere a Londra, dove avrà luogo la firma del trattato fra Inghilterra ed Egitto ed ìn attesa di conoscere gli esatti termini dell'accordo finalmente intervenuto, sarebbe prematuro voler tentare un giudizio compiuto sulla sua portata e sulle sue prevedibili conseguenze.

È peraltro possibile e forse non inutile formulare fin d'ora alcune considerazioni d'ordine generale, allo scopo di ricordare gli antecedenti e di riassumere la situazione politica entro la quale esso viene ad inquadrarsi.

Il punto di partenza dei negoziati attuali risiede nella proclamazione unilaterale dell'Inghilterra del febbraio 1922 (vedi allegato A) (l) con la quale si annunziava la fine del protettorato inglese sull'Egitto che veniva proclamato «Stato sovrano indipendente », riservando in modo assoluto alla discre

zione del Governo britannico, sino a quando non fosse possibile di giungere in proposito ad un accordo, i seguenti quattro argomenti: l) la sicurezza delle comunicazioni dell'Impero britannico in Egitto; 2) la sicurezza dell'Egitto contro ogni aggressione o ingerenza straniera diretta o indiretta; 3) la protezione degli interessi stranieri in Egitto e delle minoranze; 4) il Sudan.

Tale stato di cose trovò consacrazione in una dichiarazione inglese alle Potenze in data 16 marzo 1922 (vedi allegato B) (l) con la quale si dava comunicazione della predetta dichiarazione informando che, in attesa di un accordo in proposito tra l'Egitto e l'Inghilterra, lo status quo sui quattro argomenti sopraindicati sarebbe rimasto inalterato ed ogni tentativo di ingerenza negli affari d'Egitto da parte di un'altra Potenza sarebbe stato considerato come atto inamichevole ed ogni aggressione contro il territorio egiziano come un atto da essere resvinto con tutti i mezzi a disposizione del Governo britannico.

II problema dei «quattro punti riservati» domina quindi da quattordici anni la vita del Paese, e la sua soluzione integrale ha formato l'aspirazione basilare ed il programma massimo iniziale di tutti i partiti politici egiziani.

In un primo periodo, restando comune l'aspirazione generale, i metodi differenziarono i vari partiti, poiché il Wafd propugnava una soluzione immediata e radicale, mentre gli uomini politici che interpretavano la politica del Re propendevano per accomodamenti graduali che tenessero conto degli interessi della Gran Bretagna e della situazione di fatto.

Ma in prosieguo di tempo il Re ed il Wafd furono a volta a volta indotti dalle vicende della loro lotta accanita, sia a cercare di sorpassarsi vicendevolmente a parole nel monopolio del nazionalismo integrale, sia a ricercare a gara, nei fatti, l'appoggio britannico attraverso un trattato di contenuto moderatamente transazionale.

Mentre così l'Egitto disperdeva le sue energie nelle lotte interne senza giungere a realizzare l'unione di partiti di fronte all'Inghilterra, condizione prima ed indispensabile per ottenere la stipulazione del Trattato, nemmeno nel campo opposto regnava l'accordo sulla linea di condotta da seguire nei riguardi dell'Egitto.

In realtà, si trattava sopratutto di forma e di sistemi, poiché nel fondo della questione il Governo di Londra ha sempre avuto ben presente la necessità o di rinviare ogni soluzione o di conservare, con l'esplicito riconoscimento egiziano, le seguenti posizioni fondamentali:

-la difesa del Canale di Suez;

-il controllo militare navale ed aereo del Paese;

-una situazione di privilegio che consenta all'Inghilterra di dominare la vita interna dell'Egitto e di impedirgli qualsiasi libertà d'azione nel campo internazionale;

-il predominio degli interessi economici finanziari e m un secondo tempo anche culturali della Gran Bretagna, a danno di quelli importantissimi degli altri Paesi e particolarmente dell'Italia e della Francia;

-lo status quo nel Sudan divenuto ormai dopo il 1924 un dominio esclusivo dell'Inghilterra.

Sono quindi sostanzialmente solo i metodi da adott::tre per raggiungere tali risultati, che hanno mutato con alterna vicenda, a seconda dei governi in carica e degli Alti Commissari che li rappresentavano in Egitto. Si può comunque sinteticamente constatare che si sono ben presto delineate due tendenze, una intransigente, impersonata prima in Egitto e dopo in Inghilterra da Lord Lloyd, atteggiatosi a continuatore dell'opera imperiale di Lord Cromer ed appoggiato dagli elementi conservatori ed imperialisti ed un'altra, conciliante, che trovò nei Governi laburisti a Londra H massimo appoggio ed in Sir Percy Loraine in Egitto un interprete fedele.

La tendenza intransigente deplorava, sia pure non apertamente, la dichiarazione di indipendenza e nutriva scarsa fiducia nella buona fede dei governanti egiziani nel desiderare una politica di accordo e di sottomissione alla Gran Bretagna, e sopratutto nella loro capacità di governare da soli il Paese, e di dominare il fanatismo e la xenofobia delle masse musulmane. Riteneva pertanto necessario mantenere l'Egitto in uno stato di protettorato di fatto ed era contraria alla stipulazione di un trattato che non consentisse di conservare in avvenire almeno lo status quo esistente, attraverso le più ampie garanzie d'ordine politico e militare.

La seconda tendenza trovò invece nutrimento nel senso di stanchezza che in molti ambienti cominciava a suscitare l'eterna questione egiziana, e fu abilmente sfruttata, sopratutto presso i laburisti inglesi, dalla propaganda wafdista che riuscì a presentare in quegli ambienti il Wafd come un partito parlamentare, inspirato alle forme di Governo più democratiche e desideroso di conciliare l'indipendenza del paese con la sua stretta solidarietà con l'Impero britannico.

Nell'alternarsi delle due tendenze, il favore del Governo di Londra andava così oscillando fra il Re, posto sul trono dalla volontà inglese e garante del patto ideale anglo-egiziano, ed il Wafd, che solo poteva assicurare ai formali scrupoli inglesi l'approvazione del Trattato da parte di un Parlamento liberamente eletto.

Questa alternativa si è così trascinata fino ad oggi, malgrado che vari negoziati fossero intavolati da delegazioni egiziane recatesi appositamente a Londra. Senza tener conto delle conversazioni di Zaglul pascià con Lord Milner nel 1920, e di quelle di Adly Yeghen pascià con Lord Curzon, anteriori alla dichiarazione di indipendenza, altri tentativi infruttuosi ebbero luogo da parte dello stesso Zaghlul col Governo laburista nel 1924 e di Sarwat pascià con quello conservatore nel 1927.

Maggiori probabilità di successo parvero avere i negoziati iniziati da Mohammed Mahmud pascià, capo del governo dittatoriale del 1929 con il ministero Mac Donald, ma essi vennero ostacolati in larga misura dall'azione del Wafd, che inviò a Londra il suo segretario generale per dissuadere il ministero laburista dal concludere un accordo con un Governo sostenuto soltanto dalle volontà del Re. Il Wafd ottenne lo scopo desiderato, e, asceso l'anno seguente al potere, iniziò a sua volta trattative a Londra. Nahas pascià ottenne da Henderson, allora ministro degli Esteri, condizioni molto più favorevoli di quelle offerte in passato a Mohammed Mahmud pascià nella questione militare ed in quella capitolare, giungendo ad un progetto di accordo che prevedeva fra l'altro il ritiro delle truppe inglesi ad oriente del Canale di Suez, ma le trattative furono interrotte all'ultimo momento a causa della questione sudanese, sulla quale il Governo inglese si rifiutò a qualunque concessione, mentre Nahas pascià temette, rinunciando a risolvere tale questione, di compromettere la propria situazione, rinforzando l'opposizione del Re e rendendola popolare.

L'Egitto ritenne peraltro come acquisite le posizioni raggiunte durante tali trattative, e le considerò come basi per l'accordo definitivo.

Ma la situazione politica di questi ultimi anni, l'opposizione del Wafd alla dittatura di Sidqi pascià, la malattia del Re ed il crescente marasma della vita politica egiziana non permisero più al Governo egiziano di riprendere l'iniziativa formale di un negoziato.

D'altra parte, la situazione era venuta notevolmente evolvendosi nel campo britannico. Con le trattative del 1930, era stato raggiunto il massimo delle concessioni alla tendenza conciliatrice. Le clausole militari previste nel progetto di accordo venivano in molti ambienti inglesi considerate come una «pericolosa follia >>. Ed ebbe fino da allora inizio, nella politica inglese in Egitto, una vivace reazione, concretatasi a sua volta nella missione Peterson del 1934, che ritornò ai metodi energici ed agli interventi quasi brutali. La politica di Lord Lloyd riprendeva in pieno il sopravvento, e si veniva affermando una così decisa ripresa dell'azione britannica che, come ebbi a riferire fino dai primissimi giorni della mia missione in questo Paese, l'Egitto presentava, durante la fase preliminare della nostra azione etiopica, in maniera ancora più accentuata che in passato, l'aspetto di una larvata colonia britannica. Come V. E. ricorderà, nello scorso autunno, da un lato il Re era in gravi condizioni di salute, umiliato gravemente dai continui interventi inglesi e materialmente e moralmente isolato, e dall'altro, il Wafd, scosso nella fiducia nel suo destino e timoroso del peggio, stanco di lotta e avido di potere, si aggrappava come ad un'ultima àncora di salvezza al Governo di Nassim, cioè al governo più supinamente succube alla volontà britannica che l'Egitto abbia conosciuto. L'Inghilterra si comportava in Egitto da padrona assoluta; sbarcava truppe con ritmo crescente e concentrava la sua squadra nelle acque egiziane senza che una sola protesta sorgesse, non dico negli ambienti ufficiali ma nemmeno negli organi di stampa più accreditati, e gli interventi inglesi nella vita politica e costituzionale del Paese venivano ammessi come cosa logica e naturale in un discorso del ministro degli Esteri del tempo Sir Samuel Hoare (9 novembre 1935).

V. E. ricorderà altresì come verso l'autunno qualcosa cominciasse a muoversi in questo Paese, e come, in seguito all'impressione suscitata. appunto dal discorso sopracitato, avessero luogo moti e dimostrazioni studentesche delle quali approfittarono i capi dei partiti di minoranza per scendere in campo e tentare di battere il Wafd sul terreno del patriottismo e delle rivendicazioni nazionali. Ma il Wafd scorgeva il pericolo e passava a sua volta all'opposizione. E probabilmente tutto si sarebbe risolto in un episodio di lotta fra partiti, se gli studenti, con la forza che veniva loro dal sangue sparso nelle giornate di tumulto, non avessero obbligato i capi partito a realizzare ciò che per quattordici anni non era stato possibile, a riunirsi cioè in fronte unico sotto la presidenza di Nahas pascià e a formulare immediate richieste per il ristabilimento della costituzione del 1923, le elezioni generali e l'inizio di trattative con l'Inghilterra.

Il 13 dicembre 1935 il Fronte unico, sebbene senza veste ufficiale presentava alla Residenza una richiesta di entrare in negoziati per raggiungere un accordo definitivo sulle basi del progetto del 1930.

Il 31 dicembre l'Alto Commissario Britannico rispondeva che il suo Governo era pronto ad inizir"re conversazioni preliminari e non impegnative.

Il 2 marzo avevano inizio al Cairo tali conversazioni preliminari.

La delegazione egiziana, presieduta da Nahas pascià, era formata da 6 wafdisti: Makram Ebeid pascià, Mahmoud Fahmy el Nokrashi pascià, Osman Moharram pascià, Hamdi Seif el Nasr pascià, Wacyf Ghali pascià e dott. Ahmed bei Maher, e da 6 non wafdisti: gli ex presidenti del Consiglio Mohammed Mahmoud pascià, Ismail Sidqy pascià e Abd Al Fattah Jahja pascià, oltre agli ex ministri Ali Shamsy pascià, Hafez Afifi pascià e Hilmi Issa pascià.

La delegazione britannica, sotto la guida dell'Alto Commissario Sir Miles Lampson, comprendeva il Maresciallo dell'Aria Sir Robert Brooke-Popham, il generale Sir George Weir, comandante l'esercito inglese in Egitto, ed i signori Kelly e Smart, consiglieri alla Residenza. Più tardi fu aggiunto il signor Beckett, consigliere giuridico del Foreign Office.

Sembrò in un primo tempo che fosse preciso intendl.mento britannico di forzare il negoziato su linee molto intransigenti.

E in realtà le posizioni britanniche erano tutte quanto mai favorevoli ad un simile atteggiamento. Un esercito britannico di forza quattro volte superiore al normale presidiava l'intero territorio egiziano, dai Sinai a Sollum ed a Siwa, dal Sudan ad Alessandria. Il comando in capo delle forze navali del Mediterraneo, rinforzate dalle unità della Home Fleet, aveva posto la sua base a terra nella città di Alessandria, mentre risiedeva ad Abukir il comando delle forze aeree del Levante. E gli estremisti inglesi approfittavano della nostra azione militare in Etiopia e dello sbarco di truppe ìn Libia per gridare ai quattro venti che la minaccia italiana (che da anni venivano preconizzando per affermare una pericolosa pazzia il progetto del 1930) si realizzava in pieno, e per proclamare la necessità di mantenere in permanenza l'occupazione militare ed aerea di tutto il territorio egiziano.

Fu fatto pertanto chiaramente intedere agli egiziani che, la situazione essendo radicalmente mutata, non era più possibile un accordo militare come quello del 1930 e che l'Inghilterra aveva bisogno di molte maggiori garanzie politlChe e militari.

E lo stesso Alto Commissario pronunciò parole gravi, affermando che qualora le trattative fossero fallite, la Gran Bretagna «avrebbe dovuto rivedere la sua posizione in Egitto ».

La prima questione affrontata fu quella militare, sulla quale maggiormente divergevano i punti di vista, cosi che si sarebbe ben presto giunti ad un punto morto con conseguente rottura delle trattative se l'atteggiamento britannico non fosse venuto gradualmente e sensibilmente modificandosi, specialmente poi dopo il viaggio a Londra di Miles Lampson nel mese di giugno u.s.

Una volta entrata in questa nuova via, la delegazione britannica non si è più arrestata, mostrandosi ancora più arrendevole negli altri «punti riservati »: la questione sudanese, sulla quale erano naufragati tutti i negoziati precedenti, fu risolta in soli cinque giorni, ed anche nella questione delle capitolazioni l'Egitto ottenne nuove importanti concessioni. L'accordo sulle ,clausole militari fu parafato il 24 luglio, quello sulla questione del Sudan il 1o Agosto, quello sulle capitolazioni, che portava a termine le trattative, il 22 dello stesso mese.

Per quanto il testo non sia ancora stato pubblicato, le linee essenziali sono state rese di pubblica ragione dalla stampa inglese e da quella egiziana.

La Gran Bretagna rinunzia all'occupazione militare dei punti strategici del territorio egiziano, ottenendo in cambio l'impegno dell'Egitto di costruire strade militari e campi di aviazione ed a porli a disposizione della Gran Bretagna unitamente ai porti ed alle risorse del suo territorio, non solo in caso di guerra ma anche di « pericolo di guerra », e conservandù fino a nuovo ordine «a difesa del Canale di Suez » un corpo di truppe in posizione più vantaggiosa di quanto fosse previsto nell'accordo del 1930.

Un'alleanza militare unirà i due Paesi; una missione militare inglese procederà all'organizzazione dell'esercito che l'Egitto avrà ormai facoltà di creare.

Nella questione militare l'Egitto ha dunque ottenuto condizioni che se parevano insperate all'inizio dei negoziati sono tuttavia meno favorevoli di quelle del 1930.

Ma esso ha ottenuto in cambio importanti vantaggi non solo con la definizione della questione sudanese, importantissima agli occhi degli egiziani, ma anche nella questione capitolare, circa la quale l'Inghilterra si impegna ad aiutare l'Egitto ad ottenere maggiori concessioni di quelle previste nelle trattative Henderson-Nahas.

Sembra quindi -salvo ulteriore giudizio basato sulll't lettura dei testi di poter constatare che l'accordo raggiunto non appare come risultante da una decisione imposta di forza, come quella auspicata dalla tendenza intransigente che prevaleva all'inizio dei negoziati, ma si presenta decisamente, almeno nelle sue linee esteriori, come una soluzione nettamente transazionale sulle linee di quella del progetto Nahas-Henderson del 1930.

L'indagine sui motivi che possano avere indotto la Gran Bretagna a mutare il suo atteggiamento si presenta difficile e complessa. A me pare che tali motivi si possano raggruppare in varie categorie distinte, che tutte debbono avere avuto il loro peso, sebbene in misura diversa.

Nella prima categoria debbono porsi probabilmente ragioni di politica generale britannica, alle quali non è forse estraneo il cambiamento del titolare del ministero degli Esteri, avvenuto subito dopo l'inizio delle trattative.

A questo possono aggiungersi quasi certamente ragioni di carattere militare.

L'esperienza di questi ultimi mesi ha infatti dimostrato l'insufficienza delle forze militari britanniche permanenti e la difficoltà di aumentarle finché perdurano gli ordinamenti in vigore.

La lunga permanenza nella zona disagiata del deserto occidentale ha prodotto negli organici dei battaglioni britannici vuoti che fino alla partenza di tali unità dall'Egitto non erano stati colmati. Taluni battaglioni erano ridotti a metà della loro efficienza numerica, e fra questi perfino uno della guardia scozzese, reggimento d'élite, che contava, dopo un breve soggiorno a Marsa Matruh, non più di 400 uomini.

Tutto ciò nulla ha a vedere con l'organizzazione, l'armamento e lo spirito delle truppe, che in verità sono apparsi sempre di ordine molto elevato, ma deve avere decisamente influito sulla rinunzia improvvisa a mantenere guarnigioni inglesi in punti strategici della difesa del settore occidentale e sulla concessione fatta all'Egitto di organizzare un esercito purché Istruito ed armato dagli inglesi. A ciò possono aggiungersi i moti in Palestina, dove sono state inviate truppe tolte dall'Egitto, mentre altre sono state restituite a Gibilterra per la difesa della piazzaforte. Un reggimento scozzese, i Gordon Highlanders, in pochi mesi è passato da Gibilterra all'Egitto, di qui in Palestina e dalla Palestina di nuovo a Gibilterra.

Nè vanno forse anche trascurati motivi d'ordine mediterraneo e navale.

Ma a questo primo gruppo di ragioni mi limito ad accennare: esse escono dal campo della competenza di questa legazione e la visione necessariamente deformata dell'eccentrico osservatorio egiziano mi induce probabilmente ad inesattezze di apprezzamenti ed errori di giudizio.

Un secondo ordine di motivi va invece ricercato nella presumibile convinzione degli organismi britannici responsabili che l'accordo, malgrado le sue apparenti concessioni, contenga garanzie sufficienti ad assicurare all'Inghilterra il presente e l'avvenire.

In verità tale convinzione si basa su dati di fatto tutt'altro che trascurabilL L'alleanza militare rende praticamente nulla la libertà d'azione che l'Egitto verrà formalmente ad acquistare; le clausole militari lasciano aperta la via a molteplici controlli e se, l'Egitto potrà formarsi un esercito, sarà però l'Inghilterra che gli fornirà gli istruttori e gli venderà i fucili ed i cannoni.

Nel Sudan la presenza di funzionari e di truppe egiziane non produrrà sensibili mutamenti, almeno fintantoché queste ultime saranno sicuramente controllate da una missione militare britannica.

L'indebolimento infine delle posizioni delle altre Potenze europee non potrà che indirettamente giovare all'Inghilterra, che conserva pur sempre una posizione di privilegio mentre la soppressione delle cariche di consigliere giudiziario di consigliere finanziario e di direttore del dipartimento europeo al ministero degli Interni sarà almeno parzialmente controbilanciata dalla per

manenza di numerosi funzionari inglesi e dall'impegno eg1z1ano di dare ad essl

la preferenza quando si tratti di assumere personale europeo.

Questi elementi, in unione con la situazione interna del Paese, la presenza di molte minoranze etniche e religiose, fra cui quella copta (oltre un milione, ed oggi molto influente ma pur sempre timorosa del fanatismo musulmano) la tradizionale abitudine dei partiti egiziani di appoggiarsi all'Inghilterra, possono costituire un assieme che assicura alla Gran Bretagna il peso decisivo nella vita interna del Paese.

Che ciò sia per avvenire, almeno in un primo tempo, e cosa più che probabile, ed a tale convinzione si debbono essere ispirate le ragioni che porrò nella terza categoria: quelle di carattere locale, transitorio e personale.

Anzitutto lo sgombero delle truppe non avverrà che in un secondo tempo: cioè quando l'Egitto avrà costruito le caserme, le strade e gli aeroporti. Dunque, soltanto fra vari anni, ed il periodo è da prevedersì più lungo di quanto verosimilmente sarebbe richiesto, perché occorre tener conto della lentezza dell'amministrazione egiziana.

Durante questi anni, molte cose potrebbero avvenire, od almeno, se le considerazioni sopra esposte sono vere, si potrà attendere che la situazione in Mediterraneo sia ben chiarita.

Nel frattempo l'Inghilterra evita dei disordini che quasi certo si sarebbero prodotti se l'accordo fosse fallito, disordini militarmente non pericolosi ma molto noiosi politicamente, e che avrebbero richiesto la presenza di truppe inglesi in un momento in cui la Palestina ne ha maggiormente bisogno.

Si aggiunga che la morte di Re Fuad, e la vittoria del Wafd, che gli inglesi hanno aiutato, ha tolto di mezzo uno dei tre elementi fondamentali del giuoco politico egiziano, che rendeva più difficile l'accordo, ma consentiva soluzioni transitorie.

In altre occasioni, fallito un accordo, il Re nominava un nuovo Governo e manteneva l'ordine. Ma ciò è divenuto impossibile ora in Egitto, e in caso di conflitto il Governo sarebbe stato trascinato a sostenere i rivoltosi.

Non si deve nemmeno dimenticare l'azione personale dell'Alto Commissario e dei suoi collaboratori, e specialmente del signor Smart, consigliere orientale della Residenza, anima della politica inglese in Egitto.

È lecito supporre che essi non siano stati insensibili al desiderio di raggiungere un successo che sfuggì a Lord Lloyd ed a Sir Percy Loraine, e che assicura a Sir Miles Lampson un posto eminente nella storia dei rapporti anglo-egiziani ed a lui e al suo principale collaboratore un probabile alto riconoscimento dei servigi resi.

La loro persuasione di potere, durante il periodo non breve di esecuzione del trattato, contare sulla collaborazione di Nahas pascià e di Makram Ebeid, che per ora non hanno seri rivali nella politica egiziana, e di assicurarsi così vari anni di pace in Egitto, non possono quindi non avere influito nella loro opera diretta a superare le riluttanze dei militari, le preoccupazioni degli ambienti coloniali, i timori della collettività inglese in questo Paese e ad ottenere l'adesione del Governo di Londra.

L'avvenire, e l'avvenire soltanto, ci potrà dire se i calcoli sopra accennati siano giusti: se la soluzione transazionale possa rimpiazzare quella di forza, se l'Inghilterra saprà conservare le posizioni di dominio e di controllo nell'amministrazione del Paese, se riuscirà a dividere uomini e partiti per asservirli al suo carro, e, continuando nella via intrapresa in questi ultimi anni, a distruggere le radici profonde della coltura francese, a cui l'Egitto moderno deve tutto il suo aspetto attuale, a paralizzare il crescente prestigio dell'ascensione italiana, sostituendosi a queste influenze anche nel campo intellettuale e assicurandosi la fedele e volontaria collaborazione egiziana.

Troppe sono, malgrado tutto, le incognite, e non del tutto ingiustificate le aspre ed amare critiche degli « hart-to-die ».

L'Egitto non ha in verità finora accolto la notizia della conclusione dell'accordo con particolari dimostrazioni di giubilo. La sola pubblica manifestazione di notevole portata ha avuto luogo alla partenza di Nahas pascià per l'Inghilterra. Tuttavia c'è in generale la convinzione che le condizioni ottenute sono migliori di quelle che era dato prevedere.

Tra le collettività estere prevale invece lo scontento e la preoccupazione per la prossima soppressione delle capitolazioni: i più malcontenti sono gli inglesi d'Egitto, ma francesi e belgi non celano certo il loro pessimismo per l'avvenire.

Mancano tuttavia, per l'assenza di quasi tutti i capi missione e della maggior parte delle personalità delle comunità straniere i principali e più autorevoli interpreti di tale stato d'animo, che è basato sopratutto sulla generale sfiducia degli europei nella amministrazione e nella giustizia egiziane.

Un'ultima parola va spesa per un affrettato esame della situazione che il trattato verrà a determinare nei riguardi dell'Italia. Non è da ieri che l'ombra della minaccia italiana sull'Egitto preoccupa gli Inglesi., o viene agitata da loro come spauracchio per mantenere l'Egitto nell'obbedienza.

Fino da quando l'Italia fascista cominciò a respirare più liberamente nel Mediterraneo ad allineare in mare una squadra veloce e moderna ed a spingere il suo sguardo più lontano, tale preoccupazione ha cominciato a prendere sempre maggiore consistenza.

Essa si manifestò in particolar modo negli anni 19ll9 e 1930, in occasione delle trattative Mahmoud-Chamberlain e Nahas-Henderson e venne chiaramente affacciata in varie interrogazioni parlamentari e in alcuni articoli di giornale.

E fin dal 2 maggio 1930 il R. Ministro in Cairo riferiva come il ministro degli Esteri egiziano, reduce dalle trattative di Londra, gli avesse confidato che durante tali conversazioni, da varie parti e ripetutamente era stato fatto intravedere ai delegati egiziani il pericolo che, ritirandosi l'Inghilterra, un'altra Potenza avesse cercato l'occasione per mescolarsi neglì affari egiziani.

Il lo agosto dello stesso anno il R. Ambasciatore a Londra, dando a sua volta notizia di interventi parlamentari su tale questione da parte di vari uomini politici fra cui Lloyd George, aggiungeva: «Lo spauracchio di una occupazione dell'Egitto da parte di un'altra Potenza in generale, e dell'Italia in particolare, è stato in questi giorni frequentemente agitato, un po' certamente a titolo di giustificazione per una politica più energica, un po' perché rispondente ad una convinzione diffusa in larghi strati di questa opinione pubblica e non fra 1 più irresponsabili ».

Tali preoccupazioni artatamente esagerate venivano adoperate in questo Paese come strumento di sottomissione in misura tanto più crescente quanto più attiva riprendeva, sotto l'impulso del governo conservatore, la pressione inglese sull'Egitto.

Il mio predecessore del tempo poteva pertanto riferire in data 18 maggio 1932 che un fattore che contribuiva alla precisazione della fisionomia italiana in Egitto era l'antipatia con cui l'Inghilterra cercava circondarci. « Diminuitissima al tempo del laburismo, scriveva l'on. Cantalupo, la già nota propaganda sembra riattivarsi col ritorno dei conservatori. L'Italia pensa sempre a rifarsi dell'occasione perduta nell'82; se gli inglesi se ne andassero gli italiani troverebbero un pretesto per sbarcare, e applicherebbero in Egitto i metodi di politica araba che hanno applicati in Cirenaica, spoglierebbero i proprietari, sequestrerebbero i beni dei patriotti ecc. Questi temi noiosi e sempre uguali della propaganda gli agenti dello Intelligence Service difìondono in tutti gli strati della società egiziana ».

E il 23 agosto 1934, il conte Pagliano rilevava «come fosse divenuta esageratamente viva in questi ambienti la preoccupazione dell8. guerra e dell'eventualità di esservi coinvolti » ed aggiungeva che tale preoccupazione affiorava di continuo non solo nelle conversazioni di vari uomini politici ma era esplicitamente espressa dalla stampa di vario colore.

Naturalmente le preoccupazioni e i timori vennero ingigantiti quando cominciò a delinearsi la nostra azione in Etiopia e la situazione internazionale che ne fu conseguenza, e ciò sopratutto per effetto dell'intensa propaganda britannica che ha impostato tutta la sua azione politica in Egitto sul solo Zeitmotiv della minaccia italiana, sfruttando al tempo stesso la paura degli egiziani e le loro simpatie (particolarmente quelle della minoranza copta) per l'Etiopia.

Come ho a suo tempo riferito, nell'estate scorsa una vera ondata di panico, alimentato dalle voci più assurde, sommerse la pubblica opinione egiziana.

La R. Legazione non potè in tale circostanza che contare molto limitatamente sulle pur numerose simpatie che il nostro Paese gode in Egitto perché gli amici dell'Italia si reclutavano nella grandissima maggioranza fra gli egiziani filo inglesi mentre non è mancata opera di diffamazione e di intimidazione a danno di coloro che più coraggiosamente mostravano i loro sentimenti a noi favorevoli. D'altra parte noi potevamo fare sopratutto un qualche affidamento sui partiti di minoranza che sostenuti dal Re avevano governato quasi ininterrottamente il Paese dal 1919 ad oggi, mentre il Wafd, che per la grave malattia del Re e l'eclissi politica del Palazzo stava di nuovo impadronendosi del campo, aveva sempre avuto scarsi contatti e minori simpatie per l'Italia fascista e particolarmente erano noti i sentimenti filo etiopici di Nahas pascià e di Makram Ebeid.

La controazione italiana, impostata sulla efficiente organizzazione del

R. ministero della Stampa e Propaganda, poteva tuttavia svolgere un'opera di chiarificazione che ha valso a dileguare molti timori; a dimostrare all'Egitto come la sua assurda solidarietà con l'Etiopia fosse contraria ai suoi interessi di Nazione che si pretende mediterranea progredita e moderna e dimostrargli come esso si prestasse a fare il giuoco dell'Inghilterra senza attenerne alcun profitto.

Se e in quanta parte si debba a tale nostra azione, come in taluni di questi ambienti si asserisce, il mutamento di scena intervenuto nel dicembre scorso che dette in questi ambienti plastica evidenza al contrasto fra la politica inglese nei riguardi dell'Egitto civile ed oppresso e dell'Etiopia semiselvaggia e indipendente è difficile naturalmente precisare. Ma contribuirono certamente ad evitare che la delegazione egiziana accettasse di riconoscere il diritto inglese a mantenere guarnigioni permanenti nei punti strategici del territorio, le nostre dichiarazioni relative al lago Tana ed alla frontiera occidentale e gli accenni alla possibilità di un patto di non aggressione che l'Egitto non avrebbe naturalmente mai osato negoziare, ma che fornirono ai delegati egiziani di minoranza un'arma efficacissima per combattere il consueto spauracchio dell'aggressione italiana, usato senza sosta durante ì cinque mesi dei negoziati sulla questione militare.

Ritengo che questi e non altri siano i limiti entro i quali l'azione italiana ha esercitato influenza diretta o indiretta, favorevole o contraria sull'andamento delle cose che ha portato al trattato anglo-egiziano.

Non è quindi esatto ciò che viene vantato da taluni giornali inglesi come uno dei maggiori successi conseguiti con l'accordo, per giustificare le concessioni che molti giudicano eccessive e cioè che la conquista italiana dell'Abissinia ha dimostrato all'Egitto il suo vero interesse e che il trattato su basi conciliative ha fatto sorgere e cementato un'unità di intenti e di affetti.

L'Egitto da molti anni non pensa più ad una soluzione violenta o decisamente antinglese.

Come ho riferito in vari miei rapporti, la classe dirigente egiziana, molta parte della quale è composta di siriani, di turchi, di circassi, di albanesi e di ebrei, i ricchi pascià che sfruttano il popolo più povero e più paziente del mondo, i copti, che dietro la loro maschera nazionalista paventano in tutti i villaggi lontani dai grandi centri lo scatenarsi del fanatismo musulmano, e forse lo stesso fellah che tiene più all'acqua che alla vita e crede più nella giustizia degli inglesi che in quella dei pascià in materia di distribuzione idraulica, non hanno in realtà interesse alla completa emancipazione dall'Inghilterra.

L'indipendenza è in verità più un postulato di politica interna comune a tutti i partiti che non un vero ideale nutrito secondo una matura coscienza nazionale.

L'amicizia con l'Inghilterra subordinata al riconoscimento dell'indipendenza è stata del resto costantemente affermata e sono ceìebri le parole di Nahas pascià reduce dai negoziati del 1930 quando affermò che l'Egitto aveva perduto un trattato ma acquistata l'amicizia dell'Impero britannico.

58 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

La verità se mai è un'altra. Le vittime dei moti del dicembre, studenti nella quasi totalità, sebbene senza capi e senza organizzazione, avevano una visione meno fanatica e più occidentale e cosciente della causa per la quale hanno incontrato il sacrificio.

E le camicie verdi ed azzurre, se anche si limitino finora a picchiarsi fra loro e facciano sorridere di compassione le camicie nere che le vedono sfilare, non costituiscono tuttavia un sintomo che possa essere diagnosticato a favore dell'Inghilterra.

Gli egiziani non amano oggi gli inglesi più di quanto li amassero prima. Molti di loro sono legati al carro dell'Inghilterra da calcolo interesse e paura, e ciò che avviene nel campo della vita interna del Paese si ripete per il Governo egiziano nel campo internazionale. La classe dirigente egiziana malgrado la propaganda inglese, malgrado la nuova realtà geografica, malgrado la stessa convinzione di molti ambienti stranieri che ritengono questo Paese destinato a cadere nell'orbita italiana, non teme in realtà un'aggressione dell'Italia. Essa teme però un conflitto fra Italia e Inghilterra e poiché in tale eventualità che durante l'anno trascorso si è affacciata ogni giorno all'animo degli egiziani, la realtà militare e politica non solo non permette neanche per un istante l'ipotesi che l'Egitto possa parteciparvi a fianco dell'Italia, ma non consente nemmeno quella della neutralità, essa pensa a precostituirsì. le posizioni migliori per ottenere tutti i vantaggi morali e materiali che le possano derivare da una situazione obbligata che le è certamente molto meno gradita di una comoda e sicura neutralità.

«È fuori di dubbio, osservava in questi giorni l'Ahram, che l'occupazione italiana dell'Etiopia rende facile e necessaria la conclusione dì un accordo tra l'Inghilterra e l'Egitto, non già perché l'Egitto tema un'invasione italiana, ma per il semplice fatto che l'Inghilterra ha dovuto tenere in considerazione la possibilità di uno scontro con le forze italiane sulle rive del Nilo e l'Egitto si è trovato indotto a pensare alla propria difesa di fronte ai due antagonisti ».

Chiarita così la situazione nei riguardi dell'Italia, occorre tuttavia riconoscere che l'alleanza militare sancita dal trattato avrà un carattere sensibilmente diverso da quella prevista nel progetto del 1930 in quanto implicitamente e per forza di cose viene ad apparire maggiormente in funzione di un eventuale conflitto con l'Italia.

Né sarà questa la sola questione a cui darà luogo il trattato nei nostri confronti. Altre ve ne sono che presentano per noi particolare importanza e di cui sarà possibile riferire solamente in possesso dei testi.

Sarà anzitutto importante conoscere se ed in quale forma la Gran Bretagna consideri che la dichiarazione alle Potenze del 1922 debba rimanere in vita. Rinunciando l'Inghilterra alla protezione degli str::tnieri ed all'occupazione militare dovrà altresì cessare per l'Egitto una situazione di irresponsabilità internazionale incompatibile con la qualità di Stato indipendente e membro della S.d.N. La cessazione del valore di tale dichiarazione dovrebbe almeno teoricamente consentirci una maggiore libertà nell'azione politica.

Anche la questione militare avrà importanti ripercussioni, sia perché le clausole militari differiscono da quelle del 1930 per alcune disposizioni che voglio credere di carattere difensivo ma che contemplano comunque implicitamente un eventuale conflitto con l'Italia, sia perché l'Egitto acquista la possibilità (ed afferma l'intenzione) di organizzare un vero e proprio esercito, ciò che avverrà a cura di una missione militare inglese.

Occorrerà poi esaminare la questione del Canale di Suez alla luce dei testi internazionali. Sebbene la clausola che la concerne non differisca, a quanto si ritiene, in questo trattato da quella prevista nei progetti di accordo precedenti, i nostri nuovi e maggiori interessi al di là del Canale rendono tale questione quanto mai attuale per noi.

Per quanto si riferisce ad eventuali discriminazioni nei riguardi dei nostri interessi occorrerà considerare attentamente le varie ciausole minori, e in modo particolare quella relativa alla preferenza data ai cittadini inglesi nella assunzione eventuale di funzionari stranieri.

Quanto alla questione capitolare che più direttamente riguarda i nostri importanti interessi e la vita delle nostre collettività in Egitto, essa è per così dire all'ordine del giorno della politica italiana in questo Paese fin dalla proclamazione dell'indipendenza.

Coll'accordo raggiunto l'Egitto ottiene l'adesione e l'appoggio inglese per una riforma del sistema capitolare anche di maggiore portata di quella prevista nel progetto del 1930.

Nell'attuale testo il diritto di veto conferito all'assemblea dei tribunali misti sulla legislazione applicabile agli stranieri, e in particolar modo su quella di carattere fiscale, viene sostituito con un semplice impegno egiziano a non emanare provvedimenti legislativi che contrastino con i principi generali del diritto moderno o contengano elementi di discriminazione nei riguardi degli stranieri.

Permane il principio (già in passato accettato dalle Potenze) del trapasso della competenza penale dai consolati ai tribunali misti, restando ai primi, qualora i relativi Governi lo desiderino, la competenza in materia dì statuto personale. Ma gli egiziani hanno ottenuto l'adesione inglese anche al principio della soppressione dei tribunali misti dopo un periodo di tempo che -non essendo stato possibile fissarlo d'accordo -dovrà essere ulteriormente stabìlito.

La riforma è dunque radicale e tale che non mancherà di avere ripercussioni sulle nostre collettività. Essa tuttavia non entrerà in vigore con l'applicazione del trattato perché, malgrado le insistenze della delegazione egiziana, l'Alto Commissario Sir Miles Lampson si è recisamente opposto ad acconsentire ad un atto unilaterale ed ogni decisione sarà quindi sospesa in attesa di tentare le vie dell'accordo con le Potenze interessate.

È pertanto sommamente augurabile che la Conferenza internazionale che l'Egitto sembra deciso a convocare, ed i negoziati che naturalmente dovranno precederla, consentano di trovare una soluzione che concilii l'antica e vivacissima aspirazione egiziana a liberarsi da quella che è considerata una grave menomazione della sovranità satale ed una fonte di abusi colle necessarie esigenze della protezione dei nostri interessi. Il punto più delicato consiste nella maturità dell'Egitto, nella organizzazione ed integrità dei suoi organismi fiscali, di polizia e carcerari, nell'imparzialità dei suoi magistrati. E queste sono tutte incognite (o forse non lo sono affatto) che purtroppo non si chiarìscono con un trattato.

Assicuro intanto l'E. V. che la legazione sta studiando la questione nei vari suoi aspetti, e sopratutto in quello delle prevedibili ripercussioni sulle nostre collettività sia per quanto concerne le possibili garanzie da richiedersi, d'accordo con le altre Potenze interessate, sia sopratutto per preparare gli italiani d'Egitto a sapersi adattare alle nuove condizioni di vita ed ambiente delle quali la progettata riforma capitolare non è che un sintomo ed una manifestazione, ma che sono piuttosto inerenti alla evoluzione del popolo egiziano, in verità molto maggiore nel campo delle attività pnvate che non in quello della vita politica e della pubblica amministrazione.

Avrò ragione di riferire di frequente su tale questione, ormai di prima attualità per la nostra politica egiziana.

Ma fin d'ora posso esprimere a V. E. fiduciosa speranza che gli italiani d'Egitto, dei quali ho avuto l'onore di essere a capo durante dodici mesi di resistenza tenace e serena, troveranno in sé stessi la forza dinamica occorrente per i necessari mutamenti di posizione e sapranno obbedire ad una parola d'ordine che pareva perduta per noi dopo i tempi di Roma, e che è fra le più belle ed alte fra quelle che Mussolini ha dato all'Italia fascista: durare (1).

(l) -Non pubblicato. (2) -n presente documento reca il visto di Mussollni.

(l) Non pubblicato.

767

IL MINISTRO A CITTA DEL MESSICO, MARCHETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 1705/325. Città del Messico, 20 agosto 1936 (per. il 9 settembre).

A differenza di quanto ha potuto fare la maggior parte dei R. capi missione nelle capitali di questo continente, io ho dovuto essere estremamente conciso nel riferire a codesto ministero circa l'atteggiamento di questo Governo nei riguardi della prossima Conferenza di Buenos Aires (2).

Mi riferisco al riguardo al mio telegramma dell'8 giugno n. 57 e precedenti (3).

La ragione del mio riserbo deve ricercarsi nella assoluta impossibilità di procurarmi elementi che mi permettano di prospettare, con sicurezza, a codesto ministero, quello che sarà il comportamento di questo Governo a Buenos Aires. In questa situazione mi trovo accomunato ai miei colleghi esteri, i quali, benché parecchi di essi abbiano interessi ben più prossimi ed importanti di quello che può essere il mio, non hanno la possibilità di penetrare i veli che coprono le intenzioni del Governo meso.icano. Mi riferisco ad esempio a questo ambasciatore del Cile, il quale, d'ordine del suo Governo, presentò alla fine del maggio scorso, personalmente a questo ministro degli Affari Esteri, un ampio memorandum contenente il punto di vista cileno in merito alla

Conferenza e la preghiera di conoscere quello messicano (esso è noto a codesto ministero: telespresso ministeriale del 10 giugno u.s. n. 219671) (l): a malgrado delle sue insistenze, oggi ancora, a quasi tre mesi di. distanza, egli non è riuscito ad ottenere neppure un principio di risposta, né specifica né generica.

La spiegazione di questo atteggiamento messicano deve trovarsi nel fatto che il generale Hay, ministro degli Affari Esteri, è quasi totalmente all'oscuro delle intenzioni del presidente e di alcuni elementi che, al lato di quest'ultimo, influiscono sia sulla politica interna che sulla politica estera. Di più egli è uomo che, sia pel temperamento che a causa della sua difficile e poco solida situazione personale, rifugge da responsabilità. A chi gli domanda informazioni, od almeno un orientamento, circa le disposizioni del Governo messicano in merito alla Conferenza Panamericana, egli risponde invariabilmente che tutto sta nelle mani del presidente designato della delegazione messicana alla conferenza, dott. Castillo Najera, ambasciatore a Washington, il quale non ha ancora preparato il suo rapporto conclusivo. Da parte sua il dott. Castillo Najera, come ho informato, è venuto al Messico da Washington, ma non si è ancora pronunciato, ed è stato per la maggior parte del tempo fuori della Capitale. Egli torna in questi giorni a raggiungere il suo posto e soltanto fra tre o quattro settimane sembra che verrà definitivamente al Messico per elaborare il suo rapporto e far approvare dal presidente la sua futura azione.

Comunque, per quello che maggiormente ci interessa, credo che possano fin d'ora tenersi per sicuri i seguenti punti:

l. -Dato che i rapporti tra questo Paese e la vicina Repubblica del Nord sono attualmente buoni e cordiali, per quanto lo consentano i precedenti storici, la posizione geografica e non pochi urti in materia &ociale ed economica, è da prevedersi che il Messico non prenderà nessun atteggiamento suscettibile di colpire di fronte le direttive o gli interessi nord-americani. La stessa designazione a presidente della delegazione messicana dell'ambasciatore di questo Paese a Washington è una riprova in tal senso (mio telegramma del 21 Maggio u.s. n. 52).

2. --Come ho ripetutamente riferito, in rapporto anche all'atteggiamento del Messico nei nostri riguardi in tema del conflitto itala-etiopico, è indubitabile che il Messico sarà tra i più accaniti difensori della tesi che convenga ad esso eà in genere ai paesi del Sud-America non solo rimanere a Ginevra, ma mantenere e rafforzare i rapporti con la Società delle Nazioni. Qualora anche si venisse all'idea della formazione di una più stretta intesa tra gli Stati dell'America Latina, il Messico sosterrà il principio che tale intesa dovrà essere concepita ed attuata nel quadro della Società delle Nazioni. 3. --Se venisse sul tappeto la questione della dottrina di Monroe non ho elementi per giudicare se ed in quale forma ciò potrà avvenire -il Messico sosterrà, pure con tutti i dovuti riguardi verso gli Stati Uniti, l'antica tesi che esso ha sempre sostenuto insieme con parecchi Stati latino-americani, che detta dottrina non è in alcun modo una «intesa regionale 1> come a torto è stata definita dal Trattato di Versailles, sibbene una norma di politica estera

adottata e diversamente interpretata unilateralmente dagli Stati Uniti, e che come tale, finché essa non divenga un trattato o una convenzione tra i Paesi interessati, essa non può in nessun modo costituire una norma o un impegno né per il Messico né per gli Stati dell'America Latina.

Trasmetto con l'occasione un ritaglio del giornale Excelsior del 3 corrente in cui vengono riprodotti una lettera datata da Bogotà il 10 aprile u.s. diretta dal presidente della Repubblica di Colombia al presidente del Messico e la risposta di quest'ultimo datata il 5 giugno ma firmata solo il 2 corrente (1). Il presidente della Repubblica di Colombia espone alcuni suoi concetti circa una possibile collaborazione dei due Paesi in seno alla prossima Conferenza, particolarmente riguardo ai rapporti con la Società delle Nazioni e alla possibilità della approvazione di un trattato antibellico americano. Il presidente Cardenas risponde molto verbosamente ma, in linea generale, secondo le linee che io ho più sopra accennato.

Assicuro V. E. che non manco di seguire la situazione e di tener presenti le istruzioni di ordine generale impartitemi dall'E. V.; né mancherò di riferire non appena possa procurarmi elementi sufficienti.

(l) -Il presente documento reca l'annotazione a margine di Ciano: «Importante». (2) -Vedi p. 204, nota 4. (3) -Non pubblicati.

(l) Non pubblicato.

768

IL MINISTRO A L' AJA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1639/424. L'Aja, 20 agosto 1936 (per. il 23).

Miei telegrammi n. 53 e 55 in data del 7 e del 12 corrente (2).

Come ho riferito telegraficamente, questo Governo, malgrado le pressioni francesi e britanniche non intende pronunziarsi ancora circa una vera e propria neutralità olandese di fronte agli eventi di Spagna. Si è limitato a dichiarare che, in applicazione di vigenti disposizioni legislative, si era provveduto ad impedire l'esportazione verso la Spagna di materiale bellico. Si tratta più che altro di un gesto simbolico. Di fatto, i Paesi Bassi acquistano più che non esportino materiale da guerra. Quanto ad aeroplani civili, suscettibili di essere trasformati in apparecchio da bombardamento, si trova il mezzo di eludere la legge con il venderli nominalmente ad altri Paesi. È tuttavia da tener presente che le fabbriche Fokker e Koolhoven non hanno nessun materiale disponibile, e che la riserva dei vecchi apparecchi Fokker, ritirati dalle linee della K.L.M. per esservi sostituiti dai Douglas, è ormai esaurita.

Esaminando obbiettivamente il sentimento delle sfere governative e dell'opinione pubblica di fronte ai due gruppi in conflitto nella penisola iberica si rileva una recente tendenza a valorizzare, sia pur velatamente, gli sforzi e il programma dei nazionalisti. Ma si fa di tutto per dare all'estero l'impressione che l'Olanda è onestamente e freddamente neutrale. Coloro che durante il conflitto italo-tiopico s'accanivano a vituperare la guerra italiana e lanciavano ma

!edizioni contro i crudeli soldati in camicia nera ora si chiudono in un silenzio ermetico dinanzi alle atrocità dei rossi spagnoli e alla loro opera di annientamento di quanto riveli la superiorità dell'ingegno.

La stampa si limita a riportare le notizie dell'una parte e dell'altra e scrupolosamente si astiene dal commentarle. Tuttavia, come ho p1ù sopra accennato, si delinea chiara la tendenza a inquadrare in senso favorevole l'azione dei generali Mola e Franco. Eccezione è fatta dal Nieuwe Rotterdamsche Courant e dall'Algemeen Handelsblad, legati al Times.

Soltanto uno o due degli organi cattolici rilevano apertamente, ma sporadicamente, le spaventose conseguenze che porterebbe seco una vittoria bolscevica. Gli altri tacciono tenendo presenti solo i materiali interessi dei canonici e del partito cattolico, non si peritano di inneggiare in questo specialissimo momento all'ultimo violento attacco portato dal vescovo di Roermond al partito nazionalsocialista di Mussert.

Naturalmente, in tutto favorevoli al Governo di Madrid sono gli organi socialisti e comunisti. È tuttavia da notare che i due partiti. si astengono sinora da manifestazioni di ogni genere a favore dei compagni spagnoli.

Più coraggiosa e decisa è la campagna a favore degli insorti dei partiti filofascisti N.S.B. e Fronte Nero. Mussert specialmente col suo organo Volk en Vaderland e con comizi popolari si batte a viso aperto a favore del trionfo dell'ordine in Spagna, rappresentando le conseguenze tragiche che avrebbe per la civiltà europea l'affermarsi della dittatura di Stalin nella Penisola iberica. Violentemente Mussert ha accusato il Governo di non aver saputo o voluto proteggere i sudditi e gli interessi olandesi nella Spagna: il ministro in Spagna s'era affrettato a rifugiarsi in Francia disinteressandosi di tutto, non s'era trovata una nave da guerra per portare la bandiera olandese nei porti spagnoli.

Di tali accuse fondatissime il Governo ha cercato subito di giustificarsi, ma senza riuscirvi. Ha dovuto ammettere che il ministro di Olanda si era alle prime fucilate rifugiato in Francia (ciò che sembra aver definitivamente compromesso la sua candidatura alla legazione di Roma) e che con telegramma direttamente inviato al Governo madrileno era stato in un primo tempo accreditato presso di esso, quale specialissimo incaricato d'affari, un vice console onorario di nazionalità tedesca. Anche ha dovuto ammettere che nessuna nave da guerra era disponibile per essere inviata nel Mediterraneo allo scoppio della rivoluzìone a raccogliere i sudditi olandesi nei vari porti spagnoli.

In questa sua inutile difesa il Governo ha però messo un certo calore quasi a respingere da sè ogni sospetto di simpatia per il Governo di Madrid.

Il Governo infatti, pur gelidamente neutrale in apparenza, credo parteggi in cuor suo per i nazionalisti e per il generale Franco al quale ritiene non possa non essere riconosciuta la qualità di belligerante. Troppe teme il signor Colijn una vittoria dei principi distruttivi marxisti. E dello stesso radicato sentimento è anche il ministro degli Esteri che compiange la Francia e che è stato ed è uno dei più fermi oppositori ad una ripresa di rapporti. ufficiali col Governo di Mosca (1).

(l) -Non pubbllcate. (2) -TT. 7262/53 I<. del 7 agosto e 8085/55 R. del 12 agosto, non pubbllcatl. Il loro contenuto è qui riassunto.

(l) Il presente documento reca Il visto di Mussollni.

769

L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 2641/1033. Mosca, 20 agosto 1936 (per. il 24).

Gli avvenimenti di Spagna occupano sempre più l'attenzione di queste sfere politiche. Così pure la stampa li segue con ampiezza di segnalazioni annunciando sistematicamente vittorie governative anche con poco rispetto alla geografia e colmando le reticenze o le lacune con insinuazioni contro la Germania e, in tono minore, contro l'Italia.

Nei giornali vi è stata invero una pausa per quanto si riferisce all'Italia, gli attacchi essendo stati sferrati per lo più contro il Reich indiziato di tentativi diretti a mettere l'Europa di fronte ad un nuovo «fatto compiuto». Peraltro nella cronaca giornaliera non si tralascia di parlare dell'Italia che, insieme con la Germania, presterebbe «aiuti fascisti » in favore degli insorti.

Le menzogne della stampa sovietica circa reconditi piani germanici ed italiani per loro « mire strategiche » nel Mediterraneo occidentale lasciano ora il tempo che trovano. Esse si ripetono più che altro per aggiungere un nuovo motivo di attacco alla solita campagna antigermanica che in questi giorni è invero rincrudita e si prevede abbia a peggiorare in relazione al processo contro i trozkisti.

Segnalai con telegrammi Stefani il passo fatto da questo incaricato d'affari di Francia in merito all'accordo di non ingerenza negli affari di Spagna. Evidentemente nell'apprendere il fatto compiuto della conclusione di un accordo di non ingerenza fra Inghilterra e Francia senza che la URSS ne fosse stata per lo meno prevenuta, ne è derivata presso i dirigenti sovietici una spiacevole reazione che si cerca tuttavia di non lasciar trasparire nella stampa ed in questi circoli diplomatici. È ben probabile che Litvinov avrebbe voluto cogliere l'opportunità di far risultare in qualche modo dalla concomitanza delle dichiarazioni per la neutralità da parte di tre grandi Potenze una situazione per l'URSS che mettesse più al coperto la sua posizione ideologica ed al tempo stesso le desse prestigio di fronte all'opinione pubblica internazionale.

Inde, il marcato ritardo della risposta sovietica a questo collega di Francia, ritardo peraltro che -come afferma il collega francese -non sarà che di breve durata

Inde l'articolo del Journal de Moscou redatto dal Narkomindiel con stile secco e nervoso, senza allusioni alla contrarietà provata, limitato alla sola impostazione della questione della neutralità di fronte ai Paesi « sabotatori » del regime costituzionale spagnuolo.

L'articolo pone il dilemma: o il principio della neutralità deve essere adottato e messo in vigore, cessando immediatamente l'appoggio dei «Paesi fascisti » verso gli insorti; o è impossibile realizzare presentemente H principio della neutralità, data la resistenza ed il «sabotaggio » dei predetti Paesi, ed allora il Governo spagnuolo deve essere posto almeno sullo stesso piede dei ribelli.

In altre parole, il Narkomindiel fa dire a mezzo del Journal de Moscou che se i cosiddetti «Paesi fascisti » intendono continuare nelle lungaggini degli schia

rimenti e delle riserve, l'URSS ha il dovere -come se non l'avesse già fatto di dare il proprio concorso per mettere il Governo spagnuolo sullo stesso piede di uguaglianza con gli insorti.

Questa è la facciata. Ma in sostanza, l'URSS per timore di complicazioni internazionali, non desidererebbe di meglio che la conclusione sollecita dell'accordo.

Il mio collega francese si dimostra per parte sua convinto che, una volta l'accordo firmato, l'URSS vi si atterrebbe strettamente. Egli ha avuto in proposito degli affidamenti anche per quanto concerne la fine de:lle note «collette». Anzi, a quest'ultimo riguardo, egli è forse, nel suo intimo, più persuaso della possibilità per i Soviet, di adempiere rigidamente un impegno di tal genere che fusse per essere assunto, che di una eguale possibilità del suo Governo, premuto dagli estremisti.

In conclusione, vi è attualmente a Mosca una battuta d'attesa (1).

770.

IL MINISTRO A TIRANA, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8237/117 R. Tirana, 21 agosto 1936, ore 1,20 (per. ore 6).

Telegramma di V. E. n. 114 (2).

Re Zog tiene moltissimo a trattare direttamente e segretamente a Roma questione del suo incontro col Duce. Per tale considerazione dato che mi ero già congedato dal Re, non ho creduto opportuno chiedergli nuova udienza per la comunicazione prescrittami allo scopo di non suscitare nell'animo diffidente del Sovrano impressioni non desiderabili per il futuro. Ho ritenuto quindi preferìbile fare giungere a Re Zog, in forma opportuna, comunicazione di V. E. per il riservato tramite abituale.

Il Re mi ha fatto stasera stessa ringraziare confermandomi essere pronto. all'incontro quando il Duce ne riterrà giunto il momento più adatto, tanto più che egli desidera in tale occasione intrattenere il Duce non già di questioni albanesi, ma di possibili orientamenti comuni in materia di politica balcanica.

771.

IL CONSOLE GENERALE A 'l'OLOSA, BERRI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8257/19 R. Tolosa, 21 agosto 1936, ore 17,25 (per. ore 21,30).

Stanotte ore 23,30 sono partiti da Port Vendres per Barcellona, con personale di bordo francese, quindici aeroplani controllati da quel nostro agente consolare.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (2) -Per il tramite del generale Sereggi, che si era recato appositamente a Roma, Re Zog aveva espresso il desiderio di incontrarsi con Mussolini prima di realizzare i suoi progetti matrimoniali (appunto di Aloisi del 10 agosto). Con T. 3823/114 R. del 19 agosto, ore 20, Ciano aveva incaricato Indelli di rispondere a Re Zog che Mussolini riteneva opportuno rinviare l'incontro <<a dopo chiarita la situazione spagnola>>, cosa di cui era stato informato anche il generale Se reggi.
772

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8263/262 R. Saint Jean de Luz, 21 agosto 1936, ore 18,30 (per. ore 21,30).

Notizia proclamazione parziale indipendenza Governo catalano ha prodotto notevole impressione tra i numerosissimi spagnuoli e di.plomatici residenti in questa zona. Essa viene generalmente considerata come dimostrazione volontà Governo Barcellona separare ora sua sorte da quella Governo Madrid e, conseguentemente come conferma difficile situazione, anche militare, in cui si trova quest'ultimo. Secondo tali impressioni, Catalogna, che avrebbe ormai soppresso qualsiasi parvenza anche esteriore di regime repubblicano democratico, considera perduta la partita per quanto riguarda Madrid, da cui comunque non si attende alcun aiuto. Essa, apprestandosi combattere da sola contro nazionali, avrebbe voluto rafforzare sua posizione dando soddisfazione corrente separatista e, secondo taluni, sperando anche su possibilità più efficaci appoggi morali, materiali da parte francese. Naturalmente insorti confermano loro volontà terminare guerra soltanto dopo aver avuto ragione anche di tutta la Catalogna.

773

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. s. 8285/264-265 R. Saint Jean de Luz, 21 agosto 1936, ore 18,55 (per. ore 23,15 del 22).

Per aver esatte informazioni circa situazione militare insorti nel settore nord e circa loro organizzazione, ho pregato questo addetto aeronautico, comandante Ferrarin, compiere visita in via riservatissima ai centri di Burgos, Pamplona e Valladolid, nonchè ai centri aviatori dei ribelli.

Ferrarin ha adempiuto missione e riferirà per corriere ministero dell'Aeronautica intorno questioni schiettamente militari, ma credo sia utile informare subito di altre notizie che egli mi ha portato da parte del generale col quale è stato e di membro del Governo di Burgos.

Generale Mola teneva molto che noi fossimo informati di notizie giuntegli da fonte sicura intorno al movimento di indipendenza manifestatosi in questi ultimi giorni in Catalogna (mio telegramma 262) (1).

Secondo tale notizia, movimento separatista è il risultato del viaggio a Madrid di Jouhaux. Egli avrebbe consigliato abbandonare Madrid e ritirarsi, coi resti esercito e con le milizie, a Valenza per resistervi -ove possibile -e in

caso contrario sulla Catalogna, facendo di quella regione e delle Baleari punto inflessibile della resistenza rossa. In questo caso Jouhaux ha promesso aiuto incondizionato Fronte Popolare francese in uomini, armi, aeroplani, tecnici. Piano consisterebbe quindi preparare una Catalogna che resterebbe staccata dalla Spagna nazionalista, che possedesse le Baleari e che sarebbe pedina francese nel Mediterraneo. Questo programma spiegherebbe continui assalti che truppe catalane fanno isole Maiorca e Minorca, che sono tuttora in mano insorti e contro le quali si moltiplicano sbarchi finora infruttuosi, dei rossi. Tali sbarchi sono costati ai catalani gravi perdite che sarebbero sproporzionate allo scopo se non vi fossero speciali ragioni di impadronirsi, ad ogni costo, delle Isole. Queste -per adesso -resistono, ma generale Mola teme, che, non avendo gli insorti flotta per aiutarle, possano essere attaccate se non siano difese da aviatori locali che per ora mancano.

Altro elemento di fatto (che corrisponde programma francese) è quello dell'oro. Ricordo che il Governo di Burgos aveva inviato nota a Governo francese avvertendolo che esportazione oro Parigi era illegale (mio telegramma n. 249) (l) perché non era stata autorizzata dal Parlamento.

Jouhaux ha consigliato non mandare più oro in Francia, ma mandarlo a Barcellona che, essendo legale territorio spagnuolo, non può dare luogo ad eccezioni. Infatti, mentre giorno 17 doveva giungere a Parigi altro carico oro, esso non è giunto, e avviso di arrivo è stato annullato.

A questo programma si vuole anchè collegare voce che Francia si adopererebbe per far riconoscere da Ginevra Repubblica Catalana, appena questa fosse proclamata.

Constatazioni di Ferrarin intorno alla organizzazione «Fronte Nord» sono favorevolissime da tutti i punti di vista (stato del Paese, entusiasmo, unità, spirito Fambattivo, mezzi economici) salvo in un punto: quello dell'aviazione. Si può dire che gli insorti del Nord non abbiano aviazione, se si pensa che posseggono soltanto 5 bimotori «D. H. » Drattant acquistati Inghilterra, un apparecchio « da caccia» vecchio modello Newport 51 ed una diecina vecchi Breguet 19 da ricognizione. Questo materiale è distribuito su 3 campi di fortuna situati parallelamente alla sierra.

Davanti continuo aumento dell'aviazione che giunge ai rossi, questo materiale è nettamente inferiore ed insufficiente ai bisogni.

Comando Burgos, in vista sopratutto dell'avanzata su Madrid, prospetta necessità avere altro materiale che gli faciliti la rapidità del compito che è uno degli elementi del successo. Aviazione da caccia sarebbe sopratutto preziosa perché aviazione rossa disturba gravemente con unità «da bombardamento» mandate dalla Francia, come bimotori Hamiot ed altri apparecchi attrezzati con mezzi moderni.

A proposito della Francia, comando Burgos sta protestando vivacemente, affermando che nella sera del 20 corrente, 5 apparecchi francesi, provenienti dalla Francia, hanno bombardato posizioni insorti « zona Tolosa » e sono ritornati in territorio francese (2).

(l) Vedi D. 772.

(l) -T. 8017/249 R. del 14 agosto, ore 18,45, non pubblicato. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolinl.
774

IL MINISTRO A VIENNA, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8271/158 R. Vienna, 21 agosto 1936, ore 21,30 (per. ore 5 del 22).

Reggente Horthy, che rimarrà in Austria circa 10 giorni (1), ha avuto oggi lungo colloquio col Cancelliere Federale.

Ballplatz mi ha detto che visita è realizzazione di un vecchio desiderio del Reggente e che Governo austriaco ha tenuto ad assicurarsi, prima disporre programma, che Roma ne fosse preventivamente informata attraverso Budapest.

Reggente, attraversando Baviera, incontrerà domani Hitler. Giorno 29 corrente verrà ricevuto da Presidente federale.

Cancelliere federale ha approfittato incontro per cercare modificare opinione che Reggente Horthy avrebbe recentemente manifestata circa debolezza situazione austriaca nei confronti pressioni nazismo germanico, verso il quale Reggente si è espresso in termini molto ammirativi.

Ho avuto impressione che viaggio sia stato desiderato sopratutto da parte ungherese e che predisposto incontro con Hitler imbarazzi assai Governo austriaco.

775

L'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI, AL MINISTERO DELLA GUERRA

T. 562. Tangeri, 21 agosto 1936, ore 21,30 (per. ore 0,45 del 22).

Venti c.m. per ordine ministro ho conferito con generale Franco (2) che mi ha riferito:

l) Fronte nord attacco contro Irun prosegue a scopo interrompere comunicazioni tra Francia e forze governative nelle Asturie e nelle provincie basche. Forze insorti Oviedo possono resistere a lungo, quelle Gijon per quanto soggette perdite resistono tuttora.

2) Fronte catalano forze rossi premono a sud di Huesca e hanno occupato Tardienta. Generale non si preoccupa ritenendo forze insorti ivi dislocate sufficienti.

3) Fronte Nuova Castiglia generale Mola occupato Brun displuviale Sierra Guadarrama, però rossi tengono Siguenza, passo Navacerrada e paese Guadarrama. Premono su paese San Raffaele minacciando Avila. Sierra de Gredos data natura terreno è solo sorvegliata. Generale Franco ha affermato che truppe nella Vecchia Castiglia sono animate da grande slancio ma per quanto mi riferisce poco addestrate; pertanto ha provveduto rinforzarle con unità legione straniera e marocchine.

4) Fronte Estremadura avvenuta occupazione Badajoz. Colonne partite Caceres hanno raggiunto Navalmoral e tendono verso Talavera ove sosteranno in attesa compiere sforzo su Madrid unitamente generale Mola. Nella loro avanzata sono state bombardate da aviazione avversaria. Accademisti Toledo possono ancora resistere lungamente. Truppe generale Franco stanno concentrandosi a nord Merida.

5) Fronte Andalusia dopo ristabilite comunicazioni ferroviarie Siviglia-Granada con occupazione Loja forze nazionalisti si manterranno sulla difensiva.

A Maiorca una colonna di sbarco rossa è stata rigettata in mare mentre altre due sono riuscite mantenersi a terra. Generale Franco afferma che comandante della difesa dispone forze sufficienti per rigettarle.

Secondo radio intercettato dalla nave da battaglia Jaime I operai arsenale Cartagena non vogliono compiere riparazioni navi perché arsenale battuto da batterie forti della piazza. Generale Franco afferma che non potrà premere su Madrid fino a quando non neutralizzerà aviazione bombardamento avversaria che impedisce avanzata colonne durante le ore diurne. Aviazwne rossa per difesa suoi aerei dispone 12 Devoitine 20 Newport 4 Fury nella zona Madrid 8 Wickers a Malaga. Inoltre dispongono numerosi Breguet 19 et Potez 25 per operazioni ricognizione bombardamento leggero. Data situazione generale Franco prega pertanto una risposta immediata circa invio o meno di M.A.S. et squadriglie aeroplani ricognizione bombardamento leggero, sollecitare invio maschere essendo pervenuta notizia che stabilimenti Valencia stanno preparando grandi quantità cloro e sono iniziati sul fronte Guadarrama tiri gas lacrimogeni. Inoltre chiederebbe 24 carri armati leggeri, altre 20.000 maschere, bombe a gas da impiegare per rappresaglia qualora tale mezzo sia usato avversari, 200 fucili mitragliatori con un milione cartucce. Movimento militare di Franco riuscirà soltanto se riceverà mezzi superiori a quelli che riceveranno avversari da Francia Russia Inghilterra . Quest'ultima invia armi Madrid mentre Portogallo suo satellite fornisce per armata di Franco direttamente armi e munizioni. Questi intende allontanare Cadice unità navali ribelli per protezione piroscafi entrata detto porto (1).

(l) -Il Reggente Horthy era giunto a Vienna in visita privata !l giorno precedente. Sulla visita In Austria e Germania di Horthy vedi DD. 797, 803 e 811. (2) -Vedi p. 827, nota l.
776

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8253/369 R. Berlino, 21 agosto 1936, ore 22,19 (per. ore 24).

Dalla conversazione avuta con François-Poncet ieri (2), mi è sembrato capire che Chambrun non sia riuscito a dissipare sospetti del Quai d'Orsay sopra pretese mire territoriali italiane in Spagna.

(l) -Il documento reca la seguente annotazione manoscritta: «Al gen. Franco manca sempre 30 per fare 31. Si vede che non ha organizzato sufficientemente. Ma perché non ha trattato prima un concorso? ». Con successivo telegramma 582 del 21 agosto, il maggiore Luccardi comunicava che al materiale richiesto da Franco andavano aggiunti altri 12 aerei da caccia (documento tratto dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito). (2) -Vedi D. 762.
777

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8266/370 R. Berlino, 21 agosto 1936, ore 22,15 (per. ore 0,30 del 22).

Oggi ho riveduto ancora Diecl(hoff, il quale mi ha informato della risposta avuta sulla questione della restituzione dell'aeroplano Lufthansa (1). Madrid riconosce che aeroplano non trasportava bombe, mitragliatrici o cannoni, ma mantiene proprio punto di vista circa legittimità cattura insistendo quindi per arbitrato.

Ho domandato Dieckhoff se Governo germanico a sua volta insisterebbe ancora sull'attitudine propria.

Dieckhoff mi ha risposto di si, aggiungendo però che si rende conto come il fare dipendere conclusione di un accordo europeo d1 non intervento dalla consegna materiale di un aeroplano metta Germania in situazione... (2), dalla Francia.

Ho capito insomma che, almeno per conto suo, Dieckhoff sarebbe pronto mollare. Sebbene nè Neurath, nè Hitler si siano ancom definitivamente pronunziati, occorre che noi teniamo conto, ad ogni effetto, della possibilità che la Germania, su questo punto, ceda.

Secondo Dieckhoff, Governo Madrid riceve dalla Francia aiuti giornalieri cospicui (ancora ieri altri 25 aeroplani); esso ha quindi interesse a ritardare un accordo. Ciò soltanto può spiegare sua insistenza nel rifiutare riconsegnare aeroplano Lutthansa. Germania, quindi, sempre secondo Dieckhoff, finirebbe, jnsistendo, fare giuoco Governo Madrid.

~

Sono poi ritornato ancora una volta con Dieckhoff sulla posizione degli

S.U.A. Egli mi ha detto che Governo S.U.A. aveva fatto intendere a Parigi di volere in fatto osservare la più stretta neutralità, ma che non avrebbe gradito essere, in una maniera o in un'altra, messo in causa. Dieckhoff mi ha quindi chiesto quale fosse precisamente in questo momento situazione nostra.

Ho risposto di non avere in proposito notizie nuove, ma ritenere che essa fosse chiaramente definita dal comunicato Agenzia Stefani del 6 agosto e cioè: adesione di principio, subordinata ad alcune condizioni precisamente indicate e formulate. Ho aggiunto anzi non comprendere perche si continuasse dire che Italia non aveva ancora risposto.

778

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. uu. 8255/529 R. Parigi, 21 agosto 1936, ore 22,55 (per. ore 0,35 del 22).

È venuto a vedermi ora questo ambasciatore di Germania, 11 quale si è intrattenuto meco in conversazione confidenziale.

Premettendo che quanto stava per dirmi rappresent:wa suo pensiero generico (1), personale, che fino a questo momento non riteneva essere condiviso da Berlino, mi ha detto di avere parlato con Blum e con sottosegretario per gli Affari Esteri Vienot, i quali, entrambi, lo hanno vivamente premurato a sollecitare dal suo Governo adesione all'accordo «di non ingerenza » negli affari di Spagna, rappresentando la conclusione di tale accordo quale importantissima anche ai fini interni della situazione francese, giacchè esso permetterebbe all'attuale Governo di fronteggiare in nome di un fermo impegno internazionale, mene degli estremisti francesi.

Il conte Welvzeck, nell'esprimermi la sua impressione che sia l'uno che l'altro degli anzidetti uomini politici francesi fossero sinceri, ma ha soggiunto, come sua convinzione, che se l'accordo di non intervento non sarà concluso entro pochi giorni, è evidente che il Governo francese sarà costretto (come già ha dichiarato) a riprendere la propria libertà d'azione che, del resto, è già insistentemente e pubblicamente reclamata dai settori più accesi di sinistra. Ora, osserva il conte Welczeck, tale libertà d'azione non può tornare che al massimo vantaggio del Governo di Madrid; mentre bloccare la situazione al momento attuale, in cui la posizione degli insorti si presenta con sicuro vantaggio, non può essere che favorevole a questi ultimi, i quali, a quanto afferma conte Welczeck -tra un paio di giorni si troverebbero sufficientemente riforniti.

Il mio interlocutore aggiungeva altresì che gli sembrava -e tale dubbio gli era stato autorevolmente confermato -che lo stesso Governo di Madrid temesse le conseguenze della conclusione dell'accordo di non ingerenza; e di ciò gli sembrava indizio la finora negata restituzione dell'apparecchio tedesco catturato, fra le condizioni dell'adesione tedesca all'accordo predetto. Questo, nonostante le replicate e vivissime pressioni che ufficialmente gli constava essere state fatte dal Governo francese presso quello di Madrid per sollecitare la restituzione stessa.

Il conte Welczeck mi ha detto di aver rappresentato tutto ciò al proprio Governo esprimendo il giudizio che, tutto sommato, convenisse oramai accedere alla proposta francese (2).

(l) -Vedi p. 802, nota l. (2) -Nota dell'Ufficio Cifra: <<Manca ».
779

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 3865/239 R. Roma, 21 agosto 1936, ore 24.

Mi riferisco alle Sue comunicazioni telegrafiche e telefoniche e, fra l'altro, all'osservazione fattale costì circa il giuoco francese e inglese e all'invito rivoltole di portare tale osservazione a mia conoscenza. Ho pure presente risposta tedesca 18 corrente, e informo che son venuto nella determinazione

12) Il presente documento reca il visto di Mussolln!.

di rispondere all'ambasciata francese [nei termini] di cui ad altro telegramma in chiaro. Dato intensificarsi manovra francese che pretenderebbe trovare una giustificazione agli aiuti dati ai rossi di Spagna nell'accordo di non intervento non ancora concluso, è parso infatti opportuno anche a noi di metterei in una posizione formalmente inattaccabile consegnando tale nota di risposta. Occorre appena di aggiungere, come si desume del resto dalla stessa redazione della nota, che ci riserviamo di riesaminare in pieno l'intera questione nel caso in cui nonostante l'accordo le manifestazioni pratiche d'intervento a favore del Governo di Madrid avessero a continuare.

Consegnerò oggi stesso la nota a Chambrun (1), di cui ho già dato comunicazione a questo incaricato d'affari tedesco facendogli presente quanto sopra. Comunque tanto le comunico, per sua norma di linguaggio.

(l) Slc.

780

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8971/063 R. Atene, 21 agosto 1936 (per. il 25).

Come ho comunicato a V. E. col mio telegramma per corriere n. 060 del 14 corrente (2), il Governo del generale Metaxas nell'attuazione del programma di riorganizzazione e risanamento dello Stato greco, cerca d'ispirarsi per quanto sa e può -ai principi fondamentali della dottrina fascista. Numerose sono pertanto le domande di dati, di pubblicazioni e di leggi italiane che mi sono state finora rivolte e che mi vengono giornalmente fatte tanto direttamente da membri del Governo quanto da funzionari o da personalità politiche che col governo stesso sono connesse. Più specialmente mi sono state e mi vengono richieste pubblicazioni e leggi sugli argomenti seguenti: ministero della Stampa e della Propaganda -Opera Nazionale Balilla -Opera Nazionale Dopolavoro -Assicurazioni sociali -Bilancio dello Stato -Assistenza Pubblica -Finanze dello Stato -Leggi aventi carattere corporativo.

Ho finora provveduto valendomi di alcuni esemplari in mio possesso di pubblicazioni precedentemente inviatemi dal R. Ministero per la Stampa e la Propaganda e facendo trascrivere, per consegnarli ai richiedenti, decreti e leggi pubblicati nella Raccolta delle leggi e dei decreti del Regno e nella Gazzetta Ufficiale. Mi permetto tuttavia di segnalare l'argomento alla benevola attenzione di V. E. giacché mi sembra che può essere assai interessante per noi di venire incontro ai desideri greci in questa materia.

Le sarò quindi grato se vorrà inviarmi al più presto un adeguato numero (da 10 a 15 copie di ciascuna) di tutte quelle pubblicazioni che V. E. riterrà utile allo scopo. D'altra parte continuerò a trasmettere, separatamente, a V. E le domande « precise » di documenti o dati che mi verranno rivolte.

(2} Vedi D. 736.

(l) Vedi D. 781.

781

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, DE CHAMBRUN

NOTA VERBALE. Roma, 21 agosto 1936.

Ho l'onore di riferirmi alle conversazioni che ho avuto con l'E. V. relativa

mente alla quistione del «non intervento» negli affari spagnoli (1), e di ri

chiamarmi alle osservazioni da me inizialmente fatte circa la portata ed i limiti

che il «non intervento» dovrebbe avere per riuscire veramente efficace. In

relazione a tali conversazioni e nell'intento di fare, per quanto riguarda il mio

Governo, tutto quello che possa agevolare od affrettare la conclusione di un

accordo, ho l'onore di informare la E. V. che il Governo italiano s'impegna,

in conformità delle clausole proposte dal Governo francese:

l) a vietare per quanto lo concerne la esportazione diretta o indiretta, la riesportazione o il transito, a destinazione della Spagna, dei Possedimenti spagnoli o della zona spagnola del Marocco, di armi, munizioni e materiale da guerra, come pure aeromobili montati o smontati e bastimenti da guerra; 2) ad applicare questo divieto a tutti i contratti in corso di esecuzione; 3) a tenersi in rapporto con gli altri Stati interessati per le reciproche comunicazioni di tutte le misure prese per dare effetto a tale dichiarazione.

Per parte sua il Governo italiano darà effetto a questa dichiarazione tosto che i Governi francese, inglese, portoghese, tedesco e dell'U.R.S.S. vi abbiano ugualmente aderito.

Poichè però nella proposta francese si parla anche di «ingerenza indiretta » senza specificare di che si tratta, il Governo italiano tiene a precisare che interpreta tale ingerenza «indiretta » nel senso che non sono ammissibili nei paesi aderenti all'accordo sottoscrizioni pubbliche o arruolamento di volontari per l'una o l'altra parte in conflitto. Il Governo italiano nell'accettare di aderire al non intervento «diretto», ha l'onore pertanto di mantenere le sue osservazioni per quanto concerne il non intervento «indiretto ». Inoltre poichè esistono in Europa altri importanti Stati produttori di armi oltre quelli a cui si riferisce il progetto francese, sembra essenziale al Governo italiano che l'impegno di « non intervento » sia assunto anche da questi stessi Stati.

782

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 3381/1185. Berlino, 21 agosto 1936 (per. il 24).

I progressi che la Germania compie nella sua penetrazione commerciale nei Balcani meritano tutta la nostra attenzione. Ho quindi incaricato il comm.

59 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. TV

Ricciardi di studiare la questione ed invio qui unito a V. E. il rapporto da lui preparato sullo stato della medesima (1). Egli conclude così:

«Italia e Germania sono gli Stati più interessati al mantenimento ed allo sviluppo delle buone relazioni commerciali con i Paesi del Bacino danubiano; ma sono concorrenti. Una lotta tra loro sarebbe dannosa per entrambi. un'intesa faciliterebbe la penetrazione di tutti e due ».

Ma, aggiungo io, dato il carattere ed i sistemi germanici, è possibile, e come, arrivare ad una intesa? Intanto più tempo passerà, maggiori saranno i vincoli che i Paesi danubiani saranno portati a contrarre con la Germania e minori saranno le possibilità di intesa con l'Italia. Occorre, quindi, agire presto anche per ragioni politiche cominciando -se mi si permette il suggerimento -dalla Jugoslavia, ove occorrerebbe riprendere il più rapidamente possibile le posizioni da noi tenute nel periodo presanzionista e nelle quali la Germania ci ha parzialmente sostituito. Questa ripresa potrebbe portarci ad un contrasto con la Germania. Non importa. Che anzi, è solo attraverso una minaccia di lotta che un'intesa con la Germania sarebbe più facilmente possibile.

Occorre quindi che da noi si segua la penetrazione tedesca in tutti i Paesi danubiani con la massima attenzione che si cerchi di copiarne i metodi, adattandoli ai nostri bisogni; che si faccia comprendere alla Germania che l'Italia non vuole veder stroncate le sue relazioni con i Paesi in questione da una troppo prepotente penetrazioi1:) tedesca. Dopo che si sia data una tale netta impressione, si potrà ricercare una base di intesa che, pur lasciando alla Germania una certa larghezza, consenta anche a noi giuste possibilità di esportazione industriale (2).

(l) Si veda il D. 672, la nota 3 di p. 738, la nota l di p. 750 e i DD. 697, 711, 738 e 748.

783

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2199/782. Varsavia, 21 agosto 1936 (per. il 24).

A proposito della recente visita a Varsavia del vice-presidente del Consiglio di Guerra francese, generale Gamelin (3), questo incaricato d'affari di Francia ha assicurato il consigliere della R. Ambasciata che nulla di preciso né di concreto è stato concertato in tale occasione nei riguardi di un aggiornamento della convenzione militare franco-polacca del 1921 e dell'accordo del 1926. Il signor Bressy ha affermato che eventuali sistemazioni di tali accordi nel quadro delle realtà attuali non potranno essere effettivamente adottate prima di conoscere i risultati delle prossime trattative a cinquE:, dato che -egli ha sottolineato -«il patto di Locarno è oramai a terra » e quindi, per aggiornare eventualmente convenzioni che ad esso si intonavano occorrerà vedere quale sarà l'accordo che verrà a sostituirlo (2).

(l) -Non pubblicato. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini. (3) -Vedi p. 793. nota 1.
784

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5242/1361. Berna, 21 agosto 1936 (per. il 23).

Continua l'agitazione socialista in favore del Fronte Popolare spagnuolo. Si sono tenuti comizi a Ginevra e a Zurigo, molto frequentati, dove si è affermata la piena solidarietà del proletariato svizzero con gli antifascisti spagnuoli e si è protestato violentemente contro la proclamazione di neutralità fatta dal governo federale. Per evitare un intervento della procura federale e approfittando di un pietoso comunicato di Berna, che autorizza le collette per la Spagna se fatte a scopo umanitario (feriti, prigionieri, orfani ecc.), a Ginevra e a Zurigo si continua a raccogliere danaro col pretesto che debba servire a lenire le sofferenze della guerra: ognuno sa dove andrà il danaro, ma si è trovato il modo di girare il divieto del governo federale circa le collette a vantaggio dei combattenti antifascisti spagnuoli. Molto entusiasmo non ci deve essere però nelle file socialcomuniste malgrado la grande affluenza ai comizi, perché a Ginevra dopo due settimane che battono i tamburi non hanno raccolto nemmeno diecimila franchi, e nella ricca Zurigo, dove un fattorino del tram guadagna da 500 a 600 franchi mensili) i quattromila intervenuti a uno dei comizi hanno offerto poco più di 800 franchi.

Una delle caratteristiche di questi comizi è che sono stati organizzati da socialisti e comunisti assieme e che in essi si è fatto molta propaganda per il fronte comune. Si vorrebbe dire che gli avvenimenti d1 Spagna hanno per conseguenza di avvicinare i comunisti ai socialisti o viceversa e di favorire i piani per la costituzione del fronte popolare. Ma per ora le cose non sono molto cambiate e la situazione è ancora quale ho avuto il pregio di riferire col mio telespresso d.d. 11 corrente n. 4972/1297 (1). Certo, le cronache degli avvenimenti e i commenti dànno materia, alla stampa sovversiva, per una campagna di estrema violenza contro il fascismo e contro il capitalismo, ed è poco probabile che tanta propaganda di odio non avveleni gli animi e non radicalizzi sempre più l'ala estrema del socialismo favorendo il comunismo e il frontismo. Però le notizie degli orrori della guerra civile fanno ancora impressione poco favorevole alle idee frontiste dei sovversivi nella borghesia di sinistra: si sono veduti giornali democratici dare vigorosi colpi di timone alla loro rotta e dopo avere anche troppo tempo tenuto un atteggiamento ostile ai nazionali, ora assumere una posizione opposta. Si sono convinti, dicono, che la democrazia è morta in Spagna chiunque sia vincitore e trovano quindi che se vi ha da essere dittatura è meglio che non sia comunista. L'opinione pubblica è molto eccitata e impressionata anche perché sono aumentati i suoi timori di un conflitto internazionale che potrebbe trascinare la Confederazione in un turbine. I giudizi che si sentono sono o ansiosi o pessimisti. Pesa sugli animi anche la paura che sui campi spagnuoli si decida la sorte della de

fl) Non rinvenuto.

mocraz1a europea, con ciò anche quella della Svizzera. Di più, i riflessi degli avvenimenti spagnuoli provano con tutta evidenza che non esiste più, a sostegno della neutralità politica, la neutralità spirituale. La stampa «borghese», preoccupata da ciò e forse ispirata dal Governo, nell'ultimo tempo affetta neutralità, ma l'opinione pubblica parteggia per l'uno o l'altro dei belligeranti. II pericolo generale che incombe sulla Svizzera si rende sempre più visibile: giacché era più facile protestare e difendere la neutralità quando ci si trovava dinanzi alla Germania, alla Francia, all'Italia e al conflitto dei loro interessi, ma ora ci si trova dinanzi al fascismo, al nazismo, al frontismo, al socialdemocratismo, al comunismo, cioé dinanzi a un terribile urto di ideologie, nel quale la neutralità degli animi è impossibile per un popolo d! cultura. Quanto succede a Ginevra, dove il partito socialista e il comunista si considerano già come una frazione del Fronte Popolare francese e ne seguono le direttive, dimostra poi che dalla mancanza di neutralità spirituale alla violazione pratica della neutralità politica il passo è breve e facile. Gli svizzeri vedono avvicinarsi tempi oscuri per la loro democrazia --già violata all'interno nella politica economica -e sono preoccupati sempre più per la loro neutralità (1).

785

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8273/1157 R. Londra, 22 agosto 1936, ore 0,55 (per. ore 5).

È impressione generale a Londra che avvenimenti. spagnuoli volgono in questo momento a vantaggio dei nazionalisti. Impressione è confermata non solo dalle notizie delle zone di guerra, ma dalla stessa Madrid. Si riconosce ormai che Governo spagnuolo è assolutamente incapace esercitare alcun controllo sulle proprie forze. Lotta potrà essere molto lunga, ma con esito, sembra, meno incerto.

Di fronte eventualità di una vittoria nazionalisti, laburisti hanno ripreso agitazione in favore intervento a favore Governo spagnuolo e stanno organizzando una serie di manifestazioni per premere sul Governo e opinione pubblica. È tuttavia da escludere che questa agitazione possa aver alcun serio effetto sul Governo, il quale è deciso mantenere un atteggiamento neutralità. Quanto alla opinione pubblica, queste manifestazioni laburiste suscitano tali reazioni che nell'insieme sono più dannose che vantaggiose a Madrid.

Va invece rafforzandosi corrente opinione pubblica che spinge Governo britannico a prendere iniziativa internazionale per arrestare stragi che banditi comunisti stanno compiendo. Foreign Office ha già fatto presente a questa ambasciata Spagna profonde ripercussioni che notizie massacri compiuti in

nome Governo Madrid hanno nella opinione pubblica britannica. È mia impressione che Foreign Office pensi prendere iniziativa di carattere generale rivolgendosi tanto a Madrid che a Burgos nella forma di appello alle due parti in contrasto. In questi ambienti politici si è parlato anche dell'invio di commissione internazionale per quello che gli inglesi chiamano umanizzazione della guerra civile.

A questa ambasciata di Spagna Foreign Office ha fatto anche presente carattere assolutamente arbitrario delle disposizioni del Governo di Madrid per il così detto blocco delle coste spagnuole, che Governo britannico non può in modo alcuno riconoscere (1).

(l) Il presente documento reca il visto di MussolinL

786

IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.s. 8296/418 R. Tangeri, 22 agosto 1936, ore 22 (per. ore 1,40 del 23).

Mi riferisco al mio telegramma n. 410 (2). Trascrivo qui appresso messaggio che generale Franco mi ha fatto pervenire per V. E. Esatto fabbisogno materiale da guerra è stato consegnato a Luccardi che l'ha subito trasmesso al ministero della Guerra (3).

« Al Ministro d'Italia in Tangeri,

Illustre Ministro ed Amico.

Prego V. E. voler far presente a S. E. il Capo del Governo d'Italia la riconoscenza del Popolo spagnuolo per la preziosa e valida assistenza ricevuta nella sua crociata anticomunista per la libertà della Patria.

Situazione militare è adesso migliorata considerevolmente per frequenti arrivi in !spagna dei reggimenti di Africa. L'occupazione militare di Merida e Badajoz e l'avanzata su Navalmoral de la Mata aprono più facilmente via su Madrid.

Gli aiuti portati da Francia e Russia agli elementi. sovversivi in materiali ed uomini -specialmente per quanto concerne l'aviazione -ritardano l'avanzata delle nostre truppe costrette a difendersi dagli attacchi aerei.

Questo prolungarsi delle operazioni, insieme all'aumento dei mezzi acquisiti dal nemico, ci obbliga necessariamente ad aumentare i. nostri mezzi ed a esporre a V.E. tali circostanze che le permettano di farsi un preciso giudizio sulle nostre necessità e sull'efficacia degli aiuti che abbiamo ricevuti in aeroplani e armamenti.

In nome Governo di Burgos prego V. E. voler trasmettere a S. M. il Re e a S. E. il Capo del Governo la più profonda testimonianza di riconoscenza e di simpatia mia e del Popolo spagnuolo verso i Rappresentanti del Popolo italiano. La saluta distintamente il suo devoto amico, Franco.

(l) -Vedi p. 763, nota l. (2) -Vedi D. 763. (3) -Vedi D. 775.
787

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI

T.R. 3893/244 R. Roma, 22 agosto 1936, ore 24.

Questo incaricato d'Affari tedesco ha chiesto verbalmente come doveva intendersi seconda parte della nota sul non intervento inviata a questa ambasciata di Francia (1), se cioè poteva ritenersi che Governo italiano si fosse già impegnato ove intervenissero anche gli impegni degli altri Governi indicati nella nota, oppure se impegno fosse subordinato alla accettazione delle due [condizioni] relative alle sottoscrizioni di danaro e all'invio di volontari.

Gli è stato risposto che il Governo italiano non si attendeva un atto « formale» di accettazione di queste condizioni ma si attendeva il «fatto» che gli altri Governi non permettessero, nè sottoscrizioni, nè reclutamento di volontari; in caso contrario Governo italiano avrebbe dovuto riesaminare suo atteggiamento.

788

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 3392/1192. Berlino, 22 agosto 1936 (per. il 24).

Questo ministero degli Affari Esteri mi fa conoscere, in via riservata, che, secondo informazioni pervenute da fonte sicura, il materiale da guerra fornito dalla Francia al Governo di Madrid viene dato a mezzo di Autorità messi cane.

Le forniture sono formalmente fatte al Governo messicano e lo sbarco avviene in porti spagnoli. Gli intermediari sono l'ambasciatore spagnuolo e quello messicano a Parigi, mentre a Madrid si occupano della cosa l'ambasciatore messicano ed un certo ing. Javier Cervantes che ne sarebbe intimo amico.

Da notizie avute dalla stessa fonte risulta che il 20 agosto sarebbero giunti all'aeroporto di Barajas ben 25 aerei di uso bellico con equipaggi francesi. A quanto si dice ciascuno di essi porterebbe sei mitragliatrici. Inoltre sullo stesso aeroporto e nella stessa giornata avrebbero atterrato un apparecchio da turismo francese, un trimotore Breguet-Wibauld, il quale sarebbe stato immediatamente camuffato coi colori spagnuoli. Altri e numerosi quadrimotori sarebbero atterrati su di un altro aeroporto spagnuolo. Assai forte sarebbe il movimento nel sopradetto aeroporto di Barajas. Da esso si inizierebbero ininterrotti voli sul fronte di Guadarrama con carichi di bombe di 100 Kg. ciascuno (2).

(l) -Vedi D. 781. (2) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
789

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6104/2040. Parigi, 22 agosto 1936 (1).

Qui acclusi, trasmetto a V. E., un ordine del giorno pubblicato da questa stampa, col quale la Conféderation Général du Travail rivendica il diritto di aiutare con tutti i mezzi i camerati spagnuoli ed un comunicato ugualmente comparso nella stampa di stamane, col quale la Presidenza del Consiglio rivendica il proprio dovere di non permettere atti contrari agli impegni di neutralità spontaneamente assunti dalla Francia (2).

Tali manifestazioni sembrano sottolineare il divario che comincia a concretizzarsi tra il Governo ufficiale della Francia e i partiti estremi che lo hanno portato al potere e sembrano lasciar prevedere che, completati gli accordi di non ingerenza, la controversia ricada dalla politica estera della Francia più particolarmente nel campo della politica interna francese.

Le pubblicazioni qui accluse stanno certamente a confermare gli atteggiamenti e le preoccupazioni del Governo Blum che anche questo ambasciatore germanico mi indicava e di cui ho riferito a V. E. con mio telegramma

n. 529 (3). Sarà ora da vedere se da una parte il Governo Blum avrà energia sufficiente per comprimere le mene degli estremisti o se gli estremisti più

o meno animati dalle direttive e dai consigli del Comintern potranno finire con l'imporre le loro volontà.

Ad 08ni modo si può fin da ora presumere che una volta stabilito l'impegno di non ingerenza della Francia la situazione interna francese possa subire delle scosse che accentueranno l'indebolimento dell'attuale compagine governativa.

790

IL CONSOLE GENERALE A TOLOSA, BERRI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8311/20 R. Tolosa, 23 agosto 1936, ore 12,40 (per. ore 15,10).

Parigi e Roma informate. Numero aeroplani forniti dalla Francia alla Spagna e passati da questi due aerodromi riassumensi così venerdì 7 corr. otto Devoitine 272, sabato seguente altri otto Devoitine stesso tipo, stesso giorno mattino due Potez 548 pomeriggio due Potez stesso tipo, sera altri due Potez infine un aeroplano stessa casa è partito mattino 9 corr.

Questi giorni non sono state segnalate partenze, però aerodromi sono frequentati da aviatori spagnoli che vi scendono per rifornirsi regolarmente con assistenza appositi incaricati.

(l) -Manca l'indicazione della data d'arrivo. (2) -Non pubblicati. (3) -Vedi D. 778.
791

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8407/078 R. Bled, 23 agosto 1936 (per. il 26).

In relazione alla richiesta francese di adesione alla dichiarazione di non ingerenza negli affari interni di Spagna questo presidente del Consiglio e ministro degli Esteri ha comunicato ieri sera al ministro di Francia che il Governo jugoslavo è pronto ad aderire alla dichiarazione stessa e conseguentemente a vietare l'esportazione e il transito di armi muni:t:ioni e materiale bellico a destinazione della Spagna sotto riserva però che ciò «non costituisca un precedente nè stabilisca un impegno che possa in avvenire mettere in discussione il principio generalmente riconosciuto secondo il quale un governo legale può, se lo richieda, ottenere l'appoggio di altri Stati in caso di insurrezione».

La riserva cautelare formulata dal Governo di Belgrado non ha bisogno di commenti (1).

792

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8347/137 R. Tokio, 24 agosto 1936, ore 8 (per. ore 22,30).

Il Giappone sembra passare per un periodo di malcontento e di turbamento. I suoi problemi politici, economici e militari non si vedono ancora avviati dal Gabinetto a soddisfacente soluzione mentre la Russia appare più forte e meno remissiva, l'Inghilterra dispone di nuovo di tutta la sua flotta e l'affermazione di Nanchino su Canton ha rafforzato Chiang Kai-shek. Tutto ciò mi pare spiegare i recenti articoli dei giornali giapponesi che accennano a utilità di intese con la Cina, l'Inghilterra e persino talvolta coi Sovieti, e in genere il contegno meno bellicoso di Tokio in questi ultimi tempi volto forse ad attenuare le altrui diffidenze ed a guadagnare tempo. Ad ogni modo, finché duri il presente stato delle cose e nessun nuovo fatto avvenga mi sembra si possa escludere si pensi qui ad iniziative che potrebbero avere conseguenze di carattere militare.

793

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.u. 8329/372 R. Berlino, 24 agosto 1936, ore 16,02 (per. ore 17,30).

Seguito mio telegramma n. 371 (2).

Direttore Affari Politici, nel consegnarmi la copia della lettera, mi ha detto che la decisione da parte tedesca di applicare senz'altro l'embargo era stata presa iersera direttamente dal Cancelliere Hitler. Con tale misura che sarà resa oggi pubblica mezzo di comunicato alla stampa, Germania intende dire la sua parola definitiva nella questione della neutralità per gli affari di Spagna. Il Governo del Reich, cioè, nel sopravanzare gli altri Paesi nell'applicazione pratica delle misure previste desidera mettersi in posizione inattaccabile ponendosi ora in osservazione contegno altrui. Mio interlocutore ha aggiunto di ritenere che Francia si limiterà ormai alla comunicazione delle risposte pervenute dai vari Governi senza proporre alcuno schema di accordo, apparendo questo del tutto superfluo data adesione formale e pratica degli Stati interpellati al principio della neutralità.

(l) -Il presente documento reca 11 visto di Mussolini. (2) -Con T. 8328/371 R. in pari data, ore 16,03, Magistrati aveva trasmesso 11 testo della lettera del ministro degli Esteri tedesco all'ambasciatore di Gran Bretagna alla quale si fa riferimento nel presente telegramma.
794

L'AMBASCIATORE A MADRID, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8423/269 R. Irun, 24 agosto 1936 (per. il 27).

Nella relazione scritta da questo addetto aeronautico trasmessa con questo stesso corriere con rapporto 2184/957 del 23 corr. (l) va segnalata la parte che si riferisce alla particolare situazione nella quale si trovano i volontari tradizionalisti che formano il fronte nazionale nella zona davanti ad Irun ed a San Sebastiano. Il signor Raffaele Olazabal (v. mio telegramma n.s. del 26 luglio trasmesso da Bordeaux col n. 16) (2) capo di queste truppe e che in un recentissimo viaggio a Roma ebbe un colloquio col capo Gabinetto ministro De Peppo (3) è venuto ieri sera non soltanto a confermarmi quanto espone l'addetto aeronautico ma a pregarmi di insistere presso il R. Governo intorno alla necessità di qualche rifornimento fatto direttamente ai tradizionalisti che sono quasi disarmati mentre i loro avversari ricevono ogni giorno dalla Francia abbondanti armi e munizioni. In questa guerra civile i tradizionalisti formano una specie di esercito volontario particolare che si approvvigiona per suo conto ed al quale gli altri nuclei degli insorti non danno materiali (che preferiscono utilizzare sui fronti verso Madrid) fidando nella ben nota tenacia e nel proverbiale coraggio delle genti di Navarra.

Accade così che tutti gli sforzi dei tradizionalisti per occupare la zona basca che va dalla frontiera francese a Bilbao sono riusciti vani e riusciranno vani perchè davanti ai forti, ai cannoni ed alle mitragliatrici delle truppe rosse essi non hanno che un fucile per uomo con qualche centinaio di cartuccie. La sproporzione cresce ogni giorno di più, sicchè gli sforzi valorosissimi dei volontari a nulla valgono davanti alla schiacciante superiorità degli avversari. Una tale situazione di cose non soltanto impedisce che si chiuda la porta spalancata nel nord verso la Francia dalla quale passano a getto continuo rifornimenti bellici ai rossi, ma minaccia di permettere a questi di prendere alla loro volta una iniziativa offensiva alle spalle dell'esercito che sta per tentare l'investimento di Madrid. I tradizionalisti invocano quindi dall'Italia che li ha sempre aiutati un aiuto diretto che dovrebbe essere di mitragliatrici (ne hanno soltanto qualcuna presa al nemico) di bombe a mano e di munizioni. Chiedono insomma soltanto le umili e povere armi della fanteria per poter reggere ed avanzare. Si pensi che questi volontari che dovevano essere seimila sono giunti alla cifra di trentamila e costituiscono all'infuori dell'esercito regolare le milizie più addestre e resistenti.

Nel trasmettere i desideri di questo importante settore degli insorti non posso dimenticare che se la vittoria arriderà alle forze nazionali i tradizionalisti saranno, coi falangisti, i più vicini a noi, al nostro spirito, alla nostra concezione politica nel travaglio costruttivo che attraverserà la Spagna di domani. Infatti, mentre tutte le forze che si sono ribellate al marxismo sono d'accordo nella opera negativa di distruggere il bolscevismo iberico, non hanno ancora alcun programma concreto per il giorno dopo della vittoria ed allora i contrasti saranno gravi e profondi. Sarà quindi molto opportuno avere un nucleo che abbia forza ed autorità nel far prevalere una Spagna spiritualmente accanto a noi ed a impedire che prevalgano altre concezioni democratiche che non mancheranno tra i vittoriosi. Un aiuto diretto ai tradizionalisti sarebbe per ciò opportunissimo. Nè posso dimenticare che sarebbe anche giusto ripagare così il contegno ammirevole, tenuto dai tradizionalisti durante il periodo delle sanzioni. Allora essi furono i più aperti e decisi nostri difensori, il loro giornale, il Siglo Futuro, pareva stampato a Roma invece che a Madrid, la loro azione fu costantemente romana. Essi meritano quindi da parte nostra ogni agevolazione.

Infine desidero rammentare che il settore contro il quale si battono i volontari di Navarra è quello del separatismo basco che la Francia sostiene non soltanto per aiutare la Spagna rossa, ma anche per ripetere in questo Golfo di Guascogna lo stesso programma che persegue in Catalogna, garantirsi cioè nel caso di vittoria nazionale una repubblica basca infeudata alla Francia che faccia il paio colla repubblica catalana.

Lasciare che questo settore resti nelle mani dei rossi alleati coi separatisti baschi vuoi dire facilitare il piano francese ai danni di una eventuale Spagna filo-italiana e filo-fascista.

795.

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 9621/967. Budapest, 24 agosto 1936 (per. il 25).

In questo ministero Affari Esteri non si mostra di dare eccessiva importanza alla visita del generale Gamelin a Varsavia (1), che viene considerata come naturale manifestazione di una direttiva cui la Polonia -più o meno apertamente -ha continuato ad ispirarsi anche dopo la definizione amichevole dei suoi rapporti con la Germania.

Secondo questi dirigenti l'attuale ripresa di contatti franco-polacchi anche se nella forma risente della francofilia del generalissimo Rydz-Smigly non potrà mai portare quello cui mirerebbe la politica francese, e cioè far entrare la Polonia nel sistema di accordi regionali in funzione anti-germanica. Più che alle frizioni con il Reich nella questione di Danzica, a Varsavia, si dà importanza in questo momento al ruolo che va acquistando la politica dei Soviet. Anche la situazione dei rapporti ceco-polacchi -che la Francia vorrebbe a tutti i costi migliorare specie dopo l'accordo austro-tedesco non sarebbe destinata a subire sostanziali mutamenti fin quando la Cecoslovacchia avrà obblighi di assistenza con l'URSS. Risulterebbe qui che in materia la posizione diplomatica della Polonia è in tutto analoga a quella del Reich, nel senso che tutti e due i Governi porrebbero come pregiudiziale di una definizione dei rapporti con Praga la revisione dei legami di questa con Mosca.

Piuttosto tranquilla sulla sostanziale stabilità dell'atteggiamento polacco verso la Cecoslovacchia e alquanto compiaciuta degli sforzi conciliativi della Polonia a Belgrado (mio telespresso n. 8540/867 del 23 luglio u.s.) (2), Budapest mostra di considerare con comprensione la ripresa di attività polacca verso la Francia e con serenità quella verso la Romania (risulterebbe qui che anche il capo di Stato Maggiore romeno si recherà prossimamente in visita a Varsavia).

Del resto qui si spera che Beck, accettando un vecchio invito di Goemboes, venga prossimamente in Ungheria per una partita di caccia.

796.

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 9641/973. Budapest, 24 agosto 1936 (per. il 25).

Mio telespresso 8725/880 del 20 luglio u.s. (3).

Facendo seguito al telespresso citato, onoromi trasmettere a V. E: qui allegato copia di un rapporto che il R. Addetto Militare ha indirizzato al R. Mi

nistero della Guerra e che contiene fra l'altro interessanti elementi di giudizio sulla visita del capo di Stato Maggiore della Honvéd al suo collega della Reichswehr.

Come è noto, il generale Somkuthy prenderà parte alle prossime grandi manovre dell'esercito italiano.

ALLEGATO

L'ADDETTO MILITARE A BUDAPEST, MATTIOLI,

AL MINISTERO DELLA GUERRA

R. 703. Budapest, 21 agosto 1936.

l) Ho conferito quest'oggi col Capo di S.M. della Honvéd ritornato ieri da Berlino.

Egli mi ha subito detto che era molto soddisfatto dei contatti avuti con lo Stato Maggiore tedesco e con Blomberg, e delle impressioni riportate circa lo sviluppo dei rapporti tra Italia e Germania. Ha soggiunto che, nei riguardi di tali rapporti, aveva da dire alla parte italiana qualche cosa di molto interessante, accennando vagamente che si trattava di una mediazione tra autorità militari tedesche ed italiane di cui si sarebbe occupato nella sua prossima visita in Italia.

Sempre nell'ambito di tali rapporti, ha fatto allusione ad un suo progetto di creare una nuova occasione (dopo quella delle grandi esercitazioni ungheresi dello scorso anno) per trovarsi insieme con S. E. Pariani e S. E. Beck, Capo dello S. M. tedesco; precisando che a tale scopo avrebbe insinuato presso quest'ultimo l'idea di far pervenire ai Capi degli Stati Maggiori italiano e ungherese un invito per le grandi manovre tedesche del prossimo anno.

Nei riguardi della preparazione militare tedesca, il Gen. Somkuthy ha messo in particolare rilievo il gran numero di caserme che attualmente si costruiscono in ogni angolo della Germania.

2) Ho chiesto cosa si pensava in Germania della vittoriosa conclusione dell'impresa etiopica da parte delle nostre armi. S. E. ha notato che lo Stato Maggiore tedesco inizialmente aveva ritenuto poco probabile un nostro successo, non tanto per le difficoltà in sé dell'impresa, quanto per l'opposizione britannica. A tale apprezzamento pessimistico nei nostri riguardi avrebbero contribuito non poco i rapporti sfavorevoli inviati dall'addetto militare tedesco a Roma, i quali avevano trovato maggior credito delle previsioni favorevoli fatte dalla parte ungherese e di cui, naturalmente, lo S. M. tedesco era informato.

A campagna finita le azioni itaHane sono naturalmente in notevole rialzo sulla borsa dei valori militari, mentre di altrettanto calano quelle dell'Impero britannico.

Poiché accennava a quest'ultimo, S. E. ha aggiunto che, per conto suo, certi sintomi -come lo scarso entusiasmo inglese ad arruolarsi nelle forze di terra (soddisfacente sarebbe, invece, il numero di inglesi che chiedono di servire in Marina ed in Aviazione) -erano segni eloquenti della crisi che attraversa l'Inghilterra in questo momento, e che potrebbero anche essere interpretati come un inizio di decadenza.

3) Sapendo che la recente visita del generale Gamelin a Varsavia è stata seguita con molta attenzione, se non pure con qualche preoccupazione, da questi ambienti militari, ho chiesto a S. E. cosa pensava dell'atteggiamento polacco. Egli ha detto che, per la sua particolare situazione, la Polonia non può attualmente pronunciarsi in modo deciso tra Germania e Francia, o meglio entente franco-russa. Qualora, però, dovesse realizzarsi il blocco italo-tedesco con i satelliti Austria e Ungheria -blocco che avrebbe, secondo lui, una sicura prevalenza su qualsiasi altro costituibile in Europa -la Polonia, a suo avviso, non mancherebbe di unirsi a quest'ultima, poiché sarebbero eliminati nei suoi riguardi certi pericoli che la fanno guardinga nell'attuale situazione.

4) Accennando alla prossima venuta in Ungheria di S. E. Pariani, il Gen. Somkuthy ha notato che, non sapendo la durata del soggiorno in Ungheria di S. E. il Sottocapo di S. M., prospettava l'eventualità <v. mio telegramma 695 del 21 c.m.) (l) che Egli,

oltre alla nota esercitazione di passaggio del Danubio, che si svolge dal pomeriggio del 3 al mattino del 5 settembre, assista -ove lo desideri -ad una esercitazione combinata tra truppe celeri e fanteria che avrà luogo nella zona di Hatvan (60 Km. circa a NE di Budapest) dal pomeriggio del 5 alle ore 12 del 6 settembre, alla quale, probabilmente, assisterà anche il Reggente (per altri dati vedi foglio annesso).

Il Gen. Somkuthy ha pure accennato ad un'eventuale visita da parte di S. E. Pari,ani: -alla Scuola di guerra, all'Accademia militare, alla Scuola di cavalleria di orkény: limitatamente alla parte impi,anti, essendo attualmente periodo di vacanza;

-ad alcuni impianti: es. lavori del nuovo ponte sul Danubio a Budapest e per l'allargamento di altro già esistente nella capitale (ponte Margherita); centrale termoelettrica di Banhida (linea ferroviaria Budapest-Vienna).

S. E. il Capo di Stato Maggiore ha, però, concluso che avrebbe avuto modo di stabilire un esatto programma al riguardo parlando personalmente con S. E. Pariani nella sua prossima visita in Italia.

(l) -Non pubblicato, ma vedi D. 773. (2) -Riferiva che il presidente della Giunta di Burgos, generale Cabanellas, gli aveva inviato l'esponente tradizionalista Rafael Olazabal per assicurare che le armi richieste a Roma sarebbero state regolarmente pagate e per contanti. (3) -Rafael Olazabal si era recato a Roma per chiedere l'invio di aiuti alle forze carliste ed aveva incontrato il capo di Gabinetto del generale Valle, colonnello Senzadenari e il capodi Gabinetto di Ciano, De Peppo, ai quali aveva anche sollecitato un maggiore appoggio politico ai carlisti (appunto De Peppo del 18 agosto con allegati contenenti le dichiarazioni di Olazabal e le sue considerazioni su la situazione spagnola. Su quest'ultimo documento c'è la seguente annotazione di De Peppo: <<Telefonato al colonnello Senzadenari. Olazàbal è uno scocciatore. 9-9-XIV >>). (l) -Vedi D. 721. (2) -Vedi D. 602. (3) -Non rinvenuto.

(l) Non pubblicato.

797

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3102/1645. Vienna, 24 agosto 1936 (per. il 25).

Mio telegramma 158 del 21 corrente (1).

La improvvisa venuta in Austria del Reggente Horthy, e sopratutto il predisposto suo incontro con Hitler, hanno sollevato viva curiosità nell'opinione pubblica austriaca, ed emozione negli ambienti diplomatici e giornalistici della Piccola Intesa. Ciò tanto più in quanto il progetto del viaggio era stato mantenuto nella più stretta riserva sino all'ultimo momento, ed in quanto, anche, sono palesi gli sforzi dei competenti organi austriaci per moderare e smorzare i commenti e le risonanze dell'avvenimento.

In un primo momento si sono sparse voci di incontro a tre (Hitler-HorthySchuschnigg) nel Salisburghese, tanto insistenti che la Cancelleria ha dovuto emanare un comunicato in cui senza riferirsi alle voci stesse, enuncia la attuale dislocazione, per dir così, di tutti i membri del gabinetto. In genere, si attribuisce in detti ambienti al viaggio del Reggente un carattere marcatamente anti piccolo-intesista, e lo si mette in special rapporto con le insistenti voci di dirette trattative ceco-germaniche, contro le quali si presta all'Ungheria addirittura la intenzione di reagire.

La voce, poi, improvvisamente sparsasi di una imminente visita del Reggente a S. E. il Capo del Governo, ha sollevato vivissime induzioni circa un eventuale rafforzamento dei vincoli italo-austro-ungaro-germanici ai fini della formazione di un blocco europeo fascista: e a tal proposito vengono sfruttati anche i recenti discorsi dei capi dei gruppi di opposizione ungherese relativi all'inserimento dell'Ungheria nel campo fascista, ove l'Europa dovesse definitivamente separarsi in due gruppi opposti.

I giornali del 21 u.s. hanno pubblicato il comunicato ufficiale ungherese

relativo alla partenza del Reggente, facendo seguire il comunicato stesso da note redazionali in cui viene dato il benvenuto al gradito ospite. Essi rilevano con compiacimento come sia questo il primo viaggio che il signor Horthy compie all'estero dal giorno della sua elezione avvenuta nel 1920: «questa sua visita all'Austria deve interpretarsi -scrivono i quotidiani -come una nuova prova delle relazioni di amicizia esistenti tra Austria ed Ungheria». Le pangermaniste Wiener Neueste Nachrichten rilevano che la visita costituisce un avvenimento che desterà dovunque la massima attenzione e che persino a Budapest l'opinione pubblica è rimasta molto sorpresa. Il Weltblatt nota che il Reggente ha considerato sempre la collaborazione amichevole con l'Austria uno dei suoi precipui compiti, ma che però la attuale visita non persegue scopi politici, poichè egli ha accettato soltanto un invito a caccia fattogli dal Governo austriaco.

Il giornale chiude il suo commento rilevando che le felici relazioni politiche ed economiche austro-ungheresi sono state, in certo modo, naturalmente complementate dagli accordi di Roma.

Onoromi, infine aggiungere, che la Neue Freie Presse ha pubblicato oggi nella sua edizione pomeridiana, una recisa smentita alle diverse congetture e combinazioni politiche che -specialmente in Francia -sarebbero state fatte intorno al viaggio in parola: l) presenza del Re di Bulgaria all'incontro HitlerHorthy; 2) costituzione di una alleanza del tipo della «triplice» ma con la partecipazione di parti della Piccola Intesa; 3) prossimo incontro del Duce col Reggente, in territorio austriaco, in occasione delle prossime manovre (che in realtà -scrive il giornale -quest'anno non avranno luogo).

Riferendosi a tali diverse congetture, il giornale così conclude: «Tutte queste voci non tengono conto del fatto che negli ultimi anni l'Austria ha manifestato ripetutamente la sua volontà di pace in tutte le direzioni, lasciando intendere che non ha in animo di subordinare la sua politica estera nè a mistiche determinate, nè ad ideologie di politica interna. Anche in occasione dell'accordo dell'll luglio è stato espressamente riaffermato che restano in pieno vigore i protocolli romani i quali contemplano anche l'adesione di nessuno» (1).

(l) Vedi D. 774.

798

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8356/1163 R. Londra, 25 agosto 1936, ore 1,40 (per. ore 5,15).

Domani si riunirà il Comitato di politica estera del Gabinetto per esaminare la situazione generale e in particolare problema del non intervento nella guerra civile spagnuola, il lavoro preparatorio per la conferenza delle cinque Potenze e la riforma della Società delle Nazioni. È fuori di dubbio che comitato approverà pienamente linea di condotta adottata dal Foreign Office di fronte guerra civile spagnuola. Agitazione laburista in favore di aiuti al Governo

di Madrid -per quanto da due o tre giorni abbia ripreso più attiva -non ha possibilità di influire sull'atteggiamento del Governo. E la massa della opinione pubblica è così contraria ad un intervento in Spagna che ogni idea di un indebolimento al rigido carattere di neutralità che il Governo britannico intende dare ai suoi atti è senz'altro da escludere.

Eden, che ho visto oggi, mi ha detto che egli considerava accordo di non intervento come virtualmente raggiunto, che, superate queste immediate difficoltà create dalle circostanze, si poteva riprendere il lavoro di preparazione della conferenza delle cinque Potenze. «Noi -egli mi ha detto -eravamo sopratutto preoccupati di preservare le possibilità di un accordo tra le cinque Potenze dai contraccolpi della crisi spagnuola, e questo non poteva farsi se non con un accordo di non intervento. Raggiunto questo accordo, vorremmo wocedere negli scambi di idee con l'Italia, la Francia, la Germania ed il Belgio. Naturalmente, ha soggiunto Eden, è ormai escluso che la conferenza si possa riunire prima dell'Assemblea della Società delle Nazioni e in queste condizioni è difficile per l'Assemblea affrontare in maniera sostanziale ed efficace problema della riforma che è connesso al problema dei patti regionali ed alla pratica soluzione della questione della sicurezza. Nè vogliamo poi in nessun modo pregiudicare a Ginevra la posizione di Stati che hanno un vitale interesse nei risultati della conferenza delle cinque Potenze ».

Nella riunione del comitato degli Affari Esteri di domani sarà come dicevo, esaminata tale questione. Da quanto Eden mi ha detto, ho avuto impressione che in seno al comitato, egli prospetti opportunità di favorire il rinvio della questione della riforma della Società delle Nazioni o, quanto meno, di limitare esame ad una discussione di carattere puramente preliminare ed accademico.

(l) Sic. Il presente documento reca il visto di Mussolini.

799

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, MARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8397/93 R. Santiago, 25 açosto 1936, ore 20,01 (per. ore 2,15 del 26).

Presidente Alessandri in via strettamente confidenziale mi ha comunicato che, da informazioni private ricevute dalla Spagna, gli risulta che da frontiera francese affluiscono giornalmente Barcellona treni carichi armi e munizioni ed equipaggiamenti. Mi ha nello stesso tempo assicurato che il signor Jouhaux si è recato ultimi giorni in Catalogna che fronte ribelle manca di denaro ed è costretto ricorrere collette private.

Alessandri, piuttosto pessimista nei riguardi della vittoria ribelli spagnuoli, confida che il Governo italiano farà ogni possibile sforzo aiutarli. Ha affermato che vittoria Governo significherebbe tale incoraggiamento per comunismo internazionale da risentirne gravi funeste ripercusisoni tutto Sud America, Cile compreso. Italia, madre latinità non potrebbe disinteressarsi sorte America Latina.

Riferisco quanto sopra titolo informativo.

800

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8385/375 R. Berlino, 25 agosto 1936, ore 20,10 (per. ore 22J.

Mio telegramma n. 372 (1).

Segretario di Stato Dieckhoff rettificando opinione direttore generale Affari Politici contenuta in ultimo capoverso del mio telegramma suindicato, mi ha detto che Germania resta in attesa di conoscere progetto testo accordo che verrà formulato in seguito adesione di tutti gli Stati interessati. Dieckhoff pensa che documento potrebbe eventualmente essere firmato da ambasciatore a Parigi.

Germania, che a somiglianza Inghilterra ha già ordinato embargo, si riserverebbe modificare tale misura se, tra alcuni giorni, non si fosse addivenuto stipulazione accordo.

801

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI

T. ss. 3920/123 R. Roma, 25 agosto 1936, ore 24.

Redazione e invio nota italiana (2) hanno risposto essenzialmente al de.siderio di evitare di prestarsi al giuoco francese e inglese che tendeva evidentemente a far cadere su di noi la responsabilità delle ripercussioni che nella Spagna e in Europa avrebbe potuto avere la mancata conclusione di un accordo. Con la nostra nota abbiamo inteso metterei formalmente in una posizione inattaccabile. Quanto alle due condizioni relative alle sottoscrizioni in denaro e all'invio di uomini noi non attendiamo un atto di accettazione, ma attendiamo «di fatto» gli altri Governi vi si attengano altrimenti riesamineremo la nostra posizione.

Quanto precede per sua informazione e perchè se Ella ne avrà modo possa farlo sapere opportunamente a Franco.

802

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA S.D.N., PILOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8434/376 R. Ginevra, 25 agosto 1936 (per. il 27).

A proposito della recente visita del generale Gamelin (3), questa delegazione permanente di Polonia mi assicura che: l) la visita non potrebbe, in nessun modo, essere interpretata come un mutamento di rotta della politica polacca nei riguardi della Germania;

2) il generale Gamelin si sarebbe fatto interprete a Varsavia del proposito dello Stato Maggiore francese di giungere ad un riavvicinamento franco-tedesco, attraverso un miglioramento delle relazioni franco-polacche, che dovrebbe segnare un primo passo su quella strada;

3) il generale Gamelin avrebbe lasciato intendere che le sfere militari francesi hanno limitata fiducia nella efficienza e preparazione dell'esercito sovietico, sulla cui collaborazione in caso di bisogno, farebbero per conseguenza, scarso assegnamento;

4) il Governo polacco considera, comunque, ancora prematuro dare un giudizio preciso sulla sincerità di tali propositi, i quali potrebbero semplicemente rappresentare uno sforzo da parte francese, per cercare di allentare i rapporti tedesco-polacchi.

Utili indicazioni al riguardo sarà possibile trarre in occasione della prossima visita, a Parigi, dell'ispettore generale dell'esercito polacco.

803.

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. POSTA 3229/117. Bled, 25 agosto 1936 (per. il 27).

Mi onoro riferire che il viaggio dell'ammiraglio Horthy (l) è sempre oggetto della massima attenzione da parte di tutta la stampa jugoslava. La Pravda fa rilevare che il convegno Horthy-Hitler ha causato viva sensazione nei circoli politici austriaci. Si ritiene che tale viaggio segni l'inizio di una nuova era nei rapporti fra Austria, Ungheria, Germania ed Italia. Il soggiorno di Balbo in Austria viene messo in relazione al viaggio di Horthv.

L'Jutarnji List annuncia che Horthy s'incontrerà anche con Mussolini. Non si tratta di una semplice visita di cortesia e l'oggetto principale delle conversazioni sarà il pericolo comunista.

Anche le Novosti fanno rilevare che è imminente una nuova era nelle relazioni fra la Germania, l'Austria, l'Italia e l'Ungheria.

804.

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RR. PER CORRIERE 8464/S.N.R. Parigi, 26 agosto 1936 (per. il 28).

Mio telegramma per corriere n. 0225 del 22 corrente (2) e telespresso ministeriale n. 228336/C del 21 agosto u.s. (3).

60 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

Questo incaricato d'affari di Ungheria ha ora ricevuto dal suo Governo notizie dettagliate circa il passo compiuto ad Ankara da quel ministro di Ungheria a proposito del progettato patto franco-turco (1).

Il Governo di Budapest ha fatto dichiarare a Rtistti Aras che se nel progettato accordo fossero inclusi obblighi per la Turchia che possano interessare «una qualsiasi delle frontiere ungheresi », il Governo ungherese considererebbe la conclusione dell'accordo come «un atto poco amichevole, in quanto con esso verrebbe a sparire la base su cui è fondata l'amicizia ungaro-turca ». Il passo di cui trattasi fu compiuto il lo agosto u.s.

Aras ha risposto al ministro di Ungheria che la questione praticamente non si poneva, dato che nel suo pensiero il progettato patto non dovrebbe, se mai, estendersi oltre il quadro di un'impegno bilaterale tra Francia e Turchia. Se dovesse estendersi oltre questo quadro, la Turchia non dimenticherebbe i suoi precedenti accordi, e sicuramente non stringerebbe un patto contrario agli impegni già assunti, in particolare verso l'Ungheria. Aras ha soggiunto al ministro di Ungheria che egli non prenderebbe alcuna iniziativa nei riguardi del progettato Patto, ma la lascerebbe prendere ad altri, pur ammettendo che se premuto dalla Francia o da altro Paese (leggi URSS) difficilmente potrebbe sottrarvisi.

Avrebbe inoltre aggiunto, passando ad argomenti più generali, che se fra la Germania e l'Italia si stipulasse un patto di alleanza fuori del quadro di Locarno, egli in tal caso lascerebbe cadere nettamente la politica amichevole finora seguita verso i due predetti Stati e passerebbe senza riserve nel campo franco-russo. In via strettissimamente confidenziale e personale, questo incaricato di affari di Ungheria mi riferiva altresì come commenti del ministro di Ungheria in Ankara che dal linguaggio di Aras sembrerebbe risultare una certa perplessità ed esitazione da parte della Turchia, la quale non discernerebbe un proprio interesse diretto nel progettato accordo e temerebbe di compromettere la propria libertà di movimento e le proprie relazioni internazionali verso altri Stati, specie verso la Germania, che per essa rappresenta fra l'altro un importantissimo mercato.

La Turchia, pertanto, cercherebbe di assicurarsi contropartite di interesse tangibile, e cercherebbe sopratutto di innestare l'accordo in un più largo sistema mediterraneo. Ciò sembrerebbe confermato da quanto l'incaricato di Francia ad Ankara avrebbe detto colà ad un collega della legazione di Ungheria, e cioè che una delle condizioni poste dalla Turchia alla Francia per accedere al patto franco-russo fosse la conclusione di un patto mediterraneo. La Francia avrebbe perciò saggiato su questo argomento le disposizioni del Governo di Londra, che si sarebbe peraltro sottratto alla richiesta francese.

Le suesposte informazioni confidenzialissime sembrano contrastare con le denegazioni finora opposte dal Quai d'Orsay sia al R. Ambasciatore in questa sede (telegramma per corriere di questa R. Ambasciata n. 0167 del 3 luglio u.s.) (2), sia più recentemente a me (mio telegramma per corriere n. 0225 del 22 corrente).

Tuttavia non è forse senza interesse di rilevare che nell'esposizione fattami dal signor Bargeton, questi mi accennava all'eventualità di un inquadramento di un patto franco-turco in un accordo collettivo per l'Europa sud Orientale. Non so se questa espressione debba ritenersi faccia riscontro a quei più ampi accordi mediterranei di cui avrebbe parlato l'incaricato di Francia in Ankara.

Tengo comunque a confermare che il Quai d'Orsay ha sempre voluto dare l'impressione che sia se mai da parte turca e non da parte francese che si preme per una presa in considerazione dell'accordo.

(l) -Vedi D. 793. (2) -E' la nota italiana di adesione al non intervento in Spagna, vedi D. 781. (3) -Vedi D. 721. (l) -Vedi p. 852, nota l. (2) -Con T. per corriere 8324/0225 R. Talamo aveva riferito, tra l'altro, che l'incaricato d'affari di Ungheria a Parigi non aveva avuto ancora notizia di una presa di posizione del suo Governo rispetto a un eventuale patto franco-turco. (3) -Non rinvenuto. (l) -Del P.asso ungherese ad Ankara fu data comunicazione al Governo Italiano da partedell'Incaricato d'affari d'Ungheria a Roma Il 31 agosto (appunto d! Guarnaschelll In pari data). (2) -Vedi D. 434.
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IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI

ISTRUZIONI (1).

Esprima al generale Metaxas la mia personale simpatia e gli dica che le prime decisioni della sua dittatura di carattere sociale sono molto opportune. Gli consigli l. di organizzare un partito unico di governo; 2. di creare una organizzazione unica della gioventù ellenica; 3. di creare il sindacato unico dei datori di lavoro e dei lavoratori, riconosciuto dalla legge e il cui contratto collettivo di lavoro ha valore di legge; 4. di creare il dopolavoro sul modello italiano.

806

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3449/1206. Berlino, 26 agosto 1936 (per. il 28).

Nelle ore serali di lunedì 24 agosto è stata promulgata da Berchtesgaden, residenza estiva bavarese del Ftihrer, la nuova legge militare tedesca che stabilisce l'obbligo del servizio per due anni in tutte le Forze Armate del Reich: Esercito, Marina, Aviazione.

Il decreto, che porta la firma del Cancelliere Hitler e del ministro della Guerra, maresciallo von Blomberg, è giunto per la massa del pubblico, tedesco e straniero, del tutto inaspettato per quanto da alcuni giorni si facessero più insistenti le voci relative alla possibilità che la violenta campagna di stampa condotta in Germania, nella scorsa settimana, per denunziare gli armamenti sovietici, finisse per prendere forma concreta in qualche misura protettiva governativa.

Occorre dire che anche questa volta il metodo tedesco adottato per promulgare le più importanti e decisive misure di politica interna o estera è stato rigidamente seguito. Ciò vuol dire che il Fiihrer ha in questo campo adottato un proprio e deciso modo di agire che sembra aver dato, almeno fino ad oggi, il migliore dei risultati.

La linea di azione è sempre quella: breve e violenta campagna di stampa, gesto improvviso di pacifismo e di collaborazione, promulgazione altrettanto improvvisa della misura prevista.

Ricordiamo:

l) Marzo 1935: scatenamento della campagna per la Gleichberechtigung, riarmo della Germania, offerta immediata a Simon di disarmo assoluto nel caso di adesione generale;

2) Marzo 1936: campagna violentissima contro il patto franco-russo, rioccupazione militare della Renania, piano di pace di Hitler con offerta di un ritorno della Germania a Ginevra.

3) Agosto 1936: denunzia del tentativo russo di bolscevizzare l'Europa approfittando degli affari di Spagna, proclamazione del servizio militare di due anni, adesione completa e si può dire senza riserve al piano francese di neutralità nei confronti della Spagna.

Ancora una volta il mondo si trova così di fronte al «fatto compiuto » tedesco.

Quali le conseguenze pratiche? Con la legge del 21 maggio 1935 che ha fatto seguito alla dichiarazione di riarmo del 16 marzo 1935 le forze dell'esercito tedesco con il servizio militare obbligatorio di un anno e sul piede di pace di 36 Divisioni, potevano essere calcolate in circa 600.000 uomini. Con l'attuale legge l'Esercito dovrebbe raggiungere, tenendo conto dei permanenti, la cifra di l milione di uomini. Ma, come giustamente mi fa osservare il nostro

R. addetto militare, non è prevedibile che questo sviluppo così imponente sia immediato. La nota scarsezza infatti di quadri e la non ancora completa dotazione di materiali per l'attuale organizzazione non possono consentire un improvviso e tanto notevole allargamento dell'attuale intelaiatura.

E, per quanto (come può testimoniare chiunque oggi attraversi in ferrovia od in automobile la Germania) i lavori per la costruzione, ovunque, di grandi caserme procedano alacremente, non è assolutamente concepibile che, d'improvviso, possano trovare conveniente alloggiamento altri 400.000 uomini. Mi si dice, in proposito, che ancora oggi le truppe dislocate in Renania si trovano, m tale campo, in molto cattive condizioni.

Viceversa ripercussioni molto vicine si possono avere sul valore qualitativo dell'esercito e sulla sua attitudine ad un pronto impiego. Ed è bene in proposito ricordare che i due punti fondamentali dello Stato Maggiore tedesco sono: esercito di manovra di altissima qualità e durata della mobilitazione ridotta al minimo.

Praticamente quindi, per quanto sia già stato promulgato l'ordine di permanenza sotto le armi della classe 1914 che era già prossima al congedo, non si prevede, secondo quanto anche è stato dichiarato dal Ministero della Guerra, al nostro R. addetto militare, un ampliamento immediato del quadro dell'organizzazione generale dell'Esercito germanico.

Si capisce qui infatti troppo bene, data la grande ed illustre tradizione militare del Paese, che gli ufficiali non possono essere improvvisati e che occorre in tale campo dare tempo al tempo.

Per la Marina che, come le altre Forze Armate, aveva un servizio obbligatorio per la durata di un anno, il servizio a bordo delle navi in armamento era fino ad oggi assicurato da volontari a lunga ferma, perché i militari della leva di un anno, assai breve per le esigenze militari marittime, disimpegnavano i soli servizi della marina a terra.

La nuova legge quindi consentirà alla marina di avere sulle navi equipaggi misti formati cioè di volontari e di militari di leva. Conseguenza diretta sarà la possibilità, come ben mi fa osservare il nostro

R. addetto navale, di aver disponibile il personale indispensabile per armare le nuove unità prossime ad entrare in servizio.

D'altro canto la permanenza di due anni permetterà anche nella Marina, un miglioramento qualitativo delle riserve di leva e quindi la creazione di personale di leva maggiormente istruito ed atto al servizio di bordo.

Per l'Aviazione i risultati della nuova legge non saranno altrettanto sensibili perché, data la grande tecnicità dell'impiego di tale arma, già oggi tutto il personale di volo e specializzato è formato naturalmente da ufficiali, sottufficiali in servizio attivo o volontari a lunga ferma, limitandosi gli effettivi di leva a poche migliaia di uomini destinati ai servizi di guardia, di trasporto, etc.

Conviene ora osservare tutta l'importanza del fatto politico costituito dalla promulgazione della nuova legge.

Esso è sorto in un'atmosfera indubbiamente favorevole perché il popolo tedesco accettasse questo non lieve sacrificio, personale e finanziario, con animo leggero e quasi con soddisfazione.

Da una parte l'abile propaganda, fatta durante tutto il periodo delle Olimpiadi, che ha posto in luce evidente dinanzi al pubblico tedesco lo spirito pacifico di un Paese capace di organizzare la più grande dimostrazione di fratellanza internazionale sportiva e al tempo stesso l'oscuro tentativo moscovita di approfittare della guerra civile spagnuola per solidificare la sua azione distruttrice in Europa.

Dall'altra la sensazione, che va effettivamente facendosi strada in tutte le classi sociali della Germania, che ormai ci si avvii in Europa ad una stretta di freni per la quale i due campi dell'ordine fascista e nazionalsocialista e del disordine bolscevico si vadano così precisamente definendo da rendere inevitabile una partita a mano armata.

Politicamente forse ha concorso anche all'importante misura militare quel certo sbandamento che può essere stato rilevato nel recente contegno della vicina Polonia, al momento della visita del Generale Gamelin a Varsavia. La rievocazione di antiche alleanze militari franco-polacche, dichiarate tuttora ìn vigore, deve aver concorso qui ad aprire gli occhi sulla situazione della frontiera orientale e sulla possibilità che il nuovo alleato polacco possa cedere a

nuove lusinghe da parte degli avversari della Germania e non costituire più un sicuro baluardo nei confronti della Russia.

Le spiegazioni ufficiali fornitemi dal Segretario di Stato Dieckhoff, immediatamente dopo la promulgazione della legge, sono esattamente quelle che hanno poi inspirato tutti i numerosi articoli di commento della stampa tedesca.

Gli argomenti principali sono noti e basterà riassumerli: l'aumento imponente dell'esercito sovietico, la tensione politica antitedesca delle sinistre francesi, l'esistenza in taluni Paesi importanti d'Europa, a cominciare dalla Francia, della ferma dei due anni, le conseguenze pratiche, sulla leva, delle « années creuses », la necessità di avere soldati tecnicamente addestrati all'uso delle complicate armi moderne, etc. etc.

La formula con la quale la legge è stata bandita si riassume così: «Per l'onore della Nazione e a servizio della Pace».

Quali le reazioni esterne? Dieckoff, sorridendo, mi raccontava che a Parigi la reazione alla misura tedesca, giunta come una bomba, era stata divertentissima perché tutti i giornali avevano già pubblicato o tenevano pronti per la pubblicazione articoli di lode e di osanna nei confronti della Germania per l'annuncio dell'adesione tedesca alla tesi di neutralità nella questione spagnuola... E, immediatamente dopo, tutte le redazioni affaticate per scrivere nuovi articoli sul cosidetto nuovo «colpo di testa» tedesco nel campo degli armamenti!

E l'Inghilterra? La notizia è giunta a Londra nella tarda sera del 24, troppo tardi per essere pubblicata da taluni giornali del pomeriggio, in modo che alcuni di essi, nella mattina del 25, hanno portato in prima pagina e parallelamente le due notizie atte ad avere tanta differente reazione sullo spirito pacifista e puritano dei seguaci dell'arcivescovo da Canterbury!

In Germania calma e fiducia assoluta. Il ministero degli Affari Esteri ed il ministero della Guerra mostrano di essere assolutamente ottimisti. Il Ftihrer non si è mosso da Berchtesgaden, Goring è sempre in congedo, Goebbels si prepara a partire per Venezia per assistere alle pacifiche visioni della Mostra internazionale d'arte cinematografica... (1).

(l) Autografo d1 Mussol1n1. Il documento con cui furono Inviate queste 1struz1on1 non è stato ritrovato e non è quindi accertabile la data esatta in cui esse furono trasmesse al ministro Boscarelll. Quest"ultimo ne riferì al generale Metaxas 11 28 agosto (vedi D. 817), per cui 11 messaggio d1 Mussolini si situa nel giorni immediatamente precedenti.

807

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2239/798. Varsavia, 26 agosto 1936 (per. il 31).

La notizia dell'introduzione del servizio militare di due anni in Germania è stata accolta con vivissimo interesse in Polonia ove la stampa di opposizione non ha mancato di esprimere inquietudini di fronte al nuovo provvedimento del Governo nazista. Goniec Warszawski, organo dei giovani nazionalisti, ha negato ogni valore al pretesto invocato da Berlino di una aggravata minaccia sovietica, sottolineando che la spinta tedesca si è intensificata in tutte le direzioni. E' chiaro

-ha affermato questo giornale -che la Germania fa appello alle proprie forze militari per appoggiare l'azione della sua diplomazia. Lo stesso giornale rileva poi come sintomatico il fatto che il decreto che stabilisce il servizio militare di due anni in Germania sopravviene all'indomani della visita del Generale Gamelin a Varsavia ed alla vigilia del viaggio del Generale RydzSmigly a Parigi: al momento cioè in cui una più stretta collaborazione si annota tra Francia e Polonia. «Noi non vogliamo credere -osserva il Goniec Warszawski -che questa rinascita dell'amicizia franco-polacca abbia inquietato la Germania. Il decreto del Cancelliere Hitler è tuttavia significativo per noi altrettanto quanto per i nostri amici francesi ».

Le c::onsiderazioni esposte dall'organo dei giovani nazionalisti non trovano peraltro alcuna concordanza con quella che è in generale l'opinione di questi ambienti diplomatici in seguito alla visita a Varsavia del Vice-Presidente del Consiglio di Guerra francese. È infatti qui ripetuto -particolarmente da questa ambasciata di Germania -doversi ritenere che nessuna modifica è da prevedersi possa essere, almeno per ora, apportata all'indirizzo della politica estera polacca (l).

(l) Il presente documento reca !l visto di Mussol!n!.

808

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8420/1165 R. Londra, 27 agosto 1936, ore 2,15 (per. ore 6).

Ho trasmesso a V. E. commenti coi quali stampa inglese ha accolto notizia decreto tedesco sulla coscrizione. Tutti i giornali hanno espressioni di rammarico per questa nuova iniziativa di Hitler e giudicano carattere politico con ripercussione che esso potrebbe avere in Europa. Ma, nell'insieme, loro linguaggio è moderato.

In realtà in questi circoli politici misure militari tedesche annunziate ieri erano attese. Pareva chiaro che Hitler, come aveva approfittato della crisi abissina per occupare Renania, avrebbe approfittato della crisi spagnuola per fare un nuovo passo sulla via della potenza crescente militare della Germania. Tutto ciò è ormai conosciuto in Inghilterra. Ne è prova assoluta tranquillità del mercato finanziario che ieri e stamane si è mantenuto fermissimo e il War Loan che è il titolo più sensibile agli avvenimenti politici è anzi leggermente salito.

Non è il pericolo di una guerra quello che oggi si avverte di più a Londra, ma il pericolo sempre più vicino di una grave crisi sociale in Francia che è convincimento generale avvenimento Spagna abbiano affrettato.

Agitazione laburista in favore aiuto al Governo spagnuolo si è andata calmando. Vari dirigenti delle varie organizzazioni laburiste, dopo molte riunioni e consultazioni, non sono riusciti come di consueto a mettersi di accordo sopra una linea di condotta e tutto quello che hanno cercato è di inviare un'altra com

missione da Eden. Ma questa volta non è più per protestare contro la neutralità, ma per chiedere che Inghilterra si adoperi a che la neutralità sia rispettata da Italia, Germania e Portogallo. A questo non è da attribuire -come già ho telegrafato -alcuna importanza.

Governo britannico non sta studiando che una possibilità e cioè la maniera di dare eventualmente effettiva pratica alla idea di un intervento diplomatico per far cessare atrocità che bande comuniste continuano a commettere contro i prigionieri civili ed ostaggi.

(l) Il presente documento reca 11 visto di Mussolinl.

809

IL MINISTRO A LISBONA, TUOZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8431/71 R. Lisbona, 27 agosto 1936, ore 13,15 (per. ore 14,15).

Giornali stamane pubblicano decreto che proibisce esportazione riesportazione transito armi e munizioni dirette Spagna (1). Decreto specifica chiaramente divieto verrà osservato in quanto sarà applicato dai Governi tedesco, britannico, russo, francese ed italiano, e verrà immediatamente sospeso se in alcuni Paesi verrà permesso arruolamento volontari anche in forma indiretta

o aperte sottoscrizioni per la continuazione della guerra civile spagnuola. Contemporaneamente Governo ha fatto pubblicare nota rimessa a questo ambasciatore d'Inghilterra e a questo ministro Francia (2), in cui adesione Portogallo accordo non intervento viene ancora meglio precisata e circondata da numerose riserve. Fra queste, molto significative, quella di difendersi contro qualsiasi regime di sovvertimento sociale che si stabilisca in Spagna. Inoltre si riserva Governo portoghese dirit.to di riconoscere qualità belligerante a qualsiasi delle due parti in lotta o anche un nuovo Governo e conseguentemente modificare sue rappresentanze diplomatiche, nonchè diritto di mantenere relazioni con le autorità locali spagnuole esercitanti di diritto o di fatto governo sul Paese. Spedisco domani per corriere testo nota.

Nonostante consigli e pressioni ambasciatore d'Inghilterra che cerca calmare gli animi, questo Governo e tutte le forze spiegate partito dittatura vanno accentuando atteggiamento ostile al Governo Madrid, tanto più che qui si ha ferma fiducia vittoria nazionalisti (3).

810

IL CONSOLE A RABAT, ZAPPOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8451/127 R. Rabat, 27 agosto 1936, ore 15,30 (per. ore 20,30).

Giorni scorsi il Gran Visir El Mockry, dopo aver avuto colloquio a parte a Parigi col ministro Affari Esteri francese, si è recato a Londra dove sarebbe stato

ricevuto Foreign Office. In questi circoli si è detto che egli andava Londra per affari privati. Senonché egli, di salute cagionevole, dopo essere stato Londra e prima di recarsi Vichy ha nuovamente conferito ministro Affari Esteri frances!>. I colloqui con Delbos, messi in relazione al viaggio Londra, fanno supporre che questo non sia stato fatto per affari privati come qui si vorrebbe far credere, ma per motivi ben diversi sui quali gettano un poco di luce le rivelazioni trapelate, a quanto mi risulta, dagli ambienti del Maghzen, e sui quali a titolo informativo mi pregio riferire.

In seguito alla situazione creatasi nel Marocco spagnuolo, che non è più di fatto sotto la protezione del Governo spagnuolo il quale non è in grado di ristabilirvi lo stato normale delle cose conforme ai trattati vigenti, anche i francesi avrebbero indotto il Sultano a protestare presso Governo francese e presso Governo inglese contro l'invio di marocchini in Spagna da parte del generale Franco ed a sollecitare nello stesso tempo misure gravi per la difesa dell'Impero sceriffiano. Sembrerebbe pertanto che il Gran Visir sia stato incaricato di esaminare coi Governi di Parigi e Londra la possibilità di un intervento, apparentemente voluto dal Sultano, della Francia e dell'Inghilterra nella zona spagnola e internazionale allo scopo prevenire eventuale intervento di altre Nazioni. Si tratterebbe di togliere al generale Franco quello che è la sua... (l) e la sua riserva di uomini. I movimenti truppe e di materiale da guerra da me segnalati sarebbero in funzione di tali trattative. Attualmente trovasi in Francia anche il Pascià di Marrakech di cui al mio rapporto n. 832 del 9 corrente (2).

Intanto, mi viene segnalata l'attiva propaganda fatta nelle regioni di frontiere fra le zone francese e spagnuola fra gli arabi onde dissuaderli riconoscere Franco e convincerli considerare come solo Governo legale quello di Madrid: propaganda che non è riuscita finora a fare presa, poichè gli arabi, profondamente religiosi, non sono insensibili alla distruzione dei luoghi religiosi anche se appartengono ad altre religioni e avversano l'ateismo sotto qualsiasi forma si presenti.

(l) -Vedi D P, vol. III, D. 231. (2) -Vedi ibid., D. 233. (3) -Il presente documento reca il visto di Mussolini.
811

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8522/097 R. Vienna, 27 agosto 1936 (per. il 29).

Al Ballplatz si insiste nel voler diminuire ogni contenuto politico nel viaggio del Reggente d'Ungheria (3). Si mette anzi in rilievo che la conversazione con Hitler non è durata più di mezz'ora e che ogni informazione pervenuta a Vienna concorderebbe nell'escludere che essa abbia condotto a delle sorprese.

Il direttore degli Affari Politici mi ha detto a tale proposito che non è facile calmare i sospetti della Piccola Intesa e sopratutto le apprensioni ceco

slovacche, malgrado che da parte austriaca si faccia di tutto a tale scopo (persino vietando che le tre bandiere austriaca, tedesca ed ungherese figurino insieme ad una cerimonia, cui erano state invitate rappresentanze dei Paesi exalleati, di inaugurazione di un monumento ai caduti della cittadina di Marchegg, perché tale Paese è situato nella immediata vicinanza della frontiera con la Cecoslovacchia). Nuovo motivo di sospetto ha persino destato, negli ambienti piccolo intesisti, la notizia che i due sanitari austriaci che hanno visitato il generale Gombos avrebbero consigliato una permanenza di qualche settimana in un «sanatorio estero », che si teme sarebbe austriaco o italiano.

Del resto il signor Hornbostel mi ha aggiunto che le preoccupazioni, in genere, di Praga aumentano di giorno in giorno, e che di ciò ne è prova anche il crescente desiderio di giungere ad un patto diretto con Berlino, circa il quale, peraltro, le notizie sinora pervenute al Ballplatz non permettono di affermare che abbiano avuto inizio vere e proprie conversazioni. Consterebbe però al Ballplatz -e tanto per notizia -che a Berlino il signor Vansittart (l) avrebbe ripetutamente speso buone parole per un auspicato riavvicinamento ceco-germanico, e che ne sarebbe ripartito recando seco una favorevole impressione, sia perché ad un ricevimento in suo onore Hitler «avrebbe molto opportunamente invitato anche il rappresentante cecoslovacco », sia perché da parte germanica gli sarebbero state fatte promesse di moderazione in merito ai rapporti fra i dirigenti del partito nazista ed il partito di Henlein. D'altro canto al Ballplatz consterebbe anche che il generale Gamelin, nel corso della sua visita a Varsavia (2), avrebbe consegnato un promemoria riassumente il punto di vista nonchè varie e pressanti raccomandazioni francesi in merito alle relazioni ceco-polacche; ma che però tale intervento del capo dello Stato Maggiore francese avrebbe trovato negli ambienti polacchi tutt'altro che buona accoglienza

(l) -Nota dell'Ufficio Cifra: «Manca >>. (2) -Non pubblicato. (3) -Vedi D. 774.
812

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI

L.P. 10968. Roma, 27 agosto 1936.

Ho letto con interesse il Suo rapporto del 7 agosto n. 1632/732 (3) nel quale, premesso un largo riassunto storico dei nostri più recenti rapporti con la Turchia, Ella espone alcune considerazioni sull'atteggiamento turco verso l'Italia per rapporto alla posizione dei due Stati nel Mediterraneo ed in relazione alla funzione che la Turchia assegna all'Inghilterra nei suoi rapporti verso l'Italia.

Condivido il Suo avviso che ogni ulteriore sviluppo dei rapporti itala-turchi non appaia destinato ad avere altro che un significato ed una portata limitati e temporanei: almeno nelle presenti circostanze. Con tutto ciò considerazioni di politica generale e più specialmente mediterranea consigliano di non trascurare

nei riguardi di codesto Paese -e pur colla dovuta misura e gradualità niente di quanto ad un cosiffatto sviluppo e miglioramento di rapporti, possa appunto condurre. Se non sia possibile di far sparire i timori che esistono nei riguardi dell'Italia, converrà adoperarsi acchè l'atmosfera di sfiducia e le preoccupazioni esistenti si attenuino, a che, in mancanza di rapporti di fiduciosa amicizia, si stabiliscano rapporti di buon vicinato e possibilmente di cordialità. Per quanto la Turchia si appoggi sull'alleanza russa e sulla nuova amicizia inglese, pur tuttavia l'esistenza di rapporti se non proprio cordiali almeno normali con l'Italia non può non giovare alla Turchia, anche per valorizzare se stessa nei riguardi della Russia e dell'Inghilterra.

Elementi per lo svolgimento di siffatta politica verranno forniti dall'andamento delle circostanze, e -intanto -potranno trovarsi ad esempio, sia nella possibilità di allargamento delle relazioni tra le due economie italiana e turca, sia nell'alleggerimento delle nostre posizioni nel Mediterraneo orientale, che seguirà rapidamente, se non intervenga niente di nuovo, a quello che ha già avuto luogo per quanto ha tratto all'Africa Orientale e al Mar Rosso. Il rimpatrio delle nostre unità dislocate nel Mediterraneo orientale che è imminente rappresenta una decisiva prova della nostra volontà di pace.

AHa base della diffidenza turca verso di noi stanno non tanto un reale contrasto di interessi, o divergenze sostanziali di ordine politico. quanto un assieme di elementi psicologici, nonchè di valutazioni e apprezzamenti subiettivi di situazioni che se non possono sparire da un giorno all'altro, debbono tuttavia nell'interesse italiano essere riesaminate e corrette.

(l) -Vedi p. 746, nota l. (2) -Ved\ p. 793, nota l. (3) -Vedi D. 698.
813

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 3467/1211. Berlino, 27 agosto 1936 (per. il 29J.

Come l'E. V. avrà avuto occasione di notare, da qualche tempo si era fatto un assoluto silenzio in Germania nei confronti della questione relativa ai diritti degli israeliti qui residenti. Le leggi di Norimberga avevano la loro pratica applicazione senza dare però luogo ad attacchi di stampa, a polemiche o ad atti clamorosi. Evidentemente le autorità competenti avevano impartito le opportune istruzioni perchè non venisse in alcun modo turbata da clamori anti-ebraici l'idilliaca atmosfera preolimpionica ed olimpionica!

Troppo noti infatti erano qui i vivaci attacchi di taluni ambienti internazionali, e particolarmente nordamericani, intesi ad ottenere l'astensione di alcuni grandi Paesi dai Giochi Olimpici appunto per gli eccessi del Governo nazionalsocialista ai danni degli ebrei.

Ma ora, terminata l'Olimpiade, sembra che quel silenzio si vada rompendo e ci si avvii a nuove pubbliche e severe misure. Abbiamo così assistito alla riapparizione, in apposite cornici di legno, per le principali strade di Berlino, del giornale Der Stilrmer diretto dal capo della ero

ciata anti-ebraica in Germania, il Gauleiter di Norimberga Julius Streicher. Quel giornale era praticamente sparito negli scorsi due mesi.

Un doloroso episodio, che può dirsi clamoroso per la notorietà della persona colpita, si è verificato in questi giorni ed ha nuovamente attirato l'attenzione sulla durezza delle leggi che impongono l'allontanamento dell'esercito degli individui non « puri ariani ».

Il capitano Wolfgang Fiirstner, che aveva assolto l'incarico di comandante del villaggio olimpico dove erano ospiti gli atleti stranieri convenuti a Berlino per le Olimpiadi, è stato accusato di avere compilato una falsa dichiarazione sulla sua ascendenza, attestando di avere gli avi del tutto ariani, mentre viceversa è risultato che una delle due sue nonne apparteneva a famiglia israelita.

Dinanzi all'accusa, ed evidentemente in uno stato di depressione fisica e nervosa causata dall'eccessivo lavoro compiuto durante i 16 giorni dell'Olimpiade, il capitano si è suidicato con un colpo di rivoltella (1).

814

L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, BERARDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 2698/1057. Mosca, 27 agosto 1936 (per. il 31).

l) La serie delle insinuazioni sul motivo della «assistenza agli insorti» da parte dei Paesi fascisti che perseguirebbero sedicenti mire imperlialiste, non è del tutto cessata.

La Pravda, ancora qualche giorno fa, si compiaceva riprodurre articoli del News Chronicle oppure del Manchester Guardian in cui sarebbe stato sostenuto che l'Italia tenterebbe di affermarsi nel Marocco. E siccome questo tema è perfino qui apparso abbastanza sfruttato, si è tentato di accreditare un'altra menzogna. Così lo stesso organo comunista, sotto la veste di corrispondenze dall'Italia, è arrivato a sostenere l'assurdità che l'appoggio prestato dall'Italia agli insorti spagnoli si spiegherebbe non solo con considerazioni di politica estera ma anche con il timore che il trionfo dei rossi in Spagna, potesse essere cagione di un analogo movimento interno!

2) È noto a V. E. come la campagna contro il fascismo, è sopratutto contro il nazismo (l'Italia non figura nella stampa di questa settimana che a latere) risponda ad un duplice compito del Comintern: quello di fiancheggiare la politica antigermanica dell'URSS e quello di coprire la propria posizione ideologica.

Il Comintern, infatti, come anche il Partito, non potendo compromettere od esporre troppo il Kremlino, evita, almeno palesemente, di far risultare una vera e propria campagna comunista che in definitiva potrebbe ritorcersi a suo danno, provocando immancabili reazioni della « borghesia occidentale ». Inde, la tattica dei temperamenti ideologici espressi qua e là, provenienti dai circoli

più vicini alle sfere dirigenti sovietiche. Si è fatto dire che il Governo sovietico non desidererebbe affatto un ulteriore sviluppo del movimento rivoluzionario in Spagna. Si è fatto ribadire la tesi che l'attuale «movimento antifascista» non si prefigge affatto lo scopo di una rivoluzione comunista. ma si limiterebbe ai compiti della rivoluzione borghese.

«Un ulteriore unione di tutte le forze democratiche antifasciste nel fronte popolare, l'attuazione dei compiti già maturi della rivoluzione borghese, ecco le garanzie principali della vittoria della democrazia spagnola sul fascismo ».

È chiaro che il comunismo di Mosca abbia preferito seguire la via di minore resistenza, senza prendere apertamente atteggiamenti netti, e restare quindi su una posizione di compromesso. Se non altro, la lotta contro il nazismo ed il fascismo comandata dalla Terza Internazionale con le sue risoluzioni dell'ultimo congresso e che avrebbe ora come primo campo di applicazione la Penisola iberica, non espone troppo l'ideologia -ciò che qui più interessa -e lascia d'altra parte alle forze rivoluzionarie estere l'illusione di sentirsi appoggiate nei compiti più rispondenti alle esigenze locali.

3) Altro paravento al Comintern, oltre la lotta antinazista, è la campagna condotta contro il cosiddetto movimento anarchico-trozkista, che -come qui si teme -negli avvenimenti di Spagna troverebbe un addentellato per combattere il Comintern di Mosca. Su questo terreno si riversa tutto l'ibridismo del Comintern. Anche per tale campagna vengono enunciati temperamenti ideologici ad uso della piccola borghesia militante. Così si fa segnalare sulla Pravda, dal noto scrittore Kolzov, il quale travasi in questi giorni in Spagna, che diversi gruppi anarchici e trozkisti premerebbero per la immediata collettivizzazione delle economie contadine, sulla requisizione dei raccolti e sulla confisca delle terre dei contadini medi.

<<Per contrastare gli anarchici ed i trozkisti -scrive il Kolzov -i socialisti ed i comunisti difendono la massima che l'organizzazione delle economie contadine debba essere fatta solo volontariamente» esprimendosi in altri termini contro la confisca delle terre dei contadini medi.

Con tale manovra il Comintern tenta di sbarrare la via alle infiltrazioni «deviatrici» e salvare negli avvenimenti di Spagna quel prestigio che crede di poter far valere in difesa del Fronte Popolare di Madrid.

Il processo contro Zinoviev, Kameniev e compagni mira appunto a discreditare queste stesse correnti contrarie alla Terza Internazionale, accusandole di complotti anarchici e terroristi. Con la condanna capitale degli accusati si è, tra l'altro, voluto tagliar corto alle numerose voci di collusioni tra il bolscevismo staliniano ed il troskismo negli affari di Spagna.

4) La serie dei temperamenti ideologici comparsi nella circostanza della guerra civile spagnola costituisce in effetti una decisiva sterzata per le sorti della Terza Internazionale. Gli è certo che da quando il regime staliniano ha preso piede nel paese, il Comintern ha dovuto fare non pochi passi indietro sia nell'ideologia sia nei suoi compiti rivoluzionari. E quello che avrebbe potuto essere un inevitabile contrasto d'indirizzi all'interno, fra il Governo sovietico e la Terza Internazionale con conseguenze esiziali per le sorti dello Stato sovietico, diventa oggi una comune posizione di compromessi fra la sparuta ideologia e la realtà internazionale. Onde la profonda crisi in cui ora si dibatte il Comintern e che si traduce in aggiustamenti, contraddizioni ed incertezze. Onde le tortuose manovre di paravento all'ideologia per bersagliare i regimi totalitari che fanno dell'« anticomunismo allo scopo di attaccare lo Stato sovietico».

Ma le contraddizioni non si arrestano qui. Mosca forzando la disintegrazione ideologica interna, accetta, per timore di complicazioni nella politica estera, la proposta francese di non ingerenza ed al tempo stesso terrorizza ogni eventuale opposizione degli elementi sovietici di sinistra che negli avvenimenti spagnoli avrebbero voluto trovare un terreno propizio di azione rivoluzionaria diretta. Ed il colmo si è che il Governo sovietico, con un odierno articolo di commento sulla Izvestia fa dire con tutta «schiettezza» che la dichiarazione di neutralità non è una nostra idea ma una innovazione sui generis nella teoria e nella pratica internazionale, perché è assurdo che un governo costituzionalmente eletto possa essere equiparato giuridicamente agli insorti. Il Governo sovietico -malgrado tutto -l'ha accettata e protestando contro la Germania per gli attacchi antisovietici della stampa nazista, fa rilevare l'assenza di ogni prova che potesse accusare l'URSS d'intervento negli avvenimenti spagnuoli!

Ma sta di fatto oggi che le fucilazioni di Mosca e quelle di Madrid, gettano una sinistra ombra sulle due capitali portate dalle vicissitudini interne più a disunirsi che ad unirsi, operandosi una specie di disintegrazione ideologica nell.'urto con la realtà (1).

(l) n presente documento reca il visto di Mussolini.

815

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8472/539 R. Parigi, 28 agosto 1936, ore 14,40 (per. ore 6,20 del 29).

Aumento della ferma militare decretata dal Governo tedesco ha prodotto in questi circoli profonda impressione per quanto non si sia voluto darne pubblicamente manifestazione troppo evidente.

A parte le dichmrazioni rassicuranti che si attribuiscono al Dr. Schacht, si considera che quanto anche il rafforzamento della potenza militare germanica fosse principalmente rivolto verso la Russia, gli stessi impegni franco-russi non m&ncherebbero di trascinare questo Paese nelle complicazioni che potrebbero sorgere dall'Est europeo. Molti ritengono perciò che la Francia non possa esimersi da prendere in immediata considerazione un rafforzamento del proprio apparato militare compresavi la ferma triennale.

Sta di fatto che l'uno dopo l'altro hanno avuto luogo a richiesta del presidente del Consiglio, un lungo colloquio fra questi e il generale Gamelin, indi una riunione dell'Alto Comitato Militare in cui sono rappresentate tutte le Forze Armate. Sui risultati di tale conversazione si conserva per ora la più completa riserva e la momentanea assenza di questo addetto militare mi rende difficili per adesso i sondaggi che mi riservo di fare in seguito presso lo Stato Maggiore. Rilevo d'altro canto che la stampa francese sottolinea che la resti

tuzione di visita del generale Rydz-Smigly al generale Gamelin sarebbe anticipata.

Negli ambienti governativi, come al Quai d'Orsay, si manifesta apparentemente il desiderio di vedere riunita al più presto la conferenza delle cinque Potenze di Locarno dalla quale si spera una chiarificazione dell'atmosfera. Ancora di recente si esprimeva in questo senso in conversazione confidenziale il capo di Gabinetto del ministro Esteri.

Frattanto la situazione interna, polarizzata intorno alla questione di ingerenza o meno negli affari spagnuoli si manifesta con un riaperto larvato dissidio fra il Governo di Fronte Popolare e la forte frazione comunista. Mentre il Governo vorrebbe mantenere un atteggiamento cauto, se non sinceramente neutrale nei confronti degli sviluppi della situazione spagnuola, riparandosi dietro gli impegni internazionali assunti al riguardo, i comunisti dopo qualche giorno di rallentamento, seguito alla conclusione dei giuristi per l'accordo di non ingerenza, hanno ripreso un atteggiamento più risoluto.

Sta di fatto che la neutralità francese continua a subire numerosi e palesi strappi, nei quali si manifesta ogni giorno la flessione governativa. È per altro prevedibile che se l'insolenza della fazione comunista andrà crescendo e accentuandosi anche questa flessione finirà col trovare un limite.

Ma in quel momento è da [ritenere] che, a meno d1 improvvisi atteggiamenti energici che il dissidio esistente nel seno stesso del Gabinetto sembrerebbe dover fare escludere, la sorte del Governo Blum sarà segnata e forse solo un incontro di forze potrà risolvere la situazione, s1a che esso venga dai comunisti organizzati, numerosi e alimentati da Mosca, sia che esso venga da destra, per quanto nonostante il diffuso malcontento, specialmente nelle provincie, di ciò non si scorga per ora segno apprezzabile.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolln1.

816

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8562/055 R. Bruxelles, 28 agosto 1936 (per. il 31).

Il prolungamento della ferma dell'esercito tedesco ha avuto un contraccolpo di dolorosa sorpresa anche in questa opinione pubblica ed in queste sfere dirigenti, sebbene attenuato in quanto il Belgio, sapendo di poter contare sull'opposizione dell'Inghilterra a qualsiasi violazione del suo territorio, si sente relativamente meno minacciato fino a che durino le buone relazioni fra Londra e Berlino.

Ciò non toglie che la commissione mista di militari e parlamentari la quale da vari mesi sta qui occupandosi a rilento, come il solito, della intensificazione della difesa, si sia di nuovo immediatamente riunita, decidendosi, fra l'altro, ad emettere un voto per l'estensione dell'obbligo del servizio militare a molte categorie di cittadini che finora ne erano esonerate sotto vari motivi.

Naturalmente non sono mancate contro tale voto le proteste di due mem

bri della commissione, di nazionalità fiamminga, seguite dalle loro dimissioni.

817

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8592/068 R. Atene, 28 agosto 1936 (per. il 1° settembre).

Ho trasmesso al presidente Mataxas l'espressione della simpatia personale del Duce e di V. E. (l) e gli ho detto che le prime decisioni della sua dittatura a carattere sociale erano apparse a Roma molto opportune. Il generale Metaxas ch'era visibilmente molto soddisfatto della mia comunicazione, mi ha ripetutamente incaricato di far pervenire al Duce ed a V. E. i sensi della sua vivissima gratitudine per « le felicitazioni che gli giungevano da così competente ed alto loco ».

Nel corso della conversazione ho poi avuto occasione di attirare l'attenzione del presidente ellenico sui quattro punti segnalatimi da v. E. e di dargli i consigli prescrittimi. Egli mi ha detto che essi gli giungevano oltremodo graditi anche perché il suo governo era già sulla via di tradurli in atto. E infatti:

l) Per quanto si riferiva all'organizzazione di un partito unico di governo egli aveva già sciolto il partito comunista, chiuso tutte le associazioni e circoli politici, compreso quello degli « Elefterofroni » al quale egli stesso aveva appartenuto. Non aveva ancora sciolto con atto di governo gli altri partiti politici (liberale, popolare, tsaldarista, ecc.) perché per il momento gli era sembrato più opportuno cercare di provocarne per così dire la morte per «inanizione». Essi oggi non possedevano né capi né quadri: la sua politica che li teneva assolutamente in non cale avrebbe finito per svuotarli di contenuto, e ridurne sempre più il numero degli aderenti.

In un secondo tempo avrebbe poi studiato la maniera della loro soppressione completa e provveduto alla costituzione del partito unico di governo di cui egli sentiva la necessità. Avendogli io osservato che tale maniera d'agire mi sembrava pericolosa perché poteva dare il tempo ai vecchi partiti di riprendersi, sfruttando il malcontento che avrebbero provocato in una parte della cittadinanza alcuni dei provvedimenti che egli sarebbe stato costretto a prendere nell'interesse del Paese, egli mi ha lasciato intendere che non si nascondeva tale pericolo ma che vigilava e stava prendendo le misure per difendersene. Mi ha fatto poi notare che la sua situazione al riguardo era molto differente da quella del fascismo: quando quest'ultimo assunse il Governo, era già un partito magnificamente organizzato; lui invece si era impadronito del potere dittatoriale senza avere con sé alcun partito (gli « elefterofroni » non contavano che pochissimi aderenti).

I provvedimenti finora presi e quelli che aveva in animo di prendere gli facevano però ritenere che presto sarebbe stato in grado di provvedere all'organizzazione di un unico partito di Governo.

2) Circa la creazione di un'organizzazione unica della Gioventù ellenica, era suo vivissimo desiderio provvedervi al più presto. Fra qualche giorno avrebbe

nominato un governatore di Atene, con giurisdizione anche sul Pireo e sull'Attica. Questi avrebbe avuto nello stesso tempo mansioni simili a quelle di un ministro dell'Educazione Fisica, con incarico di organizzare ed inquadrare la gioventù ellenica. Gli era sembrato più opportuno di iniziare tale organizzazione sotto gli auspici del governatore di Atene, sia per avere il tutto sotto i suoi occhi, sia anche per la presenza in questa regione della maggior parte delle università e delle scuole greche. Nella creazione di questo nuovo organismo di Stato, contava di valersi dell'esperienza italiana in materia.

3) In merito alla creazione del sindacato unico dei datori di lavoro e dei lavoratori, riconosciuto dalla legge ed il cui contratto collettivo di lavoro abbia valore di legge, il signor Metaxas mi ha detto che era sua intenzione organizzare tutta l'economia del Paese su basi corporative. A tale scopo aveva chiamato a far parte del Governo in qualità di ministro delle Finanze e di vice presidente del Consiglio il signor Zavitsianos che era considerato come uno specialista di diritto corporativo. Anche in questa materia però contava di procedere per gradi: al momento in cui aveva trasformato il suo Governo in governo dittatoriale esisteva in Grecia un gran numero di associazioni professionali tanto a carattere economico che a carattere politico. Egli aveva incominciato con sciogliere tutte quelle che avevano carattere comunista. Le altre dovevano o trasformarsi o estinguersi giacché il suo governo intendeva creare subito varie associazioni di lavoratori e di datori di lavoro sul modello italiano che avrebbe poi raggruppato in una confederazione unica alla quale avrebbe dato carattere ufficiale e conferito tutte -più o meno -le attribuzioni che essa aveva in Italia. La riforma era già allo studio. Intanto egli aveva già proceduto con una certa solennità (per richiamare su di essi l'attenzione del pubblico) alla firma di due contratti collettivi di lavoro, i quali data la legislazione attuale avevano dovuto essere sottomessi all'approvazione del giudice di pace.

In seguito tali contratti avrebbero avuto valore di legge e non avrebbero avuto bisogno di alcuna approvazione.

4) La creazione del Dopolavoro era allo studio ed il fatto che la nostra legazione era stata richiesta di fornire dati e pubblicazioni doveva provarmi che anche in questa materia il generale Metaxas contava valersi dell'esperienza italiana.

Infine il signor Metaxas mi ha parlato dei buoni risuìtati che incominciava già ad ottenere dai provvedimenti presi per disciplinare la stampa e mi ha detto che era molto soddisfatto del contegno della grandissima maggioranza dei suoi connazionali che in tutta la Grecia aveva accolto con soddisfazione i provvedimenti presi o annunziati dal Governo. «Il popolo greco -egli ha detto mostra di rendersi conto che io lavoro nell'interesse del Paese e mi accorda la sua fiducia. Io condurrò a termine tutto il mio programma, giacché il mio non è un governo provvisorio ma permanente ».

Prima di prendere congedo il signor Metaxas mi l:la nuovamente chiesto di ringraziare V. E. per le espressioni di simpatia che io gli avevo comunicato da parte del Duce e di V. E.; esse costituivano per lui un grande incoraggiamento e contava molto sulla nostra simpatia, giacché come io stesso potevo rendermi conto, la sua azione di governo si era ispirata e s'ispirava all'esempio fascista.

61 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

Ho colto l'occasione per dichiarargli che ero sicuro che tanto il Governo fascista quanto il popolo italiano seguivano con interesse l'opera da lui intrapresa· e gli ho detto che quantunque io non avessi alcuna istruzione per fargli delle dichiarazioni speciali al riguardo, pure dal tono generale delle comunicazioni e delle istruzioni di V. E. deducevo che il Governo fascista era disposto a sostenerlo nell'opera intrapresa, a farlo beneficiare dell'esperien.za che dopo 14 anni di governo noi avevamo in materia ed -all'occorrenza -aiutarlo.

Dall'insieme della lunga cordiale conversazione col Metaxas ho riportato l'impressione che egli è effettivamente animato dal sincero proposito di riorganizzare il Paese e che ha intrapreso l'opera con innegabile energia. È ancora troppo presto per dire se riuscirà. In queste prime settimane di governo l'opera da lui spiegata per difendere e liberare la Grecia dalla piaga comunista, sembra efficace ed ha incontrato l'approvazione generale. Gh altri provvedimenti e specialmente quelli di carattere economico e finanziario hanno naturalmente suscitato dei malcontenti da parte delle persone lese. Fra di essi infatti ve ne sono che risentono della fretta colla quale sono stati presi. Alcuni (come quello p.t>. del divieto quasi assoluto dei greci di recarsi all'estero) sebbene giustissimi nella sostanza sono stati annunziati al pubblico in maniera forse troppo drastica e poco abile. D'altra parte però occorre non dimenticare che il Paese ha vissuto fino ad oggi nella più assoluta indisciplina e che, se il Metaxas vuole riuscire, deve apportare un taglio netto nelle abitudini di anarchia alle quali erano abituati i greci.

Ma a mio modo di vedere questi sono inconvenienti minori: il pericolo più serio che può minacciare l'esistenza del Governo dittatoriale ellenico oltre quello finanziario glà da me accennato nel mio telecornere n. 058 del 14 corrente (l) è costituito dal ritardo apportato alla costituzione di un partito unico di governo. Oggi Metaxas è sorretto dall'esercito e dall'opinione pubblica che lo aspetta all'opera. Tanto l'uno che l'altra possono abbandonarlo e rivoltarsi contro di lui se egli non ha un partito per controbatterli.

Circa l'attitudine da seguire da noi, nei confronti della dittatura greca, quella prescrittami da V. E. è certamente la più opportuna: fare cioè sentire al Governo del generale Metaxas che noi seguiamo con interesse e simpatia l'opera da lui intrapresa e, senza fare per ora offerte, !asciargli intendere che saremmo all'occorrenza disposti a sostenerlo ed aiutarlo. Mi lusingo di avere finora interpretato esattamente tali Sue istruzioni. Continuerò intanto a mantenermi in contatto con il presidente del Consiglio e con i suoi collaboratori più diretti e seguirò da vicino tutta la loro opera di Governo. Se nei prossimi mesi questo si consoliderà occorrerà allora vedere se ed in quale misura ci conviene aiutarlo giacehè mi pare che ogni aiuto dato in questa circostanza al Governo greco, se fatto opportunamente e tempestivamente valere, potrebbe servire a farci riprendere in questo Paese quella posizione di preminenza che si era cercato di ottenere e che si era in gran parte ottenuta sotto il Governo di Venizelos e potrebbe, in un avvenire prossimo, farci esercitare un'influenza anche sulle direttive della politica estera ellenica.

(l) Vedi D. 805.

(l) Vedi D. 736.

818

IL MINISTRO AD HELSINKI, KOCH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8668/08 R. Helsinki, 28 agosto 1936 (per. il 4 settembre).

Miei telegrammi nn. 71 (l) e 75 (2) del 14 e 19 corrente.

Questo Governo continua a seguire con vivissima attenzione movimento insurrezionale spagnuolo preoccupandosi, pur non credendovi, di eventuale successo Governo di Madrid, per consolidamento che ne deriverebbe dei regimi di sinistra e per aggravamento per Finlandia del pericolo moscovita. Considera invece che successo dei nazionali significherebbe notevole scacco per Unione Sovietica, implicherebbe ritorno al potere dei partiti di destra a Parigi, dando di nuovo alla Francia posizione internazionale di primo piano diretta a controbilanciare potenza del Reich senza tuttavia essere di sostegno al Governo di Mosca. Esso spera, d'altra parte, che sviluppi della guerra civile in Spagna non servano di motivo o pretesto alla Germania per rafforzare sua situazione in Europa essendogli ben noto per passata esperienza forza di espansione e penetrazione di quel popolo alla quale gli riuscirebbe forse difficile di sfuggire.

Orientata nettamente sua politica verso Scandinavia questo Governo cerca di sempre più rafforzarla ma sa di non essere ancora così strettamente legato alle Potenze vicine da poter trovare nelle nuove amicizie baluardo di difesa contl"o pressione che Finlandia dovesse subire dall'est o dal sud a seguito di crisi di regimi in Europa, tanto più che in tale campo forti diversità di principio lo differenziano da governi al potere negli Stati scanctinavi (vedi in particolare mio telegramma per corriere n. 06 del 27 agosto u.s.) (3).

Questo stato di cose, mentre da un lato ravviva sentimento di avversione al regime sovietico, fa nascere un senso di preoccupazione e di diffidenza verso aumentata potenza germanica e mantiene una certa disistima per la Francia social-comunista nonchè scarsa fiducia verso Inghilterra per suo non sicuro interessamento difficoltà europee, fa sì dall'altro che politica italiana venga seguita con viva attenzione e crescente simpatia.

Superato periodo di crisi ginevrina col fallimento della politica della sicurezza collettiva che non ha lasciato qui nessun risentimento verso Governo fascista, al quale anzi, questo Governo è forse grato per avergli esso data la possibilità di constatare fallacia di quei principi facendogli. perdere al riguardo ogni illusione, politica di Roma, il cui prestigio si è enormemente rialzato dopo successo della sua diplomazia a Ginevra e delle sue armi in Etiopia, è considerata principale fattore di equilibrio e di pace nella difficile situazione internazionale dell'attuale momento. Si fa sicuro affidamento in lei nel contrastare il pericolo di

(3} T. per corriere 8535/06 R. del 27 agosto. Riferiva che al convegno degli Stati nordici a Copenaghen si era preferito non affrontare i problemi connessi alla guerra civile spagnola nella previsione che altrimenti sarebbero sorte delle profonde divergenze soprattutto tra Finlandia e Norvegia.

un Governo sovietico in Spagna, con la certezza che l'Italia fascista, Potenza mediterranea, non potrà consentire che principali Potenze che si affacciano su quel mare divengano elementi di disordine.

Vede con favore nel previsto nuovo successo della politica fascista· un nuovo aumento di potenza e di prestigio dell'Italia poichè le darà la possibilità di maggiormente arginare minaccioso dilagare della espansione sovietica e controbilanciare invadenza del germanesimo hitleriano, senza che ciò possa costituire motivo di turbamento per equilibrio di questi lontani Paesi.

(l) -Vedi D. 733. (2) -T. 8163/75 R. del 19 agosto. ore 13,42. Riferiva che il governo finlandese aveva aderito in linea di massima alla proposta francese di non intervento in Spagna, ponendo però la condizione che tutti gli altri Stati vi aderissero e riservandosi una decisione definitiva dopo aver esaminato il testo dell'accordo.
819

COLLOQUI ITALO-TEDESCHI PER UN'AZIONE COMUNE IN SPAGNA

COLLOQUIO ROATTA-CANARIS

Roma, 28 agosto 1936.

l) Proseguire (malgrado l'embargo sulle armi) la fornitura di materiale bellico ed il rifornimento di munizioni, secondo le richieste del Gen. Franco (possibilmente forniture italiane e germaniche uguali).

Ammiraglio Canaris specifica che cosa ha fornito la Germania.

Generale Roatta specifica che cosa ha fornito sinora l'Italia.

2) Gli aiuti materiali andranno solo al Generale Franco e saranno sotto il controllo delle Forze Armate (istradamento da parte germanica, finché possibile, via Portogallo).

Ammiraglio C. specifica che gli aiuti debbono essere diretti solo al Gen. Franco, perché ha egli il comando superiore delle operazioni., ed è quindi competente per la ripartizione dei mezzi che affluiscono alle truppe nazionaliste.

(Tale provvedimento è stato anche combinato fra Gen. Franco ed un generale germanico di aviazione che fu temporaneamente pres&o di lui).

QUESTIONE SPAGNOLA

Sintesi attività S.l.M.

Il 26 agosto u.s. alle ore 11 S. E. Ciano, presente Capo Gabinetto De Peppo, informava generale Roatta che, in seguito ad ordini di S. E. il Capo del Governo, erano stati presi accordi con Reich per l'invio presso generale Franco di una missione italiana ed una tedesca, con seguenti analoghi compiti:

1°) -esaminare possibilità e proposte per appoggio dei nazionalisti da parte delle forze armate (forniture di materiale bellico e personale);

2°) -consigliare il Comando Superiore Spagnolo sull'eventuale sviluppo delle operazioni militari contro i rossi;

3°) -garantire interessi rispettive Nazioni nel campo politico, militare ed economico;

4°) -collaborare in armonico accordo tra le due missioni nelle decisioni conseguenti ai tre punti di cui sopra.

Il 28 stesso mese Capo S.l.M. prendeva contatti con Ammiraglio Canaris (capo S.I. tedesco) per dettagliati accordi circa sviluppo delle attività delle due missioni (in Archivio centrale dello Stato).

Per «controllo delle forze armate » si intende che i due governi (italiano e germanico) non permettono forniture da ditte private.

3) n rifornimento di carburanti sarà fatto da Italia e Germania separatamente, provvedendo ognuna ai bisogni dei mezzi che ha inviato.

4) Inviare tecnici per la manutenzione del materiale bellico fornito (ingegneri, motoristi, meccanici, ecc.). Ammiraglio C. assicura che tale personale è stato inviato in abbondanza dalla Germania.

5) Per il personale germanico rimane proibito di prendere apertamente parte ad operazioni belliche.

Se si volesse mutare tale atteggiamento occorrerebbe un nuovo ordine esplicito, ed un accordo in proposito fra i due Stati (Italia e Germania), che sarebbe impegnativo per le due parti.

6) Invio da parte dei due governi di un Ufficiale ognuno (eventualmente con un aiutante), quali organi di collegamento con Franco. Loro compiti: a) Garanzia comune degli interessi del loro Paese dal punto di vista politico-militare et economico-militare; b) consigliare il Generale Franco in quanto egli lo desideri; c) accordi circa il pagamento delle forniture (contanti -materie prime); d) tenere al corrente sulla situazione gli uffici da cui sono staccati, e

trasmettere le richieste di Franco. Partenza in comune da Roma. Da parte tedesca è destinato il ten. colonnello di Stato Maggiore Warlimont, che venne presentato al Generale Roatta.

Da parte italiana si fa riserva di destinare l'ufficiale.

Si ritiene dalle due parti necessario:

-che ogniuno dei due ufficiali conduca seco un aiutante-segretario (sottotenente-tenente o capitano); -che ognuno dei due ufficiali abbia a sua disposizione assoluta, in Spagna, un aeroplano del proprio paese, con personale del paese stesso. Si stabilisce: -gli ufficiali si presenteranno al S.l.M. italiano (Roma) la sera del 3 settembre; -partiranno quindi al più presto per raggiungere il gen. Franco, con mezzi e modalità stabilite da parte italiana; -saranno presentati al gen. Franco dall'addetto militare italiano a Tangeri (magg. Luccardi) ; -avranno passaporto con nome e qualità falsi, avendo però al seguito anche quello vero;

-si scambieranno i propri rapporti, inviando copia di quelli avuti dall'altra parte agli uffici da cui sono staccati.

7) Regolare la dipendenza e le modalità (per quanto possibile uguali) di copertura del personale dei due Stati staccato in Spagna. Si ritiene opportuno quanto segue: -il personale suddetto è, per l'impiego bellico, alle dtpendenze dei Comandi spagnuoli coi quali opera;

-ma, in ogni unità o località dove esistano militari italiani e germanici, il più elevato in grado o più anziano di essi eserciterà la piena sorveglianza disciplinare su di loro, e ne assumerà la tutela presso i Comandi spagnuoli interessati, sia direttamente, sia facendo capo agli ufficiali italiani e germanici di cui al n. 6.

8) Non richiedere a Franco compensi d'indole politica.

Pagamento delle forniture in divise (o prodotti corrispondenti) per quel materiale (o materia prima in esso contenuta) che lo Stato fornitore ha esso stesso acquistato dall'estero, e pagamento differito (iscritto a credito) per il resto.

9) Protezione delle navi mercantili, specialmente di quelle trasportanti materiale bellico, da parte delle navi da guerra dei due Stati. Pretendere completa libertà di traffico delle navi commerciali per tutti i porti della Spagna.

10) Quali possibilità esistono di sostenere la flotta nazionalista nella sua lotta contro quella rossa?

L'ammiraglio C. aggiunge che da parte tedesca si desidererebbe che l'Italia, più a portata della Spagna, inviasse alla flotta di Franco alcuni MAS col relativo equipaggio.

ALLEGATO

A) MATEHIALE FORNITO DA PARTE TEDESCA

-26 aeroplani Junkers da bombardamento con equipaggio;

-15 aeroplani Heinkel, da caccia, senza equipaggio;

-20 fra pezzi e mitragliatrici antiaeree;

-50 mitragliatrici;

-8000 fucili;

-bombe e munizioni;

-5000 maschere.

B) MATERIALE FORNITO DA PARTE ITALIANA

-12 mitragliatrici antiaeree da 20 mm. con 96.000 colpi; -20.000 maschere;

-5 carri veloci con equipaggio e armamento;

-100.000 cartucce per mitragliatrici mod. 35;

-50.000 bombe a mano;

-40 mitragliatrici S. Etienne con 100.000 cartucce;

-12 apparecchi da bombardamento con radio, armamento ed equipaggi;

-27 apparecchi da caccia con radio, armamento ed equipaggi;

-20.000 bombe da Kg. 2;

-2.000 bombe da Kg. 50 -100 -250;

-400 tonn. benzina e carburante;

-300 tonn. benzina e carburante per conto del Reich;

-11 tonn. olii lubrificanti.

COLLOQUIO CIANO-CANARIS

Roma, 28 agosto 1936.

Punto l. D'accordo.

Comunica: che sta per partire un altro piroscafo con 12 velivoli da bombardamento leggero, munizioni ecc.

Che in più di quelli di cui all'allegato n. l, sono stati inviati alle Baleari 3 apparecchi da bombardamento pesante che sono poi rientrati in Italia, ma che stanno per ripartire per le Baleari.

Che saranno inviati a Burgos, appena pronto il campo intermedio di Palma, 9 apparecchi da bombardamento pesante. Che nelle Baleari esiste già un « console » della Milizia, Sig. Bonaccorsi.

Punto 2. D'accordo.

Ognuno condurrà le forniture nel punto più comodo per lui nelle circostanze contingenti. L'ultimo comma non è necessario, dato che tanto in Germania come in Italia nessuna Ditta può esportare materiali bellici senza il consenso del Governo.

Punto 3. D'accordo.

Naturalmente in determinati casi ognuna delle due parti potrà ricorrere all'altra, se questa si trova in condizione di maggior facilità di trasporto, ecc.

Punto 4. D'accordo.

L'Italia invierà fra due o tre giorni un personale tecnico d'aviazione abbastanza considerevole (via Lisbona).

Punto 5.

S. E. chiede spiegazioni della parola « offen » (apertamente) del testo tedesco. L'ammiraglio Canaris spiega e conclude che detta parola è in più e deve essere cancellata.

S. E. informa che il Ten. Col. A.A. Bonomi ha telegrafato il 10 agosto {l) che gli ufficiali germanici di aviazione agenti con Franco avevano avuto ordini di astenersi dal partecipare ad azioni belliche, limitandosi a consegnare e curare la manutenzione

del materiale e ad istruire i piloti spagnuoli. Il Ten. Col. chiedeva istruzioni circa l'ulteriore contegno degli ufficiali italiani.

S. E. ha risposto il giorno 21 confermando gli ordini precedenti, che lasciavano piena libertà agli aviatori italiani di partecipare ad azioni belliche. Ha inoltre fatto presente la assoluta convenienza che libertà analoga sia da parte germanica lasciata al proprio personale.

L'ammiraglio conviene personalmente e si riserva di far presente tale opportunità al governo del Reich. Farà conoscere la decisione in proposito.

Punto 6. D'accordo.

Circa il comma b) è inteso che gli ufficiali debbono consigliare il generale Franco, facendogli comprendere che, dato che egli riceve tanti aiuti da Germania e Italia, deve anche accettarne i consigli.

Circa il comma c) il conte Ciano comunica che l'Italia ha sinora fornito materiale per 55.000.000 di Lire, senza aver chiesto ed avere avuto pagamento, ed avendo avuto, oltre a ciò, già la perdita di 12 aviatori.

Franco ha spontaneamente promesso di pagare, quando avrà il potere; ma l'Italia pure accettando, a suo tempo tale argomento, non chiede nulla, perché pensa che non sia opportuno di suscitare difficoltà a Franco e perché considera che la lotta sostenuta dai nazionalisti è nell'interesse diretto degli stati anti comunisti.

Per i 3 aeroplani da bombardamento pesante già stati e ridestinati alle Baleari, l'Italia ha avuto da ente locale circa 2 milioni e mezzo di lire (l'unico pagamento avuto sinora senza averlo richiesto).

Circa la partenza degli ufficiali si stabilisce di affrettarla. I tedeschi si presenteranno a Roma la sera del 1° settembre, proseguendo subito per Gaeta, donde saranno trasportati a Tangeri con apposito cacciatorpediniere (passaporto itaJi.ano a bordo e per lo sbarco).

Il governo italiano interessa subito il suo console generale a Tangeri per il viaggio Tangeri-Siviglia.

Punto 7. D'accordo.

Punto 8. D'accordo.

Alle richieste di informazioni da. parte di diplomatici stranieri circa pretese promesse di cessioni territoriali fatte da Franco all'Italia o di altre concessioni del genere, il conte Ciano ha risposto: «Un governo nazionalista come quello futuro di Franco non inizia la sua azione cedendo parte del proprio territorio o facendo grandi concessioni a stranieri.

Ad ogni modo il governo italiano non ha chiesto e non chiederà nulla al generale

Franco». Per i pagamenti vedi sopra (al punto 6°).

Punto 9. D'accordo.

Il governo italiano all'annuncio fattogli dal governo di Madrid circa il blocco dei porti in mano dei nazionalisti, ha fatto rispondere con le più ampie riserve sulla legit\imità di fatto e di diritto di detto blocco.

Punto 10.

S.E. ritiene quasi impossibile l'impiego di navi da guerra, di qualsiasi genere, a favore dei nazionalisti, perché le navi non si possono nascondere. Anche i semplici M.A.S. costituirebbero prova materiale troppo grave di intervento, dato che è notorio che i nazionalisti non ne hanno.

Egli pensa invece alla possibilità di fare intervenire, per esempio nel bombardamento aereo di Mahon squadriglie italiane, a condizione però che siano già sul posto, in mano dei nazionalisti, apparecchi dello stesso tipo, coi quali possano confondersi, durante l'azione, quelli italiani.

(l) In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. Negl! archivi !tal!ani non sono stati rintracciati documenti sui contatti che avevano preceduto la missione dell'ammiraglio Lanaris. Dalla documentazione tedesca risulta che il 23 agosto Hitler aveva inviato a Roma il Principe d'Assia con l'incarico di far presente a Mussolini l'opportunità d! dare vita ad una stretta collaborazione nei riguardi del conflitto spagnolo e che la proposta era stata accolta molto favorevolmente da Mussolini (l documenti relativi in MEIR MrcHAELIS, La prima missione del Principe d'Assia presso Mussolini (agosto '35), in "Nuova rivista storica>>, 1971, fase. lii-1V, pp. 369-370). Un documento del S.l.M. -senza data ma presumibilmente della fine di ottobre -aggiunge altri particolari in proposito. Se ne riproduce la parte iniziale:

(l) Vedi D. 761 (che è del 20 agosto) e p. 828, nota l.

820

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. R. 3495/1217. Berlino, 28 agosto 1936 (per. il 31).

Da notizie fiduciarie giunte a questa R. Ambasciata risulterebbe che si moltiplicano a Mosca gli indizi di una crescente nervosità nei riguardi di « una grande Nazione militarista che si prepara all'offensiva». Nella capitale di questo Stato (leggi Germania) e ad Amburgo si dovrebbero ricercare molti fili conduttori che porterebbero alle attuali agitazioni in Ucraina. Né mancherebbero a Mosca i soliti accenni all'incubo di possibile collaborazione in questo campo tra Germania e Giappone.

D'altra parte (e questo è comunque confermato dagli attuali avvenimenti colà) prevarrebbe a Mosca la corrente più estremista, tendente, nella fattispecie, a perfezionare la tattica dei Fronti Popolari che ha dato ovunque i migliori risultati, riconducendo l'Inghilterra verso Parigi, allontanandola da Berlino unitamente alla Polonia.

Alla base di questo tenacissimo lavorio starebbero le recenti riunioni segrete dei capi bolscevichi, del Governo e del Comintern. In esse si sarebbe constatato che la situazione spagnola, dal punto di vista sovietico, non sarebbe favorevole, non essendo stato possibile ottenere definitivi risultati contro i nazionali e dovendosi considerare la possibilità soltanto di prolungare la guerra civile.

Ugualmente sfavorevole avrebbero dichiarato i capi bulscevici la situazione in Francia ove i partiti di destra sarebbero in grado di rendere quasi impossibile un intervento a favore dei rossi di Spagna e si preparerebbero a sostenere un'intesa con la Germania a sfondo anticomunista.

Le riunioni dei capi di Mosca avrebbero quindi preso in considerazione la possibilità di un cozzo tra Germania e URSS, con una Francia nonostante tutto neutrale e con una neutralità inglese acquistabile dall'URSS a caro prezzo (1).

821

IL CONSOLE A GIBILTERRA, CHIOSTRI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. U. 8486/180 R. Gibilterra, 29 agosto 1936, ore 18,25 (per. ore 22,40j.

Da informazioni confidenziali apprendo quanto segue.

Invio armi, armati e contatti politici con Catalogna da parte Governo francese andrebbero sempre più intensificandosi, mentre sarebbe abbandonata idea rifornire altri settori, compreso Madrid. Tale linea di. condotta deriverebbe volontà impedire conquista Catalogna, onde facilitare costituzione Stato indipendente sotto sfera d'influenza francese e così ottenere eventuali vantaggi Baleari. Informazioni cui sopra sarebbero avvalorate condotta Governo catalano, il quale mentre intensificherebbe suoi sforzi conquista Baleari affievolirebbe azione militare altre provincie limitrofe.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussollnl.

822

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8532/114 R. Bucarest, 29 agosto 1936, ore 22 (per. ore 0,30 del 30).

La crisi del luglio scorso (1), nella quale Titulescu aveva rischiato di rimanere a terra, fu la prima palese dimastrazione del grav~ indebolimento della sua situazione personale. In quella occasione io non mancai di fare qui rilevare che la permanenza di Titnlescu al potere rendeva sempre più precari i rapporti tra l'Italia e Romania.

La crisi di Governo di oggi (2), i cui dettagli facciD riferire dalla Agenzia Stefani, non si apre intorno ai rapporti italo-rumeni perché investe tutte le direttive internazionali della Romania, e cioè tutta la politica di Titulescu, il quale è praticamente il solo a non essere compreso nel rimpasto del Gabinetto Tataresco. È chiaro quindi che si è profittato della assenza in congedo di Titulescu per aprire la crisi durata poche ore e per sbarcarlo dal Governo.

In queste sfere politiche si giudica:

l) che Titnlescu era troppo compromesso con la Russia di Stalin, e soprattutto troppo compromesso con la Francia di Blum;

2) che con i suoi interventi nella politica intema fatta sempre a nome Potenze straniere aveva contribuito a dividere gli animi ed a portare la divisione ed i contrasti in seno a ciascun partito;

3) che egli aveva impresso una colorazione troppo aperta anti-germanica alla politica Romania, cosicché alla Romania mancava ogni possibilità di una contro assicurazione nei riguardi di Berlino nel caso che la Francia avesse allentato i suoi vincoli orientali;

4) che Titulescu in fine aveva creato una inutile frattura difficilmente sanabile nei rapporti con Roma.

Metto in quarta linea la causale italiana nella caduta di Titulescu perché questo è il posto che le spetta. È certo però che la scenata di Ginevra ha contribuito a fare traboccare il vaso.

Come assicurai V. E. con i miei telegrammi per filo E: per corriere del luglio scorso (1), nulla trascurai allora e nulla ho trascurato nelle ultime settimane per cercare di indebolire presso miei amici del Governo, presso più influenti personalità politiche e presso Sovrano la posizione di Titulescu, che oggi se ne va rimpianto solo dalla stampa interna ed internazionale da lui sussidiata con i 50 milioni di lire italiane di fondi segreti di cui egli disponeva.

(l) -Vedi DD. 494 e 501. (2) -Il 29 agosto, il Presidente del Consiglio Tatarescu aveva presentato le dlmlsslonl del suo Gabinetto. Incaricato dal Re d! formare un nuovo governo, Tatarescu sostituiva Titulescu <:on Vietar Antonescu come ministro degli Ester!.
823

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, MOSCA, PARIGI, SAINT JEAN DE LUZ E ALLA LEGAZIONE A LISBONA

T. 3990/c. R. Roma, 29 agosto 1936, ore 24.

(Per tutti meno Londra) Ho telegrafato R. ambasciata Londra quanto segue:

(Per tutti) «Questa ambasciata dì Francia ha chiesto a nome proprio Governo che Governi partecipanti accordo non intervento si facciano rappresentare in un Comitato da costituirsi in relazione a quanto dispone paragrafo tre proposta francese per accordo stesso; che tale comitato abbia sede a Londra e sia formato da rappresentanti diplomatici ivi residenti. Ho risposto all'ambasciata di Francia che accettavo in principio costituzione comitato e sede di Londra. V. S. è quindi autorizzato prendere contatto con suoi colleghi governi che partecipano accordo e con Foreign Office facendomi conoscere suggerimenti e proposte che Le venissero fatte perché io possa fornirle istruzioni del caso ».

(Solo per Berlino) Informola che questo incaricato d'affari tedesco avendomi chiesto quale risposta avrebbe dato Governo italiano al suggerimento francese, l'ho messo al corrente delle sopratrascritte istruzioni inviate alla R. ambasciata a Londra.

824

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8551/0236 R. Parigi, 29 agosto 1936 (per. il 31).

Questo direttore degli Affari Politici, parlandomi ieri della nota portoghese di adesione all'accordo di neutralità (1), la quale ha destato in questa stampa, specie di sinistra, i più svariati commenti, mi ha detto che il Governo francese era invece soddisfatto della nota stessa, in quanto la considerava completamente rispondente alle proposte avanzate, mentre le altre riserve pronunziate dal Governo di Lisbona sono estranee alle proposte stesse.

Il signor Bargeton mi ha poi detto essere imminente un provvedimento che, riempiendo una lacuna nelle vigenti disposizioni, consentirà al Governo francese di applicare i necessari divieti anche al transito di armi, munizioni ed aeroplani provenienti dall'estero, diretti in Spagna.

A questo proposito, è opportuno di tener presente che il Governo francese si trova già unilateralmente impegnato mediante una decisione 25 luglio ultimo, che dava applicazione ai disposti di un decreto dello scorso anno, il quale, sottoponendo ad autorizzazione ministeriale l'esportazione delìe armi, munizioni ed aeroplani adoperabili ad uso bellico, consente al Governo stesso di sospendere

quando lo ritenga opportuno tali autorizzazioni. Quella decisione, che subì una sospensione fra il lo e 1'8 corrente agosto, è stata ribadita da una nuova determinazione presa in quest'ultima data. Tale stato di fatto mi veniva ancora ieri confermato dal signor Bargeton.

Circa le eccezioni che l'impegno francese di neutralità subisce di continuo, ho già riferito e seguito a riferire a V. E.

Questo ambasciatore germanico, nel corso di un colloquio che ebbi con lui iersera, constatava anche egli le continue violazioni della neutralità francese nei confronti degli avvenimenti di Spagna. Mi ha detto che sarebbe suo desiderio di disporre di un servizio di informazioni molto accurato lungo la frontiera franco-spagnola, dichiarandosi convinto che il passaggio di uomini e di armi sia molto più notevole di quanto non si sappia. Mi ha accennato che una collaborazione con questa ambasciata gli sarebbe gradita e che sarebbero opportuni dei seguiti contatti a questo riguardo fra i nostri e i suoi addetti militari.

Anche considerato che contatti cordiali fra addetti militari, specie fra gli addetti navali, già sussistono, ho evitato di rispondergli.

(l) Vedi D. 809.

825

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8553/0238 R. Parigi, 29 agosto 1936 (per. il 31).

Questo ambasciatore germanico mi ha espresso qualche preoccupazione per la situazione catalana. A suo avviso, essa va seguita con molta attenzione tenendo presenti i precedenti della politica francese in Catalogna, e i rapporti esistenti fra questa e la Francia. Mi ricordava così i quindkimila volontari della Legione catalana, che combattè durante l'ultima guerra a fianco dell'esercito francese.

A giudizio del conte Welczek, se gli insorti dovessero incontrare in Catalogntt resistenze gravi e, come egli crede possibile, rinunziare, almeno in un primo tempo, a sottometterla per non compromettere con un forte impegno il corso totale delle proprie operazioni, è da prevedere l'eventualità che i catalani, praticamente divisi dal resto della Spagna, non esitino a proclamare lo Stato separato, ricorrendo all'appoggio francese, che il conte Welckez pensa non sarebbe negato né in uomini, né in armi, né in denaro. Le conseguenze di una tale eventualità sarebbero molto serie, anche in rapporto alle Baleari che, come è noto, sono già parzialmente tenute dalle milizie del Fronte Popolare.

La questione delle Baleari sarebbe del resto, sempre secondo il conte Welczek, alquanto delicata, e certe simpatie inglesi verso le sinistre spagnole sarebbero, secondo lui, provocate dalla preoccupazione che questa importante po~izione strategica e marittima, se detenuta da una Spagna orientata verso il fascismo, possa costituire un nuovo elemento favorevole alla situazione mediterranea dell'Italia.

826

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8555/0239 R. Parigi, 29 agosto 1936 (per. il 31).

Mio telegramma n. 539 (1).

Nell'ultima parte del mio telegramma surriferito accennavo a V. E. al dissidio che fino in seno al Gabinetto francese tende ad accentuarsi fra i comunisti e gli altri gruppi del Fronte Popolare ed accennavo all'ipotesi che, in via per il momento del tutto teorica, è permesso formulare circa le eventuali soluzioni di tale crisi.

Segnalo ora a V. E. alcune voci che mi giungono da varie parti circa l'eventualità di un distacco dei radica-socialisti dalle estrE:me sinistre, che, rompendo la già minacciata unità del Fronte Popolare, permetterebbe di isolare queste ultime e di sacrificare il Governo Blum, mediante un riavvicinamento degli stessi radica-socialisti ai gruppi moderati del centro e della destra, con l'appoggio dell'esercito e di numerosi elementi delle provincie, dove il malcontento è più sensibile.

Registro queste voci a puro titolo informativo, per quanto sia difficile di considerare qui l'esercito come elemento politico determinante, se pure nell'ufficialità e nello Stato Maggiore si manifestino volentieri idee di destra, che si rivelano anche in non troppo velate simpatie per il movimento insurrezionale di Spagna. D'altra parte è altrettanto difficile di credere che questo partito comunista, forte ed organizzato, si lasci accerchiare e spodestare senza lotta, con una manovra, se pure risoluta e decisa, tuttavia di marca parlamentare, anche se i recenti avvenimenti di Russia e il recentissimo voto dei laburisti inglesi, favorevoli alla neutralità negli affari di Spagna, 5embrino preludere ad una certa attenzione delle influenze comuniste nell'occidente europeo.

827

IL MINISTRO A BELGRADO, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8559/081 R. Bled, 29 agosto 1936 (per. il 31).

Mio telegramma per corriere n. 078 del 23 corrente (2).

Questo direttore degli Affari Esteri Politici signor Andrié mi ha detto che la formula con cui il Governo jugoslavo ha data la sua adesione alla proposta francese di non ingerenza in Spagna è stata adottata anche dagli altri Paesi della Piccola Intesa e dall'Intesa Balcanica. Ha spiegato che ·la sola riserva fatta mira a non compromettere il principio ammesso dalla consuetudine interna

zionale per cui uno Stato ha sempre facoltà di portare aiuto ad altro Stato amico per reprimere una rivolta interna e si è riferito all'aiuto portato palesemente dalla Jugoslavia alla Grecia in occasione della sollevazione del marzo 1935.

Negli ambienti ufficiali si insiste infatti a voler giustificare detta riserva colla necessità di non precludere alla Jugoslavia la possibilità di un nuovo intervento nelle faccende interne di Grecia qualora l'instaurazione della dittatura di Metaxas dovesse preparare delle sorprese. Per contro in altri circoli politici jugoslavi di opposizione e specialmente nell'ambiente del partito nazionalista la riserva contenuta nell'adesione di questo Governo alla proposta francese ha fatto pessima impressione in quanto viene interpretata come confessione di preoccupazione e di debolezza di fronte alle incognite che potrebbero presentare in avvenire gli sviluppi della questione croata.

(l) -Vedi D. 815. (2) -Vedi D. 791.
828

IL CONSOLE GENERALE A DUBLINO, LODI FÈ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. RR. 1182/116. Dublino, 29 agosto 1936 (per. il 7 settembre).

II popolo irlandese, eminentemente cattolico, per ragioni nazionali e storiche non rimane indifferente allo spettacolo della distruzione dei tempii, al massacro di ministri della Chiesa, alla devastazione degli istituti religiosi. Tutto ciò che tocca al sacrilegio lo impressiona profondamente.

Il capo del Partito Nazionale Corporativo, generale O'Duffy, ha perciò lanciato, aiutato da una parte della stampa cattolica di opposizione, una campagna in favore dei ribelli spagnoli.

In questo frattempo egli è stato interessato da carlisti spagnoli ai quali il suo nome era stato fatto dal Primate d'Irlanda cardinale Mac Rory come quello di un possibile capo, per aiuto morale e materiale.

Così un appello da lui rivolto al pubblico, a mezzo dei giornali, proponendo a) la formazione di una brigata irlandese per battersi per la fede cattolica, b) la formazione di ospedaletti da campo da servire in Spagna, in pochi giorni ha dato luogo a migliaia di istanze di arruolamento da ogni parte d'Irlanda, istanze che continuano ad affluire ad onta che siano state fatte presenti le difficoltà di una spedizione in grande stile. Le istanze non sono soltanto di giovani in cerca di avventura, ma benanco di gente matura di professioni diverse, preti, medici, avvocati, insegnanti, agricoltori, operai, militi, guardie, le istanze dei più giovani spesso accompagnate da lettere di consenso dei genitori. Si contano pure numerose quelle di cattolici dimoranti in Inghilterra, fra cui ex-ufficiali.

Il generale O'Duffy pastosi in rapporto con circoli ribelli spagnoli ha voluto f1ssare sin d'ora che il corpo di spedizione dovrebbe, esser formato tutto di elementi irlandesi ed avere pertanto medici, infermieri, meccanici, elettricisti, autisti, radiotelegrafisti della medesima nazionalità irlandese, avere affidato un determinato settore, stabilire che i suoi ufficiali abbiano a dipendere esclusivamente dall'Alto Comando degli insorti. Ha in pari tempo disCUiiSO la questione dei trasporti del porto di sbarco ed altre vitali questioni per la spedizione.

Tutto ciò è avvenuto negli stessi giorni in cui da più parti giungeva notizia di autocarri carichi di comunisti francesi attraverso i Pirenei, di denaro russo spedito a Madrid e di spedizioni dal Messico di 1500 tonnellate di materiale bellico, fra cui 50.000 fucili, per la medesima destinazione. Contemporaneamente in Inghilterra la General Workers' Union faceva delle collette pubbliche per i rossi spagnoli per cui appariva che mentre il vicino Impero ufficialmente parlava di nonintervento, non riteneva però di ostacolare l'aiuto dei salariati inglesi ai sovversivi iberici.

In questo frattempo è pure intervenuta la dichiarazione del Governo dello Stato Libero di adesione al principio di non intervento. A questo riguardo il generale O'Duffy ritiene che questo principio non possa venire applicato senza una legge, legge che però non può venire ora approvata dacché il parlamento è in ferie. D'altra parte esiste un Foreign Enlistment Act del 1878, ma si osserva che esso è stato emesso dal Governo britannico per impedire agli irlandesi di arruolarsi negli eserciti nemici dell'Inghilterra e che perciò non può trovare nel presente caso applicazione.

Il generale, che è in contatto tuttora con circoli spagnoli, ha fatto sapere in questi giorni ai carlisti che pur accettando il loro invito non procederà alla spedizione senza il preventivo consenso del capo dei ribelli, generale Franco, ritenendo spettare a questi di giudicare dell'opportunità dei momento per la spedizione.

Riceve frattanto larghi contributi ecclesiastici e di privati -il cardinale Mac Rory gli ha inviato cento sterline, vari vescovi cinquanta -i quali gli permettono l'organizzazione iniziale dei legionari. Ma per il trasporto via mare verso la Spagna altri dovrà provvedere e sono quindi a questo scopo gli attuali suoi colloqui con gli agenti dei ribelli.

Non è chiaro frattanto quale sarà l'atteggiamento del Governo dello Stato Libero al momento dell'impresa. Ad onta abbia aderito al patto di non intervento, il Governo non può non tener conto dell'opinione pubblica che indubbiamente reagirebbe contro di esso qualora procedesse all'arresto di cittadini in procinto di partire per battersi per una causa, che è quella della fede cattolica.

La spedizione irlandese, se effettuabile, potrà comportare, volendolo, più diecine di migliaia di legionari, tanti sono gli aspiranti, ma non sotto l'aspetto del suo numero, necessariamente di molto inferiore, essa sembra da considerarsi.

Assumendo infatti il carattere di una formazione militare straniera indi

pendente, la presenza di questa fra i partecipanti al conflitto verrà a costituire

un fatto nuovo, un precedente invocabile dagli Stati a seconda dell'opportu

nità e dell'interesse, che comunque dovranno esser rilevantl.

Rimane dunque di vedere se convenga debba avere detto carattere oppure

se l'adesione alla causa dei nazionali spagnoli non debta piuttosto conservare

aspetto individuale o puranco se la spedizione non abbia ad essere del tutto

impedita.

V. E., se vorrà e ne crederà il caso, potrà darmi indicazì.oni operative, non ignorando le mie relazioni con il capo dell'impresa, con il quale peraltro ho cura di trattare con tutta la cautela che esigono le delicate circostanze del momento e la parte che l'Italia ha assunto di fronte alla proposta del patto di non intervento.

Ad ogni informazione che possa valermi di direttiva sarò grato.

Non mancherò di riferire ulteriormente (1).

829

L'UFFICIALE ADDETTO AL CONSOLATO GENERALE A TANGERI, LUCCARDI, AL MINISTERO DELLA GUERRA (2)

T. 606. Tangeri, 31 agosto 1936, ore 18 (per. ore 22).

Si sta accentuando antagonismo fra falangisti e requetes e tra falangisti e elementi conservatori militari che vedono in programma Falange riforme ardite contro loro interessi e antichi privilegi. Nostri fiduciari politici presso governo Burgos, o presso generale Franco potrebbero meglio seguire evoluzioni politiche movimento militare, sorvegliare aumento influenza germanica a nostro scapito e consigliare dirigenti spagnoli che sembrano completamente disorientati su futuro regime da dare al popolo (3).

830

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8581/116 R. Bucarest, 31 agosto 1936, ore 21,50. (per. ore 1 del 1° settembre).

Nuovo ministro degli Affari Esteri ha tenuto a ricevermi immediatamente. Mi ha detto che Governo aveva dovuto liberarsi di Titulescu, il quale aveva voluto fare una politica universale e non proporzionata alla reale importanza della Romania ed aveva perciò esorbitato nella sua azione.

Il popolo romeno non sapeva rendersi conto perché politica ufficiale della Romania aveva dovuto trovarsi in contrasto con Roma e Varsavia, mentre gli interessi del Paese domandavano imperiosamente una volitica d'intesa con l'Italia e la Polonia. L'iniziativa e lo scarto di Titulescu sul terreno di Ginevra, che tanta ripercussione aveva avuto sui rapporti italo-romeni, erano in assoluto contrasto con il sentimento del popolo che, senza tradire l'accordo e la fede nella Francia, guardava con affetto reverente a Roma madre. Tale dichiarazione egli mi faceva ufficialmente e teneva che io la ripetessi a V. E., assicurandola

che egli avrebbe impresso una nuova direttiva alla politica romena verso l'italiana.

Per quanto Antonescu sia un onesto uomo molto sincero nell'espressione del suo pensiero, ho creduto, tuttavia, data la facilità romena a sciorinare delle parole, dirgli che la Romania doveva profittare della prima occasione per fare ammenda onorevole. L'ultima manifestazione romena verso il popolo italiano erano state le sanzioni e le gaffes di Titulescu a Ginevra, che avevano profondamente offeso la sensibilità italiana. Le sue dichiarazioni odierne, che sarebbero state certamente apprezzatissime da V. E., rimanevano, tuttavia, racchiuse nel carteggio delle due Cancellerie: mi sembrava invece che a gesto infelice bisognasse rispondere con gesto significativo pubblico e tale da giungere fino all'anima della nostra nazione. Ciò gli dicevo a puro titolo personale ma per un dovere di lealtà, affinché egli non credesse che poche buone parole o anche ottime intenzioni fossero sufficienti a cambiare una così pesante atmosfera. Lo assicuravo, tuttavia, che, sia delle parole, sia delle intenzioni, V. E. avrebbe tenuto il massimo conto ma che lo avremmo aspettato ai gesti e più ancora ai fatti.

(l) -Il presente documento reca il visto di Mussollnl. (2) -In Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (3) -Il documento reca la seguente annotazione a margine: «Data comunicazione al Ministero degli Esteri dal sig. Capo Servizio. 1-9-1936 >>.
831

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8578/543 R. Parigi, 31 agosto 1936, ore 23 (per. ore 1 del 1° settembre).

Bargeton mi ha detto essere stato incaricato dal ministero degli affari Esteri di comunicarci, perché ne dessi conoscenza all'E. V., che accordo di Montreux essendo stato già ratificato da quattro delle Potenze firmatarie, la Francia desiderando di far rientrare propria ratifica fra le prime sei, che ai sensi articolo 26 dell'accordo renderanno quest'ultimo esecutivo, si dispone a depositare ratifica stessa. Ministero degli Affari Esteri aveva voluto dar di ciò preventiva conoscenza all'E. V. nel desiderio che V. E., rendendosi conto delle particolari esigenze della Francia, non voglia interpretare tale determinazione in senso meno amichevole per l'Italia. Mi sono limitato a prendere atto e ad assicurare che avrei comunicato quanto precede all'E. V.

Conversazione essendo naturalmente caduta sulle voc1 corse di un accordo franco-turco, Bargeton a complemento e parziale modifica di quanto precedentemente comunicatomi al riguardo, e da me riferito a V. E. con mio telegramma per corriere del 22 corrente n. 0225 (1), mi ha detto che sarebbe possibile anche fra non molto una concorde dichiarazione francese e turca, intesa a stabilire la futura stipulazione di un accordo fra i due Stati sempre nel quadro di un accordo eventuale collettivo per l'Europa sud-orientale.

62 -Dòcumenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV

(l) Vedi p. 873, nota 2.

832

IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

'l'. S. PER CORRIERE 8746/041 R. Tangeri, 31 agosto 1936 (per. il 6 settembreJ.

Da varie fonti non ancora controllate, ma attendibili, risulterebbe che Fronte Popolare franco-spagnolo abbia raddoppiato pressioni su Governo Parigi e su Residenza Generale francese Rabat affinché vengano suscitati disordini e insurrezioni indigeni sul confine zone franco-spagnole e in zona spagnola Marocco, allo scopo aver pretesto invadere questa ultima in base accordo francospagnolo 1927 che prevede possibilità per Francia di intervenire militarmente nella zona spagnola in caso di disordini provocati dagli indigeni.

Per quanto Residente Generale francese Peyrouton, buon conoscitore cose africane, e colonialisti Marocco abbiano sinora fatto argine a tali tentativi (mio telecorriere 039 del 24 agosto scorso) (1), sembra tuttavia che Fronte Popolare, approfittando difficile situazione Peyrouton innanzi suo Governo e discordie e disordini esistenti in zona francese e in amministrazione Protettorato, abbiano già raggiunto qualche risultato positivo, sia ottenendo promulgazione noto dahir (mio telegramma n. 430) (2) -il quale precorrendo e oltrepassando abusivamente limiti dichiarazione francese neutralità chiude frontiera franco-spagnola Marocco ad esportazioni carburanti e automobili -sia sobillando nazionalisti e tribù confinarie per prepararle ad una sollevazione e ad una invasione zona spagnola.

V'è chi assicura che Abd el Krim che Francia teneva in serbo da anni alla Riunione, per ogni evenienza marocchina, sia stato « graziato » e che già si trovi nel suo Marocco per riunire seguaci e poi riprendere le vie, a lui ben note, del Riff. Mi si aggiunge inoltre che si sta altresì preparando un movimento per ottenere la destituzione del Khalifa di Tetuan che, per amore o per forza ha aderito a movimento franchista, per rimpiazzarlo con altro principe ligio interessi francesi.

Stessi informatori mi assicurano che queste attività Fronte Popolare Marocco sono collegate a quelle attivamente svolte da Francia per consolidare futura repubblica catalana e parla poi sotto sua influenza e controllo insieme alle Baleari, alle quali Francia tende da tempo, per garantire in guerra sicurezza sua comunicazioni africane che le consentano trarre da Africa mercenari neri atti ad indossare e rafforzare suo esercito depauperato ùa depopolazione. Ma mi sì aggiunge altresì -e tale notizia mi è impossibile poter controllare qua che Fronte Popolare, per avere mani libere contro rivolta nazionale spagnola, stia cercando di attrarre in suo giuoco anche Inghilterra, con miraggio possibilità ottenere una qualche base su questa sponda africana dello Stretto, realizzando così quel disegno che inglesi misero già in parte in pratica durante conflitto itala-etiopico, quando usavano liberamente acque Ceuta come base «loro esercitazioni navali».

Autorità spagnole Marocco mi assicurano che sono completamente corrente tali manovre e che hanno già preso misure per fortificare frontiera francospagnola e per stroncare sul nascere ogni velleità rivolta araba che potrebbe giustificare, su richiesta Madrid, applicazione accordo franco-spagnolo sul Marocco del 1927. In questi ultimi giorni sono infatti staU già arrestati caporioni nazionalisti indigeni zona spagnola che non sarebbero stati sordi sollecitazioni francesi e insensibili al loro denaro. Queste misure energiche e rapide sembra che, almeno per ora, possano ritardare e arginare movimento indigeno che Fronte Popolare vorrebbe suscitare contro generale Franco, senza riflettere pericolo per Francia stessa che potrebbe poi essere vittima di un generale sollevamento musulmano in Marocco e in Africa settentrionale, ove nazionalismo tradizionalista classi superiori musulmane e comunismo, che ha fatto innumeri adepti nel popolo, sono sordamente coniugati per la lotta contro straniero infedele e sfruttatore (l).

833.

IL MINISTRO A L' AJA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. R. 1732/454. L'Aja, 31 agosto 1936 (per. il 7 settembre).

S. M. la Regina d'Olanda compie oggi 56 anni, de~ quali 46 passati sul trono dei Paesi Bassi (fino al 31 Agosto 1898 sotto la tutela materna). Il suo alto sentimento del dovere e della responsabilità le fanno sopportare senza sforzo apparente il peso di questo che è quasi mezzo secolo di Corona.

La semplicità estrema della sua vita le ha dato modo di mantenere apparentemente intatte le forze benchè sia noto che la Regina Guglielmina dedichi allo Stato con rigida puntualità, cure continue e attente, aiutata in ciò da un intelletto profondo, da un senso fermissimo della tradizione.

Acutamente conscia della sua regalità, essa si è piuttosto appartata, isolandosi in una specie di sfera lontana. In essa, la Regina ha come unico contatto col mondo il suo lavoro e come unica compagna, S.A.R. la principessa ereditaria, la quale ha tuttavia carattere molto diverso da quello materno e sembra aver ereditato un po' della giovialità del padre, il defunto duca di Merklemburgo.

Le tendenze all'isolamento sono istintive nella Regina (nessuna mano deve toccarla, né per aiutarla a scendere di carozza né per misurarle un abito), e vengono incoraggiate dalla sua rigida fede calvinista. Essa legge quotidianamente la Bibbia e osserva i precetti senza deviazioni: pur in tempo di crisi di Gabinetto, la Regina si astiene da tentativi di composizione nella festa domenicale.

E' diffidente perciò verso quanto non è protestante e olandese. Di qui una austerità che pervade la Corte e finisce per diffondersi al di fuori, nella provincialìssima «Residenza» dell'Aja. La semplicità del vestire della Sovrana rasenta talvolta l'esagerazione. Tanto essa quanto la principessa Giuliana si incontrano talvolta per la città a piedi o in bicicletta. Il popolo olandese, benché serio e modesto, non ammira questa eccessiva semplicità e raccoglie, senza approvarle, le notizie dello spirito di economia che impera nella Reggia.

La diffidenza verso quanto è straniero e verso quanto è cattolico, ha in Sua Maestà espressioni non sottintese. La Regina evita fin che può di avere contatti col Corpo Diplomatico. Quando non passa le sue vacanze nel castello del «Loo » (Gheldria), va in !scozia, in Norvegia, in luoghi tranquilli e, sopratutto, in Paesi protestanti. Ha visitato recentemente la cattedrale cattolica di Bois-le-Duc, gioiello dell'architettura religiosa dei Paesi Bassi: vi è rimasta appena un quarto d'ora. E quando ha occasione di inaugurare o visitare ospizi, scuole, istituzioni cattoliche, non ne oltrepassa la soglia, e fuori della porta riceve l'omaggio dei dirigenti e i consueti fiori, legati da leali nastri arancione,

La Regina rispetta molto scrupolosamente, nelle assidue cure che essa dedica agli affari dello Stato, i limiti che le sono fissati dalla Costituzione, ma tale suo riserbo ha l'effetto notevole di accrescere la sua influenza indiretta nel Governo.

Senza che lo si dichiari apertamente, la politica olandese viene mantenuta in direzioni che possano essere gradite alla Regina. Senza che essa sia particolarmente amata dalla popolazione, si cerca di conformarsi alla volontà della Sovrana, per una tendenza istintiva a non urtarla, per una specie di tenerezza verso la donna che nei lunghi anni durante i quali ha cinto la Corona, non è stata felice.

La politica olandese si è assestata da sé in queste direzioni, sotto la guida di un uomo, il dott. Colijn, che della Regina ha non solo la piena fiducia, ma anche una specie di intima confidenza. La collaborazione, per non dire l'amicizia, della Sovrana e del dott. Colijn, ricorda, fatte le debite proporzioni, quella della Regina Vittoria per Disraeli.

Quando nell'agosto 1935, una crisi, di ministri più che di Gabinetto, costrinse alle dimissioni il ministero Colijn, la Regina pose al leader cattolico Aalberse, la cui consultazione le era imposta per prima dalla situazione dei partiti alla Camera, condizioni tali che costituivano in pratica difficoltà insormontabili. Aalberse non poté, naturalmente, formare il Governo di maggioranza che si voleva da lui, e il vecchio Colijn, cui le stesse condizioni non venivano poste, formò un Gabinetto di coalizione, identico a quello che dopo tre anni di potere si era dimesso, e che è quello che dura felicemente da allora.

Sarebbe esagerato dire che non si può comprendere la politica olandese se non si tiene conto della personalità della Regina, ma è certo che le sue tendenze e le sue aspirazioni vanno tenute seriamente presenti nell'esaminare la situazione attuale e nel prevedere quella dell'immediato futuro.

Quest'azione della Regina è generalmente poco avvertita perché con essa concordano le grandi masse del popolo olandese: in questo attaccamento alle tradizioni e anche più semplicemente agli usi, in questo senso religioso che mirerebbe a far scendere Domeneddio all'Aja a governare i Paesi Bassi, in questa diffidenza suprema verso ogni impulso nuovo. Di qui la paura verso il movimento fascista, verso il quale la Regina Guglielmina dimostra apertamente decisa antipatia.

Di qui l'approvazione dei benpensanti verso la condotta della Sovrana e il

Governo del dott. Colijn (1).

(l) -Non rinvenuto. (2) -T. 8380/430 R. del 25 agosto, ore 19,30. Riferiva di avere preso accordi in seno al Comitato di controllo per evitare che fossero estese alla città di Tangeri le misure di blocco contenute nel decreto del Sultano.

(l) Il presen~e documEnto reca il visto di Mussolini.

(l) Il presente documento reca il visto di Mussolini. L'8 settembre Ciano telegrafò al ministro Taliani (T. 10481/34 P.R.): «Ho letto il tuo rapporto sulla Regina d'Olanda e l'ho trovato singolarmente interessante». La minuta del telegramma è autografa.

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APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(5 agosto 1936)

MINISTRO

CIANO DI CORTELLAZZO Galeazzo, ambasciatore.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

BASTIANINI Giuseppe, ambasciatore.

GABINETTO

Coordinamento generale -Affari confidenziali -Ricerche e studi in relazione al lavoro del ministro -Rapporti con la Real Casa, con la Prcsiienza del Consiglio e col P.N.F. -Relazioni del ministro col parlamento e col corpo diplomatico -Udienze -Tribuna diplomatica.

Capo di gabinetto: DE PEPPO Ottavio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe.

Vice capo di gabinetto, capo della segreteria particolare del ministro: ANFUSO Filippo, primo segretario di legazione di 2• classe.

Ufficio del gabinetto: CARuso Casto, VENTURINI Antonio, consoli di 3• classe; LANZA D'AJETA Blasco, SOLARI Pietro, MOSCATO Niccolò, vice consoli di P classe; CARACCIOLO Filippo, CLEMENTI Raffaele, vice consoli di 2• classe; GENTILE Benedetto, addetto consolare.

Ufficio della segreteria: NICHETTI Carlo, console di 2• classe; SANFELICE Antonio, BELLIA Franco, vice consoli di 2a classe; MARIENI Alessandro, addetto consolare.

Studi e ricerche: VIDAU Luigi, console di 2a classe.

Segreteria particolare del sottosegretario: AssETTATI Augusto, console di 3• classe; PuRI Giuseppe, volontario diplomatico-consolare;

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Regole del cerimoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richiamo -Pieni poteri -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari -Franchigie in materia doganale ai regi agenti all'estero e agli agenti stranieri in Italia -Massimario -Visite e passaggi di capi di Stato, principi e autorità estere -Decorazioni nazionali ed estere.

Capo ufficio: VIOLA Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

Segretari: CITTADINI Pier Adolfo, primo segretario di legazione di la classe; GUERRINI MARALDI Agostino; MACCHI DI CELLERE Pio, consoli di 2a classe; GHENZI Giovanni, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO DI INTENDENZA

Archivio storico -Biblioteca -Pubblicazioni di carattere amministrativo -Custodia e manutenzione della sede del ministero -Servizi automobilistici e telefonici -Disciplina del personale di servizio.

Capo ufficio: ToscANI Angelo, inviato straordinario e ministro plepinotenziario di l a classe.

Addetto all'ufficio: UGOLINI Guido, primo commissario consolare.

Biblioteca.

Bibliotecario: PIRONE Raffaele.

Vice bibliotecario: N.N.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI DI EUROPA E DEL MEDITERRANEO

Direttore generale: BuTI Gino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe.

Vice direttore generale: GuARNASCHELLI Giovanni Battista, console generale di 2a classe.

Addetto alla direzione generale: GALLI Guido, console generale di 2a classe.

UFFICIO I

Belgio -Danimarca -Francia -Germania -Gran Bretagna -Lussemburgo -Paesi Bassi -Polonia -Portogallo -Spagna -Stati baltici Stati scandinavi -Svizzera -Unione delle repubbliche sovietiche socialiste.

Capo ufficio: PRUNAS Renato, primo segretario di legazione di la classe.

Segretario: EMo CAPODILISTA Gabriele, vice console di 2a classe.

UFFICIO II

Austria -Belgio -Cecoslovacchia -Grecia -Jugoslavia -Romania

Turchia -Ungheria -Affari concernenti le isole italiane dell'Egeo.

Capo ufficio: DE PAOLIS Pietro, primo segretario di legazione di la classe. Segretari: JANNELLI Pasquale, primo segretario di legazione di P classe; AMBROSETTI Gino, console di 2a classe; WINSPEARE Vittorio, volontario diplomaticoconsolare.

UFFICIO III

Mediterraneo -Paesi del Mediterraneo e del Mar Rosso -Africa Orientale Italiana.

Capo ufficio: GUARNASCHELLI Giovanni Battista, predetto.

Segretari: ZOPPI Vittorio, primo segretario di legazione di P classe; CATTANI Attilio, console di 2a classe; D'AQUINO Alfonso, vice console di 1a classe; PIERANTONI Aldo, PROFILI Giacomo, volontari diplomatico-consolari.

UFFICIO IV

Albania.

Capo ufficio: GUIDOTTI Gastone, primo segretario di legazione di 2a classe, reggente. Segretario: N.N. UFFICIO V

Affari con la Santa Sede.

Capo Ufficio: BELLARDI RICCI Alberto, consigliere. Segretario: ToscANI MILLO Antonio, volontario diplomatico-consolare.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI TRANSOCEANICI Direttore generale: CoRTESE Luigi, consigliere. Vice direttore generale: PORTA Mario, consigliere.

UFFICIO I

Africa (eccetto i Paesi di competenza di altri uffici).

Capo ufficio: MELLINI PoNCE DE LEON Alberto, console di 2a classe, reggente. Segretario: N.N.

UFFICIO II

Asia (eccetto i Paesi di competenza di altri uffici) -Oceania.

Capo ufficio: BABUSCIO Rizzo Francesco, primosegretario di legazione di 2a classe. Segretario: FERRETTI Raffaele, console di 2a classe.

UFFICIO III

America del Nord.

Capo ufficio: PoRTA Mario, predetto. Segretario: CoNTARINI Giuseppe, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO IV

America latina.

Capo ufficio: RuLLI Guglielmo, primo segretario di legazione di P classe. Segretario: TALLARIGo Paolo, volontario diplomatico-consolare.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI

Direttore generale: VITETTI Leonardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

Vice direttore generale: PIETROMARCHI Luca, consigliere.

Addetti alla direzione generale: BovA ScaPPA Renato, consigliere; RAINERI BISCIA Giuseppe, ammiraglio di divisione; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nella Università di Roma; Bosco Giacinto, professore ordinario di diritto internazionale nell'Istituto superiore di scienze politiche e sociali Cesare Alfieri di Firenze.

UFFICIO I

Società delle Nazioni.

Direttore generale: PIETROMARCHI Luca, predetto.

Segretari: MALASPINA Falchetto, console di 2• classe; FLETTI Mario, console di 3• classe; BETTELONI Giovanni Lorenzo, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO II

Istituti internazionali e conferenze.

Capo ufficio: VITA-FINZI Paolo, console di 1• classe. Segretario: SPALAZZI Giorgio, console di 2• classe.

UFFICIO III

Trattati ed atti.

Capo ufficio: LANZARA Giuseppe, console di 1• classe. Segretario: MATACOTTA Dante, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO IV

Coordinamento militare, navale ed aeronautico -Affari riservati.

Capo ufficio: GERBORE Pietro, primo segretario di legazione di 2a classe.

Segretari: SEGANTI Vittorio, console di 3a classe; Russo Augusto, volontario diplomatico-consolare; BEVILACQUA Michele, segretario capo dell'emigrazione; CORSI Fernando, primo segretario dell'emigrazione.

UFFICIO V

Storico-diplomatico.

Ricerche ·e studi su materie storiche e questioni internazionali -Schedari Rubriche -Pubblicazioni di carattere storico-diplomatico -Sezione geografica.

Capo ufficio: DI GIURA Giovanni, consigliere.

Segretari: Dr RoVASENDA Vittorio, primo segretario di legazione di P classe; TORNIELLI DI CRESTVOLANT Carlo Cesare, 0RSINI RATTO Mario, consoli di l a classe; CHASTEL Roberto, console di 3a classe.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI COMMERCIALI

Direttore generale: GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di l a classe, consigliere di Stato, senatore.

Vice direttore generale: CALISSE Alberto, console di l a classe.

Addetti alla direzione generale: FoRINO Lamberto, commissario consolare; DEI MEDICI Ugo, vice intendente di finanza.

UFFICIO I

Affari generali -Comunicazioni aeree, terrestri e marittime -Fiere, congressi, esposizioni.

Capo ufficio: MoscA Bernardo, primo segretario di legazione di la classe. Segretario: ROTINI Ambrogio, console di 2a classe. Addetto all'ufficio: VAGNETTI Leonida, consigliere dell'emigrazione di 2a classe.

UFFICIO II

Commercio coi Paesi d'Europa e del Mediterraneo.

Capo ufficio: CALISSE Alberto, predetto. Segretario: SCAGLIONE Roberto, console di 2a classe.

UFFICIO III

Commercio transoceanico.

Capo ufficio: SANTOVINCENZO Magno, console di la classe.

Segretario: LANZETTA Umberto, console di 2a classe.

DIREZIONE GENERALE DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO Direttore generale: PARINI Piero, inviato straordinario e ministro plenipoten

ziario di l" classe. Vice direttore generale: DE Crcco Attilio, console generale di l" classe. Addetti alla direzione generale: Nuccro Alfredo, console di 2a classe; SrRCANA

Leone, console di 3a classe; BENEDETTI Dante, sostituto procuratore generale di Corte d'appello. Vice segretario generale dei Fasci all'estero: THAON DI REVEL Ignazio. Ispettore dei Fasci all'estero: CoLONNA Piero.

UFFICIO I

Organizzazioni fasciste e istituti di cultura.

Capo ufficio: DE Crcco Attilio, predetto.

Segretari: NOBILI VITELLESCHI Pietro, console di l• classe; MININNI Marcello, FAVRETTI Luciano, volontari diplomatico-consolari; TEDESCO Pietro Paolo, segretario capo di ragioneria dell'emigrazione; Dr MATTEI Alfredo, FLAMINI Pietro, primi segretari dell'emigrazione.

UFFICIO II

Affari privati.

Capo ufficio: CAFFARELLI Filippo, consigliere.

Segretari: SoLLAZzo Guido, console di l" classe; FoRMICHELLA Giovanni, Busr Gino, consoli di 2a classe.

UFFICIO III

Scuole all'estero.

Capo ufficio: NrcoLAI Lorenzo, console di la classe.

UFFICIO IV

Lavoro italiano all'estero.

Capo ufficio: GERBAsr Francesco, consigliere dell'emigrazione di l" classe.

Segretari: MAsr Corrado, OLIVERI Umberto, consiglieri dell'emigrazione di 2• classe; MANCA Elio, segretario capo dell'emigrazione; CANNONE Nicolò, primo segretario dell'emigrazione.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE E DELL'AMMINISTRAZIONE INTERNA

Direttore generale: LEQUIO Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

Vice direttore generale: BERGAMASCHI Bernardo, primo segretario di legazione di l a classe.

Addetti alla direzione generale: ALBERTAZZI Enrico, presidente di sezione della Corte di Cassazione; MARZIANI Luigi, MoNTESI Giuseppe, consiglieri dell'emigrazione di la classe; EMILIANI Luigi, primo commissario consolare.

UFFICIO I

Personale di gruppo A delle carriere dipendenti del ministero degli Affari Esteri -Personale consolare di seconda categoria -Uffici diplomatici e consolari all'estero -Ispezioni degli uttici all'estero -Questioni che si riferiscono all'ordinamento del ministero e delle carriere diplomatica, consolare e degli interpreti Concorsi, nomine ed ammissioni, commissioni di avanzamento, consigli, commissioni e comitati presso l'Amministrazione centrale -Addetti militari, navali, aeronautici, commerciali, per la stampa e loro uttici -Personale e uttici diplomatici e consolari esteri in Italia -Bollettini del personale -Passaporti diplomatici, di servizio e ordinari, libretti e richieste ferroviarie per il personale Rapporti con il P.N.F., la M.V.S.N. e le Amministrazioni dello Stato, per quanto riguarda il personale dipendente dal ministero degli Affari Esteri.

Capo ufficio: BERGAMASCHI Bernardo, predetto.

Segretari: DANEO Silvio, console di 2• classe; SILJ Francesco, console di 3• classe; GIRETTI Luciano, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO II

Personale dei gruppi B e C e personale subalterno delle carriere dipendenti dal ministero degli Affari Esteri, escluso il personale delle scuole italiane all'estero. Concorsi, nomine ed ammissioni-Commissione di avanzamento e consigli del ministero, ed in generale tutte le questioni relative alla carriera e all'ordinamento del personale suddetto -Bollettini che si riferiscono al personale stesso Personale di ogni gruppo appartenente ad altre Amministrazioni e comandato presso il ministero degli Affari Esteri -Personale avventizio in servizio presso l'Amministrazione centrale e gli utfici dell'emigrazione nel regno -Personale locale in servizio presso le regie rappresentanze diplomatiche e consolari.

Capo ufficio: FECIA m CossATO Carlo, primo segretario di legazione di 1• classe.

Segretario: N. N.

UFFICIO III

Edifici demaniali.

Gestione di tutti gli stabili e locali adibiti ad uso dell'Amministrazione centrale ,e dei RR. Uffici all'estero -Acquisto, vendita, affitto, permuta, manutenzione~ ordinaria e straordinaria, miglioramento e arredamento -Assicurazioni, inven/ari e contratti -Locazioni di immobili e locali per uso dei RR. Uffici -Questioni · concernenti la nuova sede per il ministero degli Affari Esteri.

Capo ufficio: AssERETO Tommaso, consigliere.

Segretario: N. N.

Addetto all'ufficio: PIGNOCCHI Gino, geometra capo del corpo del genio civile.

Sezione tecnica.

Dr FAUSTO Florestano, esperto tecnico.

UFFICIO IV

Servizi amministrativi.

Capo ufficio: RrNVERSI Romolo, capo divisione dei commissari consolari.

Segretari: AGOSTEO Cesare, capo sezione dei commissari consolari; LEONINI PIGNOTTI Augusto, commissario consolare capo; ToRREs Oreste, primo commissario consolare; MANZO Ciro, commissario consolare.

Addetti all'ufficio; PAZZAGLIA Gino, capo sezione di ragioneria dell'emigrazione; RENGANESCHI Vittorio, segretario capo di ragioneria dell'emigrazione; PIRODDI Mario, primo segretario di ragioneria dell'emigrazione.

Cassa

BONAVINO Arturo, capo sezione dei commissari consolari; RoTA Armando, segretario di ragioneria dell'emigrazione; Rossr Umberto, MORICONI Mario, applicati dell'emigrazione.

UFFICIO V

Corrispondenza e archivi -Tipografia riservata.

Organizzazione, sorveglianza degli archivi Corrispondenza in arrivo e in partenza: accettazione, registrazione, spedizione ecc. -Controllo del carteggio degli uffici in relazione alla corrispondenza in arrivo -Archivi correnti -Servizio dei corrieri.

Capo ufficio: GRossARDI Antonio, console generale di la classe.

Segretario: GoBBI Giovanni, console di 2a classe.

Tipografia riservata.

Direttore: BERNI Fedele.

UFFICIO VI

Cifra.

Capo ufficio: RoNCALLI Guido, consigliere.

Segretari: Rossi Paolo Alberto, CANNICCI Achille Angelo, consoli di l a classe: BUZZI GRADENIGO Cesare Pier Alberto, DE MALFATTI DI MONTE TRETTO Carlo, consoli di 2a classe; ZAsso Francesco, console di 3a classe; GRANDINETTI Eugenio, vice consigliere dell'emigrazione.

Addetto all'ufficio: ANTINuccr Umberto, maggiore di artiglieria.

RAGIONERIA CENTRALE (l)

Direttore capo della ragioneria: GIANDOLINI Romolo (F).

DIVISIONE I

Personale -Affari generali -Esame dei provvedimenti da sottoporre al ministero delle Finanze ed in genere di tutti quelli aventi comunque effetti finanziari -Riassunto degli elementi per la preparazione degli stati di previsione dell'entrata e della spesa e relative variazioni -Conto consuntivo, parte finanziaria e parte patrimoniale -Esame degli inventari -Competenze e pensioni relative a tutto il personale dipendente dal ministero degli Affari Esteri escluso quello delle scuole italiane all'estero e quello del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione Riscontro del giornale di cassa per le gestioni di bilancio ed extra bilancio -Conto corrente infruttitero col Tesoro dello Stato -Partitario dei depositi ricevuti dai privati -Contabilità speciali -Registrazione dei valori provenienti dall'estero, sia direttamente, sia a mezzo banche corrispondenti -Riscontro dei valori non monetari e degli effetti in deposito presso il cassiere del ministero -Operazioni relative al finanziamento dei RR. Uffici all'estero, accettazione delle tratte emesse dai titolari di essi e registrazione delle aperture di credito -Conto corrente con il Contabile del Portafoglio e conti dei relativi capitoli con il Contabile del Portafoglio e conti dei relativi capitoli di entrata e di spesa della categoria movimento di capitali -Tenuta dei conti impegni relativi ai servizi suddetti -Emissione e registrazione dei mandati -Archivio.

Direttore capo della divisione: BARTOLINI Luigi (F).

Capo sezione: MoNTUORI Pietro (F).

Segretari: PALUMBO Francesco (F), BARDI Donatello (F), consiglieri; Tosi Emilio (F), primo segretario; OccHIONERO Matteo (F), AGRÒ Giuseppe, vice segretari; URBANI FALLANI Velia (F), ragioniere.

(l) Il personale contrassegnato con la lettera (F) fa parte dei ruoli del ministero delle Finanze, quello contrassegnato con la sigla (Em.) fa parte dei ruoli del Ministero degli Ester! proveniente però dal soppresso Commissariato generale dell'emigrazione.

DIVISIONE II

Accertamento, riscossione e versamento delle entrate disposte dalla legge e dal regolamento dell'emigrazione -Scritture generali e speciali -Servizio delle marche da bollo da applicarsi sugli atti di arruolamento -Liquidazione delle competenze ai RR. Commissari imbarcati in servizio di emigrazione e rimborso delle stesse da parte dei vettori Liquidazione ed approvazione delle contabilità per le spese relative all'emigrazione -Fondo pensioni per gli impiegati del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione -Stralcio delle contabilità di guerra -Inventario -Riscontro degli atti amministrativi e servizio cambiario per le scuole italiane all'estero -Locali scolastici e demaniali all'estero -Gestioni speciali e scritture relative -Revisione, approvazione e liquidazione delle spese indicate nelle contabilità scolastiche mensili e varie -Tenuta degli impegni e scritture partitarie riassuntive per il servizio dell'emigrazione e delle scuole italiane all'estero -Monte pensione dei maestri elementari -Emissione dei mandati di pagamento relativi ai suddetti servizi.

Direttore capo della divisione: CIOTTI Remigio (Em.), direttore capo di ragioneria dell'emigrazione.

Capo sezione: TARINI Ugo (F), Tuzzi AlbP.rto (F).

Segretari: BLANDI Silvio (Em.), segretario capo dell'emigrazione; VOLPE Mario (F), RicCA Alfredo (Em.), primi segretari dell'emigrazione; ZIGARI Eugenio (F), GARGANO Guglielmo (F), vice segretari.

DIVISIONE III

Revisione, approvazione e liquidazione delle contabilità dei RR. Uffici diplomatici e consolari all'estero, nonchè quelli di pubblica sicurezza di confine -Contabilità degli agenti della riscossione -Conti giudiziali Servizio marche consolari -Tenuta degli impegni relativi alle spese del funzionamento dei RR. Uttici all'estero, emissione dei mandati di pagamento -Conti correnti del personale diplomatico e consolare in dipendenza delle gestioni all'estero -Esame dei rendiconti di spesa sulle aperture di credito e sugli ordini di accreditamento -Liquidazione dei conti delle Società di navigazione per il rimpatrio dei nazionali indigenti.

Direttore capo della divisione: PONCINI Francesco (F), direttore capo di divisione.

Capo sezione: DE ANNA Giuseppe (F).

Segretari: ROMANO Giuseppe (F), ASBOLLI Attilio (F), consiglieri; MARTINA Filippo (F), primo segretario; DRAGO Giuseppe (F), CATANIA Antonino (F), vice segretari.

CONSULENTI GIURIDICI

Consulente generale: N.N.

Consulenti: SANDICCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di P classe, consigliere di Stato, senatore; ALBERTAZZI Enrico, presidente di sezione della Corte di Cassazione; GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di la classe, consigliere di Stato, incaricato di storia dei trattati e di diritto aeronautico nell'Università di Roma, senatore, direttore generale degli affari commerciali; MoNTAGNA Raffaele, consigliere di Stato con titolo onorario di consigliere di legazione; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nell'Università di Roma; Bosco Giacinto, professore ordinario di diritto internazionale nell'Istituto superiore di scienze politiche e sociali Cesare Alfieri di Firenze; BENEDETTI Dante, sostituto procuratore generale della Corte d'appello.

63 -Documenti dtplomattct -Serle VIII -Vol. IV

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(10 maggio-31 agosto 1936)

AFGHANISTAN Kabul -SABETTA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MoNTEFORTE Giuliano, interprete.

ALBANIA

Tirana -INDELLI Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LA TERZA Pierluigi, primo segretario; AssETTATI Augusto, console con funzioni di secondo segretario, fino al 18 giugno; PRATO Eugenio, vice console con funzioni di terzo segretario; D'ANTONI Giovanni, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

ARABO-SAUDIANO (Regno)

Gedda -PERSico Giovanni, incaricato d'affari, dal 3 giugno con credenziali di inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BELLINI Leone Fabiano, interprete.

ARGENTINA

Buenos Aires -ARLOTTA Mario, ambasciatore, fino all'li agosto; RULLI Guglielmo, primo segretario; MAJOLI Mario, vice console con funzioni di secondo segretario, dal 20 giugno; FIORI Romeo, direttore capo divisione nei ruoli del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione con funzioni di consigliere dell'emigrazione; MANCINI Tommaso, addetto commerciale; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico e navale (residente a Rio de Janeiro).

AUSTRIA

Vienna -PREZIOSI Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRAZZI Umberto, primo segretario; DEL BoNo Giorgio, console con funzioni di secondo segretario; PAVERI FoNTANA Alberto, vice console con funzioni di terzo segretario; DI NoLA Carlo, addetto commerciale; PoNZA DI SAN MARTINO Dionigi, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; BRENTA Giacomo, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Budapest).

BELGIO

Bruxelles -VANNUTELLI REY Luigi, ambasciatore; CosMELLI Giuseppe, consigliere; PERRONE DI SAN MARTINO Ettore, primo segretario; DUCA Giovanni, maggiore

di Stato Maggiore, addetto militare; FERRERI Emilio, capitano di fregata, addetto navale (residente a Parigi); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico.

BOLIVIA

La Paz -ToNI Piero, incaricato d'affari; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

BRASILE

Rio de Janeiro -CANTALUPO Roberto, ambasciatore; MENZINGER DI PREUSSENTHAL Enrico, primo segretario con funzioni di consigliere; LIBRANDO Gaetano, addetto commerciale; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico e navale.

BULGARIA

Sofia -SAPUPPO Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANNI D'ARCHIRAFI Francesco Paolo, primo segretario; DALLA ROSA PRATI Rolando, vice console con funzioni di secondo segretario; BARIGIANI Andrea, reggente la delegazione commerciale; DE BOTTINI DI SANT'AGNESE Achille, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; FER

RERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara). CECOSLOVACCHIA

Praga -DE FACENDIS Domenico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BoRGA Guido, primo segretario; SILVESTRELLI Luigi, console con funzioni di secondo segretario; RALLO Pietro, addetto commerciale di prima classe; RoDA Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; BRENTA Giacomo, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Budapest).

CILE

Santiago -MARCHI Giovanni, ambasciatore; SILENZI Renato, consigliere; GABRICI Tristano, vice console con funzioni di secondo segretario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

CINA

Pechino -LOJACONO Vincenzo, ambasciatore; BONARELLI DI CASTELBOMPIANO Vittorio Emanuele, consigliere; BABUSCIO Rizzo Francesco, primo segretario; CITTADINI CESI Gian Gaspare, vice console con funzioni di secondo segretario; DI RENZO Marco, interprete; Ros Berto, f.f. interprete; Ros Giuseppe, console interprete; VINCENTI MARERI Francesco, f.f. interprete; ScALISE Guglielmo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Tokio); SPAGONE Gino, tenente di vascello, con funzioni di addetto navale.

COLOMBIA

Bogotà -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CUTTICA Giulio Mario, cancelliere, reggente fino all'll luglio; Pomo Giovanni, cancelliere, reggente dal 21 luglio; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

COSTARICA

S. Josè -CAPANNI Italo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Panama); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

CUBA

Avana -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

DANIMARCA

Copenaghen -CAPAsso TORRE m CAPRARA Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PANSA Mario, console con funzioni di primo segretario; Luzi Renato, addetto commerciale; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); DE CoURTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); FERESIN Gioele, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

DOMINICANA (Repubblica)

San Domingo -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L'Avana); LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

EGITTO

Cairo -GHIGI Pellegrino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; NoNis Alberto, primo segretario; MELLINI PoNCE DE LEON Alberto, console con funzioni di secondo segretario; MAZIO Aldo Maria, vice console con funzioni di terzo segretario; MASCIA Vittorio, primo segretario coloniale; OMAR Umberto, interprete; BuFFONI Decio, reggente la delegazione commerciale.

EL SALVADOR (Repubblica di)

San Salvador -CORTESE Paolo, incaricato d'affari (residente a Guatemala); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

EQUATORE

Quito -GAETANI DELL'AQUILA D'ARAGONA Massimo, Vice console con funzioni di incaricato d'affari ad interim; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

ESTONIA

'l'allinn -CICCONARDI Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare, navale e aeronautico (residente a Varsavia).

FINLANDIA

Helsinki -KocH Ottaviano Armando, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; COPPINI Maurilio, primo segretario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia); TEUCCI Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

FRANCIA

Parigi -CERRUTI Vittorio, ambasciatore; TALAMO ATENOLFI Giuseppe, consigliere; SCAMMACCA Michele, primo segretario; LANDINI Amedeo, console generale; STRIGARI Vittorio, console con funzioni di secondo segretario; MENGARINI Bruno, vice console con funzioni di terzo segretario; DE FERRARIS SALZANO Carlo, vice console con funzioni di terzo segretario; BARATTIERI DI SAN PIETRO Ludovico, vice console con funzioni di quarto segretario, dal 19 agosto; TOMMASINI Mario, consigliere di emigrazione; SALLIER DE LA TOUR Carlo, primo segretario di emigrazione con funzioni di vice consigliere di emigrazione; CARAVALE Erasmo, consigliere commerciale; BARBASETTI DI PRUN Curio, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; FERRERI Emilio, capitano di fregata, addetto navale; ERCOLE Ercole, colonnello, addetto aeronautico; RoMANO Giorgio, maggiore, addetto aeronautico aggiunto.

GERMANIA

Berlino -ATTOLICO Bernardo, ambasciatore; DIANA Pasquale, consigliere; MAGISTRATI Massimo, primo segretario; ZAMBONI Guelfo, primo segretario, dal 29 agosto; GrusTINIANI Raimondo, console con funzioni di secondo segretario; TASSONI EsTENSE Alessandro, vice console con funzioni di terzo segretario; RrccrARDI Adelchi, consigliere commerciale; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; DE CouRTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale, TEuccr Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico; FERESIN Gioele, capitano, addetto navale aggiunto.

GIAPPONE

Tokio -AURITI Giacinto, ambasciatore; MARIANI Luigi, consigliere; GARBACCIO Livio, primo segretario; MELKAY Almo, interprete; ScALISE Guglielmo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; GHÉ Alberto, capitano di fregata, addetto navale.

GRAN BRETAGNA

Londra -GRANDI Dino, ambasciatore, deputato; VITETTI Leonardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FRACASSI RATTI MENTONE Cristoforo, primo segretario; DEL BALZO Giulio, console con funzioni di secondo segretario; CASARDI Aubrey, console con funzioni di terzo segretario; BRUGNOLI Alberto, vice console con funzioni di quarto segretario; LANZA Michele, vice console con funzioni di quarto segretario; DE FACCI NEGRATI Gaetano, con funzioni di addetto; CECCATO Giovanni Battista, consigliere commerciale; MoNDADORI Umberto, colonnello di fanteria, addetto militare; CAPPONI Ferrante, capitano di fregata, addetto navale; CALDERARA Attilio, colonnello, addetto aeronautico; JoRI Gino, capitano del genio navale, addetto navale aggiunto.

GRECIA

Atene -BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GuaLIELMINETTI Giuseppe, primo segretario; SERAFINI Giorgio, vice console con funzioni di secondo segretario; DE SANTO Demetrio, interprete; MoRIN Sebastiano, capitano di vascello, addetto navale, militare e aeronautico.

GUATEMALA

Guatemala -CoRTESE Paolo, incaricato d'affari; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

HAITI

Porto Principe -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a L'Avana); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

HONDURAS

Tegucigalpa -CORTESE Paolo, incaricato d'affari (residente a Guatemala); LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

IRAN

Teheran -GEISSER CELESIA DI VEGLIASCO Andrea, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARINI Vittorio, primo segretario, dal 10 agosto; PENNACCHIO Luigi, interprete.

IRAQ

Baghdad -PoRTA Mario, incaricato d'affari, fino al 17 maggio; PoLLICI Dante, interprete.

JUGOSLAVIA

Belgrado -VIOLA Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAPRANICA DEL GRILLO Giuliano, primo segretario; BAISTROCCHI Ettore, console con funzioni di secondo segretario; SCELDIA Antonio, interprete; KELLNER Arturo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; MoRIN Sebastiano, capitano di fregata, addetto navale (residente ad Atene); ToscHI Vincenzo, primo capitano di fanteria, con funzioni di addetto militare aggiunto.

LETTONIA

Riga -MAMELI Francesco Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Rossi LONGHI Gastone, primo segretario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia).

LITUANIA

Kaunas -FRANSONI Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); TEucci Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -CHIARAMONTE BORDONARO Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, DIANA Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenzlario, dal 14 luglio.

MESSICO

Messico -MARCHETTI DI MuRIAGLIO Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NICARAGUA

Managua -CoRTESE Paolo, incaricato d'affari (residente a Guatemala); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NORVEGIA

Oslo -RODDOLO Marcello, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 31 luglio; Muzi FALCONI Filippo, console con funzioni di primo segretario; DE CouRTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); FERESIN Gioele, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

PAESI BASSI

L'Aja -TALIANI DE MARCHIO Francesco Maria, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MONACO Adriano, primo segretario; NoTARANGELI Tommaso, addetto commerciale; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); DE CouRTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); FERESIN Gioele, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

PANAMA

Panama -CAPANNI Itala, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

PARAGUAY

Assunzione -MARIANI Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

PERU'

Lima -BIANCHI Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

POLONIA

Varsavia -BASTIANINI Giuseppe, ambasciatore, fino al 14 giugno; ARONE DI VALENTINO Pietro, ambasciatore, dal 16 luglio; BELLARDI RICci Alberto, consigliere; ZAMBONI Guelfo, primo segretario; PIETRABISSA Francesco, addetto commerciale; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare, navale e aeronautico.

PORTOGALLO

Lisbona -Tuozzi Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE PAOLIS Pietro, primo segretario; MARIANI Erminio, consigliere commerciale (residente a Madrid); BALSAMO Carlo, capitano di fregata, addetto navale (residente a Madrid); FERRARIN Arturo, maggiore, addetto aeronautico e militare (residente a Madrid).

ROMANIA

Bucarest -SoLA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; OTTAVIANI Luigi; primo segretario; CAPECE GALEOTA Giuseppe, primo segretario; RaccHI Cesare, f.f. archivista interprete; DE MARTINO Giuseppe, addetto commerciale; DELLA PoRTA RomANI Guglielmo, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; FERRERa RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

SANTA SEDE

Roma -PIGNATTI MORANO DI CUSTOZA Bonifacio, ambasciatore; CASSINIS Angiolo, consigliere; SALLIER DE LA TouR CORIO Paolo, console con funzioni di primo segretario.

SIAM

Bangkok -NEGRI Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GHÉ Alberto, capitano di fregata, addetto navale (residente a Tokio).

SPAGNA

Madrid -PEDRAZZI Orazio, ambasciatore; FORNARI Giovanni, primo segretario; DE CIUTIIS DI SANTA PATRIZIA Filippo, primo segretario con funzioni di consigliere, dal l o giugno consigliere, dal 14 maggio; SETTI Giuseppe, console con funzioni di secondo segretario; MARIANI Erminio, consigliere commerciale; FERRARIN Arturo, maggiore, addetto aeronautico e militare; BALSAMO Carlo, capitano di fregata, addetto navale.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington -Rosso Augusto, ambasciatore; Rossi LONGHI Alberto, primo segretario con funzioni di consigliere, dal 1° giugno consigliere; MIGONE Bartolomeo, primo segretario; CAPOMAZZA Benedetto, console con funzioni di secondo segretario; ROBERTI Guerino, vice console, dal 1° giugno console, con funzioni di terzo segretario; BONARDELLI Eugenio, consigliere dell'emigrazione; ANGELONE Romolo, addetto commerciale; CUGIA DI SANT'0RSOLA Umberto, capitano di fregata, addetto navale; CoPPOLA Vincenzo, tenente colonnello, addetto aeronautico e militare.

SUD AFRICA

Capetown -LABIA Natale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Lo Jucco Giacomo, console con funzioni di primo segretario.

SVEZIA

Stoccolma -MELI LUPI DI SORAGNA TARASCONI Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SERENA DI LAPIGIO Ottavio, primo segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); DE CouRTEN Raffaele, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); FERESIN Gioele, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

SVIZZERA

Berna -TAMARO Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CARISSIMO Agostino, primo segretario; FRANCO Fabrizio, vice console con funzioni di secondo segretario; PELLEGRINI Vincenzo, addetto commerciale; FANTONI Euclide, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; ERCOLE Ercole, colonnello, addetto aeronautico (residente a Parigi); RoMANO Giorgio, maggiore, addetto aeronautico aggiunto (residente a Parigi).

TURCHIA

Ankara -GALLI Carlo, ambasciatore; DI GIURA Giovanni, consigliere; DE AsTIS Giovanni, primo segretario con funzioni di consigliere; DE VERA D'ARAGONA Carlo Alberto, primo segretario; CASTRONuovo Manlio, vice console, dal 1° giugno console, con funzioni di secondo segretario; ARRIVABENE Antonio, reggente la delegazione commerciale; PISA Ezra, interprete; MANNERINI Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; FERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale e aeronautico.

UNGHERIA

Budapest -COLONNA Ascanio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BALDONI Corrado, primo segretario; Lo FARO Francesco, console con funzioni di secondo segretario; LEPRI Stanislao, vice console con funzioni di terzo segretario; DI NoLA Carlo, addetto commerciale (residente a Vienna); MATTIOLI Enrico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; BRENTA Giacomo, tenente colonnello, addetto aeronautico.

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE

Mosca -ARONE DI VA:LENTINO Pietro, ambasciatore, fino al 15 luglio; BERARDIS Vincenzo, consigliere; DI STEFANO Mario, primo segretario; CIRAOLO Giorgio, addetto consolare con funzioni di secondo segretario; PIACENZA Guido, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico.

URUGUAY

Montevideo -MAzzoLINI Serafino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CARBONELLI DI LETINO Raimondo, console con funzioni di segretario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

VENEZUELA

Caracas -DE PROBIZER DI WEISSEMBERG E ROTHENSTEIN Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI PRESSO IL RE D'ITALIA

(10 maggio-31 agosto 1936)

Afghanistan -SAMAD Abdul khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ALI Ahmed khan, segretario; RAssouL Mohamed khan, segretario.

Albania -KoDHELI Mark, incaricato d'affari; XHOMO Vasfi, primo segretario.

Arabo-Saudiano (Regno) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Argentina -CANTILO José Maria, ambasciatore; CHIAPPE Felipe, consigliere; ONETO AsTENGO Oscar, primo segretario; PoNTI José Carlos, secondo segretario; FOPPA Tito Livio, console, addetto stampa; CoMOLLI Guido, addetto commerciale; PELESSON Hector D., colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Austria -VOLLGRUBER Alois, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BERGER WALDENEGG Egon, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 21 giugno; RoTTER Adrian, consigliere; ScHWARZENBERG Johann E., segretario; RIEDL-RIEDENSTEIN Friedrich, addetto; FRIEBERGER Kurt, consigliere ministeriale, addetto stampa; LIEBITZKY Emi!, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico.

Belgio -DE LIGNE Albert, ambasciatore; Du CHASTEL DE LA HOWARDERIE F., consigliere; DE MEEUS Hadelin, primo segretario; LAMY Léon, addetto.

Bolivia -DE UGARTE José Samuel, incaricato d'affari.

Brasile -GUERRA DUVAL Adalberto, ambasciatore; BAGGI DE BERENGUER CESAR Jacome, secondo segretario; MATHIAS DE Assis SILVEIRA Paulo, secondo segretario, dal 20 giugno; DE MIRANDA PACHECO Mario W., addetto; SPARANO Luiz, addetto commerciale.

Bulgaria -PoMENOV Svetoslav, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BISSEROV Stephan P., consigliere; STANCIOV lvan D., segretario; BOGDANOV Nikolas, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; ToNCHEV Petr. maggiore di Stato Maggiore, addetto militare, dal 3 agosto.

Cecoslovacchia -CHVALKOVSKY Frantisek, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRAUNER Vladimir, consigliere; HERMAN Frantisek, primo segretario; STANE Vojtech, segretario; KusKA Theodor, consigliere per la stampa; KLECANDA Vladimir, generale di divisione, addetto militare e aeronautico.

Cile -RIVAS-VICUNA Manuel, ambasciatore; SUBERCASEAUX Léon, primo segretario; BARRIGA Jorge, consigliere commerciale; ERRAZURIZ OvALLE Carlos, addetto commerciale; FrRMANI René, addetto commerciale, dal 16 maggio; HERRERA Ariosto, colonnello, addetto militare, dal 2 giugno; LECASSIE Juan, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles), dal 28 maggio.

Cina -Lru VoN-TAO ambasciatore; SHEN TsuTON, consigliere, dal 19 maggio; CHU YrN, primo segretario; HwANG TA-CHUNG, secondo segretario; YoH L uN, terzo segretario; Lru TsrEN, terzo segretario; Sm KWANG-TsrEN, addetto; TANG CHE, generale, addetto militare; SHAw-HwA-Kuo, capitano, addetto militare aggiunto; FANG Ju, capitano, addetto militare aggiunto.

Colombia -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CABALLERO EscoBAR Enrico, primo segretario.

Cuba -DE ARMENTEROS Y DE CARDENAs Carlos, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRULL Y CABALLERO Mariano, consigliere.

Danimarca -KRUSE Johan Christian Westergaard, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WrcHFELD Hubert, consigliere.

Dominicana (Repubblica) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PARADAS Salvador Emilio, secondo segretario; TRUJILLO MoLINA Anibai, generale, addetto militare.

Egitto -MOURAD Ahmed pascià, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; EL-SADEK Mostafà, bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 21 giugno; HosNY Ornar Mohamed, primo segretario; TAHER AL-OMARI Mohamed, addetto agricolo; MoNEIM Mohamed Abdel, addetto; AMIN GHALI Ibrahim, addetto.

El Salvador (Repubblica di) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Equatore -ZALDUMBIDE Gonzalo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Estonia -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JANSON Davide, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim).

Finlandia -ARTTI Kaarlo Pontus, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VoN KNORRING Helge, incaricato d'affari (ad interim), dal 17 agosto; SNELLMAN Aarne, tenente colonnello, addetto militare e aeronautico (residente a Berlino).

Francia -DE CHAMBRUN Charles, ambasciatore; BLONDEL Jules François, consigliere; GuERIN Hubert, primo segretario; GARNIER Jean Paul, secondo segretario; DARIDAN J e an, terzo segretario; BoPPE Roger, addetto; SANGUINETTI Joseph, console generale, addetto commerciale; MINGALON André, addetto commerciale aggiunto, dal 13 agosto; RouMILHAC Georges, addetto finanziario; LEROY BEAULIEU Paul, addetto finanziario; PARISOT Henri, generale di brigata, addetto militare; DE LAROSIERE Robert, capitano di fregata, addetto navale; PouPON Roger, tenente colonnello, addetto aeronautico; BARY Hubert, tenente di vascello, addetto navale aggiunto; CATOIRE, capitano di cavalleria, addetto militare aggiunto.

Germania -VoN HASSELL Ulrich, ambasciatore; VoN PLESSEN Johann, consigliere; Zu ScHAUMBURG-LIPPE Stephan, consigliere, dal 3 luglio; ScHMIDKRUTINA Hermann, primo segretario; VoN GRAEVENITZ Kurt-Fritz, segretario; VON HOHENTHAL Joachim, segretario; VON NEURATH Konstantin, addetto; BERGER Karl, addetto, dall'8 luglio; GRAEFF Friedrich, addetto commerciale; KOEHLER Fritz, addetto per l'agricoltura; MoLLIER Hans, addetto stampa; FISCHER Herbert, generale, addetto militare; WuRMBACH Hans Heinrich, capitano di fregata, addetto navale; ScHULTHEISS Paul, tenente colonnello dell'arma, aeronautica, addetto aeronautico; PRETZELL Gerhard, maggiore, addetto militare aggiunto, dal 12 maggio.

Giappone -SuGIMURA Yotaro, ambasciatore; NAKAYAMA Shoichi, consigliere; MATSUMIYA Hajime, consigliere, dal 9 giugno; WATANABE Nobuwo, primo segretario, dal 23 luglio; INOUYE Kenso, segretario interprete di seconda classe; SuGI Morio, addetto; TERAOKA Kohei, addetto; NUMATA TAKAZO, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; KoJIMA Hitoshi, capitano di fregata, addetto navale; HIRAIDE Hideo, capitano di fregata, addetto navale e aeronautico, dal 1 agosto; NoMURA Masahiko, maggiore di artiglieria, assistente dell'addetto militare.

Gran Bretagna -DRUMMOND sir Eric James, ambasciatore; INGRAM Edward, consigliere; NoswoRTHY Richard Lysle, consigliere per gli affari commerciali; Mc CLURE sir William, addetto stampa con rango di consigliere; NICHOLS Philip, primo segretario; JEBB Gladwyn, secondo segretario; NOBLE Andrew, secondo segretario; LOMAx J. G., secondo segretario per gli affari commerciali; GREY P. F., terzo segretario; HARPHAM W., terzo segretario per gli affari commerciali; ALLISON George Edmund, addetto onorario; SCHOFIELD A., addetto onorario; STONE Robert, colonnello, addetto militare; PoTT Herbert capitano di vascello, addetto navale; BEVAN R.H., capitano di vascello, addetto navale, dal 31 luglio; DACRE George, colonnello, addetto aeronautico; DAVEY B.C., capitano, addetto militare aggiunto; COBB R., comandante, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

Grecia -METAXAS Petros, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DALIETOS Alexandros, consigliere; MELAS Michele, primo segretario.

Guatemala -DURAN MoLLINEDO Victor, generale, incaricato d'affari; DuRAN y FIGUEROS J. Ramiro, segretario.

Haiti -LARAQUE Enrico Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 21 giugno (residente a Parigi).

Iran -SEPAHBODI ANOUCHIRAVAN khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SAED Mohammed, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 21 giugno; HADJEB-DAVALLOU Mohammed khan, primo segretario; KHOSROVI Abdullah khan, addetto.

Iraq -AL-PACHACHI Muzahim bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AL-PACHACHI Taher, addetto.

Jugoslavia -Ducié Yovan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BELJANSKI Paul, consigliere; RISTié Yovan M., primo segretario; GAVRILOVIé Milivoje, primo segretario, dal 21 agosto; VuKOTié Yovan, addetto; KoTNIK Ciril, addetto; PLAMENATZ Ilia, addetto; ZAJCié Bozidar, addetto stampa; MILENKOvié Stojadin, colonnello di artiglieria in servizio di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico; DRAGUICEVIé Ivan, comandante, addetto militare, navale e aeronautico aggiunto.

Lettonia -SPEKKE Arnolds, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RIEKSTINS Janis, primo segretario.

Lituania -CARNECKIS Valdemaras, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VILEISIS Petras, segretario.

Messico -0RTIZ Leopoldo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VILLATORO Gustavo, consigliere; URIBE Horacio, primo segretario; MONASTERIO Francisco Ortiz, secondo segretario; CARZA RAMOS Mario, vice console, addetto; BOJORQUEZ CORDOVA Jesus, addetto commerciale; GARCIA VELASQUEZ Ruben, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Parigi); Rmz GARGOLLO Manuel, tenente colonnello del genio, addetto militare aggiunto; PADILLA AVILA Jesus, capitano di artiglieria, addetto militare aggiunto.

Monaco -CouGET Fernand, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Nicaragua -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia -IRGENS Johannes, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANGENSTEN Ove C.L., primo segretario; BAKKE Arnold, consigliere commerciale (residente a Berna).

Paesi Bassi -PATIJN Jacob A.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VAN PANHUYS W.E., segretario; VAN RECHTEREN LIMPURG W.C., segretario; VAN RIJN J.J., addetto commerciale.

Panama -ARrAs Arnulfo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JrMENEZ DE Roux, segretario.

Paraguay -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Perù -MANZANILLA José Matias, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LANATA COUDY Luis F., primo segretario; BRAZZINI Ezio, addetto onorario; GrLARDI VERA Carlos A., colonnello, addetto aeronautico (residente a Parigi).

Polonia -WYsocKr Alfred, ambasciatore; ZAwrszA Aleksander, consigliere; CHROMECKI Taddeus, segretario; MAZURKrEwrcz Roman, consigliere commerciale; SzELISKI Jean; addetto; MrKULSKI Boeslaw, addetto onorario; MrCHALOWSKI Jozef, addetto onorario; NrEWEGLowsKr Cezary, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico.

Portogallo -LoBo D'AVILA LIMA José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VAz SARAFANA José Eduardo, primo segretario.

Romania -LUGOSIANU Ion, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LECCA Gheorghe, consigliere; BRABETZIANU Vietar consigliere, dal 24 giugno; BrLCIUREscu Grigore, segretario; ADAMIU Aureliano, addetto, dal 27 maggio; PORN Eugen, consigliere commerciale; SoLACOLU Teodoro, consigliere per la stampa; SKELETTI Emil, colonnello, addetto militare; GHEORGHIU Ermil, tenente colonnello di aeronautica, addetto aeronautico (residente a Parigi); DuMrTREscu Gheorghe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Londra).

Santa Sede -BORGONGINI DucA Francesco, monsignore, nunzio apostolico; MrSURACA Giuseppe, monsignore, uditore; VEROLINO Gennaro, monsignore, segretario.

Siam -VrRAJAPHAK Phra Riem, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VrsuTRA VrRAJJADES Luang, primo segretario; PRASERT MArTRI Luang, secondo segretario; SuvANADAT Vijen, secondo segretario; JrTAWI Luang, terzo segretario.

Spagna -GoMEZ OcERIN Justo, ambasciatore; GARCIA-OLAY Pelayo, ministro plenipotenziario, consigliere; FORNS Rafael, primo segretario; JoRRO Jaime, secondo segretario; CARRAsco Manuel, addetto onorario (residente a Bologna); FIGUEROA Eduardo, addetto onorario; SOSTRE MALUQUER Ramon, addetto onorario; SANCHEZ Florencio, addetto commerciale aggiunto; BUYLLA Adolfo Alvarez, consigliere commerciale; SrcARDO José, tenente colonnello di fanteria, addetto militare; EsTRADA Rafael, capitano di fregata, addetto navale.

Stati Uniti d'America -LONG Breckinridge, ambasciatore; KIRK Alexander C., consigliere; TITTMANN Harold H., primo segretario; GAnE Gerhard, secondo segretario; HARRISON Randolph jr., terzo segretario; LIVENGOOD Charles A., addetto commerciale; HooPER Malcom P., addetto commerciale aggiunto, dall'll maggio; THOMSON Thaddeus Austin, capitano di vascello, addetto navale e aeronautico per la marina; PILLOW J. G., colonnello di cavalleria, addetto militare e aeronautico; FISKE Norman E., maggiore, addetto militare aggiunto; WHITE Thomas D., capitano dell'aeronautica, addetto militare e aeronautico aggiunto; DEL VALLE Fedro Augusto, tenente colonnello di marina, addetto navale aggiunto; FORRESTEL Emmet Peter, capitano di corvetta, addetto navale aggiunto; FuRER Julius Augustus, capitano del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Londra); SHOEMAKER James Marshall, capitano di fregata, addetto navale e aeronautico aggiunto, dal l o giugno (residente a Parigi).

Sud Africa (Unione del) -HEYMANS Albert, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SKALLAN E. K., segretario; GELDENHUYS Frans Eduard, consigliere commerciale; VAN DER MERWE D. C., addetto.

Svezia -SJOBORG Erik, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SoHLMAN Rolf R., primo segretario; BAGGE H., addetto; SAMUELSON J. E., capitano di corvetta, addetto navale e aeronautico.

Svizzera -RUEGGER Paul, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BROYE Eugène, consigliere; MICHELI Louis H., consigliere, dal 1° giugno; FuMASOLI Mario, primo segretario; MALLET Bernard, secondo segretario.

Turchia -BAYDUR Huseyin Ragip, ambasciatore; KARABUDA Zeki, consigliere, ARAR Ekrem Ismail, primo segretario; CHADI Kavur, terzo segretario; BELBEZ Nejdet Tahir, terzo segretario; KARAGULLE Halil Mithat, consigliere commerciale; HAYIROGLU Mahmut Nedim, addetto stampa; GUZELIMDAG Rahmi, capitano di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico ad interim; ZIYA Komut, capitano di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico ad interim, dal 22 agosto; KoRUTURK Fahri, tenente di vascello di Stato Maggiore, addetto navale ad interim.

Ungheria -VILLANI Federico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE VEGH Miklòs, consigliere; DE SzENTMIKLOSY Andras, segretario; DE HERTELENDY Ladislav, segretario; BETHLEN Gabriele, addetto; HUSZKA !stvan, addetto stampa; SzABÒ Ladislav, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste -STEIN Boris, ambasciatore; HELFAND Lev, consigliere; DNEPROFF Pavel, secondo segretario; FRIDGUT Pavel, secondo segretario; ScEININ Grigorij secondo segretario, dal 20 luglio; BELENKI Boris, rappresentante commerciale; EFIMOV Efimio, rappresentante commerciale aggiunto; PoPov Ivan, rappresentante commerciale aggiunto; LUNEV Pavel Petrenko addetto militare e aeronautico; BIASI Nikola, colonnello, addetto militare e aeronautico, dal 18 luglio; ScEL Boris, addetto navale; LIKHOVITSKY Teodor, addetto aeronautico aggiunto.

Uruguay -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRUNWALDT CuESTAS Federico, primo segretario, incaricato d'affari ad interim; FABREGAT Gilbert Caetano, secondo segretario; REVELLO Nicolas, addetto; PIAGGIO BLANCO Raul, addetto onorario; GAvAzzo Josè, capitano di artiglieria, addetto militare; FARIAS Medardo R., maggiore, addetto aeronautico.

Venezuela -FARRA PEREZ Caracciolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CASAS BRICENO J. M., consigliere; ROJAS Hugo, addetto.

64 -Documenti diplomatici -Serie VIII -Vol. IV